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Direz. e Redaz.: Piazza di T revi, 86 00187 Roma
ANNO XXX N. 12 Dicembre 1982
Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111170
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ORGANO
MENSILE
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D E L L ' AICCE.
ASSOCIAZIONE
dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
UNITARIA
l
DI
COMUNI,
PROVINCE,
REGIONI
l
Seelisberg (Svizzera): alle origini del CCE.
hanno collaborato:
ALBERTINI,ARFÈ, BOLIS, BONANNI, BUFARDECI, CABEI~LA,CAGIANO DE
AZEVEDO, CAMPOS VENUTI, CASSANMAGNAGO, CHITI-BATELLI, DASTOLI,
DOZIO , FERRAROTTI, GARIBALDI JALLET, GIARINI, MAGNIFICO, MARTINI,
MERLINI, MOMBELLI, PANIZZI, PAOLINI, PETRILLI, PHILIPPOVICH, PIOMBINO,
PISTONE, RIGOBELLO, SEPE, SERAFINI, SPINELLI, TARRICONE, TODISCO, VENTURELLI, ZAMPAGLIONE, ZOLI.
I testi richiesti ai nostri collaboratori vecchi e nuovi, pubblicati in questo numero, sono pervenuti alla redazione nell'arco di alcuni mesi; ringraziamo tutti, compresi quanti non hanno potuto, per vari motivi, farci pervenire il loro contributo, particolarmente coloro che sono stati più solleciti, con i quali ci scusiamo per il ritardo della
pubblicazione.
Ci piace ricordare che tutte le foto che illustrano i testi sono la riproduzione di alcuine pagine delle trenta annate di .Comuni d'Europa.
2
dicembre 1982
COMUNI OI'EUROPA
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trent'anni di coerente impegno di «Comuni d'Europa»
I temi di lotta del popolo europeo
di Edmondo Paolini
avuto nella storia dell'integrazione europea: è
certo che il Consiglio dei Comuni d'Europa
(costituito a Ginevra il 28 gennaio 1951, quando l'Europa stava vivendo la grande stagione
del federalismo, nato dalla Resistenza europea,
rilanciato dalla dichiarazione di Schuman del 9
maggio 1950) è fra quelle che vi hanno contribuito di più.
Sulla base dello statuto e dei primi documenti approvati, si chiariva la sua linea politica, tendente a superare l'astratta contrapposizione fra la corrente dei federalisti integrali (o
proudhoniani) e quella dei federalisti hamiltoniani (o s~inelliani),dalle quali provenivano i
fondatori del CCE. Non si può comprendere la
lunga battaglia del CCE e quindi di Comuni
L 'AICCE decide «Comuni d'Europa»
tatore. Naturalmente, (:i sono stati, e ci saranno, degli alti e bassi in questa azione, ma è difficile evitarli, se il periodico deve essere al tempo stesso l'organo di una Associazione federalista di enti locali, che, a sua volta, è una Sezione di un organismo soprannazionale, e, contemporaneamente, si vuole collocare nel grande filone del federalismo globale.
Quando si fa la storia del federalismo, si corre spesso il pericolo di indugiare sulle diagnosi,
sempre o quasi ineccepibili, trascurando il peso
che questa o quella Organizzazione hanno
<Sabato 26 e domenica 27 gennaio, presso la
sede dell'lstituto italiano per i Centri comunitari in Roma, si sono riuniti a convegno sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali
per costituire la Sezione italiana del Consiglio
dei Comuni d'Europa.. . Sotto la presidenza
dell'assessore Jori di Milano, sono state svolte
tre relazioni dei componenti il Comitato promotore espressamente indicato dal Comitato
centrale nella riunione di Ginevra (7, 8 e 9 dicembre 195l ) , prof. Rossi, ing. B ~ g n e r prof.
,
Serafini.. . Il convegno ha approvato all'unanimità le tre relazioni ed ha iniziato l'esame del
progetto di statuto.. . Approvato lo statuto, si è
proceduto alla nomina del Comitato direttivo
prowisorio.. . Nella prima riunione del Consiglio direttivo si è decisa la pubblicazione di un
periodico con la testata "Comuni d'Europaw».
Questa la cronaca, sintetizzata, delle due
giornate di lavoro del convegno costitutivo
dell'AICCE, nel gennaio 1952, che decise la
nascita del periodico dell' Associazione.
1. La mobilitazione politica
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
La battaglia istituzionale
I contenuti della battaglia
Gli Stati generali
Gemellaggi
Europa, Scuola, Enti locali
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Da allora, per trent'anni, le molte battaglie
federaliste dell'AICCE e di Comuni d'Europa
sono un insieme, quasi inscindibile: spesso,
laddove l'Associazione è in una pausa di riflessione, è Comuni d'Europa che propone, suggerisce, dibatte i contenuti di nuove battaglie;
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2. La documentazione sulle esperienze
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2.3. Dalla Comunità europea di credito
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I. La Comunità europea dz credito 60munale
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3. Il federalismo ficale
2.4. Politica agricola comune
2.5. Emigrazione
2.6. Ecologia
3. Rappresentanza e partecipazione nelle Istituzioni europee
3.1. Nella Comunità europea
3.2. Nel Consiglio d'Europa
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
d'Europa se non si tiene presente che alla contrapposizione si sostituì ben presto, soprattutto
per merito del segretario generale soprannazionale, Jean Bareth, e del segretario generale
dell'AICCE, Umben-o Serafini, la concezione
della necessaria interdipendenza fra le due posizioni, cioè fra i1 problema del apotere europeo,, le istituzioni, privilegiato dagli hamiltoniani, e quello di auna nuova società europea,,
derivato dall'insegnamento di Proudhon e fatto proprio dai federalisti integrali, particolarmente francesi, e quello, ancora, delle forze
sociali, culturali e politiche necessarie per passare da un federalismo illuministico a una autentica lotta politica federalista, come chiarì,
già nel gennaio 1953, Serafini ad una riunione
degli organi soprannazionali del CCE a Palermo, in una basilare relazione dal titolo Constitution européenne et libertei locales (pubblicata in un opuscolo).
Fu proprio il leader indiscusso del federalismo, Altiero Spinelli che, venuto a conoscenza
del Congresso costitutivo del CCE a Ginevra
(come lui stesso ricorda nella dichiarazione
pubblicata a pag. 5 di questo numero), proponeva a <Serafini - socio del MFE e consigliere
delegato dell'Istituto italiano per i Centri comunitari - di interessarsi della formazione
della delegazione italiana, (C.d'E., aprile
1952). Questa duplice matrice - federalista
spinelliana e autonomista olivettiana - costituisce la base su cui si muove, dall'origine ad
oggi, il CCE e quindi Comuni d'Europa: I'essenza, cioè, del patto di unità di azione fra il
movimento federalista e il movimento delle
autonomie europei. Se, infatti, alla riunione
costitutiva del CCE accanto a rappresentanti
delle autonomie, del sindacalismo, dell'urbanistica, partecipavano esponenti del federalismo europeo, specie francese, alla riunione costitutiva dell'AICCE portarono il saluto altri
esponenti federalisti, come Ferruccio Parri e
Ludovico Benvenuti, membri del Comitato
centrale, mentre intervenivano nel dibattito il
segretario generale aggiunto del MFE, Alberto
Cabella, e Andrea Chiti-Batelli. I1 legame fra
aautonomie e federalismo~veniva sancito dalla
presenza di un delegato del MFE nel Direttivo
dell' AICCE. Ulteriore conferma di questo rapporto organico veniva dal V Congresso nazionale del MFE, svoltosi a Torino il 6-8 dicembre 1952, dove fu approvata una risoluzione ad
hoc nella quale si affermava che ai1 Congresso.. . constatata la concreta politica federalista
che I'AICCE - diretta da federalisti - ha
svolto dalla sua nascita ad oggi, sul terreno nazionale ed europeo, combattendo in entrambi
i campi per l'immediata costituzione di una
Autorità politica europea e per la convocazione
di una Assemblea costituente, impegna il nuovo Comitato centrale e tutti i federalisti, particolarmente quelli che risiedono nelle amministrazioni locali, a dare la loro opera senza riserve per l'adesione dei Consigli comunali, provinciali, regionali - che ancora non l'avessero
fatto - all'Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni d'Europa» (C.d'E., anno I, n.
2-3).
Non è questa la sede per ricordare le molte
battaglie condotte in unità d'azione tra Movimento federalista e CCE, a partire dalla batta(continuazione a pag. I>O)
1
Per una copertina plastifcata / si può delirare
Caro lettore abituale e caro lettore occasionale, ti mandiamo u n saluto nipettoso e cordiale, anche se non, sappiamo chi sei: ma non è escluso apriok che t u sia u n amico che ci
legge da trent'anni. Comunque senza saper n d a di te eccoci q u i a schizzare una nflesione
su questa nostra fu riga fatica.
Il nostro mensile ha una veste, che conserva dagliinizi e che risulta lapii? economica (con
altri formati, a parjtà d i numero d i parole, dovremmo impiegare molta piii carta) e anche
molto «datata». Qzesto far nialtare la propnà data d'ongine per alcuni - lo sappiamo pare sia u n grosso &etto (quasi che, non rinnovando il vestito, rimangano tisenza evoluzione, osszficate, le, idee), per altn' u n singolare pregio (vecchia e coerente battaglia; una
grossa esperienza). E p o i non abbiamo la copertinaplastzficata: sì, molti ci rimproverano d i
non aver la copertina, che (pare) serve a far da argine alle idee che irrompono dagliarticoli.
Io, in tutta semplicità, farei aftre cnjiche (ossia autocritiche). Unperiodico, anche gestito
con fiancescanapo;vertà, ha bisogno d i una sia purpiccola redazione, che non badi adaltro:
che viva i 'giorno e la notte per le iniziative del giornale, le curi, le sviluppi, attui ipiani
fatti d i tanto in tanto anche in base ai suggenmenh degli amici o dei «comitati ad hoc».
Non è stato e non è purtroppo il caso nostro: due o tre gatti, presi da continuiproblemi,
talche-il collettivo di«Comunid'Europa» lavora a singhiozzo e - tra l'altro - non ha spesso tempo e modo disollecitare nuove voci, colfaboratori diversi, con la pazienza e la costanza che ciò impone.
Tuttavia abbiamo anche qualche motivo, se non di orgoglio, d i soddisfazione. Diciamo:
almeno tre motivi.
Ilprimo è che, come l'Associazione d i cui «Comuni d'Europa» è organo, ilperiodico ha
nyettuto per anni la verità vera che sottostà alprocesso d i integrazione europea, ne ha seguito tutti i momenti d f i c i l i e gli aspetti delicati, ha precorso frequentemente i tempi, ha
gestito campagne (che hanno fatto epoca (come quando ha dato larga pubblicità ai morti,
da cui il parla meni:^ italiano continuava afarsi rappresentare nella Assemblea parlamentare
europea).
Il secondo è che a l a nostra povertà di mezzifinanziari e d i organico non corrasponde cert o una povertà di strumenti di informazione e di elaborazione culturale. Tutti i mig/ion'
cervelli che si sono dedicati aiproblemi europei, tuttigli istituti che studiano in Italia (e anche f u 0 4 iproblemi delfederalismo, delle autonomie, dell'urbanistica comparata, ecc.,
sono stati e sono a stretto contatto con noi. Possiamo aggiungere che, con la discrezione che
per loro è doverostr, ci hanno offerto la loro collaborazione e iloro consigli, n$etutamente,
alcuni d i coloro che - anche a d altissimo livello - agiscono, tra mille condizionamenti,
nelle istituzioni nazionali e d europee. A nostra volta nessun periodico italiano ha per tanti
anni informato, così Largamente e individuando analiticamente tutti i p u n t i che potevano
interessare gli am fivinistraton'locali e regionali, sui lavori delle assemblee europee.
Il terzo è che, pur nella nostra discontinuità (certi numeri d i «Comuni d'Europa»possono sembrare piuttosto dei bollettini: del resto noi abbiamo l'obbligo di riportare le attività
dell 'AICCE), si rkcontrano tuttavia non pochi numeri - specialmente alcuni monografii
- che hanno fatto sto&: citerò per tutti quello monografio sull'urbanistica nella Repubblica federale tedesca. Ma come non ricordare, ai tempi del dibattito sulla force de frappe
francese, la nostra pubblicazione in eschivaper l'Italia di un noto saggio, precedente e divergente, delgenerale Gaffois (poi teorico del detenente proporzionato) ?
Detto questo, eccoci a intraprendere il secondo trentennio d i vita, senza ipatemi d'anim o finanziari' degli inizi (ora essi coincidono, in largaparte, coipatemi d'animo del tesonere delllAICCE). Siamo aperti a tutti i consigli, accettiamo tutte le critiche: ma non possiam o tacere che certe cnjiche, e astiose - e magabprendendo a falso scopo aspetti formali o
redazionali -, ci vengono già rivolte, in realtà, perche'dà fastidio la nostra spregiudicatezza, il nostro usettarismor - come si dice - o fa nostra uastrattezzau - come sentenziano gli
uomini della «concretezza» (gli allevaton' dello statu quo nazional-europeista) -. Noi non
siamo u n «circolo chiuso,, come sostiene qualche persona importante, a cui abbiamo dato
poco spazio: siamo u n giornale d'avanguardia (come d'avanguardh vorrebbe essere I'AICCE, da cui dipena7iamo)e restiamo pizì aperti - è u n nostro dovere - all 'intelligenza degli
uomini comuni che alla presunzione degli uomini delpotere. La cosidetta classe dirigente,
cioè: quella che condiziona la stampa e tutti i mass media, rappresentando gli interessi costituiti, che sono i nemici della sovrannazionafità democratica. I nemici dell'Europa, insomma, e delfederalismo. Chiaro?
Voglio chiudew, a titoio strettamente confidenziale, che sono quarantasette anni che m i
batto per il federalismo democratico e conosco bene di che stoffa sono i «concretisti~
che accusano noi, con benevola arroganza, d i uastrattezza, (e anche d i «giornalismo ingenuo», ecc. ecc.) --, noi e tutti coloro che si battono perche-si faccia u n po' d i stona per bene, si cambi u n po' il mondo secondo ragione -: li conosco bene, perche-fia i miei coetanei sono coloro che, quando tingenuamenter m i battevo, da studente, contro «le guerre»
(d'Etiopia e d i Spagna, prima; mondiale, dopo), chiedendo non l'Asse Roma-Berlino m a
gli Stati Uniti d'd:Europa, chiedevano a loro volta - restando sul terreno del «possibile» e
quindi del uconcr,etou - l'unità europea sotto Hitler e Mussolini.
Umberto Serafini
4
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
una sintesi di alcune delLe battaglie del Consiglio dei Comuni d'Europa ,,Tali
,,,paroleattualioffrono
,impongono
di continuare
di Thomas Phi]ippovich
Phiiippovich ed Eiisabeth Gateau, segretario
generale aggiunto del CCE.
Eccoci a diciotto mesi dal rinnovamento a
suffragio universale diretto del Parlamento Europeo. Per quanto l'ora non sia ancora venuta,
si comincia a fare un bilancio della prima legislatura comunitaria.
I detrattori sono numerosi, molto numerosi,
lo sappiamo. Essi si compiacciono, fra l'altro,
di confrontare I'uesperienza» in questione con
quelle della Costituente tedesca del 1848 della
Paulskirche di Francoforte. A parte il fatto che
i responsabili del fallimento di allora, fra i quali si trovavano molti democratici, liberali sinceri, avrebbero tutte le ragioni di rivoltarsi nella
tomba e di mordersi le mani osservando le conseguenze che questo fallimento ha portato: Bismarck, il secondo Reich, il terzo Reich, noi rifiutiamo rigorosamente questo confronto.
Nonostante errori importanti, inevitabili in
un tal genere di impresa, come hanno dimostrato, all'inizio, molte esperienze parlamentari ben note alla storia, ci sembra evidente che il
bilancio complessivo dei primi anni del Parlamento Europeo sia positivo. Citeremo come
prova, fra molti altri che si potrebbero addurre, due fatti a nostro awiso fondamentali:
- il carattere transnazionale delle famiglie
politiche si è affermato in seno al Parlamento
Europeo fin dal primo giorno ed esso si è organizzato in conseguenza. Tale transnazionalità
ha da allora in poi, qualunque cosa si possa dire, un peso sempre più importante sulle formazioni politiche nazionali. Queste ultime non
vorranno ammetterlo apertamente, ma devono
ormai tenerne sempre conto nella loro strategia
generale.
- L'esistenza di una maggioranza molto
notevole in seno al Parlamento Europeo in favore del riconoscimento della necessità di un
salto di qualità, o meglio di un progresso decisivo a breve e a medio termine nel processo
d'integrazione. Questa maggioranza si è espressa al momento del voto della Risoluzione
Spinelli, il 6 luglio scorso.
Conosciamo certo le ambiguità di questo voto: alcuni socialisti francesi cosiddetti proeuropei si sono astenuti e dei conservatori britannici, quanto meno neofiti da questo punto
di vista, hanno votato a favore.. . Tuttavia tale
fatto costituisce ugualmente un passo irreversibile e soprattutto una piattaforma solida che
impone anche a noi, Consiglio dei Comuni
d'Europa, di dire alto e forte: aqui sono e qui
resto,. aMa voi avete un carattere speciale*,
non rappresentativo dell'opinione, si potrà o-
biettare dall'altra parte. L'esame attento dell'evoluzione mostra tutitavia che noi non abbiamo un carattere così particolare come si vorrebbe far credere.
Prendiamo ad esempio una delle grandi discussioni d'attualità: quella sulla difesa della
pace e un arresto nella corsa agli armamenti.
Tutti si diranno d'accord,~per il consolidamento della pace e per una ricerca attiva dei mezzi
che consentano d'invertire la tendenza a un sovrarmamento. La grande maggioranza si dirà
anche cosciente del fatto che non si potrà raggiungere tale obiettivo in un modo qualsiasi.
Sembra al tempo stesso che una parte sempre
più grande dell'opinione pubblica riconosca, o
riconosca di nuovo, la funzione primordiale
che un'Europa politicmiente unita sarebbe capace di svolgere per la so~luzionedi questo problema.
Nel momento in cui si pubblica il numero
del trentennale di @Comunid'Europa, possiamo dunque constatare una trasformazione forse lenta, ma tuttavia sensibile del clima politico. Non ritroveremo uri'atmosfera identica a
quella dell'inizio degli anni cinquanta, quando Robert Schuman e Jean Monnet fecero la loro proposta storica di isi:ituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, in seno alla quale poté esser elaborato il primo progetto di Comunità Politica Europea ecc. Ciò
non è concepibile né, d'altra parte, è in alcun
modo necessario. Al contrario, è indispensabile
che nel mondo di oggi il rilancio dell'Europa
awenga su basi concrete e su argomenti politici
in parte almeno differenti da quelli di allora.
Detto ciò, nessuno di questi argomenti potrebbe essere in contrasro con quelli di trent'anni addietro. Al contrario, questi argomenti
si collocano nella stessa logica e nella fedeltà
agli impegni di allora. I1 CCE li ha espressi di
recente in tre documenti la Risoluzione politica degli Stati Generali di Madrid, l'Appello
pubblicato dalla Sezione italiana e firmato da
numerosi sindaci e amministratori locali d'Italia e di altri Paesi d'Europa, e infine in una Risoluzione approvata dal Comitato di Presidenza europeo nel giugno 11982.Questi testi sono
noti. Riteniamo utile tutravia citare qui il passo
centrale dell'ultimo:
a11 Comitato di Presidenza del CCE considera che l'azione più concreta in favore della pace
resti la lotta per lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale d d processo d'integrazione europea, giacché questo costituisce il
contributo più efficace:
- allo stabilimento di un nuovo ordine
economico internazionale che consenta di controllare congiuntamente i grandi problemi del
pianeta, quelli della fmie, del disarmo, della
distribuzione delle risorse naturali, dell'ambiente, ecc. ;
- allo sviluppo di un'organizzazione democratica degli Stati del mondo che garantisca
il libero diritto dei popoli a disporre di se stessi, nel senso della Carta dlelle Nazioni Unite;
- alla difesa e al rafforzamento delle libertà individuali e collettive e, fra queste ultime, delle libertà locali e regionali,.
la nostra battaglia, più necessaria che mai. Siamo felici e fieri che circa trentamila collettività
locali e regionali - questo numero ristretto risulta dalle riforme territoriali e dalle fusioni
che sono state attuate in quasi tutti i Paesi
membri - ci diano la loro fiducia. Sappiamo
anche che questa deve esser meritata col rispetto scrupoloso della nostra linea politica e con
un'azione appropriata, da attuarsi quotidianamente.
Dobbiamo tuttavia porre in risalto che abbiamo bisogno dell'appoggio permanente di
queste collettività locali e regionali. Perché esso
possa effettivamente aver una influenza profonda sull'evoluzione politica, dobbiamo domandare a tali collettività di rinnovarci tale appoggio, di rinnovare costantemente tale appoggio alla causa per cui ci battiamo. Dobbiamo altresì chieder loro di rendersi conto - anche se ciò può sembrare a prima vista presuntuoso da parte nostra - che nessuno al di fuori
del CCE e dei suoi aderenti opera per questa
battaglia, in campo aperto e con un'azione
quotidiana, in un contesto così reale e vicino
alla popolazione.
Non è certo all'AICCE e ai Comuni italiani
- che nella proporzione de11'85-90% dei cittadini hanno partecipato alle elezioni europee
del 1979 - che noi rivolgeremo qui un qualsiasi rimprovero di passività.
Non è ai Comuni, alle Province e alle Regioni italiane che noi dobbiamo dimostrare che la
soluzione di tutti i grandi problemi, a cui essi
devono far fronte per assicurare il benessere dei
cittadini che ad essi incombe, passa per I'organizzazione di un'Europa unita in forma federale: cioè di unlEuropa che disponga di poteri
esecutivi e legislativi adeguati, pur mantenendo e sviluppando il decentramento. Infatti,
senza l'applicazione di questo metodo federalista, né la ripartizione generale dei beni e del
lavoro sull'insieme del territorio europeo, né la
personalità propria delle componenti, né la
partecipazione dei cittadini potranno esser garantite.
I1 grado di consapevolezza degli aderenti
all'AICCE li pone piuttosto in una posizione
adatta per farsi portavoce degli obiettivi federalisti presso quelli, fra i loro colleghi negli altri
Paesi, che credono sempre, o credono di nuovo, in seguito alla crisi economica, che essi devono ripararsi dietro un protezionismo nazionale, o un protezionismo territoriale ancora
più ristretto.
<Comuni d'Europa, ha scelto in proposito la
giusta direzione già da trent'anni invocando
costantemente un rafforzamento dei legami intercomunali europei (gemellaggi e scambi) per
tutte le categorie della popolazione e a tutti i
livelli.
=Comuni d'Europa ha altresì reso un buon
servizio alla causa prevedendo una unione delle forze vive dell'Europa attorno ai rappresentanti locali e regionali, in un ufronte democratico europeo,.
Molto è stato fatto, e basta sfogliare i numeri
apparsi della rivista per convincersene. Ma
molto resta da fare. Sappiamo, e ciò ci è di
grande conforto, che <Comuni d'Europa, sarà
sempre presente e disponibile.
COMUNI D'ELIROPA
dicembre 1982
I1 CCE in prima linea
di Altiero Spineiii
Vorrei innanzitutto dire che non è un caso
che il Consiglio dei Comuni d'Europa sia uno
dei frutti dell'unione europea dei federalisti,
perché sono stati alcuni membri dell'UEF, convinti che bisognasse interessare anche le organizzazioni periferiche a livello locale, che hanno preso l'iniziativa di contribuire alla fondazione del Consiglio dei Comuni d'Europa che
ora marcia con le sue gambe. Che l'idea iniziale di legare la battaglia per l'autonomia con
quella per la Federazione europea fosse stata
giusta, si vede dal fatto che il CCE, con coerenza e costanza, non ha dimenticato che il suo
scopo politico è di arrivare allJUnioneeuropea,
e non di stare a discutere solo di problemi comunali: una Unione europea in cui contino i
comuni e gli altri enti locali regionali perché la
costruzione europea è veramente uscire, nella
misura del possibile, dalla camicia di Nesso che
è lo stato nazionale. Se, infatti, alcune cose
debbono essere di competenza dello stato nazionale, ce ne sono molte altre che devono essere risolte a livello locale, comunale o regionale; così come ce ne sono altre che devono essere
fatte a livello sopranazionale. Questo genera
una naturale alleanza fra chi lotta per le autonomie e chi lotta per la Federazione europea.
Noi ci troviamo oggi in una situazione in cui
quel poco che si è fatto di costruzione europea
si trova ad un bivio: da una parte c'è la possibilità che tutto vada a catafascio, che crolli tutto
l'esperimento per averlo fatto in modo insufficiente e perché le strutture che si sono create, le
regole che si sono stabilite, le leggi comuni, i
meccanismi decisionali che permettono la formazione delle volontà, ecc,, non sono atti ad
affrontare i problemi nuovi, cosa che sarebbe
rovinosa per l'Europa, ma anche per le libertà
europee e perciò anche per le libertà comunali;
d'altra parte c'è la possibilità, il tentativo è in
atto, di approfittare appunto di quel tanto di
legittimazione democratica che si è venuta
creando per una delle strutture della Comunità, il Parlamento Europeo, per imporre
all'opinione pubblica, alle forze politiche e poi
ai Parlamenti nazionali - che sono quelli che
dovranno votare in ultima istanza - una svolta
che porti alla costruzione di una Unione europea, che comporti la capacità di discutere i problemi, di elaborare le politiche comuni e poi
eseguirle. Tutto questo tenendo presente che
fare una politica comune è un processo sempre
molto complesso, perché ci vuole il periodo di
ABBONATEVT A
chiarificazione di idlee; quello di coagulazione
di interessi reali e di interessi pratici di valutazione delle priorità. Ora si pretende di fare ciò
mettendo insieme i Dieci governi. Ci manca
proprio l'elemento vitale a tutto questo. Ma i
governi, essi stessi, frutto di complessi processi
di formazione nazionale, nella loro azione a livello comunitario, soffocano tutto quello che è
comune facendo emergere solo il carattere nazionale delle politiche comuni. Ora, questa
sarà la grossa proposta che il Parlamento si accinge a fare e alla quiale sta lavorando per fissare le linee del nuovo Trattato.
Più di questo il ]Parlamento non può fare.
Non avendo poteri legislativi, può semplicemente adoperare la sua autorità politica per rivolgersi ai centri della vita politica nazionale
che decidono - cioè ai Parlamenti nazionali
- chiedendo di rettificare i Trattati esistenti.
Perché questo avvenga occorre però che ci sia
una forte mobilitazione di consensi e di sostegni, e io sono sicuro che il CCE, impegnandosi
seriamente, può rappresentare una forza non
indifferente, perché può, attraverso la mobilitazione di tutti i siridaci e degli altri amministratori locali e regionali dei Dieci paesi della
Comunità, esercitare una grossa pressione politica. Teniamo presente che il grande ostacolo
che noi abbiamo davanti non è la bontà o meno dello statu quo della Comunità, ma è la pigrizia e la difficoltà di pensare con continuità
all'azione da svolgere, quando la tendenza è
5
quella di continuare a fare le cose come si sono
fatte finora, ed è la situazione che porta normalmente ai momenti di crisi e che fa crollare
tutto.
Di questa grande mobilitazione per creare
una necessaria forza di pressione dovranno essere responsabili i movimenti e i deputati europei che stanno nei partiti che dovranno agire.
Però credo che è molto importante la continuità, la metodicità e il tipo d'azione: non basta votare una mozione. Per esempio, il Movimento Europeo sta organizzando una grande
conferenza a Bruxelles, come quella dell'Aja
del 1948, di tutte le forze vive europee. Bene,
il Consiglio dei Comuni d'Europa dovrà impegnarsi a portarvi una folta rappresentanza dei
comuni, con la presenza di tutti i sindaci delle
grosse città dei paesi della Comunità. Gli interventi del sindaco di Roma, del sindaco di Parigi, di Monaco e di tante altre città a sostegno
dell'azione del Parlamento Europeo, avvalorati
dalla loro presenza massiccia, impressionerebbero certamente le altre forze politiche. Cioè,
bisogna fare una battaglia in prima persona
schierandosi certamente in prima linea: questa
è una grande iniziativa che il CCE sono sicuro
vorrà realizzare. Non c'è tempo da perdere
perché se la battaglia sarà nel 1984, bisogna
prepararla nel corso de11'83. Infatti, al contrario della macchina dei partiti che lavora sempre, perché la vita politica è già formata e si deve adeguare solo alle variazioni, che sono quelle che contano, la vita politica europea è un
processo di formazione e quindi il concepimento delle strategie è lungo e bisogna prepararle in tempo: si deve agire subito.
--
COMUNJ D'EUROPA
--
p
-
11 manifesto di Ventotene
COMUNI D'EUROPA
6
Riflessione sul parssato e indicazioni
per il futuro
d.i Gianfranco Martini
A trent'anni dall'inizio della pubblicazione
della rivista «Comuni d'Europa», siamo sollecitati, owiamente, ad una riflessione sul passato
e a riandare ad un'epoca dalla quale ci divide
ormai un'intera generazione; ma, al tempo
stesso, poiché la rivista è tuttora viva e vegeta e
ha mantenuto per tutti i trent'anni della sua
vita il suo passo mensile (il che non è cosa di
poco conto nel mondo dei periodici, molti dei
quali fioriscono un mattino e presto appassiscono), la riflessione sul passato non può che
intrecciarsi con l'analisi dell'attualità e con lo
sforzo di individuare linee di sviluppo e indicazioni per il futuro.
La lingua italiana ha almeno tre verbi per
definire questa attenzione agli eventi passati:
commemorare, rammentare e ricordare. I1 linguaggio comune li usa indifferentemente, ma
l'origine etimologica conferisce loro delle caratterizzazioni più precise e diverse nelle quali
sono implicate di volta in volta, principalmente, la memoria, la mente e il cuore. La mia riflessione su «Comuni d'Europa» partecipa di
tutte e tre queste particolarità, stimolando al
tempo stesso la memoria di alcuni fatti nei
quali sono stato direttamente coinvolto, la
mente come strumento di valutazione razionale del loro significato e infine il cuore, inteso,
forse, più che nella sua dimensione emotiva,
nel suo più ampio significato biblico di simbolo dell'intera personalità umana che, come tale, si sente coinvolta in modo non marginale
nei vari eventi che la concernono.
Quando nel giugno 1952 fui eletto sindaco
di Lendinara, un Comune che contava allora
circa 17 mila abitanti e sito in provincia di Rovigo, «Comuni d'Europa, era già uscito col suo
primo numero datato 25 aprile di queHo stesso
anno. Non ne conoscevo però l'esistenza, anche se avevo sentito vagamente parlare delI'AICCE, il cui convegno costitutivo, del resto,
rimontava a soli pochi mesi addietro, al gennaio 1952. L'amico che me ne parlò con maggiore precisione, anch'egli sindaco di un Comune del Veneto, mi diede appunto il primo
numero della rivista, contenente anche lo statuto dell'Associazione e un ampio resoconto
del convegno costitutivo, affinché ne facessi
oggetto.. . di meditazione per un'auspicata
adesione del mio Comune. Chi è vissuto in
quell'epoca sa per esperienza che, pur con più
dimessa veste tipografica di quanto non awenga ora, essa si caratterizzava per un fiorire di
bollettini, periodici, giornali politico-culturali
che sembravano voler compensare, nella loro
varietà, il grigiore conformista della stampa del
ventenni0 fascista e sottolineare gli spazi di libertà e di dibattito da poco conquistati. Chi viveva allora in provincia e, soprattutto, in quelle parti della provincia italiana ove meno vivaci
erano la vita culturale e le possibilità di contatti
(il Polesine era certamente, pur senza sua colpa, una di queste, confrontato com'era, quotidianamente, con drammatici problemi di disoccupazione, di esodo, di conflitti sociali nelle
campagne e, proprio neil'autunno 1952, così
violentemente colpito dalla grande alluvione
del Po), si awicinava con un particolare stato
d'animo fatto di interesst: e curiosità a questa
carta stampata che in qualche modo contribuiva a ridurre un certo isolamento e a creare canali di comunicazione di idele e di persone.
Facevo già parte del Movimento federalista
europeo, e quindi I'esigeniza di una unificazione politica delllEuropa non mi era estranea e
trovava in me, come in molti giovani di allora,
un terreno particolarmente favorevole. La proposta di cui I'AICCE, altraverso quel primo
numero della rivista «Corriuni d'Europa», si faceva portavoce e promotriice, mirante alla mobilitazione degli enti locali per accelerare I'integrazione europea e concependo quest'ultima
come il frutto di un processo capace di valorizzare le autonomie territoriali, e di assicurare le
condizioni favorevoli al Iloro sviluppo, mi era
francamente congeniale e fungeva da cerniera
tra quelli che fin da allora erano due poli di interesse e di impegno speciifico che (oltre, naturalmente, alla famiglia e alla professione)
avrebbero fortemente influenzato la mia vita:
le responsabilità di amministratore locale, prima comunale e poi provinciale (dietro il quale
vi era un più generale impegno politico e partitico) e, d'altro canto, la viva percezione che il
nostro Paese, assieme ad altri Paesi europei,
fosse chiamato a cogliere la grande occasione
storica di costruire la Federazione europea.
In quel primo numero di «Comuni d'Europa, tutti questi ingredienti erano già presenti.
Ne ero consapevole allora, ma sono ancora più
stupito di ritrovarli, così crspliciti e così attuali
nella rilettura di oggi. I1 resoconto degli interventi del convegno costitiitivo dell'Associazione poneva già l'accento su una problematica
complessa che non ha cessato di essere segno di
contraddizioni nel dibattito politico successivo,
fino ai nostri giorni. Vi salno infatti espliciti richiami al valore delle libertà e delle autonomie
locali, problema che rimbalza oggi dal Parlamento italiano alle varie associazioni rappresentative di enti locali. Vi si trova, in prima pagina, il collegamento tra questo richiamo alle
libertà locali e la richiesta di un'Assemblea costituente europea di cui si riparla in questo momento, se pure in misur:~insufficiente, dopo
che il Parlamento Europeo eletto ha deciso di
assumere una iniziativa sc~stanzialmente«costituente,, rivendicando il compito di redigere
un progetto di <CartaCositituzionale, europea.
Vi si parla di Comuni, di Province e di ucomunità concreta, ponendo in risalto un tema
- quello dei rapportifra autonomia, istituzioni e la rcomunitàu che le esprime - che rimane uno dei presupposti fondamentali di qualsiasi riforma dell'ordinarnento e del governo
locale che non voglia ridursi ad operazioni di
pura ingegneria istituziociale. Lo ha confermato, proprio alcuni mesi fa, una specifica iniziativa dell'Istituto Jacques Maritain su questo
stesso tema, che si ricollega a tutto un movimento di pensiero, e di filosofia politica (basti
pensare ad Adriano Oli~retti),ancora troppo
dicembre 1982
spesso trascurato. Si propone anche, in quel
primo numero, di conferire più ampi poteri alle province nell'ambito di una nuova legge
provinciale e comunale: gli amministratori locali del 1982 e soprattutto i consiglieri provinciali e gli amici dell'UPI non potranno che rallegrarsi di questa presa di posizione di principio di trent'anni fa, anche se la loro soddisfazione è fortemente temperata dalla constatazione dei gravi ritardi nella sua attuazione.
Sempre con riferimento a quel primo numero, va ricordata una citazione - in esso riportata - di un economista inglese che nel 1786,
prima ancora che si arrivasse alla costituzione
federale degli Stati Uniti d'America, accennava con estremo distacco e con totale scetticismo
al <sogno estremamente ingegnoso, ma molto
più illusorio di qualsiasi fantasia di un romanziere, costituito, a suo awiso, dall'ipotesi che
l'America potesse divenire, come tale, una
grande potenza. Questa citazione si affiancava
all'altra, tratta dal rapporto generale al IV
Congresso dellJUnione dei federalisti europei,
nel quale si riconosceva che d n tutti i partiti
democratici ci sono partigiani convinti della
Federazione europea, ma che i partiti in quanto tali restano chiusi e indifferenti di fronte a
questo tema, prigionieri dei quadri nazionali
nei quali la loro azione è costretta a svilupparsi,. Questo giudizio non sembra molto lontano
dalla realtà neppure oggi, nonostante le prime
elezioni dirette del Parlamento Europeo che
hanno certamente stimolato le forze politiche
sulla via di alcuni interessanti, ma parziali,
tentativi di coordinamento e di aggregazione a
livello europeo.
L'elenco delle «attualità ante-litteram, politiche e culturali di quel lontano numero di
<Comuni d'Europa» potrebbe continuare. Esso, del resto, non è rimasto un episodio isolato.
I numeri che lo hanno seguito stanno a testimoniare lo sviluppo di quelle idee e di quelle
intuizioni, nel confronto con i mutamenti del
contesto italiano, europeo ed internazionale,
con prese di posizione e risultati non sempre
pacifici, talvolta apertamente dibattuti, ma
certamente stimolanti e provocatori. Ma, come
scrivevo all'inizio una commemorazione non
ha senso se non è anche trampolino verso il
presente e verso il futuro. I1 ricordo di quel primo numero della rivista, che certamente accentuò la mia decisione di proporre rapidamente
al Consiglio comunale l'adesione all'AICCE e
la successiva partecipazione ai primi Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa a Versailles nel 1953, pone anche alcuni interrogativi di estrema attualità, riguardanti le motivazioni dell'europeismo di oggi e, più in particolare, di quello specifico degli amministratori
comunali, provinciali e regionali del nostro
Paese.
Gli amministratori di Comuni, Province e
Regioni a statuto speciale, i singoli eletti locali
che a titolo personale aderirono all'AICCE in
quel primo periodo, non avevano altri punti di
riferimento, per farlo, se non il maturarsi delle
loro personali convinzioni, all'uso della ragione, l'attenta analisi delle condizioni dell'Europa e del mondo di allora. Non esisteva ancora
la Comunità europea; il Trattato istituzionale
della CECA era stato firmato nel 1951 ma questa istituzione non aveva cominciato a funzio-
COMUIUI D'EUROPA
dicembre 1982
nare se non il 1" gennaio 1952, cioè contemporaneamente alla costituzione dell'AICCE; il
Consiglio d'Europa, nato nel 1949, era certamente una tribuna di dibattito politico da non
sottovalutare, ma strutturata secondo canoni
tradizionali che i federalisti europei consideravano del tutto inadeguati. Non vi erano ufondi, e interventi finanziari messi a disposizione
da istituzioni europee ai quali anche gli enti locali e regionali potessero attingere per risolvere
i loro problemi; non vi erano il FEOGA, il
Fondo sociale, il Fondo europeo di sviluppo regionale, la Banca europea per gli investimenti,
il Nuovo strumento comunitario (NSC) per il
finanziamento di infrastrutture, di progetti nel
campo energetico e industriale.
Ricordiamo tutto questo perché è frequente,
nel nostro colloquio con gli amministratori locali e regionali (in Italia e negli altri Paesi della
Comunità), trovare qualche guizzo di interesse
per la Comunità europea solo se collegato ad
una puntuale informazione sui contenuti, le
condizioni e i modi di accesso ai finanziamenti
comunitari. Tutto ciò, sia chiaro, è legittimo e
comprensibile: chiunque è stato od è amministratore locale sa quali sono le esigenze senza
fondo di un ente territoriale e quindi il doveroso impegno dell'amministratore a ricercare tutti i canali idonei a soddisfarli. D'altra parte la
Comunità europea non è un ideale astratto,
ma vuole essere una risposta efficace ad attese
molto concrete e una risposta a problemi reali:
un mezzo, non un fine. Ciò che spesso manca è
l'equilibrio tra questa immagine della Comunità europea come qualcosa da cui ricavare dei
vantaggi (nel caso sopra ricordato, ripetiamo,
del tutto legittima) e la consapevolezza e la
convinzione della necessità di far progredire
questa Comunità verso traguardi politici e istituzionali più avanzati, senza i quali anche i
vantaggi sopra ricordati rischiano di vanificarsi
o di ridursi comunque a dimensioni risibili di
fronte ai bisogni. Nessuno nega l'apporto dei
fondi e degli altri strumenti comunitari, ma
tutti sappiamo che la voce che si alza ua gli
stessi membri della Commissione delle Comunità europee, alla quale fa eco il Parlamento
Europeo (per non parlare degli stessi amministratori locali e regionali che ne sono destinatari), è quella che invita la Comunità, e per essa
il Consiglio dei ministri e quindi i Governi degli Stati membri, ad aumentare la dotazione finanziaria di questi strumenti. Ma l'aumento
presuppone, a sua volta, un accrescimento delle risorse proprie complessive della Comunità e
quindi scelte politiche e meccanismi istituzionali di udecision making, ben diverse da quelle
attuali. Se ciò è vero, le motivazioni dell'impegno europeo degli amministratori locali e regionali e quindi della loro adesione all'AICCE
non possono esaurirsi in questa contabilità
dell'avere, ma devono integrarsi in un corrispondente impegno a trasformare sempre più
la Comunità europea attuale in una entità più
efficiente e democratica, dotata di una solidarietà più strutturata, dotata di un vero governo.
Ripetiamo: per vari anni l'adesione all'AICCE ha trovato motivazioni esclusivamente, o
quasi esclusivamente, politiche. Successivamente, per una serie di ragioni che sarebbe certamente importante, ma anche troppo lungo
7
indagare in questa sede, l'interesse per I'Europa sembra essere appiattito sotto questo profilo. Con molta semplificazione, sembra che
l'epoca dell'espansione economica (dovuta sotto vari aspetti proprio alla partecipazione
delllItalia all'integrazione europea) abbia affievolito lo sforzo di <governare»l'economia
europea, che sembrava svilupparsi quasi per
forza automatica. Ora, la crisi in atto fa emergere maggiormente le lacune e i vuoti così lasciati nella costruzione europea, accentua la
conflittualità tra le varie economie nazionali e
regionali, colpisce dluramente non solo le aree
tradizionalmente rrieno favorite e fa persino
apparire la Comunità europea come un oggetto scarsamente utile per il quale non vale la pena spendere energie e assumere responsabilità.
I mezzi di comunicazione di massa, con le loro
frequenti assenze e talvolta con le loro distorsioni delle vere priorità, contribuiscono a questa rischiosa situazione.
Essa va capovolta con argomentazioni che sono politiche e pratiche assieme. Quelle politiche nascono dalla riflessione che molti dei mali
di cui soffriamo harino origine nella mancanza
di una direzione paditica unitaria della Comunità, che richiede istituzioni diverse, come ha
ben compreso il Parlamento Europeo: esso ha
deciso di assumere un sostanziale ruolo costituente volto a predisporre un progetto di nuova Carta costituzioriale, con tutto ciò che essa
comporta sul piano della ripartizione delle
competenze tra i vari livelli di governo, della
distribuzione dei poteri, dei supporti finanziari, dello stesso ricorioscimento del principio di
sussidiarietà dal quartiere al Comune e via via
fino alla Federazioiie europea, come appunto
si legge sul frontespizio della rivista <Comuni
d'Europa». Del resto, il tema della pace oggi
sembra essere uno clegli argomenti idonei a recuperare la dimensione politica dell'europeismo a condizione che la pace non sia soltanto
una invocazione o uno «slogan,, o non si limiti
ad un nobile imperativo morale, ma si associ
strutturalmente allo sforzo di creare le condizioni e quindi le istituzioni atte a favorire la
pace. Un'Europa politicamente unita, sovranazionale, democratica, basata sulla libertà e cre-
dibile nei valori che essa afferma, può certamente costituire un elemento di grande rilevanza per I'uorganizzazione della pace,. Su
questo convergono le opinioni di esperti e di
politici di diversa provenienza ideologica.
D'altro canto, un'Europa così unita costituisce una risposta certamente più efficace ai
grandi problemi che ci assillano perché questi
non si risolvono ormai sul piano puramente nazionale o con le misure protezionistiche o con
la concorrenza tra gli Stati della Comunità che
finisce per assomigliare purtroppo a vere e proprie forme di cannibalismo.
Per concludere: una rilettura del primo numero di <Comunid'Europa,, ma anche un'analisi dell'intera collezione non costituiscono
un gesto patetico e nostalgico per il ubel tempo
passato*; la storia non si ripete e la politica, se
si alimenta dell'esperienza del passato, non
può però esaurirsi in essa ma guardare costantemente al presente e al futuro. Tuttavia quella
rilettura conferma, ancora una volta, l'esigenza
di un recupero politico del nostro europeismo,
con motivazioni certamente in parte nuove,
senza sicurezze illuministiche a priori, con attenta percezione della realtà che muta. Se i soci
dell'AICCE, se gli amministratori comunali,
provinciali e regionali dell'Italia, ma anche degli altri Paesi della Comunità europea, sapranno legare costantemente i loro compiti quotidiani alla riflessione sui grandi problemi della
nostra società, ormai fortemente integrata in
quella europea e aperta alle crescenti interdipendenze sul piano mondiale, non faranno
opera di evasione o attività puramente culturale, così come non la fanno quando dimostrano
costante attenzione ai grandi problemi della
collettività nazionale, della crisi economica e
sociale che la colpisce, degli ostacoli alla governabilità, della pace interna, del Nord e Sud del
nostro Paese.
«Comuni d'Europa, non mancherà di iniziare il trentunesimo anno della sua esistenza
ribadendo questa esigenza e approfondendo
queste tematiche nella convinzione di rendere
un servizio alla comprensione di un difficile
presente e alla preparazione di un futuro più
certo e più sicuro per i cittadini europei.
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COMUNI D'EIJROPA
8
Attualità drammatica del riarmo atomico
Sul n. 9 dell'anno XIV, settembre 1966, uuscivano su «Comuni d'Europa* le mie «Tesi
per una nuova sinistra federalista*, che l'amico
Umberto Serafini volle pubblicare con un titolo aSull'orlo dell'abisso~,scelto da lui stesso,
autore di una bella postilla introduttiva.
A sedici anni di distanza - lascio ai lettori
giudicare -, mi domando se, mutate owiamente alcune situazioni, le ipotesi di fondo e
le linee alternative a medio e lungo termine
non risultino confermate. Proviamo a vedere.
Nella mia introduzione scrivevo:
«.. . A Cuba con il ritiro dei missili sovietici
tale linea veniva fissata definitivamente ed il filo rosso Mosca-Washington simboleggia da
quel giorno la volontà delle due grandi potenze atomiche di mantenere la pace tra loro consultandosi sempre onde evitare malintesi o impmdenze che provocherebbero una catastrofe
mondiale.
A partire da quel giorno (sono gli anni sessanta del ventesimo secolo) USA ed URSS
avrebbero dovuto procedere sulla via del disarmo perché per garantire il loro equilibrio nucleare è sufficiente uno stock minimo di bombe atomiche e di missili intercontinentali (I'essenziale è che la riduzione sia reciproca, graduale, e bilanciata in modo che in nessun settore militare una delle due potenze venga a
trovarsi al di sotto di quello che ritiene essere il
livello di sicurezza in rapporto alla potenza rivale).
Per almeno quattro ragioni distensione e disarmo si sono arenati, ed è dalla loro diagnosi
che possono delinearsi le linee direttrici di una
politica che abbia come obiettivi fondamentali
la pace ed il disarmo mondiale*.
Le quattro questioni che sollevavo erano:
l'integrazione della Cina popolare, le elezioni
generali in Vietnam, il superamento delle alleanze militari, gli arsenali militari.
Per la prima questione si può osservare che sì
la Cina popolare è stata riconosciuta ma senza
addivenire ad una riforma istituzionale delI'ONU che consenta rapporti politici di tipo
nuovo; la Cina viene interpretata e usata in
chiave anti URSS, e di fatto tutt'oggi emarginata, con le conseguenze che conosciamo anche nella politica interna di questo grande paese. Per quel che riguarda il Vietnam, quella
guerra si è conclusa, ma ne sono divampate altre (solo recentemente Iran-Irak, ArgentinaGran Bretagna, Israele-Libano) con il beneplacito delle grandi potenze, e anche delle piccole
che riescono a lucrare sulla vendita delle armi.
Ma veniamo alle altre due questioni che
tutt'oggi sono al centro del dibattito internazionale e delle preoccupazioni universali.
La crisi della Nato è divenuta sempre più la
crisi dei rapporti fra i paesi europei e gli USA,
con l'accentuarsi delle divergenze, per quanto
ci si sforzi di ovattarle in Italia, non così per
esempio in Francia. Divergenze a livello economico in quanto la concorrenza, in una situazione di crisi, divide sempre più drammaticamente, e d'altra parte sono anni che l'economia europea contribuisce a tamponare la crisi del dol-
dicembre 1982
realizzazione di un grande progetto, quello di
una Federazione europea (una semplice federazione orientale, pure auspicabile, difficilmente
di Alberto Cabeiia potrebbe reggersi sul piano economico) che potrebbe divenire il perno principale di una polilaro, per non parlare della crisi petrolifera che tica mondiale di progresso. Mediante una piacolpisce al cuore l'economia europea e non nificazione economica si potrebbe costmire in
quella americana. Divergenze anche a livello Europa una società socialista articolata sulla bapolitico, sia in Europa nei rapporti con i paesi se di un effettivo decentramento, favorito dalle
dell'est (Polonia) e nei confronti dell'URSS strutture federali e dalle comunità territoriali
(gasdotto), sia in Medio Oriente (Israele e di base, e questa Europa democratica e socialiI'OLP), sia nell' America centrale e meridionale sta potrebbe divenire il centro promotore di un
sempre più inquinata dal fascismo reganiano.
grande piano di aiuti economici non speculatiLa partnership non esiste, esistono solo dei vi a vantaggio del Terzo mondo. I comunisti
legami di dipendenza che vengono subiti, così dovrebbero accettare lealmente il metodo decome accade ai paesi dell'est nei confronti mocratico su cui si fondano le istituzioni fededell'URSS.
rali, ma potrebbero largamente condizionare
Alle strade pericolose deill'integrazione atlan- una politica internazionalistica della Federatica, del nazionalismo gollista o del nazionali- zione a favore delle classi lavoratrici dei paesi
smo europeo, contrapponevo nel 1956, la via sottosviluppati ed operare concretamente per
dell'Europa unita e disarmata con argomenti la creazione di una comunità mondiale che sia
che sta ai lettori giudicare se inattuali.
fondata suila giustizia.
Scrivevo:
La creazione di questa Europa è certamente
q.. . 1) risolve il problema tedesco liberando- una impresa ardua ma è anche l'unica per cui
lo dalla sua drammaticitii, in quanto non si valga la pena di battersi».
parlerebbe più di riarmo nucleare in GermaL'attualità drammatica del problema del
nia;
riarmo atomico è palese a tutti ma non se ne
2 ) evita la disseminazilone nucleare che la traggono conseguenze radicali, come se il sisteNato non è riuscita ad evii:are (Gran Bretagna- ma in cui viviamo benché irrazionale fosse ineFrancia) e consente ad USA ed URSS di ridurre luttabile. A partire dal momento in cui gli eui loro impegni militari in Europa;
ropei sanno che in caso di conflitto nessuno
3) alleggerisce la tensiorie mondiale e forni- potrà difenderli, perché l'Europa disseminata
sce un esempio importante di disarmo unilate- di missili Nato sarà l'obiettivo dei missili sovierale che potrà essere seguito da altri Stati;
tici, a partire da questa situazione che interesse
4) libera cospicue energie europee per la cau- può avere l'Europa al riarmo e alle basi missilisa della pace, per la creazione di una autorità stiche? L'utopia è il disarmo o il riarmo? E comondiale che proweda al disarmo, per un ser- me non riflettere sul valore immenso che povizio civile e militare alle dlipendenze di questa trebbe assumere un polo democratico e pacifico quì in Europa per tutti i paesi del Terzo
autorità mondiale;
5) consentirebbe all'Europa di destinare una mondo, in un momento in cui scricchiolano gli
parte dei miliardi risparmiati con la drastica riduzione delle spese militari ad un piano di aiuti ai paesi sottosviluppati;
6) consentirebbe all'Europa di acquistare sul
piano economico una posizione privilegiata a
livello mondiale, libera come essa sarebbe da
gravosi bilanci militari: una posizione più decisiva di quella che l'arma atomica le offrirebbe e
tale da mettere in crisi le economie militari Usa
ed URSS a vantaggio della causa del disarmo.
All'infuori di questa soliuzione radicale c'è la
folle corsa atomica, e la semplice trasposizione
del nazionalismo da un livello ad un altro, la
fine della cultura federalista e la cormzione de- imperi delle super potenze, e giace impotente
gli aneliti internazionalistilci e mondialisti delle I'ONU?
A trent'anni di distanza l'unica organizzanuove generazioni.
Questa soluzione politica non interessa solo i zione di massa esistente in Europa è il Consipopoli europei della sfera occidentale bensì an- glio dei Comuni d'Europa, in quanto i moviche quelli della sfera orientale, i quali aspirano menti federalisti, abdicando ad un molo di
ad un allentamento dei loro vincoli con I'Unio- protagonismo politico autonomo, si sono rine Sovietica e nello stesso tempo temono il dotti al molo di semplici agenzie di pressione
riarmo tedesco e si trovano quindi nella condi- sui parlamentari strasburghesi e sui governi.
L'AICCE è più vicina alle attese popolari cozione di coordinare strettamente la loro politica estera con quella della grande potenza che me lo attesta l'alto numero di amministratori
offre loro le maggiori garanzie di sicurezza. locali che si sono schierati insieme ad uomini di
Una Europa disarmata atamicamente offrireb- scienza contro il riarmo atomico, e per una cobe ai comunisti europei una alternativa demo- stituente popolare europea.
cratica alla vita stalinista (subordinazione alAII'AICCE spetta un molo storico coraggioI'URSS) ed a quella meschina del nazionalismo so, perché ci vuole lucidità e coraggio per un
(gollismo mmeno) e li obibligherebbe ad una progetto nuovo che assuma un significato per
scelta fondamentale di eccezionale valore.
tutti gli europei, non ultimi i polacchi.
Mi auguro ne sia capace.
Questa Europa disarmata consentirebbe la
dicembre 1982
COMUNI D'EWROPA
9
Ricordi personali
e una testimonianza politica
Movimento Comunità animato da Adriano
Olivetti, si impose subito come una premessa
di valore fondamentale e nello stesso tempo COme un disegno ideale che si collocava già allora
di Franco Ferrarotti al di là dell'immediatismo opportunistico dei
Com'erano belli gli anni dell'immediato dopoguerra! L'ho già scritto altrove, ma non mi
stancherò di ripeterlo. Le case bombardate e semidistrutte guardavano con le loro finestre ridotte a buie occhiaie vuote; le città sembravano a fatica destarsi da un lungo sonno di terrore. Ma ovunque ferveva un acuto bisogno di
rinnovamento; le esigenze di ognuno erano
semplici, elementari: un'occupazione ragionesicura, la possibilità di ricostruirsi
una carriera decente, se non una vita brillante.
Ciò che oggi mi sembra caratteristico di allora è
che le mète private personali si inscrivevano
con tranquilla naturalezza e si inquadravano in
un disegno collettivo che dava ad esse un significato profondo, il senso di un'impresa veramente politica, di una iniziativa pubblica in
cui momento privato e momento comunitario
non si fronteggiavano come termini antitetici
ma tendevano piuttosto a integrarsi arricchendosi a vicenda.
I1 gennaio del 1951 a Ginevra era straordinariamente mite. ~
~ du ho^^
h
~non era
~
ancora stato
Vi era
ancora intorno il tipico disordine dei cantieri;
assi, mucchi di calce e betoniere, lamiere e altro materiale intralciavano il passo. L'impianto
dell'illuminazione interna non aveva ancora
raggiunto lo stadio finale, nelle stanze e nei
corridoi, che doveva conferire all'albergo quell'aria a mezza strada fra la casa di campagna e
il transatlantico in disarmo che gli è poi, almeno in parte, rimasta. Fu qui, verso la fine di
gennaio, che si riunirono uomini e donne di
varia estrazione sociale e di differente orientamento politico per costituire il «Consiglio dei
Comuni d'Europa».
Ricordo distintamente Chaban-Delmas, parlatore efficace e forbito, generale giovanissimo
della Resistenza, che mi si dichiarava nradical
et gaulliste en m2me temps»; madame de Jager, infaticabile tessitrice d'incontri e organizzatrice di comitei d'action; monsieur Cottier,
consigliere amministrativo della Vzlle de
Genève; il federalista Jean Bareth e, per 1'Italia, giunti con qualche giorno di ritardo, Massim0 Severo Giannini, Ludovico Quaroni, e il
pro-sindaco di Roma, Andreoli.
Vivida mi è rimasta la memoria delle discussioni che portarono di 1; a pochi giorni alla
costituzione del Consiglio. A parte, monsieur
Cottier mi disse poi, in gran segreto, che l'intento profondo, non dichiarato, dell'iniziativa
consisteva nello spezzare l'unità dell' Union
des vi'es
despOuvOirslocaux>
che 'Omprendeva anche Budapest e Varsavia e che, nel SUO
ecumenismo transideologico, era ormai chiaramente incompatibile con l'atmosfera e i raP- '
porti politici dell'incombente guerra fredda.
Può ben darsi
teste dei grandi strateghi della tensione internazionale, le cose stessero così. Sta però di fatto che il Consiglio dei
Comuni d'Europa nasceva sulla base di una
forte motivazione ideologica e politica tendente a riscoprire e a rivalutare, dopo gli anni bui
delle dittature e della guerra, la fonte della sovranità popolare, la comunità concreta contro
la centralizzazione burocratica dello Stato di tipo napoleonico. In questo senso, il contributo
di Gravier, il famoso autore di Parir et le desert
franpais, insieme con gli apporti teorici e le
esperienze di organizzazione sociale pratica del
partiti, avviati sulla strada che nel giro di pochi
anni sarebbe sfociata nel chiuso regime della
apartitocrazia.
È incredibile e fa girare la testa, oggi, pensare che, l'idea stessa di una democrazia rinnovata, che non si esaurisse più nel gioco sterile dei
scto"br" ""
ricatti reciproci e dei veti incrociati ma al contrario si ponesse come un'idea-limite, un vero
tcli,ac tq.lid~.
tiubc.iit*Iliiirt r.iit : f ~ ~ ~ i < itii~l tsx"
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e proprio Grenz-begnfltanto da non ridursi a
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HCt?. I-Ià,.rglc-i C U I i l ~ t t ~ c ~ ~i I \ 1~' C ~ ~ :ili
c ~ ~garsi invece a contenuti qualificanti e specifici,
c,i1c t 9 J l tt'i tic* l t i " f r..tir I \ t i ,t!<"ili<,L . i l l i 01% $t
fosse già stata pienamente sviluppata in quelle
liii:; bti~i~c~i.\r~l<il>jn~h
iii" i . 4 l i~t l r i ~ ' <'t
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quanto rigorosi sulle rive del Rodano e nella
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quiete ginevrina. Oggi, dopo tanti anni, ciò
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del quale valutare il carattere illusorio o
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< li%
Una lettera alla nostra
redazione
Il Presidente
del Consiglio Regionale Pugliese
Bari, 12 novembre 1982
Caro Paoiini,
mi chiedi un articolo o una testimonianza
per <Comuni d'Europa» che celebra quest'anno i130° anniversa?io.
Per un articolo non sono riuscito a trovare il
tempo, ma sento comunque il dovere morale
di scriverti (pregandoti di pubblicare questa
mia lettera) per dirti che sono profondamente
convinto, in base a una esperienza che ha avuto
modo di consolidarsi, che <Comunid'Europa»
è. tra le pochissime pubblicazioni periodiche
italiane, e aggiungo europee, che meritano n spetto per il suo stile dignitoso, per la ricchezza
di idee che la carattenizano, per la coerenza
qiii 11tt n ~ ~ i "&PX&>.&"I%L?IS<,
6
~ P ~ I ~ I& Q
prtnndre
U ~
nel perseguire un disegno obbediente all'ideain n~mmun11% di'(?~ton~urgentes
Ja n e v w s f ~ r a t pcs la Imtr de. prr~blenirs le di una Europa unita.
rur<~p.- q u ~--t
m r ie tapy mais tcas ncms
penso che se quanti
impegnati in poli"avms i*% b ~ e nqw la crw de la C?~rnrnlinsutiii
tica e gli uomini aperti a una cultura senza
Etirupi;erinc dli Ctizubon ct dt. ~ * A w kr8
~
etrc nisojue eri 6iargimrit I- attrrbtrom d ~ 18
,
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n ~ o m u dn i
j certa- ~
( ~ " ~ 1 n U 1 l ~ ~ i t rn
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acheminttnt vt*tls tine
secile Cornmtinnfitia
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mente ne verrebbero arricchiti e comunque stienergie, (3 aiigmmtant
llml
&mil~tlr?nt molati a nPessioni su molti problemi imporla su~mnatiori;rlit ti4 f'iiistitution. Nuua v w tanti della nostra epoca.
dnrtrir ; ~ i ~ s --* i rt 121 ville nu
trmvr
sir,.
