- Direz. e Redaz.: Piazza di T revi, 86 00187 Roma ANNO XXX N. 12 Dicembre 1982 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111170 - ORGANO MENSILE - D E L L ' AICCE. ASSOCIAZIONE dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale UNITARIA l DI COMUNI, PROVINCE, REGIONI l Seelisberg (Svizzera): alle origini del CCE. hanno collaborato: ALBERTINI,ARFÈ, BOLIS, BONANNI, BUFARDECI, CABEI~LA,CAGIANO DE AZEVEDO, CAMPOS VENUTI, CASSANMAGNAGO, CHITI-BATELLI, DASTOLI, DOZIO , FERRAROTTI, GARIBALDI JALLET, GIARINI, MAGNIFICO, MARTINI, MERLINI, MOMBELLI, PANIZZI, PAOLINI, PETRILLI, PHILIPPOVICH, PIOMBINO, PISTONE, RIGOBELLO, SEPE, SERAFINI, SPINELLI, TARRICONE, TODISCO, VENTURELLI, ZAMPAGLIONE, ZOLI. I testi richiesti ai nostri collaboratori vecchi e nuovi, pubblicati in questo numero, sono pervenuti alla redazione nell'arco di alcuni mesi; ringraziamo tutti, compresi quanti non hanno potuto, per vari motivi, farci pervenire il loro contributo, particolarmente coloro che sono stati più solleciti, con i quali ci scusiamo per il ritardo della pubblicazione. Ci piace ricordare che tutte le foto che illustrano i testi sono la riproduzione di alcuine pagine delle trenta annate di .Comuni d'Europa. 2 dicembre 1982 COMUNI OI'EUROPA - P - p - trent'anni di coerente impegno di «Comuni d'Europa» I temi di lotta del popolo europeo di Edmondo Paolini avuto nella storia dell'integrazione europea: è certo che il Consiglio dei Comuni d'Europa (costituito a Ginevra il 28 gennaio 1951, quando l'Europa stava vivendo la grande stagione del federalismo, nato dalla Resistenza europea, rilanciato dalla dichiarazione di Schuman del 9 maggio 1950) è fra quelle che vi hanno contribuito di più. Sulla base dello statuto e dei primi documenti approvati, si chiariva la sua linea politica, tendente a superare l'astratta contrapposizione fra la corrente dei federalisti integrali (o proudhoniani) e quella dei federalisti hamiltoniani (o s~inelliani),dalle quali provenivano i fondatori del CCE. Non si può comprendere la lunga battaglia del CCE e quindi di Comuni L 'AICCE decide «Comuni d'Europa» tatore. Naturalmente, (:i sono stati, e ci saranno, degli alti e bassi in questa azione, ma è difficile evitarli, se il periodico deve essere al tempo stesso l'organo di una Associazione federalista di enti locali, che, a sua volta, è una Sezione di un organismo soprannazionale, e, contemporaneamente, si vuole collocare nel grande filone del federalismo globale. Quando si fa la storia del federalismo, si corre spesso il pericolo di indugiare sulle diagnosi, sempre o quasi ineccepibili, trascurando il peso che questa o quella Organizzazione hanno <Sabato 26 e domenica 27 gennaio, presso la sede dell'lstituto italiano per i Centri comunitari in Roma, si sono riuniti a convegno sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali per costituire la Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa.. . Sotto la presidenza dell'assessore Jori di Milano, sono state svolte tre relazioni dei componenti il Comitato promotore espressamente indicato dal Comitato centrale nella riunione di Ginevra (7, 8 e 9 dicembre 195l ) , prof. Rossi, ing. B ~ g n e r prof. , Serafini.. . Il convegno ha approvato all'unanimità le tre relazioni ed ha iniziato l'esame del progetto di statuto.. . Approvato lo statuto, si è proceduto alla nomina del Comitato direttivo prowisorio.. . Nella prima riunione del Consiglio direttivo si è decisa la pubblicazione di un periodico con la testata "Comuni d'Europaw». Questa la cronaca, sintetizzata, delle due giornate di lavoro del convegno costitutivo dell'AICCE, nel gennaio 1952, che decise la nascita del periodico dell' Associazione. 1. La mobilitazione politica 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. La battaglia istituzionale I contenuti della battaglia Gli Stati generali Gemellaggi Europa, Scuola, Enti locali . t e t t i tiiurv 4tiisn., i" iili .-iit»a, .%<t -.riur I < ~innx,, ,i d* &A<. ,<.,I,i ..,t,,>>? , , 2.1. Informazione e documentazione 2.2. Pianificazione del territorio e politica regionale europee 1. 1 contenuti della politica del tem2o- , , riti- % + a*i l 1 . tr i - 28 t 'b , , .n -&,t** ',I ‘ ,s.r <L l*$ t."#> .rc ! * , re<ii r . ) ,: .i gr, %...?,i .t i 4.. .nx n u la 1.1, .sb, ,.'O" ,. C i ~~rr,t8a I .r<a,r . i,', ,,* t,,, I. . ,, ,, , iiaien~r*t ,S.,. , "'''nr sUn*riisL '"'lr '"* =M""* - Par., -.- - v . - - m sede La .,$aaki 2 . Clmrnt dTlursps r &il A4w.erieiie e 1 %..ma Piltmao 6 tcl 4 8 7 512 &rvi#ne irdirartsie I c trv3.2ri odisioh raitat* ,<i .,+ -,***i gci >-., , , \ ' , ,, , !i*w il <.a ' I..,% x .islau, "8. l,,. . ii l ,T .x"t,lllii i i1 .. t ~lz4an $8 .. , il . .i l si,. i $ 1 ~ w s ~=tn*z ~ /t t . l t $. .. . i T,> I, >.i t Vsa - -- .--p- p i1 IrII. L i. ! 31-x ‘6 *., i .l 1 1 4 - -,in* l ,n<O+ - ,,,,,. l,,. l i idri .i<>& ,%.," .%g. + !L,* ' ,,T, l Y d * * * di < ro +i t>+ t,, rt t irrta i 5 .ti, t ,.i. l *<z-,i >i< > ,< i , , 11 $8 ..i .leIl. l I . i'.< ! t , erpi I sa -3 l I ,S,E , i.. . 8 . . . . '~ -3, t <* t 2 2 ,i li I, .~T*I l, "4 t!, I * r < ttrl t t . a s r i ' 8 * t 8 * 1 ~ * i r b 1I.w ~ < L , ~ L I I S .W#* * ~ . * I I <il r t b r l l i i S I I . ~ m t *< a i v .,~trdnlarMt<al,uxt4iar~<t<l a m i P w i r i riwi li* ru*.r utw.oali i\ ii~i>a><i«ri I irn g r & v c t a ~ t e ~ i ~ f . . . k $ t e l e ii u fr.& br ,L, l?.< .iI <nii,$urr b 4 i < <i* r<,.*r c i t) &,I.. sa, a.,. , .in,, rrltiaar -i * < d , c l e ~ . s r i r i <li i ~ i m m + m . r i i .iratn iir<rr@ebu<igr..sr.--<* lS%i la )cri<~n pri' -rJ.nei i <rn~inttt<<i Ir rius 1' 11 .rr-i i t r r ~ l t r i ~$ 1 i~ <tu, e<rt$irci nwinti.+lt !i ,i. i r ~ ini, i ,,.di I rr < r ~ i t ~s. t u- I i r i i r u e ,i .+81sllp d s t r 4 s ,,~rc. ,lt Il f 8.r + .,. .trlb rur r, i>r..<~i* <,r*,,,, P I I uari><a,li,<,. > ‘~.u.<,rin.rr,. , $ .lI~i4\l (hzpn l Er*.v~ni t<. t , i*>i.* .".t x sk la-+$ . S . i 4 e 4,' , 4rlt ~ l z tW ~ s'It . t x r ~ + i . r *ir ( anooirn> . +d 1 . < ~ l < . . . l * ~ t ~ I l l #il* ~ .i,is.i-rstti,~ 5 e +, t 'p'm z.: 2-84 i-*+ r. 8" r'~..?.. I. ini. $4 P v t q >~znn. i '2i.l* 1 st,r.tat~h3 il<<+ e I i*ai*< trdff*l**ir 5 SI*< r ll,,sB,II ,,,,.TB.~ t- ,* gn I , -o>> ,,I. $8 I* I ,,rti,i,L,a,,. 'I"' 1" li, elelll e l Lxlr * a n l i n u l ~I[ 27 arnr>ria. al* li I'rnhrbna* frv*rc*nl*rkc* i * I%* sn*iis'**tr.* Galor,no i irl* me, 1, a \.,r<rra gka , i l , ba '>*"*I '*lf Da allora, per trent'anni, le molte battaglie federaliste dell'AICCE e di Comuni d'Europa sono un insieme, quasi inscindibile: spesso, laddove l'Associazione è in una pausa di riflessione, è Comuni d'Europa che propone, suggerisce, dibatte i contenuti di nuove battaglie; altre volte ne è l'attento interprete e commen- , , ,,,,, ,,,,, , l I t > \-.S., ,l C a s , g l i o 0>.crhrs prcr..rate ,ona Aeg,lirr isadoto 4, Ku+vl<or& #andar& i $el.tna, Cisreitc arrhr A r,attulr<ti il E ,.?i l t .1-1)(11111 .iist v*,r*I (t8, , ~ l < ~ , , ,i" < .I~ . ,rd,t.r.Dal Jb*e+r""rle , Is a &&lat. sa. tr$*r,.>r, ,il li, ~ns*ae,i,* dr awur,, I tn . $i .> , * rwbxttg 1. itsi8erra-i-ir ..." f<c'iir- lii,-r . ri ~ 0 . t 1111 11 4.4 .trr.>., ,f<ll I .*-..,C. I,,$ ,t,, ,,, I.,~,>~< t., t<nr, i,xr -g,v* ** I"rrii. , ,, , , ,, , , \t.nt *t,< ar~.fa.> Wi*,.lla l , :*i r drr $sIta .I. ic- + n1 ‘,,,%?@*E.> ,, l , .l< I'ipb C<. ,"dt,s ,a <LI<II(T ..+ ,, , ,t.3a ,i>i.lt,r>, I l ,.r " t*.<,, *a l , x$iiiii rf,i I Lr<c< D'Aaweto or.<aoir o l ! ~ I(< ~ W I - S ~ L ~ O I I 1.n ~ ~ asms~i?re <"n nola n M, leme L<gwri i(>&%c%$iir<r o m ~ m ! e V.nbxm Prv#ln s~ndocadi Ta#gnol, R ~ r r a l i s i s i i r o i <a E ! t l l l ir,rri W.esi,3ii ri* M - # , t r un 18r,itdi.i burttc.il< mvrqlr a l + r @ n i r Ir Rb<w L ~ I ~ I I U : > L I I O ~ C U ~ C \pp+..&n !o ,*diutit -i r ~ . t 1 t . . e i i i ! . , .Il, ,in Ir e tircri , k h i i n 6das@iglirrrcumunoii u Li', q s s d ,14 6 ri>ivdt.. #ilr SI.,.,f+r..r,s.,.r,.. ,,,,,i. %ltt$arni %indaco d< Mor+irro biin *C T 4 r i t . . t t t r 1i.8 *vi. u .l8 Iihn,14r. t i r. ..rit. ,I I ~ ~ e . c t i$*p 8iugncr arch r t o l pusr - 8 PZJ$ < ,,v.v I., - T S , ~ E ~ ' . , I I I I scro*ni 11 Mo.<miste frdc-ohrio EU.=D<O =o .m 'i.~< W..LFI~I. <I. I i ,rrliliii * t P ur.rl.A I I dibei>*la prri*. I* Co*r*~liaDy..-w-* Jr i Mu .-tl.r. 61.rs1 fl-<llt,lrl l (tll. -,.*I, *a*l. Pli*+dQnfe *topo n b m l n o t ~ do*? *I.% -l.a V~C,,I,..<'i ll.tll -11111~41, l.ll~,lll, e., -016>1 : ~ h l * l * 4 ~ r ~ t . 1 ~O. < - ~ ~ U $ C11 @.e* LI $ i ( . * T I " :la' \ I * X'iI' .C'. Atri ,.l< tti61i. i,.illt. '*$'*J <"t,., I Jr,,,<> .ltl I I .,",Le $1, I! N-lia @wmo *-u*ie*e dr( Co*-qsin O=<-'riiu + i knssdi b p.bblrrnr~rino di un p r < i d > i t con t >#,, r r q v - .iiianir r p..rr %i I -'iE..i "-6 tle . ,,,, , Ts-aio « i, I 2. La documentazione sulle esperienze , < *"‘<r%rl*i rt a a t 6 ~>r,- i i!>?3* .?P < "r Ti0 ,, .i \frizib I 8 * h < '-ritt r .riiiltia irr rlk *+,-., , aa#r,tx t. ,l, , ,,saa,a,a < a a,ri.,i d* i ,,,,,,, lii,s~<crie fr i ti il ~ u uwlnls. ' + lC l ir'vr, isi~-tsx ).U~<~$*Z ,,, % n o,i.roo.L, , sra19s rn<,li3 $B 2. 11servizio europeo 1 isiirn C i<iia>r*.lt i ,>‘1,1211'11 degli altri paesi e iproblemi s e t t o d i 2.3. Dalla Comunità europea di credito comunale al federalismo fiscale I. La Comunità europea dz credito 60munale 2. ((1(Fondi#comunitari 3. Il federalismo ficale 2.4. Politica agricola comune 2.5. Emigrazione 2.6. Ecologia 3. Rappresentanza e partecipazione nelle Istituzioni europee 3.1. Nella Comunità europea 3.2. Nel Consiglio d'Europa tsr > .<.ni<rniaili r so<a%i.n, .+R.I., i $tnrltls r . r i ,iiili ! * a .. h li=n, . i t., ,(.l RI..RII*. ai ‘ .- . dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA d'Europa se non si tiene presente che alla contrapposizione si sostituì ben presto, soprattutto per merito del segretario generale soprannazionale, Jean Bareth, e del segretario generale dell'AICCE, Umben-o Serafini, la concezione della necessaria interdipendenza fra le due posizioni, cioè fra i1 problema del apotere europeo,, le istituzioni, privilegiato dagli hamiltoniani, e quello di auna nuova società europea,, derivato dall'insegnamento di Proudhon e fatto proprio dai federalisti integrali, particolarmente francesi, e quello, ancora, delle forze sociali, culturali e politiche necessarie per passare da un federalismo illuministico a una autentica lotta politica federalista, come chiarì, già nel gennaio 1953, Serafini ad una riunione degli organi soprannazionali del CCE a Palermo, in una basilare relazione dal titolo Constitution européenne et libertei locales (pubblicata in un opuscolo). Fu proprio il leader indiscusso del federalismo, Altiero Spinelli che, venuto a conoscenza del Congresso costitutivo del CCE a Ginevra (come lui stesso ricorda nella dichiarazione pubblicata a pag. 5 di questo numero), proponeva a <Serafini - socio del MFE e consigliere delegato dell'Istituto italiano per i Centri comunitari - di interessarsi della formazione della delegazione italiana, (C.d'E., aprile 1952). Questa duplice matrice - federalista spinelliana e autonomista olivettiana - costituisce la base su cui si muove, dall'origine ad oggi, il CCE e quindi Comuni d'Europa: I'essenza, cioè, del patto di unità di azione fra il movimento federalista e il movimento delle autonomie europei. Se, infatti, alla riunione costitutiva del CCE accanto a rappresentanti delle autonomie, del sindacalismo, dell'urbanistica, partecipavano esponenti del federalismo europeo, specie francese, alla riunione costitutiva dell'AICCE portarono il saluto altri esponenti federalisti, come Ferruccio Parri e Ludovico Benvenuti, membri del Comitato centrale, mentre intervenivano nel dibattito il segretario generale aggiunto del MFE, Alberto Cabella, e Andrea Chiti-Batelli. I1 legame fra aautonomie e federalismo~veniva sancito dalla presenza di un delegato del MFE nel Direttivo dell' AICCE. Ulteriore conferma di questo rapporto organico veniva dal V Congresso nazionale del MFE, svoltosi a Torino il 6-8 dicembre 1952, dove fu approvata una risoluzione ad hoc nella quale si affermava che ai1 Congresso.. . constatata la concreta politica federalista che I'AICCE - diretta da federalisti - ha svolto dalla sua nascita ad oggi, sul terreno nazionale ed europeo, combattendo in entrambi i campi per l'immediata costituzione di una Autorità politica europea e per la convocazione di una Assemblea costituente, impegna il nuovo Comitato centrale e tutti i federalisti, particolarmente quelli che risiedono nelle amministrazioni locali, a dare la loro opera senza riserve per l'adesione dei Consigli comunali, provinciali, regionali - che ancora non l'avessero fatto - all'Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni d'Europa» (C.d'E., anno I, n. 2-3). Non è questa la sede per ricordare le molte battaglie condotte in unità d'azione tra Movimento federalista e CCE, a partire dalla batta(continuazione a pag. I>O) 1 Per una copertina plastifcata / si può delirare Caro lettore abituale e caro lettore occasionale, ti mandiamo u n saluto nipettoso e cordiale, anche se non, sappiamo chi sei: ma non è escluso apriok che t u sia u n amico che ci legge da trent'anni. Comunque senza saper n d a di te eccoci q u i a schizzare una nflesione su questa nostra fu riga fatica. Il nostro mensile ha una veste, che conserva dagliinizi e che risulta lapii? economica (con altri formati, a parjtà d i numero d i parole, dovremmo impiegare molta piii carta) e anche molto «datata». Qzesto far nialtare la propnà data d'ongine per alcuni - lo sappiamo pare sia u n grosso &etto (quasi che, non rinnovando il vestito, rimangano tisenza evoluzione, osszficate, le, idee), per altn' u n singolare pregio (vecchia e coerente battaglia; una grossa esperienza). E p o i non abbiamo la copertinaplastzficata: sì, molti ci rimproverano d i non aver la copertina, che (pare) serve a far da argine alle idee che irrompono dagliarticoli. Io, in tutta semplicità, farei aftre cnjiche (ossia autocritiche). Unperiodico, anche gestito con fiancescanapo;vertà, ha bisogno d i una sia purpiccola redazione, che non badi adaltro: che viva i 'giorno e la notte per le iniziative del giornale, le curi, le sviluppi, attui ipiani fatti d i tanto in tanto anche in base ai suggenmenh degli amici o dei «comitati ad hoc». Non è stato e non è purtroppo il caso nostro: due o tre gatti, presi da continuiproblemi, talche-il collettivo di«Comunid'Europa» lavora a singhiozzo e - tra l'altro - non ha spesso tempo e modo disollecitare nuove voci, colfaboratori diversi, con la pazienza e la costanza che ciò impone. Tuttavia abbiamo anche qualche motivo, se non di orgoglio, d i soddisfazione. Diciamo: almeno tre motivi. Ilprimo è che, come l'Associazione d i cui «Comuni d'Europa» è organo, ilperiodico ha nyettuto per anni la verità vera che sottostà alprocesso d i integrazione europea, ne ha seguito tutti i momenti d f i c i l i e gli aspetti delicati, ha precorso frequentemente i tempi, ha gestito campagne (che hanno fatto epoca (come quando ha dato larga pubblicità ai morti, da cui il parla meni:^ italiano continuava afarsi rappresentare nella Assemblea parlamentare europea). Il secondo è che a l a nostra povertà di mezzifinanziari e d i organico non corrasponde cert o una povertà di strumenti di informazione e di elaborazione culturale. Tutti i mig/ion' cervelli che si sono dedicati aiproblemi europei, tuttigli istituti che studiano in Italia (e anche f u 0 4 iproblemi delfederalismo, delle autonomie, dell'urbanistica comparata, ecc., sono stati e sono a stretto contatto con noi. Possiamo aggiungere che, con la discrezione che per loro è doverostr, ci hanno offerto la loro collaborazione e iloro consigli, n$etutamente, alcuni d i coloro che - anche a d altissimo livello - agiscono, tra mille condizionamenti, nelle istituzioni nazionali e d europee. A nostra volta nessun periodico italiano ha per tanti anni informato, così Largamente e individuando analiticamente tutti i p u n t i che potevano interessare gli am fivinistraton'locali e regionali, sui lavori delle assemblee europee. Il terzo è che, pur nella nostra discontinuità (certi numeri d i «Comuni d'Europa»possono sembrare piuttosto dei bollettini: del resto noi abbiamo l'obbligo di riportare le attività dell 'AICCE), si rkcontrano tuttavia non pochi numeri - specialmente alcuni monografii - che hanno fatto sto&: citerò per tutti quello monografio sull'urbanistica nella Repubblica federale tedesca. Ma come non ricordare, ai tempi del dibattito sulla force de frappe francese, la nostra pubblicazione in eschivaper l'Italia di un noto saggio, precedente e divergente, delgenerale Gaffois (poi teorico del detenente proporzionato) ? Detto questo, eccoci a intraprendere il secondo trentennio d i vita, senza ipatemi d'anim o finanziari' degli inizi (ora essi coincidono, in largaparte, coipatemi d'animo del tesonere delllAICCE). Siamo aperti a tutti i consigli, accettiamo tutte le critiche: ma non possiam o tacere che certe cnjiche, e astiose - e magabprendendo a falso scopo aspetti formali o redazionali -, ci vengono già rivolte, in realtà, perche'dà fastidio la nostra spregiudicatezza, il nostro usettarismor - come si dice - o fa nostra uastrattezzau - come sentenziano gli uomini della «concretezza» (gli allevaton' dello statu quo nazional-europeista) -. Noi non siamo u n «circolo chiuso,, come sostiene qualche persona importante, a cui abbiamo dato poco spazio: siamo u n giornale d'avanguardia (come d'avanguardh vorrebbe essere I'AICCE, da cui dipena7iamo)e restiamo pizì aperti - è u n nostro dovere - all 'intelligenza degli uomini comuni che alla presunzione degli uomini delpotere. La cosidetta classe dirigente, cioè: quella che condiziona la stampa e tutti i mass media, rappresentando gli interessi costituiti, che sono i nemici della sovrannazionafità democratica. I nemici dell'Europa, insomma, e delfederalismo. Chiaro? Voglio chiudew, a titoio strettamente confidenziale, che sono quarantasette anni che m i batto per il federalismo democratico e conosco bene di che stoffa sono i «concretisti~ che accusano noi, con benevola arroganza, d i uastrattezza, (e anche d i «giornalismo ingenuo», ecc. ecc.) --, noi e tutti coloro che si battono perche-si faccia u n po' d i stona per bene, si cambi u n po' il mondo secondo ragione -: li conosco bene, perche-fia i miei coetanei sono coloro che, quando tingenuamenter m i battevo, da studente, contro «le guerre» (d'Etiopia e d i Spagna, prima; mondiale, dopo), chiedendo non l'Asse Roma-Berlino m a gli Stati Uniti d'd:Europa, chiedevano a loro volta - restando sul terreno del «possibile» e quindi del uconcr,etou - l'unità europea sotto Hitler e Mussolini. Umberto Serafini 4 COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 una sintesi di alcune delLe battaglie del Consiglio dei Comuni d'Europa ,,Tali ,,,paroleattualioffrono ,impongono di continuare di Thomas Phi]ippovich Phiiippovich ed Eiisabeth Gateau, segretario generale aggiunto del CCE. Eccoci a diciotto mesi dal rinnovamento a suffragio universale diretto del Parlamento Europeo. Per quanto l'ora non sia ancora venuta, si comincia a fare un bilancio della prima legislatura comunitaria. I detrattori sono numerosi, molto numerosi, lo sappiamo. Essi si compiacciono, fra l'altro, di confrontare I'uesperienza» in questione con quelle della Costituente tedesca del 1848 della Paulskirche di Francoforte. A parte il fatto che i responsabili del fallimento di allora, fra i quali si trovavano molti democratici, liberali sinceri, avrebbero tutte le ragioni di rivoltarsi nella tomba e di mordersi le mani osservando le conseguenze che questo fallimento ha portato: Bismarck, il secondo Reich, il terzo Reich, noi rifiutiamo rigorosamente questo confronto. Nonostante errori importanti, inevitabili in un tal genere di impresa, come hanno dimostrato, all'inizio, molte esperienze parlamentari ben note alla storia, ci sembra evidente che il bilancio complessivo dei primi anni del Parlamento Europeo sia positivo. Citeremo come prova, fra molti altri che si potrebbero addurre, due fatti a nostro awiso fondamentali: - il carattere transnazionale delle famiglie politiche si è affermato in seno al Parlamento Europeo fin dal primo giorno ed esso si è organizzato in conseguenza. Tale transnazionalità ha da allora in poi, qualunque cosa si possa dire, un peso sempre più importante sulle formazioni politiche nazionali. Queste ultime non vorranno ammetterlo apertamente, ma devono ormai tenerne sempre conto nella loro strategia generale. - L'esistenza di una maggioranza molto notevole in seno al Parlamento Europeo in favore del riconoscimento della necessità di un salto di qualità, o meglio di un progresso decisivo a breve e a medio termine nel processo d'integrazione. Questa maggioranza si è espressa al momento del voto della Risoluzione Spinelli, il 6 luglio scorso. Conosciamo certo le ambiguità di questo voto: alcuni socialisti francesi cosiddetti proeuropei si sono astenuti e dei conservatori britannici, quanto meno neofiti da questo punto di vista, hanno votato a favore.. . Tuttavia tale fatto costituisce ugualmente un passo irreversibile e soprattutto una piattaforma solida che impone anche a noi, Consiglio dei Comuni d'Europa, di dire alto e forte: aqui sono e qui resto,. aMa voi avete un carattere speciale*, non rappresentativo dell'opinione, si potrà o- biettare dall'altra parte. L'esame attento dell'evoluzione mostra tutitavia che noi non abbiamo un carattere così particolare come si vorrebbe far credere. Prendiamo ad esempio una delle grandi discussioni d'attualità: quella sulla difesa della pace e un arresto nella corsa agli armamenti. Tutti si diranno d'accord,~per il consolidamento della pace e per una ricerca attiva dei mezzi che consentano d'invertire la tendenza a un sovrarmamento. La grande maggioranza si dirà anche cosciente del fatto che non si potrà raggiungere tale obiettivo in un modo qualsiasi. Sembra al tempo stesso che una parte sempre più grande dell'opinione pubblica riconosca, o riconosca di nuovo, la funzione primordiale che un'Europa politicmiente unita sarebbe capace di svolgere per la so~luzionedi questo problema. Nel momento in cui si pubblica il numero del trentennale di @Comunid'Europa, possiamo dunque constatare una trasformazione forse lenta, ma tuttavia sensibile del clima politico. Non ritroveremo uri'atmosfera identica a quella dell'inizio degli anni cinquanta, quando Robert Schuman e Jean Monnet fecero la loro proposta storica di isi:ituzione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, in seno alla quale poté esser elaborato il primo progetto di Comunità Politica Europea ecc. Ciò non è concepibile né, d'altra parte, è in alcun modo