Gli amici Serafini e Martini sanno che gueerotrcirrle Ir plus inrynrt;utt<- du ,naridc.
w i s t b l r ;? W. pei-s~~wtt\-e-- voir airrair r.r
sto mio giudizio è vecchio, oggi sono (jeto di
"'"'0.
le ~ l u "Git wt.iiblr, uii* enitrc,pi.is. twma te~ e a tutti
g>i&tetnentWrnpCi'nnp pnr ~ e s
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p Si, Cijtl-~ ~ollfermarlo
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~a u g u ~~f l d o
, coloro i
ec~ti<nrtsichnicliie, sw dirlgranb.
ouviietliquali sono impegnati
redazione dipoter
per exemple un Ia->ratorre* rllrt>&-en p i i t
Proseguire nelvOstr0
impegnocon unapiu am6i-Wrw ieu i%$toyxu de l'irra~iiuin.Nous a l k ~ l c k n s cguc le Ccrnucali dts x r n i s t ~de~ la v<,,pia collaborazione daparte delle autonomie loIItutiaiitP Fx'rmumiqu,: Rur:uragic"t.nncs'c.fforcr n m
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Luigi Tarricone
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<:~qmcpmlque c*mmU]wulai~.N o w .mihaitom
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L. ,,,,t,,tive da
VBrt de la Ranqut,
E:l~ro+ennca d'lnvetlssemenh; eri tant qn'ndmi"!!?fatPUm - , ,. n'WS .,,
l",
D ~Edmondo
.
Paolini
Redattore Capo di «Comuni d'Europa
Piazza di Trevi, 86 - Roma
~
COMUNI D'EUROPA
10
Equilibrio del terrore e Governo europeo
di Giuseppe Bufardeci
La Conferenza per il disarmo promossa dalla
Società delle Nazioni negli anni ormai lontani
1932-34 si trovava in una situazione di stallo
allorché Hitler fu chiamato dal Presidente Hindemburg ad assumere l'incarico di cancelliere
per formare il Governo.
I democratici europei indugiavano, trastullandosi in polemiche senza alcun costrutto ed
in continui meschini litigi.
Carlo Rosselli scrisse sui quaderni di «Giustizia e Libertàu l'articolo «La guerra che torna,.
I <realisti>di allora lo accolsero con ostentata
sufficienza e tutto lo schieramento degli esuli
socialisti italiani - da destra a sinistra - lo
trattò addirittura con malcelata ostilità.
Solo Giuseppe Saragat, che coltivava il lucido pessimismo dell'intelligenza, comprese,
con il suo lungimirante pensiero, il valore sostanziale ed il monito di quell'articolo e lo appoggiò in pieno.
Due anni dopo, nel maggio del 1935, di
fronte alle ripetute sconfitte dei democratici,
Carlo Rosselli lanciò l'idea della Costituente
Europea.
Egli aveva ben capito gli aspetti internazionali della malattia fascista; non era più tempo
di vivere alla giornata adoperandosi nell'arte di
arrangiarsi.
Bisognava contrapporre ai miti nazionalisti e
autoritari un grande obiettivo democratico:
<fare I'Europau. Era compito della sinistra europea rendere -popolare
questo tema. <Popolarizzarlo fra le masse, prospettare loro la convoeuropea, comporla di
cazione di un7~ssemblea
delegati eletti dai popoli che, in assoluta parità
di diritti e di doveri elabori la prima costituzione
nomini primo Governo
europeo, fissi i principi fondamentali della
convivenza europea, svalorizzi frontiere e dogane, organizzi una forza al servizio del nuovo
diritto europeo e dia vita agii Stati Uniti d ' h topa».
cadde
marasma politico
momento; non se ne fece nulla e la guerra
tornò.
Trascorsero molti anni: quelli della barbarie,
della disperazione, della guerra. Solo durante
gli amari giorni della Resistenza europea riaffiorò spontaneo, alla base, il mito democratico
dell'unità d'Europa.
È però con amarezza profonda che, dopo poco meno di quarant'anni, dobbiamo constatare
come l'Europa altro non sia ancora che una fragile Comunità Europea, che fa acqua da tutte
le parti, che non è in grado di attivare la consapevole attenzione della gente.
Gli è che in questo dopoguerra le «cancellerie, a poco a poco hanno ripreso il soprawento.
Credo sia giunto il momento di avere il coraggio di affermare che la minaccia di oggi, a
ben guardare, è ancora più grave di quella nazista di allora.
Se si rompe dawero l'equilibrio del terrore,
la storia del genere umano è finita. E non mi si
venga a dire - come qualche «scienziato» ha
detto al seminario estivo di Erice di questo ma-
linconico 1982 - che unia guerra atomica «limitata sia sopportabile.
E però, non una risposta mitica può essere
data alla reale minaccia atomica: si armi pure il
potenziale nemico, noi alziamo le braccia e
aspettiamo inermi, soli, pregando e pensando.
La risposta da dare è politica e di una politica
non alla giornata, ma strategica.
Anche qui e ancora, come al tempo di Rosselli: <fareI'Europau, ma, quale Europa?
È a tutti chiaro, se non si vuole dawero essere ciechi, che una Europa occidentale e meridionale democraticamente unita, capace di risolvere al suo interno gli squilibri fra Nord e
Sud, è di per sé un fattore esemplare di pace.
La eguale partnership atlantica prenderebbe
corpo e gli europei federa~tipotrebbero giocare
con ben più efficacia il loiro ruolo di negoziatori.Saremmo certamente più credibili dei nostri
alleati di oltreatlantico alla dissuasione visto
che le frontiere minacciatme sarebbero le nostre.
Ma saremmo anche meno sospettabili di gesti
inconsulti, più pazienti e ancor più perseveranti nel negoziato, visto che la guerra nucleare
«limitata%colpirebbe anzitutto le nostre teste.
Ancora - l'Europa omccidentale, assai più
dicembre 1982
miglior
La Costituente
sordo di chi
Europea
non VUOI
è là;
sentire.
- ma non ~ ' è
I soliti ben pensanti hanno già cominciato a
blaterare e i governi, incapaci di superare una
logica statuale, hanno subito fatto circolare
l'idea di progetti alternativi più concreti e più
validi. Ma siamo seri!
I1 Parlamento Europeo, eletto a suffragio
universale, ha nel suo seno tutte le componenti
politiche delle nostre nazioni ed ha trovato una
sua maggioranza intorno ad un progetto
d'unione.
I compromessi alternativi dei vari Governi e
delle varie cancellerie non potranno contraddire la volontà politica di un Parlamento che ha
la sua legittimazione nel consenso dei popoli.
I1 Consiglio dei Comuni d'Europa ha già assunto la sua decisione: esso è, senza alcuna riserva, con il Parlamento Europeo.
Esso giudica preziosa l'opera della Commissione Istituzionale che prepara il progetto di
Unione ed esalta la chiara volontà politica, unita all'eccezionale acume giuridico del suo ottimo presidente, l'amico e compagno on. Mauro
Ferri.
I1 Consiglio dei Comuni d'Europa deve e
vuole organizzare, tramite tutti i Comuni, le
Province e le Regioni italiane, una vera e propria azione capillare d'informazione.
I1 popolo europeo deve sapere quel che fa il
Parlamento Europeo e le decisioni a cui chia-
La Resistenza Francese e I'Euroaa
a
Projet de progranme
Venant après la
du C.N.R. (2). le projet est concu dans le but #unifier plitiquet,
le M.L.N. qui compi~endbusles M~~~~
menk unis de la Résistancs.: Ccynbat, Fro;n:Tireui-, Libération, Défenscl de la F r a ~Frame
,
Combat,
Le Mouvement de L i b é ~ a t i o nNatimale, persuad6 que la France et l e monde d'après-gu~re
ne peuvent marcher danc: la voie du progrès
;,cial et de la paix que si ]es wuples adoptent
curite ei l'bpanouissement autonome de la vie
nationde. Ces buts ne peuvent &trepleinunent
atteints que si les peuples s'intègrent dans une
organisition federale mondiale. Mais cette tache
Upmense @td s 10ngue haleine ne peut &trr
abordbe avec succès, que si une solution ddeci"ve
d'abord apportée au problème de 1 ' ~ u rOt>e: origine des cataclysmcs rnondiaux qui.
périodiquement, dévastent le monde;
2. En conséquencc, considérant qu'il e&
im~mssiblede rccomtruire une Europe prospère,
ddémocratique et pacifxque sous la forme d'un
assemblage d'Etats souvcrains, sbparés pas leurs
dell'URSS e degli USA, vive su una economia
di trasformazione: prende materie prime ed
energia da fuori e restituisce prodotti finiti.
Ebbene solo un'Europa veramente unita
può rilanciare lo sviluppo del Quarto mondo,
così come si propone da qlualche tempo, e invitare USA e anche URSS :i concorrere alla creazione di un nuovo ordine economico internazionale.
E invece, niente di tutto questo. Siamo alla
guerra del vino, alla frantumazione dell'industria dell'automobile, alle intese finanziarie
degli europei «ricchi»con le loro multinazionali divenute simbolo, nel mondo d'oggi, di una
specie di imperialismo apolide.
Ma tant'è; ognuno operi seguendo i dettami
della propria coscienza.
In questo momento, così carico di tensioni
diverse, il Parlamento Buropeo, consapevolmente ignorato dai «mass-media»sta preparando un progetto di Unione economica e politica
europea.
ma, per le elezioni del 1984, i nostri cittadini.
Queste elezioni, che con diabolica astuzia si
vanno già dipingendo come «scarse dPinteresse», saranno ancora più importanti delle prime.
Povero Rosselli! Chi avrebbe pensato che
quasi mezzo secolo dopo le sue proposte, la
Costituente Europea, di fatto realizzata, sarebbe stata ancora una volta osteggiata dai nuovi
arealistiu camuffati in cornacchie parlanti per
una Europa debole e disunita?
Da oggi alla primavera de11'84 in ogni Comune, in ogni Regione, in ogni Dipartimento,
Provincia o Land si dovranno preparare gli elettori europei alla scelta decisiva e non più procastinabile.
Essi saranno chiamati a decidere se continuare ad essere succubi della politica fondata sull'equilibrio del terrore nucleare o se, con un
governo europeo, divenire fattore insostituibile
di pace e di ordine nelle relazioni internazionali.
Région lyonnalse du M,L,Iv.
,
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
11
Decentramento - integrazione:
parallelisnlo o C
di Giuseppe PetciUi
Credo alla difficile ma possibile conciliazione fra autonomia e coordinamento. La concezione pluralistica della società va intesa come
dialettica sempre rinnovata fra i diversi livelli
di partecipazione civile, nell'ambito di strutture istituzionali rispettose del.la massima autonomia degli individui e dei gruppi; la prospettiva solidaristica va intesa in termini di massima cooperazione al bene comune. La conciliazione fra questi due termini non è soltanto un
ideale politico ma è un obiettivo da realizzare
in concreto e nell'immediato.
Credo inoltre che scopo fondamentale della
politica europea sia di favorire lo sviluppo armonioso e parallelo delle regioni geografiche,
dei settori economici e dei gruppi sociali. Sono
anche del parere che sia molto importante per
l'Europa, per il suo progresso, per la diffusione
dell'ideale europeo, assicurare il rispetto e lo
sviluppo equilibrato di tutte le culture e di tutte le identità etniche, politiche, linguistiche.
Vi sono problemi delle minoranze che non
possono essere ignorati; vi sono diritti delle minoranze che debbono essere garantiti.
In questo senso, il federalismo mi appare,
nei rapporti fra le Nazioni, come la migliore
traduzione della concezione solidaristica che
dev'essere a base della politica economica e sociale di uno Stato moderno.
Vi è, certo, uno spostamento della dimensione statuale verso livelli più elevati e quindi
più adeguati, ma questo ampliamento non deve mortificare l'iniziativa degli individui o dei
gruppi, ma deve stimolarla da ogni punto di
vista. Per questo l'Europa non può essere concepita come una riproduzione su scala più vasta
di uno Stato accentratore, ma piuttosto come
un sistema pluralistico, ispirato al principio di
sussidiarietà, secondo il quale a ogni livello
della struttura istituzionale debbono essere demandati i problemi che esso può risolvere con
la maggiore efficacia. A tale condizione, essa
potrà offrire sempre nuove occasioni di partecipazione popolare - in forma effettiva e non
simbolica - al processo di formazione delle
decisioni di interesse comune.
In tal modo, sarà anche tolta alla sovranità
nazionale quell'aureola di assolutezza che tanto spesso l'ha trasformata in un idolo, da placare attraverso sacrifici umani.
L'istanza mondialistica, che è alla base del
pensiero federalista, e la rivendicazione di nuove forme di democrazia diretta, capaci di rinnovare le nostre libere istituzioni, appaiono
dunque in realtà come le due facce di una stessa medaglia, quasi due poli ideali tra cui si stabilisca la tensione per una crescita qualitativa
della società contemporanea, in termini culturali e politici. I nostri padri considerarono un
traguardo storico l'identificazione fra la dimensione nazionale, intesa quale patrimonio
etnico, linguistico e culturale, e la dimensione
statuale, intesa quale organizzazione politicoistituzionale dei singoli Paesi. I nostri padri si
batterono per questa identificazione ed essa di
fatto ha costituito - attraverso le battaglie per
l'unità e per l'indipendenza delle singole Nazioni - un tramite per ascendere a orizzonti
più ampi di so1idarii:tà. Ma oggi essa appare un
anacronismo, di fronte al prevalere delle grandi comunità multiinazionali e a dimensione
sub-continentale, come gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica.
La concezione di un'Europa delle Regioni
costituì dunque, peir gli uomini della Resistenza, un ideale e un obiettivo. Questa concezione esprime la persuasione che il superamento
dei limiti storici dello Stato nazionale e la creazione di un più vasto orizzonte solidaristico
debbano compiersii insieme dall'e~temo e
dall'intemo. Si tratta cioè di promuovere, insieme, I'adeguamento della dimensione statuale a problemi tecnico-economici non più solubili nel ristretto arnbito nazionale e la restaurazione di un più immediato interessamento
del cittadino alla cosa pubblica, a diretto livello locale. Del resto, più noi ci awieremo verso
una società post-industriale e quindi verso una
società caratterizzata da grande sviluppo dei
servizi civili, più forte sarà l'esigenza del decentramento funzionale e partecipativo.
Consentitemi ora di individuare alcune linee
di fondo di un possibile modello europeo di
organizzazione istituzionale, anche se tale individuazione viene spesso accusata di astrattismo e di utopia. Anche l'utopia ha del resto in
politica una positiv:a funzione, se più che un
preciso traguardo indica una direzione di movimento.
Vorrei anzitutto osservare che - contro ogni
forma di statalismo accentratore, potenzialmente sempre totalitario - un sistema federale riconosce i confini della sovranità nazionale
URGANO
NEWSfiL@
D&CL'A$SOCl&ZfONE
La p r a w i w c o i t i I u ~ w c n Italw delle R q m n t
r w d a r.tultanie da idw
nelle limitazioni mutuamente consentite a livello internazionale e nell'autonomia di tutte
le comunità territoriali. Secondo il principio di
sussidiarietà, le istituzioni federali dovranno
avere competenza solo nei settori dove si pongano problemi non più suscettibili di trovare
soluzione a livello nazionale o regionale, dove
cioè si domandi una grande dimensione di solidarietà (politica estera, politica della difesa,
politica economica). I problemi che non hanno
bisogno di grande solidarietà, ma che invece
domandano un grande livello di partecipazione, dovranno essere posti a livello nazionale o,
meglio, sub-nazionale, secondo una localizzazione che non è precisabile in principio e in assoluto, ma che dipende dalla migliore efficacia
possibile della collocazione.
Credo che per questa strada sia facile contrastare una concezione puramente strumentale
dell'Europa e favorire quel coordinamento che
oggi manca fra i diversi livelli di decisione. La
mancanza di questo coordinamento è certamente causa non ultima dell'appiattimento e
della decadenza delle nostre istituzioni.
La crisi politica ed economica che stiamo vivendo pone chiaramente una sfida. Dobbiamo
accettarla, chiarendo però che la crescita della
società europea verso un orizzonte federale non
è soltanto lo strumento necessario a conseguire
dimensioni più adeguate ai nuovi problemi del
mondo. Essa dev'essere anche il recupero di
una nuova dimensione culturale e funzionale:
in tale recupero il momento del coordinamento è importante e decisivo come quello dell'autonomia.
Pertanto la risposta all'interrogativo che ci
siamo posti non può essere: contraddizione fra
decentramento e integrazione. Vi sarà certamente paraflelirmo, io preciserei: convergenza.
Perché la dimensione grande e insieme articolata dell'Europa che stiamo costruendo avrà
ben presto un effetto dinamico e moltiplicatore, com'è per tutte le grandi scelte della Storia.
I~&LI&NA
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e@<n& wperatp daiha IIWDVII
P E R IL C O N S I G L I O
OEi C O M U N I
O'EJROPA
rlalvra ord~nwmnon e la puntigliora dllusl$one di un d ~ l l a l o<osl,tu
frablt.mat.<a ~ t a n a n r r iioridie e polit#ca che fialianio % I e iniporfa
csra r t a t r a invece in una eoirnnia orntr, S , ~ I , I . J rnchrr ilagii iI!ri 5tik europos e d r q l ~S l r l ~demasrattr~ di oqni parte dr l
m,do La reg<onal,rirz&w e ovunque Ià msrura chsrvc di una rtrutiura moderna del decpntramcrito c qulndi drlla e - l f l ctrma starvde d o che osa pairr p- R r g i o n * a u t o n ~ adolate dr avvocpverna derivato d~toiiiimrnli~
d a un, d r l ~ q a[mpo
lave nugli Stati a repnrn cocrcntiinn**l$cd#*mscratrra
!n xnfanxa I r Regqont rlalian~pcs~anoP d e b b o rrrrr a d~twrninatc cond~t~onfr.I~men?iinwst>lu~bdiiatilurioi~ali
In un mondo bacato \ul
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rovranez<onalc tnte~ateme I crcastonc
I tquikbrw del terrcro c. incapics dr valmvìzare le Narconi Un~tp p e r dar vtta a un modello eoonrplavc di wcteta di ava-i
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dicembre 1982
COMUNI D'EUIROPA
12
I1 nostro messaggio
di Gian Carlo Zoli
Ho scelto, per rispondere all'invito di non
essere assente dalla celebrazione-esame di coscienza per questi trent'anni, di pensare insieme, ad alta voce, al messaggio culturale di questo periodo dei <Comuni d'Europ- (Associazione europea, sezione italiana, rivista).
Ma ricordo i tre temi che ho scartato, sui
quali si dovrà tornare.
Non ho voluto scrivere le rimembranze. Ma i
nostri compagni di strada che hanno cessato
tutte le battaglie, quindi anche la nostra, e sono di là, meritano di essere ricordati. Proporrò
qualcosa di preciso. Intanto prego per loro e
con loro.
Non ho voluto sviluppare un discorso che, in
ogni sede politica e così riguardo alla nostra famiglia, va affrontato con serietà perché in ogni
casa se ne parla, e con faciloneria, spessissimo.
È il tema del rinnovamento, delle faccie nuove,
di noi che non ci togliamo di torno. I1 fatto che
non senta il minimo rimorso, perché continuo
dopo oltre ventisei anni, non esclude che il discorso non possa essere evitato. Ne parleremo.
Non ho voluto nemmeno sviluppare un altro
tema, anche questo non esclusivo alla nostra
Associazione ed alla nostra rivista, ma comune
a gran parte dell'attività politica: tema che merita un discorso serio. Benché parliamo e scriviamo tanto, e l'apparenza possa proprio essere
che si giri a vuoto, non ci sentiamo dei perditempo. Anche di questo riparleremo.
Dunque non ho scelto questi tre titoli:
Amarcord; fuori dai piedi i vecchi?, ma son
proprio chiacchiere?
voglio esaminare la nostra coerenza. Abbiamo scoperto e diffuso un messaggio culturale?
Siamo coerenti? Esiste una «filosofia*del CCE?
E in che limiti la perfezioniamo e la diffondiamo?
La grande intuizione del CCE al suo nascere,
quando ancora non si proclamava il principio
di sussidiarietà, fu che una è la battaglia per
l'Europa e per l'autonomia. Non sono due discorsi~sia pure
ma uno
I1 rifiuto di considerare la comunità nazionale
realtà più nobile e più importante delle altre
comunità, più piccole e più grandi;
la ribellione alla ineff~cienzache nasce da dimensioni
anacronistiche per eccesso (dopo che si è estesa
la possibilità di partecipazione) e per difetto
(dopo che molti problemi si son rivelati almeno continentali), cioè il rifiuto in pari tempo
del centralismo e di confini che limitino l'azione, tutto questo ha fatto sì che per noi sia da
ben oltre trent'anni chiarissimo che ComuniEuropa sono una sintesi e non una antitesi avolete unire l'Europa e insistete per le divisioni?»
dice lo sproweduto. Ma non ci mette certo in
crisi.
Ma come nostro problema reale è conciliare
la grande battaglia a termine non breve, anzi
adesso utopica, per gli Stati Uniti d'Europa,
con la risposta alla singola esigenza, datata
giorno, mese ed anno, degli Enti associati, così
Anche su <Comuni d'E~iropauchi vota per il
Consiglio comunale partecipa ad elezioni amministrative, e chi vota per la Camera dei Deputati partecipa ad elezioni politiche! Anche
nella nostra famiglia si parla di internazionale
dove si dovrebbe dire eurolpeo, e si accetta che
la battaglia europea sia considerata politica
estera, mentre è fondamentale riforma istituzionale.
Anche su <Comuni d'Eiuropa si identifica
l'autonomia con le istituzioni.
Esiste anche 1'autonomi:adelle istituzioni. Si
è detto «Appena avremo fatto l'Europa inizieremo l'azione per difenderci dal suo prepotere*.
Ma ci può esser motivo di difenderci anche
dal prepotere dell'autorità. regionale o provinciale o comunale.
E qui il discorso va alle lleggi che hanno soppresso con enti morti, valide iniziative frutto di
fantasia e di generosità. E va al famoso corporativismo. Si nega, mi spieigo con un esempio,
che se i restauratori dellar Primavera avessero
autogoverno e incidenza giuridica otterrebbero
che fossero restaurate anche le pievi di Romagna; e raggiungerebbero livelli economici da
invogliare anche i giovani :a quel tipo di lavoro.
L'essere per Lenin o per Si:urzo o per Cavour o
per Mazzini non è la sola sede d'aggregazione.
Paradossalmente, se ci fos:sero state le corporazioni degli imbianchini e dei verniciatori e
quelle delle altre arti e mestieri, la strada di Hi-
tler verso il potere avrebbe avuto maggiori difficoltà.
I1 cenno ad Hitler mi porta ad un'altra osservazione. Agli Stati Generali di Roma gridammo visivamente che la Federazione Europea è
una vocazione figlia della Resistenza. Anni dopo Willi Graf fu in prima pagina. Ma queste
cose bisogna dirle di più, senza paura. Sono vere e belle. Non temiamo le incomprensioni.
Facciamole capire.
Forse questa scarsa insistenza fa parte della
nostra consuetudine di non continuare anche
col fiato grosso certe escursioni in forte salita.
Sembrava che ognuno di noi andasse a Madrid
perché l'Europa senza Spagna ci fa piangere
ogni sera prima d'addormentarci. E poi?
Ho fatto degli esempi. Non continuo. I1 mio
non vuol essere un articolo distruttivo e contestatore: e se la facessi troppo lunga lo diventerebbe. Vuol essere, in occasione commemorativa, espressione di gioia per aver trovato nei
<Comuni d'Europa* una proposta così vera; e
vuole spingere perché il nostro messaggio sia
coerente e sempre approfondito, sì da farlo più
efflcace nel passaggio da messaggio culturale a
battaglia politica i cui obiettivi meritano il nostro faticoso e lungo impegno.
Ho cominciato ricordando quelli che sono
dall'altra parte. Prima di incontrarli di nuovo
mi piacerebbe partecipare alla festa per la liberazione di tanti oppressi; ed al Te Deum per la
realizzata unità della Chiesa; ed essere cittadino degli Stati Uniti d'Europa. Dico: degli Stati
Uniti d'Europa, la Federazione europea. Dobbiamo proprio chiamarla sempre <Unione Europea?,
P
- Mi&?ROMA
ORG&CI;FIOM E N S I L E
D E C L , AIGCE
ASSOCIAZIONE
da8 ori.%rtfe-.rs
alla roqione
per una Coni&,nito ex.trooPa f e d ~ r a i p
UNITARIA
or
COMUNI
verso la costituente europea
PROV~NCE REGIONI
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
13
Urbanisti.ca in crisi
pinione contro «i lacci e i lacciuoli~comunali che, servendosi delle nuove «leggi liberticidi Giuseppe Campos Venuti d e e~ dei nuovi strumenti urbanistici da esse
consentiti, stavano provocando la «crisi ediliChe in Italia l'urbanistica attraversi un mo- ne e dalla prassi urbanistica democratiche negli z i a . Per la verità non mancavano gli errori mumento di difficoltà è forse una affermazione ultimi venti anni. Si sta infatti ripetendo oggi nicipali destinati a servire di pretesto alla nuoeufemistica. E dall'Europa arrivano segnali l'atroce inganno ai danni della opinione pub- va campagna: in troppi casi la burocrazia si era
controversi. In Francia il decentramento ammi- blica, che travolse nella primavera del 1963 la impadronita dei cascami delle novità urbanistinistrativo e la politica dei socialisti dovrebbero proposta di riforma urbanistica sostenuta dal che, provocando lungaggini interminabili per
stimolare il rilancio dell'urbanistica, ma la le- ministro Sullo. Da allora in questo settore le l'abbattimento di un tramezzo, quando magagislazione innovativa allo studio non è ancora forze più moderne della cultura e della politica ri trascurava di intervenire per una lottizzazioabbastanza esplicita da rappresentare una vera nazionale avevano pazientemente ricostruito le ne abusiva. Sarebbe bastato correggere questi
e propria svolta rispetto al periodo di stagna- proprie file disfatte e gradualmente, non senza errori, senza gettare il bambino con l'acqua del
zione precedente. In Gran Bretagna i conserva- ritardi, errori e contraddizioni, avevano messo bagno.
tori hanno da tempo frenato le spinte pianifi- insieme un quadro legislativo abbastanza avanChe la campagna antiurbanistica fosse in
catrici del passato e la nuova opposizione labu- zato, una gestione comunale non più sempre malafede si è visto chiaro e tondo, dopo la scorista non ha fatto certamente della questione succube degli interessi immobiliari, un disegno perta che la crisi edilizia era un falso e che, al
urbanistica il suo cavallo di battaglia. In Spa- culturale rispettato anche fuori d'Italia. Quan- contrario, una seria gestione urbanistica sarebgna si scontrano due tendenze contrapposte, do proprio sembrava che le vicende urbanisti- be stata oggi ancor più necessaria di ieri. Perrappresentate dalla linea di Barcellona - aper- che italiane si avviassero ad un periodo di lento ché il grosso patrimonio abitativo realizzato
tamente negatrice dei valori urbanistici - e da miglioramento, si è innestata la retromarcia.
negli ultimi trenta anni, nato in gran parte
quella di Madrid, che sta coraggiosamente tenCome nel '63 è cominciata la campagna d'o- all'insegna della speculazione e del disordine,
tando un radicale recupero urbano attraverso
un piano ormai quasi ultimato. Perfino dalle
Nazioni tradizionalmente caratterizzate da una
crescita programmata delle città arrivano notizie preoccupanti: cosa sta succedendo, ad esempio, con la ristrutturazione del centro storico di Amsterdam?
Da noi, comunque, le vicende urbanistiche
sono più allarmanti che altrove. Oltre la metà
dei comuni hanno ormai rinunciato perfino a
registrare le nuove costruzioni: al punto che
I'Istat per tutto il decennio trascorso ha fornito
falsi dati allarmanti sulla tragica crisi della produzione abitativa. Che poi, con il censimento
dell'ottobre 1981, ha dovuto clamorosamente
smentire, informando che gli anni Settanta
avevano segnato il massimo boom edilizio della storia italiana. Se oltre la metà delle costruzioni non sono neppure registrate dai comuni,
non poche sono quelle apertamente abusive: a
Roma si è riusciti a contarle (pare che ci abiti
un quarto della popolazione), ma altrove specialmente nel sud - non ci si prova neppure. Ciononostante si è pensato che una colossale sanatoria onerosa, poteva servire a raggranellare un bel po' di miliardi per le esangui casse
dello Stato.
Ora si torna a parlare spaventati di una crisi
edilizia, che non possiamo certo controllare per
colpa della più completa mancanza di rilevamenti comunali. Sarà forse per questo che nessuno sembra preoccuparsi di fronte a notizie
come quella sulla disputa fra il comune di Arzachena e il consorzio della Costa Smeralda,
che chiede di costruire 6 milioni di metri cubi
di costruzioni turistiche. I1 fatto è che dietro
questa cifra tecnicamente asettica la proposta è
quella di realizzare in questo meraviglioso pezzetto di Sardegna 150.000 o forse 200.000 posti letto: mezza Rimini scaraventata nel giro di
pochi anni su quella costa priva di retroterra logistico e di infrastrutture! È suscitando queste
speranze e queste prospettive che si vorrebbe
fronteggiare la crisi paventata, le cui cause
strutturali sono profonde e molteplici, a cominciare dal costo del denaro ormai arrivato
al 2 4 % .
Lo spauracchio della crisi è fin ' ora servito
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le conquiste raggiunte a fatica dalla legislazio-
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
14
esigeva finalmente di essere riorganizzato da
un sistematico intervento urbanistico comunale; per risanare le periferie degradate e i centri
storici in via di terziarizzazione, costruire i tanti servizi sociali che mancano e affrontare seriamente i problemi della mobilità urbana di
massa, acquisire o realizzare parchi e ammodernare radicalmente le reti infrastrutturali per
l'energia e l'ecologia.
Era questo, in fondo, il più avanzato punto
d'approdo programmatico realizzato dall'incontro fra le concezioni urbanistiche olivettiane, le analisi mamiane sulla rendita urbana e le
aspirazioni ugualitarie dei cattolici popolari.
Questa composita alleanza cultural-politica
trova oggi difficoltà a ricomporre le proprie file, come invece aveva fatto dopo la sconfitta
della legge Sullo nel '63, quando il ~movimento urbano, e le spinte operaie, sul finire degli
anni Sessanta, avevano permesso di rilanciare
la problematica per .una città a misura d'uomo,. Oggi l'opinione pubblica preoccupata o assuefatta? - dall'endemica crisi politicoeconomica, non reagisce più come ieri agli errori della gestione urbanistica locale e tanto
meno sembra sensibile alla gravissima involu-
zione incombente sulla legislazione urbanistica
nazionale.
Il corpo di norme giuridiche e di prassi operative costruito in venti anni di gradualismo riformistico per l'urbanistica italiana non è certo
senza difetti, ma si presenta come una piattaforma assai più avanzata e moderna del suo
punto di partenza. Da questa piattaforma è
possibile ripartire per emendarne gli schematismi e correggerne gli aspetti di dubbia costituzionalità. Non sembra questa invece la strada
imboccata, almeno a giudicare dalle proposte
formalmente avanzate a livello governativo,
che contraddicono platealrnente la storia politica di forze importanti di governo: mentre la
stessa opposizione di sinistra non ha certamente privilegiato questo terreno per la sua lotta
politica e culturale.
Le proposte avanzate porterebbero l'urbanistica italiana più indietro della stessa legislazione fascista del 1942. Non solo distruggono
d'un colpo il rifiuto di riconoscere i valori immobiliari prodotti dalla rendita urbana, ma
impongono ai comuni di pagare una «tassa di
pianificazione, alle -proprietà,
non tanto per
espropriare i suoli - cosa clwiamente logica -
quanto per avere il diritto di sottoporli alla disciplina urbanistica. In pratica si vorrebbe disconoscere la potestà municipale di attribuire il
diritto di costruzione, introducendo di fatto
nella legislazione il principio che il destino naturale dei suoli - di tutti i suoli - è l'edificazione e che, dunque, ogni edificazione mancata va indennizzata non al momento dell'eventuale esproprio per pubblica utilità, ma anche
al momento in cui il piano la stabilisce. In fondo a questo principio c'è l'apocalittica visione
di un territorio nazionale tutto interamente
edificato, con qualche campicello o giardinetto
strappato a caro prezzo al cemento dalle esauste finanze comunali.
Il caso del comune di Arzachena che - dopo un'estenuante contrattazione, per ottenere
in cambio qualche investimento «produttivo,
dai promotori dell'intervento - è in procinto
di ospitare 150.000 o 200.000 posti letto turistici, con la distruzione inevitabile proprio dei
presupposti turistici dell'operazione, è dunque
l'esempio emblematico delle prospettive dischiuse dalla proposta legislativa nazionale. Ma
nessuno mena scandalo per le trattative di Arzachena, come in fondo nessuno ha sollevato
radicali e massicce obiezioni di fronte all'enunciazione del principio giuridico che le rende lecite.
Eppure il panorama urbanistico italiano registra contemporaneamente notizie più confortanti. I1 comune di Modena, per fare un esempio, conclude una fase esemplare di sviluppo
urbano fatta di servizi sociali costruiti in tutta
la città, di quartieri popolari e di insediamenti
produttivi modello, realizzati su aree sottratte
O R G A N O M E N S I L E D E L L ' A S S O C t A I I O N E ITALIANA P E R I L CONSIGLtO DEI COMUNI D ' E U R O P A
alla speculazione, progettando un gioiello urbanistico, un parco di 100 ettari a due passi dal
centro storico e facendolo pagare quasi tutto alI'iaiiifit*azionc. ciirol>txa
Pr1tt.i.i I o i ~ i l i le banche che costruiranno edifici direzionali ai
suoi margini. Mentre, per fare un altro esempio, a Napoli si tenta di utilizzare i finanziaCondirio sine qua rton
SOMMARIO
menti statali stanziati dopo il terremoto per riSe do
%arie il fnnrte dr-mwretlu
I~rru<irw.di una p~uoifi<a~i<mt"
dnnvfa.
sanare l'intera ~eriferiadegradata, per portare
i r r I'Xt:rop$ <rt*dirrilo xeni ynio €arm- run <i<-! zarrif~~r~o
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ai 400.000 napoletani che ci vivono non solo
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nuove abitazioni per i senza tetto, ma special,'l,; t,,.lru :o Syriru, rrnla>7desrcr'<r!n~Y1te
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mente le scuole, i giardini, i servizi sociali, che
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cento anni nessuno aveva mai costruito.
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nel m- currirntuzf<bM dr cnmr rti qUr6UI CI*\P
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Cosa significano questi esempi - e i molti
I ! < br<.r.c,
d~nun.rntic* avrapti debne6 tempo. chmnto l<* tdep tf C'UM~LU~
I ~ i ~ r i * u.c:rndara
,
una i'cdemir<nzo ravmao- dei Crmtritia d'lurnp, pnriiedanunre ad
altri,
perché non si tratta certo di rare eccezioni
zi<**i!.'k,
saa rnpire di mnlnbnin
a m h i c ~ l i e~ilItcrali r ynlit~n.m n a u i l t ed
. rr,. che
a itr-cllo rnm~dralo, la lotta iwtm nar%p.r. qmuili esso awzw ed ha
- di urbanistica sociale e civile? Si tratta degli
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irniru nronahrr> dt irlrt. r d~ pnaaml~ E' >nn
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ultimi fuochi di una fiammata che si sta esau(nrir. liintirnw drrcumrnta~k ,I
di<lkgr>
r b vlririrr
L?L>-<<III. 14. '1 t uv.i)xa
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n. 4. e<.,
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riolierinu!a rsiidtatiu rlol W'E ioa ia C*rendo, o invece sono i segnali di una ripresa
ii>i<nit~r~<
iIi km~.rlcta I'.\nitt
niuribru E<nnrim~wnG r n ~ m
.,.l*
Il* p.a
che, ancora una volta, vengono dal Paese reale
Zr?w wnrlrstone c o n m w w rhc mr<Ipe*M
l <. r,..bl,#,",,,'
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trnro anuthriitri dr d u h k , dal ~ i M n ulorwrci
e attendono di essere interpretati, raccolti e
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che cure i<w asndvnn»nr del iemtorir> dsHrrrw-r
W.
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nir>nolUQ kd FUTfPI*'.
aniéuzln, *W q1adiffusi dai vertici politici e culturali della NaPIM,
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
I principi d'azione
del Manifesto di Ventotene
di Mario Albertini
Secondo un giudizio ormai ampiamente
condiviso il Manifesto d i Ventotene - scritto
nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi
quando si trovavano al confino nell'isola di
Ventotene - è il più importante testo europeistico della Resistenza. Ma questo giudizio non
basta per stabilire quale sia il contenuto effettivo di questo testo - e degli scritti che lo completano - perché il termine aeuropeisticou è
così vago da far stare sotto lo stesso segno le cose più diverse, e perfino opposte. È meglio dire
che il Manz)ésto d i Ventotene è un testo esemplare della letteratura politica militante del
tempo della Resistenza; e affrontare, almeno
nel suo fondamento, il problema di questa letteratura che, pur essendo chiaramente riconoscibile per il suo oggetto (la politica militante)
e i suoi testi (da Machiavelli a Lenin), non ha
ancora trovato né una sistemazione teorica efficace né adeguate chiavi di lettura.
I1 dato cruciale è che non c'è ancora una distinzione ben stabilita tra ciò che si trova in
questi testi (specialmente quelli della nostra
epoca: il caso classico è I'imperialismo di Lenin), e ciò che si trova in qualsiasi rendiconto
di storia contemporanea, come storia scritta da
chi non si propone di farla. Ma così resta celato
proprio il vero oggetto di questa letteratura, il
cui elemento determinante sta nella volontà, e
più precisamente nella volontà che fa quanto
può per diventare storia. Il problema dunque è
questo: che tipo di fatti cade nel campo visuale
di chi esamina il suo tempo solo come un puro
osservatore, che non si occupa del futuro o si limita a prevederlo standone fuori (come nei cosiddetti «scenari» oggi di moda, che riducono
la storia ad una vicenda meccanica che si svolgerebbe secondo questo o quel filo noto solo
agli «esperti»), e che tipo di fatti cade invece
nel campo visuale di chi esamina il suo tempo
con la disposizione mentale dell'uomo attivo,
che si occupa del futuro, e del presente soltanto in funzione del futuro.
Solo per non lasciare nell'ombra l'ampiezza
e la complessità della questione, bisogna tener
presente che nel secondo caso, beninteso quando si tratta dell'attività politica, si ha a che fare
con il tentativo di sottoporre il futuro ai piani
della ragione. Ciò comporta, tra l'altro, che si
ammette la presenza della ragione nella storia
(cioè che la storia abbia un senso); e comporta
anche che si sceglie di fatto il progresso - invece di chiedersi in astratto se è possibile o impossibile - evitando così l'errore catastrofico
di applicare la ragione a tutto meno che a ciò
che decide di tutto, il corso della storia. Ma ciò
che conta, nei limiti più ristretti del nostro esame (la distinzione tra i due tipi di fatti), è che
con questo modo di pensare il presente e il futuro assumono una configurazione particolare.
Testo della prefazione alla nitampa del Manifesto di Ventotene, Napoli, ed. Guida, 1982,
curata dal Movimento federalista europeo
(MFE) e che Q o r t a una funga intervista d i Sonia Schmidt adAltiero Spinelli.
Il presente - la situazione storica in atto non viene pensato a sé, come qualcosa da accertare, ma come qualcosa da integrare nei
piani della volontà, e perciò da considerare insieme coi suoi prolungamenti realizzabili a
patto che riesca questo o quel piano d'azione
(una linea politica generale). Dunque esso assume per un verso il carattere di mezzo per i fini di una lotta, e per l'altro quello di una situazione che ha senso; e il cui senso sta proprio nel
fatto che contiene la possibilità della sua evoluzione verso una situazione nuova, e tale da migliorare le sorti dell'umanità. A sua volta il futuro non si presenta nella forma di una semplice descrizione (colme nelle pseudo-previsioni
del falso storico contemporaneo, o sociologo, o
esperto), ma nella forma specifica di nuovi
principi d'azione e delle conseguenze che ne
derivano. Ne segue che anche rispetto al futuro
il pensiero assume la forma della realtà (I'azione è il futuro in germe); e, più precisamente,
della realtà che si può costruire con la ragione
perché i nuovi principi d'azione, se sono davvero tali e non automistificazioni, collegano il
presente al futuro secondo un ordine stabilito
dalla ragione.
Con queste osservazioni si giunge al cuore
del problema, cioè alla relazione che esiste tra
l'elaborazione di riuovi principi d'azione e il
riconoscimento del carattere iniziale dei nuovi
processi storici. Questa relazione deve essere
considerata non solo come un fatto pratico, ma
anche come un fatto teorico. E per stabilirla
bene sul piano teorico bisogna tener presente
in primo luogo che chi si occupa del futuro cerca di isolare nella realtà storico-sociale in atto
quei dati di fatto che. se vengono sviluppati
con un'azione adeguata, possono determinare
una situazione storica nuova. Bisogna inoltre
tener presente, in secondo luogo, che questi
dati di fatto, siccorne hanno la natura di possibilità da sfruttare, sono riconoscibili solo attraverso la messa in evidenza di queste possibilità,
cioè con I'elaborazione di nuovi principi
d'azione. In ogni altro caso la loro peculiarità
non entra nel campo visuale. Ne segue che il
metodo di conoscenza della politica militante è
il solo con il quale si può tentare di acquisire la
conoscenza di una precisa singolarità storica:
quella dei nuovi processi storici al loro inizio.
Solo con questa distinzione tra conoscenza
storica del passato (ivi compreso quello che
perdura nel presente) e conoscenza di nuovi
processi storici al loro inizio (al limite la conoscenza del processo storico globale, cui tuttavia
non si è mai pervenuti sinora) non si corre il rischio di fraintendere il senso della letteratura
politica militante. Basta, per rendersene conto,
pensare a L'impenalismo, fase suprema del capitalismo di Lenin. Secondo la lettura più comune (almeno fino a qualche tempo fa) il contenuto di questo testo sarebbe la descrizione
dei tratti essenziali della storia contemporanea.
Ma se fosse dawero questo il suo tema, sarebbe
anche vero che si rratterebbe di un libro completamente sbagliato perché il capitalismo in-
vece di crollare ha conosciuto un nuovo ciclo di
sviluppo. E non basta. La conseguenza peggiore è che questa chiave di lettura cela il vero significato dell'Impenalismo perché non consente di constatare che Lenin, pur essendosi
sbagliato circa il senso della storia contemporanea, ne aveva tuttavia colto genialmente un
aspetto, quello costituito dall'inizio di un processo storico nuovo in Russia e nel mondo coloniale dei paesi poveri, sottosviluppati e dipendenti.
Ma ciò risulta chiaro solo a patto di non cercare nell'lmperialismo, e negli scritti che lo
completano, solo il presente come una cosa puramente descritta, ma anche, e soprattutto, il
futuro nella sua vera forma, quella di nuovi
principi d'azione (e senza dimenticare, naturalmente, che ciò che è dawero nuovo emerge
a fatica, sommerso, com'è dall'immane congerie del vecchio che ha ancora, in quel momento, l'apparenza dell'intera realtà). Bisogna
dunque tener presente che dopo lo scoppio
della prima guerra mondiale, e la caduta di
quasi tutto il socialismo occidentale nel socialsciovinismo e nella guerra fratricida che aveva
messo tragicamente in luce l'impotenza del
movimento operaio, lo scopo di Lenin non era
quello di descrivere il mondo com'è, ma quello
di far diventare di nuovo possibile una lotta
che non sembrava più possibile per la scomparsa stessa del suo protagonista, la classe operaia,
che aveva subito con una passività sconcertante
il corso degli awenimenti. I testi di Lenin sono
trasparenti al riguardo: «La classe operaia non
può assolvere la sua funzione rivoluzionaria
mondiale senza condurre una lotta spietata
contro questo tradimento, contro questa mancanza di carattere, contro questo servilismo davanti all'opportunismo e contro questo inaudito avvilimento teonLo del marxismo~(la sottolineatura è mia; il saggio è Il socialismo e la
guerra, scritto nel luglio-agosto 1915 e distribuito ai delegati della conferenza di Zimmerwald; il bersaglio è Kautsky e, più in generale,
la Seconda Internazionale). E quando ciò sia
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COMUNI D'EUROPA
chiaro, come lo è ad esempio, almeno parzialmente, nell'analisi di Lelio Basso alla quale rimando (l),si constata proprio che nel pensiero
di Lenin l'elaborazione di nuovi principi
d'azione coincise effettivamente con le prime
forme di conoscenza di un processo storico in
germe, che oggi ha proporzioni tanto vaste da
includere anche la Cina e il suo risveglio. Considerazioni analoghe valgono per il Manifesto
di Ventotene, ed è Spinelli stesso a farle apertamente quando ne parla. Egli ammette di essersi sbagliato circa il carattere globale della situazione che si sarebbe prodotta con la sconfitta della Germania e dell'Italia nella seconda
guerra mondiale. Non avendo preso in consi-
derazione la possibilità (anzi, I'inevitabilità)
del capovolgimento della politica estera degli
Usa e dell'urss dall'isolazionismo all'interventismo, Spinelli e Rossi non pensarono nemmeno che gli Usa e 1'Urss avrebbero assunto il controllo politico diretto dell'Europa, assicurando
così nella prima fase postbellica una stabilità
politica altrimenti impossibile a causa del crollo politico e morale degli Stati nazionali.
Sfumò così il progetto di sfruttare l'instabilità
politica del primo dopoguerra e l'estrema debolezza degli Stati nazionali per fondare gli
Stati Uniti d'Europa.
Ma Spinelli ha ragione quando afferma di
non essersi sbagliato nel formulare due nuovi
principi d'azione; e il tempo trascorso ci permette di constatare che anche in questo caso
l'elaborazione di nuovi principi d'azione ha
coinciso proprio con le prime forme di conoscenza di un processo storico in germe: quello
dell'unificazione europea. I nuovi principi elaborati a Ventotene sono a ) la priorità di un
obiettivo internazionale, l'unità europea (cioè
la federazione europea: non esistono altre forme stabili ed efficaci di associazione di Stati) rispetto ad ogni altro obiettivo politico e sociale;
(1) Lelio Basso, La teotia deff'impe7iafismoin Lenin, in
aAnnali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinellio, a. XV,
1973.
h ) lo spostamento della liinea di divisione tra
progresso e reazione dal campo nazionale a
quello internazionale. Spiaelli e Rossi osservavano nel Manifesto: uSe (con il mancato superamento delle divisioni dell'Europa in Stati nazionali sovrani) la lotta politica restasse domani
ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe difficile sfuggire alla vecchie aporie,. E
sulla base di questa diagnosi che si è rivelata
esatta (gli Stati nazionali sono effettivamente
ricaduti nella ragnatela del corporativismo,
temperato solo da quel tanto di unità europea
che esiste), essi affermano a giusta ragione che:
t L u linea di divisione fra partiti progressisti e
reazionari cade perciò ormtni non lungo la linea
formale della maggiore o minore democrazia,
del maggiore o minore sociaiismo da istituire,
ma lungo la sostanziale n.uovissima linea che
separa quelii che concepiscono come fine essenzide della lotta quello antico, cioè la conquista del potere nazionah - e che faranno,
sia pure involontariamente, il gioco delle fone
reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio
stampo - e quelli che vedranno come compito
centrale la creazione di un .solido stato intemazionale, che indinzzeranno verso questo scopo
le fone popolari e, anche conquistato il potere
nazionale, lo adopereranno in primissima linea
come strumento per realizzare l'unità internazionale)).
È vero che questi principi sono stati applicati
in modo costante e coerente: solo dal Movimento Federalista Europeo. Ci6 non toglie che sia
anche vero che l'unificazione dell'Europa dalla fondazione del mecc:inismo comunitario
ai primi passi del suo sviluppo democratico è dipesa sinora esclusivameinte da decisioni prese secondo questi principi. La spiegazione sta
nel fatto (ignorato dal dibattito pubblico ma
inoppugnabile) che in alcuni momenti gravi
della vita dell'Europa, nei quali le decisioni
puramente nazionali erano estremamente nocive o impossibili, degli statisti come Adenauer, De Gasperi, Schuman e Spaak seppero
ascoltare degli innovatori come Monnet, Spinelli e i federalisti e agire dli conseguenza, senza lasciarsi ingannare - come accade troppo
spesso - dai falsi consigli dei falsi esperti di
questioni europee che ingombrano le anticamere dei ministri. Tutte le decisioni che corrispondono alla tappe della costruzione dell'Europa, nessuna delle quali, va sottolineato, è
stata progettata e voluta da alcun partito o altra
forza nazionale, presentario in effetti questo
carattere. Vale anche, del resto, una prova a
contraio. L'unificazione dell'Europa è stata
frenata, e lo è ancora, sia pure inconsapevolmente, dai partiti proprio perché essi sono rimasti legati alla antica pnorità degli obiettivi
nazionali, anche se ciò comporta la ricomparsa
delle vecchie aporie e l'impossibilità di superare l'ordine imposto alllEuropa dagli Usa e
dall'Urss alla fine della seconda guerra mondiale.
La reiterata esperienza della dimensione soprannazionale dei maggiori problemi non ha
ancora indotto i partiti a riconsiderare i principi tradizionali della loro azione; ed è per questo che la loro concezione del futuro, pensato
ancora in termini nazionali, è così incerta. Ma i
dicembre 1982
fatti urgono. In questione non è solo l'Europa.
Lo sviluppo di forme efficaci di Stato nei grandi spazi nordamericano, sovietico e cinese, la
costruzione dell'Europa, ed il risveglio di tutti
i popoli della Terra cominciano a rivelare il loro
carattere di momenti evolutivi di un processo
di unificazione politica del genere umano che
può concludersi solo con il governo mondiale e
la pace universale. Non si tratta più di una utopia, ma dell'obiettivo supremo della lotta politica, della sola risposta ragionevole al fatto che
il progresso della capacità tecnologica dell'uomo sta portando gradualmente ma inesorabilmente l'intero genere umano di fronte ad un
bivio estremo: o la catastrofe nucleare ed ecologica, o la liberazione completa dell'elemento
razionale della natura umana con la trasformazione dei rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici e con la fine della necessità di
impiegare il lavoro umano come forza bruta o
semplice meccanismo ripetitivo. È con questo
metro che bisogna giudicare i principi d'azione
e stabilire gli obiettivi intermedi.
Bisogna ormai voltare le spalle al vecchio
mondo. Dopo la liberazione delle classi e delle
nazioni il problema che si pone è quello della
liberazione dell'intera umanità come tale e di
ogni singolo uomo. Nessun obiettivo nazionale, se perseguito isolatamente, può farci avanzare verso questa meta. E nessuna ideologia o
strategia del passato ci consentirà di scegliere a
volta a volta la giusta direzione di marcia. Bisogna - come i più saggi fra i dirigenti politici
cominciano a dire - «democratizzare le relazioni internazionali». Ciò implica uno sviluppo
dell'Onu che dia vita ad istituzioni che consentano l'espressione della volontà generale di tutta l'umanità. Si tratta di costruire progressivamente, in Europa e ovunque, un potere democratico che sia capace di abolire nella sua sfera
gli eserciti nazionali, e di eliminare i rapporti
di forza tra gli Stati associati senza privarli della
loro autonomia costituzionale e della loro indipendenza effettiva. E c'è un solo potere di
questo genere: la federazione come insieme di
governi (il governo internazionale e quelli nazionali) coordinati e indipendenti, (2).
Valgono dunque i principi di Ventotene.
L'obiettivo internazionale deve avere la priorità. Ed è evidente che non si può indirizzare la
lotta politica verso questo obiettivo se si dividono le forze sul piano nazionale in vista di
obiettivi nazionali invece di dividerle sul piano
internazionale in vista dell'obiettivo internazionale. È dunque sempre più vero che bisogna
stabilire la linea di divisione tra il progresso e la
reazione sul piano internazionale, e considerare la lotta politica nazionale solo come un momento di una lotta più vasta. In questa direzione, quella della federazione europea e della federazione mondiale, quasi tutto è ancora ignoto. C'è una sola certezza: il senso della storia
contemporanea si svela solo a coloro che si propongono dawero di mutarla. La prima cosa da
prendere in esame sono dunque i principi
d'azione, ed è un fatto che quelli elaborati
quarant'anni fa a Ventotene consentono di intrawedere le prime luci in un mondo che non
sa più nemmeno se ci sarà un futuro per I'umanità.
(2) K.C. Wheare, Federaf Governement, Oxford, 1946.
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
17
E chi, se non un'istituzione internazionale dotata di sufficiente autorità può mantenere un
controllo sulle armi?
La via è lunga e difficile: passa per la formazione di agglomerati di stati regionali e continentali, che innanzitutto eliminino al loro interno il pericolo della guerra; passa per I'influenza di molteplici e forti istituzioni che regolino per quanto possibile i rapporti fra stati e
agglomerati di stati. Su questa via lunga e difficile si deve porre in umile ma ambizioso passo l'idea europea.
Questo il corno giusto dell'alternativa e non
quello che ha scelto Dyson, che pur vive nel
mondo della scienza senza confini, anzi senza
«barriere*, e nella federazione americana, uno
dei cui padri fondatori Hamilton diceva: aSperare in una permanenza di armonia tra molti
Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare
il corso uniforme degli avvenimenti umani e
andar contro l'esperienza accumulata nel tempo>>.
Con questi pensieri chiudevo il libro con
l'impressione di aver liquidato intellettualmente la cosa. Ma una frase del Dyson mi rodeva dentro, quella che a prima vista mi era apparsa solo presuntuosa: «fortunatamente la
grande maggioranza sembra condividere le mie
preferenze*. E riandavo ai vari sintomi di un rifiorire del nazionalismo, dall'unilateralismo
globale della destra americana all'unilateralismo pacifista dei «verdi*tedeschi, passando per
gli anti-marketeers britannici e, perché no, per
chi da noi, a destra come a sinistra, parla di
un'Italia che deve tornare ad «essere qualcuno*. E mi è stato ancora una volta chiaro come
la battaglia per l'Europa richieda, fra l'altro,
che si battano in breccia due pericolose illusioni, quella del nazionalismo buono e quella
della scorciatoia diretta alla pace nel mondo.
Contro due pe1icolose illusioni
di Cesare Merlini
La pace quest'anno è andata fortissimo. Così
si potrebbe dire con il linguaggio insieme superlativo e vago diffuso tra i giovani, riandando alle molte manifestazioni e discorsi, pacifisti, ecologici, politici e papali. il fatto, purtroppo, è che anche la guerra è andata fortissimo, con conflitti, aggressioni, minacce e corsa
agli armamenti. Così io vorrei riservare immodestamente queste mie brevi riflessioni al grande problema della convivenza umana, alla soluzione del quale ogni battaglia politica, dunque anche quella per unlEuropa più unita, va
finalizzata.
Mi offre lo spunto di partenza un capitolo di
una lettura estiva, un gradevole libro, spaziante su molti problemi e di fine scrittura, opera
di un uomo di scienze naturali, Freeman Dyson, inglese naturalizzato americano. L'ho letto con la particolare attenzione di chi è di formazione tecnico-scientifica anch'egli, s i parva
ficet. . .
È molto frequente in America il ricorso a
studiosi per iniziative di tipo politico e il Dyson fu interpellato diverse volte. Una di queste
fu durante la guerra del Vietnam per il progetto detto della «barriera»:si trattava di realizzare al confine tra il Vietnam del Sud e del Nord
una barriera invalicabile . Idea folle, ho subito
pensato, ricordando come anche il generale
McArthur avesse concepito una linea di micidiali sorgenti radioattive fra Corea del Nord e
del Sud, che rendessero mortale, atrocemente
mortale, ogni passaggio dall'una all'altra. Così
ho trovato normale che Dyson avesse rifiutato
di esservi coinvolto. Ma i suoi motivi sono diversi dai miei: «io credo - dice - che la barriera sarebbe stata non soltanto efficace, ma
anche moralmente buona, se dietro di essa ci
fossero stati un governo e un popolo capaci di
farla funzionare da soli*.
È con viva curiosità che ho letto nelle righe
seguenti l'esposizione della ufilosofia~del nostro scienziato, che si avventurava in politica.
«A lunga scadenza, la sopravvivenza della
società umana sul nostro pianeta richiede che si
verifichi una delle due alternative seguenti. O
fonderemo una sorta di governo mondiale, con
il monopolio delle forze militari. O raggiungeremo una stabile suddivisione del mondo in
stati sovrani e indipendenti, e le forze armate
di ciascuno stato saranno limitate esclusivamente alla difesa del territorio nazionale. Per
vari motivi, umanistici, culturali e politici, preferisco la seconda alternativa. Fortunatamente,
la grande maggioranza sembra condividere le
mie preferenze. Dall'inizio della storia umana
fino ad oggi, i grandi imperi si sono sempre disgregati e imovimenti miranti alla creazione di
un governo mondiale non hanno mai raccolto
vaste adesioni. Se siamo convinti che un governo mondiale sia irraggiungibile, o se riteniamo
che sia indesiderabile, allora lo scopo dei nostri
sforzi militari e diplomatici non dovrebbe essere quello di abolire il nazionalismo, bensì
quello di indirizzare il nazionalismo verso canali difensivi. ~ o v r e m m ocelrare di costl-uire
una società pacifica e ben armonizzata, campo-
sta di nazioni indipendenti, in cui ciascun paese abbia una milizia civile come quella che oggi
troviamo in Svizzera: un esercito che non costituisce minaccia per le nazioni limitrofe, ma che
è pronto a combattere con tutte le sue forze
contro qualunque invasore che si presenti con
idee di conquista.
Bisogna dare in,nanzitutto atto a Dyson di
aver formulato con chiarezza l'alternativa di
fondo fra le due «grandi illusionb, le due utopie su cui si disegriano le strategie della ricerca
della pace. Ma devo anche dire quanto profondamente dissento dalle sue preferenze. Prima
di tutto ristabiliamio un po' di correttezza storica: se è vero che i grandi imperi si sono sempre
disgregati, è anche vero che quando unazioni
indipendenti* (e signorie, e tribù, e chi più ne
ha più ne metta) si sono trovate a confronto,
non hanno fatto che combattersi, con maggior
pregiudizio per la pace, in genere, che durante
i grandi imperi.
E chi dice che il governo mondiale dovrebbe
essere un impero? Per quanto la terra in prospettiva impicciolisca per il diffondersi delle
comunicazioni e per trasformarsi essa in una
rampa di lancio nell'esplorazione dello spazio,
come è detto altrove nel libro di Dyson, le differenze etnico-stoirico-culturali fra paesi e le
conquiste dei diritti dell'uomo resteranno e
dovranno restare, sì che il governo del mondo
si faccia nel loro rispetto e per il loro rispetto.
Stupisce inoltre che il nostro autore, che pure ha avuto a che fare con problemi militari,
coltivi la distinzione fra armi difensive e armi
offensive, le prime buone e le seconde cattive.
G H C A N O MENStLf: D E L L ' A S S O C I A Z I O N E
I T A L I A N A P E R I L CONSIGLIO
COMUNI
DEI
D'EUROPA
SULL'ORLO DELL'ABISSO
di UMBERTO S E R A F I N I
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18
COMUNI D'EUROPA
Un'opinione pubblica consapevole
della battaglia federalista
di Giancarlo Piombino
In una recente intervista pubblicata da una
rivista italiana «superpatinata~Leo Tindemans
ha dichiarato che «dal punto di vista economico e da quello politico siamo "condannati" a
fare l'Europa, ed è triste che questo non appaia
sufficientemente chiaro alla generazione attuale. La crisi delllEuropa comunitaria è evidenza
amara di tutti i giorni: crisi istituzionale e di
prospettive.. . Presto apparirà chiaro che una
soluzione alle difficoltà economiche è possibile
solo lavorando insieme, integrando sempre più
i nostri Paesi*. E ancora nella stessa intervista
Tindemans aggiunge che c'è una terza ragione
«da invocare per riprendere il cammino della
costruzione europea dopo quella della pace e
del risanamento economico: unirci per difenderci in un mondo che potrebbe fare a meno di
noi».
Sono, quelle del leader belga, considerazioni del tutto condivisibili: in sostanza occorre
superare l'attuale crisi comunitaria perché i popoli europei non possono fare a meno di
un'Europa integrata.
C'è tuttavia una considerazione (forse non
del tutto trascurabile) stranamente assente dalle parole pur così sagge del leader fiammingo:
perché, se l'Europa è tanto necessaria, non si
riesce a costruirla, superando la crisi istituzionale e di prospettive denunciata? E quale è la
responsabilità di quei politici del «circuito»europeo - ai quali incotestabilmente Tindemans
appartiene - nel non riuscire a colmare il distacco tra azione quotidiana e prospettiva politica? Nel non riuscire a dare corpo ad una volontà, che pure si dice esistere; a essere più incisivi nell'impegno a realizzare un obiettivo
che pure così lucidamente viene indicato?
La tentazione sarebbe quella di collocarsi
dall'angolo visuale della coerenza, in qualche
misura della amoralità~ dell'azione politica.
Ma sarebbe appunto una tentazione, rispondere in modo emotivo ad una domanda che richiede soprattutto razionalità. E la razionalità
ci suggerisce che l'angolo visuale è diverso, istituzionale e politico ad un tempo.
Istituzionale, in primo luogo. La politica di
conciliare interessi nazionali e integrazione europea è troppo spesso (o, forse, quasi sempre)
realtà assai diversa: tentativo (sprecato?) di vincere una struttura - lo stato nazionale - che
cerca di difendere la propria esistenza, di aautoalimentarsiu dichiarandosi oggi insostituibile.
La classe politica deve «fare i conti*, incontestabilmente, con questa struttura, dalla quale
trae il potere autentico di cui essa dispone (il
potere aeuropeop è troppo adomaniu per essere
allettante) e dalla quale essa è richiamata alla
tutela del duro essere quotidiano, rispetto ad
autopisticheu prospettive europee.
Se si vuole sbloccare questa situazione di
stallo è owio che non si può far ricorso a quanti
- la struttura dello stato nazionale, appunto
- di tale situazione sono gli autori e i protagonisti. Occorre - per così dire - realizzare una
cesura, offrendo alla classe politica autentica-
mente europea un punto di appoggio su cui far
leva per attuare un significativo distacco dal
condizionamento nazional- istituzionale.
La classe politica opera -- in democrazia sulla base del consenso: fino a quando l'orizzonte dei temi in discussione, dei problemi da
risolvere rimane nella misura nazionale, il consenso viene conquistato e gestito su tale dimensione.
È difficile passare oltre, anche per i politici
più attenti, senza essere accusati di inseguire
questioni astratte e horviafiiti.
L'esperienza di questi anni è, da questo
punto di vista, assai e1oque:nte. Vero è che De
Gasperi, Adenauer, Schurnan, Spaak, erano
grandi statisti, ma possibile che, dopo di loro,
nessuno abbia saputo operare nei confronti
dell'unificazione europea con altrettanta incisività? Neppure i Moro, gli Schmidt, i Tindemans?
La verità è che il nodo che unisce i politici
nazionali con i «problemi» nazionali si è fatto
più saldo e stretto rispetto alla situazione in atto negli anni susseguenti alla fine della seconda
Guerra Mondiale. E i risu1t:ati sono di fronte a
noi: nella domanda che legittimamente ogni
europeista si pone leggendo le dichiarazioni di
Tindemans.
Quid agendum, allora? Se non la risposta,
una delle risposte va trovata nella storia di
dicembre 1982
quelle aree federaliste dell'opinione pubblica
euroDea.. di cui «Comuni d'Europa, è testimonianza ultratrentennale. 11 progresso dell'integrazione europea è sempre meno affidabile alle
istituzioni governative; dipende in misura
sempre maggiore dalla pressione dell'opinione
pubblica. Di una opinione pubblica consapevole di cosa significhi avere o non avere una
Europa federale; e non dedita a quell'europeismo di maniera e sentimentale, generico e intergovernativo, che piace tanto alle strutture
nazionali esistenti.
È una strada lunga e povera di soddisfazioni
quella di chi opera secondo una linea così controcorrente: occorrono fede, tenacia, convinzioni ideali per procedere con coerenza e senza
travisamenti. Ma occorrono anche obiettivi
concreti. Senza l'azione dei federalisti, la loro
fiducia anche nelle scelte meno garantite, non
avremmo avuto il Parlamento Europeo eletto a
suffragio universale. L'obiettivo h posto tanti
anni fa e, malgrado tante fatiche, è stato raggiunto.
Oggi altri obiettivi urgono: la riforma istituzionale della Comunità, il suo allargamento,
l'attribuzione ad essa di competenze proprie in
materia di rapporti internazionali e di sicurezza, per rendere l'Europa protagonista autentica
di pace. Non c'è da farsi illusioni: sono traguardi difficili da raggiungersi, ma che possono, anzi debbono, essere raggiunti. E tanto basta per continuare. Per altri trent'anni? L'augurio è di essere comunque ancora insieme,
nella comune battaglia ideale e politica, con
<Comuni d'Europa».
.
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
I1 federalismo europeo
strumento politico della società post-industriale
di Orio Giarini
Le dottrine liberali e socialiste hanno dominato il periodo della maturazione industriale
dell'Europa. Esse si sono lanciate e si lanciano
tuttora in delle vere e proprie guerre civili al livello delle idee, come della lotta concreta per il
potere. I1 loro nascere è strettamente legato
all'emergenza di un sistema economico a predominanza industriale, e in questo senso la
tendenza verso l'economia di scala e la concentrazione dell'organizzazione economica, hanno fornito le basi di fatto per un movimento di
concentrazione del potere.
Di fronte a una rivoluzione industriale dominante, il federalismo non ha in definitiva
avuto la scelta che di adattarsi a ciascuna delle
idee politiche dominanti, scegliendo volta a
volta la versione liberale o socialista o anche cristiana. Come tale ha proposto progetti e utopie
che non hanno fatto altro che scalfire la realtà
dell'organizzazione del potere politico, introducendo elementi di moderazione o di freno in
un senso o nell'altro. Nella maggior parte dei
casi, anche quando il principio federalista è
stato introdotto al livello delle costituzioni di
vari Stati (quali l'Unione Sovietica e gli Stati
Uniti), questo è stato essenzialmente un elemento di compromesso verso forme - considerate «progressiste, - di concentrazione politica che non si potevano raggiungere che per
stadi intermedi.
Fin tanto che il mondo occidentale e 1'Europa in particolare hanno vissuto il fenomeno
della rivoluzione industriale, le due ideologie
cugine del liberalismo e del socialismo (con le
varie varianti), sono state il punto di riferimento essenziale e inevitabile della lotta democratica. Oggi, in una società che non è più essenzialmente industriale, non è un caso che si accentuino i fenomeni seguenti, per quel che riguarda l'evoluzione di queste ideologie, che si
svuotano via via dei presupposti culturali ed
economici tradizionali:
- da una parte vi è tendenza alla riconciliazione (sotto il vessillo dell'economia «di
mercato-sociale, o del socialismo quale «ultima
versione del vero liberalismo,, per non parlare poi delle ramificazioni dell'aeurocomuni- dal19altra parte, vi è una aggravazione
delllaffrontamento dei poteri che - non esresiduale
sendo legato ,-he in modo sempre
a dei fondamenti ideologici legati alla realtà
mantenersi
storica attuale - non possono
che in una logica di pura «real-politiky,. La lotta
un9evoluzionecominciata
di classe, con Lenin, ha ormai quasi completamente virato verso la lotta fra classi dirigenti (lotta fra élites, ma con una diminuzione della partecipazione di fatto dei più vasti strati della popolazione, cui non resta, nei vari tipi di regimi, che
sperare nella cooptazione dalle varie qnomendature>>:esse hanno ormai la funzione delle
corporazioni della fine del Medio evo).
È ormai abbastanza evidente che tutto il
progetto politico che sposa la logica della concentrazione del potere - quale che sia la sua
giustificazione - diventa di fatto un meccanismo di lotta fra classi dirigenti, il cui risultato è
di aumentare il paternalismo, l'autoritarismo
o, al peggio, la dittatura. Il fatto che questi poteri si giustifichino in base a ideologie destinate a gestire la rivoluzione industriale, non fa
che aggravare la loro involuzione, quando di
fronte alla situazione economica attuale - che
non è più quella di un ciclo classico della rivoluzione industriale - si trovano senza presa di
fronte alla realtà e non possono quindi avere
che delle reazioni di difesa che possono degenerare.
Non si può dimenticare che Hitler e Stalin
non sono solamente dei tragici incidenti, ma
rappresentano il parossismo di una logica identica che ha il suo terreno di cultura nella concentrazione del sistema socio-economico e lo
sradicamento degli individui che I'accompagna: ecco prodotta la massa umana, più che
mai vulnerabile all'azione dei movimenti demagogici più sfrenati.
I federalisti hanno parlato da tempo dei mali
della massificazione e della necessità di porvi
rimedio: ma tanto che la rivoluzione industriale rimaneva lo struniento privilegiato di produzione di ricchezza e di cultura, rimaneva il fatto che i risultati poisitivi dell'industrializzazione erano di natura tale da far passare in secondo ordine gli aspetti negativi di questo stesso
processo. Ed è così che per l'Europa, per più di
due secoli, la rivoli~zioneindustriale e le sue
ideologie hanno dominato il campo.
Ma oggi, il sistema economico dominante
che produce ricchezza, non è più industriale:
l'industrializzazione è uno dei mezzi di produrre ricchezza, ma senza che questo principio
valga in via prioritaria in tutti i casi. Valga come semplice esempio il fatto che per ogni prodotto che compriamo, il puro costo di produzione non supera in media il 20 per cento, il resto essendo assorbito da ogni sorta di servizi per
rendere il prodotto ,zccessibile e utilizzabile. In
certi casi, una produzione industriale può produrre più povertà cli quanto non produca ricchezza: i costi per combattere l'inquinamento,
se da un lato servono a aumentare il reddito
nazionale (e l'illusione dello sviluppo economico tradizionale) dall'altro rappresentano necessità di spesa dovute al fatto che siamo diventati in molti casi piC poveri, quando ormai
dobbiamo Pagare per un prodotto o un servizio
che in altri tempi potevamo avere gratuitamente.
In termini di struttura economica è ormai
evidente che la teoria delle economie di scala
funziona sempre meno: ottimizzare la produzione di beni e seivizi vuol dire sempre più
spesso accentuare le autonomie, favorire le medie dimensioni, stimolare la produzione di ricchezza al di là dell'organizzazione monetarizzata dell'economia. La nozione stessa di valore
economico (1) che la teoria economia classica e
neoclassica ci ha tramandato, non è più un indice per organizzare il benessere e il progresso
della società, ma si rivela essere semplicemqnte
un indice di industrializzazione. Quando quest'ultima va bene in tutti i casi, non c'è molto
da dire, ma nella società post-industriale nella
quale viviamo, la cultura economica si rivela
sempre più inadeguata e con lei la filosofia che
la sostiene.
Da tutto ciò deriva che, sul piano politico,
l'evoluzione economica attuale in Europa e nel
mondo, prepara le basi materiali per I'esplosione di un nuovo federalismo inteso quale organizzazione pluralista di insiemi autonomi. È al
livello della soluzione politica federalista che si
prepara oggi il quadro di riferimento storico
possibile del nuovo compromesso e della nuova
alleanza fra I'evoluzione delle strutture socioeconomiche e le esigenze di una più grande libertà.
A coronamento di tale processo interviene
anche la constatazione che, per la prima volta
nella storia umana, l'uomo è in grado di distruggere materialmente la propria specie: anche volendo dare alle guerre generalizzate del
passato il significato di un barbaro processo di
selezione e quindi di metodo di organizzare la
soprawivenza della specie, questo non è mai
più possibile. Siamo di fronte alla necessità di
organizzare la prima vera civilizzazione della
storia. E questa storia non può andare insieme
con il principo di sovranità assoluta e di statonazione che è potuto sembrare adeguato durante il periodo della rivoluzione industriale.
Se queste premesse sono anche solo che parzialmente accettabili allora la battaglia per
l'Europa non è e non può essere unicamente
una battaglia per delle istituzioni astratte che
non saprebbero resistere e non resistono ai giochi di potere di tutti gli Stati-Nazione.
Bisogna piuttosto prendere coscienza del fatto che si tratta di definire innanzitutto gli
obiettivi politici e sociali di una società postindustriale. I1 giorno in cui al livello della coscienza politica per la Federazione Europea si
avrà lo stesso scossone che il primo rapporto del
Club di Roma sui alimiti dello sviluppo» ha
prodotto al livello culturale, il meccanismo sarà
messo in marcia in modo decisivo.
I1 federalismo offre dunque una possibilità
importante di gettare le basi della democrazia
politica del nuovo mondo post-industriale. Si
tratta di voler discernere nel presente ciò che
possiamo costruire per l'avvenire, invece di
ipnotizzarsi su ciò che sta rientrando in tutta
fretta nel grande libro del passato.
Oggi possiamo ricostruire una nuova idea di
progresso, di lavoro produttivo, di soprawivenza in condizioni di libertà: non possiamo
più farlo se ci richiamiamo unicamente alle ricette, alla cultura e alla visione della rivoluzione industriale. Dobbiamo innanzitutto riconquistare la visione della realtà e essere partecipi
e attori del mondo planetario di domani. In
termini di politica e di cultura questo processo
si chiama federalismo.
(1) Mi riferisco in particolare a :aLa delusione tecnologica: i rendimenti decrescenti della tecnologiar (Orio Giarini
e Henri Loubergé, Mondadori - EST, 1978) e aDialogo sulla ricchezza e il benessere: rapporto al Club di Roma, (Orio
Giarini, Mondadori - EST. 1981).
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
20
I1 Parlamento Europeo
parla a nome dei popoli della Comunità
di I'ier Virgilio Dastoli
L'obiettivo della realizzazione di una «comunità più vasta e più profonda tra popoli per
lungo tempo awersi per divisioni sanguinose»,
cioè di un'unione dei paesi e dei popoli
dell'Europa, fu fissato fin dal 1952, nel Trattato che ha istituito la prima Comunità europea
(del Carbone e dell'Acciaio): questo primo
passo doveva - secondo i termini usati allora
- «porre i fondamenti d'istituzione capaci
d'indirizzare un destino ormai condiviso».
L'unione dei popoli dell'Europa presupponeva, nella visione dei federalisti e successivamente degli uomini politici che ad essi si ispirarono, una Comunità democratica e dunque
dotata di un'istituzione politica, legittimata a
rappresentare la volontà dei cittadini europei.
In essa avrebbero dovuto trovare un ruolo adeguato le forze politiche di tutti i paesi membri
della Comunità.
È così che già la prima Comunità prevedeva
una «Assemblea, composta di rappresentanti
dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità,,
tuttavia non direttamente legittimata da un
voto popolare, ma formata di «delegati che i
Parlamenti sono richiesti di designare fra i propri membri secondo la procedura fissata da
ogni Stato membro,.
Questa stessa Assemblea, opportunamente
integrata, ricevette, all'atto della sua costituzione, il mandato di elaborare un progetto di
Statuto politico della Comunità «più vasta e
più profonda,, necessaria conseguenza della
volontà di realizzare una Comunità Europea di
Difesa.
È dunque un'esperienza trentennale quella
che lega da una parte i rappresentanti delle for-
In primo luogo, per quanto riguarda le capositive' la
dei deputati in gruppi politici ha reso finora estrema-
mente debole l'influenza degli interessi nazionali sugli interessi europei: salvo alcuni casi
ben individuati, è facile co.nstatare che la maggioranza dei deputati - dopo un certo periodo
di «rodaggio» - imparano a «pensare europeo», anche quando il loro atteggiamento è.. .
antieuropeo.
L'elezione a suffragio universale e diretto ha
dotato il Parlamento di una legittimità democratica, che non può essere fatta valere da nessun altra delle istituzioni europee: esso è I'unico organo politico che può parlare a nome dei
popoli dell'Europa.
In secondo luogo, per quanto riguarda le caratteristiche negative, la mancanza di poteri legislativi reali se ha contribuito in modo determinante a rendere più debole il consenso
dell'opinione pubblica ini:orno al processo di
costruzione europea, ha d'altra parte provocato
un crescente senso di frustrazione nei parlamentari europei, che vedono costantemente
ignorate le loro proposte.
Se il Parlamento Europeo resterà a lungo costretto nel molo inutile ed inefficace di una
grande
Assemblea consultiva, vuota tribuna
internazionale, sarà sempre meno comprensibile la necessità di un'elezione a suffragio universale e diretto. Il sen'so di frustrazione prevarrà sulla volontà di innovare: aiutate dal crescente protezionismo, le tendenze a «pensare
nazionale, conquisterebbero allora sempre più
larghi strati dell'Assemblea. Già oggi - ed è
un sintomo preoccupante - durante ogni sessione del Parlamento Europeo proliferano,
quasi con apparente casualità, le riunioni delle
delegazioni nazionali all'interno dei gruppi
politici: laburisti inglesi, socialdemocratici tedeschi, socialisti e democristiani italiani, socialisti francesi. E da qualche parte si sonda la
possibilità di organizzare riunioni delle delegazioni nazionali tout-court.
La rinazionalizzazione del Parlamento Europeo sarebbe il segno più grave del punto di
non ritorno raggiunto dal processo di disgregazione dell'integrazione europea.
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COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
21
di Armando Rigobeiio
I1 ricordo di Emmanuel Mounier ritorna periodicamente a ravvivare le attese e le speranze
di una società personalistica e comunitaria, oppure a misurare l'ampiezza delle delusioni. È
comunque un punto di riferimento, un segno
di contraddizione. Potremmo ripetere con il
Mounier stesso che la prospettiva personalistica
«est la certitude de notre jeunesse~.I1 pensiero
e l'azione di Mounier sono, infatti, non solo
un'esperienza indimenticabile per chi la abbia
vissuta negli anni della giovinezza, ma è per
sua natura giovanile, ha lo slancio e la dedizione di un generoso approccio alla vita, una vita
intesa come testimonianza. Anche oggi, nonostante i tanti ripiegamenti nel calcolo e nella
dimensione privata, il messaggio di «Esprit»,la
rivista fondata da Mounier, ha su minoranze
molto qualificate di giovani un fascino singolare. È per loro, come per chi sia rimasto giovane
nella profondità interiore, un messaggio di
speranza.
Il ricordo di Mounier può essere utile anche
a coloro che si dedicano all'edificazione dell'Europa, o comunque vedono nelllEuropa un
puntodi essenziale riferimento per superare le
crisi interne e internazionali in cui ci dibattiamo. Mounier non fu un «europeista» nel senso
formale; il problema dell'unificazione europea
è un problema successivo a quelli del suo impegno di pensiero e di animazione politica, ma la
diffusione di «Esprit»in varie nazioni europee,
la formazione di gruppi Mounier in Italia, in
Polonia, oltre che in Francia, come pure in
Spagna hanno dato un certo contributo a porre
il problema europeo in termini personalistici.
Un certo rilievo europeistico hanno avuto anche i viaggi di lavoro e di testimonianza compiuti da Mounier in varie città europee nella
sua pur breve esistenza. Non è senza significato
che la prima rete televisiva della Rai-TV, nel
1978, abbia realizzato una serie di interviste su
«Esprit>~,
a cura di Ugo Ronfani e Antonio Bruni, con vari esponenti della cultura in Francia e
in Italia, intitolando la trasmissione Esprit, una
rivista per l'Europa. Ne è poi uscita un'agile
pubblicazione a cura dell'Ufficio Stampa della
Rai. <Negli anni che precedettero la grande
contestazione del 1968 sembrava che il personale di Emmanuel Mounier fosse superato scrivevo nella nota introduttiva al saggio che
porta il titolo stesso delle interviste: Esprit, una
rivistaper l'Europa -, sembrava che la concezione funzionalistica del mondo e la gestione
tecnocratica della società avessero isolato le
grandi speranze accesesi attorno a Mounier entro i limiti di una generosità evasiva, un "sogno
finito" dinanzi ad un realismo efficentistico
che esorcizzava le complessità dei rapporti interpersonali e l'intima istanza rivoluzionaria
che ogni autentica visione religiosa della vita
porta con sé. Poi venne il "maggio francese", le
barricate del 1968, l'insurrezione dell'originalità di fronte all'appiattimento, la contestazione delle mediazioni, anzi il loro rifiuto. Un
orizzonte nuovo si apriva, a volte gratuito, ma
più che sufficiente per offrire un nuovo spazio
a quella che il Mounier chiamò la certitude de
notre jeunesse. Certo, il clima intellettuale e
morale era cambiato - continuavo nella citata
nota introduttiva -; lo strutturalismo, le
scienze umane, la fenomenologia e I'epistemologia, le nuove tecniche analitiche imponevano
un rigore più attento, un'analisi più circospetta nel proporre la centralità della persona e della comunità interpersonale. I1 marxismo stesso
non aveva più quel volto a lineamenti unitari
che presentava negli anni trenta. La certitude
mounieriana appariva tuttavia insperabilmente
riproposta ad una generazione in situazione di
rottura con il passato più recente» (pp. 5-6).
Oggi potremmo ripetere le considerazioni
che andavo facendo nel 1978 aggiungendovi
tuttavia una più maturata convinzione, la convinzione che gli sviluppi del discorso culturale
e politico successivo hanno confortato e reso
più concreta. Oggi, se da un lato si è radicalizzato il ripiegamento nell'uso tutto prammatico
Xliutrsmrur aimnt dia~w&e brrtrri di dmo+a
<i. Puln Pa<elii m4 (rdeWcnno mruyoo P lr
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e funzionale della vita e quindi il distacco da
una generosa adesione ad un personalismo comunitario, si è anche accentuata una spinta alla partecipazione sempte più ampia alla gestione della vita pubblica e si è pure accentuata la
consapevolezza dei limiti di una società organizzata attorno all'idea di funzione; lo stesso
dramma ecologico è un acuto awertimento di
questi limiti. In tale clima la riproposta del
programma di «Esprit»,quello elaborato da un
gruppo di amici raccolti attorno a Mounier, come risposta alla grande crisi degli anni trenta,
il così detto «Manifesto di Font-Romeu» (redatto tra il 15 e il 22 agosto 1932, appare come
«telaio ideologico, della rivista tEsprit» che inizia le pubblicazioni nello stesso anno), riceve
oggi una rinnovata attualità.
E opportuno ora ricordare le linee essenziali
del programma e dell'opera di Emmanuel
Mounier per misurare su di esso le possibilità di
una sua trascrizione nei termini del nostro impegno, oggi. Una trascrizione affidata alla
creatività di ciascuno e alla maturazione della
coscienza personalistica in Europa ed altrove,
specie nell' America Latina ove il messaggio del
relo cutnulr qunnlo nrurrcric io coriaunii~rereiwitiica, rtir rt<.hrudc In - t ilumo 11 piu pasehtlo
ernmnwv di turi? i si<nr irton:i di Wurìuriane nelPtntem rernru-to ~ b % r ~rl fCRP
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ir>a,urri di gmr,!cschu rtrgarLtzr<irionr Coritr ndare iucr arie prnnlie c olle mllettistra i m l i
iwl rrnirlo sfl'uio i.$ rri R r-iuilr rrwrr la r'mnirniru Eeonailil<n eiiropon' carne dblnbuirc armo~ t ~ w m ~11~
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Comuslrn arnnomlea eurwea de, pnteti 10
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pIfrca<~rn.-ir~011 t + ~ I e r e ~di
s ì fzllr k m l l d i i ~ l t ulonlli del Tern'ano io~iru>irln*Ic
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iii delrpui. del Coriyrrvari itoimri0 di Frapcali r
ai dingrtiti urrprnnorii,not~ del CnMiptto del
Cuoru,,, <JFi<rup~ilcl J dnrinbr~ (P573
--
.
..
.
dall'odierna dolorosa e s a n g u i m a g u o ~ a
saggia. spenrnentale e m3tiira: Snpri disti"GUCre Con linlpidi w h i ia verità dali'apparenza ingannatrice: e aprir& a tenderà l'orn.r'hio alla v a x delle ragione, parevole o
meno. e lo chiuderà alla vuota rdtorica dell'errore; si Iurrnei.L un convinrimmto della
reaila, che prenderi sul serio I'attuQzione dei
diritio r della uiirslizia. n o n solo quendo 3i
tra1Cr:d di esigcre i'sdempirnento del!c proprie. ma anche quando si dovranno soddistare le giurle r i c h i s l e olfrui.
Solo con tali diswsizioni d i animo si m t r i
iiifondero alla sedurente rsprwrione r nuovo
ardinanicnto u n contenuto bcllo, degno.
stahilr, apyiogeinto sulle noime della morali&. e sara sehivatu il pericolo di ronerPirJo C pissinarlo c m i c un meccanismo purainatllo t?;Uarno. imponto con la forza, srnza
sinrerita. senza consc.ntimciit0 pieno. senza
Rima, scnza pace. u'nza dianitii. senza valore.
M a i prerupmate indispena.ibili p e r un tale
~rrdinumrritosono:
I> La vitluriil sull.odio, ehe oggi divide
.
I
popoli ...
SI La vittoria sulla sfiducia, che grave
come ~>esudcpr'imenu? sul diritto iintemazion~lc.rende iriolturibilr ogni veracc intew..
2) 1.a v i l t u r i ~sul fune'to principio che
I'utilrtn G Ii hajc e ia regola dei d~rifti.che
EI-~:;I 11 diritto..
4) La \~,f,lori;rs u quei germi di conflitto,
I presupposti escenzisli di una pace d i i - VI?<<,oni<ct*noin d:\il-g<,iii Il-oppo strirlriili
5~ SI &&ero c r m r e un" q n n i o evroyrf r
sta e diiratura
ncl campzr c1c:i'riririomia niondialc; quindi
PUIIC . ~ I ~ - I cfra
I RCovztilit
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dc Pila%divera 'tic.
un'azir;:>r prr,arc-siw. eqii~librata da r,«r!ih < ~ > r <hi>P"R<'UtI<l
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iflrerri~:tonzlu d e ~ ! rr,:tr& Il
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Drt.tio * <illo ci, e ialtei $1- dttli o n<., pi<nr-$0
.volgrrr: <!r'g!~:irv<.n!nwirt! ri., h:, r;msridato
f.1~11t11entc.
fillixe io! \iolare noli ir!eno
i h P &l l a -,,,<LÌ.rrg
.yll sci11 1.611, 1 1:,i*<11>0
n trnibn piii !r>nt;iriu I'a:turtri<raf.. i plaisleii
I ' < s t i r t i - r <: i:,
%ovraiiit,i drglr Siatt cile la
IL rr>roln io aiiilrrtud<><irdirwla tiwx in vrosx:
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*'si r o i - t r iiuli<lr il Radic~rtrrsrogyar rnfa'izrri
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Uniir p<ilcmirhr npp;i.slunatc delle parti i i i
,h' uwi d i fu',
i o t u siiali s r ~ p ldcll;t guerra1 i' su! rCR0ID,.*i
rtto della p:ic.c enii,rpr srmprc ptii chiai.*
\irta <!unii i ~ ~ r r ~ z v t i i ~ uliiiii<>,
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:n qiislc N-ist.Ri*vrglio della coscienza rrisliana
i.ist,s che tosi I'Eur.up:i Ii::lFrlore alla priri-ra.
P«icilLi i n (;!l ruicn da ijrrnat t r e anni
crin,..
- ...., i niin
. . - ~>utrl,iicir,idindmrii!i. si nf:.«vrint,
(P$,:%te1=:Ir:<r >'M@rh1,e od >intir.trxiruri;!rx.sb~<iiii iri un p:-w:ras<i di l r n i f a r ! t ~ a ~ i i ~
i1 iirondo ia~iauiscr,in urio rti~atiri ma1essr.i.r
Tale.
i i ~ da
ai,; nluir'ato mr-tirnr rzi*op*n v viire r.. i!li~I<<~tv
crl "rt-.i , > i ' v 3 n svnrirri. litul>alilc f r ~
la
coiitia,*<:[>l:n;.rc
linirio
di uiiu o%ir>;i L,pire
ezodr> ir, yli<id,iinqr:i<-iir;wicr,re- <ri:iirn
pncc t l:? giierrr., pli spiriti chiaruvcggctt'atl
I'nrrliric d l , ~ l iSt;iti. si :dli.rr!ia
'ro,,:iri focii. $>rs,:x>aiedi i.it)e 'di ll5<:n>.?(.~7rt!>i~L'Eiir~iliii
cn:.a<rio.i
ci.ri.onir
inrex;\riit<,ment
nuova
, D!r,.rtr*~rii pa-!r:~;i,wnti «I Cori.15g?,r> '11 jxi:;:icn
iii>ii rili.;tiino ..i,
':IIc
rtaiiri prima: un ctii
3roii ai,rr?o(>i in1,-*r?«:ione!i: S,ileli!>r CC i'v'1v i < , verso u n i.:ir.co di siilverra. Mcdidntc
di riui>v:., '11 rniyiio:.:. <!i pii c v ~ ~ t o tdi
o . ol'gacex.ic*!..u di eso,rit:s«-o. s,. urw urii'nl. repr«<:giiu
t>ri'an~<-titc
piii sai:» c Iil><.i.uc fi>rlr: di,\.<' r:pvliili 1cntatii.i d i r:r.one,liallone. d i mr.Li iii; e~,rt,mic~ur:i,rne!i rp;!rirrrb!>e linirilii:~
vivi~lnti,>i>tnfra nazion, diau,i ancora in
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ir unpra:
t'i'<'>l i i d l , i > r i < ~ z x ,IC <IvII<-:EL-Iv. ~.his SI dicor1~ I,*ilt? I<* i:!:,' contro It. alrit.. essi ';i applicano
.:<>i,iii:
~.#tz1i.:infr. 11. #,.ein!., iToiri>$r,~a
(I. ui; in>- .>:ie:?i:
~ P I B < ~ S1111- R U I O ~ PS L ~ L > S C ~li!,
tnaiiile.;!oi>ir.ntc ovp,ir.\i alla litev d*,i 3 ~ i l l i l i t r ri n
::*.ivi t r i c r i i l ~ i i . ~ i r #nt.1l.i iintli tiilli, Sl4rt,,, <.
nfsllv riic fnndaiiicnt~ :, fiii-e di questo
rt,wnt<zrvv<*n,n>cnlt
sriise ritea iiritu rrnii.roii,, uhr rirl>i<sdrlti r:.i1m:olai.e
di
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m n t r a afiitaiiotit un baluurdo
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varie
parti
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~ n i r ~ i l l i c di
. > :!illi i 9tmi
iii pace e la pror.vidrnrtalr prom<itr!re di una
rnc.:; ,'i li.oc!iz<<irq
,;.li'inrrrci I c . s T ~ ~ o ~ *.hl!n'o
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;,!<e
,. ncpl; ~ o p i r<rne<ir<l.<tio
,
fultavia iicl"ir!
r,<,iwii. i r c r * i d Pr, r.onai.ger8,:iz. i iaz*i>t~~lì I'.<spiriiiiorie ;irl iin nuo\.o »rdirinnirnirr. e p,:&iet',ledistr>ns:iinc sii tiitts li) lawla drlla
~,.,>,,S,,'~,<~%
j,>$,,r!i,t:if>.agg ,ln7,r,?,
iut::;<6,:*
lrl'r4
tion rrtl*ticnnv posribili~, o <I*ridei.~hrlr un
LV;.~.; :~<.;itira LI ~ ~ v c ~ * ~ R P+r>if
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..uls<tpggt. sPt,ra r ~ j < i ~, n. s ( ~ ~ i r qla Cll!C8t1
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li v<2?.ebT,cz~;te,,!Q <li ,,t,,.,*:*>
rr,g>f,,,?:<, Ll
pitrn r satnplrrr rrtnrno alle condizioni nnnr:
grtiiic:ic, d.iiit<.lr..ira pursrn,,iiic t e i i ~ l l i .
rr<r!o rinil rlrs yr.i*tdi r>r*orl< ( r lwssu:r8. i . < ? ' . ~ r .
icriori..,
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apc..la!<.i.;iiipr.i.riillanle BI n CO"b!>'l'so
eriislr viaselicca iiazioni. in pnrticolarr, uaiii'il
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22
Mounier, come del resto quello affine e diverso
di J. Maritain, è molto diffuso, assunto quasi
ad indicare la tanto ricercata terza via.
Di fronte alla crisi degli anni trenta, Mounier (era nato a Grenoble nel 1905 e morì a Parigi nel 1950) e i suoi amici additano nella persona il criterio secondo cui elaborare i mezzi
per risolvere la crisi stessa. Il nuovo cogito è la
persona, non riducibile all'individuo né risolvibile nel rapporto sociale. Il personalismo,
concorde col marxismo nella denuncia della società borghese e del suo costume, si differenzia
sostanzialmente dal marxismo per il suo anticollettivismo; la società personalistica è infatti
una società comunitaria, interpersonale. *Rivoluzione personalistica e comunitaria» è il programma di azione del movimento creatosi attorno ad aEsprit~:una rivoluzione morale, non
priva di cospicui risultati pratici, rivolta a porre
al centro del rapporto sociale la realtà della persona.
La persona, nella prospettiva di Mounier, è
una realtà spirituale non isolata nella sua spiritualità, ma incarnata e protesa alla realizzazione di un compito. La persona (che si differenzia dall'individuo la cui dinamica si svolge a livello di interessi materiali e soggettivi) è realtà
immanente al soggetto, ma allo stesso tempo
lo trascende: ala persona è piuttosto una presenza che un essere,. Il mistero suscita unapresenza e la presenza rivolge un appeffo. La risposta all'appello è incarnazione e l'interiorità,
attraverso l'incarnazione, si apre alla comunione. Vocazione, incarnazione e comunione sono
le tre dimensioni del «volume»personale, deb-
COMUNI D'EUROPA
bono essere compresenti poiché solo nel loro
equilibrio si realizza la vita spirituale autentica. Gli esercizi che Mounier indica come necessari al conseguimento della formazione e
dell'educazione della persona stessa sono: la
meditazione per la ricerca della vocazione;
l'impegno per realizzare la vocazione incarnandola nel concreto esercizio di un compito; la nnuncia per rendere possibile la comunione,
l'apertura agli altri che comporta la rinuncia ai
particolarismi ed agli egoismi.
L'articolo programmatico di Mounier, comparso nel primo numero di «Esprit», è Refaire
fa Renaissance. L'umanesimo nuovo, ossia il
personalismo, deve avere come suo primo compito quello di «dissociare lo spirituale dal reazionario~,contro I'alleaniza tattica delle forze
spirituali con il decadente mondo borghese.
Occorre ritornare ad un sano realismo, riabilitare l'idea comunitaria, purificare la cattiva coscienza rivoluzionaria che contribuisce ad attardare la realizzazione de1l:a persona. I modi per
il darsi di un'autentica rivoluzione sono quelli
conformi alla persona e alla comunità; essi sono rivolti alla realizzazione di una città armoniosa ove la persona trovi il suo centro e realizzi
la sua comunione. Tale società, a rigore, trascende la storia, ma tuttavia costituisce un
ideale morale per l'impegno, anche nelle sue
determinazioni pratiche. E una rivoluzione disinteressata poiché chi la compie comincia col
rivoluzionare se stesso, ed il risultato finale è
positivo solo se reca a tutti la gioia di partecipare alla società-persona.
La rivoluzione spirituale da prepararsi a lun-
dicembre 1982
ga scadenza comporta un rinnovamento interiore e la fede viva di una e3te di testimoni della verità. Le masse, secondo Mounier, saranno
galvanizzate da tale testimonianza e verranno
rigenerate in una struttura comunitaria ove
l'«avere», la ricchezza del borghese, cederà il
posto all'aessere~,la realtà del cristiano. Preparare una simile rivoluzione comporta un triplice impegno: un impegno di denuncia, un impegno di meditazione, un impegno di efaborazione tecnica. I1 programma così elaborato presuppone una audace concezione della esperienza cristiana. Il cristiano riconosce se stesso in
una prospettiva di uottimismo tragico», ossia
nella coscienza della drammaticità della situazione che lo investe, quanto del sicuro sbocco
positivo della storia in chiave escatologica. I1
cristiano non è il capitalizzatore di facili meriti,
ma un'atleta vigilante sullo sfondo delle grandi forze spirituali e delle forze negative in cui si
situa la sua esistenza. Le virtù del cristiano non
sono quelle di un rinunciatario ma quelle di un
testimone eroico. Occorre risvegliare nel cristiano di oggi l'architettura morale che la Patristica e i grandi santi del Medio Evo sapevano proporre. In quell'architttura si definisce I'esperienza cristiana come avventura, come radicale
presa di posizione di fronte alla vita: un cristianesimo senza santità è un cristianesimo incompiuto e non c'è santità senza audacia e senza
fortezza. Con questa delineazione di una spiritualità cristiana personalistica Mounier intende
anche dare una risposta alle aspre critiche che
al Cristianesimo sono state rivolte da Marx,
Nietzsche e Freud.
L'«ottimismo tragico, che caratterizza la visione storica del Mounier gli permette un giudizio sul nostro tempo. Il mondo contemporaneo è intento a stordirsi nell'irrazionale e
nell'attivismo inconsulto. Il secolo XX ha una
sua upiccola paura>s: teme la propria distruzione. La sua paura è upiccola», ossia è una paura
priva di quel senso di grandiosità magnanima
che caratterizzò la agrande~paura dei cristiani
nell'età medioevale attorno all'anno Mille. La
predicazione della fine del mondo coincise con
un grande risveglio della società poiché i cristiani di quei tempi, ricchi della loro fede nella
trascendenza della vita, vollero giungere davanti a Dio con le mani ricolme di opere. Occorre oggi risvegliare le *grandi» paure e riscattarsi da quelle «piccole». La rivoluzione personalistica è naturafiter cristiana, si matura nell'accettazione di uno scacco, ma vive in un clima di speranza; ha il senso dell'awentura (I'affrontement chre'tien) e la capacità di dominare
gli eventi con la propria generosità e fiducia.
Il messaggio personalistico e comunitario ha
avuto echi anche in Italia, ad esso si è in parte
ispirato pure il Movimento di Comunità fiorito
attorno ad Adriano Olivetti. La sua riproposizione oggi è quanto mai ardua; attuali e inattuali insieme, il programma e il messaggio personalistici costituiscono un termine di confronto per un serrato esame della condizione presente e un ideale cui tendere arricchiti da una
esperienza non certo positiva del cammino fatto dagli anni trenta ad oggi ed insieme confermati nella convinzione dell'insuperabile validità di un discorso che si incentri sull'uomo come persona e come destinato a realizzarsi in un
contesto non solo sociale. ma comunitario.
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
23
Una vera moneta per uscire dalla crisi
di Giovanni Mag&co
La caduta dell'economia mondiale nella più
grave crisi che essa abbia conosciuto, dopo
quella che è passata alla storia come Grande
Depressione degli anni '30, continua.
A seguito delle drastiche terapie disinflazionistiche praticate da Stati Uniti, Reano Unito.
Germania e Giappone l'inflazione si può ritenere domata nei principali paesi industriali.
Anche il deficit petrolifero, gonfiatosi dopo la
seconda esplosione dei prezzi Opec, è stato
praticamente riassorbito. Ma gli squilibri
nell'economia reale si sono aggravati. La redditività delle imprese è peggiorata ed esse cercano di ricostituirla tagliando l'occupazione e,
quindi accrescendo la disoccupazione. Le risorse per accrescere gli investimenti, necessari per
combattere in particolare la disoccupazione
aiovanile. sono assorbite dalle eccessive mese
pubbliche correnti e dagli sprechi che vi si accompagnano. L'onere reale del debito si è accresciuto creando difficoltà non solo ~ e ler imprese, ma anche per i paesi fortemente indebitati all'estero e specialmente per quelli in via di
sviluppo, anche se esportatori di petrolio.
Le difficoltà che questi paesi stanno incontrando nel servizio dei debiti esteri hanno fatto
sorgere il rischio di un processo di reazione a
catena, che potrebbe condurre al collasso delle
strutture bancarie e finanziarie internazionali.
Comunque, quelle difficoltà tendono a spingere i paesi produttori primari verso la deflazione; ciò che, naturalmente, non è senza conseguenze per i livelli di attività e di occupaziole negli stessi paesi industriali.
In tale situazione non sorprende che lo stadelle aspettative corrisponda a condizioni
trutturali di forte sottoutilizzo delle risorse
produttive. Piuttosto, l'opinione pubblica nei
vari paesi deve prendere coscienza della circostanza che lo scivolamento verso il protezionismo e il bilateralismo negli scambi commerciali
non è più uno spauracchio, ma una realtà. Il
commercio internazionale ha perso slancio e
non svolge più il ruolo propulsore sulla crescita
delle economie e sull'occupazione come invece
aveva fatto negli anni cinquanta e sessanta, anche a causa degli ostacoli che i paesi frappongono agli scambi con l'estero. Quegli ostacoli non
hanno effetto meno restrittivo per il fatto che il
ricorso ad essi venga presentato dalle pani interessate come una decisiva decisione presa su base «volontaria».
Se i principali paesi industriali non riusciranno a ristabilire le condizioni necessarie per aver
ragione dell'instabilità, degli squilibri e della
lunga recessione produttiva, la ricaduta nel
protezionismo difficilmente potrà essere arrestata; l'espansione del commercio internazionale in un regime di libertà e multilateralismo
degli scambi e dei pagamenti, è una delle condizioni necessarie che non potrà essere soddisfatta.
Contrastare quest'involuzione è fondarnentale; ciò che si richiede è un grande sforzo di
leadership. L'involuzione in corso deve essere
ascritta anche a un difetto di leadership da parte degli Stati Uniti, ma anche dell'Europa.
-
-
1.0
-
L'Europa non può, non deve attendere che
la leadership venga dal di fuori. Essa deve sforzarsi di generare le energie e il consenso, che
sono necessari per l'esercizio di una leadership
effettiva. La sede naturale per organizzarla ed
esercitarla è la Cee.
Nella situazione attuale e prospettica, esistono le condizioni perché la Comunità acquisti
un peso e una dimensione politica di un'importanza che non ha precedenti negli anni trascorsi dalla sua costituzione.
Questo peso e questa dimensione la Comunità potrà acquisirli, dovrà acquisirli, in quanto svolga il ruolo di leader per i paesi membri,
aiutandoli a uscire insieme dalla crisi. Negli
anni trenta, la Gran Bretagna organizzando il
sistema della preferenza imperiale riuscì a riI
I
L
durre i danni della Grande Depressione per sé
e per gli altri paesi del Commonwealth. Nelle
condizioni attiali, la Comunità dovrebbe sottolineare con rinovato vigore la sua vocazione
di strumento per la libertà degli scambi. Mantenendo il libero scambio e rafforzandolo, in
un momento in cui esso viene mortificato e costretto a livello mondiale, la Comunità renderebbe un servizio essenziale ai suoi membri.'
Poiché questi possiedono strutture economiche
concorrenziali che nell'insieme costituiscono
un'area industriale molto vasta, il sacrificio in
termini di efficienza rispetto al libero scambio
con dimensione planetaria sarebbe rilevante,
ma non intollerabile. D'altra parte, l'esistenza
di un polo di scambi liberi, importante come la
Cee, renderebbe il protezionismo chiaramente
troppo costoso e, quindi, meno appetibile per
gli Stati Uniti e gli altri paesi terzi; tanto più
che un polo così importante riuscirebbe ad allargare la sua orbita ai paesi produttori primari, che sono ora associati o potrebbero decidere
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COMUNI D'EUROPA
24
di divenirlo. Si perverrebbe, alla fine, a
un'area integrata di vaste dimensioni, che al
vantaggio della concorrenza unirebbe quel1,o
della complementarietà delle economie dei
paesi membri industriali, da una parte; di
quelli produttori primari, dall'altra.
La libertà degli scambi non può alla lunga
essere mantenuta senza assicurare un minimo
di ordine monetario e valutario. Attraverso svalutazioni competitive dei tassi di cambio si può
recare danno alla struttura degli scambi al di là
delle frontiere, in maniera più diffusa e rapida
di quanto sarebbe possibile fare manovrando
gli stessi dazi doganali. Allorché lo Sme fu costituito, meno di quattro anni fa, l'esclusione
delle svalutazioni competitive veniva citata dai
suoi fautori come uno degli obiettivi da perseguire per il suo tramite. Ma l'argomento era
giudicato di scarsa o punta rilevanza, tanto
sembrava remota dalla realtà la manovra del
cambio ai fini di una concorrenzialità aggressiva. Oggi, il rischio di svalutazioni competitive
è molto elevato e ciò conferisce nuova attualità
all'impostazione che condusse alla costituzione
dello Sme.
Ma, il capitale di credibilità, che lo Sme era
riuscito ad accumulare nei suoi primi 2-3 anni
di vita oggi è in buona parte sperperato.
Le variazioni dei tassi centrali sono divenute
più importanti e più frequenti. Ciò è in contrasto con la lettera e lo spirito dello Sme, il quale
è si abbastanza flessibile per consentire gli adeguamenti dei tassi centrali coerenti con I'evoluzione delle variabili economiche fondamentali,
ma ha come obiettivo nel medio periodo di
rendere omogenei gli andamenti delle economie dei paesi membri, in modo da ridurre il
bisogno di ricorrere alla manovra del cambio.
Vi è il rischio che i movimenti di capitali, i
quali nei primi tre anni hanno avuto tendenza
a compensare i disavanzi nelle partite correnti
dei paesi partecipanti, tornino ad amplificare
dicembre 1982
gli squilibri di bilancia dei pagamenti e, alla fine, le variazioni dei tassi di cambio. La ripresa
della speculazione destabilizzante è la conseguenza del fatto che i governi di alcuni importanti paesi membri hanno ripreso a comportarsi, nelle decisioni di politica di bilancio e creditizia, in maniera incoerente con l'assetto dei
cambi che essi hanno sottoscritto meno di
quattro anni fa; senza denunciare formalmente
l'impegno aiiora assunto con la costituzione
dello Sme, di fitto non lo rispettano. Poiché
l'inversione di rotta verso politiche - specialmente quelle di bilancio - più permissive interviene in una fase in cui i paesi, i quali hanno
mantenuto con coerenza l'impostazione antiinflazionistica delle politiche monetarie e di
bilancio, cominciano a raccoglierne i frutti e
stanno ora riuscendo a liberarsi di radicate
aspettative inflazionistiche, la divergenza nella
aperformance~economica rispettiva dei due
gruppi di paesi, nello Sme, tende a crescere più
rapidamente. È questa evoluzione contradditoria che crea le premesse per la ripresa su larga
scala dei movimenti di capitali speculativi.
In queste condizioni, per la soprawivenza
dello Srne è necessaria una svolta che si articoli:
a) in un potenziamento significativo degli suumenti a disposizione del Sistema monetario
europeo per promuovere una maggiore coesione monetaria; b) nella finalizzazione dei nuovi
strumenti alle esigenze dei paesi disposti a
orientarsi decisamente verso la stabilità.
Per quanto riguarda il potenziamento degli
strumenti a disposizione dello Srne, un Fondo
Europeo che fosse facoltizzato a effettuare interventi sui mercati dei cambi e operazioni di
mercato aperto sui mercati monetari della Comunità permetterebbe di assorbire l'urto di
movimenti massicci di capitali speculativi con
danni minori per la stabilità dei cambi e delle
condizioni monetarie interne. Le operazioni di
mercato aperto utilizzerebbero come strumendal quartiere alla regione
per una GomunitB europea federale
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DI COMUNI.
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REGIONI
to titoli emessi dal Fondo Europeo e denominati in ECU;esse sarebbero condotte sui mercati
nazionali, che si trovassero esposti a ondate
speculative, con l'obiettivo di sterilizzare gli
afflussi indesiderati.
11Fondo Europeo dovrebbe essere facoltizzato, inoltre, a compensare i deflussi di capitali
da un paese partecipante verso altri, ossia ad
acquistare la moneta Sme che fosse venduta, e
fosse quindi debole, per effetto di movimenti
speculativi. Allorché si sviluppasse un mercato
dell'Ecu, le banche centrali partecipanti, le cui
monete fossero forti, acquisterebbero (e accumulerebbero) ECUcontro l'offerta da parte loro
delle rispettive monete, mentre il fondo europeo acquisterebbe le monete partecipanti che
fossero deboli in termini di ECU,riscostituendo
nella misura di volta in volta ritenuta opportuna le riserve dei paesi in deficit.
Un sistema di questo tipo sarebbe dotato degli strumenti capaci di fronteggiare la speculazione; ed è verosimile che, con la crisi di credibilità che si va ora delineando, la speculazione
assuma dimensioni tali da richiedere un sistema di questo tipo per il mantenimento dei vincoli di cambio introdotti dallo Sme. L'ostacolo
alla sua accettazione è costituito dal fatto che
esso appare troppo permissivo. Esso in effetti lo
sarebbe, se fosse applicato senza che fosse ridotta, allo stesso tempo, la capacità dei governi
di alimentare l'inflazione. Perciò, esso è proponibile solo in quanto si riesca ad apprestare
un sistema di garanzie che impediscano un accrescimento della permissività monetaria
nell'area Sme. A tale scopo, potrebbe essere
previsto l'impegno dei governi a rinunciare al
finanziamento monetario dei disavanzi di bilancio e a contenere progressivamente, secondc
un programma da stabilire, il ricorso al finan
ziamento quasi monetario; i governi si impe
gnerebbero altresì a ricondurre gradualmente
l'espansione della spesa pubblica entro il limi
te dell'incremento, in termini reali, del pradotto interno lordo. Le facoltà, che qui si propone di attribuire al Fondo Europeo, dovrebbero poter essere attivate solo nei confronti dei
paesi i cui governi accettassero di auto-limitarsi
nella politica di bilancio e finanziaria.
Una svolta di questo tipo richiede, verosimilmente, una spinta politica di portata comparabile a quella che rese possibile I'awio e la
conclusione positiva del negoziato sullo Sme.
Sotto questo aspetto, le condizioni attuali non
appaiono promettenti; ma senza questa svolta,
la soprawivenza stessa dello Sme è in pericolo.
Una dissoluzione dello Sme vorrebbe dire che
un diverso approccio dovrebbe essere ricercato
per una politica comunitaria dei cambi, perché
una situazione di laissez-fare per le singole
monete nazionali non è compatibile con la soprawivenza del mercato comune, in condizioni di forte instabilità economica e finanziaria
come quelle attuali.
Ritengo che fra non pochi politici europei vi
sia la percezione del fatto che la crisi attuale offra l'opportunità alla Comunità di divenire
una realtà politica determinante. Per farlo sono
necessari consenso e sostegno popolari nei paesi
membri. I federalisti italiani dovrebbero agire
in funzione catalizzatrice, proponendo I'analisi della situazione e le misure qui appena abbozzate.
COMUNI D'EUROPA
dlcernbre 1982
25
Non solo idee ma fatti
di Maria Luisa
Cassanmagnago
dei Trattati. Noi vogliamo adesso dire ai sindaci, ai presidenti delle amministrazioni provinciali, ai presidenti di Regione: dateci una mano
penhé questa riforma non sia un fatto deciso
in una stanza del Parlamento Europeo, ma verificata con la gente, per crescere con loro, per
mettere in corsa una riforma più partecipata,
non fatta soltanto dagli addetti ai lavori. Questo ci interessa, e vorrei sottolineare che la nostra riforma non è di vecchio tipo, ma ha quattro capitoli importanti: la parte monetaria, la
parte sociale e occupazionale, la parte giuridica
strettamente detta. collegata ai Trattati, la parte di sicurezza collegata al tema della difesa.
Sono solo dei capitoli che sembrano avere dei
nomi astratti, ma, concretamente, l'ordine
pubblico e la difesa sono fatti che devono partire da ogni cittadino, da ogni comunità farniliare, e quindi mi sembra importante che questi discorsi circolino nella prima comunità intermedia, il Comune.
Per concludere, ed è una mia profonda convinzione, se per esempio la Regione Emilia, la
Lombardia, il Piemonte, la Liguria od il Veneto intuissero che le prospettive economiche sono anche collegate allo sviluppo dei paesi di tipo africano, di tipo caraibico, e improntassero i
loro discorsi non soltanto in termini di concorrenza all'interno dei dieci, ma si ponessero partendo dalle risorse che ci sono nei paesi in via
di sviluppo, per aiutarli a crescere personalmente e a produrre uno scambio reciproco, tutto questo produrrebbe anche dei momenti oc~
cupazionali
da. parte nostra. Perché, far crescere dei cittadini non significa soltanto far circolare delle idee, ma anche delle prospettive economiche.
Ritengo molto importante fare un dialogo spazi anche al di fuori del territorio nazionale.
con gli amministratori locali intorno al tema La Comunità finanzia corsi e scambi di giovani
Europa e cittadini europei. Il problema euro- che vogliono fare una sperimentazione al di
peo deve essere rimesso in corsa anche dal pun- fuori del paese d'origine.
to di vista culturale, collegandosi al tema di
Ho fatto questi primi accenni di tipo operarealtà locali che esigono un allargamento in tivo in relazione alle poche cose che oggi la cotermini di spazio. di territorialità, dato che in
sostanzialmente legate
fa, e che
ogni paese risulta che i giovani. le donne non alla politica agricola, alla politica di formaziohanno una professionalità. o addirittura un'oc- ne e per 1, prima vol,a alla politica regionale;
cupazione.
anche se intorno al tema della politica regionaCosa significa ciò? Significa che occorre aprile abbiamo purtroppo messo insieme le briciore le porte del proprio paese verificando un
le dei denari, mentre, al contrario, con un fimercato più ampio e verificandone le prospetnanziamento proprio della Comunità, la scelta
tive. Proprio facendo questo discorso ci accorpolitica nuova dovrebbe passare attraverso le
giamo che in Europa la disoccupazione sta dizone più povere di pc~liticheregionali, ma che
ventando strutturale: come possiamo capovolcoinvolgerebbero tutta la crescita della Comugere questa tendenza? Prima di tutto facendo
nità, partendo anche dal problema culturale,
appello alla solidarietà dei datori di lavoro per
formativo ecc.
degli investimenti precisi, ma anche degli ocC'è infine la politica energetica7che ha me'cupati, perché non si può tollerare che una persona abbia tre lavori ed untaltra non abbia mai SO sostanzialmente in ginocchio l'Europa, e per
la quale ci 'Ono veramente quattro lire. In
incominciato ad averne uno.
T~~~~ciò deve avere naturalmente una pre- realtà facciamo finta di dire che c'è una politiquesto
Europeo-quemessa di tipo formativo. La telematica, la robo- 'a' ma
sta
Comunità
può
andare
avanti
così com'è?
tica stanno andando avanti, il Giappone sta inanche
se
è
diretta
da
Trattati
che
hanno un
gorgando il mercato europeo, gli Stati Uniti,
significato,
mache
nel
1982
devono
essere
riveche hanno molte possibilità di investimenti,
rificati
in
relazione
a.1
cambiamento
che
stanno correndo dietro a~ ~
i Q~~~~~~
~
~
~
~è in
Europa non può più far finta che tali cose non
esistono, ma deve produrre delle scelte di forI1 Parlamento Europeo ha approvato, il 6 lumazione collegate ai nuovi strumenti. l1 Parla- glio 1982, una bozza di proposta di revisione
mento Europeo, e in particolare la Commissio7
ne esecutiva, già finanzia dei progetti di forD~W.
e k & t n . : Plaaa dt frevl, 86 - MI187 Roma
AHNO xxx - N. 7.8 t u @ b ~ g o t i t o1%
mazione in alternanza, di formazione collegata
S@@alow f n a W n a m e n l o poslald - GNWO liU70 2
- - ---------alla telematica. Il vero problema è verificare se
le Regioni, attraverso dei progetti precisi, possano divenire degli interlocutori all'interno
della Comunità europea. So pur bene che sarebbero svantaggiate le zone sottosviluppate,
però l'Italia arrischia di essere lo stato che non
produce una progettualità, nonostante I'insostenibile numero di disoccupati.
un secondo problema intorno al tema
ORGANO M E N S I L E
DELL AICCE
ASSOCIAZIONE
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1
dei giovani e delle scelte professionali, sempre
connesso allo studio della territorialità. Il problema dell'occupazione è collegato ai momenti
operativi del territorio, ad esempio intorno al
tema dell'artigianato, della piccola e media industria, della cooperazione. Se ci sarà una progettualità intorno a cooperative di servizi, cooperative culturali, la Comunità sarà sempre disponibile per finanziare questi progetti. Tutto
questo però deve essere collegato a domande
che passano attraverso la Regione per arrivare
poi ad avere i finanziamenti della Comunità.
Ancora un problema, a mio modo di vedere
estremamente importante, è cercare di parlare
con i genitori, perché nella formazione dei propri ragazzi tengano presente la formazione del
cittadino europeo. Vedo in genere questi ragazzi come la sommatoria della società dei consumi; se avessero meno cose ma avessero ottenuto da parte dei genitori più capacità intorno
al tema della seconda lingua, della terza lingua, avrebbero la possibilità di poter circolare
come cittadini europei e poter trovare degli
dal quartiere al(a regione
per una C o t n ~ i n i t aeuropea federale
UNIT4RIA
DI
PROVINCE
COMUNI
REGIONI
Appello ai Comuni e a tutti gli Enti locali e regionali
europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il
problema dell'organizzarione della pace
la b m b i atomica C gli drri rerrtbiii rrrunicntz rhc IJ tecndi&gxdcontemfxicinea ha mrsso a dtspnsizione pnina di alcuni Stati. poi di un numcrn umpre rndggiuie di so14e, rnhne, mitterb a
d i s p o s i z ~ oanche
~ di c$strrtrc orgdnllzAri<miternitrctichc extra-+tatudi, fermo a che i1 pmhlcma
della pace fra 811Stati e glr u»niini e d i l h sud orpdnrrzrzione s pngd orin& rame aw>luidmcnre
pnmiiano per Is continuanone di una roiivivenza nuik F per LA s t a WprAvriveaka
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~ o specie in un mando che &b i p o i a ~IM arqututo inevmib8lii1en
re un
muttipuiarc. FI iato per un p=g10 dsi~dpn~ir~rd
di pi>tcnz~
- C na piiw di P I ~ C , ,
aa ma d u p i r w n c di una idedugia - a und ptliina di ncgoaiafo p m r i c n t e e di gcsiione
comune dei pù wotrauti problemi inremasonaki. dal h r m o alta cIimii~azioncdcitf3me b l l a
eyur dismbuziunc deUe rrtcherre dcl frtndo deelr ( T C a~l h miraguardia dcli'manrema plrnctano Cna cultura rkila p x e SI &te foimaw ai di ropn dn b k h r e d d k diririon~>dco%ichc c
reti^. e q w t a nnn può che rominnare c d diffondmi oiunquc &l12 p i a cmncnza degli
aq>eni rcmbili della puern moderna, anche solo can~rnzionak o6 liropm ~ ~ lfw
i rsiorna in
cui UM> xegULlto wlupyo t~ sta per offrire in taluni Paesi qgjlomeni~umani di olrrc wm<z niiIwtn di v n c - N C I drffusioncdi
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q u a m cultura una gran* mlxsiunr ~ p c t uAI Ciimuni e a
tutte k Cnmun115 di bm, che nncendo con c<>~gg(o
m s t e n z r e pregiudizi dcbbomb inconirdrri
su mia intcrnariunde c r t n d m ~panmpr cimndevolmcnte d e k Tmprie g n inquicru&ni
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acri
n n d o a propatc c«mmc PCI 11 s u ~ t ~ m r nddi8tyui~ibrio
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dei rcrriire
S u h h w q u a t o q d ~ ~i e n r n l di
r azione t di d r n i o n e gli incontn fra G m u n i C ali% Co
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inntonalc &i < unrigho d'Eurtip3 e InCOI I"ù della CmunitP cumpra debbono avcrr 1x11 un r a n t t n c spcoaitn. &F &l rnro nrnr<ia
I'upctlo r-rrdrcensrun wl qwle iumno I&A~I I gemdla.qgi oiiic trcnr anni té, <i&la drfiniiiv~tic o n a l r a z m , et!a dtmocnzaa coninne, tin P ~ Aruropa
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che a r n i n < in i e i u r o m n le ~nmdirpui r pr h due ~ 1 4 r eund guerra niandilk k r n & le ind~raewnidel Consigli<idn G m u n i
d'E~ropa,nbadtrc c ap~rnfwdirc<tgli Frati pntrdii <thfednd (wttenibw 1981). gemehgpi
e u m p d e b b n o cmint~uirca p»musiqrrc l'unii3 palioca C rIenlorrat~oMl'Eurupa
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pdla Pmd'Europa che a a tmttrnta dispnnihilt rcw d a r intenti Il pnmn che qurrca untta
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COMUNI D"EUR0PA
26
L'ordinamento comunale in frantumi
di Augusto Todisco
Scriveva Adriano Olivetti nel 1958:
«Non si dimentichi che nella grande opera di
rinnovamento urbanistico promossa dal Governo britannico si sono studiate tutte le circoscrizioni di autogoverno nel senso di renderle più
omogenee rispetto alla popolazione, contenendole in una unità compresa fra i 60.000 e i
250.000 abitanti, dimensionamento che appare anche per il nostro Paese sufficientemente
elastico e capace di dare alla organizzazione del
lavoro di pianificazione urbanistica quelle coerenze attualmente ardue e faticose*.