necessario. Al contrario, è indispensabile che nel mondo di oggi il rilancio dell'Europa awenga su basi concrete e su argomenti politici in parte almeno differenti da quelli di allora. Detto ciò, nessuno di questi argomenti potrebbe essere in contrasro con quelli di trent'anni addietro. Al contrario, questi argomenti si collocano nella stessa logica e nella fedeltà agli impegni di allora. I1 CCE li ha espressi di recente in tre documenti la Risoluzione politica degli Stati Generali di Madrid, l'Appello pubblicato dalla Sezione italiana e firmato da numerosi sindaci e amministratori locali d'Italia e di altri Paesi d'Europa, e infine in una Risoluzione approvata dal Comitato di Presidenza europeo nel giugno 11982.Questi testi sono noti. Riteniamo utile tutravia citare qui il passo centrale dell'ultimo: a11 Comitato di Presidenza del CCE considera che l'azione più concreta in favore della pace resti la lotta per lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale d d processo d'integrazione europea, giacché questo costituisce il contributo più efficace: - allo stabilimento di un nuovo ordine economico internazionale che consenta di controllare congiuntamente i grandi problemi del pianeta, quelli della fmie, del disarmo, della distribuzione delle risorse naturali, dell'ambiente, ecc. ; - allo sviluppo di un'organizzazione democratica degli Stati del mondo che garantisca il libero diritto dei popoli a disporre di se stessi, nel senso della Carta dlelle Nazioni Unite; - alla difesa e al rafforzamento delle libertà individuali e collettive e, fra queste ultime, delle libertà locali e regionali,. la nostra battaglia, più necessaria che mai. Siamo felici e fieri che circa trentamila collettività locali e regionali - questo numero ristretto risulta dalle riforme territoriali e dalle fusioni che sono state attuate in quasi tutti i Paesi membri - ci diano la loro fiducia. Sappiamo anche che questa deve esser meritata col rispetto scrupoloso della nostra linea politica e con un'azione appropriata, da attuarsi quotidianamente. Dobbiamo tuttavia porre in risalto che abbiamo bisogno dell'appoggio permanente di queste collettività locali e regionali. Perché esso possa effettivamente aver una influenza profonda sull'evoluzione politica, dobbiamo domandare a tali collettività di rinnovarci tale appoggio, di rinnovare costantemente tale appoggio alla causa per cui ci battiamo. Dobbiamo altresì chieder loro di rendersi conto - anche se ciò può sembrare a prima vista presuntuoso da parte nostra - che nessuno al di fuori del CCE e dei suoi aderenti opera per questa battaglia, in campo aperto e con un'azione quotidiana, in un contesto così reale e vicino alla popolazione. Non è certo all'AICCE e ai Comuni italiani - che nella proporzione de11'85-90% dei cittadini hanno partecipato alle elezioni europee del 1979 - che noi rivolgeremo qui un qualsiasi rimprovero di passività. Non è ai Comuni, alle Province e alle Regioni italiane che noi dobbiamo dimostrare che la soluzione di tutti i grandi problemi, a cui essi devono far fronte per assicurare il benessere dei cittadini che ad essi incombe, passa per I'organizzazione di un'Europa unita in forma federale: cioè di unlEuropa che disponga di poteri esecutivi e legislativi adeguati, pur mantenendo e sviluppando il decentramento. Infatti, senza l'applicazione di questo metodo federalista, né la ripartizione generale dei beni e del lavoro sull'insieme del territorio europeo, né la personalità propria delle componenti, né la partecipazione dei cittadini potranno esser garantite. I1 grado di consapevolezza degli aderenti all'AICCE li pone piuttosto in una posizione adatta per farsi portavoce degli obiettivi federalisti presso quelli, fra i loro colleghi negli altri Paesi, che credono sempre, o credono di nuovo, in seguito alla crisi economica, che essi devono ripararsi dietro un protezionismo nazionale, o un protezionismo territoriale ancora più ristretto. <Comuni d'Europa, ha scelto in proposito la giusta direzione già da trent'anni invocando costantemente un rafforzamento dei legami intercomunali europei (gemellaggi e scambi) per tutte le categorie della popolazione e a tutti i livelli. =Comuni d'Europa ha altresì reso un buon servizio alla causa prevedendo una unione delle forze vive dell'Europa attorno ai rappresentanti locali e regionali, in un ufronte democratico europeo,. Molto è stato fatto, e basta sfogliare i numeri apparsi della rivista per convincersene. Ma molto resta da fare. Sappiamo, e ciò ci è di grande conforto, che <Comuni d'Europa, sarà sempre presente e disponibile. COMUNI D'ELIROPA dicembre 1982 I1 CCE in prima linea di Altiero Spineiii Vorrei innanzitutto dire che non è un caso che il Consiglio dei Comuni d'Europa sia uno dei frutti dell'unione europea dei federalisti, perché sono stati alcuni membri dell'UEF, convinti che bisognasse interessare anche le organizzazioni periferiche a livello locale, che hanno preso l'iniziativa di contribuire alla fondazione del Consiglio dei Comuni d'Europa che ora marcia con le sue gambe. Che l'idea iniziale di legare la battaglia per l'autonomia con quella per la Federazione europea fosse stata giusta, si vede dal fatto che il CCE, con coerenza e costanza, non ha dimenticato che il suo scopo politico è di arrivare allJUnioneeuropea, e non di stare a discutere solo di problemi comunali: una Unione europea in cui contino i comuni e gli altri enti locali regionali perché la costruzione europea è veramente uscire, nella misura del possibile, dalla camicia di Nesso che è lo stato nazionale. Se, infatti, alcune cose debbono essere di competenza dello stato nazionale, ce ne sono molte altre che devono essere risolte a livello locale, comunale o regionale; così come ce ne sono altre che devono essere fatte a livello sopranazionale. Questo genera una naturale alleanza fra chi lotta per le autonomie e chi lotta per la Federazione europea. Noi ci troviamo oggi in una situazione in cui quel poco che si è fatto di costruzione europea si trova ad un bivio: da una parte c'è la possibilità che tutto vada a catafascio, che crolli tutto l'esperimento per averlo fatto in modo insufficiente e perché le strutture che si sono create, le regole che si sono stabilite, le leggi comuni, i meccanismi decisionali che permettono la formazione delle volontà, ecc,, non sono atti ad affrontare i problemi nuovi, cosa che sarebbe rovinosa per l'Europa, ma anche per le libertà europee e perciò anche per le libertà comunali; d'altra parte c'è la possibilità, il tentativo è in atto, di approfittare appunto di quel tanto di legittimazione democratica che si è venuta creando per una delle strutture della Comunità, il Parlamento Europeo, per imporre all'opinione pubblica, alle forze politiche e poi ai Parlamenti nazionali - che sono quelli che dovranno votare in ultima istanza - una svolta che porti alla costruzione di una Unione europea, che comporti la capacità di discutere i problemi, di elaborare le politiche comuni e poi eseguirle. Tutto questo tenendo presente che fare una politica comune è un processo sempre molto complesso, perché ci vuole il periodo di ABBONATEVT A chiarificazione di idlee; quello di coagulazione di interessi reali e di interessi pratici di valutazione delle priorità. Ora si pretende di fare ciò mettendo insieme i Dieci governi. Ci manca proprio l'elemento vitale a tutto questo. Ma i governi, essi stessi, frutto di complessi processi di formazione nazionale, nella loro azione a livello comunitario, soffocano tutto quello che è comune facendo emergere solo il carattere nazionale delle politiche comuni. Ora, questa sarà la grossa proposta che il Parlamento si accinge a fare e alla quiale sta lavorando per fissare le linee del nuovo Trattato. Più di questo il ]Parlamento non può fare. Non avendo poteri legislativi, può semplicemente adoperare la sua autorità politica per rivolgersi ai centri della vita politica nazionale che decidono - cioè ai Parlamenti nazionali - chiedendo di rettificare i Trattati esistenti. Perché questo avvenga occorre però che ci sia una forte mobilitazione di consensi e di sostegni, e io sono sicuro che il CCE, impegnandosi seriamente, può rappresentare una forza non indifferente, perché può, attraverso la mobilitazione di tutti i siridaci e degli altri amministratori locali e regionali dei Dieci paesi della Comunità, esercitare una grossa pressione politica. Teniamo presente che il grande ostacolo che noi abbiamo davanti non è la bontà o meno dello statu quo della Comunità, ma è la pigrizia e la difficoltà di pensare con continuità all'azione da svolgere, quando la tendenza è 5 quella di continuare a fare le cose come si sono fatte finora, ed è la situazione che porta normalmente ai momenti di crisi e che fa crollare tutto. Di questa grande mobilitazione per creare una necessaria forza di pressione dovranno essere responsabili i movimenti e i deputati europei che stanno nei partiti che dovranno agire. Però credo che è molto importante la continuità, la metodicità e il tipo d'azione: non basta votare una mozione. Per esempio, il Movimento Europeo sta organizzando una grande conferenza a Bruxelles, come quella dell'Aja del 1948, di tutte le forze vive europee. Bene, il Consiglio dei Comuni d'Europa dovrà impegnarsi a portarvi una folta rappresentanza dei comuni, con la presenza di tutti i sindaci delle grosse città dei paesi della Comunità. Gli interventi del sindaco di Roma, del sindaco di Parigi, di Monaco e di tante altre città a sostegno dell'azione del Parlamento Europeo, avvalorati dalla loro presenza massiccia, impressionerebbero certamente le altre forze politiche. Cioè, bisogna fare una battaglia in prima persona schierandosi certamente in prima linea: questa è una grande iniziativa che il CCE sono sicuro vorrà realizzare. Non c'è tempo da perdere perché se la battaglia sarà nel 1984, bisogna prepararla nel corso de11'83. Infatti, al contrario della macchina dei partiti che lavora sempre, perché la vita politica è già formata e si deve adeguare solo alle variazioni, che sono quelle che contano, la vita politica europea è un processo di formazione e quindi il concepimento delle strategie è lungo e bisogna prepararle in tempo: si deve agire subito. -- COMUNJ D'EUROPA -- p - 11 manifesto di Ventotene COMUNI D'EUROPA 6 Riflessione sul parssato e indicazioni per il futuro d.i Gianfranco Martini A trent'anni dall'inizio della pubblicazione della rivista «Comuni d'Europa», siamo sollecitati, owiamente, ad una riflessione sul passato e a riandare ad un'epoca dalla quale ci divide ormai un'intera generazione; ma, al tempo stesso, poiché la rivista è tuttora viva e vegeta e ha mantenuto per tutti i trent'anni della sua vita il suo passo mensile (il che non è cosa di poco conto nel mondo dei periodici, molti dei quali fioriscono un mattino e presto appassiscono), la riflessione sul passato non può che intrecciarsi con l'analisi dell'attualità e con lo sforzo di individuare linee di sviluppo e indicazioni per il futuro. La lingua italiana ha almeno tre verbi per definire questa attenzione agli eventi passati: commemorare, rammentare e ricordare. I1 linguaggio comune li usa indifferentemente, ma l'origine etimologica conferisce loro delle caratterizzazioni più precise e diverse nelle quali sono implicate di volta in volta, principalmente, la memoria, la mente e il cuore. La mia riflessione su «Comuni d'Europa» partecipa di tutte e tre queste particolarità, stimolando al tempo stesso la memoria di alcuni fatti nei quali sono stato direttamente coinvolto, la mente come strumento di valutazione razionale del loro significato e infine il cuore, inteso, forse, più che nella sua dimensione emotiva, nel suo più ampio significato biblico di simbolo dell'intera personalità umana che, come tale, si sente coinvolta in modo non marginale nei vari eventi che la concernono. Quando nel giugno 1952 fui eletto sindaco di Lendinara, un Comune che contava allora circa 17 mila abitanti e sito in provincia di Rovigo, «Comuni d'Europa, era già uscito col suo primo numero datato 25 aprile di queHo stesso anno. Non ne conoscevo però l'esistenza, anche se avevo sentito vagamente parlare delI'AICCE, il cui convegno costitutivo, del resto, rimontava a soli pochi mesi addietro, al gennaio 1952. L'amico che me ne parlò con maggiore precisione, anch'egli sindaco di un Comune del Veneto, mi diede appunto il primo numero della rivista, contenente anche lo statuto dell'Associazione e un ampio resoconto del convegno costitutivo, affinché ne facessi oggetto.. . di meditazione per un'auspicata adesione del mio Comune. Chi è vissuto in quell'epoca sa per esperienza che, pur con più dimessa veste tipografica di quanto non awenga ora, essa si caratterizzava per un fiorire di bollettini, periodici, giornali politico-culturali che sembravano voler compensare, nella loro varietà, il grigiore conformista della stampa del ventenni0 fascista e sottolineare gli spazi di libertà e di dibattito da poco conquistati. Chi viveva allora in provincia e, soprattutto, in quelle parti della provincia italiana ove meno vivaci erano la vita culturale e le possibilità di contatti (il Polesine era certamente, pur senza sua colpa, una di queste, confrontato com'era, quotidianamente, con drammatici problemi di disoccupazione, di esodo, di conflitti sociali nelle campagne e, proprio neil'autunno 1952, così violentemente colpito dalla grande alluvione del Po), si awicinava con un particolare stato d'animo fatto di interesst: e curiosità a questa carta stampata che in qualche modo contribuiva a ridurre un certo isolamento e a creare canali di comunicazione di idele e di persone. Facevo già parte del Movimento federalista europeo, e quindi I'esigeniza di una unificazione politica delllEuropa non mi era estranea e trovava in me, come in molti giovani di allora, un terreno particolarmente favorevole. La proposta di cui I'AICCE, altraverso quel primo numero della rivista «Corriuni d'Europa», si faceva portavoce e promotriice, mirante alla mobilitazione degli enti locali per accelerare I'integrazione europea e concependo quest'ultima come il frutto di un processo capace di valorizzare le autonomie territoriali, e di assicurare le condizioni favorevoli al Iloro sviluppo, mi era francamente congeniale e fungeva da cerniera tra quelli che fin da allora erano due poli di interesse e di impegno speciifico che (oltre, naturalmente, alla famiglia e alla professione) avrebbero fortemente influenzato la mia vita: le responsabilità di amministratore locale, prima comunale e poi provinciale (dietro il quale vi era un più generale impegno politico e partitico) e, d'altro canto, la viva percezione che il nostro Paese, assieme ad altri Paesi europei, fosse chiamato a cogliere la grande occasione storica di costruire la Federazione europea. In quel primo numero di «Comuni d'Europa, tutti questi ingredienti erano già presenti. Ne ero consapevole allora, ma sono ancora più stupito di ritrovarli, così crspliciti e così attuali nella rilettura di oggi. I1 resoconto degli interventi del convegno costitiitivo dell'Associazione poneva già l'accento su una problematica complessa che non ha cessato di essere segno di contraddizioni nel dibattito politico successivo, fino ai nostri giorni. Vi salno infatti espliciti richiami al valore delle libertà e delle autonomie locali, problema che rimbalza oggi dal Parlamento italiano alle varie associazioni rappresentative di enti locali. Vi si trova, in prima pagina, il collegamento tra questo richiamo alle libertà locali e la richiesta di un'Assemblea costituente europea di cui si riparla in questo momento, se pure in misur:~insufficiente, dopo che il Parlamento Europeo eletto ha deciso di assumere una iniziativa sc~stanzialmente«costituente,, rivendicando il compito di redigere un progetto di <CartaCositituzionale, europea. Vi si parla di Comuni, di Province e di ucomunità concreta, ponendo in risalto un tema - quello dei rapportifra autonomia, istituzioni e la rcomunitàu che le esprime - che rimane uno dei presupposti fondamentali di qualsiasi riforma dell'ordinarnento e del governo locale che non voglia ridursi ad operazioni di pura ingegneria istituziociale. Lo ha confermato, proprio alcuni mesi fa, una specifica iniziativa dell'Istituto Jacques Maritain su questo stesso tema, che si ricollega a tutto un movimento di pensiero, e di filosofia politica (basti pensare ad Adriano Oli~retti),ancora troppo dicembre 1982 spesso trascurato. Si propone anche, in quel primo numero, di conferire più ampi poteri alle province nell'ambito di una nuova legge provinciale e comunale: gli amministratori locali del 1982 e soprattutto i consiglieri provinciali e gli amici dell'UPI non potranno che rallegrarsi di questa presa di posizione di principio di trent'anni fa, anche se la loro soddisfazione è fortemente temperata dalla constatazione dei gravi ritardi nella sua attuazione. Sempre con riferimento a quel primo numero, va ricordata una citazione - in esso riportata - di un economista inglese che nel 1786, prima ancora che si arrivasse alla costituzione federale degli Stati Uniti d'America, accennava con estremo distacco e con totale scetticismo al <sogno estremamente ingegnoso, ma molto più illusorio di qualsiasi fantasia di un romanziere, costituito, a suo awiso, dall'ipotesi che l'America potesse divenire, come tale, una grande potenza. Questa citazione si affiancava all'altra, tratta dal rapporto generale al IV Congresso dellJUnione dei federalisti europei, nel quale si riconosceva che d n tutti i partiti democratici ci sono partigiani convinti della Federazione europea, ma che i partiti in quanto tali restano chiusi e indifferenti di fronte a questo tema, prigionieri dei quadri nazionali nei quali la loro azione è costretta a svilupparsi,. Questo giudizio non sembra molto lontano dalla realtà neppure oggi, nonostante le prime elezioni dirette del Parlamento Europeo che hanno certamente stimolato le forze politiche sulla via di alcuni interessanti, ma parziali, tentativi di coordinamento e di aggregazione a livello europeo. L'elenco delle «attualità ante-litteram, politiche e culturali di quel lontano numero di <Comuni d'Europa» potrebbe continuare. Esso, del resto, non è rimasto un episodio isolato. I numeri che lo hanno seguito stanno a testimoniare lo sviluppo di quelle idee e di quelle intuizioni, nel confronto con i mutamenti del contesto italiano, europeo ed internazionale, con prese di posizione e risultati non sempre pacifici, talvolta apertamente dibattuti, ma certamente stimolanti e provocatori. Ma, come scrivevo all'inizio una commemorazione non ha senso se non è anche trampolino verso il presente e verso il futuro. I1 ricordo di quel primo numero della rivista, che certamente accentuò la mia decisione di proporre rapidamente al Consiglio comunale l'adesione all'AICCE e la successiva partecipazione ai primi Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa a Versailles nel 1953, pone anche alcuni interrogativi di estrema attualità, riguardanti le motivazioni dell'europeismo di oggi e, più in particolare, di quello specifico degli amministratori comunali, provinciali e regionali del nostro Paese. Gli amministratori di Comuni, Province e Regioni a statuto speciale, i singoli eletti locali che a titolo personale aderirono all'AICCE in quel primo periodo, non avevano altri punti di riferimento, per farlo, se non il maturarsi delle loro personali convinzioni, all'uso della ragione, l'attenta analisi delle condizioni dell'Europa e del mondo di allora. Non esisteva ancora la Comunità europea; il Trattato istituzionale della CECA era stato firmato nel 1951 ma questa istituzione non aveva cominciato a funzio- COMUIUI D'EUROPA dicembre 1982 nare se non il 1" gennaio 1952, cioè contemporaneamente alla costituzione dell'AICCE; il Consiglio d'Europa, nato nel 1949, era certamente una tribuna di dibattito politico da non sottovalutare, ma strutturata secondo canoni tradizionali che i federalisti europei consideravano del tutto inadeguati. Non vi erano ufondi, e interventi finanziari messi a disposizione da istituzioni europee ai quali anche gli enti locali e regionali potessero attingere per risolvere i loro problemi; non vi erano il FEOGA, il Fondo sociale, il Fondo europeo di sviluppo regionale, la Banca europea per gli investimenti, il Nuovo strumento comunitario (NSC) per il finanziamento di infrastrutture, di progetti nel campo energetico e industriale. Ricordiamo tutto questo perché è frequente, nel nostro colloquio con gli amministratori locali e regionali (in Italia e negli altri Paesi della Comunità), trovare qualche guizzo di interesse per la Comunità europea solo se collegato ad una puntuale informazione sui contenuti, le condizioni e i modi di accesso ai finanziamenti comunitari. Tutto ciò, sia chiaro, è legittimo e comprensibile: chiunque è stato od è amministratore locale sa quali sono le esigenze senza fondo di un ente territoriale e quindi il doveroso impegno dell'amministratore a ricercare tutti i canali idonei a soddisfarli. D'altra parte la Comunità europea non è un ideale astratto, ma vuole essere una risposta efficace ad attese molto concrete e una risposta a problemi reali: un mezzo, non un fine. Ciò che spesso manca è l'equilibrio tra questa immagine della Comunità europea come qualcosa da cui ricavare dei vantaggi (nel caso sopra ricordato, ripetiamo, del tutto legittima) e la consapevolezza e la convinzione della necessità di far progredire questa Comunità verso traguardi politici e istituzionali più avanzati, senza i quali anche i vantaggi sopra ricordati rischiano di vanificarsi o di ridursi comunque a dimensioni risibili di fronte ai bisogni. Nessuno nega l'apporto dei fondi e degli altri strumenti comunitari, ma tutti sappiamo che la voce che si alza ua gli stessi membri della Commissione delle Comunità europee, alla quale fa eco il Parlamento Europeo (per non parlare degli stessi amministratori locali e regionali che ne sono destinatari), è quella che invita la Comunità, e per essa il Consiglio dei ministri e quindi i Governi degli Stati membri, ad aumentare la dotazione finanziaria di questi strumenti. Ma l'aumento presuppone, a sua volta, un accrescimento delle risorse proprie complessive della Comunità e quindi scelte politiche e meccanismi istituzionali di udecision making, ben diverse da quelle attuali. Se ciò è vero, le motivazioni dell'impegno europeo degli amministratori locali e regionali e quindi della loro adesione all'AICCE non possono esaurirsi in questa contabilità dell'avere, ma devono integrarsi in un corrispondente impegno a trasformare sempre più la Comunità europea attuale in una entità più efficiente e democratica, dotata di una solidarietà più strutturata, dotata di un vero governo. Ripetiamo: per vari anni l'adesione all'AICCE ha trovato motivazioni esclusivamente, o quasi esclusivamente, politiche. Successivamente, per una serie di ragioni che sarebbe certamente importante, ma anche troppo lungo 7 indagare in questa sede, l'interesse per I'Europa sembra essere appiattito sotto questo profilo. Con molta semplificazione, sembra che l'epoca dell'espansione economica (dovuta sotto vari aspetti proprio alla partecipazione delllItalia all'integrazione europea) abbia affievolito lo sforzo di <governare»l'economia europea, che sembrava svilupparsi quasi per forza automatica. Ora, la crisi in atto fa emergere maggiormente le lacune e i vuoti così lasciati nella costruzione europea, accentua la conflittualità tra le varie economie nazionali e regionali, colpisce dluramente non solo le aree tradizionalmente rrieno favorite e fa persino apparire la Comunità europea come un oggetto scarsamente utile per il quale non vale la pena spendere energie e assumere responsabilità. I mezzi di comunicazione di massa, con le loro frequenti assenze e talvolta con le loro distorsioni delle vere priorità, contribuiscono a questa rischiosa situazione. Essa va capovolta con argomentazioni che sono politiche e pratiche assieme. Quelle politiche nascono dalla riflessione che molti dei mali di cui soffriamo harino origine nella mancanza di una direzione paditica unitaria della Comunità, che richiede istituzioni diverse, come ha ben compreso il Parlamento Europeo: esso ha deciso di assumere un sostanziale ruolo costituente volto a predisporre un progetto di nuova Carta costituzioriale, con tutto ciò che essa comporta sul piano della ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo, della distribuzione dei poteri, dei supporti finanziari, dello stesso ricorioscimento del principio di sussidiarietà dal quartiere al Comune e via via fino alla Federazioiie europea, come appunto si legge sul frontespizio della rivista <Comuni d'Europa». Del resto, il tema della pace oggi sembra essere uno clegli argomenti idonei a recuperare la dimensione politica dell'europeismo a condizione che la pace non sia soltanto una invocazione o uno «slogan,, o non si limiti ad un nobile imperativo morale, ma si associ strutturalmente allo sforzo di creare le condizioni e quindi le istituzioni atte a favorire la pace. Un'Europa politicamente unita, sovranazionale, democratica, basata sulla libertà e cre- dibile nei valori che essa afferma, può certamente costituire un elemento di grande rilevanza per I'uorganizzazione della pace,. Su questo convergono le opinioni di esperti e di politici di diversa provenienza ideologica. D'altro canto, un'Europa così unita costituisce una risposta certamente più efficace ai grandi problemi che ci assillano perché questi non si risolvono ormai sul piano puramente nazionale o con le misure protezionistiche o con la concorrenza tra gli Stati della Comunità che finisce per assomigliare purtroppo a vere e proprie forme di cannibalismo. Per concludere: una rilettura del primo numero di <Comunid'Europa,, ma anche un'analisi dell'intera collezione non costituiscono un gesto patetico e nostalgico per il ubel tempo passato*; la storia non si ripete e la politica, se si alimenta dell'esperienza del passato, non può però esaurirsi in essa ma guardare costantemente al presente e al futuro. Tuttavia quella rilettura conferma, ancora una volta, l'esigenza di un recupero politico del nostro europeismo, con motivazioni certamente in parte nuove, senza sicurezze illuministiche a priori, con attenta percezione della realtà che muta. Se i soci dell'AICCE, se gli amministratori comunali, provinciali e regionali dell'Italia, ma anche degli altri Paesi della Comunità europea, sapranno legare costantemente i loro compiti quotidiani alla riflessione sui grandi problemi della nostra società, ormai fortemente integrata in quella europea e aperta alle crescenti interdipendenze sul piano mondiale, non faranno opera di evasione o attività puramente culturale, così come non la fanno quando dimostrano costante attenzione ai grandi problemi della collettività nazionale, della crisi economica e sociale che la colpisce, degli ostacoli alla governabilità, della pace interna, del Nord e Sud del nostro Paese. «Comuni d'Europa, non mancherà di iniziare il trentunesimo anno della sua esistenza ribadendo questa esigenza e approfondendo queste tematiche nella convinzione di rendere un servizio alla comprensione di un difficile presente e alla preparazione di un futuro più certo e più sicuro per i cittadini europei. COMUNI 5 $4 I Potcri locali saranno associati alla politica regionale eu rupea 9rirara indrrr a8riafrirrr del& ,>rep#si# d& <ueunwisnl &I#II f P1 tra rwirprra evn C di r i f i r i w s t s ikl m~mtnrrduai d.1 t I r r p r a i ~ I r d ieafrisnra & due i pants di $r*>e.xrna r< prmr BPf nrnwr< d~ ~ s i e - ~ r e & a - e f & e 163% di 6 (animui'r* <I"kur+,pur 3r yaliruu ed il C i r e t o uffieialc d della rgreiirls ot&$ax I ru,sriwsrr le &icl dei Gearuni b"ttltepa m dctli CEE a . 1 h* .i+reatiul*ure ~mlarenwi suno di I l7 In 6ultt $M@$ organrana., ~ a n r I l Sa >arzi abbiorna tbmnru 8% c <mnrr a,, ina kir lt.' a i fink drlto nriluppo P1m n@lia %afe&i PO~PTI "lt>Ulr%a untnr.~ 1s temmz di e m1 d f s~ Pwridwat< urt- trir< saddzstcnoru: deile 'la I'raii, nuit ha tallo e b ?raiatprp a;ulta &#su i ~ , csirruiitu <i-@:a p > p r i s c ~ c > ~fe w i e non m I V ) I S ~ C I P T E I ~ ~ I ~ L C 4mho se ri*~<IL-> W di asaieurttw una larga peti* ati:>ii ~ r < ' weCOeCkenza d~1Ia9fom dP1 m- 1 pterr r e I i r i a n t e dei IBIerz lo he r n & r e l w m z % M. cmrccra, dr ~ghdt- . cali J L e dttaca wcenele ~ 4 e. ) 2 <X~orrcgarantire una E t Una p i r u n i ~ d W ~ rni d~ rrpo nume de!ie uuhtrltche &uteri% su Wndw~3MI8 b e v i sfaldntnonw drl:r vtrsl~ l < t ¶ l l lPe ~onlraie per ma@ J&raprwir 8en*'slan, ra&iaa$i e rwrtp~pirarir 1%" iX@afh Come or-vrme m @ t i ~>.diiidtct t l i i prt%z-*ti-LB candxzlon$ tu% ma ekwwa gmli tkdeaaure @ la n m p - m w ad cvru %id i . allo x\duw<o delle ~rimmtp,eb h a i l e ~ O Q O - &li@ pmpm perwnaltta e m s t a n i pmrg r*izefiis*a wuirini' Weru a<.,,i,..& nr,iri#*hn.' a<* ,..-i., . ,,,,-*..,. . . n mi>«. - .. astete COMUNI D'EIJROPA 8 Attualità drammatica del riarmo atomico Sul n. 9 dell'anno XIV, settembre 1966, uuscivano su «Comuni d'Europa* le mie «Tesi per una nuova sinistra federalista*, che l'amico Umberto Serafini volle pubblicare con un titolo aSull'orlo dell'abisso~,scelto da lui stesso, autore di una bella postilla introduttiva. A sedici anni di distanza - lascio ai lettori giudicare -, mi domando se, mutate owiamente alcune situazioni, le ipotesi di fondo e le linee alternative a medio e lungo termine non risultino confermate. Proviamo a vedere. Nella mia introduzione scrivevo: «.. . A Cuba con il ritiro dei missili sovietici tale linea veniva fissata definitivamente ed il filo rosso Mosca-Washington simboleggia da quel giorno la volontà delle due grandi potenze atomiche di mantenere la pace tra loro consultandosi sempre onde evitare malintesi o impmdenze che provocherebbero una catastrofe mondiale. A partire da quel giorno (sono gli anni sessanta del ventesimo secolo) USA ed URSS avrebbero dovuto procedere sulla via del disarmo perché per garantire il loro equilibrio nucleare è sufficiente uno stock minimo di bombe atomiche e di missili intercontinentali (I'essenziale è che la riduzione sia reciproca, graduale, e bilanciata in modo che in nessun settore militare una delle due potenze venga a trovarsi al di sotto di quello che ritiene essere il livello di sicurezza in rapporto alla potenza rivale). Per almeno quattro ragioni distensione e disarmo si sono arenati, ed è dalla loro diagnosi che possono delinearsi le linee direttrici di una politica che abbia come obiettivi fondamentali la pace ed il disarmo mondiale*. Le quattro questioni che sollevavo erano: l'integrazione della Cina popolare, le elezioni generali in Vietnam, il superamento delle alleanze militari, gli arsenali militari. Per la prima questione si può osservare che sì la Cina popolare è stata riconosciuta ma senza addivenire ad una riforma istituzionale delI'ONU che consenta rapporti politici di tipo nuovo; la Cina viene interpretata e usata in chiave anti URSS, e di fatto tutt'oggi emarginata, con le conseguenze che conosciamo anche nella politica interna di questo grande paese. Per quel che riguarda il Vietnam, quella guerra si è conclusa, ma ne sono divampate altre (solo recentemente Iran-Irak, ArgentinaGran Bretagna, Israele-Libano) con il beneplacito delle grandi potenze, e anche delle piccole che riescono a lucrare sulla vendita delle armi. Ma veniamo alle altre due questioni che tutt'oggi sono al centro del dibattito internazionale e delle preoccupazioni universali. La crisi della Nato è divenuta sempre più la crisi dei rapporti fra i paesi europei e gli USA, con l'accentuarsi delle divergenze, per quanto ci si sforzi di ovattarle in Italia, non così per esempio in Francia. Divergenze a livello economico in quanto la concorrenza, in una situazione di crisi, divide sempre più drammaticamente, e d'altra parte sono anni che l'economia europea contribuisce a tamponare la crisi del dol- dicembre 1982 realizzazione di un grande progetto, quello di una Federazione europea (una semplice federazione orientale, pure auspicabile, difficilmente di Alberto Cabeiia potrebbe reggersi sul piano economico) che potrebbe divenire il perno principale di una polilaro, per non parlare della crisi petrolifera che tica mondiale di progresso. Mediante una piacolpisce al cuore l'economia europea e non nificazione economica si potrebbe costmire in quella americana. Divergenze anche a livello Europa una società socialista articolata sulla bapolitico, sia in Europa nei rapporti con i paesi se di un effettivo decentramento, favorito dalle dell'est (Polonia) e nei confronti dell'URSS strutture federali e dalle comunità territoriali (gasdotto), sia in Medio Oriente (Israele e di base, e questa Europa democratica e socialiI'OLP), sia nell' America centrale e meridionale sta potrebbe divenire il centro promotore di un sempre più inquinata dal fascismo reganiano. grande piano di aiuti economici non speculatiLa partnership non esiste, esistono solo dei vi a vantaggio del Terzo mondo. I comunisti legami di dipendenza che vengono subiti, così dovrebbero accettare lealmente il metodo decome accade ai paesi dell'est nei confronti mocratico su cui si fondano le istituzioni fededell'URSS. rali, ma potrebbero largamente condizionare Alle strade pericolose deill'integrazione atlan- una politica internazionalistica della Federatica, del nazionalismo gollista o del nazionali- zione a favore delle classi lavoratrici dei paesi smo europeo, contrapponevo nel 1956, la via sottosviluppati ed operare concretamente per dell'Europa unita e disarmata con argomenti la creazione di una comunità mondiale che sia che sta ai lettori giudicare se inattuali. fondata suila giustizia. Scrivevo: La creazione di questa Europa è certamente q.. . 1) risolve il problema tedesco liberando- una impresa ardua ma è anche l'unica per cui lo dalla sua drammaticitii, in quanto non si valga la pena di battersi». parlerebbe più di riarmo nucleare in GermaL'attualità drammatica del problema del nia; riarmo atomico è palese a tutti ma non se ne 2 ) evita la disseminazilone nucleare che la traggono conseguenze radicali, come se il sisteNato non è riuscita ad evii:are (Gran Bretagna- ma in cui viviamo benché irrazionale fosse ineFrancia) e consente ad USA ed URSS di ridurre luttabile. A partire dal momento in cui gli eui loro impegni militari in Europa; ropei sanno che in caso di conflitto nessuno 3) alleggerisce la tensiorie mondiale e forni- potrà difenderli, perché l'Europa disseminata sce un esempio importante di disarmo unilate- di missili Nato sarà l'obiettivo dei missili sovierale che potrà essere seguito da altri Stati; tici, a partire da questa situazione che interesse 4) libera cospicue energie europee per la cau- può avere l'Europa al riarmo e alle basi missilisa della pace, per la creazione di una autorità stiche? L'utopia è il disarmo o il riarmo? E comondiale che proweda al disarmo, per un ser- me non riflettere sul valore immenso che povizio civile e militare alle dlipendenze di questa trebbe assumere un polo democratico e pacifico quì in Europa per tutti i paesi del Terzo autorità mondiale; 5) consentirebbe all'Europa di destinare una mondo, in un momento in cui scricchiolano gli parte dei miliardi risparmiati con la drastica riduzione delle spese militari ad un piano di aiuti ai paesi sottosviluppati; 6) consentirebbe all'Europa di acquistare sul piano economico una posizione privilegiata a livello mondiale, libera come essa sarebbe da gravosi bilanci militari: una posizione più decisiva di quella che l'arma atomica le offrirebbe e tale da mettere in crisi le economie militari Usa ed URSS a vantaggio della causa del disarmo. All'infuori di questa soliuzione radicale c'è la folle corsa atomica, e la semplice trasposizione del nazionalismo da un livello ad un altro, la fine della cultura federalista e la cormzione de- imperi delle super potenze, e giace impotente gli aneliti internazionalistilci e mondialisti delle I'ONU? A trent'anni di distanza l'unica organizzanuove generazioni. Questa soluzione politica non interessa solo i zione di massa esistente in Europa è il Consipopoli europei della sfera occidentale bensì an- glio dei Comuni d'Europa, in quanto i moviche quelli della sfera orientale, i quali aspirano menti federalisti, abdicando ad un molo di ad un allentamento dei loro vincoli con I'Unio- protagonismo politico autonomo, si sono rine Sovietica e nello stesso tempo temono il dotti al molo di semplici agenzie di pressione riarmo tedesco e si trovano quindi nella condi- sui parlamentari strasburghesi e sui governi. L'AICCE è più vicina alle attese popolari cozione di coordinare strettamente la loro politica estera con quella della grande potenza che me lo attesta l'alto numero di amministratori offre loro le maggiori garanzie di sicurezza. locali che si sono schierati insieme ad uomini di Una Europa disarmata atamicamente offrireb- scienza contro il riarmo atomico, e per una cobe ai comunisti europei una alternativa demo- stituente popolare europea. cratica alla vita stalinista (subordinazione alAII'AICCE spetta un molo storico coraggioI'URSS) ed a quella meschina del nazionalismo so, perché ci vuole lucidità e coraggio per un (gollismo mmeno) e li obibligherebbe ad una progetto nuovo che assuma un significato per scelta fondamentale di eccezionale valore. tutti gli europei, non ultimi i polacchi. Mi auguro ne sia capace. Questa Europa disarmata consentirebbe la dicembre 1982 COMUNI D'EWROPA 9 Ricordi personali e una testimonianza politica Movimento Comunità animato da Adriano Olivetti, si impose subito come una premessa di valore fondamentale e nello stesso tempo COme un disegno ideale che si collocava già allora di Franco Ferrarotti al di là dell'immediatismo opportunistico dei Com'erano belli gli anni dell'immediato dopoguerra! L'ho già scritto altrove, ma non mi stancherò di ripeterlo. Le case bombardate e semidistrutte guardavano con le loro finestre ridotte a buie occhiaie vuote; le città sembravano a fatica destarsi da un lungo sonno di terrore. Ma ovunque ferveva un acuto bisogno di rinnovamento; le esigenze di ognuno erano semplici, elementari: un'occupazione ragionesicura, la possibilità di ricostruirsi una carriera decente, se non una vita brillante. Ciò che oggi mi sembra caratteristico di allora è che le mète private personali si inscrivevano con tranquilla naturalezza e si inquadravano in un disegno collettivo che dava ad esse un significato profondo, il senso di un'impresa veramente politica, di una iniziativa pubblica in cui momento privato e momento comunitario non si fronteggiavano come termini antitetici ma tendevano piuttosto a integrarsi arricchendosi a vicenda. I1 gennaio del 1951 a Ginevra era straordinariamente mite. ~ ~ du ho^^ h ~non era ~ ancora stato Vi era ancora intorno il tipico disordine dei cantieri; assi, mucchi di calce e betoniere, lamiere e altro materiale intralciavano il passo. L'impianto dell'illuminazione interna non aveva ancora raggiunto lo stadio finale, nelle stanze e nei corridoi, che doveva conferire all'albergo quell'aria a mezza strada fra la casa di campagna e il transatlantico in disarmo che gli è poi, almeno in parte, rimasta. Fu qui, verso la fine di gennaio, che si riunirono uomini e donne di varia estrazione sociale e di differente orientamento politico per costituire il «Consiglio dei Comuni d'Europa». Ricordo distintamente Chaban-Delmas, parlatore efficace e forbito, generale giovanissimo della Resistenza, che mi si dichiarava nradical et gaulliste en m2me temps»; madame de Jager, infaticabile tessitrice d'incontri e organizzatrice di comitei d'action; monsieur Cottier, consigliere amministrativo della Vzlle de Genève; il federalista Jean Bareth e, per 1'Italia, giunti con qualche giorno di ritardo, Massim0 Severo Giannini, Ludovico Quaroni, e il pro-sindaco di Roma, Andreoli. Vivida mi è rimasta la memoria delle discussioni che portarono di 1; a pochi giorni alla costituzione del Consiglio. A parte, monsieur Cottier mi disse poi, in gran segreto, che l'intento profondo, non dichiarato, dell'iniziativa consisteva nello spezzare l'unità dell' Union des vi'es despOuvOirslocaux> che 'Omprendeva anche Budapest e Varsavia e che, nel SUO ecumenismo transideologico, era ormai chiaramente incompatibile con l'atmosfera e i raP- ' porti politici dell'incombente guerra fredda. Può ben darsi teste dei grandi strateghi della tensione internazionale, le cose stessero così. Sta però di fatto che il Consiglio dei Comuni d'Europa nasceva sulla base di una forte motivazione ideologica e politica tendente a riscoprire e a rivalutare, dopo gli anni bui delle dittature e della guerra, la fonte della sovranità popolare, la comunità concreta contro la centralizzazione burocratica dello Stato di tipo napoleonico. In questo senso, il contributo di Gravier, il famoso autore di Parir et le desert franpais, insieme con gli apporti teorici e le esperienze di organizzazione sociale pratica del partiti, avviati sulla strada che nel giro di pochi anni sarebbe sfociata nel chiuso regime della apartitocrazia. È incredibile e fa girare la testa, oggi, pensare che, l'idea stessa di una democrazia rinnovata, che non si esaurisse più nel gioco sterile dei scto"br" "" ricatti reciproci e dei veti incrociati ma al contrario si ponesse come un'idea-limite, un vero tcli,ac tq.lid~. tiubc.iit*Iliiirt r.iit : f ~ ~ ~ i < itii~l tsx" s i l~ i ( i i *. e proprio Grenz-begnfltanto da non ridursi a ''li ,' ""E" "t" \W'""<"t Il""""' "'I''L*'" (<'"<"~"' ,8wl ~ i i , , cAr, ii,,c ,i...,,tlllpc~ ~ * I!? t insieme di mere procedure formali ma da le,,,,,t(., HCt?. I-Ià,.rglc-i C U I i l ~ t t ~ c ~ ~i I \ 1~' C ~ ~ :ili c ~ ~garsi invece a contenuti qualificanti e specifici, c,i1c t 9 J l tt'i tic* l t i " f r..tir I \ t i ,t!<"ili<,L . i l l i 01% $t fosse già stata pienamente sviluppata in quelle liii:; bti~i~c~i.\r~l<il>jn~h iii" i . 4 l i~t l r i ~ ' <'t l,,lih.n,,lls f,,,16b ,,O,i.. t l i l l l s 1 1 1 1 , 4 r a grigie giornate di dibattiti tanto appassionati 6.t i , 4t ~ ~\ i ~ u i iciuii~, ~ i~chit~~~is-irl~~~~ quanto rigorosi sulle rive del Rodano e nella t'< "i' 11!"'1< ~ ' f'' ' ~ ~ ~ quiete ginevrina. Oggi, dopo tanti anni, ciò c*k>~*t:ltj~5 t ~ i ; ~ ~ g \f~ w~~t1ta ~ ~ ~ ir ~t l1t 1~ ~~cil t: is~ ~ hl , , , , , l , , b che allora poteva ancora apparire come sogno , ,"tl~lh,tlt,. L1116> I:, K C J I I.(-UW ~ ts~.rt'( i Z~V,&~:C.(, ~ I>~~P.Q* se non evasivo alibi di anime belle, . b ( ~ ~ t i t ~ (i.itts : l l i ~ t*:? ))icf rlt.làlt. 1'1 riipit;tlc t l t s torna a proporsi come un test essenziale sul ,!\..tilLttil>! ' , civ:, S I % , IlitU* t 1 t Y ~ I l ) t l b Lirl li!%trlsl , :,ai,Ewc.ti ,," . , I > ~ ~ W t ~ - ~. I 1 < ~ e , ~ ~ ~ f i ctiit,,lh . ~ , , i cmetro 3 del quale valutare il carattere illusorio o l;\ c ~ l t ~ rk. k *1 ' ~ ; ~ l - genuino d'una democrazia alla prova e la sta1-1 <..*tnla+!t.rjtk &'I :lilr ? i~ttrttcliitlb .a>)w. Icl.us ttl!r. c s h o i e tssi r ~ ~ i i n l i r ci~titizs tura~toricad'unaclas~edirigente~ottoaccu~a. ,tllllh r ~ , i ! i j ; ~ ~tzt211h 'i J(rtll'tlt gin F C ~ J ~dslà,)(, . (31. f( 11 . 1t116*+ ~:i~p>rt,ir-icc* priiniii t f i a l ~ ti&rtli- I<* rcllitii<e~.tit-nt wpr.uki;it~~iiiai d~ I'&:tii< JI' iiv rtois p& Iccir ~ l I < i & ~ g ~ +1~ l c r n t d e t~*kbIc~.v C ~ I I e~ VS I I ) * 2111~11!2 %f<\t~lk' l < ' ~ f~ar~$i%b$ < y i l i \$,t$% ~H~~~ZC$LIP c.1 ~iricc*.cpt~r:c.ncpiit* I ' i ~ t ~ t* t v n ~ t u sr1ti'ii.c t)nt 1'' il"t~9i < i ' ~ l ~ " " c . ~ " 'Iai ' i i b ~ ' t ~ t lt'ft'i? fl C<\11<>$B < li% Una lettera alla nostra redazione Il Presidente del Consiglio Regionale Pugliese Bari, 12 novembre 1982 Caro Paoiini, mi chiedi un articolo o una testimonianza per <Comuni d'Europa» che celebra quest'anno i130° anniversa?io. Per un articolo non sono riuscito a trovare il tempo, ma sento comunque il dovere morale di scriverti (pregandoti di pubblicare questa mia lettera) per dirti che sono profondamente convinto, in base a una esperienza che ha avuto modo di consolidarsi, che <Comunid'Europa» è. tra le pochissime pubblicazioni periodiche italiane, e aggiungo europee, che meritano n spetto per il suo stile dignitoso, per la ricchezza di idee che la carattenizano, per la coerenza qiii 11tt n ~ ~ i "&PX&>.&"I%L?IS<, 6 ~ P ~ I ~ I& Q prtnndre U ~ nel perseguire un disegno obbediente all'ideain n~mmun11% di'(?~ton~urgentes Ja n e v w s f ~ r a t pcs la Imtr de. prr~blenirs le di una Europa unita. rur<~p.- q u ~--t m r ie tapy mais tcas ncms penso che se quanti impegnati in poli"avms i*% b ~ e nqw la crw de la C?