Questo criterio è stato al centro del dibattito
politico-culturale che si è andato svolgendo in
questo ultimo decennio, sul tema della dimensione ottimale del governo locale. E variata nella considerazione degli studiosi la misura. La
unità di base è però rimasta così dimensionata
con margini di minore o maggiore approssimazione. Si è insomma affermata la convinzione
che solo uno spazio territoriale ottimamente
organizzabile possa costituire il perno di una
politica autonomistica basata sull'armonizzazione delle diverse componenti: amministrativa, economica e sociale.
Se si considera l'ampiezza demografica degli
8.086 Comuni italiani, solo 116 sono i Comuni
che presentano una dimensione conforme al
paradigma ottimale. Essi raccolgono complessivamente oltre 10 milioni di abitanti con una
escursione che va da un minimo di 50.000 ad
un massimo di 250.000 abitanti. I Comuni che
superano l'ampiezza dei 250.000 e vanno oltre
i 500.000 sono 14 con una popolazione di circa
i i milioni di abitanti.
Circa 35 milioni di abitanti sono distribuiti
in 7.950 Comuni, ciascuno dei quali è al di sotto dei 50.000 abitanti: di questi poi 4.728, (il
58,50% del numero totale) sono sotto la soglia
dei 3.O00 abitanti.
Una vera e propria costellazione di microComuni rappresentativa di una realtà ordinamentale in frantumi.
Sulla necessità di operare una necessaria ricomposizione si sono espressi unanimi consensi. Non si è ancora daccordo sui modi e sulle
formule organizzatorie. Il tema è rimasto così
circondato da ambiguità ed incertezze.
Nel frattempo, la situazione dei Comuni si è
aggravata sotto il profilo funzionale, tecnicofinanziario, democratico ed è destinata a peggiorare.
La vita locale infatti si va di continuo arricchendo di complessità e tende a realizzarsi attraverso una fitta rete di transazioni che intercorrono tra una molteplicità di attori sociali.
Alcuni di questi si identificano con le istituzioni delimitate dal territorio comunale per quanto infimo esso sia. Altri attori sociali sono al di
fuori del territorio del Comune, ma ciò nonostante attivamente coinvolti da relazioni di interdipendenza e di connessione in ogni forma
di vita comunale.
La necessità di gestire e controllare queste
complesse relazioni ha generato un affannoso,
talvolta contraddittorio, ma vitale associazioni-
smo tra i Comuni, i quali1 quanto più sono aPparsi condizionati dai rispettivi contesti strutturali, tanto più fortemente hanno awertito la
sollecitazione a farsi promotore, nei limiti delle
possibilità strumentali e normative esistenti, di
strutture alternative, spesso non ufficiali, per
svolgere in forme di cooperazione funzioni sociali essenziali.
Il costo di questi sforzi è molto alto. Di qui
l'urgenza di intervenire con propositi di riforma: o per ricomporre la Frammentazione stmtturale dei micro-Comuni attraverso la fusione,
o per accrescere la capacità di funzionamento
del sistema attraverso forme moderne di associazionismo istituziona1i:zzato.
La fusione per legge di più Comuni in un
unico Comune fu tentata dal fascismo. Non
ebbe successo. I Comuni obbligatoriamente
unificati ritrovarono con la caduta del regime
la propria identità.
La fusione non può essere neppure ipotizzata come spontanea decisione delle comunità locali. L'antica origine dell'ordinamento comunale, la persistenza millenaria in più di un caso
degli insediamenti abitativi, ciascun carico di
una propria storia, la radicata psicologia decentratrice che informa di sé i modelli di vita urbana costituiscono un ordine di difficoltà imprescindibili perché si possa attivare un processo di
aggregazione che passi attraverso la fusione.
Ove fosse tentato, piuttosto che innovare,
un siffatto processo distiuggerebbe quanto di
vivo è ancora possibile ritrarre dalla vita locale,
in forza del suo radicarnento sul sentimento
della «piccolapatria>.
Il problema, per contro, è proprio quello di
salvare queste radici di d'fettività e costruire su
di esse una solidarietà comunitaria, con uno
sforzo di elaborazione culturale e con un vero e
proprio lavoro politico.
Per questa via dovrebbe rendersi possibile la
organizzazione, la centralizzazione, il mantenimento in buone condizioni di funzionamento di quei «frammenti di potere* che si trovano
dispersi nell'ordinamento locale.
Alla elaborazione culturale e alla solidarietà
fondata su di un comune sentire politico, può
fare da motore I'associaziionismo, a condizione
però che esso sia libero di esprimersi in forme
istituzionali coerenti e durature.
L'associazione di Comuni, polifunzionale,
coincidente con un «optirnumu spazio vitale organizzabile, può in questa prospettiva diventare la struttura tecnico-funzionale e politicorappresentativa del livello-base di autogoverno.
Rappresenterebbe in questi casi una comunità autonoma territorialle più vasta, ma anche
e soprattutto una comunità democratica. Infatti, secondo una affermazione del Kelsen, «più
unità autonome, raggruppate in una «unità
autonoma superiore* garantiscono che «l'amministrazione sia democratica non solo nello
stadio inferiore, ma anche in quello superiore*.
Ma è una prospettiva, quella qui indicata,
che non sembra affatto condivisa dallo schema
dicembre 1982
di disegno di legge approvato solo di recente
dal Consiglio
dei Ministri ed avente come oggetto il nuovo ordinamento delle autonomie
locali. I1 fatto sorprende per due ragioni: una
perché al problema della ricomposizione dei
micro-Comuni il disegno pretende di dare una
risposta; l'altra perché l'elaborazione del testo
sembra abbia voluto ispirarsi al [icco dibattito
svoltosi sul tema nellpambizione dichiarata di
mediare ogni possibile divergenza,
nor li comunque siano state le intenzioni,
sta di fatto ,-he il disegno di legge lascia irrisolt. il problema del sotto~imensionamentodei
Comuni, vale a dire la questione centrale dell'ordinamento autonomistico~
~ ~ fcome
~ uniche
~ ~ ipotesi
i , di cooperazione
intercomunale, sono indicate le «convenzionip,
sostitutive dei vecchi consorzi; con esse i comuni dovrebbero concordare forme e modi di
gestione congiunta di servizi o di utilizzo di
beni: le «intese» dirette a delegare alla Provin,ia [innovata specifiche attribuzioni; «forme
associativeBcondizionate a fini di fusione.
particolare, associazione intercomunale, con
caratteri polifunzionali, può essere costituita
solo tra Comuni aventi ciascuno una popolazione inferiore ai 3,000 abitanti, a condizione
,iano disposti a sperimentare la
,he
borazione per un periodo massimo di un de.cennio allo scopo di fondersi in un unico co.
mune.
Alla fine del termine, a associazione è sciolta
ove non intervenga la fusione con il voto favorevole delle popolazioni interessate, chiamate
soluad esprimersi mediante referendum.
zione ipotizzata è un compromesso tipico dei
«politici del potere,: non stabilisce la fusione,
non consente l~associazione,volontaria o obsia, permette solo l~associazione
bligatoria
finalizzata alla fusione.
Non è difficile prevedere che buona parte
hanno i redei Comuni italiani, tra quelli
quisiti demografici e quindi il titolo a unificar,;, [imarranno per le ragioni naturali di attaccamento alle proprie radic, primarie in una condizione di permanente debolezza strutturale;
continueranno cioè a rappresentare i «comunidellvordinamento, senza alcuna passibilità reale di adattamento dinamico alla
plessità della vita locale.
Una associazione non può nascere sul presupposto di una fusione per quanto differita,
anche a questo proposito non si
A meno
voglia legittimare un comportamento ispirato
alla finzione. I comuni cioè si associano fingendo di volersi fondere. Ma dieci anni nella
,ita di una istituzione sono pochi per un giuoco a dir poco picaresco,
~ 1maggior
1 ~ parte dei comuni italiani, non
resterebbero che due sole possibilità: convenzionarsi o delegare proprie funzioni alla provincia.
~~1 primo caso, il convenzionamento avrebbe una portata scarsamente incidente sulle condizioni di funzionalità delle amministrazioni.
~~l secondo caso la possibilità di delega di
funzioni o attribuzioni proprie alla Provincia,
per quanto subordinata al conseguimento di
.inteseB tra i comuni interessati, potrebbe'innescare un processo di espropriazione latente
di compiti comunali da parte della Provincia
(continuazztone apag. 31)
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
decentramento
I1 decentramento amministrativo, assieme
alle nazionalizzazioni, è stato uno degli impegni maggiori del candidato Mitterrand, attuato
nei più brevi termini dopo che il paese abbia
dato al nuovo presidente una eccezionale maggioranza parlamentare.
Discusso speditamente dall'Assemblea nazionale, criticato, emendato dal Senato, il progetto è diventato legge il 2 marzo 1982. La legge però definisce solo le nuove istituzioni, l'organigramma delle collettività territoriali, e rimanda ad altre leggi la ripartizione delle competenze decentrate (progetto attualmente in
dibattito e adottato in prima lettura il 2 dicembre 1982 dall'Assemblea nazionale) e la definizione delle entrate delle varie collettività. I1
Governo ha voluto mettere subito sulle rotaie
la «locomotiva;e, come ha detto lo stesso G.
Defferre, delle Grandi riforme, rimandando a
più tardi le difficoltà.
La riforma delle istituzioni porta, infatti,
grandi innovazioni. Le leggi del 1800, 1871 e
1884 sulle quali riposava la relazione tra centro
e periferia, orchestrata in modo da salvaguardare in ogni caso la centralità dello Stato, sono
profondamente modificate. La collettività fin
ora più decentrata, il comune (elegge il suo
consiglio e il suo sindaco), non è più sottomessa alla tutela sugli atti e sulle persone da parte
del prefetto, rappresentante dello Stato nel dipartimento, controllo che poteva venire esercitato anche ea priori,, cioè prima che il progetto
di decisione diventasse esecutorio. Ormai il
controllo è solo a posteriori e viene esercitato
dai magistrati nel tribunale amministrativo.
Più profondo ancora è il cambiamento a livello dipartimentale. Il Presidente del Consiglio dipartimentale, già eletto a suffragio universale, diventa capo dell'esecutivo del diparti-
Francia
27
Questo primo passo verso un decentramento
generalizzato a tutte le collettività territoriali
di Anita Garibaldi Jaliet ha sollevato molte speranze in chi crede che
l'Europa si costruisca, appunto, sulla base
mento, a scapito del prefetto che gli ha già so- dell'emergenza dei poteri locali, specie dei polennemente trasmesso i poteri sui servizi dipar- teri regionali. Ma credo che la prudenza ci imtimentali. La tutela sugli atti e le persone pone due considerazioni.
scompare anche a questo livello per andare in
I1 decentramento in Francia è sempre stato
mano ai giudici amministrativi, e solo a poste- concepito in una relazione di equilibrio con
riori.
l'accentramento, che è la tendenza naturale di
La vera erivoluzionen sta forse nella emer- uno Stato burocratico fortemente strutturato
genza di un istituto quasi nuovo, la regione, ed efficiente. Se la necessità è stata sentita da
che sarà dotata della personalità morale che fin tutta la classe politica per rimediare ai rischi,
ora non aveva, eleggerà la sua assemblea e il ormai quasi realizzati, di bloccaggio della sosuo presidente, tutto questo nel 1984 o 1985.
cietà, il suo scopo è di equilibrare l'accentraLo schema del decentramento si vede, ma il mento che necessariamente dipenderà dalla
punto nero rimane la futura relazione tra le politica di pianificazione dell'economia, dalle
collettività, anche perché i legislatori non han- nazionalizzazioni, dall'estensione del pubblico
no creduto, per ragioni politiche, di poter mo- impiego. Ma non si tratta certo di decentradificare la mappa comunale. I 32.000 comuni mento in assoluto. D'altra parte, le decisioni
con meno di 500 abitanti (su 36.400) hanno del Consiglio costituzionale del 25 febbraio
bisogno dell'aiuto dei mezzi tecnici del dipar- 1982 relative allo statuto della Corsica, attuato
timento, e per esercitare le nuove competenze, prima degli altri statuti regionali per ragioni di
(alloggio, occupazione dei suoli, fondi rustici, emergenza politica, e del 2 dicembre 1982 reapprendistato), non potranno fare a meno di lativi allo statuto dei dipartimenti d'oltre maappoggiarsi alla nuova Agenzia dipartimentale re, hanno ribadito con forza il principio della
sorta, a loro richiesta, per sostituire i prefetti e Repubblica «una e indivisibilen, della sovranità
vice-prefetti nella funzione di consiglio.
interna dello Stato e della rigorosa uguaglianza
A livello di dipartimento, l'ex-prefetto di- da osservare tra tutte le collettività nella relaventato Commissario della Repubblica, rimane zione con lo Stato centrale. Queste decisioni
capo dei servizi dello Stato. I1 dipartimento sono una premessa interessante ai principi che
avrà competenze in materia di giustizia, poli- saranno senz'altro sviluppati, in condizioni pozia, trasporti. Come saranno le sue relazioni litiche simili, in quanto riguardano la salvacolla regione, che sono competenti in materia guardia della sovranità esterna dello Stato. La
di cultura, educazione, ma soprattutto di pia- centralità dello Stato nel sistema di potere per
nificazione economica? Lo sapremo quando ora non si è scomposta.
Ma forse il decentramento chiede tempo. Si
sarà conosciuta la di:stribuzione delle entrate. Il
ministro dell'lnterno e del Decentramento ha può confidare che il nuovo sistema favorisca
fatto la promessa di entrate tributarie nuove l'emergenza di una nuova cultura portata dai
per le collettività decentrate, oltre ai contributi nuovi detentori del seppure ristretto potere lodello stato, ma tutto sta, ovviamente, cale, più vicina agli ideali del federalismo e di
nell'equilibrio futuiro tra le due fonti del pote- una gestione democratica del destino individuale e collettivo.
re reale.
28
COMUNI D'ELIROPA
dicembre 1982
11 contributo di «Comuni d'Europa)) per
l'affermazione del paradigma europeo
di Gabriele Panizzi
Avevo conosciuto Umberto Serafini ad Ivrea
nel luglio 1955, in occasione di un corso di formazione di quadri dirigenti del Movimento
Comunità.
Lo incontrai nuovamente a Francoforte sul
Meno in occasione dei 111 Stati generali del
Consiglio dei Comuni d'Europa, dove egli fu
relatore su <I Comuni e l'Europa di domani,
(io mi ero recato a Francoforte al seguito di Renato Briigner, da poco eletto consigliere comunale di Terracina nella lista del Movimento Comunità. Briigner era un convinto autonomista
ed un europeista pratico e mi aveva prescelto
come suo successore: fui eletto consigliere comunale di Terracina, nella lista del PSI nel
1960).
Da allora cominciai a conoscere «Comuni
d'Europa.
Vi scrissi la prima volta sul numero di marzolaprile 1958 con riferimento ad un seminario che la Campagna Europea della Gioventù
aveva organizzato a Nuoro (ed al quale avevo
partecipato) su Le autonomie locali e l'integrazione europea.
I temi trattati dal giornale di Serafini mi affascinavano e mi turbavano: non era facile sviluppare contestualmente la battaglia per le autonomie locali e quella per gli Stati Uniti, d'Europa.
Immerso nella realtà quotidiana di un Comune (Terracina) dove prevalevano atteggiamenti chiusi di una dirigenza locale che aveva
attraversato il ventenni0 fascista, e costretto a
constatare, insieme al drappello dei giovani
comunitari, la difficoltà di affermare nuovi
orientamenti culturali, sociali e politici, mi domandavo come si potesse introdurre e far comprendere la esigenza della dimensione europea
nelle battaglie politiche sviluppate nei Comuni.
Da allora sono trascorsi circa trenta anni di
esperienze culturali, sociali, professionali, amministrative e politiche ma il problema che allora mi turbava (come far comprendere la esigenza della unicità della battaglia per autonome comunità a misura d'uomo e per gli Stati
Uniti d'Europa) permane.
Non voglio qui mettere in discussione i passi
avanti compiuti in questi 30 anni per affermare
la essenzialità della dimensione europea al fine
di un mutamento positivo dell'ordine politico
ed economico internazionale.
Credo ciò sia il risultato della azione coraggiosa e tenace dei gruppi federalisti operanti in
Italia (organizzati nell'AICCE, nel MFE, nelI'AEDÈ ;
al di fuori di qualsiasi organizzazione) che sono riusciti ad introdurre in maniera
sistematica la dimensione europea nel dibattito
politico.
Per convinzione o per adeguarsi a diffuse ufficialità, forze politiche ed organizzazioni sociali sempre più sviluppano le proprie analisi
con riferimento a quanto awiene in Europa occidentale.
È cosa diversa dal ragionare in termini europei, pur restando ciò importante acquisizione.
Insomma, l'ambiente fa.vorisce più di trenta
anni fa l'affermazione della dimensione europea; ma quando si va a parlare all'amministratore locale, al consigliere regionale, al parlamentare, all'uomo politico o al cittadino comune, è difficile constataire il di lui convincimento della essenzialità della dimensione europea per il miglioramento della vita quotidiana, per il rafforzamento della democrazia, per
l'affermazione di maggiore giustizia fra i popoli della terra e per organizzare la pace oltre i
precari equilibri nucleari.
Tale convincimento è nc:cessario per un salto
di qualità della strument:ale battaglia per gli
Stati Uniti d'Europa.
Che fare?
Più volte la questione è stata disattesa negli
organi direttivi dell'AICC:E, non di rado con
qualche sintomo di sfiduci:a.
Tredici anni fa lessi La s,truttura delle rivoluzioni scientzj'ìcche di Thomas S. Kuhn: di questo libro mi colpì il concetto di paradigma applicato al mutamento delle idee della scienza.
Non basta che la nuova scoperta o intuizione
sia vera perché possa essere accettata: altrimenti Galileo non avrebbe dovuto compiere l'opportuno atto di abiura per poter continuare la
sua battaglia rivoluzionaria..
Occorre far maturare le condizioni (il paraa'zgma come complesso di situazioni culturali
oltre che scientifiche) perché il vero possa affernDW3ibW 1lt1
marsi ed esplicarsi concorrendo a produrre
nuove situazioni.
Non so se sia superato ilparadigma nazionalista che ha dato luogo a tutte le coniugazioni
culturali, economiche, politiche e sindacali fino ad oggi (credo ancora no).
Comunque si tratta di operare per affermare
il paradigma europeo, proprio a partire dalla
crescente difficoltà delle coniugazioni basate
sul paradigma nazionalista.
Quando ciò sarà awenuto allora crescerà la
schiera di quanti, convinti che la terra non è il
centro del mondo, affronteranno gli eventi
quotidiani in un quadro di riferimento euroP'=?.
E pertanto opportuno ribadire il convincimento circa la insostituibilità delle battaglie federalistiche di gruppi anche ristretti: essi costituiscono il germe necessario per la coagulazione di comportamenti di forze politiche e sociali
oggi ancora rarefatti.
La organizzazione migliore di tali gruppi e la
accresciuta diffusione delle loro posizioni accelera il passaggio da un paradigma ad un altro
(owero catalizza la coagulazione di comportamenti attorno al germe federalista).
<Comuni d ' E u r o p ~in trenta anni di vita ha
contribuito a far maturare le condizioni per il
mutamento di paradigma (dal nazionalista
all'europeo).
A questo rilevante merito altri se ne aggiungono: ad esempio quanti sono coloro che, come me, leggendo <Comuni d'Europa, e scrivendo talvolta per esso, hanno maturato e sviluppato il convincimento circa la necessità che
autonomia locale e Stati Uniti d'Europa si conseguono insieme?
COMUNI O'FURWA
3
un dmtmctrfo delle Regruni sulle proposte della Cf~munrta
Le Regioni per una sostanziale svolta nelle politiche comunitarie
P u b b b c h i n il d m m e n t o prexnrato 1141 da 1"arii~zi.ernrrgonn anaiir. uaiut.nioni e
unrone polrrtcu e non no#r rnmmironu dl fin
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FmAmu di Rcgionc, in m a l o n e di un <C- niti di dirnto intererr rrgionrte, ma intesto- dferu ncIi'amBcto dr una jtrotegu dr pare ,u
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i risultati, a rci<re&getnc e n t m d~Spugne e Pw#ogello nc/L CEE r Jopmistc &li sramti dciic Regioni r rtatnro tameiito n ier~tic;&rnc
po I tagrei~odcba (;ICcu-- 15nno cbe L / d r
spmale c W u t . I I7 dclh Cosntuzimie. S o n t.~<uiier ci~ntrsrldizioni
Una Europa dctle Regioni e non solo per le rrw mrrditenune~&l& Conuairà non rr modi
sruw u l a ~ a1qhct r a p m inituzionalizzato
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potir~lente ma può furnrte, & pei 4. una li- ijPI menanh (done prede chi hu p* forra r
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Giaiifranm Maruni n&, - &ve n i un appunitn pmdutiruo priì
mente evidutziaio ncUa pmrntamne farrane
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non por?# ewrci nprerupmdMtt~ra( ~ O ~ I ~ S ~ U
/e 4d una h u ~ f o m m o n edinduruo w d u U ~
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ne non u& o&rrt~~vr
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Non tr wrro dr iaar~#tmr J I mtta dr r~oler
Non è srr&ficrenu battmi per qualcba modr1. f G d g E Regonilid i n i ~ ilodocumenta
d n c m unu d w -- I I I ~ O u( w
~ ~PI J C U I I I O &mone a& I r g g c f i u u m m chc dParhmcn
&l 4 nambr+ snik politiche mmunicrrie
n e f i r mpprr tenlunn dr rrtrmmonr &e qudr m nuzzonI/s a ricrngr u volerc d $ n s dr oite
I/ rrbrmrncnfo &! Regioni pcr u m stsransa- drpendr rn nr,revcilr innunr (nonnrwte le n
nerepolbr m&di rn p&, q-&
la n t u m o
Jc wdta nelle potir& conunlruie) che I Pre rcontmte r~l/lorssbaht&
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dei canti policiche e azroni wrr.iriali della Comu-
g«/i rtuh ~umunìdr jani
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Europa federale e Regioni: avanti insieme
per non soccombere
-
-
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
29
I1 movimento socialista in Europa
Pubblichiamo l'articolo di Gaetano Arfe,
apparso già in <SinistraEuropea» dell'ottobre
scorso, perchénon solo prospetta in modo particolarmente felice quanto l'idea socialista dovrebbe unirsi e far propria l'idea europea per
affermare pienamente i propri ideali e quanto
al tempo stesso, invece, nella realtà il socialismo sia lontano e disinteressato dai problemi
dell'integrazione comunitaria; ma soprattutto
perche* questa duplice, felicissima dimostrazione di Arfe è, purtroppo, largamente generalizzabile: può, cioè, applicarsi a tutte le forze politiche e a tutte le ideologie che ad esse fanno
da sostegno e in particolare alle tre pi6 dgfuse
e centrali nelle nostre democrazie occidentali:
quella democrirtiana oppure cristiano-sociale,
quella liberale e quella democratica. Ciascuna
di esse, leggendo queste lucide e meditate considerazioni di Arfe, potrà ripetersi il verso di
Fedro: cmutato nomine, de te fabula nanaturw .
**
ta agitazione contro la guerra, nel nome
dell'internazionalismo e del pacifismo. Ma
di Gaetano Arfè quella agitazione non ispirò mai un piano che
implicasse un rapporto diverso e nuovo tra i
le linee della propr~aazione concependole qua- paesi d'Europa. E quando la guerra devastatrili sintesi di autonomie nazionali destinate a ce scoppiò il movimento operaio socialista non
convergere in un disegno a dimensione inter- soltanto non ebbe la forza di opporvisi - e
nazionale che nel caso nostro non può non ave- non fu colpa - ma ciascun partito - fuori di
re a propria base l'Europa. L'internazionalismo quello italiano - solidarizzò col proprio goverecumenico e umanitario che ispira i quattro no, e tutti insieme non ebbero un piano da
quinti e forse più dei documenti dedicati ai contrapporre a quello sopraffattorio e imperiaproblemi mondiali è la faccia ostentata della listico delle potenze vincitrici. Non si tratta di
medaglia sul cui verso è l'impronta del «pro- costruire ipotesi fantasiose sulle «cose che potevincial-socialismo», quello che caratterizza di vano essere e non sono state». Si tratta semplifatto la politica e le politiche del socialismo eu- cemente di constatare che in quella occasione,
ropeo.
di enorme portata storica, il socialismo europeo
non fu in grado di qualificarsi con una parola
La storia e le prospettive, i successi e le sconfitte d'ordine che costituisse al di là della guerra un
Un sommario ric:hiamo alla storia può valere punto di riferimento per i popoli, che si levasse
a simbolo. Le sconfitte più rovinose e più sterili
a chiarir meglio il discorso.
I1 socialismo europeo condusse, nei primi sono quelle che si subiscono per una battaglia
anni del secolo, una vasta, intensa, appassiona- non data.
dai qs.iart!ere alla reglorie
per una Cnvtiirlità tiiiiopea fedcraie
-
Nel corso dei lavori del congresso di Palermo
ebbi ad illustrare un documento redatto dai
parlamentari europei del PSI e approvato anche da quelli del PSDI nel quale si rilevava con
preoccupazione la tendenza in atto nei partiti
socialisti europei a ripiegare ciascuno d'essi
dentro i propri confini nazionali, si denunciava
la latitanta politica della Unione dei partiti socialisti europei, si proponeva una iniziativa di
largo respiro e di lunga lena rivolta a restituire
consistenza e vigore all'europeismo socialista.
I1 documento, sottoscritto anche dal segretario del PSI nella sua qualità di membro del
Parlamento Europeo, non ha avuto - come
era prevedibile e come era previsto - alcun seguito di atti e di fatti. È un segno, si potrebbe
dire, dell'awenuta «europeizzazione» del partito socialista italiano che dopo le antiche sbornie di internazionalismo deviato e dopo le più
recenti esibizioni di europeismo retorico, si
adegua - e vi si inserisce - a una tendenza
che è oggi propria di tutto il socialismo europeo. I1 «socialismo tricolore* non è, una volta
tanto, una invenzione delle fertili fantasie italiane: è l'aspetto nazionale di una tendenza
che percorre, su scala continentale, tutto il movimento socialista.
La dimensione del fenomeno è perciò tale da
escludere che si possa giudicarlo in termini di
responsabilità personali, di cattive volontà dei
gruppi dirigenti. La crisi che va sconquassando
il mondo anche nelle sue strutture più solide;
che ha incrinato, o addirittura ridotto in frantumi, accreditate dottrine e radicate ideologie;
che ha provocato articolazioni nuove della società sowertendone comportamenti e costumi
e che ha sconvolto le vecchie scale di valori; che
ha modificato i metodi della lotta sociale e politica, è cosa che va ben al di là degli uomini,
socialisti compresi.
Ciò non toglie che esistano - è questo il
quadro nel quale ci muoviamo e sono questi i
problemi dei quali siamo direttamente investiti - delle carenze proprie del socialismo europeo, riconducibili, anche se con qualche forzatura, alla sua ricorrente incapacità di elaborare
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COMUNI D'EUROPA
30
Qualcosa di analogo accadde di fronte al fascismo.
I1 socialismo europeo non seppe capire per
tempo che il fascismo era qualcosa di non riducibile a un fenomeno di folklore politico di un
popolo a sangue caldo e immaturo per la democrazia, era un fatto potenzialmente europeo. Ci fu addirittura chi pensò, quando la potenzialità cominciò a tradursi in attualità, che
esso si potesse fronteggiare svuotandolo, facendo proprie le sue parole d'ordine, assorbendone, depurati dei fanatismi e degli autoritarismi, i suoi propositi di superamento del capitalismo per la via del protezionismo, dell'intervento statale, del corporativismo. Ne nacque in
Francia e in Belgio un filofascismo socialista
che sfociò nel collaborazionismo coi nazisti. E
intanto la potente socialdemocrazia tedesca capitolava senza gloria, e la socialdemocrazia austriaca salvava l'onore col sangue dei proletari
di Vienna, ma dopo esser rimasta sola di fronte
al clericofascismo e al nazismo. La lotta antifascista divenne lotta di popolo soltanto quando
vi calarono i comunisti, ma anch'essi soltanto
nel momento in cui gli obiettivi della lotta antifascista venivano a coincidere con quelli politici, diplomatici e militari dello Stato sovietico.
I1 socialismo europeo non seppe essere europeo neanche all'indomani della seconda guerra
mondiale, quando lasciò cadere i disegni di
unità europea fioriti e maturati nel corso della
resistenza e si lasciò comprimere e mortificare
nella morsa di Yalta, rinunciando a farsi promotore di una vasta agitazione che impegnasse
tutte le forze popolari intorno alla bandiera
della unificazione europea. I1 processo si awiò
ma ebbe a protagonisti uomini di ispirazione
cattolica e di tendenze conservatrici, e a forze
motrici quelle dei gruppi economici dominanti
e a propria politica quella del blocco egemonizzato dagli Stati Uniti d'America.
Qualcosa di analogo è accaduto negli anni di
quella che fu definita la rivoluzione neocapitalistica, gli anni della energia a buon mercato e
dello sviluppo presunto senza limiti, gli anni
della tecnocrazia e del consumismo.
Di fronte a quel disfrenarsi impetuoso delle
forze produttive e alla conquista di impensati
gradi di benessere le dottrine tradizionali non
fanno più luce, le vecchie ipotesi si dimostrano
fallaci, le ideologie sedimentate nei decenni
mostrano tutta la loro fragilità.
È una fase nuova, imprevista dai sacri testi.
che si apre, e che esigerebbe da parte socialista
uno sforzo di ripensamento critico che approdasse non già alla formu1ai:ione di nuovi dogmi, ma alla elaborazione di nuove ipotesi, alla
costruzione di una nuova ciiltura che sia al passo con la più avanzata cultura militante, che ne
assorba idee e stimoli e ne arricchisca e ne rinnovi dialetticamente 1'ani:ico patrimonio di
esperienze dottrinali e pratiche.
Invece di questo si ha il disarmo ideale, I'abbandono acritico di quando aveva dato al socialismo una propria feconda e originale autonomia nella storia delle idee e. dei fatti del nostro
secolo. Con procedimenti burocratici si sono
dichiarate superate dottrine che certamente
superate erano dal volgere tumultuoso degli
sconvolgenti processi storici del nostro secolo,
dimenticando però, o ignorando, che il superamento è anche assimilazione e continuazione
dei fermenti vitali: in questo caso la grande intuizione che la storia procede sempre per processi gravidi di contraddizioni e il richiamo costante alla inesorabilità delle leggi che regolano
la lotta sociale e politica. ],a conclamata «fine
delle ideologie, è stata in realtà l'accettazione
subalterna e passiva di urla ideologia banalmente ottimistica, volgarrnente utilitaristica,
che va in mille pezzi nello scontro con la drammatica realtà in atto.
Ii rischio delle «vienazionali>e l'esigenza di un
acentro di direzione politica, del socialismo europeo
Oggi sulla scena, e fino ai più lontani orizzonti, abbiamo disoccupazione e inflazione,
terrorismo e droga, abbiamo dittature burocratiche, dispotismi sanguinari, democrazie vacillanti, abbiamo tensioni tra i blocchi e dentro i
blocchi e una corsa al riarmo di per sé devastante, abbiamo milioni di morti di fame. Questi
problemi sono uguali per tutti.
Ciascun partito socialista ha il diritto e il dovere di affrontarli innanzi tutto là dove opera,
ma nel quadro di una visione d'insieme che
abbia come dimensione minima necessaria e
quale base di partenza quella europea. Quando si vedono governi e partiti socialisti sostenere campagne per la difesa del prodotto nazionale o lanciare appelli per l'incremento della
competitività a spese dei propri lavoratori e a
danno di altri paesi e restare. però inerti di fron-
ABBONATEVI A
il 1982 è il 30" anno
di rigorosa e libera battaglia
per gli
Stati Uniti d'Europa
La raccolta delie sue annate rappresenta la memoria storic;i dell'AICCE,
per non dire di tutto il CCE;di riflesso si ritrova neile sue pagine l'intera storia delie battaglie per l'unità europea e delia partecipazione ad essa dei militanti di base dal 1952 ad oggi.
dicembre 1982
te al problema di una programmazione su scala
europea, quando si legge la interminabile serie
dei patetici ordini del giorno a favore dei perseguitati e dei massacrati di tutto il mondo e li si
vede segnare il passo e avanzare pesanti e insulse riserve di fronte al problema di come fare
per gettare sul piatto della bilancia il peso di
una Europa unita democratica e socialista, ci si
domanda se ancora una volta il socialismo europeo si stia predisponendo a una sconfitta senza battaglia.
Il socialismo ha segnato profondamente la
storia del nostro secolo, l'ha impregnata delle
proprie idee e delle proprie idealità, ne ha rinnovato la cultura, le ideologie, il costume, ha
levato i proletari al rango di cittadini, ha modificato la società nei suoi rapporti e nei suoi
equilibri, ha imposto una nuova scala di valori,
ha dato la propria impronta a una nuova. civiltà. Ogni suo successo ha prodotto effetti positivi per tutti, ogni sua sconfitta ha significato
un arretramento per tutti, un prevalere della
violenza nei rapporti tra i popoli, tra le classi,
tra gli uomini, una affermazione di barbarie.
Le grandi sconfitte storiche del socialismo, di
fronte alla guerra, ai fascismi, alla spartizione
del mondo in blocchi stanno lì a dimostrarlo.
Ma in ciascuna di queste circostanze il socialismo europeo - giova ripeterlo anche a costo di
apparire e di essere monotoni fino alla noia ha mancato di dar battaglia, e non per viltà in ogni circostanza esso ha saputo esprimere
combattenti eroici - ma perché non ha saputo
per tempo identificare il campo e i temi della
battaglia.
Oggi il socialismo europeo è ancora una volta chiamato alla prova del fuoco. Le «vie nazionali» possono essere diverse, gli obiettivi hanno
bisogno di essere gli stessi e le azioni coordinate. È una follia proporsi di conquistare per lo
meno lo stesso grado di omogeneità che le forze conservatrici hanno conquistato e che mantengono?
I partiti socialisti stanno passando in Europa
attraverso vicende diverse, in un intrecciato alternarsi di successi e di arretramenti, che proprio nella sua apparente contraddittorietà lascia intendere che le condizioni esistono perché
battaglia si dia. Dovunque le difficoltà sono
gravi e nessuna di esse fronteggiabile dentro i
confini nazionali, dovunque i consensi delle
masse lavoratrici e delle classi popolari non sono venuti meno, in più parti tendono a estendersi, nel segno della speranza.
Ma resta un dato di fatto che un centro di direzione politica del socialismo europeo, articolato quanto si vuole e rispettoso di tutte le autonomie, ancora non esiste. Ma non esiste
neanche nessuna istituzione che assicuri un collegamento permanente e sistematico, non esiste una sede dove si scambino idee e esperienze, non esiste uno strumento di dibattito e
neanche di informazioni.
So bene che a dire queste cose si corre il rischio di essere tacciati di pessimismo. Ma il
pessimismo vero, capitolardo e disfattistico è
quello di chi si colloca deliberatamente al rimorchio degli awenimenti aspettando che siano i fatti a risolvere i problemi.
Le ragioni sono dalla nostra parte ma è l'ora
che esse si armino di volontà. Non è troppo tardi, ma non c'è più tempo da perdere.
dicembre 1982
COMLINI D'EUROPA
31
Kaccogllere non seminare
Le ricorrenze anniversarie inducono, a volte
fatalmente, nella tentazione di risolvere dubbi
e incertezze in confortevoli ricostruzioni del
passato, assunte poi a promessa e garanzia di
immancabili sviluppi ugualmente rassicuranti.
«Comuni d'Europa* non merita celebrazioni
di questo tipo e neppure discorsi puramente
commemorativi. Questi ultimi, infatti, si tengono di regola per le imprese già morte e sepolte, oppure per quelle compiutamente realizzate. Ora, non pare che il umovimenton per
l'unificazione delllEuropa, di cui I'AICCE è
parte cospicua e consapevole, sia a tal punto
vincente o già così irrimediabilmente sconfitto,
da legittimare elogi conclusivi.
D'altra parte la declamazione mal si accorda
con un periodo che è di peculiare e pericolosa
ambiguità.
Ambigue sono infatti le interpretazioni della crisi (la quale di per sé, è invece concretissima, a livello nazionale, come a quello europeo
e comunitario). Ambigue sono le ricette comunemente suggerite. Ambigue le domande, ambigue le risposte.
Qual'è, allora, la riflessione critica più pertinente, più adatta, per festeggiare oggi i sei lustri di «Comuni d'Europa*? Una rivista, vogliamo ricordare, che, accanto ai meriti politici
maggiori, ha anche quello di riuscire a stanare
con regolarità - stavamo per dire implacabilmente - i suoi interlocutori, nonostante le
difficoltà e i disservizi postali e a trasformarli in
lettori partecipi, nonostante si occupi sempre e
da sempre dello stesso argomento.
Forse varrebbe la pena di tentare un'indagine comparativa del genere «come eravamo e come siamo,. Non per fare un discorso intimista,
naturalmente; ma per riportare alla luce i percorsi politico-culturali attaverso cui, in anni ormai remoti, si diventava ueuropeisti radicali, o,
se preferite, federalisti spinelliani.
Scopriremo probabilmente quanto profondi
sono i cambiamenti intervenuti nella ricerca e
nell'organizzazione del consenso politico, in
Europa e in Italia. E quanto ufigé~sia invece rimasto l'approccio dell'europeismo organizzato, a parte alcune non trascurabili eccezioni.
Il modello del piccolo gruppo chiuso e compatto che «pensa* con rigore assoluto e che solo
raramente si apre a improwise e spregiudicate
iniziative in campo aperto è certo «vissuto* in
buona fede e con convinzione, ma non corrisponde più a un progetto e a una pratica politica capace di espansione.
Si rischia così continuamente di confondere
la sclerosi del piccolo gruppo che ripete se stesso, con l'orgoglio proprio delle minoranze irriducibili e creative. Del resto, il confine fra le
due situazioni è incerto e mobile per definizione: la sua localizzazione non dipende dal numero dei militanti, ma dalla «qualità» del loro
impegno e dalla loro capacità d'interpretare
concretamente le necessità o le aspirazioni al
cambiamento.
Insomma, sarebbe gran tempo che si ripensasse ai modi e alle forme di un'azione europea
Naturalmente valutazioni di questo tipo
non implicano che si debba per ciò stesso buttare tutto a mare, insieme alla vasca anche il
bambino.
Implicano però che la questione che
di Gerardo Mombelli
fronteggiamo non è meramente uorganizzativa,, poiché richiede un recupero ed un aggiorall'altezza delle sfide, abbandonando le preoc- namento culturale e politico molto più ampi.
cupazioni e il peso di un continuismo burocra- In altre parole occorre proporsi una rivisitaziotico. Ciò è tanto più necessario se si considera ne puntuale delle condizioni generali, econoche non funziona più - o non funziona più miche e stmtturali, del processo di integraziocome una volta - neppure l'altro classico mo- ne, per capire a cosa puntare e come arrivarci.
dello dell'organizzarsi europeista, non necessa- Non che questo lavoro sia tutto da inventare:
riamente contrapposto al primo: il fronte de- esiste in materia una letteratura nell'insieme
mocratico largo, che riunisce tutte le compo- sostanziosa, benché non smisurata; tuttavia esnenti possibili sulla. base di un minimo comu- sa raramente si arricchisce di opere e di ricerche
che abbiano un taglio europeista o federalista
ne denominatore europeo.
Non funziona più perché il livello dei pro- di uscuola italiana*. Awiene invece, assai più
blemi e delle scelte attuali dell'integrazione frequentemente, che ci si contenti di ripubbliesige ben altro che uspontaneo* europeismo care testi - magari tradotti - di illustrazioni
all'italiana, e anche perché una serie di generi- giuridico-formale del federalismo.
Operazione quest'ultima di per se' insuffiche disponibilità non diventano, automaticamente, forza politica. Certamente non in Eu- ciente ad assolvere ad una funzione di formazione (in ispecie dove non esistono, come in
ropa; ma, in fondo, neppure in Italia.
Q
O R G A N O MENSI1.E DELL'ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER
IL CONSIGLIO DEI C O P ( U N I D ' E U R O P A
SI*OR=TIII>d f ~ »
.Clonnrr ytr ~ivniiai
P drll al!ru Ibl~md c > ~ r « n n ofin,,^
prr ir!eridrr,t c utr-eatorr uititt i Pra spdnlr 1 t r d ~ r o ! ~l<ii*un«
~r:
p*- qiic*fa ,,,<p&lt,
P ~lt~t*tdt
rior' i oyir<rvn znisfcnre t1 naziottadstrbo rrad~ri«iiolea iii , : ! o eurupuo ma ~ o alinno t h& gl:. P U T L ~ P C - 1I 1
~ ~ p e ~ eaitLore
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-Jl>binmo onrf it t.r'ziir> rii qxier'o tiiitiipru
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contribuire od ~ ~ t q ~ i a d - r tPr os t ~ g ~ r n delle
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s<r!iizioatalla gttnhlim iri<a europea srrito i3nrì
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p-u<pettarr tiz pmrilutiii syiecifin il pras~s80
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can scritti di P, Calluir, 1. P.
CAus, r P , Yoriqlisn<l,
.'l '.C?nsrid..
lotta
Iii yu<.*'u r,anirrr, $ 4 n<arm perrodice noi>
cbhmrna p w l ~ r ( odt nffrt-e 11'1. comp!~ta 15swqsra dei princiyall problemi. i l i m
~ p>ngwio
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ar i<-aia<vrio dei rr~swidetti regimi demoemrtrt r<!ppterentatli z
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u.;r.m;.lti.<atrtu C r ~ d t a n u rw r altro eh@ dai!a .rtmrrseu ni~taiogiada nor appmntara a l t i
agii r r c h t . 'un dulurosn P L I ~ P ~che
O ,!e cose
rion r anno come d o c r P h t l ~ r o
Non rhr I'Europa taon cammtni sntin @l:
alt? C ~ P<aimi;laano p i ~st*rltt La felice
i<ri<0i.irturouronnmica, attraversu?a d a a!runi suur Paan, da :slcolfa I'tllustona rlte
"Esrope non sia tirgtuta i n rrgresso sul piana
poiiircri internaxaniiate pencoloaa liiunmta
D'altro caqro, oricha oll'nlemo del noslro
iofi:t?i~~,.rP ~ ~ ~ ~ ~ ~ d e rquu ~
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fu, nlrbinmu drre'ro pemiliitdlitb di tnrFri~F%:o.
ncclnro clie fa-LP centriwtr oplwmo sinporfanti t o r 2 ~runcrifugkr e !a -lwziORr
puiz di.lerultarp 11, qunl\lnsr monienru
Se b d e n m m z i a non P una astralta nirtodalaga, un giw>rn r> u n liisso, 8% propungono
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~ t t daiia Fudcrntilnt. I.-l!r pgtw che segiaotw~ abbiamo
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cvloru elir, per difrtidrtu tn1wes.w pa7liCO!arl E m:l<maI~ S I pterncupfno &i& sorte
di ~ T ~ P T I11D qiu! ~ a n t ~ n < ~ M>S~I?OIIC
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e i n rohrrasr<i con i'ina~nare g ~ t w r a i r
d i t u t ' i i m!tadini
Renderido come-eco I! disrorso Flsrowo su
al<-uritacpptri
e qtlcslo ~ u r n ~ rdi
r i r Comuni
d ' k t o p a 1 rrcordn, fra gli a l i n . pnelll e r a 1 ~ ~ 1 ~ 0 - l > ~ td~ ~l <lc~r ~~df: t. o, alle comunila
Incalr, della rollabomnonc e o r Paes Jobto.miltippati, della p<anif<cazivw del trrnioW>, dell'enicgia. della scuola, ollrf' che quelpr(>priomQntP yoirllcu
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1c f m e che stanno dietro L'Eurya Non n
Snrnnno 5;tio I ffdern!iRl genmn. »W n Srenne nnchc I Iederalrslt romP arnmlnutrat o n loctlb eonie w m t n i da eulticra. WrnP
iioirttni dl scienza, P I I
Abbramo pn valuto c o n t r r b u t r ~ u <.hiariru od w a degli intp?ntix, c h r o#@ non C'@
bnn Faiilr i diutnonr drlfZ&ropa, fra 11 MEC
r I'EFTA ,nn s e m p l i c ~ m r n lUn
~ primn (indiiffcrier&L<) tentQitlo cun&liniraT$o f m se*
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COMUNI D'EUROPA
Italia, preoccupazioni e sensibilità acute in ordine al dogma della sovranità nazionale), e
inadatta a fare avanzare il fronte europeo in
quei paesi che mal digeriscono impostazioni rigidamente dottrinali e che comunque hanno
già difficoltà all'integrale applicazione delle
regole comunitarie.
Più in generale bisognerebbe guardar dal
perpetuare l'errore di puntare troppe carte sull'europeismo spontaneo degli italiani, poiché
esso finisce con l'essere un elemento di debolezza e inoltre comincia a diventare meno consistente e diffuso o addirittura labile e contrastato per quanto riguarda la classe dirigente e
politica. (A causa degli eccessi propagandistici
e delle delusioni conseguenti?).
È in ogni caso saggio prendere atto dell'esistenza di un divario tra le concezioni ed il linguaggio impiegati nel nostro paese e le concezioni e il linguaggio prevalenti negli altri. Tale
divario non è tutto da esaltare, né interamente
da buttare. Quando la «differenza»italiana significa fuga dai nodi reali, mancata considerazione degli interessi in gioco e dei vincoli propri di ogni negoziato - l'Europa, piaccia o
meno, è anche un contesto di negoziato permanente - essa è da combattere e da respingere.
Quando invece la differenza italiana significa mantenimento della bussola sulla direzione
più ambiziosa, misura dei vantaggi e degli
svantaggi in una prospettiva di lungo periodo,
presa in considerazione dell'economia ma anche della politica, dei contenuti ma anche delle
istituzioni . . . allora essa va preservata e rafforzata.
In quale modo ?
Ciò che sin qui, schematicamente, siamo venuti sostenendo, ci conduce ad una ulteriore riflessione che riguarda ancora una volta la nostra specificità e tradizione politica europea. È
da noi infatti che la questione della forzapolitica idonea a promuovere e consolidare il processo di integrazione è stata quasi sempre, e
giustamente, in primo piano. Particolarmente
gli «europeisti radicali», sin dal loro affacciarsi
sulla scena politica, hanno guardato all'unificazione del continente coIrie ad una grande occasione democratica e non soltanto in termini
di riequilibrio diplomatico.
Da questo punto di vista si può considerare
la storia del tentativo Europa come largamente
coincidente con la storia del tentativo rivolto a
suscitare una forza politica di dimensioni e
strutture europee. Per rxggiungere un tale
obiettivo sono utilizzabili (dueitinerari diversi,
benché con dei tratti paralleli o addirittura comuni. Si può mirare alla cteazione, ex novo, di
uno schieramento in partenza sovrannazionale,
oppure ricercare una qualche formula per collegare in uno stesso fronte europeo partiti nazionali.
Nelle vicende dell'europeismo militante
ambedue queste vie sono state tentate, contemporaneamente o in periodi successivi. La
prevalenza dell'una o dell'altra impostazione
ha anzi spesso contrassegn:ito le fasi dell'impegno e della battaglia per l'Europa. Forse addirittura la separazione tra «europeisti moderati»
ed ueuropeisti radicali» h:i trovato qui la sua
più convincente giustificazione ed interpretazione. I1 discrimine tra gli uni e gli altri sarebbe costituito, in altre parcile, più che dalle diverse concezioni del traguardo istituzionale,
dai diversi approcci al problema dei mezzi per
arrivarci, cioè al problema della forza politica
idonea e necessaria.
Che una tale uletturau della questione europea sia non solo legittima ijul piano storico, ma
utile per capire la dinamica dell'integrazione,
è messo in evidenza dallo stallo comunitario
degli anni '70 e dalle esperienze di unificazione federale condotte in altre aree geografiche.
Questi ultimi casi ci dicorio in verità che dove
la spinta unitaria - endogena o esogena che
fosse - non si è tradotta in organizzazioni politiche a vocazione e a rappresentatività transnazionale, l'unione si è dissolta, quali che fossero le altre istituzioni formali.
Quanto alla Comunità, ciascuno di noi conosce come l'ualimentazioneu politica, divenuta, da un certo momento in poi, insufficiente,
abbia bloccato - e blocchi - ogni serio sviluppo dell'integrazione.
E dunque accertato, in primo luogo, che
l'integrazione delle forze politiche gioca un
ruolo centrale, in secondo luogo che, proprio
su questo punto, gli europeisti radicali hanno
incontrato le più acute difficoltà o, per dirla
più francamente, le sconfitte meno rimediabili.
Fingere che ciò non sial awenuto non è né
buona propaganda né biuona politica. Serve
soltanto ad impedire, paradossalmente proprio
a coloro che avevano colto un nesso essenziale
della lotta europea, di capire cosa è successo,
cosa succede, cosa occorre fare e, soprattutto,
come impegnare le risorse disponibili e limitate.
L'elezione diretta del Parlamento Europeo
ha, in un certo senso, ridato fiato e credibilità
alla prospettiva di fusiontp delle forze storiche
degli Stati nazionali nell'ambito delle rispettive famiglie ideologiche. Ha ridato forza, per
dirla in breve, all'approccio che abbiamo definito umoderato», o almeno a una sua variante.
Tuttavia il processo di cui parliamo non è affatto, a differenza di quarito sono venuti soste-
dicembre 1982
nendo fino a poco fa numerosi amici federalisti, un processo automatico! I1 Parlamento eletto costituisce una occasione solo più propizia
per accelerare un'integrazione i cui ritmi sono
lentissimi e insufficienti. L'accelerazione si realizza però soltanto a condizione che si lancino
rivendicazioni, proposte e battaglie atte a favorire dislocazioni upolitiche~sovranazionali.
L'iniziativa di Altiero Spinelli e l'attività
della Commissione Ferri sono awenimenti di
grande portata se, proseguendo nel loro cammino, determinano, come è ragionevole attendersi e come in parte è già accaduto, mutamenti nella coerenza, nella logica delle attuali confederazioni partitiche comunitarie, incidendo
in senso positivo nella complessiva dinamica
europea delle forze.
L'esercizio che ha preso I'awio nel luglio
1982, poiché postula un uso più avanzato o,
più semplicemente, un utilizzo specifico ed
adeguato del Parlamento Europeo, dovrebbe
costringere le parti politiche ad un chiarimento
tra di loro nonché con la loro rispettiva storia e
i rispettivi programmi. Al vecchio, e forse esausto, cemento ideologico tradizionale - peraltro tuttora utilissimo per attenuare le spinte alla rinazionalizzazione nell'attuale fase critica
- si aggiunge così un nuovo collante che può
portare, nel vivo della lotta, a modificazioni di
rilievo e ad inedite aggregazioni.
I1 successo dell'impresa impone però il ucontrollou di tutti gli estremismi, più o meno infantili, più o meno inutili o dannosi, e impone
altresì di favorire tutte le latenti disponibilità e
le capacità virtuali a condurre manovre generose e a raggiungere compromessi progressivi.
Non sarà arduo tenere a distanza le frettolose impazienze di coloro che sognano la imminenza di una unica e decisiva battaglia per la
conquista della Bastiglia e ad essa si preparano,
forti di poche formule, con batterie caricate
con qualche slogans.
Ben più complesso sarà invece proporsi di
contribuire positivamente &affinché un'occasione tanto straordinaria per la nascita di istituzioni politiche europee non vada perduta. Volerci
riuscire comporta, probabilmente, che si abbandonino i patriottismi di gruppo e di gruppetto; che si limiti all'indispensabile la contemplazione delle proprie rispettive microstorie; che non si rimanga confinati in un'opera
soltanto pedagogica o di testimonianza. Comporta soprattutto la concentrazione degli sforzi
e delle energie su azioni e progetti che assicurino, in partenza, un confronto ed un ascolto europeo.
Un lavoro politico puntuale, di parte, transnazionale, che ricerchi, invece che «rigore assoluto~nelle proposte, possibilità sempre maggiori di «leverage» europeo, nelle iniziative e
nelle situazioni.
Comuni d'Europa, in un rinnovato equilibrio tra le speranze dell'utopia e le esigenze
del negoziato, può essere, nella attuale congiuntura, uno strumento importante della posizione europea, se rompe il silenzio italiano e
awia un dibattito continuo e dettagliato la cui
urgenza è, oggi più forte di ieri, diffusamente
avvertita.
Se è consapevole del fatto che, per dirla con
Goethe, seminare è assai meno faticoso di raccogliere.
dicembre 1982
33
COMUNI D'EUROPA
Obiettivi europei e piani nazionali
di Raimondo Cagiano de Azevedo
Venti anni or sono, esattamente il 14 gennaio 1963, alcuni studenti della Facoltà di Economia e Commercio delllUniversità di Roma,
desiderosi di impegnarsi personalmente ed attivamente nella vita quotidiana della loro società e notevolmente insoddisfatti per l'insufficiente risposta che l'università in genere e
quella di Roma in particolare fornivano a questo loro desiderio, si organizzavano quale gmppo di studio e di pressione fondando il Gruppo
Studentesco Europeo (1).
Tale episodio, storicamente forse trascurabile, richiamò intorno a sé l'attenzione di una
certa parte del mondo della scuola e dellJUniversità che, come del resto molti altri ambienti
culturali e professionali, erano in quegli anni
assai poco abituati a considerare il problema
dell'unità europea in termini di problema di
vita politica quotidiana richiedente l'interesse
e la partecipazione di tutti i cittadini. La patente di originalità che I'idea unitaria dell'Europa forniva ai singoli era tale che, chiunque
venga oggi interrogato, si considera un moderno e un progressista se, paternalisticamente o
realmente, può sostenere di «essere stato valido
assertore della necessità dell'Europa Unita* almeno da cinque anni a questa parte: cosa che
in termini di realtà politica è falsa nei riguardi
degli anni passati almeno quanto è falsa ai nostri giorni.
~ a m ~ a n tee conseguente è la sensibilità
odierna degli Europei verso il problema dell'unità europea: la maggioranza sostiene che è
una cosa bella, molti sospirano profetizzando
un numero variabile di anni da 10 a 200 per la
sua realizzazione, alcuni ne sostengono I'impossibilità ed infine, cosa assai rilevante nella
civiltà delle comunicazioni, tutti ne parlano.
Quali gli argomenti ricorrenti della sensibilità pubblica verso il problema europeo? Quali
i motivi per cui l'unità europea viene discussa?
Traspare, in primo luogo, un senso di rabbia
e di noia da parte dell'opinione pubblica europea che è costretta ad assistere, praticamente
senza molto influire, al dialogo fino a questi
ultimi anni bilaterali fra i due colossi della politica mondiale che realizzano e compromettono fra loro l'equilibrio del mondo intervenendo qua e là in vari paesi secondo un criterio che
si presenta, apparentemente ed a breve termine, ineluttabile. Questo atteggiamento fa insistere molto sulla opportunità che i paesi europei si riuniscano per poter dire la loro in questo
dialogo magari pensando che essendo tre a discutere (ed essendo, inutile dire, l'ultimo arrivato il più preparato ed il più fornito di buon
-
(1) Chiedo scusa per aver voluto iniziare questo scritto
con una nota autobiografica (il sottoscritto era infatti fra
quei pochi) che è scaturita essenzialmente da un sentimento di riconoscenza verso il G ~ p p oStudentesco Europeo
nel quale ho trovato, prima militante e poi dirigente, una
preziosa fonte di approfondimento dei problemi europei e
di esperienze nel campo della loro diffusione. Gli appunti
e le riflessioni che seguono sono tratti da uno dei miei manoscritti raccolti in occasione di un corso di formazione tenuto a Sèvres (F) da Alexandre Marc nel febbraio 1964: anche questo vuol essere un omaggio e una dedica!
senso) si possano meglio realizzare quegli equilibri che già dai due precedenti interlocutori
vengono continuamente minati.
Questa «communis opinio~nei riguardi della unità europea, confortata da documentate
quanto retoriche :affermazioni riguardanti il
mantenimento (sic!) della pace, la culla della
civiltà, il superamento dei nazionalismi antistorici, le aspirazioni comuni e contrastata invece dalle stesse espressioni, questa volta poste
al negativo ma altrettanto documentate e retoriche, diventa più raffinata e quindi propria
della parte « impegnata* dell'opinione pubblica quando in essa viene ad inserirsi l'elemento
economico.
Con le osservazioni fin qui fatte non si è vo-
luto affatto cercare di individuare quelli che sono i motivi ispiratori di chi è favorevole
all'unità europea, ma solo indicare qualche comune denominatore di quello che appare un
atteggiamento abbastanza diffuso e che, con
queSta caratteristica, non sottolinea dell'atteggiamento stesso né un aspetto decisamente positivo né uno decisamente negativo: ed in particolare ci si è concentrati sugli obiettivi di sviluppo.
La giustapposizione fra piani economici
emanati da centri di decisione diversi, come è il
caso attualmente in Europa, non può avere
luogo se non si crea fra questi una gerarchia:
eppure la subordinazione dei piani nazionali al
piano europeo o dal piano europeo ai piani nazionali deve essere scartata.
Se I'idea di obiettivi regionali e nazionali è
considerata come scontata, e quindi viene accettata I'idea di piani economici regionali e nazionali, altrettanto non può dirsi per gli obiettivi europei e per la programmazione europea.
COMUNI D'EUIOPA
-
.-
IR due facce del t'ederalisrno integrale
.
5
Wlisu che C i Ilanno indicato Pistone o Ci*
che ha Fatto finora segnarc il pa.rst,
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Sia lo Spinelli dcgli anni cinqwnta, rk.