~rnrnlinsutiii tica e gli uomini aperti a una cultura senza Etirupi;erinc dli Ctizubon ct dt. ~ * A w kr8 ~ etrc nisojue eri 6iargimrit I- attrrbtrom d ~ 18 , steccati n ~ o m u dn i j certa- ~ ( ~ " ~ 1 n U 1 l ~ ~ i t rn <.. acheminttnt vt*tls tine secile Cornmtinnfitia t<mt le de la mente ne verrebbero arricchiti e comunque stienergie, (3 aiigmmtant llml &mil~tlr?nt molati a nPessioni su molti problemi imporla su~mnatiori;rlit ti4 f'iiistitution. Nuua v w tanti della nostra epoca. dnrtrir ; ~ i ~ s --* i rt 121 ville nu trmvr sir,. Gli amici Serafini e Martini sanno che gueerotrcirrle Ir plus inrynrt;utt<- du ,naridc. w i s t b l r ;? W. pei-s~~wtt\-e-- voir airrair r.r sto mio giudizio è vecchio, oggi sono (jeto di "'"'0. le ~ l u "Git wt.iiblr, uii* enitrc,pi.is. twma te~ e a tutti g>i&tetnentWrnpCi'nnp pnr ~ e s ~ p Si, Cijtl-~ ~ollfermarlo ~ ~a u g u ~~f l d o , coloro i ec~ti<nrtsichnicliie, sw dirlgranb. ouviietliquali sono impegnati redazione dipoter per exemple un Ia->ratorre* rllrt>&-en p i i t Proseguire nelvOstr0 impegnocon unapiu am6i-Wrw ieu i%$toyxu de l'irra~iiuin.Nous a l k ~ l c k n s cguc le Ccrnucali dts x r n i s t ~de~ la v<,,pia collaborazione daparte delle autonomie loIItutiaiitP Fx'rmumiqu,: Rur:uragic"t.nncs'c.fforcr n m n s p e ~ mcon o ~maggio,imezzj, ~ ~ ~ d i ~ l ~ crr>!tw IP prmtigc la C,ominisioi3, qui Luigi Tarricone i''"rRanmm*> c~pubie d'+lah)rw iuie d i t i q u c <:~qmcpmlque c*mmU]wulai~.N o w .mihaitom dm,,w L. ,,,,t,,tive da VBrt de la Ranqut, E:l~ro+ennca d'lnvetlssemenh; eri tant qn'ndmi"!!?fatPUm - , ,. n'WS .,, l", D ~Edmondo . Paolini Redattore Capo di «Comuni d'Europa Piazza di Trevi, 86 - Roma ~ COMUNI D'EUROPA 10 Equilibrio del terrore e Governo europeo di Giuseppe Bufardeci La Conferenza per il disarmo promossa dalla Società delle Nazioni negli anni ormai lontani 1932-34 si trovava in una situazione di stallo allorché Hitler fu chiamato dal Presidente Hindemburg ad assumere l'incarico di cancelliere per formare il Governo. I democratici europei indugiavano, trastullandosi in polemiche senza alcun costrutto ed in continui meschini litigi. Carlo Rosselli scrisse sui quaderni di «Giustizia e Libertàu l'articolo «La guerra che torna,. I <realisti>di allora lo accolsero con ostentata sufficienza e tutto lo schieramento degli esuli socialisti italiani - da destra a sinistra - lo trattò addirittura con malcelata ostilità. Solo Giuseppe Saragat, che coltivava il lucido pessimismo dell'intelligenza, comprese, con il suo lungimirante pensiero, il valore sostanziale ed il monito di quell'articolo e lo appoggiò in pieno. Due anni dopo, nel maggio del 1935, di fronte alle ripetute sconfitte dei democratici, Carlo Rosselli lanciò l'idea della Costituente Europea. Egli aveva ben capito gli aspetti internazionali della malattia fascista; non era più tempo di vivere alla giornata adoperandosi nell'arte di arrangiarsi. Bisognava contrapporre ai miti nazionalisti e autoritari un grande obiettivo democratico: <fare I'Europau. Era compito della sinistra europea rendere -popolare questo tema. <Popolarizzarlo fra le masse, prospettare loro la convoeuropea, comporla di cazione di un7~ssemblea delegati eletti dai popoli che, in assoluta parità di diritti e di doveri elabori la prima costituzione nomini primo Governo europeo, fissi i principi fondamentali della convivenza europea, svalorizzi frontiere e dogane, organizzi una forza al servizio del nuovo diritto europeo e dia vita agii Stati Uniti d ' h topa». cadde marasma politico momento; non se ne fece nulla e la guerra tornò. Trascorsero molti anni: quelli della barbarie, della disperazione, della guerra. Solo durante gli amari giorni della Resistenza europea riaffiorò spontaneo, alla base, il mito democratico dell'unità d'Europa. È però con amarezza profonda che, dopo poco meno di quarant'anni, dobbiamo constatare come l'Europa altro non sia ancora che una fragile Comunità Europea, che fa acqua da tutte le parti, che non è in grado di attivare la consapevole attenzione della gente. Gli è che in questo dopoguerra le «cancellerie, a poco a poco hanno ripreso il soprawento. Credo sia giunto il momento di avere il coraggio di affermare che la minaccia di oggi, a ben guardare, è ancora più grave di quella nazista di allora. Se si rompe dawero l'equilibrio del terrore, la storia del genere umano è finita. E non mi si venga a dire - come qualche «scienziato» ha detto al seminario estivo di Erice di questo ma- linconico 1982 - che unia guerra atomica «limitata sia sopportabile. E però, non una risposta mitica può essere data alla reale minaccia atomica: si armi pure il potenziale nemico, noi alziamo le braccia e aspettiamo inermi, soli, pregando e pensando. La risposta da dare è politica e di una politica non alla giornata, ma strategica. Anche qui e ancora, come al tempo di Rosselli: <fareI'Europau, ma, quale Europa? È a tutti chiaro, se non si vuole dawero essere ciechi, che una Europa occidentale e meridionale democraticamente unita, capace di risolvere al suo interno gli squilibri fra Nord e Sud, è di per sé un fattore esemplare di pace. La eguale partnership atlantica prenderebbe corpo e gli europei federa~tipotrebbero giocare con ben più efficacia il loiro ruolo di negoziatori.Saremmo certamente più credibili dei nostri alleati di oltreatlantico alla dissuasione visto che le frontiere minacciatme sarebbero le nostre. Ma saremmo anche meno sospettabili di gesti inconsulti, più pazienti e ancor più perseveranti nel negoziato, visto che la guerra nucleare «limitata%colpirebbe anzitutto le nostre teste. Ancora - l'Europa omccidentale, assai più dicembre 1982 miglior La Costituente sordo di chi Europea non VUOI è là; sentire. - ma non ~ ' è I soliti ben pensanti hanno già cominciato a blaterare e i governi, incapaci di superare una logica statuale, hanno subito fatto circolare l'idea di progetti alternativi più concreti e più validi. Ma siamo seri! I1 Parlamento Europeo, eletto a suffragio universale, ha nel suo seno tutte le componenti politiche delle nostre nazioni ed ha trovato una sua maggioranza intorno ad un progetto d'unione. I compromessi alternativi dei vari Governi e delle varie cancellerie non potranno contraddire la volontà politica di un Parlamento che ha la sua legittimazione nel consenso dei popoli. I1 Consiglio dei Comuni d'Europa ha già assunto la sua decisione: esso è, senza alcuna riserva, con il Parlamento Europeo. Esso giudica preziosa l'opera della Commissione Istituzionale che prepara il progetto di Unione ed esalta la chiara volontà politica, unita all'eccezionale acume giuridico del suo ottimo presidente, l'amico e compagno on. Mauro Ferri. I1 Consiglio dei Comuni d'Europa deve e vuole organizzare, tramite tutti i Comuni, le Province e le Regioni italiane, una vera e propria azione capillare d'informazione. I1 popolo europeo deve sapere quel che fa il Parlamento Europeo e le decisioni a cui chia- La Resistenza Francese e I'Euroaa a Projet de progranme Venant après la du C.N.R. (2). le projet est concu dans le but #unifier plitiquet, le M.L.N. qui compi~endbusles M~~~~ menk unis de la Résistancs.: Ccynbat, Fro;n:Tireui-, Libération, Défenscl de la F r a ~Frame , Combat, Le Mouvement de L i b é ~ a t i o nNatimale, persuad6 que la France et l e monde d'après-gu~re ne peuvent marcher danc: la voie du progrès ;,cial et de la paix que si ]es wuples adoptent curite ei l'bpanouissement autonome de la vie nationde. Ces buts ne peuvent &trepleinunent atteints que si les peuples s'intègrent dans une organisition federale mondiale. Mais cette tache Upmense @td s 10ngue haleine ne peut &trr abordbe avec succès, que si une solution ddeci"ve d'abord apportée au problème de 1 ' ~ u rOt>e: origine des cataclysmcs rnondiaux qui. périodiquement, dévastent le monde; 2. En conséquencc, considérant qu'il e& im~mssiblede rccomtruire une Europe prospère, ddémocratique et pacifxque sous la forme d'un assemblage d'Etats souvcrains, sbparés pas leurs dell'URSS e degli USA, vive su una economia di trasformazione: prende materie prime ed energia da fuori e restituisce prodotti finiti. Ebbene solo un'Europa veramente unita può rilanciare lo sviluppo del Quarto mondo, così come si propone da qlualche tempo, e invitare USA e anche URSS :i concorrere alla creazione di un nuovo ordine economico internazionale. E invece, niente di tutto questo. Siamo alla guerra del vino, alla frantumazione dell'industria dell'automobile, alle intese finanziarie degli europei «ricchi»con le loro multinazionali divenute simbolo, nel mondo d'oggi, di una specie di imperialismo apolide. Ma tant'è; ognuno operi seguendo i dettami della propria coscienza. In questo momento, così carico di tensioni diverse, il Parlamento Buropeo, consapevolmente ignorato dai «mass-media»sta preparando un progetto di Unione economica e politica europea. ma, per le elezioni del 1984, i nostri cittadini. Queste elezioni, che con diabolica astuzia si vanno già dipingendo come «scarse dPinteresse», saranno ancora più importanti delle prime. Povero Rosselli! Chi avrebbe pensato che quasi mezzo secolo dopo le sue proposte, la Costituente Europea, di fatto realizzata, sarebbe stata ancora una volta osteggiata dai nuovi arealistiu camuffati in cornacchie parlanti per una Europa debole e disunita? Da oggi alla primavera de11'84 in ogni Comune, in ogni Regione, in ogni Dipartimento, Provincia o Land si dovranno preparare gli elettori europei alla scelta decisiva e non più procastinabile. Essi saranno chiamati a decidere se continuare ad essere succubi della politica fondata sull'equilibrio del terrore nucleare o se, con un governo europeo, divenire fattore insostituibile di pace e di ordine nelle relazioni internazionali. Région lyonnalse du M,L,Iv. , COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 11 Decentramento - integrazione: parallelisnlo o C di Giuseppe PetciUi Credo alla difficile ma possibile conciliazione fra autonomia e coordinamento. La concezione pluralistica della società va intesa come dialettica sempre rinnovata fra i diversi livelli di partecipazione civile, nell'ambito di strutture istituzionali rispettose del.la massima autonomia degli individui e dei gruppi; la prospettiva solidaristica va intesa in termini di massima cooperazione al bene comune. La conciliazione fra questi due termini non è soltanto un ideale politico ma è un obiettivo da realizzare in concreto e nell'immediato. Credo inoltre che scopo fondamentale della politica europea sia di favorire lo sviluppo armonioso e parallelo delle regioni geografiche, dei settori economici e dei gruppi sociali. Sono anche del parere che sia molto importante per l'Europa, per il suo progresso, per la diffusione dell'ideale europeo, assicurare il rispetto e lo sviluppo equilibrato di tutte le culture e di tutte le identità etniche, politiche, linguistiche. Vi sono problemi delle minoranze che non possono essere ignorati; vi sono diritti delle minoranze che debbono essere garantiti. In questo senso, il federalismo mi appare, nei rapporti fra le Nazioni, come la migliore traduzione della concezione solidaristica che dev'essere a base della politica economica e sociale di uno Stato moderno. Vi è, certo, uno spostamento della dimensione statuale verso livelli più elevati e quindi più adeguati, ma questo ampliamento non deve mortificare l'iniziativa degli individui o dei gruppi, ma deve stimolarla da ogni punto di vista. Per questo l'Europa non può essere concepita come una riproduzione su scala più vasta di uno Stato accentratore, ma piuttosto come un sistema pluralistico, ispirato al principio di sussidiarietà, secondo il quale a ogni livello della struttura istituzionale debbono essere demandati i problemi che esso può risolvere con la maggiore efficacia. A tale condizione, essa potrà offrire sempre nuove occasioni di partecipazione popolare - in forma effettiva e non simbolica - al processo di formazione delle decisioni di interesse comune. In tal modo, sarà anche tolta alla sovranità nazionale quell'aureola di assolutezza che tanto spesso l'ha trasformata in un idolo, da placare attraverso sacrifici umani. L'istanza mondialistica, che è alla base del pensiero federalista, e la rivendicazione di nuove forme di democrazia diretta, capaci di rinnovare le nostre libere istituzioni, appaiono dunque in realtà come le due facce di una stessa medaglia, quasi due poli ideali tra cui si stabilisca la tensione per una crescita qualitativa della società contemporanea, in termini culturali e politici. I nostri padri considerarono un traguardo storico l'identificazione fra la dimensione nazionale, intesa quale patrimonio etnico, linguistico e culturale, e la dimensione statuale, intesa quale organizzazione politicoistituzionale dei singoli Paesi. I nostri padri si batterono per questa identificazione ed essa di fatto ha costituito - attraverso le battaglie per l'unità e per l'indipendenza delle singole Nazioni - un tramite per ascendere a orizzonti più ampi di so1idarii:tà. Ma oggi essa appare un anacronismo, di fronte al prevalere delle grandi comunità multiinazionali e a dimensione sub-continentale, come gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica. La concezione di un'Europa delle Regioni costituì dunque, peir gli uomini della Resistenza, un ideale e un obiettivo. Questa concezione esprime la persuasione che il superamento dei limiti storici dello Stato nazionale e la creazione di un più vasto orizzonte solidaristico debbano compiersii insieme dall'e~temo e dall'intemo. Si tratta cioè di promuovere, insieme, I'adeguamento della dimensione statuale a problemi tecnico-economici non più solubili nel ristretto arnbito nazionale e la restaurazione di un più immediato interessamento del cittadino alla cosa pubblica, a diretto livello locale. Del resto, più noi ci awieremo verso una società post-industriale e quindi verso una società caratterizzata da grande sviluppo dei servizi civili, più forte sarà l'esigenza del decentramento funzionale e partecipativo. Consentitemi ora di individuare alcune linee di fondo di un possibile modello europeo di organizzazione istituzionale, anche se tale individuazione viene spesso accusata di astrattismo e di utopia. Anche l'utopia ha del resto in politica una positiv:a funzione, se più che un preciso traguardo indica una direzione di movimento. Vorrei anzitutto osservare che - contro ogni forma di statalismo accentratore, potenzialmente sempre totalitario - un sistema federale riconosce i confini della sovranità nazionale URGANO NEWSfiL@ D&CL'A$SOCl&ZfONE La p r a w i w c o i t i I u ~ w c n Italw delle R q m n t r w d a r.tultanie da idw nelle limitazioni mutuamente consentite a livello internazionale e nell'autonomia di tutte le comunità territoriali. Secondo il principio di sussidiarietà, le istituzioni federali dovranno avere competenza solo nei settori dove si pongano problemi non più suscettibili di trovare soluzione a livello nazionale o regionale, dove cioè si domandi una grande dimensione di solidarietà (politica estera, politica della difesa, politica economica). I problemi che non hanno bisogno di grande solidarietà, ma che invece domandano un grande livello di partecipazione, dovranno essere posti a livello nazionale o, meglio, sub-nazionale, secondo una localizzazione che non è precisabile in principio e in assoluto, ma che dipende dalla migliore efficacia possibile della collocazione. Credo che per questa strada sia facile contrastare una concezione puramente strumentale dell'Europa e favorire quel coordinamento che oggi manca fra i diversi livelli di decisione. La mancanza di questo coordinamento è certamente causa non ultima dell'appiattimento e della decadenza delle nostre istituzioni. La crisi politica ed economica che stiamo vivendo pone chiaramente una sfida. Dobbiamo accettarla, chiarendo però che la crescita della società europea verso un orizzonte federale non è soltanto lo strumento necessario a conseguire dimensioni più adeguate ai nuovi problemi del mondo. Essa dev'essere anche il recupero di una nuova dimensione culturale e funzionale: in tale recupero il momento del coordinamento è importante e decisivo come quello dell'autonomia. Pertanto la risposta all'interrogativo che ci siamo posti non può essere: contraddizione fra decentramento e integrazione. Vi sarà certamente paraflelirmo, io preciserei: convergenza. Perché la dimensione grande e insieme articolata dell'Europa che stiamo costruendo avrà ben presto un effetto dinamico e moltiplicatore, com'è per tutte le grandi scelte della Storia. I~&LI&NA d e@<n& wperatp daiha IIWDVII P E R IL C O N S I G L I O OEi C O M U N I O'EJROPA rlalvra ord~nwmnon e la puntigliora dllusl$one di un d ~ l l a l o<osl,tu frablt.mat.<a ~ t a n a n r r iioridie e polit#ca che fialianio % I e iniporfa csra r t a t r a invece in una eoirnnia orntr, S , ~ I , I . J rnchrr ilagii iI!ri 5tik europos e d r q l ~S l r l ~demasrattr~ di oqni parte dr l m,do La reg<onal,rirz&w e ovunque Ià msrura chsrvc di una rtrutiura moderna del decpntramcrito c qulndi drlla e - l f l ctrma starvde d o che osa pairr p- R r g i o n * a u t o n ~ adolate dr avvocpverna derivato d~toiiiimrnli~ d a un, d r l ~ q a[mpo lave nugli Stati a repnrn cocrcntiinn**l$cd#*mscratrra !n xnfanxa I r Regqont rlalian~pcs~anoP d e b b o rrrrr a d~twrninatc cond~t~onfr.I~men?iinwst>lu~bdiiatilurioi~ali In un mondo bacato \ul r pclitrct della C O % ~ U Z I < Y d (B a una F e d e r i ~ a ~ euro9l.a l~g rovranez<onalc tnte~ateme I crcastonc I tquikbrw del terrcro c. incapics dr valmvìzare le Narconi Un~tp p e r dar vtta a un modello eoonrplavc di wcteta di ava-i zeta demovir+a una d.Pmorrax<aaperta a Itvdlo di baw atlà partucipazsona pamanente di lutti I citiadtni a rapa<<. nello r t C o M t m p c , d4 rendere ad @se, tutti r ~pwl()i d i e $ f ~ f t ~ + ~inletnd nta a di rjpreoderbr I rn~ziativanella p0l;tlca mond~att' Iier -- nirrito &h d;mens<ane urvranaziond~ dicembre 1982 COMUNI D'EUIROPA 12 I1 nostro messaggio di Gian Carlo Zoli Ho scelto, per rispondere all'invito di non essere assente dalla celebrazione-esame di coscienza per questi trent'anni, di pensare insieme, ad alta voce, al messaggio culturale di questo periodo dei <Comuni d'Europ- (Associazione europea, sezione italiana, rivista). Ma ricordo i tre temi che ho scartato, sui quali si dovrà tornare. Non ho voluto scrivere le rimembranze. Ma i nostri compagni di strada che hanno cessato tutte le battaglie, quindi anche la nostra, e sono di là, meritano di essere ricordati. Proporrò qualcosa di preciso. Intanto prego per loro e con loro. Non ho voluto sviluppare un discorso che, in ogni sede politica e così riguardo alla nostra famiglia, va affrontato con serietà perché in ogni casa se ne parla, e con faciloneria, spessissimo. È il tema del rinnovamento, delle faccie nuove, di noi che non ci togliamo di torno. I1 fatto che non senta il minimo rimorso, perché continuo dopo oltre ventisei anni, non esclude che il discorso non possa essere evitato. Ne parleremo. Non ho voluto nemmeno sviluppare un altro tema, anche questo non esclusivo alla nostra Associazione ed alla nostra rivista, ma comune a gran parte dell'attività politica: tema che merita un discorso serio. Benché parliamo e scriviamo tanto, e l'apparenza possa proprio essere che si giri a vuoto, non ci sentiamo dei perditempo. Anche di questo riparleremo. Dunque non ho scelto questi tre titoli: Amarcord; fuori dai piedi i vecchi?, ma son proprio chiacchiere? voglio esaminare la nostra coerenza. Abbiamo scoperto e diffuso un messaggio culturale? Siamo coerenti? Esiste una «filosofia*del CCE? E in che limiti la perfezioniamo e la diffondiamo? La grande intuizione del CCE al suo nascere, quando ancora non si proclamava il principio di sussidiarietà, fu che una è la battaglia per l'Europa e per l'autonomia. Non sono due discorsi~sia pure ma uno I1 rifiuto di considerare la comunità nazionale realtà più nobile e più importante delle altre comunità, più piccole e più grandi; la ribellione alla ineff~cienzache nasce da dimensioni anacronistiche per eccesso (dopo che si è estesa la possibilità di partecipazione) e per difetto (dopo che molti problemi si son rivelati almeno continentali), cioè il rifiuto in pari tempo del centralismo e di confini che limitino l'azione, tutto questo ha fatto sì che per noi sia da ben oltre trent'anni chiarissimo che ComuniEuropa sono una sintesi e non una antitesi avolete unire l'Europa e insistete per le divisioni?» dice lo sproweduto. Ma non ci mette certo in crisi. Ma come nostro problema reale è conciliare la grande battaglia a termine non breve, anzi adesso utopica, per gli Stati Uniti d'Europa, con la risposta alla singola esigenza, datata giorno, mese ed anno, degli Enti associati, così Anche su <Comuni d'E~iropauchi vota per il Consiglio comunale partecipa ad elezioni amministrative, e chi vota per la Camera dei Deputati partecipa ad elezioni politiche! Anche nella nostra famiglia si parla di internazionale dove si dovrebbe dire eurolpeo, e si accetta che la battaglia europea sia considerata politica estera, mentre è fondamentale riforma istituzionale. Anche su <Comuni d'Eiuropa si identifica l'autonomia con le istituzioni. Esiste anche 1'autonomi:adelle istituzioni. Si è detto «Appena avremo fatto l'Europa inizieremo l'azione per difenderci dal suo prepotere*. Ma ci può esser motivo di difenderci anche dal prepotere dell'autorità. regionale o provinciale o comunale. E qui il discorso va alle lleggi che hanno soppresso con enti morti, valide iniziative frutto di fantasia e di generosità. E va al famoso corporativismo. Si nega, mi spieigo con un esempio, che se i restauratori dellar Primavera avessero autogoverno e incidenza giuridica otterrebbero che fossero restaurate anche le pievi di Romagna; e raggiungerebbero livelli economici da invogliare anche i giovani :a quel tipo di lavoro. L'essere per Lenin o per Si:urzo o per Cavour o per Mazzini non è la sola sede d'aggregazione. Paradossalmente, se ci fos:sero state le corporazioni degli imbianchini e dei verniciatori e quelle delle altre arti e mestieri, la strada di Hi- tler verso il potere avrebbe avuto maggiori difficoltà. I1 cenno ad Hitler mi porta ad un'altra osservazione. Agli Stati Generali di Roma gridammo visivamente che la Federazione Europea è una vocazione figlia della Resistenza. Anni dopo Willi Graf fu in prima pagina. Ma queste cose bisogna dirle di più, senza paura. Sono vere e belle. Non temiamo le incomprensioni. Facciamole capire. Forse questa scarsa insistenza fa parte della nostra consuetudine di non continuare anche col fiato grosso certe escursioni in forte salita. Sembrava che ognuno di noi andasse a Madrid perché l'Europa senza Spagna ci fa piangere ogni sera prima d'addormentarci. E poi? Ho fatto degli esempi. Non continuo. I1 mio non vuol essere un articolo distruttivo e contestatore: e se la facessi troppo lunga lo diventerebbe. Vuol essere, in occasione commemorativa, espressione di gioia per aver trovato nei <Comuni d'Europa* una proposta così vera; e vuole spingere perché il nostro messaggio sia coerente e sempre approfondito, sì da farlo più efflcace nel passaggio da messaggio culturale a battaglia politica i cui obiettivi meritano il nostro faticoso e lungo impegno. Ho cominciato ricordando quelli che sono dall'altra parte. Prima di incontrarli di nuovo mi piacerebbe partecipare alla festa per la liberazione di tanti oppressi; ed al Te Deum per la realizzata unità della Chiesa; ed essere cittadino degli Stati Uniti d'Europa. Dico: degli Stati Uniti d'Europa, la Federazione europea. Dobbiamo proprio chiamarla sempre <Unione Europea?, P - Mi&?ROMA ORG&CI;FIOM E N S I L E D E C L , AIGCE ASSOCIAZIONE da8 ori.%rtfe-.rs alla roqione per una Coni&,nito ex.trooPa f e d ~ r a i p UNITARIA or COMUNI verso la costituente europea PROV~NCE REGIONI dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 13 Urbanisti.ca in crisi pinione contro «i lacci e i lacciuoli~comunali che, servendosi delle nuove «leggi liberticidi Giuseppe Campos Venuti d e e~ dei nuovi strumenti urbanistici da esse consentiti, stavano provocando la «crisi ediliChe in Italia l'urbanistica attraversi un mo- ne e dalla prassi urbanistica democratiche negli z i a . Per la verità non mancavano gli errori mumento di difficoltà è forse una affermazione ultimi venti anni. Si sta infatti ripetendo oggi nicipali destinati a servire di pretesto alla nuoeufemistica. E dall'Europa arrivano segnali l'atroce inganno ai danni della opinione pub- va campagna: in troppi casi la burocrazia si era controversi. In Francia il decentramento ammi- blica, che travolse nella primavera del 1963 la impadronita dei cascami delle novità urbanistinistrativo e la politica dei socialisti dovrebbero proposta di riforma urbanistica sostenuta dal che, provocando lungaggini interminabili per stimolare il rilancio dell'urbanistica, ma la le- ministro Sullo. Da allora in questo settore le l'abbattimento di un tramezzo, quando magagislazione innovativa allo studio non è ancora forze più moderne della cultura e della politica ri trascurava di intervenire per una lottizzazioabbastanza esplicita da rappresentare una vera nazionale avevano pazientemente ricostruito le ne abusiva. Sarebbe bastato correggere questi e propria svolta rispetto al periodo di stagna- proprie file disfatte e gradualmente, non senza errori, senza gettare il bambino con l'acqua del zione precedente. In Gran Bretagna i conserva- ritardi, errori e contraddizioni, avevano messo bagno. tori hanno da tempo frenato le spinte pianifi- insieme un quadro legislativo abbastanza avanChe la campagna antiurbanistica fosse in catrici del passato e la nuova opposizione labu- zato, una gestione comunale non più sempre malafede si è visto chiaro e tondo, dopo la scorista non ha fatto certamente della questione succube degli interessi immobiliari, un disegno perta che la crisi edilizia era un falso e che, al urbanistica il suo cavallo di battaglia. In Spa- culturale rispettato anche fuori d'Italia. Quan- contrario, una seria gestione urbanistica sarebgna si scontrano due tendenze contrapposte, do proprio sembrava che le vicende urbanisti- be stata oggi ancor più necessaria di ieri. Perrappresentate dalla linea di Barcellona - aper- che italiane si avviassero ad un periodo di lento ché il grosso patrimonio abitativo realizzato tamente negatrice dei valori urbanistici - e da miglioramento, si è innestata la retromarcia. negli ultimi trenta anni, nato in gran parte quella di Madrid, che sta coraggiosamente tenCome nel '63 è cominciata la campagna d'o- all'insegna della speculazione e del disordine, tando un radicale recupero urbano attraverso un piano ormai quasi ultimato. Perfino dalle Nazioni tradizionalmente caratterizzate da una crescita programmata delle città arrivano notizie preoccupanti: cosa sta succedendo, ad esempio, con la ristrutturazione del centro storico di Amsterdam? Da noi, comunque, le vicende urbanistiche sono più allarmanti che altrove. Oltre la metà dei comuni hanno ormai rinunciato perfino a registrare le nuove costruzioni: al punto che I'Istat per tutto il decennio trascorso ha fornito falsi dati allarmanti sulla tragica crisi della produzione abitativa. Che poi, con il censimento dell'ottobre 1981, ha dovuto clamorosamente smentire, informando che gli anni Settanta avevano segnato il massimo boom edilizio della storia italiana. Se oltre la metà delle costruzioni non sono neppure registrate dai comuni, non poche sono quelle apertamente abusive: a Roma si è riusciti a contarle (pare che ci abiti un quarto della popolazione), ma altrove specialmente nel sud - non ci si prova neppure. Ciononostante si è pensato che una colossale sanatoria onerosa, poteva servire a raggranellare un bel po' di miliardi per le esangui casse dello Stato. Ora si torna a parlare spaventati di una crisi edilizia, che non possiamo certo controllare per colpa della più completa mancanza di rilevamenti comunali. Sarà forse per questo che nessuno sembra preoccuparsi di fronte a notizie come quella sulla disputa fra il comune di Arzachena e il consorzio della Costa Smeralda, che chiede di costruire 6 milioni di metri cubi di costruzioni turistiche. I1 fatto è che dietro questa cifra tecnicamente asettica la proposta è quella di realizzare in questo meraviglioso pezzetto di Sardegna 150.000 o forse 200.000 posti letto: mezza Rimini scaraventata nel giro di pochi anni su quella costa priva di retroterra logistico e di infrastrutture! È suscitando queste speranze e queste prospettive che si vorrebbe fronteggiare la crisi paventata, le cui cause strutturali sono profonde e molteplici, a cominciare dal costo del denaro ormai arrivato al 2 4 % . Lo spauracchio della crisi è fin ' ora servito ,~~~:,,;~;~~;~it;;,,$;;;~t!;;n~$ ;;:;! lB~:,~ ~ ; ; ~ q d ~ ~ 2;cl;f ~ $ ~ ~~ m & , ; ; ~ ~ , ~ E ~~ &I'AI"° Che n*r Fr te l"... lL'a\Ase d d l l ~D,tvlt"cYU &IeguIm.' 'wknw s la Regltnw fidtmu W i U < w ~ ~ t t l ta an i peru p"ncipalmente a con ferocia r$iptc. srrriraic N -~omi,ni d'l ur.,pro w.pw di(lid*(<l 9 ~(es-21 9(1twd, W . le conquiste raggiunte a fatica dalla legislazio- .. ~ dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 14 esigeva finalmente di essere riorganizzato da un sistematico intervento urbanistico comunale; per risanare le periferie degradate e i centri storici in via di terziarizzazione, costruire i tanti servizi sociali che mancano e affrontare seriamente i problemi della mobilità urbana di massa, acquisire o realizzare parchi e ammodernare radicalmente le reti infrastrutturali per l'energia e l'ecologia. Era questo, in fondo, il più avanzato punto d'approdo programmatico realizzato dall'incontro fra le concezioni urbanistiche olivettiane, le analisi mamiane sulla rendita urbana e le aspirazioni ugualitarie dei cattolici popolari. Questa composita alleanza cultural-politica trova oggi difficoltà a ricomporre le proprie file, come invece aveva fatto dopo la sconfitta della legge Sullo nel '63, quando il ~movimento urbano, e le spinte operaie, sul finire degli anni Sessanta, avevano permesso di rilanciare la problematica per .una città a misura d'uomo,. Oggi l'opinione pubblica preoccupata o assuefatta? - dall'endemica crisi politicoeconomica, non reagisce più come ieri agli errori della gestione urbanistica locale e tanto meno sembra sensibile alla gravissima involu- zione incombente sulla legislazione urbanistica nazionale. Il corpo di norme giuridiche e di prassi operative costruito in venti anni di gradualismo riformistico per l'urbanistica italiana non è certo senza difetti, ma si presenta come una piattaforma assai più avanzata e moderna del suo punto di partenza. Da questa piattaforma è possibile ripartire per emendarne gli schematismi e correggerne gli aspetti di dubbia costituzionalità. Non sembra questa invece la strada imboccata, almeno a giudicare dalle proposte formalmente avanzate a livello governativo, che contraddicono platealrnente la storia politica di forze importanti di governo: mentre la stessa opposizione di sinistra non ha certamente privilegiato questo terreno per la sua lotta politica e culturale. Le proposte avanzate porterebbero l'urbanistica italiana più indietro della stessa legislazione fascista del 1942. Non solo distruggono d'un colpo il rifiuto di riconoscere i valori immobiliari prodotti dalla rendita urbana, ma impongono ai comuni di pagare una «tassa di pianificazione, alle -proprietà, non tanto per espropriare i suoli - cosa clwiamente logica - quanto per avere il diritto di sottoporli alla disciplina urbanistica. In pratica si vorrebbe disconoscere la potestà municipale di attribuire il diritto di costruzione, introducendo di fatto nella legislazione il principio che il destino naturale dei suoli - di tutti i suoli - è l'edificazione e che, dunque, ogni edificazione mancata va indennizzata non al momento dell'eventuale esproprio per pubblica utilità, ma anche al momento in cui il piano la stabilisce. In fondo a questo principio c'è l'apocalittica visione di un territorio nazionale tutto interamente edificato, con qualche campicello o giardinetto strappato a caro prezzo al cemento dalle esauste finanze comunali. Il caso del comune di Arzachena che - dopo un'estenuante contrattazione, per ottenere in cambio qualche investimento «produttivo, dai promotori dell'intervento - è in procinto di ospitare 150.000 o 200.000 posti letto turistici, con la distruzione inevitabile proprio dei presupposti turistici dell'operazione, è dunque l'esempio emblematico delle prospettive dischiuse dalla proposta legislativa nazionale. Ma nessuno mena scandalo per le trattative di Arzachena, come in fondo nessuno ha sollevato radicali e massicce obiezioni di fronte all'enunciazione del principio giuridico che le rende lecite. Eppure il panorama urbanistico italiano registra contemporaneamente notizie più confortanti. I1 comune di Modena, per fare un esempio, conclude una fase esemplare di sviluppo urbano fatta di servizi sociali costruiti in tutta la città, di quartieri popolari e di insediamenti produttivi modello, realizzati su aree sottratte O R G A N O M E N S I L E D E L L ' A S S O C t A I I O N E ITALIANA P E R I L CONSIGLtO DEI COMUNI D ' E U R O P A alla speculazione, progettando un gioiello urbanistico, un parco di 100 ettari a due passi dal centro storico e facendolo pagare quasi tutto alI'iaiiifit*azionc. ciirol>txa Pr1tt.i.i I o i ~ i l i le banche che costruiranno edifici direzionali ai suoi margini. Mentre, per fare un altro esempio, a Napoli si tenta di utilizzare i finanziaCondirio sine qua rton SOMMARIO menti statali stanziati dopo il terremoto per riSe do %arie il fnnrte dr-mwretlu I~rru<irw.di una p~uoifi<a~i<mt" dnnvfa. sanare l'intera ~eriferiadegradata, per portare i r r I'Xt:rop$ <rt*dirrilo xeni ynio €arm- run <i<-! zarrif~~r~o P qtdwd~.ds i ~ n on r t o t ~ iliit<taoi:>a n t i t r < i <li 5 1 M &l& UIPU- n,rle-m1 f,&nnf<di aaruri<nna dg) Putcn ai 400.000 napoletani che ci vivono non solo :btg.c,~x)!itirhc 1rciii:tnial~ --- c m noanIrmlt nuove abitazioni per i senza tetto, ma special,'l,; t,,.lru :o Syriru, rrnla>7desrcr'<r!n~Y1te #*m In que.vlu nurnrn Dinuogrufuu di r C o i'..!'* da ,*$se srill<cralo da r r x -. nm rniink d Eurorm dadtt'urri nl turno drl& mente le scuole, i giardini, i servizi sociali, che m#* rri!,:ro rnd<!juri.nfe rr<llo qriulirù <mr*rfii u:irrnr drl tcrnf<>rirx eurnwo e dt &*dos:iimr wr sl t ~ r t o .nt Iraunu &oltrzra rrai<mntd romnnrtonB, ar cerda cento anni nessuno aveva mai costruito. r%rrrdt r mt rare J dimpnn del molo chr <a10 di dure uria i # ~ # mire iwmpleB) do,i IC!-.' F.'rlc!.z:r,~au doi'ra pa-N nel m- currirntuzf<bM dr cnmr rti qUr6UI CI*\P m Cosa significano questi esempi - e i molti I ! < br<.r.c, d~nun.rntic* avrapti debne6 tempo. chmnto l<* tdep tf C'UM~LU~ I ~ i ~ r i * u.c:rndara , una i'cdemir<nzo ravmao- dei Crmtritia d'lurnp, pnriiedanunre ad altri, perché non si tratta certo di rare eccezioni zi<**i!.'k, saa rnpire di mnlnbnin a m h i c ~ l i e~ilItcrali r ynlit~n.m n a u i l t ed . rr,. che a itr-cllo rnm~dralo, la lotta iwtm nar%p.r. qmuili esso awzw ed ha - di urbanistica sociale e civile? Si tratta degli mi*: P W T la - r h riebm ~ ad * a m i irniru nronahrr> dt irlrt. r d~ pnaaml~ E' >nn Ia .Irl rr<$<irwr r w o p . i ultimi fuochi di una fiammata che si sta esau(nrir. liintirnw drrcumrnta~k ,I di<lkgr> r b vlririrr L?L>-<<III. 14. '1 t uv.i)xa ,l+\",,<, n. 4. e<., , <l>' riolierinu!a rsiidtatiu rlol W'E ioa ia C*rendo, o invece sono i segnali di una ripresa ii>i<nit~r~< iIi km~.rlcta I'.\nitt niuribru E<nnrim~wnG r n ~ m .,.l* Il* p.a che, ancora una volta, vengono dal Paese reale Zr?w wnrlrstone c o n m w w rhc mr<Ipe*M l <. r,..bl,#,",,,' .l,ll. \ s l'l lt* trnro anuthriitri dr d u h k , dal ~ i M n ulorwrci e attendono di essere interpretati, raccolti e t., udm,,, al2 12. che cure i<w asndvnn»nr del iemtorir> dsHrrrw-r W. -J nir>nolUQ kd FUTfPI*'. aniéuzln, *W q1adiffusi dai vertici politici e culturali della NaPIM, ~ e ~ t l a w r run.t* s r n m.. stimm dr Istitaiii?n$ ndrlnuilc Srnui Mltu".,i ,l*,',,." , ,l* ' ma* avi ran<rraonalt. %Ailu'he r atr.mrie riet zione? Dove sta scritto che la crisi economica eaioriian rts P ~ e li neli* psr 21 h> vìmb9te tnir p i s n i $ ~ i n ~ ~ rum m c mra aa P<>~PII 11.7111 rri debba essere affrontata con le controriforme eu~opmne d - m m a t l r a P e l f m i f ~n m p#m iorio r i<xn%riet<iarn iIi mrkm dr uns drtm rrp(orrnk cmanir<rr<a trm8n8 I>ikaln.r mi. Ih urbanistiche? Nessuno ha potuto dimostrare a d c t n m l m r a m che a: dra P*PF( a la .t~.l,sr4*x,~e <l*, l l g ~~ wpowil&C * lo 10 famw eaiche una politica urbanistica moderna e avanzaipst ni trofhrr derna+0linrn>pntc t1 eke raol diw \ . * ~ 4 # l j &li* mu.rbPe >leel, t,,,, l,. rmpinfpe k rcpmiu bunrratvhr (cnimta costa di più alla collettività della politica di rd. nrlla ib~+nnmarwwi< ilrlla tnrli &iran$snii.nl< wll ,I< lfa < + E Hche. corpwairr.e temr. del& qurata ayrr a restaurazione voluta dalle grandi immobiliari: d i Tre, *ipnrnr )ma i ( *?la ratto VI p r u b l m . G R Z ~e ado (*P>kaliippe rm$i<itt>w<$ r rr*ianlmm.,s$<ntii &m: me anrhs re queatri nirrrtxr d ~ t - eWper non parlare, invece, degli enormi costi songwns& iwtIi I t t .le 1 1 3 *m: eatdraitr che t w ~ ~ r m a l r ~ n rccnt~alimao u. Pnira twr ciali che quest'ultima si porta appresso. Perché Il Uhn*rm'l,*m 't, l I l t .<,Il." p > t > i r < rrsina*k. J<.I Urri ta i pn il pericolo della controriforma urbanistica, alla nn. ULi Gt* miamwratt del t ( 5 wtlla ~ P T , I # è proprio questo: la spesa pubresa dei conti, sin v~mns*.-(*a (11Iiiai>lr.inri, I ' u m i n c m r nm wr mi Yenini ipa* I: blica ridotta allo stremo non ci guadagnerà I ail mliqra ngrmnlr prr l e<$ei#lilrral*r una lira e ci ritroveremo alla fine con una strut.$,lilyp<a d ~ l bI r,mitriiia tiirritrr &,n m i cnn,,nrraci"nt ,t< Il. 1 &Il. t CF d 8 ,h Hirii-*ti tura urbana e territoriale impoverita e degradaUIEesra m IFI nel srrol rtston nucsto amam tuma diewtesErro rnss mtenta sul piano sociale e produttivo. Sapremo troIrikni ,li i n<lriru %+?aTiii~ a lhni d*rw p e axoaa ~ E~~opa. \la*<r ~ r , t i2' U. 8. . ' . vare la forza per invertire la rotta? del territorio I ittin i 1:rriiri . i. tw.i <-%<i C +i--< SI .tra i B S . . s i., p, !:I~LP .SI 6% FPFP xsiairria is~,~ir t D v-r r i ,.t,,, \i i .T$".." Iii l,,. **,",W ,t,,",,<> C ,h" ,. ,.'.,,,*lil 33,. i 13, tnt ",<t% V.,,,C, .'*li.l.> X,*L4, bIiI <i ~*iiiiimti< M .<alt #<,,P,,~L iiii>$-ihi 11, bli<si.o .&I i mnaiii* w t s lua oi>imi..,nt,. nti.td>u 1p.r S . . t &l It dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA I principi d'azione del Manifesto di Ventotene di Mario Albertini Secondo un giudizio ormai ampiamente condiviso il Manifesto d i Ventotene - scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi quando si trovavano al confino nell'isola di Ventotene - è il più importante testo europeistico della Resistenza. Ma questo giudizio non basta per stabilire quale sia il contenuto effettivo di questo testo - e degli scritti che lo completano - perché il termine aeuropeisticou è così vago da far stare sotto lo stesso segno le cose più diverse, e perfino opposte. È meglio dire che il Manz)ésto d i Ventotene è un testo esemplare della letteratura politica militante del tempo della Resistenza; e affrontare, almeno nel suo fondamento, il problema di questa letteratura che, pur essendo chiaramente riconoscibile per il suo oggetto (la politica militante) e i suoi testi (da Machiavelli a Lenin), non ha ancora trovato né una sistemazione teorica efficace né adeguate chiavi di lettura. I1 dato cruciale è che non c'è ancora una distinzione ben stabilita tra ciò che si trova in questi testi (specialmente quelli della nostra epoca: il caso classico è I'imperialismo di Lenin), e ciò che si trova in qualsiasi rendiconto di storia contemporanea, come storia scritta da chi non si propone di farla. Ma così resta celato proprio il vero oggetto di questa letteratura, il cui elemento determinante sta nella volontà, e più precisamente nella volontà che fa quanto può per diventare storia. Il problema dunque è questo: che tipo di fatti cade nel campo visuale di chi esamina il suo tempo solo come un puro osservatore, che non si occupa del futuro o si limita a prevederlo standone fuori (come nei cosiddetti «scenari» oggi di moda, che riducono la storia ad una vicenda meccanica che si svolgerebbe secondo questo o quel filo noto solo agli «esperti»), e che tipo di fatti cade invece nel campo visuale di chi esamina il suo tempo con la disposizione mentale dell'uomo attivo, che si occupa del futuro, e del presente soltanto in funzione del futuro. Solo per non lasciare nell'ombra l'ampiezza e la complessità della questione, bisogna tener presente che nel secondo caso, beninteso quando si tratta dell'attività politica, si ha a che fare con il tentativo di sottoporre il futuro ai piani della ragione. Ciò comporta, tra l'altro, che si ammette la presenza della ragione nella storia (cioè che la storia abbia un senso); e comporta anche che si sceglie di fatto il progresso - invece di chiedersi in astratto se è possibile o impossibile - evitando così l'errore catastrofico di applicare la ragione a tutto meno che a ciò che decide di tutto, il corso della storia. Ma ciò che conta, nei limiti più ristretti del nostro esame (la distinzione tra i due tipi di fatti), è che con questo modo di pensare il presente e il futuro assumono una configurazione particolare. Testo della prefazione alla nitampa del Manifesto di Ventotene, Napoli, ed. Guida, 1982, curata dal Movimento federalista europeo (MFE) e che Q o r t a una funga intervista d i Sonia Schmidt adAltiero Spinelli. Il presente - la situazione storica in atto non viene pensato a sé, come qualcosa da accertare, ma come qualcosa da integrare nei piani della volontà, e perciò da considerare insieme coi suoi prolungamenti realizzabili a patto che riesca questo o quel piano d'azione (una linea politica generale). Dunque esso assume per un verso il carattere di mezzo per i fini di una lotta, e per l'altro quello di una situazione che ha senso; e il cui senso sta proprio nel fatto che contiene la possibilità della sua evoluzione verso una situazione nuova, e tale da migliorare le sorti dell'umanità. A sua volta il futuro non si presenta nella forma di una semplice descrizione (colme nelle pseudo-previsioni del falso storico contemporaneo, o sociologo, o esperto), ma nella forma specifica di nuovi principi d'azione e delle conseguenze che ne derivano. Ne segue che anche rispetto al futuro il pensiero assume la forma della realtà (I'azione è il futuro in germe); e, più precisamente, della realtà che si può costruire con la ragione perché i nuovi principi d'azione, se sono davvero tali e non automistificazioni, collegano il presente al futuro secondo un ordine stabilito dalla ragione. Con queste osservazioni si giunge al cuore del problema, cioè alla relazione che esiste tra l'elaborazione di riuovi principi d'azione e il riconoscimento del carattere iniziale dei nuovi processi storici. Questa relazione deve essere considerata non solo come un fatto pratico, ma anche come un fatto teorico. E per stabilirla bene sul piano teorico bisogna tener presente in primo luogo che chi si occupa del futuro cerca di isolare nella realtà storico-sociale in atto quei dati di fatto che. se vengono sviluppati con un'azione adeguata, possono determinare una situazione storica nuova. Bisogna inoltre tener presente, in secondo luogo, che questi dati di fatto, siccorne hanno la natura di possibilità da sfruttare, sono riconoscibili solo attraverso la messa in evidenza di queste possibilità, cioè con I'elaborazione di nuovi principi d'azione. In ogni altro caso la loro peculiarità non entra nel campo visuale. Ne segue che il metodo di conoscenza della politica militante è il solo con il quale si può tentare di acquisire la conoscenza di una precisa singolarità storica: quella dei nuovi processi storici al loro inizio. Solo con questa distinzione tra conoscenza storica del passato (ivi compreso quello che perdura nel presente) e conoscenza di nuovi processi storici al loro inizio (al limite la conoscenza del processo storico globale, cui tuttavia non si è mai pervenuti sinora) non si corre il rischio di fraintendere il senso della letteratura politica militante. Basta, per rendersene conto, pensare a L'impenalismo, fase suprema del capitalismo di Lenin. Secondo la lettura più comune (almeno fino a qualche tempo fa) il contenuto di questo testo sarebbe la descrizione dei tratti essenziali della storia contemporanea. Ma se fosse dawero questo il suo tema, sarebbe anche vero che si rratterebbe di un libro completamente sbagliato perché il capitalismo in- vece di crollare ha conosciuto un nuovo ciclo di sviluppo. E non basta. La conseguenza peggiore è che questa chiave di lettura cela il vero significato dell'Impenalismo perché non consente di constatare che Lenin, pur essendosi sbagliato circa il senso della storia contemporanea, ne aveva tuttavia colto genialmente un aspetto, quello costituito dall'inizio di un processo storico nuovo in Russia e nel mondo coloniale dei paesi poveri, sottosviluppati e dipendenti. Ma ciò risulta chiaro solo a patto di non cercare nell'lmperialismo, e negli scritti che lo completano, solo il presente come una cosa puramente descritta, ma anche, e soprattutto, il futuro nella sua vera forma, quella di nuovi principi d'azione (e senza dimenticare, naturalmente, che ciò che è dawero nuovo emerge a fatica, sommerso, com'è dall'immane congerie del vecchio che ha ancora, in quel momento, l'apparenza dell'intera realtà). Bisogna dunque tener presente che dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, e la caduta di quasi tutto il socialismo occidentale nel socialsciovinismo e nella guerra fratricida che aveva messo tragicamente in luce l'impotenza del movimento operaio, lo scopo di Lenin non era quello di descrivere il mondo com'è, ma quello di far diventare di nuovo possibile una lotta che non sembrava più possibile per la scomparsa stessa del suo protagonista, la classe operaia, che aveva subito con una passività sconcertante il corso degli awenimenti. I testi di Lenin sono trasparenti al riguardo: «La classe operaia non può assolvere la sua funzione rivoluzionaria mondiale senza condurre una lotta spietata contro questo tradimento, contro questa mancanza di carattere, contro questo servilismo davanti all'opportunismo e contro questo inaudito avvilimento teonLo del marxismo~(la sottolineatura è mia; il saggio è Il socialismo e la guerra, scritto nel luglio-agosto 1915 e distribuito ai delegati della conferenza di Zimmerwald; il bersaglio è Kautsky e, più in generale, la Seconda Internazionale). E quando ciò sia "". ."