UYIiC et
Hcraud rlehsiraa Inle niet»rlu rrn qucili
L ' E u r o f ~.un~ imie dal EiQIo, sk 1'AlbL.nini
et P I I - * k w l i P c dal punto di vista pruridic»
de
LO Sfato naziomlc contro In denimro&,
la^^ par A. Mdrc. Paim. Prrwes d Fuiiip.
formale 11- i&k c l . ~ ~ h i f t ~ a ~i.i ~
ineccepi
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1968, 155 pp
hrle P4f pintct di ,lata politic~ustan~iaie, ci avevano dal0 una impl*wiiune l c d c a
a nostro ahvisu tuttora valida' di qudb
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r lo stcsw H6raiid a drrselo
Ciug Hei~ucl. m i o ai a r a u i b i t w i
e mntestaziune n, aimenu, p r dir cmi, neila
i suoi atudi sui pmbkiui delle rmm~an+e e r>i%essstla premesm a talc nxtodo .una
generala dcll'ordinc statale c sua msatura istinizionaie: ma ms;i m
elnrhe, e pr le peuprate ungm&i e i-&contcrra?iome
.
nuwi mai a insamani nella prassi: sia
caln~enlefc*raitstr
da l u i lorn~ulateper inlcrstalnlc attuale. (p 105) Cio e quanto perché nun volle o non poi6 rimpufpere
r<wl.rerlr (una F ~ d e r a i o n edi re$iom .m &n: che e matrice profonda di questo mequ~~ll'msaturacon gli dementi amsueti
mfrniche-=)
da noi a l u y o e g a r m ~ t e todo nun p u i ~esser se m I'tllegaliii~,e che
su qiiw;lc iwhne ( e C4rmuot d'Europl e, a pmprio h~senradi una forra federalista delta mnimtarione d w a n m n i c a , razionachiaramente
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nuuarlo giundro pc!r I'E~riwpnumia che sa
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nomia, Jhutoguwemc~ e ui p1ur;ui~mu w,
eiale c k sunu afta &IL,:
del kderali~mo;
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fateraliwno. nel senm d ~i::slato pkì vdte
chiarito dal mzrlm AIberiim, non ~ t e n d i a n i u
p 1 qupstu aegare @2 11 \7ilere delle mncenwu frtosofkb di Marc. m, tanto meno,
i prcpi dci pnncipi S I U F L ~ W IEhr, CUI la w a
abituale mazstnn, o c m uria ~ h i a n u adl
espdnum che nulla lyrlre aiia Finara M
i'aoalisi, Guy Hcraud da q&& deduce (m
che ~ C r c i k r u4tipttanUl naturalmente dc.
duni, akmmo m nitlcr sii> che hauna di
vaiido, ippunto. dal e kcderahsl m, o, pìu
M generale, da una cocrenu: concc&~one
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mucralnra. cosciente dclla nccesuìh che i
grincrpi di questa non si mestia> aìk 1ticm W s i n p i o stato). Basti pcnsare alle
pamm in cui egli rniimenuona e correggo )e
runu-aioni r paaterferaltst<:r(a matto avkiw,
assai fantasiose) dd famosa
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giunrta franoese Gmqm M e , così
c m le uitidai t17ippo unilaterali dr akuni
censori di detto giunsw e u n c ii Duverper. o
qu&k in cui soliopone a una malisi wrrrr
m a il pnricipio di sus$nliaiie@ì. al quale
wioitttuixe quetlo di esa1i.1 adeguariunr r.
Nrll'ullinia parte dell, sua u p r a C e
tlwdud passa pui a detmiie wmmanamcntu
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eumpex e a quc\lu piolasitu Iaincnriamo
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Il); e aurpiciicr~mrno pei d i r H e r ~ u dpoponer-e.
ptr f'esrxutsso fcdcsnlc ~urupu,+ t u s t m b
tura di\rrw c pia rofzda, da quclla chr ~ug.
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COMUNI D'EUROPA
Eppure, questi obiettivi esistono e per conseguenza il piano europeo è necessario:
a) per rendere efficaci certe azioni comunitarie richieste dal Trattato (elevato saggio di
espansione economica, equilibrio tra le varie
regioni);
b) per rendere compatibili tra di loro le programmazioni ed in genere le politiche economiche nazionali.
La politica economica a medio termine della
Cee si inserisce in questa visione. Lo dimostra
l'autonomia nella quale si vanno compiendo le
varie fasi attraverso cui il progetto di piano viene elaborato e lo dimostra ancora di più I'azione sua propria che è stata attribuita al piano di
sviluppo europeo.
L'autonomia di questo lavoro rappresenta
anche il fondamento della sua efficacia. Da essa dipende in grande misura la serietà del lavoro di previsione e l'equità degli obiettivi comunitari prefissi.
Certo, le incertezze e le deficienze in questo
campo non mancano ed hanno anzi una dimensione notevole:
a) quale può essere la funzione della politica
economica a medio termine della Cee, quando, accanto a Stati che seguono metodi di programmazione economica assai simili ve ne sono
altri che compiono solo previsioni a medio termine ed altri ancora per i quali non si può affatto parlare di programmazione economica
generale?
b) È possibile poi un coordinamento tra i
piani nazionali se questo non si inizia a partire
dalla fase di elaborazione dei piani stessi?
C)Ed infine, perdurando l'attuale debolezza
delle istituzioni comunitarie, quali sono le possibilità che il piano di sviluppo europeo possa
integrare i piani nazionali promuovendo I'equilibrio e l'espansione della economia comunitaria?
Sulla base di queste considerazioni, il piano
di sviluppo europeo può apparire un'idea, più
ancora che ambiziosa velleitaria. Eppure essa è
sorta da un'analisi realistica dell'evoluzione
dell'economia comunitaria.
Gli anni che hanno portato al 1970 hanno
visto la conclusione del periodo transitorio e
l'attuazione dell'unione doganale, tanto per i
prodotti industriali, quanto per quelli agricoli.
Questo ha prodotto come effetto che al tempo
stesso la interdipendenza economica fra i paesi
membri si è accresciuta anche se le barriere ancora esistenti fra le varie economie non sono
svanite del tutto. Fatalmente la concorrenza tra
le imprese europee si è accresciuta e gli squilibri derivanti da una diversa situazione strutturale si sono accentuati in assenza di un'efficace
politica economica.
Ma proprio perché lo spazio economico nazionale è ulteriormente penetrato in quello europeo, l'efficacia già ridotta delle politiche economiche nazionali è legata in misura maggiore
al loro inserimento in un quadro comunitario.
In sostanza se fino ad oggi il motto è stato
una efficace politica economica nazionale per
un elevato sviluppo della economia europea,
ora questo motto deve esseie capovolto: occorre
una eficace politica economica europeaper un
armonioso e d elevato svilybpo delle economie
nazionali e regionali.
I1 piano di sviluppo europeo può apparire
velleitario. È vero. Nella situazione attuale,
così come è concepito, difficilmente esso potrà
assicurare un coordinamento tra i piani nazionali. Né d'altronde è da supporre che la fragile
Comunità possa, con intenrenti propri, migliorare la situazione.
Ma non sono meno velleitari i piani nazionali se credono di poter assicurare isolatamente
l'espansione armonica di economie che isolate
non sono e meno ancora lo saranno?
Posto nei termini attuali la via appare senza
uscita. Senza uscita è la Comunità se non riuscirà a varare un'efficace programmazione europea che dia il quadro nel quale si formeranno
i programmi economici nazionali e regionali.
Che senso ha una Comuni1à Economica se non
è una Comunità di armonioso sviluppo economico e sociale. Ma qual'è la via di uscita per le
economie nazionali? Un ritorno a forma di
mercato chiuso?
È un vecchio discorso che torna. Un discorso
che parte da considerazioni rigidamente economiche, ma che necessariamente porta al di là di
quella che è la stretta realtà economica, verso la
sintesi della vita civile.
È infatti evidentissimo che la presente organizzazione politica europea è soprawissuta alla
propria utilità ed ora non è altro che una minaccia per la stessa esistenza della civiltà che
aiutò a formare. Quando gli Stati sovrani dell'Europa moderna emersero dal feudalesimo
del Medio Evo, le loro fiinzioni liberatrici e
creatrici eliminarono la massa delle restrizioni
locali che soffocavano lo sviluppo economico.
Pacificarono i bellicosi baroni e principi e stabilirono una legge uniforme su territori prima
chiusi nei loro particolarisrni. Ma oggi predominanti sono diventate non le loro tendenze
unificatrici, ma quelle separatiste. Esse restringono le attività di una vista economica, la quale nel suo spontaneo sviluppo si estende molto
al di là delle loro frontiere. Sono unità antieconomiche che per l'amministrazione di quelle
funzioni positive cui adempiono e il peso del
mantenimento dell'apparato di difesa necessario ad assicurare l'indipendenza, minaccia
sempre più di assorbire tutte le energie dei loro
abitanti. La esistenza di restrizioni commerciali
e migratorie fra i differenti Stati europei odierni è altrettanto assurdo quanto l'esistenza delle
analoghe restrizioni fra differenti province in
periodi precedenti.
È necessario che il Piano Europeo spinga al
superamento di questi concetti. Naturalmente
la pianificazione deve essere svolta anche in
funzione di motivi che escono dal campo economico, altrimenti sacrificherebbero molte altre realtà a favore di un monismo; ridurrebbero
perciò il reale ad una qualunque delle sue componenti.
Abbiamo visto nel corso della discussione alcuni principi base di un piano europeo. Possiamo forse cercare di puntualizzarli meglio come
segue:
dicembre 1982
1) l'uomo vive in una società di uomini e
gruppi di uomini di tutti i tipi: alcuni di questi
gruppi sono formati in funzione di un lavoro
da portare a termine;
2) è condannabile tutto l'egoismo dei singoli
quanto quello dei gruppi. I singoli, i gruppi e
le collettività non hanno significato esistenziale
senza relazioni fra loro;
3) la realtà sociale ha forma agglobante, cioè
comprende le sue componenti con rapporti gerarchicamente pluridimensionali.
In sostanza tutti e tre tendono ad orientare
la società verso un minimo di costrizione ed un
massimo di spontaneità.
I rapporti fra i vari enti (singolo, gruppo,
collettività) sono basati sui concetti di reciprocità e mutualismo e non di semplice contatto.
Riportiamo queste considerazioni alla pianificazione che per essere democratica deve rispettare l'indipendenza di tutti (produttività e
consumo) senza ostacolare il moltiplicarsi dei
rapporti tra gli enti della società (singolo,
gruppo, collettività), favorendo quelli in orizzontale (specie fra le imprese) e non ostacolando quelli in verticale.
Visto quello che deve essere il contenuto della pianificazione, vediamo la qualità. Diciamo
Piano Democratico Europeo: per essere tale deve apparire:
l ) obiettivo: deve partire da un'economia
reale e non da modelli teorici previsti per il futuro (rifiuto quindi della ideologia);
2) analitico: deve tenere conto di tutte le forze partecipanti all'economia;
3) integratore: alla ricerca di un equilibrio
nel tempo e non di una sintesi hegeliana o
mamista.
Così, la pianificazione risulta legata al passato, poggiata sul presente e rivolta al futuro in
modo da essere ancora:
4) proiettiva
5) sperimentale, cioè empirica
6) creativa od estetica; deve essere anche invogliante, cioè umana.
Bisogna passare, andando dal presente al futuro, da una situazione non pianificata ad una
pianificata: per questo, come al solito, bisogna
passare per delle tappe intermedie e intercomunicanti: queste, sotto l'aspetto dei fini intermedi visti sopra, dovranno essere tali da poter essere cambiate durante lo svolgersi della
pianificazione stessa. È questo il principio della
temporalità della pianificazione:
1) le tappe intermedie sono determinate da
scelte private,
2) le tappe intermedie sono elaborate o determinate da un apparato statale,
3) le tappe intermedie sono elaborate e determinate in considerazione della necessità di
tutti e di ciascuno: difficile, ma più democratico in quanto vi è la partecipazione di tutti, come diritto di tutti e di ciascuno.
Con i primi due tipi di pianificazione si è
avuto il capitalismo privato e quello di Stato
(in cui alcune minoranze possono determinare
l'orientamento della pianificazione).
La pianificazione federalista oppone a queste forme una forma antiburocratica. Questo
porta il discorso sull'argomento del gigantismo
delle imprese e della cooperazione economica
che, se pur importanti, vanno qui solo menzionate.
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
O R G A N O H I N S t L Z DZLL'ASSOCIAZIONE ITALIANA
-
P E R IL CONSIGLIO DEI C O M U N I D ' E U R O P A
La petizione popolare
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i poteri
costituenti al Parlamento Europeo
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orssnutAli\e e pul8ttrhe Il 19 mano a hliu Iwnhure iGi.irn&t,ia fr<kr.tIi i
si -no #tu-onlrstcdue drkpsz~unr,una t . ~ i ~ p r ~ ~ ~ n t . n&.Il; r nl ,i,cnt dr,
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L'EUROPA HA BISOGNO DI UN
GOVERNO:
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ka b i w dell' Eurape per sopravvivere e rinnovarsi.
di vn ~povarnaeumpeo per non s0scom
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dl &k>.
La pianificazione democratica nel senso visto
è una vera e propria rivoluzione che non può
essere affrontata leggermente e senza, in particolar modo, tener presenti questi quattro punti:
1) l'ordine economico globale (pianificazione generale e non di singolo o di gruppi di imprese);
2) le strutture primarie attraverso le quali la
pianificazione costruisce un ordine nuovo;
3) quadro storico e geografico nel quale si
svolge la pianificazione;
4) congiuntura: situazione nella quale si comincia a pianificare.
Due parole conclusive, infine, sul rapporto
produzione-consumo nella pianificazione.
Si dice che il consumo debba regolare il consumo; in realtà si produrrebbe per produrre e
non per consumare. L'uomo deve essere il tramite fra produzione e consumo, mentre invece
il produttivismo tende a ridurre I'uomo in
schiavitù (più o meno incosciente), attraverso
varie forme (interesse, pubblicità ecc.). I1 produttivismo non è che l'eppressione economica
della massificazione; questo farebbe pensare
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VI
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alla necessità del consumo sulla produzione: e
così si passa per reazione da un eccesso a quello
opposto.
Né produttivismo né consumismo assoluto.
Bisogna mettere I'uomo in condizione di
soddisfare il meglio possibile i suoi bisogni,
adeguando
opportun&ente
la produzione. I
- bisogni
- si manifestano in maniera diversa secondo il tempo e il luogo:
- di qui la pianificazione deve poter prevedere diversa soddisfazione a medesimi bisogni in luoghi e tempi diversi.
Non è dunque contrasto, ma tensione fra
produzione e consumo; e la tensione, dicono
alcuni, è la base della società.
La società in realtà è un macrocosmo nel
quale si riflette il microcosmo uomo, cioè la
singola
- espressione della natura, in trasformazione ed in espansione costante, L'uomo dà e
riceve (base dell'economia), produce e consuma, fa e si fa; per questo in ogni trasformazione ed ordine nuovo non si può prescindere dalla natura umana, ma anzi bisogna partire da
questa e considerare le sue prospettive. È chiaro comunque che la preponderanza del consu-
matore giuoca molto sui beni di consumo o di
prima necessità (base della vita umana): è questo il solo campo in cui si può fare pianificazione nel vero senso della parola; in ogni caso precede tutte le altre.
Il minimo sociale deve essere garantito e non
deve essere compresso: ogni uomo deve avere
garantito (non regalato) un minimo potere
d'acquisto indispensabile nei suoi momenti di
vita essenziali: alimentazione - vestiario - alloggio - educazione - salute.
Finalmente la pianificazione nel campo dei
beni di prima necessità deve essere indicativa o
imperativa? Cercando nel federalismo europeo
la soluzione, non ci stupiremo di rispondere:
né l'uno né l'altra; la pianificazione sarà incitativa.
Tutto ciò è possibile solo se esistono istituzioni che garantiscono l'applicazione di tali
idee (principio di garanzia): sono queste le
Commissioni di pianificazione che devono esistere ad ogni livello sì da poter agire, superando le inevitabili e necessarie dialettiche, sia su
un piano verticale (con commissioni analoghe a
livello superiore ed inferiore), sia su un piano
orizzontale (allo stesso livello).
La distribuzione delle competenze fra regioni, nazioni o federazioni, awiene sulla base di
un principio di sussidiarietà. In origine tutte le
competenze spettano alla comunità più piccola, dove tutti i cittadini possono più facilmente
far sentire le proprie esigenze, esercitando un
controllo diretto fra chi gestisce il potere.
Quando un problema assume una dimensione
che supera quella della regione, rientra nella
sfera di competenza della nazione: a sua volta
un problema che superi la dimensione della
nazione rientra nella sfera delle competenze
specifiche della federazione. Per cui sarà la regione a decidere se costruire un nuovo ospedale, la nazione se raddoppiare l'autostrada, la
federazione se aumentare gli stanziamenti per
la ricerca spaziale.
L'ordinamento federale compone così
l'enorme telaio (questo è già un piano) entro
cui si tessono i rapporti sociali, si svolge l'attività economica, si ordina la ricerca scientifica e
si ricerca una vita culturale.
Nell'autonomia e nella cooperazione, elementi nuovi della vecchia e della nuova Europa, si arricchiscono le tradizioni dei singoli popoli, rafforzando con esse i legami sociali ed il
rispetto per I'uomo e per i principi della libertà.
L'ordinamento comunale
in frantumi
(continuazione dapag. 26)
che per la sua qualità virtuale di ente sovraordinato non sarebbe privo di mezzi di pressione
più o meno occulta per alimentarlo.
I1 risultato, a parte ogni considerazione sullo
snaturamento della autonomia comunale, potrebbe essere che la Provincia, nell'arco temporale di alcune generazioni, si trasformi surrettiziamente da ente territoriale con funzioni prevalentemente programmatorie in ente di amministrazione attiva, senza responsabilità primaria nei confronti delle comunità locali.
36
COMUNI D'EUROPA
Istituzioni e cultura politica
per l'Europa «seconda generazione))
di Massimo Bonanni
Una riflessione oggi sulla Comunità Europea, sulla sua crisi, sulla cultura politica che
l'ha sostenuta o che le ha fatto difetto, non
può essere altro che una rilettura.
A questa rilettura il percorso (che pure presupponeva un obbiettivo, un punto di arrivo)
appare con le stesse caratteristiche di una navigazione sottocosta. In essa l'orizzonte non si
presenta mai aperto ma su di esso incombe
sempre un promontorio che bisogna doppiare,
e dopo di esso un altro ancora.
Tali promontori sono stati rappresentati volta a volta da scadenze quali la firma dei trattati, la fine del periodo transitorio, la crisi francese prima e il superamento del compromesso di
Lussemburgo poi, i primi tentativi per l'UEM,
la politica regionale, i negoziati di adesione, la
politica di bilancio, il sistema monetario europeo, le nuove politiche del Mandato.. .
Se facciamo riferimento all'attuale situazione comunitaria (lasciando quindi da parte
quanto si sta elaborando nel Parlamento Europeo) dobbiamo dire che ancora oggi (e forse
oggi più di ieri) l'orizzonte non si presenta
aperto.
Abbiamo anzi il sospetto che questa navigazione sottocosta abbia fatto perdere alla CE la
direzione e il senso del percorso e che il problema sia oggi quello di ripensarlo. Che il problema sia (per restare nella nostra metafora) quello di passare da una navigazione sottocosta alla
navigazione strumentale, il che implica la necessità di tracciare sulla carta una linea tra punto di partenza e punto di arrivo anche a costo
di tagliare come irrilevanti alcuni dei promontori che si è dovuto faticosamente doppiare.
E questo è il procedimento a cui mi atterrò
nel corso delle mie considerazioni sulla crisi europea come crisi delle istituzioni e della cultura
politica, intesa quest'ultima non solo nella sua
accezione accademica ma anche come cultura
delle forze politiche e in particolare della sinistra. È probabile che questa navigazione al largo - che non ripercorre le vicende della Europa «prima generazione» - comporti una perdita di paesaggio. Ma ci auguriamo che permetta di guadagnare più orizzonte.
Per introdurre la tematica istituzionale inizierò quindi dalla attuale situazione di crisi (se
non di regressione) in cui si trova la Comunità
Europea esaminandola dapprima con riferimento alle vicende e ai paradigmi interpretativi del sistema internazionale e in secondo luogo con riferimento alle vicende interne degli
stati.
Che la crisi della Comunità Europea si collochi in una più ampia crisi del sistema internazionale è una osservazione che può al più essere
aggiornata ed esemplificata di volta in volta
sulle vicende del momento. Facendola oggi dovremmo mettere l'accento sulle carenze di un
sistema monetario europeo in parallelo con le
avventure del dollaro e con le drammatiche
conseguenze che ne derivano alle bilance dei
pagamenti e alle aziende che si sono indebitate
in quel mercato.
Ma non si tratta che di esempi che confermano I'ingovernabilità e l'imbarbarimento del sistema internazionale (per usare alcune definizioni che sono state date alle vicende dell'ultimo decennio).
Che esso versi in una cri,si di grandi dimensioni lo dimostra il fatto che qualunque nodo
rinvia subito ad un altro senza che ciò ci awicini alla soluzione. Si può partire dal nodo monetario per giungere subito a quello petrolifero, da questo alla politica commerciale e al risorgere del protezionismo e di qui al problema
dei paesi in via di sviluppo., per tornare a ritroso ai problemi già enunciati: protezionismo,
politica commerciale, problema petrolifero,
problemi finanziari e monetari. Su questa rete
di problemi sono possibili vari percorsi e, di
conseguenza, varie interpretazioni: ogni sapere
specifico, ogni scuola di pensiero potrà così stabilire dei percorsi secondo catene causali più o
meno credibili e più o meno compatibili.
Ma non è questo il punto che ci interessa. A
noi interessa piuttosto sottolineare come il decennio trascorso sembri sempre di più confinare queste discussioni ad un ambito accademico
in quanto si è approfondito il divario tra teoria
e prassi, e il sistema internazionale è sempre
meno accessibile ad una pratica politica. E, ciò
che è più drammatico, questa inaccessibilità
crescente va in parallelo con una crescente interdipendenza. Oggi sentlamo in modo più
forte di ieri, come problemi monetari, commerciali e finanziari si colleghino strettamente
ai problemi della nostra governabilità interna.
Ma oggi sentiamo in modo più forte di ieri come queste componenti esterne siano sottratte
alla nostra capacità di determinazione, come
esse sfuggano sempre di più alla presa di una
azione politica.
È sullo sfondo di questo buio all'orizzonte
che dobbiamo porci il problema dell'Europa,
sia per una analisi critica dei risultati raggiunti,
sia per individuare le funzioni a cui essa deve o
dovrà rispondere.
Nella prospettiva di una analisi critica non
possiamo non rilevare come: la Comunità Europea sia stata attraversata e decomposta da una
crisi che ha inciso in maniera differente sulla
governabilità dei paesi mernbri spingendoli alla ricerca di soluzioni differenziate o conflittuali che hanno ulteriormente aggravato la situazione.
La Comunità Europea insomma ha fallito
nel compito di presentarsi come «un insieme
economico e monetario organizzato* (per
esprimersi con le parole di iin programma della
Commissione risalente orinai al 1970). Essa
non è stata né l'istanza attraverso la quale agire
sul sistema internazionale né il filtro che attutisse le conseguenze del suo disordine.
Queste valutazioni critiche non tolgono però
che in una ricostruzione del discorso europeo,
dicembre 1982
in una nuova cultura politica che ponga il problema europeo in una nuova centralità, debba
essere rivalutata la funzione della Comunità
Europea nel contesto internazionale; che si
debba riconoscere che nonostante le sconfitte
la costruzione europea è la condizione storicamente data per una maggiore accessibilità del
sistema internazionale ad una pratica politica.
Può sembrare forse un po' enfatico parlare
della necessità di una Itnuova cultura politica».
Vorrei perciò soffermarmi su questo punto
per sottolineare come, nei riguardi del sistema
internazionale siano presenti due diversi paradigmi, due paradigmi antitetici che è possibile
delineare in correlazione con il concetto che
più ha affascinato e monopolizzato sia il pensiero che la prassi politica: il concetto di stato.
Il primo paradigma di sistema internazionale (che uno storico della politica ha definito come caratteristico dell'ideologia ottocentesca) si
articola in modelli che potremmo definire «a
priorità stato,.
Secondo questi modelli sono gli stati a costituire l'elemento originario. Essi non presuppongono un sistema internazionale ma al contrario lo generano. La definizione di sistema
internazionale è così residuale e derivata: esso è
costituito da tutto ciò che non è stato, da tutto
ciò che è al di fuori di una monade originaria
che potrebbe vivere anche senza finestre.
La vitalità di questo paradigma è maggiore
di quanto si possa pensare imputandolo alla
ideologia ottocentesca.
Ancora oggi, tanto nei più recenti dibattiti
teorici sulla crisi dello stato quanto nella politologia più alla moda non si è mai riflettuto (o
non si sono tratte le debite conseguente) alla
connessione tra la governabilità interna e la crisi del sistema internazionale, alle conseguenze
della coesistenza di questi due diversi livelli,
alla possibilità e alla necessità di riawicinarli in
una pratica politica.
A fronte di questo paradigma ce n'è però un
altro che chiamerò «a priorità mondo». I suoi
precedenti ottocenteschi possono essere ritrovati nel concetto di «primato della politica estera*
di un pensatore come il Ranke ma soprattutto
nel quadro di riferimento teorico di Mam.
Utilizzando con una certa libertà concetti e
temini di studiosi contemporanei (quali Amin
ed Emmanuel, Braudel e Wallerstein) possiamo dire che questo paradigma vede l'elemento
originario non nello stato ma nella formazione
di un sistema ceconomia-mondo*. In questo
quadro la formazione dello stato (anche quando la sua origine non sia costituita su una interpretazione rigida del teorema della sovrastruttura) è strettamente connessa a particolari esigenze del sistema globale in cui è immerso.
Dei due paradigmi è stato il primo a prevalere e il fatto che la prassi politica (anche quando
si presentava con valente utopiche a livello globale) abbia progressivamente subito la fascinazione dello stato chiudendosi nei suoi confini,
costituisce la contraddizone da cui oggi bisogna uscire.
Se inseriamo i problemi della Comunità Europea nell'àmbito di un paradigma «a priorità
mondo» possiamo meglio apprezzare e qualificare alcune delle difficoltà e delle resistenze a
cui la costruzione eyÉopea ha dovuto far fronte.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
Possiamo apprezzarle e qualificarle dicendo
che esiste un interesse dei centri e dei settori che possono meglio adattarsi alle regole
dell'economia-mondo a mantenere la Comunità Europea al livello di un mercato-senzastato, a frantumare e confinare il peculiare rapporto tra stato e mercato che esiste nei nostri
paesi impedendogli di allargarsi, sia pure alle
dimensioni della Comunità Europea.
Come esempi di ostilità provenienti dai centri esterni alla Comunità Europea potrei citare
l'opposizione di Kissinger alla politica energetica comunitaria, le opposizioni incontrate dalla Convenzione di Lomé e la fine che hanno
fatto le proposte della Commissione per una
uniformazione delle politiche nei riguardi delle multinazionali.
Come esempi di ostilità provenienti dall'interno si può pensare alle ostilità che hanno incontrato o che incontrano le innovazioni che si
presentano come correzioni al mito del mercato quali la politica regionale, la seconda fase
dello SME, I'instaurazione di una politica industriale.
Credo che sia utile prendere atto di questo
contrasto tra due insiemi di regole, quelle di
una economia-stato, basata su articolazioni
stato-mercato, e quelle di una economiamondo che postula come forma ideale un mercato senza stato. Credo che sia utile non soltanto perché ci permette di fondare la nostra analisi su qualcosa di più solido che non sia una
generica congiuntura apoliticm o addirittura su
valutazioni soggettive relative al personale politico.
Ma credo che sia utile soprattutto perché ci
permette di vedere nella costruzione della Comunità Europea la possibilità di diminuire il
divario tra momento statuale e momento internazionale, e la possibilità di rendere il sistema
internazionale più accessibile ad una prassi politica.
Ma se queste sono le potenzialità non dobbiamo stupirci delle opposizioni e delle ostilità
palesi o occulte, né dobbiamo attenderci che la
costruzione europea sia accolta con un favore
generalizzato, interno ed esterno. Anzi, oserei
quasi dire che proprio il favore generalizzato,
che si postulava avrebbe dovuto accompagnare
la crescita della Comunità Europea, e ciò che
ha finito per danneggiarla, e ha frenato la sua
legittimazione culturale e politica mettendone
in secondo piano le valenze innovative e rivoluzionarie.
Una nuova cultura politica significa oggi dare ai modelli «a priorità mondo» una énfasi che
non sia solo liturgica ed una posizione che non
sia specialistica o collaterale ma che si colleghi
più strettamente alla stessa prassi politica e agli
stessi obiettivi perseguiti a livello statuale.
Questa nuova cultura politica deve collocare al
suo centro il problema europeo per costruire
intorno ad esso non generiche reti di aconsenso
di opinione pubblica ma quelle reti di consenso e quei fronti di conflitto che sono costitutivi
di ogni azione politica.
Credo sia chiaro n questo punto che il mio
discorso sulla struttura istituzionale rinvia immediatamente alle forze politiche.
Nell'esaminare le vicende e le strutture della Comunità Europea non si può sfuggire alla
constatazione che la sua incapacità di decisione
37
vada ricondotta alla sua carenza di legittimazione per forze politiche.
Basta ripercorrere la storia della Comunità
Europea per rendersi conto di come, più che
giuridica o politica, la sua base di legittimazione si fondi su va.riabili accordi intergovernativi o addirittura su accordi personali di cui
non mancano esempi (Adenauer - De Gaulle;
Heath - Pompidou; Giscard - Schmidt).
Con un'altra terminologia possiamo dire che
sono i cicli politico-elettorali nazionali, nel loro
variegato intrecciarsi ad impedire un respiro regolare degli organismi comunitari, a rendere
possibile l'esistenza di un ciclo politico europeo periodicamerite scandito da verifiche del
consenso.
Questa linea di analisi può essere meglio illustrata con qualche esempio.
Basti pensare al caso inglese dove la carta europea viene giocata alternativamente da laburi-
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sti e conservatori. Saranno infine i conservatori
a condurre il negoziato. E ciò è all'origine del
famoso rinegoziato. Un secondo rinegoziato ha
seguito la successiva vittoria dei conservatori ed
è facile profezia che se i laburisti giungessero al
potere nel 1984 avremmo un terzo rinegoziato.
Anche in Germania l'ascesa di Schmidt nel
1972 ha segnato un rivolgimento che ha inciso
nella struttura comunitaria. Più vicino a Giscard che ai socialisti, più vicino al Governatore
della Banca centrale che a un Brandt, la politica europea della Germania subirà un cambiamento di cui faranno le spese la politica regionale e quella monetaria e finanziaria (si pensi
al caso del prestito franco-tedesco) mentre sarà
proprio il nuovo cancelliere a teorizzare 1'Europa a due velocità.
E del resto, per passare alla Francia, non si
può forse definire un rinegoziato la politica
gollista che si esprime con la crisi del '63-'66? E
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COMUNI D'EUROPA
chi potrebbe negare che i ritmi decisionali della CE non siano stati rallentati ed inibiti dalle
vicende politiche ed elettorali di Pompidou e
di Giscard?
Se mi limito a questi esempi è soltanto per
non aminiaturizzare, l'analisi, scendendo nel
merito di singole decisioni.
Questa situazione, questa sensibilità solo in
negativo a quanto awiene nei singoli paesi,
non poteva non rifluire sulla vicenda e sulle
strutture comunitarie.
Per le vicende basta considerare il decennio
1970-'80: al suo inizio (Vertice delllAja del
'69, Rapporto Werner del 1970) si facevano
programmi per una unione «economica e monetaria»; alla fine si rinvia con tutta naturalezza come fatto di ordinaria amministrazione
«l'esame delle misure che facilitino il passaggio
alla seconda fase dello SME,. All'inizio del decennio (Vertici di Parigi e di Copenaghen) si
parlava di Unione Europea e di identità europea come obbiettivo per il 1980, alla fine del
decennio la Commissione con il rapporto Andriessen «si felicita del fatto che il dibattito politico sull'Unione Europea sia stato rilanciato
proprio a dieci anni da quella data».. .
Per quanto riguarda le strutture non si può
non rilevare che il disegno complessivo è ormai
stravolto da dinamiche contraddittorie.
Il disegno originario, basato su un equilibrio
tra stati e forze dell'integrazione, può essere
riassunto così. Da una parte la Commissione,
organismo forte nella articolazione delle proposte e quindi con una sua struttura amministrativa, dall'altro il Consiglio, organismo forte
solo nella decisione (e quindi con struttura amministrativa leggera).
A dieci anni dall'inizio, quel disegno (in
forza del quale le decisioni prese a maggioranza dovevano essere conformi alle proposte della
Commissione) era ormai stravolto e il rapporto
Vede1 segnalava con preoccupazione la centralità del solo Consiglio «ora come organo comunitario, ora come sede di concertazione tra stati~.
Negli anni seguenti il Consiglio si riservava
anche compiti di amministrazione e di gestione, anche quando questi erano, per trattato, riservati alla Commissione.
Alla crescita amministrativa del Consiglio si
aggiungeva poi una politica espressamente diretta (vedi dichiarazioni di Giscard in merito) a controbilanciare la crescita del Parlamento
europeo e a disinnescare in qualche modo un
processo che mettendo in contatto un Parlamento con una istituzione «tipo esecutivo»
avrebbe costituito «in nuce» un qualcosa che
andava oltre il mercato. I1 cervello andava
quindi allontanato dal cuore e portato fuori
dello schema istituzionale in cui lo si voleva
rinchiudere: I'istituzionalizzazione dei Vertici
nel Consiglio europeo fino a quell'ultimo apasticciaccio brutto» che è I'aAtto solenne, italo
tedesco rispondono a questa logica.
Che la macchina ormai macini acqua, che la
sua dinamica interna si sia dissolta nell'entropia risulta anche - se non altro in termini
quantitativi - dalla molteplicità dei rapporti,
documenti, progetti e proposte con i quali si
cerca di rimettere in moto la macchina. Cito a
caso: il rapporto Tindemans, il rapporto dei
Tre Saggi, l'affresco della Commissione, il rap-
dicembre 1982
porto Spierenburg, i lavori del gruppo sul
Questa critica si può meglio formalizzare
Mandato, le proposte di lord Carrington, il con riferimento ai meccanismi di legittimaziorapporto Andriessen, un memorandum france- ne dei sistemi complessi, siano essi federali o
se.. . oltre al già citato «Atto solenne» italo te- quasi federali. È implicito nella tradizione istidesco.
tuzionale e verificabile nel diritto costituzionaCaratteristica di tutti questi documenti è che le comparato che tali sistemi debbano disporre
sotto le ambizioni espresse enfaticamente come di un doppio sistema di legittimazione: per
uapproche à la fois ambitieuse et pragmatique» stati e per forze politiche.
o come «souci de pragmatisine et d'efficacité,
Diciamo allora che la CE «prima generaziosi cela un «gioco linguistico~in cui l'analisi è
ne» è stata caratterizzata da una legittimazione
talvolta lucida e disincantata ma non presenta
per stati non adeguatamente bilanciata da una
alcuna relazione logica con le misure proposte,
legittimazione per forze politiche. Ciò ha fatto
con il risultato che anche l'arialisi iniziale viene
cadere la dinamica fra realtà statuali e realtà
sconfessata per riproporre coine fatto nuovo ciò
politiche con riflessi anche sulla decisione, sotche già esiste.
toposta, come abbiamo visto, a cicli determiIl povero pragmatismo più volte richiamato
nati dal ristretto gioco della sua unica base di
nei documenti comunitari era ben altro. Esso è
legittimazione.
stato una importante corrente di pensiero dalla
Non ho finora accennato al problema del PE
quale abbiamo ancora da imparare. Ma qui lo
di
cui non sottovaluto gli indubbi successi polisi vuole utilizzare per coprirc: insieme l'inerzia
tici,
ad esempio sul bilancio. Tuttavia - sedell'azione e le aporie del pensiero, per coprire
guendo
il filo del nostro discorso - dobbiamo
strategie che postulando una «efficacia senza
dire
che
la situazione che si è venuta a creare
spettacolarità», si risolvono in una spettacolanella
Comunità
Europea era in qualche modo
rità senza efficacia. Lasciando stare il pragmatismo, la situazione è la stessa che si presenta nel implicita in presenza di un Parlamento che
malato a cui sia stata praticata la lobotomia e non nasceva dalla società (divenendo organiche compie con la mano sinistra le operazioni smo politico attraverso un «patto costituzionainverse di quelle con la destr:a: nega in qualche le») ma da un trattato: la «forma parlamento,
precedeva così la costituzione dei soggetti che
modo con una mano ciò che :Iffema con l'altra.
I rapporti inter istituzionali quali oggi si pre- avrebbero dovuto farlo sostanza.
sentano tra la Commissione, i vari tipi e i vari
In questo senso del resto si esprimeva il Raplivelli del Consiglio dei ministri, il Consiglio porto Vedel quando in sostanza affermava che
europeo e le più recenti riunioni informali sul «il problema del Parlamento non è quello (giuMandato.. . ci presentano proprio una Comu- ridico) delle elezioni dirette. Esse saranno pronità lobotomizzata.
ficue solo se innescheranno dei processi socioloMa abbandoniamo la linea narrativa per cer- gici che portino a nuove realtà nel campo delle
care di rinserrare il tutto in u i quadro
~
teorico.
forze politiche. Solo a queste condizioni il siLa Comunità Europea nori dispone della ca- stema potrà dirsi dotato di una specie di rete di
ratteristica (che è propria degli stati costituzio- comunicazione che generi consenso. Questo
nali) di rendere permanente la processazione processo purtroppo richiederà del tempo ma fidel consenso, di sapersi rigenerare anche quan- no a che esso non sarà compiuto non avremo
do quel consenso venga a cambiare. Il consenso un vero Parlamento e nonostante le apparenze
iniziale che aveva portato ai Trattati di Roma il gioco elettorale si fonderà sui partiti e sui
poteva quindi solo diminuire e la sua rigenera- Parlamenti nazionali. Ciò creerà dei malintesi
zione poteva awenire solo all'esterno, facendo e rivalità destinate ad aumentare quanto più si
aumentare la sua subordina.zione alle vicende progredirà in una unione economica e monetainterne degli stati.
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
È inutile rifare su questo punto la storia e
I'esegesi dei trattati e degli atti successivi, se
non per mettere in rilievo che essi non considerano il Parlamento Europeo come momento di
rappresentanza popolare ma come momento di
rappresentanza «dei popoli degli stati*. Nel riprendere per il Parlamento Europeo una formula (ai popoli degli stati*) che era quella della
Carta di San Francisco per l'istituzione delI'ONU era implicita la conseguenza che il processo di legittimazione non avrebbe dovuto
avere come soggetti le forze politiche ma «le
forze politiche degli stati».
Se si affianca questa osservazione a quanto
abbiamo già detto sulla macchina decisionale,
la situazione può essere descritta con una metafora che vede l'Europa come un mercato di oligopolisti (gli stati) di cui le istituzioni sono il
acomitato di affarioe le forze politiche i «sindacati interni*, cioè organizzazioni nelle quali le
logiche aziendali degli stati prevalgono sulla
necessità di costituirsi come soggetti politici,
O R G A N O M E N S I L E DELL'ASSOCIAZIONE
I quadri " del CCE
I1 pmtcair G m m , pr~gidenw deIPL'n?onr
delle Piu\rncr d'ltelie, nella. wlrvione alin
agcmblee otraordiaarls del %'residenti d d IiJni«ne
Le proqpPttiue d i Una nnova lesgr
cnmunale e pmvindah @ Io fisnrrutli deib
Pmvbce *t b u t i i d nel mugw BRMPU a Salema
hp me= in pianfia wnhn i1 m h i o di ndurre
L'ente (aerrtoriiLe l o d e , s t l r a v m un InSBuki
elenco d i hiawaii sd W kcmplwe mmme
di sttribueloni. Nsn t ammteublle tnan (.
nrstiturior(ale>
ha allennaw l1 relncore ridurre la Provincia ( o LI C m m e ) ad assolvere
puamenw &I@funztonx deteminale dalle leggi
li pmfaaw Qmsso ha sottoknesto I'imporlailza
rn una nuova legge mmunak e pmineiuli.,
d t i b enunohzlone generale che de\e IW
stan i pnncIpi nelI'ambl(o del quel1 a svoiige
le aubntxnla s ha pmscllitito. Noi veiirem
mo p r e e i m e a l e queste Impratirimir p r m d c t r
lelsnw delle Iirnztoni, e far cnpu allrr sviluppo m i u n i c o e M a l e ed a i pwmau8 eivllc
del* w p a a , fwwdo centro, wonda la
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Wtreznnw, a Mafm volta, umcludwe eh@ dalle
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.
.
-
-
-
come operatori di una diversa forma di legittimazione .
Quali conclusioni (e soprattutto quali indicazioni) si possono trarre da queste analisi?
Una prima indicazione è quella di ridisegnare il sistema istituzionale comunitario a partire
da un dibattito sulle competenze in un quadro
«a priorità mondo,. In questo senso si sta già
muovendo il Parlamento Europeo e soprattutto
la sua Commissione istituzionale.
Vorrei tuttavia mettere in rilievo come accanto ai lavori della Commissione istituzionale
(a cui tutti auguriamo il successo) quasi nulla si
sia ottenuto con la legge elettorale la quale non
è riuscita a forzare la compartimentazione che
il sistema impone all'elettorato attivo e passivo
e quindi anche alle forze politiche.
Il pericolo a cui si va così incontro è quello di
un nuovo sistema decisionale non adeguatamente accompagnato da un più radicato sistema di legittimazione.
Oppure al pericolo di veder languire il pro-
FTALkANA
W
P E R ti. CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA
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fedemi@r ferma n1 lirrlln degli accordi mter
govcm;lu\i -- intpgtaiati dulle i>wmsiii~
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df€Uk+(U al alprrln BiUOm diglmtrco r aUd
s wvmnadt«nah<a* dei p%ilmtatipnnirtniiei ma
e del t ~ t b~mepm.mbile NatiLiiuuRalr~~enti'
t w n U ~ IParlamento eunipm fimnulo dl deputati aauunali, puaarenh wneullivo e, dr fatlir
esau\oraio). 6 aenrs i.Rrlt~\oennlrollo pipolnr4.
S(Utis(1 narrmali vlajjgianu per 1'Eumpo c dimrmno, facendo a meuo di iastldlad inWmeaiarl, s i m le loUe. m rrfiiguuno ddt'iurrrigare
wcondo le regole dello drmWCrdsU
i1 pop<?h*i~irq>et*tO PI>\S~X<.O tnllemm l resposshilr, liberemente cletli, delle mn%oiilfAIwali9
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c l w z ~ o n r e vogliaaio qui Inossiera sull'espmnrane < con piena m n r s w a l r m che ~bbiamu
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Y'lchl@& dalla ba-gIla
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SOMMARIO
-
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39
getto perché contemporaneamente non si è lavorato al secondo binario che ne avrebbe permesso l'avanzamento.
È proprio qui invece a mio awiso che si deve
collegare una linea strategica delle forze politiche e della sinistra. Una strategia che sappia far
riferimento ai problemi del consenso in stretta
connessione con quelli della decisione. Una
strategia che sia insieme costituente ed auto costituente e che colleghi in un'unica logica politica momenti nazionali e momento europeo,
che riversi per così dire nel sistema europeo la
forza legittimante del momento statuale, che
orienti fin dall'inizio il momento nazionale in
una prospettiva europea, che fornisca come
substrato alla decisione un ciclo politico elettorale non intermittente.
Una strategia di questo genere deve anche
saper delineare i primi passi tenendo presenti
le divergenze e le diverse posizioni parlamentari che sigle, programmi e gruppi parlamentari
solo formalmente unificati non riescono a nascondere.
Proprio per questo credo che i primi passi
debbano essere fatti muovendosi sul crinale tra
politica e cultura, senza investire direttamente
i centri nevralgici dei partiti per non ricadere
subito nella logica degli schieramenti. Credo
che l'esperienza europea del Coccodrillo e
quella nazionale della Sinistra indipendente
possano servire a delineare una prima strategia
di azione.
Ci sono owiamente delle difficoltà ma possono essere superate se la tensione è animata da
una nuova cultura tesa ad awicinare la prassi
politica alla dimensione mondo.
Uno studioso ha rilevato come il «Manifesto
dei comunisti» cominci con la parola «mondo»
ma finisca con il prospettare tutta una serie di
obiettivi «ad interimo dentro i quali il movimento operaio sarebbe poi rimasto imbrigliato
a livello statuale.
Ed è in questa perdita della dimensione
mondo che si può collocare l'origine di quel
processo definito come «socialdemocratizzazionep. Lavorare per un soggetto politico che riprenda a livello europeo le tradizioni del movimento operaio significa riaccostarsi a questa dimensione, diminuendo il divario che esiste tra
momento statuale e momento internazionale.
Tale divario costituisce il massimo punto di
forza dell'attuale assetto sociale, essendo esso a
determinare i margini di governabilità all'interno dei singoli paesi e quindi anche i rapporti
tra le classi.
I1 problema della crisi della sinistra in Europa può essere affrontato utilizzando diversi parametri. Ma la conclusione è sempre la stessa:
la crisi è nella incapacità di prospettare convincentemente il futuro. Ci sono motivi per argomentare che un ampliamento della prassi politica verso la dimensione-mondo comporti anche un ampliamento di possibilità nella dimensione prospettica, in termini di futuro.
L'occasione che oggi si offre al movimento
operaio, quella in cui la linea dell'utopia sembra incrociarsi con la linea della possibilità storica, forse la stessa occasione per la (terza vi=,
è nella scelta europea non come fatto da accettare o da respingere ma come premessa di un
grande rilancio ideale per tutta la sinistra.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
I1 turismo: problema culturale
di Aurelio Dozio
L'art. 2 dei Trattati di Roma dice chiaramente che ala Comunità ha il compito di promuovere.. . più strette relazioni fra gli Stati che ad
essa partecipano, e naturalmente il turismo ai
fini dell'unificazione europea e quindi è tra i
problemi, tra i mezzi per promuovere questa
unificazione. I1 turismo, con tutti i suoi addentellati, gemellaggi, ecc. assume certamente un
ruolo primario, ai sensi del citato art. 2 .
Secondo me però il problema del turismo e
della promozione della coscienza europea è anzitutto un problema culturale. È chiaro che il
turismo lasciato a se stesso crea comunque dei
rapporti, è innegabile che un turismo che prescinda da ogni obiettivo, tipo quello dell'unificazione europea, comporta con sé comunque
delle qualità di conoscenza, estensione dei rapporti, ha delle funzioni sociali, culturali, economiche, umane, ecc. Ma se vogliamo che
questo turismo, nel senso dello spirito del Trattato di Roma e nel senso dello spirito della concezione federalistica di una nazione europea,
questo turismo, per raggiungere questi scopi,
per promuovere una coscienza europea, avendo come scopo l'unificazione dell'Europa non
può prescindere da due grandi caratteristiche.
La prima caratteristica è quella dell'organizzazione. L'organizzazione. Come ogni famiglia qualora si vogliano raggiungere degli scopi
ben precisi, si stabilisce un programma per cui
innanzi tutto il padre (almeno dovrebbe essere
così!) il padre dico combina con i figli, con il
coniuge, gli scopi e le varie disponibilità, così
per l'Europa, qualora si voglia perseguire lo
scopo dell'unificazione, il turismo non può
prescindere da una impostazione programmatica ed organizzativa di base.
Concetto programmatico e organizzativo che
è l'unico mezzo affinché questo turismo europeo, di cui spesso si sente parlare in chiave
egoistica ed egocentrica (cicero pro domo sua),
raggiunga il ruolo di strumento dell'unificazione. E una grande attenzione a questo proposito deve essere dedicata ai mass media, che
ci possono essere di grande aiuto. Poiché noi
siamo vittime dei mass media (noi abbiamo visto cosa possono fare i mass media, magari in
base a criteri, a ricerche reali delle varie scienze, noi abbiamo visto, dicevo, intere posizioni
culturali o economiche o semplicemente dietetiche, trasformarsi). Faccio un esempio, c'è stato un periodo in cui si diceva che le uova facevano male al fegato, poi improvvisamente hanno scoperto che le uova non fanno così male al
fegato, e così via.. . Uno si domanda sempre se
dietro queste cose non ci sono altri interessi di
altra natura, e perché allora non usare dello
stesso metodo di influenza per indirizzare ed
educare il nostro turismo.
Ora io non pretendo che la politica europea
si muova solo così, ma è chiaro che quando
(Da un intervento alla Conferenza europea
sul tlrrhmo; Rimini, 23-2> settembre 1982).
parlo di organizzazione di turismo, parlo anche in questo senso.
Un'adeguata organizzazione del turismo è
imprescindibile strumento per aiutare anche
una politica di sviluppo regionale. Io non voglio suggerire niente ma quel giorno in cui si
scoprisse che le sabbie dello !Schleswig-Holstein
sono particolarmente radioattive, sarebbe la
fortuna di quelle zone sottosviluppate della
Danimarca o così come la st:ampa scoprisse che
particolarmente ricchi di fosforo fossero i pesci
delle coste del Portogallo. Voi direte che questa è una furberia tipicamente «latina,. No, è
un amarketing* turistico, è uno strumento attraverso il quale si può pensare ed attuare quelli che sono i compiti che sono stati delegati alla
Commissione dei vari Trattati che mirano
all'unificazione europea.
Ma a parte questo, però, e ritornando all'inizio, all'altro punto della rnia relazione, che
sottolinea la necessità di un turismo organizzato, per lo sviluppo di una (coscienza europea,
l'altro argomento è quello di una preparazione
culturale. Vedete, io per la mia attività, per la
mia posizione, per certe altre cose, viaggio
molto e vedo molte cose. Sempre sono stato
turbato a proposito del turismo e di coscienza
europea e in alcuni casi veramente scioccato dagli impatti con il turismo di massa. Turismo di
massa, che può servire forse a promuovere la
coscienza europea, ma se non è ben inquadrato, organizzato culturalmenre, il che mi dispiace per coloro che magari vedono in quello un
certo progresso sociale, io ritengo che se non è
una sciagura, non è certo argomento né di sviluppo sociale né di sviluppo culturale, e neanche di sviluppo economico.
Cito due esempi che mi hanno scioccato: il
primo è avvenuto a Lugano dove esiste una collezione Von Thyssen, una collezione di primitivi italiani splendidi e dove la storia della pittura europea è esposta in una villa sul lago, con
una serie di quadri eccezion.ali. Io ci sono arrivato, ho avuto la sventura di arrivarci in un
momento della estate calda e afosa e mi sono
imbattuto in qualche centinaia di turisti europei che erano venuti a vedere la Von Thyssen.
Era uno spettacolo pietoso, la cultura non c'entrava niente, c'entrava la freschezza delle sale e
il desiderio di liberarsi dei sandali e delle scarpe che avevano turbato queste signore che venivano dal nord, dall'est e dall'ovest.. .
Il secondo esempio che io vorrei esporre per
dimostrare come il turismo qualora non culturalmente preparato, attraverso una formazione
di acquisizioni del comune patrimonio culturale, storico, architettonico, ecc. non serve a
niente, né all'Europa né alla coscienza europea, riguarda i prati che precedono la Marmolada. Io ho la fortuna di poter vivere nel Trentino, nel Sudtirol, e i luoghi cui accedo di
frequente sono le montagne. Questa estate io
ero sulla Marmolada, e ho potuto con dolore
constatare a cosa sono ridotti i prati che prece-
dono i ghiacciai della Marmolada. Questo grazie a un turismo di massa irrazionale, incultutale e non preparato, non organizzato. Per riassumere ripeto che nella mia relazione troverete
due argomenti, il turismo come fenomeno promotore dell'unificazione europea e come fenomeno altresì catalizzatore della coscienza europea nel senso di portare alla superficie dei
nostri interessi egoistici, personali o nazionali,
questa adeductio ad unum» che è la sola speranza di salvaguardia del nostro patrimonio
culturale artistico ambientale, non può prescindere da una organizzazione al vertice che
determini e scaglioni i periodi di vacanze, le
epoche, i luoghi, indirizzi le correnti perché
nel determinare alcuni indirizzi di focalizzazione del turismo ci può essere un fattore di
grande importanza economica; ma, aconditio
sine qua non», tale turismo non può prescindere da una base culturale, chiara e cosciente.
Fin quando i nostri turisti, noi turisti, non
saremo culturalmente preparati, è tutto da rifare. Ci si lamenta che nelle nostre città si scriva sui muri, nelle nostre città si butta per terra
la carta, ecc. e io continuo a sostenere che fin
quando non si comincia dalle elementari a dire
che chi butta la carta per terra è cattivo, chi
butta la carta per terra è maleducato, chi butta
la carta per terra distrugge il patrimonio comune pubblico, non si farà un passo avanti. Così è
nella coscienza del turismo europeo, perché fin
quando non si porterà a conoscenza di queste
masse vaganti di turisti, dicevo, cos'è che vanno a vedere, a cosa serve questa loro presenza,
che cosa portano delle loro abitudini e li si convince che è inutile saccheggiare, distruggere o
semplicemente passare come acqua sulla pietra, non c'è niente da fare, il turismo rimane
un fenomeno economico, una miniera d'oro
nelle mani delle varie agenzie, delle varie multinazionali, che continueranno a scoprire e a
sottoporre sia in Europa che nel Mondo ai soli
fini del loro tornaconto economico (e non certo
ai nostri fini dell'unificazione europea o della
coscienza europea) dei paradisi, dei nuovi paradisi da distruggere al solo scopo di ricavarne
il massimo beneficio.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
41
Regioni e Comunità europea
di Onorato Sepe
Può darsi che il fatto di essere italiano sia per
me fuorviante e che pertanto io sia afflitto da
una inesatta visione dell'orizzonte comunitario, ma, pur rendendomi conto che altri, soprattutto non italiani, possano non condividere il mio avviso, ritengo che il fenomeno più
importante della nostra Europa sia costituito
dallo sviluppo assunto dalle politiche regionali
e dall'idea stessa del regionalismo. È lo spoglio
dell'ultimo decennio di questa rivista, che celebra ora il trentennale della sua fondazione,
mi sembra convalidare pienamente la mia convinzione: l'Europa comunitaria è soprattutto
l'Europa delle regioni e la sua storia è proprio
contrassegnata dall'avanzare dell'idea regionalistica, cioè dalla presa di coscienza, da parte
dei cittadini d'Europa, del loro essere sempre e
comunque legati ad un determinato territorio,
che non è tanto lo stato ma quel territorio più
ristretto cui legano affetti, tradizioni ed interessi.
Claude André, direttore generale della politica regionale nella Commissione delle Comunità, ci diceva in un colloquio svoltosi a Firenze
nel 1980 che la Comunità offre una enorme varietà di paesaggi, di climi, di popolazione e di
attività e che ciò è reso molto più evidente non
facendo attenzione alle varie comunità statali
ma confrontando le diversità regionali. La Comunità si è quindi incontrata o scontrata con i
problemi delle regioni agricole e di quelle industriali, con la difficoltà di sostenere il c.d.
sottosviluppo rurale connesso ad attività agricole che vivono in regime ancora quasi artigianale e di far fronte ad un nuovo impiego di
mano d'opera nel settore dell'agricoltura che è
dell'ordine del 60%, corrispondente a tredici
milioni di lavoratori che si sono trasferiti dal lavoro contadino ad attività diverse, spesso in
paesi lontani. 11 nostro Mezzogiorno, ed in
particolare la Calabria e la Sicilia, con l'esodo
massiccio verso il Nord ne sono uno degli
esempi più evidenti. Ma il problema del sottosviluppo delle regioni agricole non poteva e
non è stato affrontato solo con la politica del
trasferimento di mano d'opera ma anche con
una razionalizzazione della produzione agricola.
Altri numerosi problemi comunitari si sono
presentati nel loro aspetto di interesse regionale: quelli della concentrazione urbana in alcune zone, connessi con l'aumento dell'inquinamento atmosferico o delle acque; owero con la
necessità di consentire investimenti di rinnovamento nelle zone e regioni in cui antiche attività industriali continuavano a vegetare con
impianti obsoleti ed inidonei a trasformarsi secondo una tecnologia più avanzata; owero i
problemi delle regioni di frontiera, connessi
con la pendolarità di lavoratori appartenenti a
stati diversi e con la necessità di facilitare gli
scambi in zone con valute differenti.
A ciò si aggiunge la tendenza nei vari paesi,
sia pure dietro spinte ideologiche o economiche diverse a sviluppare le autonomie regiona-
li. Accanto ai vecchi i>roblemi delle diversità
linguistiche, tanto vivi nel Belgio, o in Alto
Adige, o in Catalogna, si sono verificate ulteriori linee automobilistiche.
La Comunità, attraverso i suoi organi responsabili, ha avuto il merito di cogliere I'importanza politico-sociale, oltre che storica, di
questo risveglio del fenomeno regionalistico ed
ha compreso che aveva un importante ruolo da
svolgere perché fra tutta l'attività che essa
esplicava sarebbe stata proprio la politica regionale che avrebbe attirato maggiormente I'attenzione sugli organismi comunitari o su i
modi di intervento. È vero che la creazione del
Fondo europeo di sviluppo regionale è piutto-
sto recente, perché risale al 1975, ma esso è già
un punto di arrivo, una presa di coscienza delle
necessità di coordinare nell'ambito comunitario, - con opportuna diplomazia per non urtare suscettibilità dei singoli stati - le politiche regionali nazionali in vista di uno sviluppo
economico-sociale armonico di tutto il non piccolo territorio. Che il Fondo sia divenuto poi
qualcosa di pregnante interesse per tutti gli stati aderenti alla Comunità si è rivelato nel convegno di Roma del gennaio 1982, organizzato
dall'Istituto di studi sulle regioni del C.N.R.,
nel quale si è discusso del concetto stesso dipolitica regionale, cominciando dal chiedersi se
esista una politica nazionale di riequilibrio fra
aree di diverso livello o sviluppo economicosociale. La conferenza ha fornito utili indicazioni per una più precisa individuazione del
contributo che può venire dalle istituzioni regionali (e soprattutto da quelle consolidate come le regioni italiane) nella scelta degli obiettivi di sviluppo e nell'indicazione degli interven-
dal qusrtiate aka rigrone
per una Comuni& europea federala
ORGANO
MENSILE
DELL'AICCE.
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
ti necessari e nell'analisi del funzionamento effettivo delle politiche regionali.
Ma sempre nell'ambito dei rapporti fra Comunità e regioni non si possono non segnalare
le iniziative delle regioni, soprattutto italiane,
a vedersi garantito un ruolo nella elaborazione
delle scelte governative in materia comunitaria. Ciò ha visto soprattutto I'AICCE rendersi
promotore di un progetto legislativo per istituzionalizzare un organismo di collaborazione
consultiva stato-regione.
Il fatto è che nel 1972 il trasferimento di poteri e competenze dallo stato alla regione in
Italia è stato viziato dai consueti compromessi e
ciò ha portato a far sì che le materie di interesse
regionale, previste dalla Costituzione, venissero frantumate, in modo da conservare allo stato
funzioni di interesse nazionale nel seno delle
competenze regionali. Così nell'ambito della
protezione dell'ambiente venivano considerate
di interesse nazionale la protezione delle bellezze naturali, la tutela contro gli inquinamenti, la sistemazione idrogeologica; nella materia
agricoltura si consideravano riservate allo stato
tutte le funzioni strategiche e fra queste I'applicazione delle direttive della Comunità che
toccano la politica dei prezzi e dei mercati, il
commercio dei prodotti agricoli e gli interventi
sulle strutture nel settore.
Nel 1977, al termine di una lotta serrata
condotta dalle regioni, in esecuzione della legge di delega n. 382 del 1975, si è passati ad un
ulteriore trasferimento per settori organici in
modo da effettuare una analisi delle funzioni
da svolgere.
Non è il caso qui di soffermarsi comunque
sul problema del trasferimento di funzioni. Sta
di fatto che la lentezza e le manifestazioni di
gelosia che hanno caratterizzato la nascita e la
crescita della regione a statuto normale ha avuto owie ripercussioni sui rapporti comunitari.
Le autorità statali sono partite dal considerare
solo lo stato come soggetto idoneo a garantire,
nell'ambito del territorio nazionale, il rispetto
dei trattati e delle obbligazioni internazionali
ma ciò senza analizzare la differenza che esiste
fra obbligazioni derivanti da trattati bilaterali
o plurilaterali e le conseguenze che si hanno
per il fatto di aver aderito alla Comunità, che
emana norme direttamente applicabili nell'ambito degli stati.
È appena il caso di rammentare che la Corte
costituzionale ha adottato dapprima una posizione rigida (è lo stato soltanto competente ad
assicurare l'esecuzione di obbligazioni derivanti da rapporti internazionali) con alcune pronunce del 1960 e del 1961. Successivamente
però (sentenza n. 142 del 1972) ha aderito ad
una tesi più morbida, ammettendo la possibi-
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lità di una ripartizione dei poteri di applicazione dei regolamenti comunitari in favore di colettività infrastatali a condizione che I'ordinamento consenta allo stato di intervenire, se necessario, in via sostitutiva in caso di inerzia della regione.