... ,.* ?_.. .'m /A< C1."* ^ U ..I.., ,I>n<L~'~~.>."I.r,.._ <,:<mXi. V , ^ . / 8-,. & .a %.""A* ,W .A .L? W> .-a, L, -.., i.,... *.. .&" >, .. <,.*<_ ,l<lA-- -,,~, *&. .*. .-a.II., > ..e"".,,,m, e* 4 " ~ __<.*U> h-,W. ,,*" *S.-*" .a_Um, *.. ,<-,.,*< -,ir ,,"<"-..I_ * ,",,_ i i & , "-a i" $</_".*.I1 ,r h ', ,'*." ,,~*-.~'..,- '&" -,**4,..=, ,".."%. <"e~ 3 ~".*," *e ,.,-. ,.".. ,.,*sa,,*,*~ " S.,, "".i ,.., , . ,. 1.1 , .v:,,* . _,>.-..*' _n< /I.. <. -*. r i,, Mk " I _*"/> ."< ,*i yn.n^l <,,b ,l~n. '%/ I « ;_/ .. , _. r *.*.I ..*,i-<.V -* ?',,_< +.<.,,._l ./, a"...,-lm.> '_%M.i<_,"I ,*"~ ,,- 1, <q,.." *. i., /*..." -> .".M - .. 4*"..b*b.>L '>/Ll-.* / _ _ , * *,,e -.i**I*"XI*9>". ,," *,*^<,_%"ai/. e , d% .,,,,*-.. .,"<,"*LV.% I.-<< > ,>l<- I < ,W>', ,q*j ,* jj/_** % ,, *,_,,,, *. .l.l . e -< i & . '., *<.-, %*I *",.,,' k ~ , " . - m ,.".8,.,I &k-.,%"m,.- !a-.E l-,.<." I . s.,,.,.> %,", ,.,~W, %X 6, I< _,L .-,lXX"I1 SU ,:, *..,,.. . . , .i.*,:" << I _Q" W . ... ..-. COMUNI D'EUROPA chiaro, come lo è ad esempio, almeno parzialmente, nell'analisi di Lelio Basso alla quale rimando (l),si constata proprio che nel pensiero di Lenin l'elaborazione di nuovi principi d'azione coincise effettivamente con le prime forme di conoscenza di un processo storico in germe, che oggi ha proporzioni tanto vaste da includere anche la Cina e il suo risveglio. Considerazioni analoghe valgono per il Manifesto di Ventotene, ed è Spinelli stesso a farle apertamente quando ne parla. Egli ammette di essersi sbagliato circa il carattere globale della situazione che si sarebbe prodotta con la sconfitta della Germania e dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Non avendo preso in consi- derazione la possibilità (anzi, I'inevitabilità) del capovolgimento della politica estera degli Usa e dell'urss dall'isolazionismo all'interventismo, Spinelli e Rossi non pensarono nemmeno che gli Usa e 1'Urss avrebbero assunto il controllo politico diretto dell'Europa, assicurando così nella prima fase postbellica una stabilità politica altrimenti impossibile a causa del crollo politico e morale degli Stati nazionali. Sfumò così il progetto di sfruttare l'instabilità politica del primo dopoguerra e l'estrema debolezza degli Stati nazionali per fondare gli Stati Uniti d'Europa. Ma Spinelli ha ragione quando afferma di non essersi sbagliato nel formulare due nuovi principi d'azione; e il tempo trascorso ci permette di constatare che anche in questo caso l'elaborazione di nuovi principi d'azione ha coinciso proprio con le prime forme di conoscenza di un processo storico in germe: quello dell'unificazione europea. I nuovi principi elaborati a Ventotene sono a ) la priorità di un obiettivo internazionale, l'unità europea (cioè la federazione europea: non esistono altre forme stabili ed efficaci di associazione di Stati) rispetto ad ogni altro obiettivo politico e sociale; (1) Lelio Basso, La teotia deff'impe7iafismoin Lenin, in aAnnali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinellio, a. XV, 1973. h ) lo spostamento della liinea di divisione tra progresso e reazione dal campo nazionale a quello internazionale. Spiaelli e Rossi osservavano nel Manifesto: uSe (con il mancato superamento delle divisioni dell'Europa in Stati nazionali sovrani) la lotta politica restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe difficile sfuggire alla vecchie aporie,. E sulla base di questa diagnosi che si è rivelata esatta (gli Stati nazionali sono effettivamente ricaduti nella ragnatela del corporativismo, temperato solo da quel tanto di unità europea che esiste), essi affermano a giusta ragione che: t L u linea di divisione fra partiti progressisti e reazionari cade perciò ormtni non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore sociaiismo da istituire, ma lungo la sostanziale n.uovissima linea che separa quelii che concepiscono come fine essenzide della lotta quello antico, cioè la conquista del potere nazionah - e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle fone reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo - e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un .solido stato intemazionale, che indinzzeranno verso questo scopo le fone popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale)). È vero che questi principi sono stati applicati in modo costante e coerente: solo dal Movimento Federalista Europeo. Ci6 non toglie che sia anche vero che l'unificazione dell'Europa dalla fondazione del mecc:inismo comunitario ai primi passi del suo sviluppo democratico è dipesa sinora esclusivameinte da decisioni prese secondo questi principi. La spiegazione sta nel fatto (ignorato dal dibattito pubblico ma inoppugnabile) che in alcuni momenti gravi della vita dell'Europa, nei quali le decisioni puramente nazionali erano estremamente nocive o impossibili, degli statisti come Adenauer, De Gasperi, Schuman e Spaak seppero ascoltare degli innovatori come Monnet, Spinelli e i federalisti e agire dli conseguenza, senza lasciarsi ingannare - come accade troppo spesso - dai falsi consigli dei falsi esperti di questioni europee che ingombrano le anticamere dei ministri. Tutte le decisioni che corrispondono alla tappe della costruzione dell'Europa, nessuna delle quali, va sottolineato, è stata progettata e voluta da alcun partito o altra forza nazionale, presentario in effetti questo carattere. Vale anche, del resto, una prova a contraio. L'unificazione dell'Europa è stata frenata, e lo è ancora, sia pure inconsapevolmente, dai partiti proprio perché essi sono rimasti legati alla antica pnorità degli obiettivi nazionali, anche se ciò comporta la ricomparsa delle vecchie aporie e l'impossibilità di superare l'ordine imposto alllEuropa dagli Usa e dall'Urss alla fine della seconda guerra mondiale. La reiterata esperienza della dimensione soprannazionale dei maggiori problemi non ha ancora indotto i partiti a riconsiderare i principi tradizionali della loro azione; ed è per questo che la loro concezione del futuro, pensato ancora in termini nazionali, è così incerta. Ma i dicembre 1982 fatti urgono. In questione non è solo l'Europa. Lo sviluppo di forme efficaci di Stato nei grandi spazi nordamericano, sovietico e cinese, la costruzione dell'Europa, ed il risveglio di tutti i popoli della Terra cominciano a rivelare il loro carattere di momenti evolutivi di un processo di unificazione politica del genere umano che può concludersi solo con il governo mondiale e la pace universale. Non si tratta più di una utopia, ma dell'obiettivo supremo della lotta politica, della sola risposta ragionevole al fatto che il progresso della capacità tecnologica dell'uomo sta portando gradualmente ma inesorabilmente l'intero genere umano di fronte ad un bivio estremo: o la catastrofe nucleare ed ecologica, o la liberazione completa dell'elemento razionale della natura umana con la trasformazione dei rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici e con la fine della necessità di impiegare il lavoro umano come forza bruta o semplice meccanismo ripetitivo. È con questo metro che bisogna giudicare i principi d'azione e stabilire gli obiettivi intermedi. Bisogna ormai voltare le spalle al vecchio mondo. Dopo la liberazione delle classi e delle nazioni il problema che si pone è quello della liberazione dell'intera umanità come tale e di ogni singolo uomo. Nessun obiettivo nazionale, se perseguito isolatamente, può farci avanzare verso questa meta. E nessuna ideologia o strategia del passato ci consentirà di scegliere a volta a volta la giusta direzione di marcia. Bisogna - come i più saggi fra i dirigenti politici cominciano a dire - «democratizzare le relazioni internazionali». Ciò implica uno sviluppo dell'Onu che dia vita ad istituzioni che consentano l'espressione della volontà generale di tutta l'umanità. Si tratta di costruire progressivamente, in Europa e ovunque, un potere democratico che sia capace di abolire nella sua sfera gli eserciti nazionali, e di eliminare i rapporti di forza tra gli Stati associati senza privarli della loro autonomia costituzionale e della loro indipendenza effettiva. E c'è un solo potere di questo genere: la federazione come insieme di governi (il governo internazionale e quelli nazionali) coordinati e indipendenti, (2). Valgono dunque i principi di Ventotene. L'obiettivo internazionale deve avere la priorità. Ed è evidente che non si può indirizzare la lotta politica verso questo obiettivo se si dividono le forze sul piano nazionale in vista di obiettivi nazionali invece di dividerle sul piano internazionale in vista dell'obiettivo internazionale. È dunque sempre più vero che bisogna stabilire la linea di divisione tra il progresso e la reazione sul piano internazionale, e considerare la lotta politica nazionale solo come un momento di una lotta più vasta. In questa direzione, quella della federazione europea e della federazione mondiale, quasi tutto è ancora ignoto. C'è una sola certezza: il senso della storia contemporanea si svela solo a coloro che si propongono dawero di mutarla. La prima cosa da prendere in esame sono dunque i principi d'azione, ed è un fatto che quelli elaborati quarant'anni fa a Ventotene consentono di intrawedere le prime luci in un mondo che non sa più nemmeno se ci sarà un futuro per I'umanità. (2) K.C. Wheare, Federaf Governement, Oxford, 1946. dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 17 E chi, se non un'istituzione internazionale dotata di sufficiente autorità può mantenere un controllo sulle armi? La via è lunga e difficile: passa per la formazione di agglomerati di stati regionali e continentali, che innanzitutto eliminino al loro interno il pericolo della guerra; passa per I'influenza di molteplici e forti istituzioni che regolino per quanto possibile i rapporti fra stati e agglomerati di stati. Su questa via lunga e difficile si deve porre in umile ma ambizioso passo l'idea europea. Questo il corno giusto dell'alternativa e non quello che ha scelto Dyson, che pur vive nel mondo della scienza senza confini, anzi senza «barriere*, e nella federazione americana, uno dei cui padri fondatori Hamilton diceva: aSperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata nel tempo>>. Con questi pensieri chiudevo il libro con l'impressione di aver liquidato intellettualmente la cosa. Ma una frase del Dyson mi rodeva dentro, quella che a prima vista mi era apparsa solo presuntuosa: «fortunatamente la grande maggioranza sembra condividere le mie preferenze*. E riandavo ai vari sintomi di un rifiorire del nazionalismo, dall'unilateralismo globale della destra americana all'unilateralismo pacifista dei «verdi*tedeschi, passando per gli anti-marketeers britannici e, perché no, per chi da noi, a destra come a sinistra, parla di un'Italia che deve tornare ad «essere qualcuno*. E mi è stato ancora una volta chiaro come la battaglia per l'Europa richieda, fra l'altro, che si battano in breccia due pericolose illusioni, quella del nazionalismo buono e quella della scorciatoia diretta alla pace nel mondo. Contro due pe1icolose illusioni di Cesare Merlini La pace quest'anno è andata fortissimo. Così si potrebbe dire con il linguaggio insieme superlativo e vago diffuso tra i giovani, riandando alle molte manifestazioni e discorsi, pacifisti, ecologici, politici e papali. il fatto, purtroppo, è che anche la guerra è andata fortissimo, con conflitti, aggressioni, minacce e corsa agli armamenti. Così io vorrei riservare immodestamente queste mie brevi riflessioni al grande problema della convivenza umana, alla soluzione del quale ogni battaglia politica, dunque anche quella per unlEuropa più unita, va finalizzata. Mi offre lo spunto di partenza un capitolo di una lettura estiva, un gradevole libro, spaziante su molti problemi e di fine scrittura, opera di un uomo di scienze naturali, Freeman Dyson, inglese naturalizzato americano. L'ho letto con la particolare attenzione di chi è di formazione tecnico-scientifica anch'egli, s i parva ficet. . . È molto frequente in America il ricorso a studiosi per iniziative di tipo politico e il Dyson fu interpellato diverse volte. Una di queste fu durante la guerra del Vietnam per il progetto detto della «barriera»:si trattava di realizzare al confine tra il Vietnam del Sud e del Nord una barriera invalicabile . Idea folle, ho subito pensato, ricordando come anche il generale McArthur avesse concepito una linea di micidiali sorgenti radioattive fra Corea del Nord e del Sud, che rendessero mortale, atrocemente mortale, ogni passaggio dall'una all'altra. Così ho trovato normale che Dyson avesse rifiutato di esservi coinvolto. Ma i suoi motivi sono diversi dai miei: «io credo - dice - che la barriera sarebbe stata non soltanto efficace, ma anche moralmente buona, se dietro di essa ci fossero stati un governo e un popolo capaci di farla funzionare da soli*. È con viva curiosità che ho letto nelle righe seguenti l'esposizione della ufilosofia~del nostro scienziato, che si avventurava in politica. «A lunga scadenza, la sopravvivenza della società umana sul nostro pianeta richiede che si verifichi una delle due alternative seguenti. O fonderemo una sorta di governo mondiale, con il monopolio delle forze militari. O raggiungeremo una stabile suddivisione del mondo in stati sovrani e indipendenti, e le forze armate di ciascuno stato saranno limitate esclusivamente alla difesa del territorio nazionale. Per vari motivi, umanistici, culturali e politici, preferisco la seconda alternativa. Fortunatamente, la grande maggioranza sembra condividere le mie preferenze. Dall'inizio della storia umana fino ad oggi, i grandi imperi si sono sempre disgregati e imovimenti miranti alla creazione di un governo mondiale non hanno mai raccolto vaste adesioni. Se siamo convinti che un governo mondiale sia irraggiungibile, o se riteniamo che sia indesiderabile, allora lo scopo dei nostri sforzi militari e diplomatici non dovrebbe essere quello di abolire il nazionalismo, bensì quello di indirizzare il nazionalismo verso canali difensivi. ~ o v r e m m ocelrare di costl-uire una società pacifica e ben armonizzata, campo- sta di nazioni indipendenti, in cui ciascun paese abbia una milizia civile come quella che oggi troviamo in Svizzera: un esercito che non costituisce minaccia per le nazioni limitrofe, ma che è pronto a combattere con tutte le sue forze contro qualunque invasore che si presenti con idee di conquista. Bisogna dare in,nanzitutto atto a Dyson di aver formulato con chiarezza l'alternativa di fondo fra le due «grandi illusionb, le due utopie su cui si disegriano le strategie della ricerca della pace. Ma devo anche dire quanto profondamente dissento dalle sue preferenze. Prima di tutto ristabiliamio un po' di correttezza storica: se è vero che i grandi imperi si sono sempre disgregati, è anche vero che quando unazioni indipendenti* (e signorie, e tribù, e chi più ne ha più ne metta) si sono trovate a confronto, non hanno fatto che combattersi, con maggior pregiudizio per la pace, in genere, che durante i grandi imperi. E chi dice che il governo mondiale dovrebbe essere un impero? Per quanto la terra in prospettiva impicciolisca per il diffondersi delle comunicazioni e per trasformarsi essa in una rampa di lancio nell'esplorazione dello spazio, come è detto altrove nel libro di Dyson, le differenze etnico-stoirico-culturali fra paesi e le conquiste dei diritti dell'uomo resteranno e dovranno restare, sì che il governo del mondo si faccia nel loro rispetto e per il loro rispetto. Stupisce inoltre che il nostro autore, che pure ha avuto a che fare con problemi militari, coltivi la distinzione fra armi difensive e armi offensive, le prime buone e le seconde cattive. G H C A N O MENStLf: D E L L ' A S S O C I A Z I O N E I T A L I A N A P E R I L CONSIGLIO COMUNI DEI D'EUROPA SULL'ORLO DELL'ABISSO di UMBERTO S E R A F I N I L, l.'a!orno, la salute, la pace e l'urgenza comunitaria ,:. , :. : , ,. . :. ,e ; \.>,,;6%?:;<:L. ;,,* U*:tv . ..irita . ..:A C* l , : ..C ,,,,,,.,. .iii ' I,L, W! < ,., . ;.. .W,. . > .-., . S. 3 i :, I l : i . ~ r < )%:;,i.:iri ~~ t .: ,.i. 'i , P . , t*<$:. '!.;, . ci'NHXÌ ,.lt' qt<l>- , .i, i;, ' * 'i l<,. <a, nt:.;::;c , .. .,<.,,:. i(< t.:'l: &!:ai.:,:, : , , :er;in,e it<,!i;i ~ ~ i i u ri z~c ! ~ ~ r s ,W:F:~F,I'Z C I C <i: .. %,\.: .,,>:, * i % , , . > ,:.$,;.<,.:.. , , > , C'-.!:>; .< \t,,., ,.<W ,:~:t.(.- i:., i . . :<,: 1.: 'e , !, t,, < i < !;$ T!, tiiLig>::j ,.:,:, ? E , : X ~ : , , ~ C:, , :tutc8rt,.z;, , Sr," -<$,i" , !V ,,::.,. < , , ' i . I, ,!,$<<t. 1. t.,) <<.I,' <''v! :-e <):tnca: t ,2<,%, e!:.. ,>.) !1 , . l ~)~:-,,.i;.:' .. ,l!,: ...l i < , ..-----' ,. :,. <<,:,vl,> q .:<>,I :,,3 ,$, iii::k*>..., ,i:z,-, irr,.,:. . , , . ' I - -, , . <,-S.' ~>t:tw.p:ii8f ~ r o t : t ~ , : ~v :<<.:,:.:.;,'~. : -*.- , 18 COMUNI D'EUROPA Un'opinione pubblica consapevole della battaglia federalista di Giancarlo Piombino In una recente intervista pubblicata da una rivista italiana «superpatinata~Leo Tindemans ha dichiarato che «dal punto di vista economico e da quello politico siamo "condannati" a fare l'Europa, ed è triste che questo non appaia sufficientemente chiaro alla generazione attuale. La crisi delllEuropa comunitaria è evidenza amara di tutti i giorni: crisi istituzionale e di prospettive.. . Presto apparirà chiaro che una soluzione alle difficoltà economiche è possibile solo lavorando insieme, integrando sempre più i nostri Paesi*. E ancora nella stessa intervista Tindemans aggiunge che c'è una terza ragione «da invocare per riprendere il cammino della costruzione europea dopo quella della pace e del risanamento economico: unirci per difenderci in un mondo che potrebbe fare a meno di noi». Sono, quelle del leader belga, considerazioni del tutto condivisibili: in sostanza occorre superare l'attuale crisi comunitaria perché i popoli europei non possono fare a meno di un'Europa integrata. C'è tuttavia una considerazione (forse non del tutto trascurabile) stranamente assente dalle parole pur così sagge del leader fiammingo: perché, se l'Europa è tanto necessaria, non si riesce a costruirla, superando la crisi istituzionale e di prospettive denunciata? E quale è la responsabilità di quei politici del «circuito»europeo - ai quali incotestabilmente Tindemans appartiene - nel non riuscire a colmare il distacco tra azione quotidiana e prospettiva politica? Nel non riuscire a dare corpo ad una volontà, che pure si dice esistere; a essere più incisivi nell'impegno a realizzare un obiettivo che pure così lucidamente viene indicato? La tentazione sarebbe quella di collocarsi dall'angolo visuale della coerenza, in qualche misura della amoralità~ dell'azione politica. Ma sarebbe appunto una tentazione, rispondere in modo emotivo ad una domanda che richiede soprattutto razionalità. E la razionalità ci suggerisce che l'angolo visuale è diverso, istituzionale e politico ad un tempo. Istituzionale, in primo luogo. La politica di conciliare interessi nazionali e integrazione europea è troppo spesso (o, forse, quasi sempre) realtà assai diversa: tentativo (sprecato?) di vincere una struttura - lo stato nazionale - che cerca di difendere la propria esistenza, di aautoalimentarsiu dichiarandosi oggi insostituibile. La classe politica deve «fare i conti*, incontestabilmente, con questa struttura, dalla quale trae il potere autentico di cui essa dispone (il potere aeuropeop è troppo adomaniu per essere allettante) e dalla quale essa è richiamata alla tutela del duro essere quotidiano, rispetto ad autopisticheu prospettive europee. Se si vuole sbloccare questa situazione di stallo è owio che non si può far ricorso a quanti - la struttura dello stato nazionale, appunto - di tale situazione sono gli autori e i protagonisti. Occorre - per così dire - realizzare una cesura, offrendo alla classe politica autentica- mente europea un punto di appoggio su cui far leva per attuare un significativo distacco dal condizionamento nazional- istituzionale. La classe politica opera -- in democrazia sulla base del consenso: fino a quando l'orizzonte dei temi in discussione, dei problemi da risolvere rimane nella misura nazionale, il consenso viene conquistato e gestito su tale dimensione. È difficile passare oltre, anche per i politici più attenti, senza essere accusati di inseguire questioni astratte e horviafiiti. L'esperienza di questi anni è, da questo punto di vista, assai e1oque:nte. Vero è che De Gasperi, Adenauer, Schurnan, Spaak, erano grandi statisti, ma possibile che, dopo di loro, nessuno abbia saputo operare nei confronti dell'unificazione europea con altrettanta incisività? Neppure i Moro, gli Schmidt, i Tindemans? La verità è che il nodo che unisce i politici nazionali con i «problemi» nazionali si è fatto più saldo e stretto rispetto alla situazione in atto negli anni susseguenti alla fine della seconda Guerra Mondiale. E i risu1t:ati sono di fronte a noi: nella domanda che legittimamente ogni europeista si pone leggendo le dichiarazioni di Tindemans. Quid agendum, allora? Se non la risposta, una delle risposte va trovata nella storia di dicembre 1982 quelle aree federaliste dell'opinione pubblica euroDea.. di cui «Comuni d'Europa, è testimonianza ultratrentennale. 11 progresso dell'integrazione europea è sempre meno affidabile alle istituzioni governative; dipende in misura sempre maggiore dalla pressione dell'opinione pubblica. Di una opinione pubblica consapevole di cosa significhi avere o non avere una Europa federale; e non dedita a quell'europeismo di maniera e sentimentale, generico e intergovernativo, che piace tanto alle strutture nazionali esistenti. È una strada lunga e povera di soddisfazioni quella di chi opera secondo una linea così controcorrente: occorrono fede, tenacia, convinzioni ideali per procedere con coerenza e senza travisamenti. Ma occorrono anche obiettivi concreti. Senza l'azione dei federalisti, la loro fiducia anche nelle scelte meno garantite, non avremmo avuto il Parlamento Europeo eletto a suffragio universale. L'obiettivo h posto tanti anni fa e, malgrado tante fatiche, è stato raggiunto. Oggi altri obiettivi urgono: la riforma istituzionale della Comunità, il suo allargamento, l'attribuzione ad essa di competenze proprie in materia di rapporti internazionali e di sicurezza, per rendere l'Europa protagonista autentica di pace. Non c'è da farsi illusioni: sono traguardi difficili da raggiungersi, ma che possono, anzi debbono, essere raggiunti. E tanto basta per continuare. Per altri trent'anni? L'augurio è di essere comunque ancora insieme, nella comune battaglia ideale e politica, con <Comuni d'Europa». . dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA I1 federalismo europeo strumento politico della società post-industriale di Orio Giarini Le dottrine liberali e socialiste hanno dominato il periodo della maturazione industriale dell'Europa. Esse si sono lanciate e si lanciano tuttora in delle vere e proprie guerre civili al livello delle idee, come della lotta concreta per il potere. I1 loro nascere è strettamente legato all'emergenza di un sistema economico a predominanza industriale, e in questo senso la tendenza verso l'economia di scala e la concentrazione dell'organizzazione economica, hanno fornito le basi di fatto per un movimento di concentrazione del potere. Di fronte a una rivoluzione industriale dominante, il federalismo non ha in definitiva avuto la scelta che di adattarsi a ciascuna delle idee politiche dominanti, scegliendo volta a volta la versione liberale o socialista o anche cristiana. Come tale ha proposto progetti e utopie che non hanno fatto altro che scalfire la realtà dell'organizzazione del potere politico, introducendo elementi di moderazione o di freno in un senso o nell'altro. Nella maggior parte dei casi, anche quando il principio federalista è stato introdotto al livello delle costituzioni di vari Stati (quali l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti), questo è stato essenzialmente un elemento di compromesso verso forme - considerate «progressiste, - di concentrazione politica che non si potevano raggiungere che per stadi intermedi. Fin tanto che il mondo occidentale e 1'Europa in particolare hanno vissuto il fenomeno della rivoluzione industriale, le due ideologie cugine del liberalismo e del socialismo (con le varie varianti), sono state il punto di riferimento essenziale e inevitabile della lotta democratica. Oggi, in una società che non è più essenzialmente industriale, non è un caso che si accentuino i fenomeni seguenti, per quel che riguarda l'evoluzione di queste ideologie, che si svuotano via via dei presupposti culturali ed economici tradizionali: - da una parte vi è tendenza alla riconciliazione (sotto il vessillo dell'economia «di mercato-sociale, o del socialismo quale «ultima versione del vero liberalismo,, per non parlare poi delle ramificazioni dell'aeurocomuni- dal19altra parte, vi è una aggravazione delllaffrontamento dei poteri che - non esresiduale sendo legato ,-he in modo sempre a dei fondamenti ideologici legati alla realtà mantenersi storica attuale - non possono che in una logica di pura «real-politiky,. La lotta un9evoluzionecominciata di classe, con Lenin, ha ormai quasi completamente virato verso la lotta fra classi dirigenti (lotta fra élites, ma con una diminuzione della partecipazione di fatto dei più vasti strati della popolazione, cui non resta, nei vari tipi di regimi, che sperare nella cooptazione dalle varie qnomendature>>:esse hanno ormai la funzione delle corporazioni della fine del Medio evo). È ormai abbastanza evidente che tutto il progetto politico che sposa la logica della concentrazione del potere - quale che sia la sua giustificazione - diventa di fatto un meccanismo di lotta fra classi dirigenti, il cui risultato è di aumentare il paternalismo, l'autoritarismo o, al peggio, la dittatura. Il fatto che questi poteri si giustifichino in base a ideologie destinate a gestire la rivoluzione industriale, non fa che aggravare la loro involuzione, quando di fronte alla situazione economica attuale - che non è più quella di un ciclo classico della rivoluzione industriale - si trovano senza presa di fronte alla realtà e non possono quindi avere che delle reazioni di difesa che possono degenerare. Non si può dimenticare che Hitler e Stalin non sono solamente dei tragici incidenti, ma rappresentano il parossismo di una logica identica che ha il suo terreno di cultura nella concentrazione del sistema socio-economico e lo sradicamento degli individui che I'accompagna: ecco prodotta la massa umana, più che mai vulnerabile all'azione dei movimenti demagogici più sfrenati. I federalisti hanno parlato da tempo dei mali della massificazione e della necessità di porvi rimedio: ma tanto che la rivoluzione industriale rimaneva lo struniento privilegiato di produzione di ricchezza e di cultura, rimaneva il fatto che i risultati poisitivi dell'industrializzazione erano di natura tale da far passare in secondo ordine gli aspetti negativi di questo stesso processo. Ed è così che per l'Europa, per più di due secoli, la rivoli~zioneindustriale e le sue ideologie hanno dominato il campo. Ma oggi, il sistema economico dominante che produce ricchezza, non è più industriale: l'industrializzazione è uno dei mezzi di produrre ricchezza, ma senza che questo principio valga in via prioritaria in tutti i casi. Valga come semplice esempio il fatto che per ogni prodotto che compriamo, il puro costo di produzione non supera in media il 20 per cento, il resto essendo assorbito da ogni sorta di servizi per rendere il prodotto ,zccessibile e utilizzabile. In certi casi, una produzione industriale può produrre più povertà cli quanto non produca ricchezza: i costi per combattere l'inquinamento, se da un lato servono a aumentare il reddito nazionale (e l'illusione dello sviluppo economico tradizionale) dall'altro rappresentano necessità di spesa dovute al fatto che siamo diventati in molti casi piC poveri, quando ormai dobbiamo Pagare per un prodotto o un servizio che in altri tempi potevamo avere gratuitamente. In termini di struttura economica è ormai evidente che la teoria delle economie di scala funziona sempre meno: ottimizzare la produzione di beni e seivizi vuol dire sempre più spesso accentuare le autonomie, favorire le medie dimensioni, stimolare la produzione di ricchezza al di là dell'organizzazione monetarizzata dell'economia. La nozione stessa di valore economico (1) che la teoria economia classica e neoclassica ci ha tramandato, non è più un indice per organizzare il benessere e il progresso della società, ma si rivela essere semplicemqnte un indice di industrializzazione. Quando quest'ultima va bene in tutti i casi, non c'è molto da dire, ma nella società post-industriale nella quale viviamo, la cultura economica si rivela sempre più inadeguata e con lei la filosofia che la sostiene. Da tutto ciò deriva che, sul piano politico, l'evoluzione economica attuale in Europa e nel mondo, prepara le basi materiali per I'esplosione di un nuovo federalismo inteso quale organizzazione pluralista di insiemi autonomi. È al livello della soluzione politica federalista che si prepara oggi il quadro di riferimento storico possibile del nuovo compromesso e della nuova alleanza fra I'evoluzione delle strutture socioeconomiche e le esigenze di una più grande libertà. A coronamento di tale processo interviene anche la constatazione che, per la prima volta nella storia umana, l'uomo è in grado di distruggere materialmente la propria specie: anche volendo dare alle guerre generalizzate del passato il significato di un barbaro processo di selezione e quindi di metodo di organizzare la soprawivenza della specie, questo non è mai più possibile. Siamo di fronte alla necessità di organizzare la prima vera civilizzazione della storia. E questa storia non può andare insieme con il principo di sovranità assoluta e di statonazione che è potuto sembrare adeguato durante il periodo della rivoluzione industriale. Se queste premesse sono anche solo che parzialmente accettabili allora la battaglia per l'Europa non è e non può essere unicamente una battaglia per delle istituzioni astratte che non saprebbero resistere e non resistono ai giochi di potere di tutti gli Stati-Nazione. Bisogna piuttosto prendere coscienza del fatto che si tratta di definire innanzitutto gli obiettivi politici e sociali di una società postindustriale. I1 giorno in cui al livello della coscienza politica per la Federazione Europea si avrà lo stesso scossone che il primo rapporto del Club di Roma sui alimiti dello sviluppo» ha prodotto al livello culturale, il meccanismo sarà messo in marcia in modo decisivo. I1 federalismo offre dunque una possibilità importante di gettare le basi della democrazia politica del nuovo mondo post-industriale. Si tratta di voler discernere nel presente ciò che possiamo costruire per l'avvenire, invece di ipnotizzarsi su ciò che sta rientrando in tutta fretta nel grande libro del passato. Oggi possiamo ricostruire una nuova idea di progresso, di lavoro produttivo, di soprawivenza in condizioni di libertà: non possiamo più farlo se ci richiamiamo unicamente alle ricette, alla cultura e alla visione della rivoluzione industriale. Dobbiamo innanzitutto riconquistare la visione della realtà e essere partecipi e attori del mondo planetario di domani. In termini di politica e di cultura questo processo si chiama federalismo. (1) Mi riferisco in particolare a :aLa delusione tecnologica: i rendimenti decrescenti della tecnologiar (Orio Giarini e Henri Loubergé, Mondadori - EST, 1978) e aDialogo sulla ricchezza e il benessere: rapporto al Club di Roma, (Orio Giarini, Mondadori - EST. 1981). dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 20 I1 Parlamento Europeo parla a nome dei popoli della Comunità di I'ier Virgilio Dastoli L'obiettivo della realizzazione di una «comunità più vasta e più profonda tra popoli per lungo tempo awersi per divisioni sanguinose», cioè di un'unione dei paesi e dei popoli dell'Europa, fu fissato fin dal 1952, nel Trattato che ha istituito la prima Comunità europea (del Carbone e dell'Acciaio): questo primo passo doveva - secondo i termini usati allora - «porre i fondamenti d'istituzione capaci d'indirizzare un destino ormai condiviso». L'unione dei popoli dell'Europa presupponeva, nella visione dei federalisti e successivamente degli uomini politici che ad essi si ispirarono, una Comunità democratica e dunque dotata di un'istituzione politica, legittimata a rappresentare la volontà dei cittadini europei. In essa avrebbero dovuto trovare un ruolo adeguato le forze politiche di tutti i paesi membri della Comunità. È così che già la prima Comunità prevedeva una «Assemblea, composta di rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità,, tuttavia non direttamente legittimata da un voto popolare, ma formata di «delegati che i Parlamenti sono richiesti di designare fra i propri membri secondo la procedura fissata da ogni Stato membro,. Questa stessa Assemblea, opportunamente integrata, ricevette, all'atto della sua costituzione, il mandato di elaborare un progetto di Statuto politico della Comunità «più vasta e più profonda,, necessaria conseguenza della volontà di realizzare una Comunità Europea di Difesa. È dunque un'esperienza trentennale quella che lega da una parte i rappresentanti delle for- In primo luogo, per quanto riguarda le capositive' la dei deputati in gruppi politici ha reso finora estrema- mente debole l'influenza degli interessi nazionali sugli interessi europei: salvo alcuni casi ben individuati, è facile co.nstatare che la maggioranza dei deputati - dopo un certo periodo di «rodaggio» - imparano a «pensare europeo», anche quando il loro atteggiamento è.. . antieuropeo. L'elezione a suffragio universale e diretto ha dotato il Parlamento di una legittimità democratica, che non può essere fatta valere da nessun altra delle istituzioni europee: esso è I'unico organo politico che può parlare a nome dei popoli dell'Europa. In secondo luogo, per quanto riguarda le caratteristiche negative, la mancanza di poteri legislativi reali se ha contribuito in modo determinante a rendere più debole il consenso dell'opinione pubblica ini:orno al processo di costruzione europea, ha d'altra parte provocato un crescente senso di frustrazione nei parlamentari europei, che vedono costantemente ignorate le loro proposte. Se il Parlamento Europeo resterà a lungo costretto nel molo inutile ed inefficace di una grande Assemblea consultiva, vuota tribuna internazionale, sarà sempre meno comprensibile la necessità di un'elezione a suffragio universale e diretto. Il sen'so di frustrazione prevarrà sulla volontà di innovare: aiutate dal crescente protezionismo, le tendenze a «pensare nazionale, conquisterebbero allora sempre più larghi strati dell'Assemblea. Già oggi - ed è un sintomo preoccupante - durante ogni sessione del Parlamento Europeo proliferano, quasi con apparente casualità, le riunioni delle delegazioni nazionali all'interno dei gruppi politici: laburisti inglesi, socialdemocratici tedeschi, socialisti e democristiani italiani, socialisti francesi. E da qualche parte si sonda la possibilità di organizzare riunioni delle delegazioni nazionali tout-court. La rinazionalizzazione del Parlamento Europeo sarebbe il segno più grave del punto di non ritorno raggiunto dal processo di disgregazione dell'integrazione europea. IJlw a R16i mi. 4 l n v i (LB @le Raain I N 8 0 XXV8 N 10 Oltnbra. 8 mvwWlblm H11 Mriw Ui *n"Mla pont*. GNPP, *t W ORGANO MENSILE OELL'AICCE, ASSOCIAZIONE UNITARIA D I COMUNI, PROVIF.JCt, RFGIOII1 (:t~iiiiiiii rx t t i h i i i i t ~aIIt* elt*zioiii ibitropiat3 Iti~.antrrr<li 2.cNUI <*tila(?I nrclls* \ l . ~ ~ ~ ~ ri. ~ ~ 28.2'$ t a dl m tiitr arrrcntica ad egtia ~n>lttir;rwglnnnlr chi ~ t t r l b t ~ ~ .il f ~ t'ar~<emwttta a e E ~ I ~ B clct8,> ~ Y P 41ci11 - 8 - t l P ~ ~ i t t ~ s Ie ~ K % ~ i t i oiirrir rxwrr Iederwk. 44 ct>tnp~~tv '1s rrdfgets !o Stattrio dsrui stia a un I kc~otlrorr*sprnashlle a] ParLmen~rr SI,.KW, wjitfLe &#l'& tsmp,,, ppil qtkagc COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 21 di Armando Rigobeiio I1 ricordo di Emmanuel Mounier ritorna periodicamente a ravvivare le attese e le speranze di una società personalistica e comunitaria, oppure a misurare l'ampiezza delle delusioni. È comunque un punto di riferimento, un segno di contraddizione. Potremmo ripetere con il Mounier stesso che la prospettiva personalistica «est la certitude de notre jeunesse~.I1 pensiero e l'azione di Mounier sono, infatti, non solo un'esperienza indimenticabile per chi la abbia vissuta negli anni della giovinezza, ma è per sua natura giovanile, ha lo slancio e la dedizione di un generoso approccio alla vita, una vita intesa come testimonianza. Anche oggi, nonostante i tanti ripiegamenti nel calcolo e nella dimensione privata, il messaggio di «Esprit»,la rivista fondata da Mounier, ha su minoranze molto qualificate di giovani un fascino singolare. È per loro, come per chi sia rimasto giovane nella profondità interiore, un messaggio di speranza. Il ricordo di Mounier può essere utile anche a coloro che si dedicano all'edificazione dell'Europa, o comunque vedono nelllEuropa un puntodi essenziale riferimento per superare le crisi interne e internazionali in cui ci dibattiamo. Mounier non fu un «europeista» nel senso formale; il problema dell'unificazione europea è un problema successivo a quelli del suo impegno di pensiero e di animazione politica, ma la diffusione di «Esprit»in varie nazioni europee, la formazione di gruppi Mounier in Italia, in Polonia, oltre che in Francia, come pure in Spagna hanno dato un certo contributo a porre il problema europeo in termini personalistici. Un certo rilievo europeistico hanno avuto anche i viaggi di lavoro e di testimonianza compiuti da Mounier in varie città europee nella sua pur breve esistenza. Non è senza significato che la prima rete televisiva della Rai-TV, nel 1978, abbia realizzato una serie di interviste su «Esprit>~, a cura di Ugo Ronfani e Antonio Bruni, con vari esponenti della cultura in Francia e in Italia, intitolando la trasmissione Esprit, una rivista per l'Europa. Ne è poi uscita un'agile pubblicazione a cura dell'Ufficio Stampa della Rai. <Negli anni che precedettero la grande contestazione del 1968 sembrava che il personale di Emmanuel Mounier fosse superato scrivevo nella nota introduttiva al saggio che porta il titolo stesso delle interviste: Esprit, una rivistaper l'Europa -, sembrava che la concezione funzionalistica del mondo e la gestione tecnocratica della società avessero isolato le grandi speranze accesesi attorno a Mounier entro i limiti di una generosità evasiva, un "sogno finito" dinanzi ad un realismo efficentistico che esorcizzava le complessità dei rapporti interpersonali e l'intima istanza rivoluzionaria che ogni autentica visione religiosa della vita porta con sé. Poi venne il "maggio francese", le barricate del 1968, l'insurrezione dell'originalità di fronte all'appiattimento, la contestazione delle mediazioni, anzi il loro rifiuto. Un orizzonte nuovo si apriva, a volte gratuito, ma più che sufficiente per offrire un nuovo spazio a quella che il Mounier chiamò la certitude de notre jeunesse. Certo, il clima intellettuale e morale era cambiato - continuavo nella citata nota introduttiva -; lo strutturalismo, le scienze umane, la fenomenologia e I'epistemologia, le nuove tecniche analitiche imponevano un rigore più attento, un'analisi più circospetta nel proporre la centralità della persona e della comunità interpersonale. I1 marxismo stesso non aveva più quel volto a lineamenti unitari che presentava negli anni trenta. La certitude mounieriana appariva tuttavia insperabilmente riproposta ad una generazione in situazione di rottura con il passato più recente» (pp. 5-6). Oggi potremmo ripetere le considerazioni che andavo facendo nel 1978 aggiungendovi tuttavia una più maturata convinzione, la convinzione che gli sviluppi del discorso culturale e politico successivo hanno confortato e reso più concreta. Oggi, se da un lato si è radicalizzato il ripiegamento nell'uso tutto prammatico Xliutrsmrur aimnt dia~w&e brrtrri di dmo+a <i. Puln Pa<elii m4 (rdeWcnno mruyoo P lr u>rtonutrtr~. [w!i Etfdm$aa<<Ne usi losr<o i?+qaradiartt n qunilla Pio Xli )Iq ~nunu>i$ialu sull'mdinu t n 2 r n m i u n ~ i ct IUrcsfrimone d r i b OLTC Eett h9 rBrruxfemexIP ngrauntu 11 uratirlsra della M$%oileM St.rro P Qan i tx>itsil rpoiwii. ehe v u m crnim, che rovine. <Alla,uìiu>,r BL Sacro C ~ I i e w del . 24 d~cetmbre1-,. pxìnkt rrelixrr rhr PP, I W u rmp, hannn iitiso a i jrdrralrrtr mro& <pti utot>rsro finrhe L'euvopasmn ,#,i dta4MQSo &lmoda e malti pu* ' ~ n f t m ~ a n d o a e r e v e Ollamlr nitaulPntuu Qderolmto SI 80x0 I>ui<rir nrrntrtitzare dietro ~t.ru.rrrhs]orme (I&nwf,orusir.ne P rulidorietd di r t r n l l n i «lato sarti wgorruno ri~iieddareh aiiia-P parole del Rnd~ornewxigtonu:aMw del rd4. r r a r t i e w quando m fiillits la CI;D - « CUL f z d ~ t u i'na soiuziuna d i i(celnbi0 ~ r u > n o l t sta u reorilrnonn w y l r acnwdt <IfLVUEO e I I E C P ~ Zaccordi ~~ r h i cu>tul <.r?rl\-, hailrio 'q%rtu $a oiri alla iretirla M n hnhw p r l coi=r. busr iidea!r> di u a pru brvo ii.iqicuno~w rurrw-~z U<itfiinlatri att,aunri < h r l'o :,L wii:r<rr t l rwr ><for=re ($1 ap, d i Stntii ?uti-iurirrrsitc<i. ciriurn> In W . E W ~ Ot t t ~ . w t m i < r d e u l ! ~f r ) ? : ~ 17 ICl(hlPpL> >LFI!« SI<'~'U $CLIP~ i l < l l l t ~ O P .&>PU>1io ir,ittro <:t&r'+* S:<ilo rh<>T& virarv r ar rE)t:rato~riche ha loliuto r 10124 lr c01~i6lìlflJYL plc@ . - . ('<r,nnni rt E u r r n ~ CI,, 39 ~ W IR COI,~ 7 1 1e uis e:fr%Ent, l e ~ t ~ t m ~lf-6% a l ~ p"<> sffi<vc&r~,6rVe reir~wru-u r < o r r c y y ~ i <SUL~ ,>an> dd.u bw>?io 'br>,ori!a @oif(«u quella ,til?iiilm r t~iir.II'~ririr ts<rrnrnto7 Gli <imn*inrilmtnr? t-1, BORO i<>ii'irr'i &@($Crorn i~todesfvP a t i i t i t i e mmivwwiri dul1. rillo p&:.<u rortii%wiaente trnttuo di niornnrv al t i m di Sraro mmmairsrrn> rui!o sr.nibra !?~cesinaiei ,e*re drririerr (ib 6 rei! rullo - pro DiPmi rrrnili iruu#wer<a dl cr.irlde ineiiul.i<u artrotfrzza unlatu tnt P ~ Pt Co>>llixr#det''. d ? ~ - 8 L.armn~ e P tende n creitn* l* prvnioszi Iriiw r r = p w ~lllrt.tl~fit 1ed4r<tl>r< r e funzionale della vita e quindi il distacco da una generosa adesione ad un personalismo comunitario, si è anche accentuata una spinta alla partecipazione sempte più ampia alla gestione della vita pubblica e si è pure accentuata la consapevolezza dei limiti di una società organizzata attorno all'idea di funzione; lo stesso dramma ecologico è un acuto awertimento di questi limiti. In tale clima la riproposta del programma di «Esprit»,quello elaborato da un gruppo di amici raccolti attorno a Mounier, come risposta alla grande crisi degli anni trenta, il così detto «Manifesto di Font-Romeu» (redatto tra il 15 e il 22 agosto 1932, appare come «telaio ideologico, della rivista tEsprit» che inizia le pubblicazioni nello stesso anno), riceve oggi una rinnovata attualità. E opportuno ora ricordare le linee essenziali del programma e dell'opera di Emmanuel Mounier per misurare su di esso le possibilità di una sua trascrizione nei termini del nostro impegno, oggi. Una trascrizione affidata alla creatività di ciascuno e alla maturazione della coscienza personalistica in Europa ed altrove, specie nell' America Latina ove il messaggio del relo cutnulr qunnlo nrurrcric io coriaunii~rereiwitiica, rtir rt<.hrudc In - t ilumo 11 piu pasehtlo ernmnwv di turi? i si<nr irton:i di Wurìuriane nelPtntem rernru-to ~ b % r ~rl fCRP o tmtula h C,,. nlunlle p,lllico 111, Sroin f e h i e l Le zar dt itbsro ~<o?sclr.nirriiyonri a y r w m4n>rlc. v + ~ F n e r a zmv~*io n u l k prunecupo:irnw ebe sz fnr tmno aurrnrtche i~rnru?dt& ceonomime emao leniatrr rr di R L ~ P I R ~ ~ I ~ P U <I quesf9 uthme r ti. luttatido ad nnrinetferv rrn pxrrullelo inhOlnrai d e l l a emnonric ed eapandsst delk isrizwioni WIII~CIII~ m~d>i(l2tmB11) novi tempi frmrprp WL nl'*io DISWTJ<, nilla pohlwa degk sronihi intunranonuli~Pb XI1 drsar Lr ufra cconomtru. la rea tnmrntc s i4io di wnrnl e qutriit ?iOn IPU)e m ~ n f l r siewa ~ t r b m . Ma yurnto Lbnto arnl nub eiicrc 1ie L'.afosc(~ntema tnp.unnet>oie fnrnilln di cenlu anni a -M, dee d i YM IIbeiIa ~ U I O I I ~ F I I X ~wg<ll$m, ~ B I I u roto?tfn re5uinlrre delB Srafa, e neiiimBM In preudi>iiIir.rla nei guprtti nostrr di +orf<miellntRa l rr, ir>a,urri di gmr,!cschu rtrgarLtzr<irionr Coritr ndare iucr arie prnnlie c olle mllettistra i m l i iwl rrnirlo sfl'uio i.