Anche la dottrina, pressoché unanimemente, ha preso posizione al riguardo: lo stato non
può sottrarre competenze alle regioni invocando il limite del rispetto di obbligazioni internazionali. Ogni eventuale lirnite può condizionare le attività della regione ma non sottrarre
ad essa competenze (sul punto Bassanini, Benvenuti, Carbone, De Vergottini, Elia, Paladin,
La Pergola, Teresi). Va quin'di riconosciuto un
interesse preciso e garantito delle regioni allorché si determinano gli obiettivi generali e
settoriali della politica comunitaria. Ciò potrebbe addirittura costituire una sorta di istituzionalizzazione della regione (ancorché solo
sotto un profilo consultivo) nel quadro comunitario (Trimarchi). Di conseguenza la regione
assumerebbe una effettiva dimensione di organismo comunitario portatore di interessi generali di quell'aggregato socio-amministrativo
che essa rappresenta (Benvenuti).
Così posto il problema presenta due aspetti:
l'uno riguarda l'attività di applicazione del diritto comunitario e la partecipazione della regione all'attività stessa; la seconda concerne la
formazione stessa delle decisioni comunitarie.
D'altro canto I'applicabilità dei regolamenti
comunitari è strettamente legata al sistema interno ( che deve avere capacità di adattamento). È proprio nel momento in cui si formano i
regolamenti comunitari che occorre tener conto
delle competenze statali e di quelle regionali
per consentirne poi l'applicazione senza difficoltà e fratture all'interno. È un problema che
non riguarda solo l'Italia ma anche il Belgio, la
Repubblica federale tedesca e la Spagna paesi
cioè che hanno forme avanzate di autonomia
territoriale.
In Italia la legge n. 382 del 1975 ha in effetti
riconosciuto un certo spazio alla normazione
regionale ed il D.P.R. n. 6 16 del 1977 ha stabilito che, per l'applicazione delle norme comu-
nitarie, lo stato deve dettare norme quadro
nell'ambito delle quali si svolga la legislazione
regionale di dettaglio. Ciò costituisce un riconoscimento implicito della necessità di forme
di partecipazione delle regioni all'elaborazione
della politica nazionale che viene sostenuta in
sede comunitaria: occorre cioè garantire che gli
interessi delle regioni non siano ignorati nel
momento in cui si formano le norme e le scelte
comunitarie. Da qui I'awiso che sia opportuno
creare un organo consultivo nel quale siano
rappresentate tutte le regioni. Si tratta di una
partecz3azione necessanh alla realizzazione degli obiettivi della collettività. La politica europea è la proiezione naturale, nell'ambito comunitario, della politica interna. I condizionamenti reciproci che si producono fra le scelte
nazionali e quelle europee hanno la conseguenza di imporre la presenza o di far conoscere I'awiso della regione nel seno di tutti quegli
organismi nei quali si formano le decisioni.
Da questi accenni si vede che la partecipazione italiana alla Comunità ha consentito anche alle forze politiche ed alle dottrine costituzionale ed amministrativa di fare grandi passi
sulla via di un regionalismo maturo. La regione
non è solo una nuova dimensione amministrativa dotata di un certo grado di autonomia politica, ma è un organismo con alto sviluppo di
autonomia costituzionalmente garantita e potenzialmente idonea ad esprimere decisioni
politiche nei settori di propria competenza. Da
ciò scaturisce la necessità di sviluppare la concertazione fra stato e regione sui problemi in
modo che la formazione dal punto di vista #azionale sui problemi stessi scaturisce da un discorso fra lo stato e le regioni.
È una trasformazione profonda del nostro
stato oggi così diverso da quello in essere al
momento dell'emanazione della cosiddetta
legge Scelba n. 62 del 1953. E tutta questa trasformazione - occorre qui ricordarlo - non è
stata senza contrasti e senza difficoltà. «Comuni d'Europa, ha sostenuto ed agevolato in maniera poderosa la formazione di una conoscenza che fosse allo stesso tempo europea e regionalistica.
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
La funzione storica dell'AEDE
di Lino Ventureili
In questi ultimi tempi sono sempre più coloro che accentuano la loro attenzione sulla Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE) e
sull'attività che essa svolge.
Ma, per meglio far comprendere la natura e
la funzione di detta Associazione, sarà bene anzitutto - illustrare quando essa è nata e
perché.
L'AEDE si costituisce nei lontani anni '50,
precisamente neii'apriie 1956, a Parigi.
Sono gli anni - occorre non dimenticarlo in cui, entrato in crisi il processo di una costmzione di unlEuropa a livello di «vertice», si comincia a comprendere che il nostro continente
se vuole realmente percorrere il cammino verso
la sua unificazione - e non solo politica - deve affiancare all'azione dall'alto, sì necessaria,
il concorso della base, l'apporto - cioè - di
un'opinione pubblica informata e cosciente. In
definitiva, all'Europa di «pochi»deve sostituirsi l'Europa di umoltiu, di tutti.
È in questa prima profonda riflessione che
iniziano a farsi luce presenze e partecipazioni
di varie componenti fondamentali dell'intero
processo in oggetto, fino a quel momento trascurate o non sufficientemente trascurate e non
sufficientemente valutate, fra le quali s'inserisce - senz'altro - la «scuola».
Quest'ultima - infatti - se riesce ad ispirare un uanimus» nuovo non imposto ma nato
dalla consapevolezza che la civiltà europea rappresenta - nella.sua più ampia articolazione
- una manifestazione di «unità, nella «divas i t b e se si sforza di cogliere negli europei più
quello che li unisce che ciò che li separa, può
- certo - permettere ai cittadini di domani
di ritrovarsi - senza deformare o attenuare le
profonde radici di una loro coscienza nazionale
- in una pacifica e progredita Europa.
Ecco - dunque - ciò che si propone, se
non di raggiungere, almeno di avviare il gmppo di docenti che costituirà il primo nucleo
della organizzazione, denominata nella dizione italiana Associazione Europea degli Insegnanti e che si espliciterà chiaramente nello
stesso ustatutos internazionale, ove - fra I'altro è detto «... di unire tutti gli insegnanti desiderosi di collaborare alla creazione di una Federazione Europea, (art. I); u.. . di approfondire tra gli insegnanti la conoscenza dei problemi
europei e delle vie e metodi atti a permettere la
rapida realizzazione di una Federazione Europea,; u . . . di prodigarsi con tutti i mezzi appropriati a far conoscere i fondamentali caratteri
della civiltà europea e ad assicurarne la ripresa»; u . . . di sviluppare le medesime conoscenze
tra gli allievi e in tutti gli ambienti presso i
quali può essere esercitata l'influenza degli insegnanti~(art. 2).
Tutto'ciò dà già la motivazione della nascita
dell'AEDE e spiega - inoltre - il particolare
momento in cui essa avviene.
11 lavoro - però - rivolto ad una tale attualizzazione è improbo.
Occorrerà non dimenticare che nel processo
teso al raggiungiriiento dell'unità dell'Europa
non verrà nemmeno prevista la partecipazione
- nell'intero. settore educativo-scolastico -
dell'Istituzione che verrà successivamente al
l'uopo creata e nella quale oggi lo stesso processo si struttura -- cioè: la Comunità europea.
Non poteva -- infatti - ciò prevedersi
perché la uscuola>, resta, secondo gli assunti
schemi costituzionali classici dello Stato «federale», di stretta competenza dello Stato ufederato* e, quindi -- prospetticamerite nel caso
europeo - dello Stato «nazionale». Stato nazionale dal quale - d'altro canto - non si
può certo pretendere che - pur cominciando
esso a capire come anche nel campo educativoscolastico vi sono degli aspetti non più affrontabili solo al suo livello - sia disposto a creare
le migliori condi2:ioni per lo sviluppo di un
processo di ufederalizzazione~.
La Comunità europea comprenderà - solo
in ritardo - l'esigenza di una propria politica
dell'educazione. Tale comprensione - dovuta
più alla drammaticità delle condizioni dei figli
dei lavoratori migranti che all'interpretazione
della normativa dei <trattati* istitutivi comunitari - porterà la stessa Istituzione a riconoscersi nei 1976 precise «competenze» in materia,
facendo registrare - forse - l'unica vera rivoluzione operata in tutto il suo periodo di attività. Ma l'azione rivolta in tal senso - priva di
una sufficiente incisività - stenterà al decollo
e ancora oggi essa si presenta debole mentre la
medesima ucompc-tenza~ viene messa - di
nuovo - in discussione.
Quali - allora - la «strategia» e le umetodologie» applicate dalla AEDE?
Quanto alla prima, l'Associazione in oggetto doveva costituire - e lo ha poi cercato di
tradurre in atto -- una sorta di ualimentazione» esterna nell'ambito delle stesse strutture
educativo-scolastiche nazionali; ealimentazione,, volta a far callare «giorno per giorno» una
dimensione europea dell'educazione e dell'insegnamento nella scuola e fuori la scuola.
Circa i metodi, I'AEDE - come recita ancora l'art. 2 del suo Statuto internazionale può provvedervi attraverso «qualsiasi iniziativa
valida in tal senso».
Non è - ovviamente - questa la sede per
elencare le molteplici attività svolte con le tecniche di cui poteva e può disporre una tale Associazione, quali: congressi, convegni, semina-
Europa, :ìcuola, eliti fo<*ali
ri, corsi, tavole rotonde, sempre correlati a susseguenti relative pubblicazioni e come tramite
la predetta stmmentazione I'AEDE abbia intrapreso le azioni più feconde per rispondere
alle finalità suesposte.
Va - viceversa - sottolineato che qualsiasi
contributo, sia a livello di «riflessione»sia «operativo~,si è venuto enucleando sempre più non
tanto nell'ambito di «personali»e - quindi isolati studi specialistici quanto attraverso il
fmtto ucollegiale» dei dibattiti ai quali hanno
preso parte docenti a cominciare da quelli dei
numerosi gmppi locali per arrivare ai rappresentanti delle sezioni nazionali che - a loro
volta - non hanno mancato di lavorare ugomito a gomito» fra loro.
Le conclusioni e le relative documentazioni
seguite si sono rivelate di notevole interesse e
all'uopo si segnalano:
- per le più lontane - la «Carta europea
dell'insegnamento» (scaturita al 4 " congresso
europeo tenutosi a Bmxelles nell'aprile 1968);
- per le più vicine - «Per una scuola senza
frontiere - Convergenze e divergenze dei sistemi scolastici europei» (avutasi a11'8" congresso europeo di Bad Tatzmannsdorf
nell'apriie 1981).
Va - però - aggiunto che gli esiti così ottenuti sono il fmtto di un uimput» proveniente
dalla cbasew, che non si circoscrive solo nelle biblioteche e negli uffici studi per divenire oggetto di analisi di pur attenti ricercatori ma rifluisce, quale «output», alla stessa base onde
essere trasfuso - soprattutto verso i giovani e
non unicamente nel ricorrente periodo preparatorio alla Giornata europea della scuola
(GES) - da tutti coloro che, attraverso una paziente e costante opera di sensibilizzazione,
credono e lavorano per questa unità.
Indubbiamente ciò è positivo ma non è ancora tutto quello che I'AEDE può dare.
A ragione di quanto sopra - l'Associazione
in questione - tende sempre più, in questi ultimi tempi, ad incentrare l'attenzione nella
duplice e inscindibile sua natura di: associazione uscolastica professionale, e associazione «federalista~.
È nell'interazione di questi due aspetti, del
mondo - cioè - della scuola, dell'educazione
e della cultura nella sua più ampia accezione e
del mondo ufederalista*, teso ad unire l'Europa
per unire tutto il pianeta che non si possono
non ricercare e trovare le 'complete potenziali
capacità dell'AEDE su un piano non solo di
principi ma anche di concrete operatività.
Esiste - infatti - il pericolo che il primo
suindicato «mondo», pur accettando una udimensione, europea resti lo stesso isolato,
perché privo di quel necessario filo conduttore
che lo avvicina e lo unisca al secondo.
Quest'ultimo - viceversa - più preso dalle
tematiche politiche, economiche e sociali può
non valutare con esattezza il contributo che
una dimensione europea della scuola,
dell'educazione e della cultura è capace di offrirgli perché lo stesso processo di ufederalizzazione~giunga nella fase della sua attuazione e
successivamente il suo uafflatus~permanga nel
tempo.
Sta - allora - in questa azione di «osmosi»
il compito e l'impegno ancora dellJAEDE e, in
definitiva, la sua funzione storica.
COMUNI D'EUFIOPA
Riunificazione tedesca e unificazione europea
di Sergio Pistone
La caduta del governo Schmidt e l'insediamento del nuovo cancelliere Kohl, sulla base di
una coalizione fra democrirtiani e liberali, ha
sollecitato una forte attenzione sulf'evoluzione
della Repubblica Federale di Germania. In attesa che il nuovo governo definisca con maggiore precisione fa sua linea politica, soprattutto in riferimento aff'integrazione europea, n>eniamo utile puntualizzase ilproblema del rapporto fra unzjicazione europea e n.unz>cazione
nazionale tedesca che è di nuovo al centro del
dibattito politico nella RFdG. La capacità o
meno di assumere una valida posizione su questo problema costituirà in effetti un momento
decisivo di venfia dell'adeguatezza del nuovo
governo.
* *
Nel dibattito ininterrotto che si svolge nella
Repubblica Federale di Germania sul problema della riunificaziuone nazionale è riemersa
negli ultimi tempi con una certa insistenza
l'opzione neutralista, non mancando di suscitare allarmi nei partners europei e occidentali
del governo di Bonn e in particolare, come di
consueto, nella Francia. La tesi che l'uscita dei
due Stati tedeschi dai rispettivi blocchi contribuirebbe in modo decisivo a una duratura distensione e nello stesso tempo aprirebbe la strada al superamento della divisione nazionale ha
avuto in effetti importanti e qualificati sostenitori all'interno del movimento tedesco per la
pace. Basta per tutti ricordare l'«appello di
Krefeld», una lettera aperta inviata a Breschnew in occasione della sua visita a Bonn nel
novembre 1981 e sottoscritta dal noto dissidente tedesco-orientale Havemann e da numerosi
intellettuali tedesco-occidentali, tra i quali
Boll, oltre che da alcuni deputati della Spd, da
sindacalisti e da ecologisti (l). Un'espressione
molto importante di questo orientamento, che
è stato denominato unuovo patriottismo tedesco~,è inoltre costituita dal libro, a cui la stampa estera ha dato un discreto rilievo, uDie deutsche Einheit Kommt bestimmt*, pubblicato
nell'aprile 1982 dall'editore Lubbe di Bergisch
Gladbach e contenente scritti di Wolfgang
Venhor (che ne è il curatore) e di altri autori
appartenenti ai diversi settori dello spettro politico tedesco, che vanno dal democristiano Harald Ruddenklau a Peter Brandt, figlio dell'attuale presidente della Spd e schierato nettamente a sinistra di questo partito.
La linea di ragionamento comune agli autori
di questo libro, nonostante le differenze che
pur esistono fra le loro posizioni, si riassume
efficacemente nella affermazione del curatore
secondo cui non è l'unificazione europea che
(1) A proposito della presenza - ritenuta nel complesso
marginale da questo autore - del tema della riunificazione nazionale nel movimento tedesco per la pace e delle reazioni - giudicate sproporzionate - da ciò suscitate al di
fuori della Germania si veda Wilfried von Bredow, .Zusarnmensetzung und Ziele der Friedensbewegung in der
Bundesrepublik Deutschland,, in aAus Politik und Zeitgeschichte,, inserto nella rivista .Da. Parlament~,19 giugno
1982.
crea le premesse dell'unità tedesca, ma è al
contrario l'unificazione tedesca che costituisce
la condizione imprescindibile per l'unità
dell'Europa. Alla base di questa tesi c'è la convinzione che l'opzione a favore dell'integrazione atlantica ed europeo-occidentale compiuta
da Adenauer e che la Spd finì poi per fare propria a cavallo fra gli anni '50 e '60 ha contribuito in modo decisivo a irrigidire il sistema
dei blocchi contrapposti in Europa ed ha quindi operato in senso del tui:to contrastante rispetto all'obiettivo della riunificazione nazionale oltre che alle esigenze della distensione e
della pace. Nell'attuale fase, in cui il sistema
dei blocchi sta producendo una acutizzazione
della corsa agli armamenti che, se non bloccata, finirà inevitabilmente per sboccare in uno
scontro nucleare avente l'Europa e la Germania
in particolare come fondamentale campo di
battaglia, è diventato d'altra parte sempre più
improcrastinabile un mutaniento radicale della
politica estera tedesco-occidentale. In sostanza,
per fare della Germania una reale zona di distensione che awii un'inversione di tendenza
nell'attuale crisi internazionale e nello stesso
tempo metta concretarnentc in moto il processo di riunificazione tedesca, occorre impegnarsi
a fondo a favore dell'obiettivo transitorio di
una confederazione fra le due Germanie, la
quale (secondo il Venhor, ma non viene affatto
chiarito come) sarebbe compatibile con la loro
permanenza rispettivamente nella Nato e nella
Cee e nel Patto di Varsavia e nel Comecon, e
non porrebbe quindi nell'innmediato problemi
troppo complessi. Da qui prenderebbe awio
uno sviluppo in direzione di un progressivo superamento dei blocchi e quindi dell'unità di
tutta l'Europa, intesa però chiaramente come
cooperazione fra Stati che resterebbero sovrani,
fra i quali avrebbe il suo posto una Germania
pienamente riunificata.
Di fronte all'emergere di posizioni così de-
dicembre 1982
vianti deve essere registrata con grande soddisfazione la pubblicazione, pure essa awenuta
nell'aprile di quest'anno ad opera delllEuropa
- Union Verlag di Bonn, del libro di Eberhard
Schulz (vicedirettore del Forschungsinstitut der
Deutschen Gesellschaft fiir Auswartige Politik), uDie deutsche Nation in Europa. Quest'opera costituisce in effetti uno strumento di
eccezionale valore per riportare chiarezza nel
dibattito sulla questione tedesca (ma la stampa
estera non ne ha ancora parlato, poiché come
sempre le voci irrazionali hanno almeno all'inizio sempre più spazio di quelle razionali). Ciò
perché non solo dimostra con estremo vigore
l'inconsistenza delle tesi del unuovo patriottismo tedesco», ma mette altresì in luce i limiti
della stessa linea ufficiale sul tema della riunificazione nazionale delle fondamentali forze
politiche di Bonn e quindi del governo, i quali
limiti hanno anche una parte di responsabilità
rispetto al periodico riafiiorare di posizioni irrazionali e pericolose rispetto a tale questione
cruciale della politica tedesca.
Per quanto riguarda la critica all'opzione
neutralista, l'autore si sofferma in particolare a
chiarire che 1'Urss mai potrà rinunciare - a
meno che un radicale mutamento dell'equilibrio di potere la costringa a ciò - al controllo
su uno Stato di importanza così vitale, come la
RDT, per la preservazione delle sue posizioni
imperiali in Europa e quindi nel mondo, e precisa che, al limite, essa non potrebbe neppure
vedere di buon occhio una Germania unificata
comunista, poiché una simile entità politica,
data la sua forza, le creerebbe problemi ancor
più gravi di quelli derivanti dalla rottura con la
Cina. Se talvolta il governo sovietico sembra lasciare intrawedere prospettive di awicinamento alla riunificazione tedesca a prezzo di una
scelta più o meno marcatamente neutralista,
ciò non può essere interpretato altrimenti che
come un espediente tattico volto a cercare di
indebolire il legame di Bonn con la Nato e la
Cee. Al di là dell'argomento relativo alla totale
mancanza di realismo dell'opzione neutralista,
la critica decisiva di Schulz si rivolge all'arretrato orientamento nazionalistico che sta alla base
delle tesi del unuovo patriottismo tedesco, e
che impedisce ai suoi esponenti di comprendere che lo Stato nazionale è ormai da lungo tempo una forma politica storicamente superata e
che pertanto l'obiettivo prioritario della politica tedesca deve essere il completamento
dell'unificazione europea e non la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco distrutto in seguito all'esito della seconda guerra mondiale.
Se nel criticare l'opzione neutralista l'autore
difende la validità di fondo della politica estera
seguita dalla RFdG nel dopoguerra, egli non
manca d'altro canto, come si è accennato prima, di sottolineare molto nettamente - ed è
questa la parte più nuova e interessante di questo lavoro - anche i limiti che a suo awiso caratterizzano nell'attuale fase la linea ufficiale
del governo tedesco-occidentale sul problema
della riunificazione nazionale. L'aspetto cenuale di questa linea è, come è noto, la tesi,
condivisa ufficialmente da tutte le forze politiche fondamentali di Bonn, nonostante le loro
divergenze a proposito della uostpolitiko, secondo cui la questione tedesca resterà aperta fino a quando non verrà riconosciuta al popolo
dicembre 1982
tedesco nel suo complesso la possibilità di realizzare la propria riunificazione statale attraverso l'esercizio del diritto di autodeterminazione
e quindi attraverso la stipulazione di un trattato di pace che definisca in modo accettabile per
tutte le parti i confini del ricostituito Stato nazionale tedesco. Questa tesi, occorre precisare,
ha per gli organi costituzionali della RFdG il
suo fondamento giuridico nella Costituzione
del 1949, la quale indica nel suo preambolo
quali finalità fondamentali del nuovo Stato
sul piano internazionale la preservazione
dell'unità nazionale e statale del popolo tedesco, oltre che la partecipazione ad un'Europa
unita. Per quanto riguarda la eostpolitik~del
governo Brandt-Scheel, ciò significa concretamente che il governo di Bonn considera prowisori, in quanto vincolano la RFdG, ma non lo
Stato che dovrà nascere dall'esercizio del diritto di autodeterminazione del popolo tedesco,
sia il trattato con la Polonia del 1970, contenente il riconoscimento della linea OderNeisse fra Polonia e RDT, sia il trattato del
1972 fra le due Germanie, relativo al loro reciproco riconoscimento. Ed è significativo, a
questo proposito, che la Corte Costituzionale
con una sentenza del 1973 ha affermato il carattere costituzionalmente legittimo del trattato del 1972 (contestato dal governo bavarese),
ma ha nello stesso tempo ribadito che la Costituzione vincola gli organi costituzionali della
RFdG a perseguire la riunificazione statale della nazione tedesca.
Orbene, secondo il Schulz, se appare storicamente comprensibile la proclamazione di questa tesi all'epoca della nascita della RFdG, data
l'incertezza circa le linee di sviluppo del quadro europeo e mondiale, essa appare nella situazione attuale del tutto superata e produttrice di conseguenze fortemente negative.
Il suo limite più grave riguarda i rapporti
con i partners dell'Europa occidentale. In questo contesto è chiaro che finché Bonn continuerà a proclamare ufficialmente come suo
obiettivo la riunificazione delle due Germanie,
rimarrà in piedi un ostacolo di grandissima rilevanza all'avanzamento del processo di integrazione europea, poiché le tendenze nazionalistiche presenti nei partners di Bonn nella
Cee, e in particolare in Francia e in Gran Bretagna, potranno sempre utilizzare a loro vantaggio la preoccupazione per il molo egemonico
che la Germania unificata avrebbe oggettivamente nella Comunità, date le sue dimensioni
economiche e demografiche. Ciò, oltre a indebolire la credibilità della politica europeistica
di Bonn verso l'esterno, apre all'interno degli
spazi alle tendenze favorevoli a indebolire i legami europei e occidentali di Bonn nel perseguire l'obiettivo della riunificazione nazionale.
I1 fatto di considerare ancora aperta la questione tedesca ha delle implicazioni negative
anche nei rapporti con l'Est europeo. Se la prospettiva, sia pure estremamente teorica, che un
domani possa essere rimessa in discussione la linea Oder-Neisse contribuisce a rafforzare in
Polonia le tendenze più filosovietiche e antiliberalizzatrici, che possono sempre evocare il
fantasma del revanscismo tedesco ancor più negativamente influenza lo sviluppo dei rapporti
con la RDT il continuare a proclamare ufficialmente l'obiettivo della riunificazione naziona-
COMUNI D'EUROPA
45
le, che significa oggettivamente che si è pronti
ad assorbire, non appena vi sarà una occasione
favorevole, questo Stato, e a fare di Berlino la
capitale del nuovo Stato nazionale tedesco.
Anche se si tratta di una prospettiva assai irrealistica, il mantenimento di questa posizione ha
non solo l'effetto di rafforzare le tendenze più
filosovietiche di Berlino Est, ma fornisce anche
un importante alibi al rifiuto sia di alleggerire
le barriere ai rapporti umani fra le popolazioni
delle due Germanie, sia di favorire un miglioramento della situazione sempre precaria di
Berlino Ovest. In tal modo viene bloccato ogni
sviluppo degli aspetti più positivi della «Ostpolitik~.
La linea ufficiale del governo della RFdG
sulla riunificazioile nazionale produce infine
degli effetti negativi non trascurabili anche nei
confronti della propria opinione pubblica. I1
fatto di persistere da decenni nel proclamare
come compito fondamentale della politica
estera di Bonn un obiettivo di fatto politicamente irrealizzabile, a meno di sconvolgimenti
imprevedibili e comunque estremamente pericolosi per il mantenimento della pace, non può
che contribuire a creare sfiducia nella classe politica democratica tedesco-occidentale e quindi
a indebolire la coscienza democratica della popolazione. Il che apre indubbiamente spazi all'emergere, soprattutto fra le giovani generazioni, di tendenze politiche irrazionali anche
in riferimento al problema delle divisioni nazionali.
Sulla base di queste considerazioni lo Schulz
propone apertamente la revisione della attuale
linea ufficiale tedesco-occidentale sulla questione tedesca e suggerisce pure, implicitamente, di non trascurare l'eventualità di una modifica delle prescrizioni della Costituzione a questo riguardo, se esse dovessero rivelarsi un ostacolo insormontabile su tale strada. In termini
concreti le forze politiche fondamentali della
RFdG e quindi il governo, partendo da una
più coerente affermazione che I'obiettivo prioritario della politica estera di Bonn è I'unificazione europea, dovrebbero, in riferimento alla
(continuazione a pag. 49)
O R G A N O M E N S t L E D E L L ' A S S O C I A L I O N E I T A L I A N A PER 1L C O N S I G L I O D E I COMUNI D ' E U R O P A
1,a razza tedesca
aIt1 1 1 ~
Vulri.unin s<rii.ere r~rt pui~orama poìiliru ric>r@ s<icut< .i n L O I I ~ ~ I nI ~< ~ z ~ o > ~1.1
vt,roi>eo e ~,iietiinno!raie B run esso oprr~r rrTe?i.%ime di.ilo Ctorls d'Europa dell'iri~tr%!
, o n? .,i 11
1 rrnrttita
1967 di ,Conitini d Europa.
m<t Yisher, usserimrri c l i ~ I'l~~@tiillct
e . I C . W ~ P ~d~) nleggeri* in quesri gu~riisnl- crmitrteas<> t ' u t ~ u t r f <tamalo) dr itdaqtrirui
.n g w l k forma di itberoltrmu rz
Murrtene rocctzie pogirrt di Adolfo Omadeu. del
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Ebbrne, gruptlo pen'he i?nnnio lo cnai
dr:l'Ei<~opi <Ipmocroaico a &i& 16itlut:alli a t t n paeu d E t i r < m , spnru accwgers~ der
pericolo cbe rio rappreieninuo per lo rtir
.or>iunzmrrr w m m e na d a r e or m o m i %hS~BSWIl t b e r ~ .Eglr n l e 1 ~ 1 I6M
' ~ rwtu riluili e ealltrrnlr p~profondt pa" eni ahbuimo
mnxi detla menialteu itinr~laro,oircortt a<,iu>?u<o 10 fi.dems~one sovranaz~onale n-w ~ i x i ~ r i ~int eInghrlfeno a espandere lu
hsViehe tuttora rie giialifimno e ne rngonu
Iibc>pta, a panr<wverP ttn o)frotelhmni.tllu
la rrratmnr. I?, uti conresto iiia~wiiak-- sie
rtpovta li
certo im la can&*t~riraripme yrp.messn deliu daU%emzm + I L G a f o ~ l Cnrortr
rprsto pl.ntr* lo imicliu~orie delI<Omsdeo
rvr,xi~nizit e tii spa=r,i?asir ~quàebvto del
T t i t t ~cio mpvrrobbe un )roca.so di adrrwrm p -- C ha fra b s a q p di lundf esmfn.
m > ~ , c t oo di <ump.nulra:ioiie del plpoli
<!t LPitrmruanre trnari7iatricI
i o IIOI) tLnu lego puraE pa, L rxgtnr deil'(muxleo. un 1au-n ben piu p r ~ ~ f m u chelaiwtn nmi intturwgerire, acqtirsmo n w r n ?>-te dlptomatuo &rrrlie lo anfizlmis e le
It,%ehe:ra p r u p w &+a i1 Conalto e szrmno drefe dtpLutiui1,che nella storui fl&uropl. dri
lithpw di Xncedorita a Ottow dt Rinnorrk.
o ttidic~nrcr ì e ihp rntstenogt della Pm,vtdrnzn. srrmeo n trasr~adenbe,e il sfgnrfl- ben lungt dall'unrlirort' <rr-arotlu w m w di%cordiee occestuni dt ptrerra I Eilrmin del:oro piu xrufcnido dpllo cullerrmrn e del drale l a t n e e dqiripue, qufiiirrt lnpll<J Iatrltloun - L! 'ero dwia*rao -- L' m uncura aim.-t? ~<tgtnehanno an snarre cnsi a t z u a l ~ rumera della halcautzzazaone
Vn da SP che la cr,rifedcrcui<ine= euro- per Cfia i'~tluatI1a che c m l n non $dentiiichs c m quelfu d e l b g a u e t t r o di rerrc pea di rui w r l s Ot?iodeo e in reoltd quella
i~ny*uerrsannn<pdrtrrhe -, npl tnmnenlo che n a deliniamo r<,n+rfecletatwne Per
caru6' ti wxero Dn<ulro
l<* <itoruodellti
s i i CUI La qu@stiuwtnlescn ritorna al conI yraiiJi !ipo(eOO,
Resuumrtone
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purtroppo rtpulila a %itioira aunnto 1 s mnIndubbmme~trtla gol'tlwa è I'arte del wisfedemti.
che 10 r o r t ~ ~ g mP r lo
~ romtde- ;m pqrte a:>enr %mchivia
rtbrlu ma de»e emere I'arie dt quel muto
rana a la paw, e d>altrw&= at tema dl Ci, &:i C :e dee della !erra.
kr e pustbile attuarr= dl un Ideale L ci17iUa -- di rir ilka da rwrsone che 81 mpet- sirper~m~iitudelle s<>rro~irtonarianok %n
fano P dmlogonu, non e o p L i m ~sopraffard E u r o p Ornmleci a i n a < mywrto un opusca- Shamam. Si,%. Adad e lrhtnr,
io dpl>ttrtir> ma <irir«nt~i quaranfaCItIq~ie 5; sono ritira?, a dermire nel < 1 d 0
P -0
didwste a wmwneltefbl a Isga! C<+
rnutir -, Bene lo h i n m w f o d a a l e i y*r,rnz rlrl pntiiv yur m«, Bndoglta
Nan pionunztdno p!Ù giudizi.
Piro I(<1i+iche le p ~ ~ i ndav Um nportatn
proiagmwtt dell'odien%a vkende ruropeae
Si YORO,
ue ~t<iltamie tedexhl, Femmenlr aullavsrin alire obreriort,~ dr filosofi nwder- Notr ~ R I ~ I I M O te cause
raurii-e~tiix.e n t c Snulc, dopo i lmo abietlz r,%wrmi r sr*ioliziaii pcrrrivitct<icidr nota <i:rnrk FI VIQ Ika < t i,.rereqm dc ribadire V C I ~ <') ~la notfe,
t m c n m mrtrsh* E t'c,lriasmo p o m o fruncese' Anche i1 rrrlruirn<i
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nlb'attrri ista dt Cecll SRnggu ocntt del nostri buuna mutn'k. L" qui oftendtaI i ) r a r d ~ <!ai. qii det della Mtte
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la respam.nh~lrin qtinladtrirui ~ f e l l i . rornufiltn Nt%rvs~~.t:
per altm mrnrettere cha m p r ~ n i o n
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scii irmgunrl m,en(valmeate a rlnfopurra il 5 funririibnlisn~i,Lurtz i to-lrlcgi lul$!t<i. p'
i quuli ri dol?tibbr jur :~nrrportre {<i cel<ir-rrunanrict degls w t i b n i a t i deil'eirropeismo
t
Alessandro Cilmfe Uirnoni. hu seniio rhe bn della pn6r. drilla iiihn d ~ tuirionnliriso
Omodeo trisiateua sul ecmetta detti li- Is,whu n<m sr nrrir'i alla trnpr<ihirhiiediasok r t u esprsnva. ltbwatrrce, cile p r r m v Iraiunc dullo Slato, alla sui1 ~ 1 m j 1 4 r ~ 1 1
ogni i ero iiil#~r>il.ini.oi.z~r~o
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dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
46
Appuntamento con la storia
di Luciano Bolis
Quando nasceva <Comuni d'Europm, esattamente trent'anni fa, il mondo era molto diverso da quello che è oggi, e in particolare era
diverso il modo di concepire l'unità europea,
che sembrava allora addirittura a portata di
mano, mentre i tre decenni successivamente
trascorsi ci hanno portato al risultato di dubitare oggi ch'essa possa mai vedere la luce! Eppure, da quel tempo ad oggi, molti risultati parziali hanno continuato ad aggiungersi gli uni
agli altri. Ne diamo, come esempio, la politica
regionale e lo SME, senza contare l'elezione diretta del Parlamento Europeo.
Come si spiega l'evidente contraddizione?
Da un lato la spiegazione può essere psicologica, cioè esaurirsi nell'ambito dell'evoluzione
individuale. I militanti che, come il sottoscritto, portano sulle spalle il peso di questo certo
esilarante, ma anche estenuante esperienza,
erano allora giovani e, come suo1 dirsi, pieni di
speranza; a tal punto da scambiare per certezze
obiettive quelle che non erano in fondo che
semplici stati d'animo o intuizioni aweniristiche; certo necessarie, come la molla che muove
il mondo, ma di per sé non risolutive e ancor
meno sufficienti a determinare il cambiamento.
Un'altra spiegazione può essere invece di natura storica, cioè attinente alle stesse modalità
che determinano l'avanzamento di un processo
del genere di quello di cui si tratta, cioè il passaggio dall'era degli stati-nazione, che ha caratterizzato la vita diplomatica dei secoli precedenti, a quella delle federazioni continentali,
in cui un precursore di genio come Proudhon
ANNO XXV
ORGANO
aveva rawisato la missione propria di questo
secolo, come condizione imprescindibile per la
stessa soprawivenza del nostro mondo civile.
Secondo questa interpretazione, l'ipotesi di
un'unità europea raggiunta nel bel mezzo del
XX secolo, cioè a pochi ancii di distanza dallo
sfacelo materiale e morale degli imperi nazi-fascisti e dagli orrori del secondo conflitto mon,diale, si basava su una spinta spirituale e un
condizionamento sociale irripetibili; dovendosi
realizzare grazie ad un colpo di sorpresa, altrettanto spettacolare quanto lo erano stati quegli
avvenimenti cui essa appunito doveva direttamente succedere, a confermia del vecchio adagio aa estremi mali, estremi rimediu.
Venuta meno nel '54, con la caduta della
Comunità europea di difesa, la possibilità di
quel salutare «colpo di manou della storia che
sarebbe stato il raggiungimlento di un elevato
grado di unità europea con una preparazione
ancora limitata a ristretti vertici, mentre le
grandi masse assentivano solo istintivamente al
progetto, ma senza misurarne appieno I'immensa portata, la storia ha ripreso a giocare sui
tempi lunghi, lasciando cosiì riemergere tutti i
dubbi, le opposizioni, gli interessi contrari che
in un primo tempo non avevano neanche avuto
modo di manifestarsi, ma che avrebbero successivamente preso piede fino a diventare un
esercito agguerrito e potente, grazie soprattutto alle infrastrutture immobilistiche di apparati respingenti fondamentalmente il cambiamento, per non perdere i privilegi che il lento
assestamento postbellico aveva loro progressivamente permesso di riacquistare.
- N. 11 - Novembre-7 Dicembre 1977
Assistiamo così da un lato al continuo progredire di un processo cooperativo e integrativo
che ha già dato vita a fin troppe istituzioni, finendo con l'imporsi alla generale attenzione
(chi ignora oggi più l'esistenza del cosiddetto
mercato comune?),mentre dall'altro constatiamo atterriti il risorgere di manifestazioni nazionaliste che vanno dall'aperta rivendicazione
di interessi corporativi alla follia antisemita. E
poiché i due processi crescono di pari passo,
non spostandosi così il relativo equilibrio, il risultato finale non cambia, se non nel senso che
siamo ormai passati dallo scontro diretto di poche élites combattenti (una sorta di moderni
Orazi e Curiazi) a una battaglia frontale destinata a schierare ben presto in campo il grosso
degli eserciti, le fanterie.
Intanto l'esito della battaglia tra europeisti e
nazionalisti resta incerto; benché tutti, almeno
in Italia, si dichiarino europeisti, tanto che, a
chi giudichi le cose superficialmente, riesce difficile rendersi conto del perché, in simili condizioni, l'Europa non sia già stata fatta da un
pezzo!
In realtà il problema è più complesso e merita attento esame la particolare natura del fenomeno. Non dimentichiamo che, con felice intuizione, già De Gasperi ai suoi tempi diceva
che per fare l'Europa era necessario «più distruggere che costruire», avendo appunto compreso che il prezzo dell'unione era in primo
luogo il superamento degli ostacoli di ogni tipo
che ad essa si opponevano: dai «nostalgici»ai
fautori del protezionismo economico, dai panciafichisti di tutti i colori agli eterni difensori
dello statu quo.
Non troppo diversa, in questo, è la situazione di oggi, perché se tutti, ripeto, si chiamano
europeisti, ben pochi sono però coscienti della
necessità di affrontare, per realizzare il cambia-
dal quartiere alla regione
per una Comunith europea federale
MENSILE D E L L ' A I C C E . ASSOCIAZIONE
UNITARIA
D / COMUNI.
PROVINCE.
REGIONI
APPELLO DEL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA
PER L'ELEZIONE DIRETTA DEL PARLAMENTO EUROPEO
(Parigi, 19 ottobre 1977)
Dalla sua nascita i1 Consiglio dei Comuni d'Europa non ha mai cessato di affermare che l'elezione di un Parlamento
Europeo a suffragio universale diretto rappresenta una misura di democratizzazione essenziale della costruzione europea,
del resto iscritta nei Trattati di Parigi e di Roma.
I Governi nazionali della Comunità, superando le loro ultime divergenze, hanno sottoscritto il 20 settembre 1976 un
accordo, per cui è deciso che nel 1978 circa 180 milioni dì cittadini europei saranno chiamati allc urne per eleggere direttamente i loro deputati al Parlamento Europeo.
Nei 9 Stati membri della Comunità Europa la ratifica dell'accordo da parte dei parlamenti nazionali è acquisita. In taluni paesi la legge elettorale è già approvata, in altri l'approvazione è in corso.
Spetterà ai partiti politici di condurre la campagna Der Queste elezioni. Tuttavia. consapevoIe che il loro successo
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
47
-
mento, anche qualche sacrificio, o almeno di
superare un periodo di relativo disagio, corrispondente alla inevitabile perdita di ricchezza
prodottasi per il fatto stesso di trovarsi in una
fase di transizione, in termini sia economici
che politici; come accadrebbe a più società che,
fondendosi, non solo cambiassero di titolare,
ma fossero anche indotte a modificare in conseguenza i loro stessi metodi di gestione.
In sostanza, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca, come diceva Ernesto Rossi, perché
ci si rifiuta di pagare il dazio e si pretende assurdamente che l'operazione possa essere indolore! Come sempre, il malo esempio viene
dall'alto: dai vari De Gaulle, che vogliono
l'Europa ma lasciano per sei mesi «la sedia vuota» perché risentono gli stessi progressi dell'Europa come se fossero intollerabili attentati al
loro prestigio nazionale; alle varie Thatcher,
che immancabilmente vogliono anch'esse 1%ropa ma si allarmano all'idea di quel che essa
potrebbe immediatamente costare sul piano
dell'economia nazionale e invocano quindi il
«giusto ritorno, delle somme presuntivamente
sborsate in più, contravvenendo così a quell'elementare principio della solidarietà che sta
alla base di ogni costmzione comunitaria. E
l'elenco potrebbe continuare!
Per venire infine all'Italia, ci riempiamo
spesso la bocca dei vecchi meriti di De Gasperi,
dell'alta percentuale di votanti raggiunta alle
elezioni europee, della funzione di guida che
esercitano personalmente alcuni nostri compatrioti nell'azione in corso per la trasformazione
in senso democratico delle Comunità, nonché
della presenza qualificata di altri alla testa di
molte organizzazioni internazionali aventi lo
scopo comune di promuovere la costruzione
europea; e si tratta certo di meriti, o comunque
di felici circostanze, indiscutibili, alla cui sottolineatura mi associo.
Ma l'Italia è quello strano paese in cui il rapporto tra gli interessi e i comportamenti non è
sempre lineare. In compenso essa eccede contemporaneamente in tutti i sensi, per cui le si
potrebbero attribuire i più opposti primati: in
pratica, ha l'acqua alla gola, ma non s'impegna seriamente ad uscire dal guado; anzi, si direbbe che tale posizione, inconsciamente, le
conviene, consentendole di non affrontare i
reali sacrifici che ogni vera politica di risanamento le dovrebbe naturalmente imporre.
Così, sprofondando ogni giorno di più nel
pantano nazionale, si ritiene autorizzata ad allontanarsi progressivamente da quelle scelte
autenticamente europee da cui pure era teoricamente partita.
Ci troviamo così di fronte a una lunga sequela di promesse non mantenute, che non voglio
neanche affrontare perché trent'anni di «Comuni d'Europa» ne hanno già fatto la storia
con pazienza, con costanza, con coerenza, tenendo sempre d'occhio l'ideale europeo, ma
anche la situazione concreta in cui dovevamo
mettere i piedi per tentare il necessario decollo;
denunciando con pari severità le incongruenze
e le lacune non solo delle forze politiche, ma
anche di certe organizzazioni che, pur intitolandosi all'Europa, si comportavano talvolta
come se la voce del cuore le portasse invece altrove, verso lidi dove di europeo non esisteva
più soltanto che il nome; studiando, elaboran-
do, progettando soluzioni che ci troverebbero «Comuni d'Europa» potrebbe a buon diritto
oggi in meno disastrate condizioni se appena si trasformarsi in una rivista di cultura, destinata
fossero volute seguire, e in ogni caso conosce- a quei pochi o molti che fanno dei suoi contenuti l'occasione mensile di un sostanzioso nure.. .
Trent'anni che hanno fatto, dall'interno, la trimento sul piano intellettuale. Ma siccome
cronaca di un'inlziativa europea il più delle così non è, penso che abbiamo ancora bisogno
volte rimasta allo stadio di progetto, ma che di questo foglio anche come organo di battanon per questo è mai venuta meno al suo com- glia e di sprone ad operare congiunti, tutti noi
pito critico e propositivo, nella duplice direzio- che per diverse vie siamo arrivati a questo apne di realizzare insieme le autonomie locali e puntamento con la storia, cui intendiamo rel'autorità supernazionale, esistendo natural- stare fedeli.
Certe parole d'ordine come il «fronte demomente tra le due cose quel nesso logico e storico
che doveva permetterci di proseguire contem- cratico europeo» sono tornate oggi perfettaporaneamente sul due piani, anche in forza di mente d'attualità, ma esse mi riportano indietro di quasi un ventenni0 a questo stesso focontinue reciproclne spinte d'interazione.
Questo e altro ancora è stato, per noi vecchi, glio, che tra l'altro ha saputo mantenere anche
«Comuni d'Europa,; e, per me in particolare, una sua linea di presentazione, indice di una
lo spiraglio ideale che mi ha permesso appunto superiore e più rara coerenza che investe lo
di afferrare quel riesso, l'insegnamento di Rossi stesso mondo delle idee.
E naturalmente mi prenoto per scrivere un
e Spinelli avendomi già precedentemente introdotto nei misteri, più dolorosi che gaudiosi, panegirico aggiornato di «Comuni d'Europa»
quando si tratterà di celebrarne il cinquantenadella soprannazionalità.
Se l'Europa fosse oggi un fatto compiuto, rio. Ad Europa finalmente unita!
-
.
Annct 'Jttl N 9
sottonbre 1960
Qiniisns a Rsdsr.? Pkirxa di Trsr6.M ROM&
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O R G A N O M E N C I L E DELC'ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER IL CONiiGLIO
DIE WEISSE ROSE
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DEI
COMUNI
D'LUROPA
COMUNI D'EUHOPA
48
Due saggi sul Parlamento Europeo
di Geriirdo Zampaglione
rando gravi difficoltà, rappresenta l'eccezione.
Ai loro occhi i risultati sono s,empreinferiori alle aspettative e comunque deludenti rispetto
alle iniziali, fideistiche certezze. Chi scrive ricorda come una decina di anni fa, I'intelligentsia europeistica sostenesse con vigore che I'elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale diretto avrebbe permesso alla Comunità
di uscire dalle secche della condizione prevalentemente intergovernativa e scarsamente sopranazionale, in cui ancora langue, per giungere alle sospirate vette della statalità. Nel pensiero di chi si batteva allora per tale tesi il binomio sembrava di automatica semplicità. Elezione diretta eguale superamento dell'ultimo
ostacolo per realizzare l'Europa unita, riducendo gli stati membri a province della nuova formazione unitaria.
Era allora impossibile temperare entusiasmi
e illusioni. Si rischiava di passare per filistei e
rallentatori di un immancabile processo, legato
alla natura cogente degli eventi.
I ricordi della rivoluzione francese prendevano la mano. Si affermava infatti che, una volta
eletto attraverso la consultazilone diretta, il Parlamento Europeo avrebbe conseguito il vigore
morale e dato prova della volontà richiesti per
proclamarsi Assemblea costituente, riformare
le strutture comunitarie, soggette all'ipoteca
nazionale e imporre all'Europa I'auspicata costituzione federale.
A tante, apodittiche certezze doveva necessariamente seguire una traumatica delusione,
sul genere di quella che attualmente travaglia
studiosi eminenti, della cui onestà d'intenti e
dei cui meriti scientifici non ì: possibile dubitare, anche se qualche riserva può formularsi circa la loro capacità di valutare i fatti in prospettiva realistica.
Con queste idee e memorie in mente, è opportuno leggere il denso aprofilo politico~,di
gran lunga il capitolo più sostanzioso del secondo dei due volumi. I1 rammarico per I'assenza di vere competenze legislative trae tono e
veemenza dalla mesta constatazione che un
processo di erinazionalizzazione~e di riduzione di competenze e risultati, un tempo reputati acquisiti, è attualmente in corso. I1 che non
impedisce all'autore di compiere un'analisi approfondita della natura giuridica dell'istituzione, a lui ben nota nell'evoluzione storica, nei
testi istitutivi e nella prassi quotidiana, presso
la quale ha svolto per anni le sue attività di
funzionario. L'esposizione è accompagnata da
proposte, ritenute idonee a superare il presente
e a far rivivere la passata atmosfera di effervescente entusiasmo, ripercossosi in maniera determinante sulle esperienze europee degli anni
Cinquanta e Sessanta.
L'esegesi giuridica è troppo ampia e particolareggiata perché si possa riassumerla. La conclusione dell'autore è che le attribuzioni del
Parlamento Europeo e le corisuetudini procedurali affermatesi nel suo funzionamento sono
(1) 1 poteri del Parlamento Europeo, Milano Giuffrè pressoché prive di contenuti. L'assemblea ri1981, pp. XII-406. Il Parlamento Europeo, Padova CE- mane un semplice corpo consultivo, coerenteD A M 1982. pp. XVI-412.
mente col carattere *confederale» della Comu-
Tra i moventi che spingono un autore ad affrontare un tema controverso agisce a volte la
constatazione che gli sforzi da lui compiuti per
conseguire un certo obiettivo sono stati inutili
perché la realtà si è rivelata diversa da speranze
e previsioni. Questa considerazione affiora
spontanea alla lettura delle ultime due opere
di Andrea Chiti-Batelli (l),infaticabile saggista e politologo che da trenta e più anni, senza
mai abbandonare il metodo rigidamente scientifico, combatte una strenua battaglia per
mantenere accesa la fiamma dell'europeismo,
dare vigoria alle istituzioni, corpo alle idee,
tempra a una normativa, da lui giudicata in fase di decelerazione. Dal punto di vista morale e
della serietà dell'impostazione, egli si è condotto in maniera esemplare, schierandosi in
prima linea e fornendo sicure prove di diligenza ed impegno. Queste da sole gli assicurano
un posto di spicco nella saggistica italiana rotante attorno all'integrazione del continente e
all'accelerazione del processo unitario. Ha, tra
l'altro, rinunciato alla carica di consigliere parlamentare del Senato della Repubblica e di segretario delle Delegazioni parlamentari italiane nelle varie Assemblee europee, per dedicarsi
a tempo pieno all'attività critica e letteraria, di
cui queste due opere sono gli ultimi, pregevoli
risultati. Se poi le sue ricerche denunciano disinganno, questo - ahimé - rientra nella
normalità delle cose umane.
Talvolta le campagne lanciate da Chiti-Batelli possono suscitare qualche perplessità. Per
esempio, quella diretta a sollecitare l'adozione
da parte della Comunità di una sola lingua veicolare, non da scegliersi tra quelle di maggior
diffusione (mettiamo l'inglese o il francese),
ma tra quelle inventate come I'esperanto.
I saggi di questo autore rivelano quasi sempre un trasporto idealistico di tipo in certo senso risorgimentale che rinfranca e consola, visto
che l'entusiasmo è divenuto, all'epoca attuale,
un prodotto raro, oltreché di difficile smercio.
Può anzi generare apprensione in chi legge,
dato che ogni programma politico, formulato
in vista di risultati concreti, non deve ignorare
la realtà, anche a rischio di apparire piattamente materialistico. In politica non è consentito
confondere speranze e certezze. Il magistero
storicistico a cui, se non andiamo errati, Andrea Chiti-Batelli è, almeno in parte, debitore
della sua formazione, milita in tale direzione.
Questo preambolo si propone, in certa misura, di spiegare - e giustificare - la delusione,
di cui si è detto agli inizi e da cui l'autore dei
due volumi dedicati a un tema di grande attualità sembra acerbamente afflitto. È normale
che sia così, né bisogna stupirsene. Gli studiosi
impegnati sono spesso destinati a restare delusi. Nella loro economia mentale I'insoddisfazione è anzi la regola, mentre il compiacimento per quanto è stato conseguito, spesso supe-
dicembre 1982
nità, nel cui sistema sono ancora gli stati membri, e non le istituzioni sopranazionali, a prendere le massime decisioni.
L'autorità del Parlamento Europeo (persino
il nome offrì un tempo motivo di controversia,
perché il governo francese si rifiutava di adottarlo in sostituzione di quello: «Assemblea parlamentare~usato dai Trattati, da cui non intendeva discostarsi, dato il suo evidente contenuto
restrittivo) è dunque marginale e scarsamente
avvertita nel meccanismo decisionale complessivo. Anche i apoteri di bilancio» si sono rivelati di ridotta portata rispetto a speranze e impostazioni iniziali. La Comunità ruota sempre attorno al Consiglio dei ministri, investito degli
stessi poteri normativi attribuitigli dai trattati
di Parigi e di Roma, dei quali non è intervenuta alcuna limitazione.
Il correttivo non sarebbe da ricercare in un
lento, ma costante, allargamento di competenze, bensì nella creazione di un vero e proprio
governo, agente nella pienezza delle funzioni
tradizionalmente attribuitegli in uno stato democratico, traente la sua legittimità dal Parlamento, democraticamente eletto e quindi rappresentativo della volontà popolare.
In sede teorica non si può non corcordare. È
invece lecito esprimere qualche riserva quanto
alla possibilità di realizzare a breve termine
questo programma, soprattutto in base ai propositi del Club del Crocodile fondato a Strasburgo da Altiero Spinelli e patrocinato dall'autore.
Siamo infatti del parere che il ruolo del Parlamento Europeo sia da valutare con minore
pessimismo. Tutto sommato, esso è ancora in
grado di esercitare una costruttiva funzione di
stimolo, sia pure nei limiti dell'attuale edificio
comunitario, allargato alle competenze del
Consiglio europeo e degli organi di coordinamento, sorti nella scia e per impulso di quest'ultimo.
La condanna formulata da certi giuristi e politologi, stando ai quali le elezioni dirette si sarebbero risolte in una «farsa,, ci sembra troppo
severa per essere presa sul serio. Così possono
pensare quanti dalla modifica del sistema di
designazione si attendevano risultati enormi,
indubbiamente auspicabili, ma per i quali
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dicembre 1982
mancavano condizioni e premesse nei trattati
istitutivi.
Si awerte in questa dura sentenza l'ingiustificato convincimento (o l'auspicio) che, forte
della designazione popolare, il Parlamento europeo potesse suscitare una sorta di insurrezione assembleare, imponendo la revisione dei
trattati e ampie limitazioni della sovranità e
delle competenze nazionali. Per eccesso di zelo
europeistico e di fede comunitaria si erano persino presagiti comportamenti scarsamente ortodossi sotto il profilo dei trattati in vigore.
Constatato che tutto questo non era realizzabile, si è gridato allo scandalo o si sono condannate le elezioni per aver tradito gli obiettivi
sperati.
Come illudersi, d'altra parte, che i deputati
eletti a suffragio universale, ma sempre attraverso la designazione e l'apparato dei partiti,
solidamente inseriti nella struttura degli stati
membri, potessero dar prova di indipendenza
e spirito di iniziativa tali da mettere a repentaglio il loro awenire politico? A noi sembra che
senza cedere a indulgenze elegiache che rischiano di sconfinare nella retorica, sia doveroso riconoscere al Parlamento europeo una funzione di stimolo e di incoraggiamento, di cui si
tende a sottovalutare la portata, tanto essa appartiene ormai all'essenza stessa della vita comunitaria. I dibattiti in corso a Strasburgo e a
Lussemburgo e l'operato delle commissioni
nella formulazione dei pareri, richiesti dai trattati per l'adozione della normativa comunitaria, recano un contributo certo al progredire
dell'ideale comune.
La diversa disposizione mentale non ci induce tuttavia a disconoscere il valore di opere come queste. Nella misura in cui riflettono finezza esegetica ed irrequietezza costmttiva, le giudichiamo utili a puntualizzare i problemi, risvegliare le iniziative, suscitare entusiasmi. Per
non parlare poi della specifica funzione didattica, legata all'abbondanza dell'informazione
fornita dall'autore. Questi ci presenta un quadro esauriente del funzionamento e delle procedure del Parlamento europeo, nonché - secondo un metodo a lui caro - una minuziosa
bibliografia ragionata, distribuita nelle note e
nel testo. Questi elementi forniscono una ulteriore conferma della serietà e dell'impegno di
uno scrittore, il cui scetticismo è smentito dalla
sua stessa vivacità produttiva e capacità critica.
Finché queste animeranno uomini impegnati
come Chiti-Batelli, le lugubri profezie sul futuro dell'Europa, formulate da autori come
Walter Laqueur in «A Continent astray: Europe 1970-1978*, appaiono esagerate, gratuite
ed inutilmente pessimistiche.
Riunificazione tedesca e
unificazione europea
(continua da pag. 41i)
questione tedesca, giungere a proclamare ufficialmente che il perseguimento del sacrosanto
compito di eliminare le barriere oggi esistenti
ai contatti tra le popolazioni delle due Germanie non si propone quale sbocco ultimo la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, bensì
la possibiltà per i tedeschi dell'Est di esercitare
I'autodeterminazione democratica, cioè di dar-
COIHUNI D'EUROPA
49
si un regime democratico, che aprirebbe loro la
prospettiva di aderire alla Comunità europea,
conservando perij la personalità statale della
RDT (2).
Una simile posizione - verso cui le più importanti personalità politiche tedesche, da
Strauss e Scheel :iBrandt, hanno fatto chiaramente intendere di propendere in varie prese
di posizione, senza però avere avuto il coraggio, anche a causa dell'orientamento della Corte costituzionale, di giungere a una precisa
proposta di revisione formale della linea u f i ciale del governo -, oltre a togliere di mezzo
uno dei più importanti ostacoli all'avanzamento del processo di integrazione europea, aprirebbe anche rilevanti spazi alle tendenze distensive e liberalizzatrici nella RDT e più in generale nell'Europa orientale e, mentre contribuirebbe a breve termine al raggiungimento di
una maggiore permeabilità delle frontiere fra i
blocchi, contribuirebbe a più lungo termine,
in connessione con il rafforzamento dell'integrazione europea, a far emergere prospettive di
cambiamenti decisivi all'interno del blocco sovietico.
L'analisi svolta nel libro di Schulz e le sue
conclusioni non possono che trovarci pienamente consenzienti, non fosse altro per il semplice fatto che esse convergono con tesi che da
molto tempo appartengono al patrimonio politico dei federalisti europei. Basta qui ricordare
la risoluzione del MFE sulla questione tedesca
del 1963, la dichiarazione dell'Europa-Union
Deutschlands approvata a Baden-Baden nel
1966 e le dieci tesi approvate nel 1980 dal1'Hauptausschuss di Europa-Union, una delle
( 2 ) Una tesi del gencre era già contenuta implicitamente
nel libro di Karl Kaiser, qGerman Foreign Policy in Transition. Bonn between East and W e s t ~ ,Oxford University
Press, London, 1982, ma mai finora, almeno a nostra conoscenza, era stata formulata in modo così esplicito e argomentato (a parte le ptese di posizione delle organizzazioni
federaliste europee che verranno viste più avanti) come nel
libro di Schulz. La contestazione da parte di quest'autore
dell'obiettivo della ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, è utile ricordare, costituisce un orientamento diametralmente opposto a quello di Rosario Romeo, il quale
nel suo libro <Italia mille anni,. Firenze, Le Monnier,
1981, considera un grave errore politico e morale la rinuncia aperta o mascherata, sia da parte della maggioranza dei
tedeschi occidentali, che dei loro alleati, alla riunificazione
nazionale. Una assai lucida critica di aspetto del libro di
Romeo è svolta da Dino Cofrancesco, <Riflessioni sul nazionalismo. La Germania e l'Europa,, in <Storia contemporanea~,1982, n. 4.
- -
quali contiene la formula: «Due Stati in Germania - sotto un tetto europeo» (3). Al di là
della legittima soddisfazione per il fatto che
uno studioso di prestigio conferma, sulla base
di una indagine assai completa e approfondita,
la validità di una delle posizioni più significative della linea politica dei federalisti, occorre
d'altra parte sottolineare l'estrema attualità
politica del discorso svolto da Schulz, date le
scelte cmciali di fronte a cui si trova in questo
periodo la Comunità europea. Ci riferiamo evidentemente al problema della rifondazione
istituzionale della Comunità posto all'ordine
del giorno dal Parlamento europeo, e che affronterà la sua prova cmciale - la ratifica da
parte degli Stati membri - nel periodo delle
prossime elezioni europee nella primavera del
1984. Per inciso si deve osservare che proprio
per carenza di informazioni aggiornate sull'azione del P.E. le considerazioni di Schulz
sulle prospettive concrete di sviluppo del processo di integrazione europea costituiscono
l'unico punto debole del suo lavoro, poiché si
limitano a registrare l'attuale fase di profonda
crisi della Comunità, senza inserire adeguatamente nel quadro le tendenze evolutive messe
in moto dall'elezione diretta del P.E. Ciò precisato, si deve osservare che nel quadro della libertà per la rifondazione istituzionale della
Comunità potrà avere un peso molto importante ai fini di un suo esito positivo in Francia
- il paese in cui si giocheranno le sorti dell'intera impresa e dove, non va dimenticato,
all'epoca della battaglia perduta per la Ced il
fantasma del pericolo egemonico tedesco fu il
principale cavallo di battaglia dei nemici della
costmzione europea - l'emergere a Bonn di
chiare indicazioni di distacco dalla attuale linea
ufficiale sulla questione tedesca. Nella misura
in cui le proposte di Schulz saranno in grado di
suscitare un ampio e produttivo dibattito in
Germania sui limiti di tale linea - e qui sarà
decisivo l'impegno politico e culturale dei federalisti tedeschi - c i potrà
~
contribuire in
maniera non irrilevante a produrre sviluppi positivi a questo riguardo.
(3) I primi due documenti sono pubblicati in S. Pistone,
aLa Getmania e l'unità europea,, Napoli, Guida, 1978, il
terzo (a cui fa riferimento positivamente lo Schulz) è pubblicato nel numero di settembre del 1980 dell'organo ufficiale dell'Europa-Union Deutschlands, ~EuropaischeZeitungs.
Grazie!
«Comuni d'Europa» vuole pubblicamente testimoniare il suo ringraziamento a quanti
nel corso di questi trent'anni hanno coilaborato, ad ogni livello, per la sua continuità e il
suo rniglioramiento.
Un grazie particolare, oltre che al direttore responsabile del primo numero, Giovanni
Russo, va a Tiito Scipione che ha permesso, con la sua competenza, la trasformazione del
«boilettino» n~ell'attualeorgano di stampa, organizzandone l'amministrazione e pianificandone la penotiicità. Non possiamo poi non ricordare il decisivo impegno della federalista
Magda da Passano nel trovare i mezzi per la partenza di «Comuni d'Europa», come nella
stessa costituzione del CCE che molto deve aila sua iniziativa.
Non possiamo, inoltre, non ringraziare, ricordando anche queili di ieri, coloro che oggi prestano la loro opera, non appariscente ma continua, neila redazione di «Comuni d'Europa)), garantendone la struttura essenziale ma egualmente efficace per la sua realizzazione.
Forse dovremmo anche ricordare i sacrifici finanziari, non lievi, che è costata la rivista
nei primi anni, quando la fragilità deil'AICCE non consentiva di accoilarle pesi eccessivi e
l'autonomia del giornale voleva dire contributi economici «personali»e «autonomi»: ma a
questo i fedendisti europei sono abituati.
COMUNI D'EUROPA
50
I temi di lotta del popolo europeo
(continuazione dapag. 3)
le difficoltà obiettive in cui si sono venute a
glia per la Comunità politica europea e per la trovare altre pubblicazioni federaliste), a teneratifica della CED, al Congresso del popolo eu- re, all'attenzione dell'opinione pubblica e delle
ropeo; dall'iniziativa del «Censimento,, alla forze politiche, la necessità e l'urgenza dell'inpetizione per la elezione unilaterale dei dele- tegrazione soprannazionale dell'Europa: acgati italiani al Parlamento Europeo; dall'opera canto all'azione di mobilitazione e di formadi sensibilizzazione per le prime elezioni euro- zione federalista degli amministratori locali,
pee a suffragio universale, fino alla impegnati- non avulsa dal contesto dei problemi politici
va azione a sostegno dell'iniziativa costituente mondiali, Comuni d'Europa si è preoccupato
del Parlamento Europeo; è necessario però no- di sostenere, con la collabor:izione di amminitare come in tutti questi qualificanti momenti stratori locali e di esperti dei varii campi,
della battaglia per l'unità europea, la disponi- un'azione quotidiana volta a raggiungere anbilità e l'impegno delle amministrazioni regio- che gli altri due settori statutari dell'Associanali e locali del CCE sia stato molto importante zione, che sintenticamente indichiamo come
e a volte determinante per la riuscita delle varie azione di servizio europeo e sindacato, inteso
campagne.
non certo in senso corporativo, e azione tenMa il ruolo di Comuni d'Europa non si limi- dente ad ottenere lapartecip,zzione e la rappreta a seguire questa prioritaria battaglia, spesso sentanza degli enti territoriali regionali e locali
in posizione di avanguardia, alimentandola di nelle Istituzioni europee.
contenuti ideologici e pratici, sia nei momenti
È a questi tre filoni principali, naturalmendi rilancio, sia nei momenti di stasi, quando, a te spesso interdipendenti fr:a di loro, che per
volte, il periodico si è trovato solo o quasi (per trent'anni si è alimentato Comuni d'Europa.
1. La mobilitazione politica
1.1. La battaglia istituzionale
Al momento della fondazione del CCE, tutti i movimenti erano impegnati nella battaglia
per la Comunità politica europea e la Comunità europea di difesa. E il CCE fa immediatamente la sua fondamentale scelta che è quella
di oggi: la lotta per lo sviluppo di moderne ed
efficienti autonomie, è la stessa lotta per la Federazione europea, cioè per l'Europa del popolo europeo: «Le comunità locali d'Europa, unite al di sopra delle frontiere nel Consiglio dei
Comuni d'Europa, fermamente decise a creare
nell'interesse dei loro cittadini unlEuropa libera e pacifica, hanno stabilito e fissato, come segue, i diritti che, santificati da un'esperienza
millenaria quale uno dei fondamenti della libertà umana, sono ora minacciati e spesso soppressi. I1 Consiglio dei Comuni d'Europa difenderà questi diritti e si affiancherà ad ogni
comunità locale in lotta per essi, con la forza di
tutte le sue comunità,. E questo il preambolo
della «Carta europea delle libertà locali», che,
approvata dal Direttivo del CCE a Ginevra
(C.dlE., gennaio 1953) in una riunione - alla quale parteciparono, per l'Italia, Costantino
Mortati, Giambattista Rizzo, Umberto Serafini, Lamberto Jori e Renato Bnigner - fu approvata ai I Stati generali del CCE del 16-18 ottobre 1953 a Versailles. Sempre durante la stessa riunione di Ginevra fu specificato, in una risoluzione, l'impegno del CCE che aconstatando la lentezza nel costruire l'Europa ... in ciò
che concerne la creazione di una Autorità politica.. . richiama nuovamente l'attenzione delle
autorità responsabili sull'urgente necessità di
portare soluzioni pratiche in vista della costmzione di una Europa libera, unita e rispettosa
delle differenze,. .. si dichiara pronto ad appoggiare ogni movimento che tenda a realizzare questi fini, insiste perché le Assemblee rappresentative stabilite presso l'Autorità politica,
così come ogni Assemblea costituente, com-
portino una rappresentanza dei comuni e delle
collettività locali, (C.d'E., gennaio 1953).
Non possiamo qui riportare tutte le tappe di
questa quasi quotidiana azione sostenuta da
Comuni d'Europa, ma, sfogliando le annate
del periodico, prenderemo solo alcuni momenti particolarmente qualificanti.
Perduta la battaglia per la Comunità europea di difesa, il 30 agosto 1954, il CCE è la prima organizzazione che rilaricia il processo di
integrazione europea.
Ai I1 Stati generali di Venezia (ottobre 1954)
viene approvata da più di mille sindaci e amministratori locali una risoluzione politica dove
essi dichiarano «che il primo scopo della loro
azione è l'istituzione di una Comunità politica
europea con poteri limitati, ma reali, sui piani
politico, economico e sociale, e sottoposta a un
controllo democratico emanante dal suffragio
universale diretto» (C.d'E., gennaio 1955).
Questa chiara posizione politica fu ribadita
dall'«Appello di Esslingen~, approvato
dall'Esecutivo del CCE del gennaio 1955. I1 testo, fra l'altro, indirizzato agli amministratori
locali di tutta Europa, affermava: «La nostra
convinzione, basata su molteplici esempi storici, è che le autonomie locali :<iconquistano o si
riscattano durante i grandi movimenti che uniscono più Stati centralizzati in Federazioni di
popoli. Voi sapete che i vostri amministrati
chiedono la pace, la libertà, il lavoro e la casa:
tutto ciò non si può ottenere che promuovendo
gli Stati Uniti d'Europa. La Federazione, unificando le monete e creando iin mercato comune, porrà le premesse certe clell'autonomia finanziaria e della prosperità economica delle
vostre comunità. I Governi sono lenti o, peggio, insufficienti nella creazione del Potere politico soprannazionale: è necessario che ogni
organismo locale divenga un centro di attiva
propaganda federalista, in modo che al più
presto le popolazioni costringano i governi nazionali a convocare I'Asserriblea costituente.
dicembre 1982
Nasceranno così gli Stati Uniti d'Europa, che,
salvando la civiltà occidentale, assicureranno
un avvenire migliore e il progresso sociale nel
rispetto della libertà e della dignità della persona umana*. Nella stessa pagina in cui si pubblica il testo dell' Appello, Comuni d'Europa
(aprile 1955) riporta il testo dell'ordine del
giorno votato dal Consiglio comunale di Udine
che approva l'Appello, come faranno in seguito molte amministrazioni locali, anche per altri
documenti.
A sostegno della propria battaglia il mensile
inaugura, con il numero dell'agosto 1955, e
continuerà per 27 anni, la sua rubrica più importante, unica fra tutte le pubblicazioni europeiste: l'osservatorio sui lavori delle Istituzioni
europee, che, iniziata sotto il titolo «Finestra
europea*, a cura di Magda da Passano, si è avvalsa poi, con il titolo definitivo di «Cronaca
delle Istituzioni europee,, della firma di esperti e militanti federalisti come Francesco Tagliamonte, Andrea Chiti-Batelli, Marce110 DelI'Omodarme, Pier Virgilio Dastoli.
Nei mesi successivi all' Appello di Esslingen,
Comuni d'Europa segue sia le iniziative diplomatiche che porteranno alla Conferenza di
Messina, dalla quale traggono origine i Trattati
di Roma, di cui appoggerà la «clausola democratica~(elezioni europee dirette e simultanee), sia la nuova iniziativa dei federalisti massimalisti, il «Congresso del popolo europeo,,
alla quale le amministrazioni locali aderenti al
CCE daranno tutto il loro appoggio politico e
organizzativo (molti degli eletti provengono
dalle file della nostra Associazione) riportando
sui propri fogli le notizie dei grandi successi
che avvengono specie nei comuni associati al
CCE.
Ma il momento centrale e qualificante
dell'azione del CCE resta la presa di posizione
sostenuta nel periodo tra la firma dei Trattati
di Roma (avvenuta il 25 marzo in Campidoglio) e la ratifica dell'atto nei vari paesi che
permise l'inizio dell'attività, il 1" gennaio
1958, alla Comunità economica europea e alla
Comunità europea per l'energia atomica. La
chiara scelta di quei mesi fece assumere al CCE
una posizione diversa sia da quella fatta propria dal Movimento Europeo, che appoggiava
apertamente le nascenti Comunità, certo della
loro evoluzione futura, sia da quella dei federalisti massimalisti che, criticando aspramente i
Trattati, si dedicavano a preparare i quadri per
il momento della crisi che sarebbe venuto e si
impegnavano nella nuova iniziativa di base: il
Congresso del Popolo europeo. I1 CCE, invece,
sotto la spinta della Sezione italiana, pur giudicando che i Trattati fossero lungi dal garantire un'autentica politica sovrannazionale europea, si impegnavano alla piena ed accelerata
realizzazione dei fini dei Trattati stessi, realizzazione che avrebbe permesso di porre i problemi economici, sociali e politici, con le loro
contraddizioni, a dimensione europea, trasformando il processo di integrazione da un fatto
eminentemente diplomatico in lotta popolare.
Questa linea, anticipata in una risoluzione
del direttivo dell' AICCE, tenutosi a Roma 1' 11
giugno 1957, è quella affermata dal Congresso
nazionale dellJAICCE, riunito a Frascati il 2 , 3
e 4 dicembre 1957. I1 Congresso «tiene a manifestare che ha piena consapevolezza della grave
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
situazione nella quale si trova oggi l'Europa,
decaduta, rispetto alla sua tradizionale funzione, da soggetto ad oggetto sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico, e
coi Parlamenti e i governi tutt'altro che decisi e
unanimi a imboccare la via maestra della Federazione europea; si rende conto peraltro della
grande speranza popolare che i due Trattati
della Comunità economica europea e dell'Euratom hanno suscitato, anche se i detti Trattati
sono lungi dal garantire un'autentica politica
soprannazionale europea; dichiara di voler impegnare la Sezione italiana del CCE e per
quanto possibile tutto il CCE alla piena e accelerata realizzazione dei fini dei Trattati stessi.. . (C.d'E., gennaio 1958).
Gli anni a venire dovevano dimostrare la
giustezza dell'analisi fatta nel dicembre 1957,
anche se, all'esplosione delle contraddizioni
politiche ed economiche non ha fatto riscontro
il coagularsi delle forze politiche, economiche
e sociali per offrire la dimensione soprannazionale della soluzione dei problemi.
Questa esigenza dell'alleanza delle forze
centripete si delinea intorno alla metà del
1963, quando si comincia a determinare, sulla
base di un rapporto di Raymond Rifflet, la necessità della creazione di un «fronte>che raccolga tutte le forze vive europee (come già anticipato nella relazione di Serafìni agli Stati generali di Francoforte del 1956).
Il testo del rapporto di Raymond Rifflet, che
Comuni d'Europa (settembre 1963) pubblica
con grande rilievo, preceduto da un corsivo di
Umberto Serafini, si articola in tre parti: una
analisi della realtà, una definizione degli
obiettivi strategici in funzione di questa realtà,
le conseguenze tattiche che ne derivano. Il problema della costituzione di una aforza politica
european, che dovrà assumere «la forma di un
fronte, di un'associazione stretta di organismi
diversi, e non quella di un partito nuovo,, sarà
la grande idea-forza dominante dei congressi
federalisti del 1963 e soprattutto del 1964. A
sottolinearne il valore federalista, il periodico
illustra il testo di Rifflet con tre foto: una che
ritrae Luigi Einaudi con Ernesto Rossi e Altiero
Spinelli, gli autori del Manifesto di Ventotene;
una di Henri Brugmans con Spinelli ed Eugen
Kogon; la terza di Jean Bareth, uno dei pionieri del federalismo integrale, primo segretario
generale del CCE.
Lo stesso numero di Comuni d'Europa, che
riporta il testo integrale del rapporto, si apre, a
tutta pagina, con il resoconto della grande manifestazione sindacale di Dortmund, cui partecipano oltre 25.000 lavoratori aderenti alla
Conferenza dei sindacati liberi delle Comunità
europee e molte personalità, tra le quali Jean
Monnet: nell'occhiello al titolo appare, per la
prima volta, lo slogan «Verso un fronte democratico europeo,.
I resoconti e i documenti dei congressi federalisti vengono raccolti in un numero monografico dell'aprile 1964, che dedica ampio spazio
in particolare al X Congresso federalista di
Montreux, dell'ii e 12 aprile 1964 (con un
commento critico di Serafìni alla «Carta federalistap), uno dei più importanti della lunga storia del Movimento. Non entriamo nel merito
dei risultati dei vari congressi, interessandoci
solo come Comuni d'Europa ne seguisse, al lo-
51
fra cui capi di governo, ministri, presidenti di
parlamenti, esponenti di organizzazioni politiche, culturali e scientrfiche e tutti i massimi
esponenti delle Istituzioni comunitarie e dei
federalisti, riempiono il Palazzo circa ottomila
giovani federalisti. Nella risoluzione politica
approvata, dal titolo «Per un fronte democratico europeo,, i 7.000 delegati affermano: «La
costruzione europea è bloccata.. . L'Europa è
gravemente minacciata nelle sue fondamenta
democratiche e nella sua indipendenza economica e politica.. . L'integrazione economica europea, così felicemente iniziata dalle Comunità
esistenti, potrà registrare progressi sostanziali
solo se compirà un passo decisivo verso l'organizzazione federale: estensione progressiva delle competenze comunitarie nei campi della politica estera, della difesa e della cultura, e, in
un prossimo awenire, costituzione di un governo federale europeo. Un controllo veramente democratico deve essere esercitato da un Parlamento, di cui una Camera deve essere eletta,
ro interno, la mati~razionedella linea del fronte democratico europeo. Era su questa linea
che spingeva il CCE, trainato soprattutto dalla
sta Sezione italiana, guidata dal segretario generale Serafìni, e finalizzata a raccogliersi nei
VI1 Stati generali del CCE, la cui data era stata
fissata per il 15-17' ottobre 1964 a Roma, sotto
il motto: «Per l'Europa dei popoli».
Anticipate nel iiumero di settembre la pubblicazione dei testi delle relazioni, il numero
successivo dedica :j2 pagine al più grande congresso democratico europeo di ogni tempo. La
foto della copertiaa è dedicata alla tribuna allestita al Palazzo dello Sport di Roma, dove campeggiano le gigantografie di alcuni eroi della
Resistenza europea, mentre nel paginone centrale appare una veduta del catino del Palazzo
dello sport gremito nel giorno della seduta
inaugurale.
La documentazione fotografica è eloquente;
oltre ai cinquemila amministratori locali e duemila rappresentariti delle forze vive europee,
-
Spadmhura in sbbonomrnw postuts
Gruppo I l 1
Anno V I 1 N 3 Marre 1960
s Rador.8 Plaaio dl Tmwl, 84 ROMA
-
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M E N S L E DELL'ASSOCIAZIONE
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COMUNI D'EUROPA
a suffragio universale e diretto, dall'insieme
degli europei. Coscienti della gravità della situazione, i VI1 Stati generali del Consiglio dei
Comuni d'Europa fanno appello ai cittadini
europei, a tutti i poteri locali, agli organismi
politici, economici, sociali e culturali e ai movimenti della gioventù, affinché sia costituito un
fronte democratico per unlEuropa federale*.
Ma il afronte~,malgrado gli impegni presi
dai diversi congressi federalisti, non ha preso
corpo, né politicamente, né organizzativamente, sia perché molti federalisti del Movimento
federalista europeo, che doveva rappresentare
l'ala trainante del fronte, preferirono una linea
aspontaneistap, che dette luogo ad una serie di
Comitati locali, scarsamente coordinati sul piano europeo; sia perché il Movimento Europeo,
che doveva fungete da coordinatore del fronte,
era prigioniero di gruppi moderati, i quali impedivano una radicale riforma che permettesse
in esso la prevalenza di gruppi più avanzati e
con maggior radici sociali (CCE, sindacati,
avanguardie dei partiti democratici).
Sul piano comunitario le cose non vanno
meglio. La crisi diviene sempre più grave e Comuni d'Europa la documenta con i testi sui
quali avviene il fallimento del Piano con cui il
presidente della Commissione esecutiva di
Bruxelles, Hallstein, uno dei protagonisti dei
VI1 Stati generali di Roma, voleva rilanciare il
processo comunitario. Il fallimento del apacchetto Hallstein» segna anche la fine della concezione funzionalista, intorno alla quale si erano facilmente e illusoriamente collegate le forze dell'europeismo. Essa segna però, paradossalmente, anche l'inizio di una maggiore attenzione dei federalisti intorno alle Comunità,
dopo anni di attacchi frontali; essi si avvicinano
perciò alla linea del CCE, di critica costruttiva
nei confronti delle Comunità e di opposizione
ai governi e parlamenti nazionali per le loro
inadempienze. Infatti, qualche mese prima
della presentazione del Piano Hallstein, Comuni d'Europa (marzo 1965) pubblica in prima pagina le foto dei membri del Parlamento
Europeo deceduti dal giugno 1961 all'aprile
1964 e non sostituiti per ragioni di alchimie
politiche. Nello stesso numero il periodico documenta anche come dei restanti 32 membri,
almeno altri dieci non partecipano a vari titoli
ai lavori dell'Assemblea e che la rappresentanza vede esclusi non solo i comunisti ma anche i
socialiti, mentre sono presenti i parlamentari
del MSI. La farsa dura a lungo e Comuni d'Europa ritorna sull'argomento col numero di
marzo 1968, un numero completamente dedicato all'irresponsabile atteggiamento del governo e del Parlamento italiani: in prima pagina le foto dei parlamentari deceduti e non sostituiti sono ora sei e i rappresentanti a pieno
titolo sono scesi a 16 (continuano ad essere
esclusi dalle delegazioni italiane socialisti e comunisti). Oltre a questa denuncia provocatoria, le altre pagine del periodico documentano
altre gravi inadempienze italiane, che esperti
analizzano con abbondanza di dati. Ma si critica anche l'inadempienza da parte federalista, e
più propriamente del Movimento Europeo,
che avrebbe dovuto inquadrare le fotze del
fronte democratico: «Fronte democratico europeo o cimitero degli elefanti?»è appunto I'eloquente titolo del numero di febbraio di Comu-
ni d'Europa, a firma del direttore Umberto Serafini, che radicalizza la sua critica al Movimento Europeo sostenendo che esso era «arrivato al momento della verità: rinnovarsi o perire*. Critica ripetuta puntual.mente con precise
analisi e suggerimenti nei mesi successivi. Ma
di rinnovamento non si parlerà che molti anni
dopo, quando su una nuova iniziativa della Sezione italiana del CCE il uC;ruppo di Milano*
(C.d'E., ottobre 1980) propone la «rifondazione» del Movimento Europeo. Conseguentemente è fermo anche il fronte democratico europeo, di cui il numero di marzo 1973 pubblica una storia (ripresa dalla relazione del segretario generale al Congresso nazionale di Ancona del settembre 1966) delle origini e dello sviluppo.
L'attuazione dell'ordinamento regionale,
con le prime elezioni dei Consigli delle regioni
a statuto ordinario, dava il modo di collegare
più strettamente le regioni alla battaglia federalista: un «Appello ad elettori ed eletti» viene
lanciato dalla prima pagina di Comuni dJEuropa nel numero di maggio 1970, nel testo approvato dalla Direzione nazionale delllAICCE:
aLe Regioni italiane - vi si Ilegge - possono e
debbono essere, a determinalte condizioni, elementi insostituibili, istituzio~nalie politici, della costruzione di una Federazione europea sovrannazionale, intesa come l'occasione per dar
vita ad un modello esempla.re di avanzata democrazia.. .B. E l'Appello concludeva richiamando l'attenzione degli elettori sulla necessità di *reclamare, attraverso le elezioni amministrative, un impegno sinceramente e seriamente federalista ed europeo, e quindi democatico e moderno degli eletti che esse esprimeranno. Il CCE rimarrà lo strumento disponibile
per i migliori di essi, nucleo politico insostituibile di una quotidiana lotta per un'Europa federata; sindacato dei più Iiingimiranti Poteri
locali a livello delle istituzioni europee; cooperativa di servizio europeo pei: tutti gli Enti aderenti». Due lunghi ed articolati «Appelli» vengono di nuovo lanciati alla vigilia delle elezioni
regionali italiane, in prima pagina (C.d'E.,
maggio 1975 e aprile 1980), e sempre più chiaramente si legano queste elezioni all'azione costituente del Parlamento Europeo, delle quali
il vertice del dicembre 1975 aveva fissato la data.
Questo sarà il tema dominante delle più recenti annate di Comuni d'Europa, specie a
partire dalla decisione presa dal Consiglio europeo nella seduta di Roma dell' 1 e 2 dicembre. È a questo avvenimento e alle manifestazioni pubbliche e popolari che I'accompagnano che il numero di dicembre dedica un'ampia
ricostruzione, soprattutto fotografica, con, in
apertura, una immagine a tu.tta pagina del corteo federalista che, uscendo dalla riunione di
tutte le forze politiche, sindacali e federaliste,
tenuta in Campidoglio, si prepara a sfilare per
dicembre 1982
le vie del centro di Roma per attendere poi,
manifestando davanti alla sede dei lavori, i
protagonisti del Vertice europeo. Il titolo è anche il programma di lotta di questi anni: «ora
la lotta è per l'assemblea costituente europea»
e per questa lotta, la cui scadenza elettorale è il
momento di partenza, si mobilita Comuni
d'Europa, all'insegna di un altro slogan con il
quale precedentemente il periodico aveva intitolato un altro numero monografico, predisposto per il primo Vertice europeo del 19-20 ottobre 1972 a Parigi «Sapere per lottare» (C.d'E.,
ottobre 1972). Dal numero di giugno 1978 si
inizia, infatti, la periodica pubblicazione di
<inserti» dedicati ai molti argomenti della lotta, sia sul piano istituzionale, sia su quello inscindibile dei contenuti: il primo, in ordine di
tempo, è dedicato al rapporto MacDougall,
sull'aumento delle risorse comunitarie; l'ultimo, in questo numero del 1982, è un saggio
storico-bibliografico sul contributo dato dal
CCE alla lotta per l'integrazione europea. Sono trenta inserti che arricchiscono il panorama
europeo, specie quelli in più stretto collegamento alla campagna elettorale europea del
1979 (del febbraio, sui programmi dei partiti,
e del maggio, sui sindacati e l'Europa). Vengono, per l'occasione, curati anche due numeri
monografici di notevole rilievo: il primo, del
dicembre 1977, riporta interviste e dichiarazioni esclusive rilasciate a Comuni d'Europa sulle
prime elezioni europee dai principali leaders
politici e sindacali: Zaccagnini, Berlinguer,
Craxi, Romita, Biasini, Zanone, Gorla, Riz e
Pannella, per i partiti; Bonaccini, Macario e
Benvenuto, per i sindacati; Spinelli, Albertini,
Bastianetto, Chiti-Batelli e Petrilli per i federalisti, si pronunciano sul tema delle elezioni. I1
numero è completato da una storia delle elezioni stesse curata da Pier Virgilio Dastoli, Edmondo Paolini e Argo, corredata da alcune
schede pratiche. L'altro, del mese di maggio
del 1979, è completamente dedicato alle prese
di posizione, agli appelli e ai documenti di tutte le forze politiche, sindacali, culturali e federaliste alla vigilia delle elezioni.
Dopo le elezioni, Comuni d'Europa segue
attentamente, sostenendola, la battaglia, guidata da Spinelli, che il Parlamento neo-eletto
porta avanti sui bilanci, e successivamente dà il
pronto e pieno appoggio all'iniziativa, sempre
dovuta a Spinelli, del <Coccodrillo»,dalla quale nascerà la commissione istituzionale del Parlamento Europeo, incaricata di elaborare un
nuovo Trattato comunitario. Comuni d'Europa però, sin dall'inizio ammonisce i parlamentari europei a cercare l'appoggio e il consenso
del territorio e delle forze politiche e sociali. È
in quest'ottica che viene rilanciato, a seguito
dei lavori del «gruppo di Milano*, il Movimento Europeo che, secondo l'editoriale del numero di ottobre 1980 di Comuni d'Europa, deve
andare ad una sua «rifondazione». In questo
quadro prende vita anche la commissione istituzionale del Movimento Europeo (la commissione Bangemann) alla quale il CCE dà il suo
fattivo contributo con la presenza di Giancarlo
Piombino, membro della analoga commissione
istituzionale del CCE.
L'annata XXX di Comuni d'Europa termina
mentre è in corso questa fondamentale battaglia costituente, che si inquadra nella più am-
dicembre 1982
pia battaglia per la pace, secondo le linee
dell'uAppello ai Comuni e a tutti gli Enti locali
e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema dell'organizzazione della pace, che, sottoscritto dai vertici
dell'AICCE e delle altre associazioni di enti locali e da sindaci di grandi città e piccoli comuni, apre il numero di luglio-agosto 1982 di Comuni d'Europa.
1.2. I contenuti della battaglia
Dopo esserci soffermati più direttamente sugli aspetti politico-istituzionali della battaglia
per la Federazione europea, ricordiamo qui
brevemente altri temi riguardanti i contenuti
di questa lotta, a partire dai due che si riferiscono agli attributi specifici che, in un sistema
soprannazionale, sono di competenza della Federazione: la difesa e la moneta. Il problema
della difesa e, collegato, quello dell'olocausto
atomico è stato oggetto di riflessione di Comuni d'Europa - a parte, naturalmente, il periodo della battaglia in favore della Comunità europea di difesa - nel numero, già citato, del
dicembre 1960, intitolato *Temi di lotta): nel
capitolo «Laforce defiappe e l'Europa%,la rivista pubblica saggi e articoli di Pierre Gallois
(L'Europa e la difesa dell'occidente), di cui il
periodico si era assicurata l'esclusiva, di Gouzy
e Moriquand (Forza atomica: una chimera nazionale) e l'intervento di Paul Reynaud all'assemblea nazionale francese, sempre sulla force
de fiappe .
Precedentemente, nel 1959, il numero di
giugno apriva col titolo, a tutta pagina, «Sull'orlo dell'abisso~,che aveva come sottotitolo
«L'atomo, la salute, la pace e l'urgenza comunitaria», tema questo ripreso, in forma ancora
più drammatica, nell'ottobre 1961, nel saggio
«L'etica dello sterminio)), di Lewis Mumford
(illustrato da foto sulle conseguenze per l'uomo dello scoppio della prima bomba atomica a
Hiroshima). Successivamente il numero di
aprile 1963 si apre con il saggio di Atlanticus su
«Strategia e politica - l'occidente nell'era atomica», mentre, alla vigilia della scadenza del
Patto Atlantico, Andrea Chiti-Batelli, scrive
per il periodico tre ampli saggi dal titolo «Si
deve rinnovare il Patto Atlantico?,, partendo
da considerazioni in margine ai dibattiti awenuti in seno all' Assemblea dell'UEO (C.d'E.,
marzo, maggio e ottobre 1966). Nel numero di
luglio-agosto 1972 è Stefano Silvestri che aggiorna il tema in un altro saggio dal titolo
«Europa e sicurezza: lo scenario anomalo».
Il tema viene ripreso, a livello di organi statutari dell' AICCE, dalla Direzione nazionale
che, in una riunione a Torino, il 18 febbraio,
affrontò, sulla base di una relazione del segretario generale aggiunto Martini, il problema
della crisi della distensione e del ruolo dell'Europa unita nella costruzione della pace; il risultato del dibattito, integrato da quanto affermato in materia a livello di tutto il CCE, fu oggetto di un puntuale documento redatto dal
segretario generale Serafini, che Comuni d'Europa pubblica nella prima pagina del numero
di marzo 1980, sotto il titolo «La Federazione
europea e la costruzione della pace,. Anche in
priia
pagina compare (C.d7E., luglio-agosto
53
COMUNI D'EUROPA
'82) l'«Appello ai Comuni e a tutti gli Enti locali e regionali europei per gemellaggi, che
pongano in primo piano il problema della pace,, documento che costituisce uno degli strumenti di lotta concreta degli amministratori locali federalisti.
Anche il tema della moneta europea, è stato
tenuto in primo piano da Comuni d'Europa:
ad esso si è fatto riferimento più volte, esplicitamente o implicitamente, quando si è trattato
di integrazione soprannazionale europea. In
proposito ricordiamo le prese di posizione, riportate integralmente da Comuni d'Europa,
del Comitato pre:sieduto da Jean Monnet estimatore della nostra rivista - . Ma vogliamo
qui fare un particolare riferimento al numero
di Comuni d'Europa del febbraio 1977 contenente il saggio di Dario Velo su «Piano a medio
termine per l'Unione monetaria europe- e il
testo dell'intervento di Serafini al Direttivo del
Consiglio italiano del Movimento Europeo, dal
titolo «Dalla falsa alla autentica moneta». Gli
articoli di Gianni Ruta su «Il Sistema monetario europeo, (settembre 1970) e di Dario Velo
«Con il dollaro erratico lo SME è fermo, l'Italia
anche, (febbraio 1981); il documento del MFE
*L'economia italiana di fronte a un crocevia%
(C.d'E., aprile 1981).
Come esemplificazioni di altre tematiche
acontenutistiche», escludendo quelle che tratteremo nei capitoli specifici (politica regionale,
agricoltura, ecologia, ecc. ) ricordiamo, in ordine cronologico: «PapaPio XII e il federalismo»,
una raccolta dei discorsi di papa Pacelli sull'unità europea, fra cui quello pronunciato ai
partecipanti al Congresso nazionale delllAICCE nel dicembre 1957 - il Pontefice riconosceva nel Consiglio dei Comuni d'Europa «uno
dei principali movimenti che lavorano a costruire la Comunità europea soviannazionale»
- (C.d'E., ott.-nov. 1958). La pubblicazione
dei testi dei «programmi»della Resistenza francese (febbraio 1959); e sullo stesso tema della
Resistenza europea apre con grande rilievo il
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WE1a11 &%PSCI,U In qup.\<i aennu
fu una mlta popnlare e il mondu
tlmale ~tdliano da perte qua iaccet*
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psauhiie indna pii( lanìano prtenda co- +icidimen<c
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ma&ar Farte dvlle dnisroni e dexlr impeapgi,
PtbOm DoU'alho gaio mlesa a m n di u n i ld'urto v
o gn2~sul piano cunryp<i iunbnr> si-un!r corsgrlutaiaw nari rapala nlrpmlllas d< Wtte
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unite e Comunità europee, (novembre 1970).
Per gli anni successivi ricordiamo, in special
modo, il numero monografico, dal titolo emblematico <Sapere per lottare,, pubblicato in
occasione dell'importante Vertice di Parigi, del
19 e 20 ottobre 1972, che riporta non solo la
dichiarazione conclusiva (che propone I'Unione europea aentro la fine dell'attuale decennio,, nonché le linee della politica economica e
monetaria, della politica regionale, della politica industriale, scientifica e tecnologica, della protezione dell'ambiente, dell'energia,
nonché delle relazioni esterne e della cooperazione politica), ma anche i risultati del acontrovertice, promosso dai federalisti negli stessi
giorni (C.d'E., ottobre 1972) a cui intervengono, tra gli altri, Tierno Galvan e Soares: federalisti che, a partire dal congresso di Nancy (a
questo importante avvenimento, e ai documenti di base per la riunificazione, che awerrà
l'anno successivo a Bruxelles, è dedicato il numero monografìco del febbraio 1972), si preparano alla riunificazione - opera soprattutto
dei federalisti del CCE -, dopo 15 anni, delle
loro due grandi correnti, quella massimalista
del Movimento federalista europeo e quella
moderata, del Centro d'Azione europea federalista (AEF), divise dopo la caduta della CED.
<Materieprime: imperialismo o federalismo~
è il titolo di un ampio saggio di Gian Piero Roz
dedicato al problema di un nuovo ordine economico mondiale, necessario per superare il
drammatico scontro tra i Paesi sottosviluppati e
i paesi industrializzati (maggio 1974); <Piano
europeo di lavoro garantito, è invece una risposta europea alla grave crisi della disoccupazione
e inflazione. Piano illustrato, per la nostra rivista, da Mario Didò (settembre 1982), per
quanto attiene alla difesa e all'organizzazione
del lavoro nel momento critico della ristrutturazione produttiva.
1.3. Gli Stati generali
numero del settembre 1960 commentando la
pubblicazione del libro, in edizione italiana,
«La Rosa bianca, la storia dei giovani studenti
di Monaco, eroi della Resistenza tedesca. I1 resoconto del Convegno di BolzanolBozen
dell'aprile 1961 che, in un momento particolarmente teso delle relazioni fra Italia e Austria, mise intorno allo stesso tavolo amministratori locali dei due Paesi, la presidenza e la
segreteria del CCE, che, unitariamente, indicarono la soluzione del problema in una prospettiva europea (C.d'E., maggio 1961); incontro
che si ripeterà con successo a Riva del Garda il 5
maggio 1967 (C.d'E., giugno 1967).
Non poteva mancare l'attenzione di Comuni d'Europa alla grave situazione dei popoli
europei oppressi dalla dittatura: per la Spagna
il periodico pubblica i saggi di José Maria de
Semprun Gurrea dibertà e democrazia nella
storia del pensiero politico spagnolo, (C.d'E.,
luglio-agosto 1962) e di Dioniso Ridruejo aEsame di una situazione, (dicembre 1964); per la
Grecia, il testo integrale della Costituzione approvata dal regime dei colonnelli greci per im-
bavagliare la democrazia greca (C.dlE., ottobre
1968).
Al problema della riunifi.cazione tedesca, in
un quadro europeo, sono dedicati gli articoli di
Ferdinand Kinsky a1 tedeschi sono ancora europei?, (C.d'E., ottobre 1966) e di Karlheinz
Koppe <Lasfida dell'Europa intera» (novembre
1966); ad essi offre il qua'dro culturale la ristampa del magnifico saggio di Adolfo Omodeo aLa razza tedesca, pubblicato nel numero
di gennaio 1967. Un'altra utilissima ristampa è
quella del Manifesto di Ventotene, il documento di base del federalismo militante europeo (febbraio 1967), che verrà ripubblicato,
con un commento di Serafini, in occasione del
quarantesimo anniversario dalla sua redazione
(C.d'E., ottobre 1981). A questo proposito,
interessante l'analisi a tre -- Guy Heraud, Andrea Chiti-Batelli e Umberto Serafini - del
afederalismo integrale, (febbraio 1970). Dello
stesso anno, ricordiamo I'arnpio saggio di Chiti-Batelli sugli aspetti della protezione del patrimonio artistico e naturale (settembre 1970)e
il saggio di Gerardo Zampaglione su aNazioni
Le linee di azione del CCE, che Comuni
d'Europa è andato sostenendo in questi
trent'anni, sono state periodicamente verificate alle grandi assisi degli Stati generali, dove
migliaia di amministratori locali europei hanno creato il consenso popolare alle linee strategiche stabilite dagli organi direttivi dell'organizzazione.
La storia delle XIV edizioni realizzate meriterebbe un discorso a parte. Qui ci limitiamo a
ricordare come il periodico ne abbia sempre
fatto oggetto di numeri monografìci, pubblicando gli atti (relazioni, dibattiti, risoluzioni
approvate e commenti) accompagnati da una
documentazione fotografica che attesta l'imponenza della partecipazione. Abbiamo già accennato al contenuto di alcune sessioni degli
Stati generali che hanno una costante: l'impegno degli amministratori locali per la costituente europea. Su questa costante si innestano, di volta in volta, problemi contingenti e di
attualità.
Ai I Stati generali di Versailles, oltre alla risoluzione politica che vede anella prossima nascita della Comunità politica europea un nuovo importante passo verso l'integrazione dell'Europa nel rispetto della democrazia*, viene
ratificata la «Carta europea delle libertà locali»
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
(C.d'E., febbraio 1954). Ai I1 Stati generali di
Venezia (19-21 ottobre 1954), oltre al rilancio
politico dell'integrazione europea, si vara la
Comunità europea di credito comunale
(C.dlE., gennaio 1955). A Francoforte sul Meno (5-7 ottobre) nella I11 sessione la relazione
generale di Serafini vi denunciò con anticipo la
eventualità di una force de frappe nazionale
francese e indicò le linee principali della
Ostpolitik europea (C.dlE., dicembre 1956).
Ai IV Stati generali di Liegi (3-6 luglio 1958)
si mise in luce, tra l'altro, il rapporto fra evoluzione tecnologica e Poteri locali (C.d'E., luglio
1958). A Cannes (10-12 marzo 1960) alla V
Sessione, dove viene alevato un grido d'allarme
contro il ritardo nella costruzione degli Stati
Uniti d'Europa, si approfondisce il discorso
sulle cause del declino delle autonomie locali
(C.dlE., marzo 1960). Alla VI Sessione a Vienna (26-28 aprile 1962), oltre a richiedere fermamente la ripresa del processo di integrazione europea, bloccato dal fallimento dei negoziati di Parigi, si affronta in modo concreto il
problema della pianrficazione del territorio europeo e si approva il testo della Carta federalista dei Poteri locali (C.d'E., giugno 1962).
Della VI1 Sessione di Roma (15-17 ottobre
1964) abbiamo già detto. Ricordiamo che, accanto al tema politico, incentrato sulla necessità di un fronte democratico europeo, viene ribadita la necessità di una pianificazione del
territorio europeo, che non sia la somma delle
pianificazioni nazionali (C.d'E., ottobre 1964)
e l'importanza di una politica europea della
cultura (sulla base della relazione generale di
Henri Brugmans). Agli Stati generali di Berlino (8-10 giugno 1967), i delegati, constatano
55
come «la mancanza di una Autorità politica.. .
lascia una volta di più l'iniziativa politica e diplomatica alle due grandi potenze mondiali$;
ma si preoccupano anche della soluzione del
problema tedesco,, da negoziare con l'Europa
dell'est da una Federazione europea, fattore di
pace ed esempio di democrazia. La IX Sessione
si tiene a Londra (16-18 luglio, 1970), dopo
che la Conferenza dell'Aja del dicembre 1969
aveva riacceso le speranze sul processo di integrazione europea e sull'esito dei negoziati per
l'ingresso dei nuovi paesi nella CEE: la dichiarazione finale ammonisce però che solo una
immediata e vigorosa azione in favore dell'unificazione politica dell'Europa può creare le
premesse per I'allsugamento; a Londra si chiede anche il miglioramento e il rafforzamento
degli strumenti comunitari per uno sviluppo
equilibrato delle regioni d'Europa (C.d'E., ottobre 1970). Negli Stati generali di Nizza
(15-17 giugno 197'2) è la politica ecologica ad
essere affrontata iri modo specifico, mentre sul
piano politico si condannano le conferenze al
<vertice, e 1'istituz.ionedel segretariato, inadatte a prowedere all'interesse generale dell'Europa (C.d'E., giugno 1972). Alla XI Sessione, tenuta di nuovo nella città di Vienna (3-5 aprile
1975), si richiede fermamente la definizione
delle modalità di elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento Europeo, al quale
affidare il compito di redigere la nuova carta
costituzionale dell'Europa e si sostanzia la politica unitaria dei comuni, province, dipartimenti e regioni nella lotta per una pianificazione del territorio simultanea alla programmazione economica, aperta ai problemi del Terzo
mondo (C.d'E., aprile 1975). Nei XII Stati ge-
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nerali (Losanna, 8-11 giugno 1977) si riafferma
la necessità di dare poteri reali al Parlamento
Europeo, di cui è stata finalmente decisa I'elezione diretta, auspicando che la campagna
elettorale possa divenire occasione per un grande dibattito sugli scottanti problemi della disoccupazione, inflazione, salvaguardia della
natura, cooperazione con il Terzo mondo, ecc. ;
contemporaneamente si approfondiscono gli
aspetti della partecipazione dei cittadini alla
vita politica locale (C.d'E., luglio-agosto
1977). Ai XII Stati generali de 1'Aja (9-12
maggio 1979) si respira già l'aria delle prime
elezioni europee: il Parlamento Europeo eletto
e il Consiglio dei Comuni d'Europa, guida del
Movimento europeo delle autonomie e suo interlocutore privilegiato, devono battersi per
l'Assemblea costituente; ma la nuova Europa
deve creare anche un nuovo modello di società,
affermano 3.000 delegati, e garantire una diversa qualità della vita. Nel corso della sessione
si svolge anche un grande dibattito fra i massimi esponenti politici delle forze presenti nel
P.E. e gli amministratori locali: vi partecipano,
fra gli altri, Willy Brandt, Gaston Thorn,
Geoffrey Rippon, Leo Tindemans, Carlo Galluzzi, Pierre Mauroy, Jean Francois Pintat, Loretta Montemaggi.
Il tema della Costituente europea domina
anche i lavori della più recente sessione degli
Stati generali, quella svoltasi a Madrid dal 23 al
26 settembre 1981: l'appoggio delle decine di
migliaia di enti territoriali locali europei, rappresentati dal CCE, all'iniziativa costituente
del Parlamento Europeo, awiata con la risoluzione del 9 luglio 1981, è unanime, e al tempo
stesso si auspica che nel progetto di nuovo
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COMUNI D'EUHOPA
56
dicembre 1982
Trattato venga inclusa una «carta dei diritti zia; Ludovico Quaroni, dell'Istituto nazionale
fondamentali dei cittadini e delle comunità lo- di urbanistica, nonché Riccardo Musatti, Renato Btiigner e Umberto Serafini, per I'AICCE.
cali~(C.d'E., dicembre 1981).
Durante i lavori, presieduti da Seratini, vengono gettate le linee di base, politiche e organizzative, che si ritrovano nel «Giuramento della
L'idea di affratellare due o più comuni è fraternità europea,, in cui si afferma: «i rapprecontestuale alla nascita del CCE, che, sin sentanti del popolo prendono solenne impedall'inizio, ne accentua il contenuto essenzial- gno di mantenere legami permanenti fra le
mente politico come strumento per contribuire municipalità delle nostre città.. . di congiungealla realizzazione della Federazione europea, re i nostri sforzi per aiutare nella piena misura
partendo dalla definitiva riconciliazione, nella dei nostri mezzi il successo di questa impresa
democrazia comune, fra i Paesi europei - par- necessaria di pace e di prosperità: la fondazioticolarmente la Germania e la Francia - che ne dellJUnitàeuropea».
avevano suscitato, con le loro dispute due guerQuesto fine determinato è alla base della dire mondiali. Se ne era parlato già alla riunio- versità fra i gemellaggi prornossi dal CCE e gli
ne di Bad Durkheim, del 14-16 marzo 1952 «incontri», così come chiarito da Umberto Sera(C.d'E., aprile 1952), ma è a Parigi, il 9 e 10 fini nella nota «I veri gemellaggi e il loro plagennaio 1953, che si tengono riunioni (il cui gio» (C.d'E., settembre 1961) dove si sostiene
resoconto è riportato nel numero di gennaio), che non sono da scoraggiare incontri di ammialle quali partecipano, fra gli altri, Samonà, nistratori di città di Paesi extra-europei e di
presidente della facoltà di architettura a Vene- non elettivi, ma essi sono c'osa ben diversa dai
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gemellaggi del CCE, espressione della volontà
popolare in favore della Federazione soprannazionale. Ai resoconti dei più esemplari gernellaggi, sia di grandi città, come di piccoli comuni, il periodico ha quasi in ogni numero dedicato spazio. Particolare menzione .meritano i
numeri dell'ottobre 1960, completamente dedicato al tema; del febbraio 1969, che riporta il
resoconto del 1" Congresso delle città gemelle
di Alessandria; del marzo 1970, con le relazioni di Gianfranco Martini, Bruno Cadetto e
Corrado Calsolaro al I1 Congresso delle città
gemelle di Strasburgo; del maggio 1974, con
intere pagine dedicate, anche dal punto di vista fotografico, allo svolgimento di esemplari
affratellamenti; del giugno 1977, contenente
la relazione di Snijders ai XII Stati generali di
Losanna, sul tema «I1 ruolo dei gemellaggi e
degli scambi intercomunali nella costruzione
europea»; del giugno 1978 con gli atti dell'importante convegno delle città gemelle di Lucca
(19 e 20 maggio) sul tema «Ruolo dei gemellaggi e le elezioni europee», relatore il vicepresidente vicario dell' AICCE, Giuseppe Bufardeci. Per l'importanza politica assunta, va ricordato l'incontro soprannazionale di Magonza,
che ha rappresentato, per la numerosa e qualificata partecipazione, un costruttivo passo
avanti nel coinvolgimento degli enti locali nella battaglia in favore dell'unità politica
dell'Europa, a pochi mesi dalle prime elezioni
europee: all'awenimento il periodico ha dedicato quasi completamente il numero di ottobre
1978, aperto da una foto a tutta pagina che documenta la presenza dei duemila amministratori locali, mentre il numero di settembre riporta il testo integrale della relazione politica
di Serafini («Gli europei adulti»)ivi tenuta.
L'impegno dei comuni gemellati «per la pace e la sua organizzazione ovunque, non piegandosi all'ostacolo di alcuna frontiera» è il naturale coronamento politico e culturale del gemellaggio come ideato dal CCE ed è richiesto
dall'«Appello ai comuni e a tutti gli enti locali
e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema dell'organizzazione della pace,, sottoscritto dal vicepresidente del CCE, delegato ai rapporti coi movimenti
europei, Umberto Serafini, dal presidente delegato alle questioni europee della Fédee"ration
mondial viles jumeleés, Diego Novelli, sindaco di Torino, dal vertice dell'AICCE, dai membri della presidenza dell' Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI) e dai sindaci di altre
città italiane ed europee, fra cui Tierno Galvan, sindaco di Madrid. L'Appello, pubblicato
in apertura del numero di luglio-agosto 1982,
conclude affermando che «i gemellaggi nell'ambito territoriale europeo debbono mirare
sempre allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale del processo di integrazione
europea, fattore essenziale di pace; e si debbono moltiplicare fra il Nord e il Sud dell'Europa, come pegno di una più larga e strategica
volontà di superare gli insopportabili squilibri
fra il nord e il sud del mondo*.
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Sotto questo titolo si può collocare la costante azione unitaria svolta dal CCE e dalllAEDE,
soprattutto a partire dal primo congresso na-
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COMUNI D'EUROPA
zionale di questa Associazione, tenuto a Frascati il 29-30 marzo 1958 (C.d'E., marzo-aprile
1958), dove parteciparono, oltre ai rappresentanti dell'AICCE, anche alcuni assessori alla
P.I. di comuni aderenti. Ma le linee della stretta collaborazione fra le due organizzazioni e i
contenuti della battaglia furono stabiliti nell'importante convegno dal titolo, appunto,
«Europa, Scuola, Enti iocali», svoltosi a Venezia dal 13 al 15 gennaio 1963 di cui il periodico
riproduce in prima pagina (C.dlE., gennaio
1963) il documento conclusivo, rimandando
ad una pubblicazione ad hoc gli atti integrali.
Il tema, su piani più specifici, viene ripreso negli anni successivi, specie negli articoli di Antonio Tatti «La riforma universitaria fra dimensione nazionale e dimensione europea» (maggio 1969 e gennaio 1971), mentre il numero
successivo (febbraio) reca, come «supplemento» in preparazione alla XVIII Giornata europea della scuola una nota informativa sugli
aspetti politici ed economici dei rapporti estovest e un articolo di Argo su «Nazioni e nazionalismi nei processi di integrazione all'ovest e
alllest». «L'Europa dell'educazione» è il titolo
di un altro saggio a firma di Mario Bastianetto
(C.d'E., luglio-agosto 1974).
Ma un eccezionale quadro dell'impegno del
CCE e dell'AICCE nel campo più generale dei
rapporti tra la politica della cultura e il federalismo viene fatta in un numero monografico di
Comuni d'Europa dedicato a Vincenzo Bellisario, uno dei pionieri dell'AEDE. Nel numero
di marzo 1970 si raccolgono i documenti, le relazioni, le risoluzioni che dall'origine il CCE
ha approvato su questo fondamentale tema,
dal convegno internazionale dei Foyers de culture di Reims, del 9-12 ottobre 1952, a cui parteciparono rappresentanti del CCE, ai rapporti
e risoluzioni adottati dagli Stati generali, al testo del documento riepilogativo delle principali istanze della relazione Bellisario-AICCE,
predisposto per gli Stati generali di Vienna del
1962 sull'importanza dei gemellaggi per la
creazione dello spirito europeo e come veicoli
2.
per la cultura popolare, nonché al testo della
Carta europea dell'insegnamento, approvata al
Congresso internazionale dell'AEDE di BNxelles neil'aprile 1968.
È recente il convegno che rilancia, dopo
circa vent'anni. la collaborazione fra AICCE e
Conformemente agli scopi statutari delllAssociazione, il settore dell'informazione e della
documentazione europea per gli amministratori locali, intesa come <servizio europeou, ha
avuto spazio costante sull'organo ufficiale Comuni d'Europa. I soci, infatti, a parte la conoscenza diretta degli specifici problemi awenuta
in occasione di convegni, seminari, stages (di
cui ne ricorderemo alcuni per la loro esemplarietà) hanno trovato soprattutto sulle colonne
del periodico gli elementi di conoscenza e di
approfondimento.
Vogliamo qui ricordare - a titolo di esempio - rimandando a quello che diremo per alcuni settori specifici (come l'agricoltura, il credito ai comuni, ecc.), le ampie mbriche curate
da Tito Scipione sui problemi della finanza locale, sia a livello italiano che a quello degli altri
paesi europei, preparate sulla base di copiosa
documentazione; le troviamo, con una certa
AEDE sotto il tema «Europa, Scuola, Enti local i ~ tenutosi
,
a Teramo dal 7 al 9 maggio 1982
di cui Comuni d'Europa (luglio-agosto 1982)
pubblica la sintesi conclusiva del segretario generale dell'AICCE, Martini, e la relazione del
presidente Serafini.
dal qusrtlprre alla reglone
w r Una Comunftb europea federale
ORGANO M E N S I L E DELL'AICCL, ASSOCIAZIONE
UNITARIA 01 COMUNI, PROVINCE, REGIONI
la lotta C pcr I'assthni\ilrac<istiititsiliix(aur»pw
U serviizio europeo
2.1. Informazione e documentazione
57
puntualità, nelle prime annate di Comuni
d'Europa: spesso si tratta del commento alla
<Relazionegenerale sulla situazione economica
del Paeseo, che consente di fare il punto non
solo sul complesso della situazione ma anche in
ciascuno dei suoi fondamentali settori (è naturale che il periodico privilegi quelli riguardanti
i comuni e le province italiane, come viene fatto nelle pagine del numero di aprile 1957 e del
maggio 1958). Di pratica utilità la tavola sinottica sul numero e dimensione dei comuni secondo le classi di ampiezza (C.dlE., gennaio
1957) e quella sul.le attribuzioni e funzioni dei
segretari comunali nei paesi dell'Europa occidentale (marzo 1957). Sul piano comparato,
«I1fabbisogno finanziario dei Comuni tedeschi
e la sua coperturzw, di Karl Horn (novembre
1957) e le note sulle finanze comunali in Francia e in Germania, di Tito Scipione (settembre
1958).
Poi l'attenzione si sposterà sugli istituti e le
provvidenze comunitarie, come risulta, per
esempio, dal numero di luglio-agosto 1962,
che tratta della BEI, in due note di Karl Horn e
Tito Scipione.
L'esigenza di una informazione e documentazione sui singoli problemi è andata aumentando, man mano che la complessità dei temi
specifici venivano messi in luce dalla realizzazione della Comunità. Per facilitare una presa
di coscienza diretta, la nostra Associazione ha
organizzato, spesso in collaborazione con gli
Uffici per l'Italia della Commissione e del Parlamento europei, corsi-quadro, seminari, giornate di studio, per amministratori locali e funzionari, nonché per i responsabili degli uffici
stampa delle regioni e delle province autonome di BolzanoIBozen e Trento.
Una motivazione dei corsi, tendenti soprattutto a creare a1 quadri del CCEBper la battaglia federalista delle autonomie, viene data organicamente nel numero monografico di luglio-agosto 1962, che sotto questo titolo riporta numerosi saggi e scritti per i vari campi di interesse.
COMUNI D'EUHOPA
I1 primo <corsoquadri, dell' AICCE, ricordato dal periodico nel numero di aprile 1967, si
svolge a Torino, con una numerosa partecipazione di amministratori locali (ma già, in precedenza, si erano svolte altre manifestazioni, a
livello regionale, come le giornate di studio di
Genova del luglio-agosto 1962).
Nel prosieguo degli anni, l'iniziativa dei seminari si è intensificata, specializzandosi in
gran parte sull'utilizzazione dei «fondi» comunitari, ad eccezione del periodo precedente
alle prime elezioni europee quando i seminari
e le conferenze regionali promossi dall' AICCE,
come documentano in particolare i numeri di
febbraio, settembre, novembre, dicembre 1978
e novembre 1979, vengono inquadrati nel programma di attività per l'elezione del Parlamento Europeo: se essi dimostrano, da una
parte, la scarsa conoscenza del processo di unificazione europea, dall'altro mettono in luce
una domanda politica di Europa da parte della
base.
2.2. Pianificazione del territorio e politica regionale europee
I . I contenuti della politica del terrijorio
È questo, insieme al terreno squisitamente
politico istituzionale, il settore più approfondito da Comuni d'Europa durante i suoi
trent'anni di vita: nel secondo numero (gennaio 1953) si dà conto di una riunione, svoltasi
a Bad Durkheim nel luglio 1952, su d'aménagement du territoire~anche con una esposizione sulla pianificazione del territorio in Germania, Francia, Olanda e Inghilterra: la delegazione inviata dall'AICCE era composta dagli
architetti Piccinato, Albini, Labò, Astengo, Di
Gioia e Zevi.
Da allora il periodico pubblica articoli e saggi, nonché resoconti, documenti e risoluzioni
delle moltissime riunioni, a tutti i livelli, a partire dalla prima sessione degli Stati generali
(Versailles, 16-18 ottobre 1953). I1 tema è affrontato dalla I1 Commissione («I comuni davanti al problema della sistemazione nazionale
e dell'urbanistic~)e, più approfonditamente,
alla seconda sessione degli Stati generali (Venezia, ottobre 1954), di cui Comuni d'Europa
del gennaio 1955 riporta la risoluzione sul tema dell'equilibrio tra città e campagna. Basilari, su questo tema, le anticipazioni che Costantino Mortati poneva già, agli inizi degli anni
'50, prendendo spunto dalla situazione delle
libertà locali in Italia, in rapporto alla <Carta
europea delle libertà locali» e alla «Costituzione della Repubblica (esemplare la sua interpretazione come imperativo etico-politico
dell'art. 11); e soprattutto la risoluzione approvata al I Congresso nazionale dell'AICCE
(Forlì, 14-15 maggio 1955), dove si chiedeva la
rapida attuazione dell'ordinamento regionale
come presupposto per lo sviluppo della democrazia (le Regioni a Statuto ordinario tardarono, malgrado la pressione dell'AICCE, altri 15
anni!).
Già da queste prime riunioni si rileva come
in tema di pianificazione del territorio e politica regionale, la più congeniale forse al CCE,
Comuni d'Europa si muove in due direzioni:
quella della sollecitazione prima e della defini-
zione poi dei contenuti di una politica della
pianificazione del territorio e di una politica
regionale, delle quali i poteri locali siano non
oggetti ma soggetti politici, e quella dell'informazione e dell'analisi delle situazioni degli altri paesi.
Nel suo primo numero dell'apriie 1952, il
resoconto del convegno costitutivo dell'AICCE
riporta la notizia dell'inizio dei lavori della
commissione «equilibrio città e campagna, del
CCE, mentre in un'altra pagina vengono pubblicati <Appuntibibliografici, destinati alla conoscenza anche, oltre che del federalismo politico-economico, della letteratura sulla pianificazione del territorio, l'urbanistica, I'organizzazione di comunità.
L'esigenza di fare della politica regionale e
della pianificazione del territorio europeo il
nodo centrale dell'azione del CCE è un impegno antico e costante del <:CE. Esso discende
sia dalla concezione di federalismo integrale di
Adriano Olivetti, come dimostra, in modo organico, il saggio che Umberto Serafini dedica
sulla rivista in occasione della prematura scomparsa di uno dei maestri del federalismo integrale (C.d'E., marzo 1960), sia della corrente
francese, che fa capo ad Alexandre Marc. Provenivano, infatti, dal Movimento Comunità, o
ne condividevano le linee, alcuni dei partecipanti alla sessione di Torino della commissione
urbanistica del CCE del febbraio 1954, dove,
nella risoluzione approvata, venivano visti in
prospettiva unitaria «pianificazione generale
del territorio, pianificazioni particolari, governo locale, equilibrio rurale-urbano e mercato
comune europeo,.
Con l'entrata in vigore dei Trattati di Roma,
la politica regionale, anche se non esplicitamente prevista, acquista sempre più importanza, che le deriva dalla lettura e dagli adempimenti del Trattato stesso, a partire dal upreambolo,, che indica tra i fini quello <di assicurare
lo sviluppo armonioso riducendo le disparità
fra le differenti regioni e il ritardo di quelle
meno favorite,. È merito del CCE, però, di
aver associato a questa politica i Poteri locali,
verso i quali la Comunitli si era mostrata,
all'inizio, molto esitante.
Infatti, nella prima, fondamentale relazione
sui problemi di politica regionale, del francese
Bertrand Motte, all'Assemblea parlamentare
europea nel 1960, si accenna solo all'esigenza
della Commissione esecutiva di creare, da una
parte, un <Comitato consultivo per le economie regionali,, e uall'altro estremo di un'azione regionale comunitaria, deve essere istituito
o riconosciuto un certo numero di organismi
intermedi che assicurino, nello studio come
nell'azione, con l'aiuto e con il tramite degli
Stati membri, i principi di decentramento, di
partecipazione e di coordiriamento, (C.dlE.,
giugno 1,960).Malgrado la costituzione, nel luglio successivo, dell'Intergruppo delllAPE per i
poteri locali, il vicepresiderite della Commissione esecutiva, Marjolin, ignora nell'elenco
delle istituzioni pubbliche e private consultate
il Consiglio dei Comuni d'Europa (C.dlE.,
agosto 1961); così come gli enti locali vengono
ignorati nella importante conferenza sulle economie regionali del 6-8 dicembre 1961
(C.d'E., febbraio 1962), che segna l'inizio di
una sistematica azione della Comunità nel
dicembre 1982
campo regionale, come sostiene Gianfranco
Martini commentando sul periodico i lavori
della conferenza.
Ma la lunga e paziente opera del CCE, promossa e coordinata in larga misura dallo stesso
Martini, dà i suoi frutti: la relazione sulla politica regionale presentata da Willi Birkelbach, e
approvata all'unanimità dal Parlamento Europeo nella seduta del 22 gennaio 1964 (C.dlE.,
gennaio 1964). fa esplicito riferimento ai suggerimenti dati per la stesura da un gruppo di
esperti (gruppo di lavoro che in seguito lavorerà in stretta collaborazione con 1'Intergruppo), di cui facevano parte, come rappresentanti
del CCE, il presidente e il segretario generale,
Cravatte e Bareth, nonché Merlot, Muntzke,
Pic e, per I'AICCE, il segretario generale aggiunto Martini.
Proprio a seguito delle proposte del CCE,
nella relazione Birkelbach si legge: «sarebbe in
ogni caso necessario assicurarsi, eventualmente
ampliando i Gruppi di lavoro, la collaborazione di persone che abbiano una particolare
esperienza dei problemi delle amministrazioni
locali.. . per studiare più da vicino: a. la forma
più idonea che si potrebbe dare ad un centro di
formazione e documentazione da istituirsi
presso la Comunità; b. il modo migliore di
stabilire una permanente attività di reciproca
informazione e consultazione tra gli Esecutivi
delle Comunità e le rappresentanze dei Poteri
locali.. .; C. una eventuale forma da dare ai
contatti diretti fra comuni e amministrazioni
regionali da un lato e gli Esecutivi delle Comunità europee dall'altro~.
E, finalmente, nell'VII1 relazione generale
sull'attività della Comunità, pubblicata nel
giugno 1965, il contributo del CCE viene uffìcialmente sancito: S . . .la Commissione - vi si
legge - ha chiesto ai rappresentanti degli enti
locali, attraverso il Consiglio dei Comuni d'Europa, di ricevere le osservazioni sulle conclusioni dei gruppi di lavoro, dando così inizio ad un
fruttuoso scambio di vedute...». Tale collaborazione si concreta nella stesura di un Memorandum del CCE, espressamente richiesto dalla
Comunità, che Comuni d'Europa riporta in
una indovinata sinossi nel numero monografico del gennaio 1966 pubblicando, a fianco del
testo delle proposte della Commissione di Bruxelles, in materia di politica regionale, le proposte del Consiglio dei Comuni d'Europa,
nonché i commenti puntuali di Commzcnes
d'Europe, l'organo di stampa della Sezione
francese del CCE.
Il riferimento più completo della battaglia
del CCE in materia di politica regionale e di
pianificazione del territorio è il numero monografico del gennaio 1966 che, sotto il titolo
«Pianificazione europea del territorio e Poteri
locali*, riassume quanto era stato proposto
dall'organizzazione nei primi 15 anni di attività, sia sul piano dei documenti e risoluzioni
approvati dai vari organi del CCE o dagli Stati
generali, sia sul piano degli studi e delle relazioni. Vi trovano posto, fra le altre, la risoluzione di Torino, del febbraio 1954, e quella di
Palazzo Canavese dell' i 1-12 settembre 1958,
che affermava la necessità del parallelismo fra
integrazione economica e pianificazione del
territorio, nonché del ristabilimento di un adeguato equilibrio tra città e campagna. L'am-
COY UNI D'EUROPA
dicembre 1982
plissima bibliografia che completa il numero,
nella quale compaiono anche titoli non specificamente riferiti a contributi del CCE e di Comuni d'Europa, rappresenta un panorama
pressoché completo di quanto pubblicato in
materia fino a tutto il 1965. Precedentemente,
nel più volte citato numero di dicembre 1960
(«Temi di lotta»), sotto il titolo aDall'integrazione economica alla pianificazione del territorio, erano stati raccolti tre importanti scritti di
Eugen Claudius-Petit (La pianificazione del
territorio in una prospettiva europea), di Henri
Brugmans (Il fattore geografico) e di Riccardo
Musatti (Pensiero e azione di Adriano Olivetti
per il Mezzogiorno d'Italia).
Il pensiero e l'azione del CCE si approfondisce negli anni seguenti e Comuni d'Europa ne
segue, quasi in ogni numero, i vari aspetti in
politica e in dottrina, facendone oggetto anche
di temi specifici degli Stati generali: particolarmente incisiva in materia, la IX sessione, svoltasi a Londra dal 16 al 18 luglio 1970, che sotto
il titolo generale <L'Europa: perché, con chi e
come - dal consiglio comunale al Parlamento
federale europeo*, vedeva dedicati i due temi
specifici a <I rapporti istituzionali fra i poteri
locali, le regioni e gli stati nazionali in una Europa federale,, relatore il tedescoJurgen Hahn,
e <Lo sviluppo equilibrato delle regioni d'Europa: vie e mezzi», affidato al segretario generale aggiunto dell' AICCE, Gianfranco Martini
(C.d'E., giugno 1970).
Martini stesso riprende il tema, sotto I'angolo della partecipazione, nella sua relazione alla
IX Conferenza dei poteri locali su «La partecipazione dei cittadini, degli enti locali e delle
Regioni all'assetto territoriale dell'Europa~,
pubblicata integralmente sul numero di settembre 1972. I1 tema della partecipazione diretta dei cittadini all'assetto del territorio trae
l'origine storica dalla <Carta europea delle libertà locali,, lanciata ai I Stati generali di Versailles, dove veniva affermato «le comunità locali.. . devono sviluppare una azione amministrativa e creare i mezzi stabili perché ogni cittadino, cosciente di essere membro della comunità e vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale*. Con tempestività
l'AICCE, all'inizio della prima legislatura regionale, pubblica il libro «La regione italiana
nella Comunità europea,.
11 tema regionale sarà quasi sempre una costante degli Stati generali del CCE, a partire,
come abbiamo già detto, dall'edizione londinese, e si legherà strettamente alla partecipazione delle collettività locali alla politica regionale comunitaria, non solo per la sua applicazione, ma anche, e soprattutto, per la sua elaborazione, interesse che costituisce un altro dei
grossi meriti del CCE e dell'AICCE. Questo ha
portato in Italia, dove le regioni sono investite
di dirette responsabilità su problematiche europee, nel corso del 1974, all'approvazione di
una proposta di legge di iniziativa regionale
per assicurare la partecipazione unitaria delle
regioni all'elaborazione e all'attuazione delle
politiche comunitarie (C.dJE., giugno 1974),
che sette regioni approvarono rapidamente, inviandola al Parlamento italiano (C.d'E., marzo
1975).
11 7 e 8 dicembre 1976 viene convocata a Pa-
59
rigi la I Conferenza generale dei presidenti di
regioni o di enti ecl istituzioni analoghe dei Nove paesi della Comunità (il periodico vi dedica
il numero monografico di marzo 1977). La
Conferenza, proniossa dal Consiglio dei Comuni d'Europa, d'intesa con la Commissione
esecutiva di Bruxelles e sotto il patrocinio del
presidente dell'Assemblea nazionale francese,
Edgard Faure, crea il Comitato consultivo delle
regioni e degli altri poteri locali presso la Comunità, che costituirà, d'ora in avanti, il tramite diretto presso la Commissione e il Parlamento della CEE.
2. La documenta.zione su ie espenenze degii
aitn'paesi e iprobjemi settonaii
Fra i primi articoli pubblicati in materia da
Comuni d'Europa, che si è sempre orientato
non tanto a ripoiytare quello che in diritto è
stabilito negli altri paesi, quanto piuttosto I'incidenza reale che l'applicazione legislativa provoca sul tessuto politico, economico e sociale,
vanno segnalati: e:[ Landkreisen, firmato dal se-
B
A M O XXV
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CiRGANO MENSILE
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gretario generale della Sezione tedesca del
CCE, Hans Muntzke (C.d'E., maggio 1957); a1
comuni austriaci,, redatto dal presidente della
Sezione austriaca, Alois Lugger (C.d'E., agosto-ottobre 1957); d'autonomia comunale e
provinciale in Belgio nel quadro dei principi
costituzionali,, del segretario generale della
Sezione belga, Robert Marique (C.d'E., febbraio 1959); per la Francia, firmano i testi Jean
Bareth, Jean Francois Gravier e Gilbert Gauer
(sempre nel numero di febbraio 1959).
Nel 1964, il periodico dedica al tema il
primo dei suoi numeri monografici (luglio-agosto): sotto il titolo «L'urbanistica nella Germania di Bonn*, si riportano sia le proposte legislative, sia gli sviluppi in dottrina in uno dei
Paesi europei più avanzati. La serie degli studi
continua con «I distretti urbani francesi e le libertà comunalin, di Max Richard, pubblicato
nel novembre 1965; «Lander, politica regionale
e pianificazione dei territori nella Germania federale*, di Renato Briigner e Hans Filbinger
(giugno 1968). Un altro numero monografico,
dal quartiere aila regione
Per una Comunita europea federale
D E L C A I C C E . ASSOCIAZIONE UNITARIA D I COMUNI. PROVINCE, REGIONI
dichrarationi alla nostra rivista di
Zaccagnini, Berlinguer, Craxi, Romita,Biasini,Zanone,Gorla,Riz,
Pannella e dei responsabili della Cgil.Cisl, Uil.
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questa volta dedicato alla Gran Bretagna, viene
stampato in vista dello svolgimento a Londra,
nel luglio 1970, degli XI Stati generali. Il tema
è «Le articolazioni del Regno Unito», cioè la
riorganizzazione del governo locale in Inghilterra (aprile 1970).
La Germania di Bonn, proprio per la sua
struttura federale, continua ad essere oggetto
di valutazione: nel settembre 1971 Comuni
d'Europa pubblica in esclusiva il testo integrale
della Conferenza di Theodor Eschenburg, ordinario di scienza della politica all'Università
di Tubinga, dal titolo <Regioni (Lander) nella
Repubblica federale tedesca». Dopo un intervento del ministro inglese per l'ambiente,
Geoffrey Rippon, e un commento dell'urbanista Leonardo Benevolo intorno al tema del verde londinese («I1green Belt di Londra*, luglioagosto 1973), nel numero successivo, interviene a proposito di uI1 verde in Europa e a Rom a , l'architetto Bernardo Rossi Doria, che
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commenta una nota pubblicata nella rivista Le
scienze. Il resto di questo numero è dedicato
completamente alla pubblicazione del testo (in
inglese, con a fianco la traduzione in italiano)
del Land compensation Act. Due anni dopo,
viene pubblicato un altro numero monografico
(novembre 1975) che illustra «Le amministrazioni locali in Gran Bretagn;i».
Negli anni successivi coni:inuano a riportarsi
articoli e documenti sulle esperienze europee
nel campo regionale e, dal settembre 1982,
viene con una certa regolarità pubblicata una
rubrica dal titolo «Autonomie e regioni in Europa», dedicata ad alcuni aspetti delle autonomie locali negli altri Paesi europei, rubrica anticipata negli anni precedenti dall'esame di alcune esperienze in vari paesi (Gran Bretagna e
Olanda, ottobre 1976), Danimarca e Belgio
(novembre 1976), Germania (gennaio 1977),
Irlanda, Lussemburgo e ancora Danimarca (settembre 1978).
2.3. Daiia Comunità europea di credito comunale al fedemlismo fiscale
I . La Comunità europea di credito comunale
Fra le prime battaglie condotte dal CCE, sostenuta da notevoli contributi scritti su Comuni d'Europa, un posto importante merita la
proposta della costituzione di una Comunità
europea di credito comunale (CECC). La sua
struttura veniva delineata già nel primo numero del periodico (aprile 1952) che indicava nel
credito per i lavori più urgenti (dopo le distruzioni della guerra) - scuole, abitazioni popolari, ecc. - il primo problema degli enti locali.
Nei numeri successivi se ne segue la difficile
realizzazione, iniziata con una relazione ai I1
Stati generali tenuta da uno dei pionieri del
CCE, il senatore Alessandro Schiavi, primo
presidente dell'AICCE, e continuata da Tito
Scipione nell'articolo «Per una Comunità economica europea dei Poteri locali», che ne amplia il concetto, legato al nascere della Comunità economica europea, mettendo anche magistralmente in luce i problemi e le difficoltà
fondamentali della CECC e della necessità di
una sua trasformazione, appunto, in una Comunità economica europea dei Poteri locali, di
cui il credito è solo un aspetto.
Al tema dette successivamente (dicembre
1960) un efficace contributo Giordano Dell'Amore, nel suo saggio «Il credito finanziario alle comunità locali europee*; due i punti
nodali: la lentezza con cui procedeva l'integrazione economica europea e la necessità di rivedere le funzioni dei varii enti locali, e di definirle meglio nel quadro di vasti piani di sviluppo economico. Della necessità di legare lo sviluppo del credito agli enti locali a quello
dell'integrazione europea, si era fatto interprete lo stesso segretario generale dell' AICCE, Serafini, che, commentando il testo di Dell'Amore, chiariva che lo sviluppo non era realizzabile se non nell'ambito in cui è prevista
una politica monetaria e congiunturale comune.
Parallelo alla CECC, di cui furono presidente e segretario generale Amedeo Peyron e Robert Mossé, venne fondato a Lugano, il 26 gennaio 1958 un altro importante organismo del
CCE, l'Istituto europeo di studi e relazioni intercomunali (IESRI), in esecuzione ai deliberati dei 111 Stati generali. Scopo dell'IESRI era
quello di costituire archivi sulle caratteristiche
di tutti i comuni ed enti territoriali locali aderenti al CCE, condurre inchieste sull'organizzazione amministrativa dei vari paesi e raccogliere informazioni e documentazione sulle varie funzioni dei comuni (C.d'E., gennaio
1958). Ma le difficoltà politiche e organizzative, superate all'inizio con grande abnegazione
dal principale animatore dell'Istituto, Renato
Briigner, dopo alcuni anni presero il sopravvento. E quando Briigner lasciò l'organizzazione, messa in crisi anche, come la CECC, dagli
sviluppi di organismi comunitari specializzati e
dall'intensificarsi delle politiche dei «fondi»
europei, i due organismi cessarono, in pratica,
la loro attività.
2. I nfondiu comunitari
Con I'awio della realizzazione dei Trattati
di Parigi e di Roma prende corpo un altro dei
dicembre 1982
compiti statutari della nostra Associazione,
quello di far conoscere le possibilità offerte dai
vari <Fondi europei, e permetterne, dando tutto l'aiuto possibile, la migliore utilizzazione da
parte degli enti regionali e locali. Va però sottolineato che l'interesse dell'AICCE e di Comuni d'Europa per i fondi comunitari è stato
sempre collegato alla realizzazione prioritaria
delle politiche comuni, rispetto alle quali i finanziamenti si collocano a valle.
Diminuita notevolmente l'incidenza dei
contributi della Comunità europea del carbone
e dell'acciaio (CECA), destinati soprattutto
agli alloggi dei lavoratori del settore, è la Comunità economica europea che predispone tutta una serie di interventi, volti, all'inizio, a settori spectfici, come il Fondo sociale europeo
(FSE), il Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (FEOGA), nonché le operazioni
finanziate dalla Banca europea per gli investimenti (BEI).
Alcuni anni dopo, constatato che il divario
fra le regioni ricche e le regioni povere della
Comunità non veniva superato dal meccanismo dell'economia di mercato, si vara la politica regionale e del riequilibrio del territorio, come elemento centrale e di riferimento di tutte
le altre politiche: prende vita così il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), intorno al
quale si cerca di coordinare gli altri fondi.
Tutta questa politica dei fondi è stata oggetto di una attenta informazione da parte di Comuni d'Europa, che si è sforzato non solo di
dare agli enti regionali e locali il quadro giuridico e politico, ma anche quello operativo
(esemplificazione di procedure, fac-simile di
domande, assistenza ai soci, ecc.) collocandosi
all'avanguardia di questa documentazione in
Italia. Infatti, quando il 31 agosto 1960 la Gaz-
COMUNI D'EUROPA
zetta ufficiale dellt: Comunità europee pubblica il testo del Regolamento che istituisce il Fondo sociale europeo, Comuni d'Europa, volendone dare una informativa agli enti territoriali
locali (possibili soggetti delle prowidenze previste in quanto Enti di diritto pubblico), si trova di fronte ad un imprevisto ostacolo: in Italia
il Regolamento è ancora completamente sconosciuto al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, al quale dovrebbero essere indirizzate le domande per (ottenereil contributo. Il collaboratore di Comuni d'Europa e il sottoscritto, in cerca di elementi, vengono indirizzati a
un funzionario che dice di essere stato informato di qualcosa, ma non conosce il problema.
Altra sconcertante :scoperta, nessun Ente in Italia, a distanza di mesi dall'entrata in vigore del
Fondo, ha ancora presentato domanda di rimborso. Con l'aiuto dell'Ufficio di Roma della
Comunità la nostra. rivista (che nei mesi successivi con alcuni articoli e resoconti sul problema
sociale informa di quanto è predisposto a livello comunitario) pubblica (nel numero di gennaio 1962) sotto il titolo J 1 Fondo sociale europeo e i Poteri localiu, un paginone contenente
gli elementi essenziali per ottenere i contributi
del Fondo, corredato anche di tutte le modalità
pratiche (indirizzi, fac-simile, ecc.). Successivamente, con un intero numero di ben 52 pagine
(luglio-agosto 1963), Dornenico Sabella affronta in modo esauriente tutto il problema
del Fondo sociale ruropeo, nella politica della
Comunità e nello sviluppo del Mezzogiorno:
vengono analizzati i principi, le disposizioni e
la procedura del Fondo, l'attività generale dei
primi anni, si pubblicano i testi ufficiali e, infine, si stampano i modelli necessari, raccolti
successivamente nell'opuscolo <<Laqualificazione professionale con l'intervento del FSE» dello
61
stesso autore, con prefazione di Lionello Levi
Sandri, vicepresidente della Commissione
CEE. Man mano poi che la Comunità aggiorna
o modifica elementi del Fondo, Comuni d'Europa ne informa puntualmente i lettori, entrando, spesso, anche in analisi politiche, come
nel saggio curato da Gabriele Panizzi in occasione della riforma del FSE (C.dJE., dicembre
1972). In esso, dopo un puntuale confronto fra
il vecchio e il nuovo testo, si analizza il FSE sia
in rapporto con l'esigenza di una politica regionale europea, sia nei riguardi dei sindacati
dei lavoratori, constatando la convergenza degli obiettivi, su scala europea, di regioni e sindacati (tema ripreso dallo stesso autore nel numero di marzo 1975).
Nel capitolo dedicato alla politica agricola
comune accenneremo all'inserto, ancora di
Domenico Sabella, sul FEOGA.
Certamente più importante per gli enti territoriali locali si presenta il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito il 18 marzo
1975, il cui testo viene pubblicato da Comuni
d'Europa (maggio 1975) insieme alla Decisione del Consiglio che crea un comitato di politica regionale e al Regolamento relativo al finanziamento, il tutto preceduto da un commento
del segretario generale aggiunto dell'AICCE,
Gianfranco Martini, che ne rileva le luci e le
ombre .
Quasi un anno e mezzo prima, il periodico
era uscito con un editoriale dall'interrogativo
emblematico «I1 Fondo europeo regionale: dono o debito?, a firma della segreteria dell'AICCE (Umberto Serafini, Gianfranco Martini,
Aurelio Dozio): condannata la parziale applicazione delle norme del Trattato, che hanno
permesso di utilizzarne, da parte dei paesi for-
Al scrvizio dcl1'Europa Unita
l
ARONA rffrstrllata
ad una cittadina belga
I
dicembre 1982
COMUNI D'EUROPA
62
Londra il 31 ottobre 1981 dello stesso Comitato Chiti-Batelli che dalla premessa di Serafini, è
consultivo sulla revisione del Fondo, sia il «pa- che la differenza fra l'efficacia della pianificarere, sulla revisione del FSE (è interessante ri- zione economica e finanziaria tedesca e I'inefcordare che il testo dei «pareri, è illustrato dalla ficienza della pianificazione economica e della
foto della pubblicazione ufficiale della Camera politica regionale della Comunità europea sta
dei Lords, che riporta il parere del Comitato nella struttura federale per la prima e nella
struttura a livello di unione doganale nella seconsultivo del CCE).
conda, la quale, priva di istituzioni politiche,
3. Il federalismo fiscale
non riesce a trasformarsi in una unione econoLa recensione di un volumetto di Fritz mica e monetaria.
Franimeyer e Bernhard Seidel, edito da ~Euro- La lunga storia della perequazione finanziapa Union~nel 1976, dal titolo Uberstaatlicher ria comincia alle origini del CCE, con l'idea
Finanzausgleich europaische Zntegration, cura- prima e la creazione poi di una Comunità euta da Andrea Chiti-Batelli, occupa le prime pa- ropea di credito comunale, dopo aver iniziato
gine del numero di giugno 1977 di Comuni con la prospettiva di una cooperazione creditid'Europa. È il segno dell'iinportanza che il te- zia fra i comuni europei. Ma con l'avvio della
ma riveste per il CCE e per la rivista e che tro- Comunità europea (si tenta per un certo perioverà conferma negli anni successivi con la pub- do, senza successo, di utilizzare un settore delblicazione, a cura dell'AICCE, del volume di la Banca europea per gli investimenti) viene
Sigrid Esser a11 federalismo fiscale della Germa- lanciata l'idea di una Comunità economica eunia occidentale,, da cui Comuni d'Europa ri- ropea dei Poteri locali, perché era divenuto
prende la premessa di Umberto Serafini chiaro che la cooperazione finanziaria non poteva essere più legata solo al settore del credito,
(C.d'E., settembre 1981).
Quello che emerge, sia dalla recensione di ma doveva comprendere l'intera economia dei
comuni e degli altri enti territoriali locali, in
COMUNI D'EUROPA
9
primo luogo le regioni. Si era definitivamente
accertato che tutto il processo era legato allo
sviluppo, in senso federale, della Comunità europea: è in questo quadro istituzionale che si
potranno sviluppare, come nella Repubblica
federale di Germania, il discorso sulla pianificazione economica, in specie in tema di perequazione finanziaria e in ordine alla politica
regionale.
In questi ultimi mesi Comuni d'Europa è
tornato sul tema, anche se sotto I'angolatura
specifica dell'autonomia delle politiche di bilancio degli enti territoriali ed il loro coordinamento di fronte alla crisi economica, con due
saggi, dovuti alla stessa Sigrid Esser, con riferimento ai casi della Repubblica federale di Germania, della Francia e dell'Inghilterra.
ti, le realizzazioni della semplice unione doganale, della politica agricola comune, della circolazione dei capitali e dei lavoratori, senza un
parallelo sviluppo delle altri parti del Trattato,
soprattutto per quanto attiene alla realizzazione piena delllUnione economica e politica, si
sostiene che *nei limiti in cui il Fondo regionale risponde alla logica del Trattato di Roma e
corrisponde ai guadagni già fatti da altri Paesi,
non è un regalo dei contribuenti di alcuni paesi
a contrade tradizionalmente sottosviluppate,
ma una parziale - molto parziale - redistribuzione dei benefici del MEC».
Negli anni successivi tutte le tematiche dei
fondi continuano ad essere analizzate da Comuni d'Europa, che riporta anche notizia di
riunioni e incontri specializzati: una attenzione speciale viene dedicata alla revisione del FESR, prima pubblicando la presa di posizione
sottoscritta a Bruxelles il 16 marzo 1981 dal
Comitato consultivo delle istituzioni regionali e locali dei paesi membri della Comunità
(C.dlE., maggio 1981) poi predisponendo un
inserto contenente sia il *parere%formulato a
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2.4. Politica agricola comune
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Il dibattito e l'analisi della politica agricola
comune, con particolare riguardo all'impatto
che essa esercita sugli enti regionali e locali (in
specie nel nostro paese) si è sviluppato nella
nostra Associazione, puntualmente ripreso da
Comuni d'Europa, al momento della presentazione da parte di uno dei più coerenti commissari della CEE, Sicco Mansholt, del memorandum che è rimasto noto con il suo nome.
Le ragioni dell'interesse sono molteplici: il
fatto che la politica agricola comune è già operante, purtroppo con le aberrazioni che tutti
conoscono e che impegnano quasi 1'80% del
bilancio comunitario nel solo settore della garanzia dei prezzi e che portano a privilegiare alcuni prodotti a danno di altri; il fatto che le regioni italiane hanno competenza costituzionale in materia agricola e quindi sono soggetti
giuridici sia dei regolamenti che delle direttive
in materia; il fatto che l'economia di molte regioni, e non solo italiane, dipende quasi esclusivamente dall'agricoltura.
Con largo anticipo, però, I'AICCE si era posto il problema della soluzione a livello europeo dei problemi agricoli, come risulta dal convegno «I comuni rurali e l'Europa, promosso
dall'AICCE, dalla UIL-terra e dal Movimento
dicembre 1982
rurale italiano ad Alba (Cuneo), il 29 ottobre
1955 (C.dJE., novembre 1955). I1 relatore generale, Aride Rossi, segretario nazionale della
UIL-terra e uno dei massimi esperti del campo
affermava, infatti, l'impossibilità di uno sviluppo di una moderna economia agricola nel
solo ambito nazionale. Quando poi, con I'entrata in vigore dei Trattati di Roma, e in seguito all'elaborazione dei suoi fondamenti, awenuta alla Conferenza di Stresa del luglio 1958,
nel gennaio 1962 viene varata la politica agricola comune, subito I'AICCE si fa interprete
delle preoccupazioni delle regioni più direttamente interessate e promuove a Chieti un importante convegno regionale (cui partecipavano anche rappresentanti del CCE) sul tema
«L'integrazione agricola europea e l'Abruzzo».
L'ampia e approfondita relazione di Aride Rossi (C.d'E., novembre 1962) resta uno dei documenti più significativi in materia perché non
solo vi viene fatta una dettagliata analisi della
PAC, ma se ne commentano i riflessi interni ed
internazionali.
Tralasciamo qui di ricordare i molti convegni
dedicati all'argomento, e di cui Comuni d'Europa ha dato resoconto, per ricordare tre incontri qualificanti sul Piano Mansholt per I'ammodernamento delle strutture agricole.
I1 16 maggio 1968 la Direzione nazionale
dell'AICCE, allargata a numerosi esperti, viene interamente dedicata all'esame del Piano,
introdotto dalla relazione di Mario Bandini,
presidente dell'Istituto nazionale di economia
agraria e preside della Facoltà di economia e
CONILINI D'EUROPA
commercio dell'Università di Roma. Comuni
d'Europa (luglio-agosto 1969) riporta gli atti
della seduta e il documento conclusivo, che rivolge, fra l'altro, un vivo appello «alle Comunità e agli Stati membri perché essi non lascino
cadere una così preziosa occasione per avviare a
soluzione in un quadro unitario i problemi di
un settore essenziale per l'avvenire della società
europea e sottoliilea come «gli ingenti mezzi
necessari per l'attiiazione della riforma in oggetto riconfermano la necessità pressante di un
adeguato controllo democratico tramite un
Parlamento Europeo eletto a suffragio universale e direttoip. Il documento, auspicando una
rapida attuazione del Memorandum da parte
del Parlamento e (le1 Governo italiani, ne sottolinea anche l'esigenza della sua uregionalizzazioneu. Nello stesso numero di Comuni
d'Europa veniva pubblicato un ampio saggio
di Domenico Sabella su «La ricomposizione
fondiaria e 1'orient.amento culturale con il contributo del FEOGA-sezione orientamentou
che, oltre a riportare le finalità e i compiti
dell'importante istituto, settore per settore, indicava tutte le procedure necessarie per ottenere i contributi, pubblicando chiari fac-simile
per l'inoltro delle domande.
Il pregio del Piano Mansholt, che pur conteneva qualche errore di valutazione, consistente
soprattutto nel voler disciplinare in modo uniforme situazioni a volte notevolmente differenti, risiedeva nel fatto che, per la prima volta, si affrontavano in modo chiaro e programmato le riforme di struttura e non più la politi-
63
ca dei prezzi, affidando alle imprese di adeguate dimensioni, condotte con metodi razionali e moderni, l'attuazione della politica agricola comune. Inoltre il Piano predisponeva gli
strumenti per disciplinare un ordinato esodo
dalle terre, soprattutto per gli anziani. Ma esso
non fu approvato, per le critiche violente provenienti dai gruppi di potere che monopolizzavano il mondo agricolo.
Precedentemente il Piano era stato oggetto
di un esame da parte dell'Intergruppo del Parlamento Europeo per i problemi regionali e locali, in una riunione del 19 dicembre 1968 a
Bruxelles, cui avevano partecipato per il CCE il
presidente Cravatte e il segretario generale Bareth (per I'AICCE, il vicepresidente della provincia dell'Aquila, Mario Arpea): ne era scaturito un giudizio positivo (C.dlE., marzo 1969),
per il fatto che «esiste finalmente - come sostenuto dal commissario Von der Groeber per la riforma delle strutture agricole un piano
della Commissione che attribuisce valore decisivo ai fattori economici. I1 processo però deve
essere attuato in modo che possa svolgersi razionalmente sia dal punto di vista economico
che da quello umano». Di qui la necessità della
collaborazione degli enti regionali e locali partecipi all'elaborazione dei principi di una politica regionale della Comunità.
Perciò l'attenzione si sposta di più sulla determinazione ed utilizzazione del FEOGA, naturalmente collegandolo alla politica regionale
comunitaria: è questo l'oggetto di un incontro
svoltosi a Roma il 22 giugno 1971, di cui Co-
COMUNI D'ELIROPA
64
muni d'Europa riporta gli atti integrali (ottobre 1971) sotto il titolo emblematico «Costruttiva contestazione delle Regioni alle proposte
agricole comunitarie~.Nella riunione vengono
a lungo esaminati gli strumenti messi a disposizione dalla Comunità per contribuire al miglioramento delle struttiire agricole ed alla soluzione dei problemi connessi, ma si critica soprattutto il grande passo indietro fatto dalla
Commissione nei confronti del Piano Mansholt
e I'esiguità delle provvidenze previste e si constata la necessità di uno sforzo unitario di tutte
le regioni, coordinato dall'AICCE, per migliorare le proposte della Commissione.
Sui rapporti fra Comunità europea e regioni,
sul problema agricolo, interviene Comuni
d'Europa (luglio-agosto 1972) con un lungo
corsivo di introduzione (a firma G.Ma.) ad una
intervista rilasciata dal vicepresidente della
Commissione esecutiva di Bruxelles, Carlo Scarascia Mugnoza. Nel corsivo si individuano sia
nel senso discendente (Comunità-regioni), sia
in quello ascendente, cinque linee di sviluppo
di questi rapporti, e cioè: il problema dei colle-
dicembre 1982
gamenti orizzontali fra le varie realtà regionali
all'interno della Comunità (esigenza politica
alla cui concretizzazione il CCE deve dare un
apporto determinante come associazione europea); la necessità di una consultazione e «consulenza~delle regioni (collegate dal CCE) e degli enti sub-regionali da parte della Commissione; un raccordo verticale con il Parlamento
Europeo, eventualmente tramite I'Integruppo;
una procedura, da determinare, che consenta
di esprimere a livello coiaunitario non solo
l'atteggiamento del potere centrale, ma anche
quello delle regioni, opportunamente collegate fra loro, che contribuisc:ino alle deliberazioni definitive del potere esecutivo; il ruolo spettante alle regioni come esecutori delle direttive
in materia di agricoltura.
sioni sul ruolo degli Enti regionali in una politica comunitaria a favore dei lavoratori migranti» (documento pubblicato sul numero di novembre 1973). In esso si ricorda come uno studio preparato dal CCE nel 1967 (su «I poteri locali di fronte alla situazione dei lavoratori e
delle loro famiglie che si spostano all'interno
della Comunità. Problemi, esperienze e prospettive d'azione*) fosse stato riprodotto e diffuso dagli stessi servizi della Commissione esecutiva di Bruxelles, che due mesi dopo, a cura
della propria Direzione generale degli affari
generali, pubblicava anche il rapporto di sintesi, sullo stesso tema, curato da Jean de Wanger, redattore capo di ~Communesd'Europe»,
il periodico francese del CCE.
Successivamente Comuni d'Europa riportava i resoconti e i documenti dei più qualificati
2.5. Emigrazione
convegni ed incontri, come quello di Grenoble
L'attenzione specifica del CCE per i proble- de11'8-9 marzo 1974 (C.d'E., aprile 1974);
mi dell'emigrazione si cosncretizza nel 1973, quello di Noordwijkerhout, in Olanda, sul
quando il CCE prepara uri documento da sot- tema della partecipazione dei lavoratori mitoporre all'attenzione della Commissione ese- granti alla vita locale, svoltosi il 30-31 ottobre
cutiva di Bruxelles, conteriente «Alcune rifles- 1975 (C.d'E., gennaio 1976); quello di Rotterdam, dal 28 al 30 novembre 1979 su *I figli dei
lavoratori migranti, (C.d'E., gennaio 1980).
Da ricordare, anche, il contributo dato alla
Conferenza nazionale sull'emigrazione, svoltasi a Roma a fine febbraio 1975, con un documento pubblicato nel numero di marzo 1975.
Una particolare attenzione, in vista della prima elezione europea del 7-10 giugno 1979, vei testi fondamelitali
niva dedicata all'esercizio del voto degli emigranti nei diversi paesi di residenza; ai vecchi
problemi del diritto alla partecipazione alla vita civica e perciò all'elettorato attivo e passivo a
livello locale, si aggiungeva il problema di come permettere il voto sul posto per le elezioni
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convegno tenutosi a Roma il 21-22
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erte dei srw 11ffn1d> Rana o ih d r a w l l ~ df a t e . C %t& urirrrltu
Cur,-rrain dz # O I ~ I ~ < W ~ ? ~ I U I I O ~ E
Rcpkr n r 8 miu.
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d%urrb
O i d n e r o Blullnl
aprile 1978 (C.d'E., maggio 1978), curato
.rrcnrt>CEE i1 725 7%rha uftnbrusbv d Fmuha
d'accordo con il Ministero degli esteri e con la
iirr Frrmr1:tumto rup&wmCirff pr@teawfr*
dal F E W A . Senau oruntmwoL corrr
partecipazione
di sindaci delle città europee,
Iului>wrz d iom$ìrwo Rormafrtv nrnialtdr
olla$lsrei del Furmi~ @ del r w r & w r m t u
sedi di forte immigrazione, e di esperti, è per
~iellrpo(ot&e reg<unrih d@@liStati imrnbrr
la realizzazione di un sistema di voto da poter
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effettuare presso i consolati. I1 Ministero degli
~wmsdMarnlu m a - e h t o M d h s&bne
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interni, da parte sua, riconosceva lo sforzo fatto
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dalla Sezione italiana del CCE, indicando
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nell'opuscolo ufficiale illustrativo delle modadel seri8 PdOltms 11 llC>Z àul delo~siplru ra ,ufr la
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la collaborazione che il CCE poteva fornire.
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l'attuale segretario generale aggiunto, Enzo
Baldassi, otteneva un alto riconoscimento nel
novembre 1979, quando la I11 Commissione
permanente del Senato italiano ascoltava, per
una indagine conoscitiva sulle comunità italiane all'estero, una delegazione della nostra Associazione, composta dal presidente, Giancarlo
Piombino, e da Aurelio Dozio, membro della
segreteria, che illustravano una nota precedentemente predisposta e pubblicata in Comuni
d'Europa (gennaio 1980). In essa, dopo aver
riassunto i principali momenti dell'interesse
del CCE per il tema, si afferma che il fenomeno dell'emigrazione, con le sue implicazioni
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economiche e sociali, è una conseguenza diretr wmpprrc t ptim&ult uiutghn
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dicembre 1982
mente più forti, e si prospetta che la soluzione
può awenire solo nel contesto di una politica
di sviluppo più equilibrato e di un diverso modello di crescita sociale ed economica a livello
europeo.
I concetti generali già enucleati nel documento predisposto per il Senato italiano (emigrazione come conseguenza diretta degli squilibri territoriali), vengono ripresi dal documento finale approvato dal Convegno soprannazionale tenutosi ad Assisi (C.dlE., giugno 1980),
dedicato al tema della partecipazione dei lavoratori emigrati nei paesi di accoglimento. In esso si «conferma la necessità di ottenere dai governi l'aumento del bilancio comunitario, secondo quanto richiesto dal Parlamento Europeo, nel quadro di una programmazione economica comunitaria che permetta un riequilibrio territoriale* e si «invitano gli amministratori locali a proseguire e migliorare le iniziative
per l'inserimento dei lavoratori migranti nella
vita amministrativa, politica e sociale, ribadendo che la dimensione europea non esclude anzi
rafforza la necessità che le legislazioni dei diversi paesi prevedano il diritto di voto, a livello
amministrativo, per tutti gli stranieri residenti
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COMUNI D'EUROPA
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2.6. Ecologia
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Il problema ecologico, visto nella prospettiva
del ruolo degli enti locali e del quadro soprannazionale di soluzione, trova attento il CCE e
Comuni d'Europa, che nel numero di novembre 1971 pubblica un primo schema di quella
<Carta europea dei Poteri locali per la salvaguardia dell'ambiente naturale ed umano»
che, elaborata agli Stati generali di Nizza del
giugno 1972, sarà poi chiamata la «Carta di
Bruges*, dalla città dove l'Assemblea dei delegati, il 27 e 28 giugno 1972, approva il testo
definitivo: nella relazione di Nizza su «I1 ruolo
e le responsabilità dei Poteri locali e regionali
nell'attuazione di una politica europea per la
protezione dell'ambiente naturale ed umanou,
curata dall'olandese Reijnen (co-relatore Aurelio Dozio, che ha illustrato il progetto della
«Carta) si esaminano sia i principi di base di
una politica dell'ambiente, sia la necessità di
una presa di coscienza del problema, sia, infine, il contributo pratico delle collettività locali
e regionali alla politica dell'ambiente. Sullo
stesso numero del periodico che riporta il testo
della relazione (aprile 1972) compare anche la
prima parte (le successive compariranno sui numeri di maggio e novembre 1972, maggio e
ottobre 1973) di una imponente bibliografia
ragionata sul tema, curata da Andrea Chiti-Batelli, unica nel suo genere, che tocca i problemi
dell'ecosistema non solo dal punto di vista generale della natura, ma anche dei singoli settori: acqua, aria, rumore.
Il testo della Carta resta di grande attualità
e, forse, di insuperato contenuto: «Il fallimento di un sistema di sviluppo - si afferma fondato sullo sperpero della terra e degli uomini è divenuto ormai lampante: così come sono
state orientate, le nostre attività determinano
una aggressione continua ed intensa all'ambiente naturale. La violenta crescita della popolazione e la sua cattiva ripartizione, l'accelerazione brutale e disordinata - nel corso dei
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due ultimi decenni - dell'urbanesimo e
dell'espansione industriale, lo sfruttamento intensivo di risorse di cui sappiamo che non sono
rinnovabili, la gestione irrazionale di quelle
rinnovabili, 1'evolu:zione di certe tecniche di
produzione agricola e industriale, la non osservanza delle legislazioni, la competizione sfrenata in tutti i campi.. hanno comportato una
degradazione quasi irreversibile dell'ambiente ...3.
Sui problemi sollevati dalla Carta, con particolare riguardo al ruolo degli enti locali, si tenne a Roma un Convegno europeo promosso dal
CCE, in collaborazione con la Comunità europea (28-30 novembre 1974).
L'importanza e la concretezza delle relazioni
e la qualità del dibattito venne sottolineata da
tutta la stampa quotidiana e periodica, che
prestò anche molta :ittenzione, successivamen-
te, ad alcuni saggi, pubblicati più recentemente su Comuni d'Europa, come quelli scritti da
Walter Briigner su «Difesa del suolo in Italia:
carenza di organizzazione, di qualità o di costume?~,
nel quale si paragona la scandalosa situazione italiana a quella degli altri paesi europei, e «Per un più ampio impegno degli enti
locali sulla difesa del suolo*, pubblicati nei numeri di giugno 1977 e novembre 1978.
Con angolature più settoriali il numero di
Comuni d'Europa del febbraio 1982 riporta il
resoconto e la risoluzione di Brest sull'inquinamento marino, mentre il numero di settembre
1982 pubblica l'intervista, data in esclusiva dal
ministro del mare francese Le Pensec sulla legge per la protezione delle spiagge francesi, seguita da un corsivo, che suona come monito
all'immobilismo, se non addirittura al disinteresse dei responsabili del.nostro Paese.
3. Rappresentanza e partecipazione nelle istituzioni
europee
3.1. Nella Comunit3i europea
Nella riunione del suo Comitato costituzionale - che aveva lanciato poco prima 1'Appel-
lo di Esslingen per la Costituente europea -,
tenutasi il 16 marzo 1955 a Strasburgo, il CCE
si era pronunciato per un sistema parlamentare
europeo bicamerale, nel quale la prima Camera
66
COMUNI D'EUROPA
(bassa) sarebbe stata espressione del popolo europeo, eletta a suffragio universale diretto; nella seconda Camera (alta), invece, emanazione
degli Stati, avrebbe dovuto, secondo la richiesta del CCE, aver posto anche una rappresentanza dei comuni. Va notato che la richiesta si
rivolgeva ad una ccostituenda comunità politica», di cui si stava dibattendo dopo la caduta
della CED. I fatti, invece, portarono, il 2 giugno 1955 (qualche mese d~opola presa di posizione del CCE), alla convocazione, da parte del
ministro degli esteri italiano, Gaetano Martino, della Conferenza di Messina, da cui presero
I'awio le attuali Comunità europee (CEE e
CEEA). Non va dimenticato, anche, che I'attuazione dell'ordinamento regionale italiano
gli inserti di
Comuni d'Europa
dicembre 1982
anno 1!#80
L'uniti e u m p e i1 problerm dell'rmigrazmne. Il punto di vista tkfl'AICCE sulle co.
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anno 1978
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Il rapporto hcB<>ugall 11 ru<il«dt.lia tinnnra
pubblica per I'integraztune europrd. di (;iarrfranco ~Wurtrtri .
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tuglioagosto
Gli europei adulti Le eleticini europee e i
compiti politici dei poteri lcuiali e regionali,
di L'ntbcrru Serafini .
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settembre
Il documento dell'Uniorie europea dei federalisti. Manifaito per I'rlcrione europea
pag. YVII
dugao
II Parlamento Europeo, poteri e risurse c e
munitane, relazione di (iiancarlo Piombino
pag,
XIII
lug
i a politica rnergetica dnla Comunità eurcb
pea e gli Enti l o d i , di Gianfruncu Murlinr
pag. XVII
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I1 ruolo @ u m pdella programmaxione regionale: una ~potesicor~creta,di Ninn Ferreili . . . .
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OtLOiFre
L'ispirazione personatista nei trattati comunitari e neli'attività deflii Corte di $iustSia
dàle ComunitB, di Gianfranco Marttni
pag. XXVII
anno I n 9
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Lavoro e occupazione nella prospettiva del.
l'Unione vconomica e monetaria: asptli m*
netari e di Finanza pubblica, relazione di
Lherer Brehl .
.
. pag.
XXI
. .
.
febbraho
Per il nuovo Pariamento Europeo. 1 programmi europei dei Partiti .
. pag. XXIX
. . . . . . ., I
Cons "onazfonaIe dell'AXCCB (Roma, 7 opri-
1.
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IELaM
IL Convegno sorrannazionate di C~nova,Le
Regioni p r I'allar amento delh Comunith
europea a Grecia, $ortogallo e Spagna
pag. X L U
aprile
Iln reate progresso verso la Federazione. Impegno del popolo europeo nel pracesso di
integrazione europea
. . pag. LXXIII
.
Per un Fronte democratico europeo. I %indacati e l'Europa. a cura dì Lrrigr Troiuni
pan.
LXXXI
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@ugllro
Dopo il Congresso di Monaco. I Sindacati e
l'Europa. di Litigi Troiani .
pag. CXVII
.
Consigli<>nazionale dell'AJCCE (Roma, 4 luglio 1999) . . .
. . . pag. CXXV
.
ottobre
fbpporlo ai Coaiiiata fcdcrale UEF, di Maria Afht.rrini .
. . . . png. CL111
.
novembre
I cristiani nella costrur,iune dcll'Europd, di
Giulio C;tninli
. , pag. C1.llI
. . .
&ambre
I problemi urbani nella Comunila cbrrapra
(Livarpvw,ril, 6-9 nr~vernhic 1979) part. CIXr
Giornata cun>pcu della scuola 19%
paga CI,XXV
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nel contesto ooqnuniritrio (atti del convqpo AEDB I Lmco)
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era ancora lontano e ancora di più lo era negli
altri paesi (escluso, naturalmente, il caso della
Germania federale) per cui solo più tardi,
quando il regionalismo diviene operante in Italia e assume connotati sempre più marcati negli altri paesi della CEE, si riproporrà il problema di una rappresentanza degli Enti regionali
e locali in una seconda Camera europea.
Un elevato contributo giuridico e culturale
al tema: regioni-stati nazionali-comunità soprannazionale fu dato agli Stati generali di
Cannes, del marzo 1960 (C.d'E., maggio
1960), dalla relazione di Gaspare Ambrosini.
Egli riprese e sviluppò, tra l'altro, la tesi contenuta nel suo volume «Autonomia regionale e
federalismo», dove si prospetta l'opportunità
di prendere in considerazione l'«autonomia regionale» come elemento caratteristico di un tipo di Stato diverso dall'«unitario»e dal cfederale», e precisamente di un tipo intermedio tra
questi due, da denominarsi «Stato regionale»
sulla base dell'esame degli ordinamenti di Austria e Spagna, prima dell'awento delle dittature. Proprio dagli Stati generali di Cannes era
venuta l'esigenza, espressa in una risoluzione
politica (C.d'E., marzo 1960), di associare più
strettamente i Poteri territoriali locali all'attività dell'Assemblea parlamentare europea (il
30 marzo 1962 assumerà la denominazione di
Parlamento Europeo, senza peraltro mutare
compiti e funzioni): a questo scopo, il primo
luglio 1960 a Strasburgo, durante la sessione
dell'APE, sotto la presidenza di Joseph J. Merlot, rappresentante del Consiglio dei Comuni
d'Europa, si riunirono numerosi deputati europei, presente anche il segretario generale del
CCE, Jean Bareth: partecipavano alla riunione,
tra gli altri, Robert Schuman e i presidenti dei
gruppi democratico cristiano, Alain Poher, e
socialista, Willi Birkelbach, nonché il presidente del gruppo di lavoro per le elezioni europee dell'APE Ferdinand Dehousse (il cui progetto non fu mai preso in considerazione dal
Consiglio dei ministri e si è dovuto aspettare fino al 1979 per eleggere il Parlamento a suffragio universale diretto!). La delegazione italiana
era guidata da Pietro Micara, sindaco di Frascati e vice presidente dell'AICCE. Al termine dei
lavori si costituì 1'Intergruppo dell' APE per i
Poteri locali (C.d'E., luglio-agosto 1960), che
portò avanti una buona attività, fino a quando
la successiva creazione, in seno al Parlamento
Europeo, della commissione per la politica regionale e dei trasporti ha modificato il luogo
ma non i contenuti e il significato politico dei
rapporti fra l'Assemblea comunitaria e i Poteri
locali, associati nel CCE, come dimostrano i
due hearings sui problemi del Fondo europeo
di sviluppo regionale del 1973 e quello sulle regioni di confine, del 1974. Ma l'idea di un organismo ad hoc fu ripresa nel 1980 con la creazione di un nuovo Intergruppo (qualitativamente diverso dal precedente Intergruppo,
creato nel 1960 nell'ambito dellJAPE), presieduto dall'italiano Giovanni Travaglini, che tiene sedute periodiche durante le sessioni. La
prima riunione ufficiale si è svolta il 17 aprile
1980 a Strasburgo (C.d'E., maggio 1980).
A questo organismo si affianca il Comitato
consultivo delle regioni e degli altri enti locali,
promosso a seguito della Conferenza di Parigi
del dicembre 1976 (C.d'E., marzo 1977), delle
67
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1982
cui riunioni il nostro periodico dà regolari resoconti.
Ma il forse irripetibile momento che tutto il
processo di costruzione europea sta vivendo (da
quando il Parlamento Europeo ha preso I'iniziativa di riscrivere un nuovo Trattato idoneo a
dare alla Comunità la capacità di rispondere in
modo adeguato alle sfide politiche ed economiche mondiali, garantendole una struttura in
grado di evolvere in senso federale) ha ridato
un motivo contingente e più concreto all'azione del CCE per una rappresentanza degli enti
locali nelle Istituzioni europee: su iniziativa
del Movimento Europeo, sotto la spinta del
CCE (a sua volta trainato dalla Sezione italiana) si è costituita una commissione istituzionale, presieduta dal tedesco Martin Bangemann,
per fornire utili suggerimenti alla Commissione istituzionale del Parlamento Europeo, presieduta dall'italiano Mauro Ferri, e coordinata
da Altiero Spinelli, che ne è anche relatore, da
utilizzare per il progetto di nuovo Trattato comunitario. È ora la Commissione Bangemann
(di cui è membro, per I'AICCE, Giancarlo
Piombino) che ha proposto un meccanismo di
rappresentanza delle regioni nella Camera alta
del futuro Parlamento, in un documento approvato nel dicembre 1982 e le cui linee generali sono indicate nel numero di ottobre '82 di
Comuni d'Europa e in aderenza a quel motto
che dal numero di gennaio 1975 campeggia nel
nostro periodico a fianco alla testata «Comuni
d'Europa,: «dal quartiere alla regione per una
Comunità europea federale*.
3.2. Nel Consiglio d''Europa
Nell'ambito del Consiglio d'Europa il tema
della rappresentanza degli enti locali e regionali si scontrò subito cori il nodo politico centrale,
messo già in evidenza alla seconda sessione della Conferenza europea dei poteri locali, I'organismo creato su iniziativa del CCE: cioè, la sostanziale differenza tra il Consiglio d'Europa,
istituzione puramente consultiva, e la Comunità europea, istituzione in grado di evolvere
in senso federale, con alcuni istituti prefederali
o addirittura federali (si pensi alla Corte di giustizia e al diritto comunitario o ai Regolamenti).
Di qui l'esigenza di creare, nel seno della
Conferenza, un orgariismo specfico per i Paesi
della Comunità. È in questo ambito, infatti,
come affermava il presidente Dehousse alla
Conferenza, convocata dal 29 al 31 ottobre
1958 a Strasburgo, che «si profila, come risultato del processo di integrazione, una struttura
politica comunitaria d.otata di un Esecutivo e di
un Parlamento, in seno al quale gli amministratori locali devono essere pronti ad assicurare
adi fronte alla rappresentanza dei popoli considerati nel loro insieme numerico, quella delle
collettività intermedie, (C.d'E., gennaio
1959).
È lo stesso Dehousse che, autorevolmente,
riprende il tema del *senato dei poteri locali^,
in una ampia relazione al congresso promosso
dalla Sezione belga del CCE (C.d'E., gennaio
1961), facendo propria una delle linee fonda-
mentali che il CCE persegue sin dalle origini.
I testi fondamentali, approvati durante le
varie sessioni della Conferenza dei Poteri locali, sono stati pubblicati periodicamente in Comuni d'Europa non solo a titolo informativo,
ma anche per il loro valore culturale e scientifico che molto spesso li contraddistingue, anche
se, come detto, essi mancano poi del quadro
politico di applicazione (vedi, per esempio,
C.d'E., gennaio 1982).
0
0
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3
A conclusione di quest'ampio, ma certamente lacunoso quadro sulle battaglie che Comuni d'Europa ha cercato di portare non solo
nelle amministrazioni locali e regionali, ma anche nella società europea, non ci resta che I'impegno a continuare nella nostra azione: lo faremo ripercorrendo le strade già collaudate e dimostratesi valide. Lo faremo dedicando le nostre pagine, con continuità: alle istituzioni europee, agli aspetti comparativi delle autonomie
locali, al pensiero e azione dei federalisti, ai libri, nonché agli «inserti».Riprenderemo rubriche fortunate come il «Chiaroscuro»degli anni
'60, un tipo di segnalazione di brevi passaggi
di discorsi, relazioni, pareri, a favore e contro
l'unità europea, o il «dizionarietto*, brevi
schede che chiarivano l'importanza di fatti,
iniziative o istituti qualificanti del processo di
inegrazione europea.
Soprattutto contiamo sulla collaborazione
attiva di vecchi e nuovi amici al fine di compiere un salto di qualità determinante per la realizzazione della Federazione europea.
COMUNI D'EUROPA
Organo dell'A.1.C.C.E.
ANNO XXX - N. 12
DICEMBRE 1982
Direttore resp. : UMBERTO SERAFINI
Condirettore : GIANFRANCO MARTINI
Redattore capo: EDMONDO PAOLINI
Piazza di Trevi. 86 - 00187 Roma
Jean Bareth.
non li dimenticheremo
A conclusione di questo numero per il trentennale di «Comuni d'Europa» vogliamo
qui ricordare quanti hanno direttamente contribuito a rendere la nostra Associazione e, di
riflesso, «Comuni d'Europa», la più importante tra le organizzazioni che lottano per la
creazione delia Federazione europea. Ci riferiamo a coloro che ci hanno lasciati, e pur sapendo di dimenticare qualcuno non possiamo non ricordare, per quel che riguarda il CCE:
Jean Bareth, segretario generale, Artur Ladebeck, Robert Mossé, Raymond Berrurier, Emilius Hamilius, Dieter Roser, Jean Joseph Merlot, Ernile Ronse, H. Schaub, Raymond Mondon, James Greenwood, Arthur Skeffington, Claude Delorme; e per quel che riguarda la
Sezione italiana (AICCE) e la collaborazione diretta a «Comuni d'Europa»: Renato
Briigner, Alessandro Schiavi, Amedeo Peyron, Vincenzo Ciangaretti, Angelo Seracchioli,
Pietro Micara, Domenico Smargiassi, Nicola Buracchio, Giuseppe Grosso, Giacomo Centazzo, Natale Santero, LambertoJori, Celeste Bastianetto, Silvio Ardy, Glauco Della Porta,
Elena Sonnino, Vincenzo Beiiisario.
A noi l'impegno di continuare la loro opera.
Abbonamento annuo per la Comunità
europea, ivi inclusa l'Italia, L. 10.000 Abbonamento annuo estero L. 12.000 Abbonamento annuo per Enti L. 50.000 Una c o ~ i aL. 1.000 - (arretrata L. 2.000) ~ b b o n a m e n t osostenitòre L. 300.000 - ~ b bonamenro benemerito L. 500.000.
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma
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Istituto Bancario San Paolo di Torino,
Sede di Roma - Via della Stampe&, 64 Roma (tesonere delllAICCE), oppure a
mezzo assegno circolare - non trasferibi/e - intestato a sAICCE», speczficando
sempre la causale del versamento.
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LITOTIPOGRAFIA RUGANTiNO ROMA - 1982
Associato aIl'USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
68
COMUNI D'EUROPA
pag. 23 Una vera moneta per uscire daiia crisi
pag. 2 I temi di lotta del popolo europeo
EDMONDO
PAOLINI,
redattore capo d i comuni d'Europa#
j
i
dicembre 1982
3 Per una copertina plasticifata si può deliberare
UMBERTO
SERAFINI,
presidene delllAICCE e direttore di nCom u n i d'Europa#
4 Le battaglie del Consiglio dei Comuni d'Europa
THOMAS
PHILIPPOVICH,
segretario generale del CCE
5 I1 CCE in prima linea
ALTIERO
SPINELLI,
parlamentare europeo e relatore-coordinatore della commissione istituzionale del Parlamento Europeo
6 Riflessione sui passato e indicazioni per il futuro
GIANFRANCO
MARTINI,
segretano generale dell'AICCE e condirettore d i n Comuni d'Europa#
8 Attualità drammatica del riarmo atomico
ALBERTO
CABELLA,
socio fondatore delllAICCE e già segretano
del comitato di iniziativa del Congresso del Popolo Europeo
9 Ricordi personali e una testimonianza politica
FRANCO
F E R R A R professore
O~I,
aL'Università A Roma
9 Lettera aiia nostra redazione
LUIGITARRICONE,
presidente del Consiglio della Regione Puglia
10 Equilibrio del terrore e Governo europeo
GIUSEPPE
BUFARDECI,
vicepresidente vicario dell'AICCE
11 Decentramento-integrazione: parallelismo o contraddi-
GIOVANNI
MAGNIFICO,
capo del Servizio Cooperazione economica internazionale della Banca d'Italia
25 Non solo idee ma fatti
MARIA
LUISA
C E R R ECASSANMAGNAGO,
~I
vicepresrdente del Parlamento Europeo
26 L'ordinamento comunale in frantumi
AUGUSTO
TODISCO,
socio emento delllAICCE e gxì segretano
generale della Lega dei Comuni del Canavese
27 I1 decentramento in Francia
ANITAGARIBALDI
JALLET,
professore aiilUniversità di Bordeaux
28 I1 contributo di «Comuni d'Europa» per l'affermazione del
paradigma europeo
GABRIELE
PANIZZI,
assessore agli Enti locali della Regione Lazio
29 I1 movimento socialista in Europa
GAETANO
A&, parlamentare europeo
3 1 Raccogliere non seminare
GERARDO
MoMBELLI,vicedirettore deiilUfficio per l'Italia delle
Comunità europee
33 Obiettivi europei e piani nazionali
RAIMONDO
CAGIANO
DE AZEVEDO,
professore aiilUniversità d i
Roma e segretario generale del Centro Italiano d i Formazione
Europea (CIFE)
36 Istituzioni e cultura politica per l'Europa «seconda genera-
l
1
1
I
1
1
l
lI
zione))
zione
MASSIMO
BONANNI,
professore aiilUniversità della Calabna
GIUSEPPE
PETRILLI,
presidente del Movimento Europeo
12 I1 nostro messaggio
GIANCARLO
ZOLI,vicepresidente delllAICCE
13 Urbanistica in crisi
GIUSEPPE
CAMPOS
VENUTI,
professore al Politecnico d i Milano
15 I principi d'azione del manifesto di Ventotene
MARIO
ALBERTINI,
presidente delllUnione Europea dei Federalisti (UEF)
17 Contro due pericolose illusioni
CESARE
MERLINI,
presidente dell%tituto Affari Internazionali
(1-4
18 Un'opinione pubblica consapevole deiia battaglia fede-
ralista
GIANCARLO
PIOMBINO,
membro dell'Esecutivo delllAICCE e
già presidente
19 I1 federalismo europeo strumento politico deiia società po-
st-industriale
ORIOGIARINI
, già segretano generale del Movimento Federalista Europeo (MFE), membro del (Club di Romair
20 I1 Parlamento Europeo parla a nome dei popoli deila Co-
munità
PIERVIRGILIO
DASTOLI,
direttore A ~Crocoddes
2 1 «Refaire la Renaissance))
ARMANDO
RIGOBELLO,
professore aiilUniversità d i Roma
40 I1 turismo: problema culturale
Aumrro Dozro, segretano amministratrvo delllAICCE
41 Regioni e Comunità europea
ONORATO
SEPE,professore aii'università di Roma e direttore
delllUfficio Regioni del CNR
43 La funzione storica deii'AEDE
LINOVENTURELLI,
professore aLIUniversitàd i Pescara e segretario generale dell'Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE)
44 Riunificazione tedesca e unificazione europea
SERGIO
PISTONE,
professore alllUniversità di Toni20
46 Appuntamento con la storia
LUCIANO
BOLIS,membro dell'Esecutivo delllAICCE,presidente della Federazione italiana delle Case d'Europa e vicepresidente del MFE
48 Due saggi sul Parlamento Europeo
GERARDO
ZAMPAGLIONE,
ambasciatore d'Italia
INSERTO:Trent'anni di vita dell'AICCE: saggio storico-bibliografico
ANDREA
CHITI-BATELLI,
già consigliere parlamentare del Senato
e segretano delle delegazioni italiane alle tre Assemblee europee
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