$ rri R r-iuilr rrwrr la r'mnirniru Eeonailil<n eiiropon' carne dblnbuirc armo~ t ~ w m ~11~ 1 ~ l >l ieo d w i c ~~>~ lel > l t ~ n :@nttortn ern n!>ilalo' Uir orgiiiio dnlrrtnediaria im glt Enrt rrniioriolt lmnli e k lunruslo~neumlwe U M Comuslrn arnnomlea eurwea de, pnteti 10 cali porrd mpprc%era<iremite 9iuoi.r orri.llure rirarrgurcre do1 I r ~ c a r oruiiiunr u? wwno dt o ~ ~ u l t a r i o l uP r di C~~I~I*OIU:IO~IP che diiaulir<i pIfrca<~rn.-ir~011 t + ~ I e r e ~di s ì fzllr k m l l d i i ~ l t ulonlli del Tern'ano io~iru>irln*Ic <Dtsmrru iii delrpui. del Coriyrrvari itoimri0 di Frapcali r ai dingrtiti urrprnnorii,not~ del CnMiptto del Cuoru,,, <JFi<rup~ilcl J dnrinbr~ (P573 -- . .. . dall'odierna dolorosa e s a n g u i m a g u o ~ a saggia. spenrnentale e m3tiira: Snpri disti"GUCre Con linlpidi w h i ia verità dali'apparenza ingannatrice: e aprir& a tenderà l'orn.r'hio alla v a x delle ragione, parevole o meno. e lo chiuderà alla vuota rdtorica dell'errore; si Iurrnei.L un convinrimmto della reaila, che prenderi sul serio I'attuQzione dei diritio r della uiirslizia. n o n solo quendo 3i tra1Cr:d di esigcre i'sdempirnento del!c proprie. ma anche quando si dovranno soddistare le giurle r i c h i s l e olfrui. Solo con tali diswsizioni d i animo si m t r i iiifondero alla sedurente rsprwrione r nuovo ardinanicnto u n contenuto bcllo, degno. stahilr, apyiogeinto sulle noime della morali&. e sara sehivatu il pericolo di ronerPirJo C pissinarlo c m i c un meccanismo purainatllo t?;Uarno. imponto con la forza, srnza sinrerita. senza consc.ntimciit0 pieno. senza Rima, scnza pace. u'nza dianitii. senza valore. M a i prerupmate indispena.ibili p e r un tale ~rrdinumrritosono: I> La vitluriil sull.odio, ehe oggi divide . I popoli ... SI La vittoria sulla sfiducia, che grave come ~>esudcpr'imenu? sul diritto iintemazion~lc.rende iriolturibilr ogni veracc intew.. 2) 1.a v i l t u r i ~sul fune'to principio che I'utilrtn G Ii hajc e ia regola dei d~rifti.che EI-~:;I 11 diritto.. 4) La \~,f,lori;rs u quei germi di conflitto, I presupposti escenzisli di una pace d i i - VI?<<,oni<ct*noin d:\il-g<,iii Il-oppo strirlriili 5~ SI &&ero c r m r e un" q n n i o evroyrf r sta e diiratura ncl campzr c1c:i'riririomia niondialc; quindi PUIIC . ~ I ~ - I cfra I RCovztilit ~ dc Pila%divera 'tic. un'azir;:>r prr,arc-siw. eqii~librata da r,«r!ih < ~ > r <hi>P"R<'UtI<l i <7?I7(1T<>)R1t < & C <M < t % < ! i ~ ._.(>IP (,n anrm. L S ~ ~ ~ ~ F ~ r~i tr~; l ~l i tI-~ r ryr,ndrrit: l~ gnrarizir. per piungrrr ed un ai;frn ssiii~nirmpm ~ L I I I P I I I n i r 01e~111 ~ gu<erra d ~ l o t i Figli. Koi tnc<-:::%o da qur'to lungil 'I, t r drsac Piu XJ1 a> inriw.r<jn#irra ! X I 1 (%i, :dttrj, il qllalc- di~t;,tutti $!li Slnt: t mezzi per :Cc~krw dich:ara,s<\ni $1 ~n:t&<im,aSII! pr,:supg-e%w &li CP%IU~IIE> iflrerri~:tonzlu d e ~ ! rr,:tr& Il ni;iciirsic ai ~ > i o p n ci%lir<!inid i r ; ~ i i icero un ' v o r r u i ~ s t i> i tic1.e r ~tai't ~ t i ~br ~ ~ r t r i i r pii, y >I pu:;ti ~ss,-n?.ci,:; d~ un3 p ~ i c c .C C I I ~ O L . I I Iai ~ ' Prln, . C 3 n ~ < ? l >lCCC3rC ~ ~ i ~ t ~dl~ \-it;k. ~ u » ~ A r t 11 DCIPOIO PUWWO ~ U C I ma'.iunnt IF tipi d: giu~tirix. di cquit:. e di oiinrc. talv .lo delle aie fori-ti* e &nft%terw 11 8. e i 5 ) 1.1, \~ittctrlilsulio spii'itn di Ircddo ?soliiuil!l!: do i.sci.:.e diiraliira E si. i! suric.;si\o +,&t*< C%'u,nrrlr. i l vvixi~l« P (LsrsC Cr>rufrf 1 i " ~1" irnt,. il qunii'. I;x:dar,r<i=o di.lIa rua '01-28. Drt.tio * <illo ci, e ialtei $1- dttli o n<., pi<nr-$0 .volgrrr: <!r'g!~:irv<.n!nwirt! ri., h:, r;msridato f.1~11t11entc. fillixe io! \iolare noli ir!eno i h P &l l a -,,,<LÌ.rrg .yll sci11 1.611, 1 1:,i*<11>0 n trnibn piii !r>nt;iriu I'a:turtri<raf.. i plaisleii I ' < s t i r t i - r <: i:, %ovraiiit,i drglr Siatt cile la IL rr>roln io aiiilrrtud<><irdirwla tiwx in vrosx: k~ltnrn c,p<~ati niii::i h:,ririr, ~<>rdtlt8) deile l u i 0 a u a i ~ . ?.rn!riirPrr .irkiura d( ristrette oli<rarch r ,:iu.;ta. saiia c dii<:ipliiiRt~~lihf-rtà dei eitt;tintrii:rct:i r~i.:::r i. :tiicr~i:.r;t alla !.ca!li, n6 <l101 In 11,~'::~ *'si r o i - t r iiuli<lr il Radic~rtrrsrogyar rnfa'izrri )u!> dc\c .ilil>~lltla1.<< L1IISi SII?$1, i i'44 i. I'opoirr < ..~iltnrdincornarfa r> conle drl lom sn:oru Oi mo>-zl<nbhl~gnitrrne w r a solidai.i+.th <,iti.idica <-? rronoiiiiex. IIna soio' ùr-vi .ii@~ci \uR<, <11iec < i & < e l i iI(,,er.+ Oggi <:I tr<rviaiiin Lti prc<r,ri,3 di un iati0 i i-Il~borazio~ic fratcr lia.,. Ii ~ i i > r r o br t i e P "I T> ~ L C V e , tiri 1m«-p-XL h sint~n~atlc:< # UI't 2 wr *e ky&"r**. e <,t., J ,-eT'.rc ?*n",? LIW ha t m i i nllt~v011.impc>l.t~nt~& Uniir p<ilcmirhr npp;i.slunatc delle parti i i i ,h' uwi d i fu', i o t u siiali s r ~ p ldcll;t guerra1 i' su! rCR0ID,.*i rtto della p:ic.c enii,rpr srmprc ptii chiai.* \irta <!unii i ~ ~ r r ~ z v t i i ~ uliiiii<>, i,; :n qiislc N-ist.Ri*vrglio della coscienza rrisliana i.ist,s che tosi I'Eur.up:i Ii::lFrlore alla priri-ra. P«icilLi i n (;!l ruicn da ijrrnat t r e anni crin,.. - ...., i niin . . - ~>utrl,iicir,idindmrii!i. si nf:.«vrint, (P$,:%te1=:Ir:<r >'M@rh1,e od >intir.trxiruri;!rx.sb~<iiii iri un p:-w:ras<i di l r n i f a r ! t ~ a ~ i i ~ i1 iirondo ia~iauiscr,in urio rti~atiri ma1essr.i.r Tale. i i ~ da ai,; nluir'ato mr-tirnr rzi*op*n v viire r.. i!li~I<<~tv crl "rt-.i , > i ' v 3 n svnrirri. litul>alilc f r ~ la coiitia,*<:[>l:n;.rc linirio di uiiu o%ir>;i L,pire ezodr> ir, yli<id,iinqr:i<-iir;wicr,re- <ri:iirn pncc t l:? giierrr., pli spiriti chiaruvcggctt'atl I'nrrliric d l , ~ l iSt;iti. si :dli.rr!ia 'ro,,:iri focii. $>rs,:x>aiedi i.it)e 'di ll5<:n>.?(.~7rt!>i~L'Eiir~iliii cn:.a<rio.i ci.ri.onir inrex;\riit<,ment nuova , D!r,.rtr*~rii pa-!r:~;i,wnti «I Cori.15g?,r> '11 jxi:;:icn iii>ii rili.;tiino ..i, ':IIc rtaiiri prima: un ctii 3roii ai,rr?o(>i in1,-*r?«:ione!i: S,ileli!>r CC i'v'1v i < , verso u n i.:ir.co di siilverra. Mcdidntc di riui>v:., '11 rniyiio:.:. <!i pii c v ~ ~ t o tdi o . ol'gacex.ic*!..u di eso,rit:s«-o. s,. urw urii'nl. repr«<:giiu t>ri'an~<-titc piii sai:» c Iil><.i.uc fi>rlr: di,\.<' r:pvliili 1cntatii.i d i r:r.one,liallone. d i mr.Li iii; e~,rt,mic~ur:i,rne!i rp;!rirrrb!>e linirilii:~ vivi~lnti,>i>tnfra nazion, diau,i ancora in -.i:.titv,ic t i p : ~ . ~ i t ~ 1,ru , , a\.it:,ttl~ i lilctti .I& ,rilb,,i,mro i ; r i i rjnrucrit:entr d i prhciu. le! !or. :v ?*rr*:irrriirrt<l( ,:t: iìruior.e ir unpra: t'i'<'>l i i d l , i > r i < ~ z x ,IC <IvII<-:EL-Iv. ~.his SI dicor1~ I,*ilt? I<* i:!:,' contro It. alrit.. essi ';i applicano .:<>i,iii: ~.#tz1i.:infr. 11. #,.ein!., iToiri>$r,~a (I. ui; in>- .>:ie:?i: ~ P I B < ~ S1111- R U I O ~ PS L ~ L > S C ~li!, tnaiiile.;!oi>ir.ntc ovp,ir.\i alla litev d*,i 3 ~ i l l i l i t r ri n ::*.ivi t r i c r i i l ~ i i . ~ i r #nt.1l.i iintli tiilli, Sl4rt,,, <. nfsllv riic fnndaiiicnt~ :, fiii-e di questo rt,wnt<zrvv<*n,n>cnlt sriise ritea iiritu rrnii.roii,, uhr rirl>i<sdrlti r:.i1m:olai.e di c m n t r a afiitaiiotit un baluurdo Vero i . chr: Ir. varie parti div<~rgurio r.rllr ;UKXI t i lriii ~fl$d.vàllile ~ n i r ~ i l l i c di . > :!illi i 9tmi iii pace e la pror.vidrnrtalr prom<itr!re di una rnc.:; ,'i li.oc!iz<<irq ,;.li'inrrrci I c . s T ~ ~ o ~ *.hl!n'o ~I ;,!<e ,. ncpl; ~ o p i r<rne<ir<l.<tio , fultavia iicl"ir! r,<,iwii. i r c r * i d Pr, r.onai.ger8,:iz. i iaz*i>t~~lì I'.<spiriiiiorie ;irl iin nuo\.o »rdirinnirnirr. e p,:&iet',ledistr>ns:iinc sii tiitts li) lawla drlla ~,.,>,,S,,'~,<~% j,>$,,r!i,t:if>.agg ,ln7,r,?, iut::;<6,:* lrl'r4 tion rrtl*ticnnv posribili~, o <I*ridei.~hrlr un LV;.~.; :~<.;itira LI ~ ~ v c ~ * ~ R P+r>if ( > L *t.::s~i!i<l . ..uls<tpggt. sPt,ra r ~ j < i ~, n. s ( ~ ~ i r qla Cll!C8t1 !!i*.i,, li v<2?.ebT,cz~;te,,!Q <li ,,t,,.,*:*> rr,g>f,,,?:<, Ll pitrn r satnplrrr rrtnrno alle condizioni nnnr: grtiiic:ic, d.iiit<.lr..ira pursrn,,iiic t e i i ~ l l i . rr<r!o rinil rlrs yr.i*tdi r>r*orl< ( r lwssu:r8. i . < ? ' . ~ r . icriori.., tist+irliii.npi<: r-nltdri. ditC+t& <i tina it!ilr>i,v i c . x ~ , , , I ~ ~ , ~ : > ~ oC, , ,p,L t ~ ~ L t*<t ~ ~ not'l!nare o ttrl .. nip<,rlamo in Ilio. che L'irircrr urnanita. rri.v*iic ,i>,-,e ir:etto m ~ 1 i w l o l i . i d i rnr:io,.ii<.. N^.itr<< apc..la!<.i.;iiipr.i.riillanle BI n CO"b!>'l'so eriislr viaselicca iiazioni. in pnrticolarr, uaiii'il <io'. rr»* l u * ~coi>ir~~o)Barmenlr s< dlco. i i vrirrE . . - la f o u d - - * . ~ ~ ~ ~ . .: . <'??i! S.':,' 22 Mounier, come del resto quello affine e diverso di J. Maritain, è molto diffuso, assunto quasi ad indicare la tanto ricercata terza via. Di fronte alla crisi degli anni trenta, Mounier (era nato a Grenoble nel 1905 e morì a Parigi nel 1950) e i suoi amici additano nella persona il criterio secondo cui elaborare i mezzi per risolvere la crisi stessa. Il nuovo cogito è la persona, non riducibile all'individuo né risolvibile nel rapporto sociale. Il personalismo, concorde col marxismo nella denuncia della società borghese e del suo costume, si differenzia sostanzialmente dal marxismo per il suo anticollettivismo; la società personalistica è infatti una società comunitaria, interpersonale. *Rivoluzione personalistica e comunitaria» è il programma di azione del movimento creatosi attorno ad aEsprit~:una rivoluzione morale, non priva di cospicui risultati pratici, rivolta a porre al centro del rapporto sociale la realtà della persona. La persona, nella prospettiva di Mounier, è una realtà spirituale non isolata nella sua spiritualità, ma incarnata e protesa alla realizzazione di un compito. La persona (che si differenzia dall'individuo la cui dinamica si svolge a livello di interessi materiali e soggettivi) è realtà immanente al soggetto, ma allo stesso tempo lo trascende: ala persona è piuttosto una presenza che un essere,. Il mistero suscita unapresenza e la presenza rivolge un appeffo. La risposta all'appello è incarnazione e l'interiorità, attraverso l'incarnazione, si apre alla comunione. Vocazione, incarnazione e comunione sono le tre dimensioni del «volume»personale, deb- COMUNI D'EUROPA bono essere compresenti poiché solo nel loro equilibrio si realizza la vita spirituale autentica. Gli esercizi che Mounier indica come necessari al conseguimento della formazione e dell'educazione della persona stessa sono: la meditazione per la ricerca della vocazione; l'impegno per realizzare la vocazione incarnandola nel concreto esercizio di un compito; la nnuncia per rendere possibile la comunione, l'apertura agli altri che comporta la rinuncia ai particolarismi ed agli egoismi. L'articolo programmatico di Mounier, comparso nel primo numero di «Esprit», è Refaire fa Renaissance. L'umanesimo nuovo, ossia il personalismo, deve avere come suo primo compito quello di «dissociare lo spirituale dal reazionario~,contro I'alleaniza tattica delle forze spirituali con il decadente mondo borghese. Occorre ritornare ad un sano realismo, riabilitare l'idea comunitaria, purificare la cattiva coscienza rivoluzionaria che contribuisce ad attardare la realizzazione de1l:a persona. I modi per il darsi di un'autentica rivoluzione sono quelli conformi alla persona e alla comunità; essi sono rivolti alla realizzazione di una città armoniosa ove la persona trovi il suo centro e realizzi la sua comunione. Tale società, a rigore, trascende la storia, ma tuttavia costituisce un ideale morale per l'impegno, anche nelle sue determinazioni pratiche. E una rivoluzione disinteressata poiché chi la compie comincia col rivoluzionare se stesso, ed il risultato finale è positivo solo se reca a tutti la gioia di partecipare alla società-persona. La rivoluzione spirituale da prepararsi a lun- dicembre 1982 ga scadenza comporta un rinnovamento interiore e la fede viva di una e3te di testimoni della verità. Le masse, secondo Mounier, saranno galvanizzate da tale testimonianza e verranno rigenerate in una struttura comunitaria ove l'«avere», la ricchezza del borghese, cederà il posto all'aessere~,la realtà del cristiano. Preparare una simile rivoluzione comporta un triplice impegno: un impegno di denuncia, un impegno di meditazione, un impegno di efaborazione tecnica. I1 programma così elaborato presuppone una audace concezione della esperienza cristiana. Il cristiano riconosce se stesso in una prospettiva di uottimismo tragico», ossia nella coscienza della drammaticità della situazione che lo investe, quanto del sicuro sbocco positivo della storia in chiave escatologica. I1 cristiano non è il capitalizzatore di facili meriti, ma un'atleta vigilante sullo sfondo delle grandi forze spirituali e delle forze negative in cui si situa la sua esistenza. Le virtù del cristiano non sono quelle di un rinunciatario ma quelle di un testimone eroico. Occorre risvegliare nel cristiano di oggi l'architettura morale che la Patristica e i grandi santi del Medio Evo sapevano proporre. In quell'architttura si definisce I'esperienza cristiana come avventura, come radicale presa di posizione di fronte alla vita: un cristianesimo senza santità è un cristianesimo incompiuto e non c'è santità senza audacia e senza fortezza. Con questa delineazione di una spiritualità cristiana personalistica Mounier intende anche dare una risposta alle aspre critiche che al Cristianesimo sono state rivolte da Marx, Nietzsche e Freud. L'«ottimismo tragico, che caratterizza la visione storica del Mounier gli permette un giudizio sul nostro tempo. Il mondo contemporaneo è intento a stordirsi nell'irrazionale e nell'attivismo inconsulto. Il secolo XX ha una sua upiccola paura>s: teme la propria distruzione. La sua paura è upiccola», ossia è una paura priva di quel senso di grandiosità magnanima che caratterizzò la agrande~paura dei cristiani nell'età medioevale attorno all'anno Mille. La predicazione della fine del mondo coincise con un grande risveglio della società poiché i cristiani di quei tempi, ricchi della loro fede nella trascendenza della vita, vollero giungere davanti a Dio con le mani ricolme di opere. Occorre oggi risvegliare le *grandi» paure e riscattarsi da quelle «piccole». La rivoluzione personalistica è naturafiter cristiana, si matura nell'accettazione di uno scacco, ma vive in un clima di speranza; ha il senso dell'awentura (I'affrontement chre'tien) e la capacità di dominare gli eventi con la propria generosità e fiducia. Il messaggio personalistico e comunitario ha avuto echi anche in Italia, ad esso si è in parte ispirato pure il Movimento di Comunità fiorito attorno ad Adriano Olivetti. La sua riproposizione oggi è quanto mai ardua; attuali e inattuali insieme, il programma e il messaggio personalistici costituiscono un termine di confronto per un serrato esame della condizione presente e un ideale cui tendere arricchiti da una esperienza non certo positiva del cammino fatto dagli anni trenta ad oggi ed insieme confermati nella convinzione dell'insuperabile validità di un discorso che si incentri sull'uomo come persona e come destinato a realizzarsi in un contesto non solo sociale. ma comunitario. dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 23 Una vera moneta per uscire dalla crisi di Giovanni Mag&co La caduta dell'economia mondiale nella più grave crisi che essa abbia conosciuto, dopo quella che è passata alla storia come Grande Depressione degli anni '30, continua. A seguito delle drastiche terapie disinflazionistiche praticate da Stati Uniti, Reano Unito. Germania e Giappone l'inflazione si può ritenere domata nei principali paesi industriali. Anche il deficit petrolifero, gonfiatosi dopo la seconda esplosione dei prezzi Opec, è stato praticamente riassorbito. Ma gli squilibri nell'economia reale si sono aggravati. La redditività delle imprese è peggiorata ed esse cercano di ricostituirla tagliando l'occupazione e, quindi accrescendo la disoccupazione. Le risorse per accrescere gli investimenti, necessari per combattere in particolare la disoccupazione aiovanile. sono assorbite dalle eccessive mese pubbliche correnti e dagli sprechi che vi si accompagnano. L'onere reale del debito si è accresciuto creando difficoltà non solo ~ e ler imprese, ma anche per i paesi fortemente indebitati all'estero e specialmente per quelli in via di sviluppo, anche se esportatori di petrolio. Le difficoltà che questi paesi stanno incontrando nel servizio dei debiti esteri hanno fatto sorgere il rischio di un processo di reazione a catena, che potrebbe condurre al collasso delle strutture bancarie e finanziarie internazionali. Comunque, quelle difficoltà tendono a spingere i paesi produttori primari verso la deflazione; ciò che, naturalmente, non è senza conseguenze per i livelli di attività e di occupaziole negli stessi paesi industriali. In tale situazione non sorprende che lo stadelle aspettative corrisponda a condizioni trutturali di forte sottoutilizzo delle risorse produttive. Piuttosto, l'opinione pubblica nei vari paesi deve prendere coscienza della circostanza che lo scivolamento verso il protezionismo e il bilateralismo negli scambi commerciali non è più uno spauracchio, ma una realtà. Il commercio internazionale ha perso slancio e non svolge più il ruolo propulsore sulla crescita delle economie e sull'occupazione come invece aveva fatto negli anni cinquanta e sessanta, anche a causa degli ostacoli che i paesi frappongono agli scambi con l'estero. Quegli ostacoli non hanno effetto meno restrittivo per il fatto che il ricorso ad essi venga presentato dalle pani interessate come una decisiva decisione presa su base «volontaria». Se i principali paesi industriali non riusciranno a ristabilire le condizioni necessarie per aver ragione dell'instabilità, degli squilibri e della lunga recessione produttiva, la ricaduta nel protezionismo difficilmente potrà essere arrestata; l'espansione del commercio internazionale in un regime di libertà e multilateralismo degli scambi e dei pagamenti, è una delle condizioni necessarie che non potrà essere soddisfatta. Contrastare quest'involuzione è fondarnentale; ciò che si richiede è un grande sforzo di leadership. L'involuzione in corso deve essere ascritta anche a un difetto di leadership da parte degli Stati Uniti, ma anche dell'Europa. - - 1.0 - L'Europa non può, non deve attendere che la leadership venga dal di fuori. Essa deve sforzarsi di generare le energie e il consenso, che sono necessari per l'esercizio di una leadership effettiva. La sede naturale per organizzarla ed esercitarla è la Cee. Nella situazione attuale e prospettica, esistono le condizioni perché la Comunità acquisti un peso e una dimensione politica di un'importanza che non ha precedenti negli anni trascorsi dalla sua costituzione. Questo peso e questa dimensione la Comunità potrà acquisirli, dovrà acquisirli, in quanto svolga il ruolo di leader per i paesi membri, aiutandoli a uscire insieme dalla crisi. Negli anni trenta, la Gran Bretagna organizzando il sistema della preferenza imperiale riuscì a riI I L durre i danni della Grande Depressione per sé e per gli altri paesi del Commonwealth. Nelle condizioni attiali, la Comunità dovrebbe sottolineare con rinovato vigore la sua vocazione di strumento per la libertà degli scambi. Mantenendo il libero scambio e rafforzandolo, in un momento in cui esso viene mortificato e costretto a livello mondiale, la Comunità renderebbe un servizio essenziale ai suoi membri.' Poiché questi possiedono strutture economiche concorrenziali che nell'insieme costituiscono un'area industriale molto vasta, il sacrificio in termini di efficienza rispetto al libero scambio con dimensione planetaria sarebbe rilevante, ma non intollerabile. D'altra parte, l'esistenza di un polo di scambi liberi, importante come la Cee, renderebbe il protezionismo chiaramente troppo costoso e, quindi, meno appetibile per gli Stati Uniti e gli altri paesi terzi; tanto più che un polo così importante riuscirebbe ad allargare la sua orbita ai paesi produttori primari, che sono ora associati o potrebbero decidere ------I Mnr. e m.: mia*d4 Tnrl, 66 O O a 7 ROMA ANW XXIX .N. 1 * O.RR.iO 1SUI ~ o d ~tnaa b*b w a ~ ~ n tportate. r, QNW HWA ' dal quartiere alla regione per una CornunitA europea federale 1 I 1 B ORGANO MENSILE D E L L ' AICCE ASSOCIAZtONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI Risoluzione del CCE: il conflitto sul bilancio delia Comunita Il t omiento 4,R e r h a europea del r a n ~ l i dct o &muei d'Furcp. rsuaiio r Pirlgi il 13 gPnnaio 1981, dcplor:, vIrrmmi' ~ h Ie~<IYCTRI ihhwno provocato u n i nuova crsu &I tnlsnrio rlls Comuni=. Dd momento ~ h 11e Parlamento rutopro h* adoi~aio un hihn<to qnrato u nndrraaiaar, molto lontenu drll'#umento dalr r i a o n propne dello Cumuoiti che sarchtx nrcm~1rioper supurare lacrisi c w*<<rrurrre l'equilibrato srrtwpp, di qun~'ultii-na i1Cormcito di Pmtdm~u europeo ~onrtar*rhr 11 Cs>ristgliode, Uorsrtrt \t c tnrirto ncll'briportii di pronunciara ru tale hilwin. u n t a uppro,a~lne fena neppure rapingmio Lon I'unaniiririr r r h i n l r dai T r s t t m Quala csrenn~&I O>nlilgJio b i n p a r t ~ d a ~r <~W U Ualld g r a v e d p r i m z i m pmnlurati. c h e t1 CLI. non ba ,i%$aC<? dx &~UI>II.IIV, LI<*. alt* maorna rppl~insion~. che ti r i ~ r s l i r sda rnnt. &l prnctpio della rnl(~pi«rmzityualili'ags p r e ì i s a efrk r n t i I1 Comttmn di Prerrdenxaerbrl p p r m <h@, m q u n ~ e ~ < ~ ~ d i11?P~l od n n~ r e. d c l Prrlanmni»twr<rpn ha a+uio rqionc. in * I r i u J r f l ~ l a u w km d r o chinrc dei Prairru. di rritwrre rdottaie d e h n t t ~ r a w i e :I hihncio cui l a Cixmmt\+ronr d<r+redare uururtiinv. <omr ?i ruo iiu<>voprr**drnrr 31 e tmpqyrato uftx~alrntnrrr fare Il blm~rwtodn P r a i d ~ n n e u r u p r-prtmr. Ia sua r<a!drrtatiom ~ P 11 I k r pw%a d~ p i s t o n e d r ~prai<brnl<&l Parlarmni<ar u r o w t e detta Cx~mmrssio~~ p r r l loro \nlidzkr* ~nwyxvrtiimroioA torci c\prrme i l suo rrro<omp~unmm<o5oitotrnre rhr rolidnto una partniprrionr peu BC'<W\JC pru cspltciia ~111P~rlamentueurtipo ella ddtnietom e 4th rriuwioni drlk pittiche cnmunliarir putra este'urnn alla <<eiruziomeurop* i ' r p p o i ~ f u dct * I # t t i d ~ nAlta i C.omantri. inlint. rtitutdrirdo l a *us I ~ r i ~ l u x i r t del n r 12 duembr~I L19 ' 11 < nmktri<id~ Px-idenza cu r*iyinsitaJ~«uryntc chr 11Parlamento curcipI<r sia in yrrdodi rirqu~iibrrrr, <ulke b h n ltbc i l rapporto Macl><rupll~oaridtraCI, m t o i i d r i e r i ~tnirrimt. ~~ neer*<rri< i i t i bilawirt che. #IL> .rrurr+arruak. non puo prti5rx a rrr, e proprt ptuRrn,i >rriiiiurai~»~.lla < .imanrra VIII Congresso nazionale dell%ICCE tlorti~tr~~tito /ititrli> d'r~tta ~ ~ lJ ~ Pirlsmntu I =,<ipn, hi cwlltui<o, "'<i" 1": .*-aM F-V~G E U B @ C ~ O .FOC-OW per una '"nftd < J P C I * ~ * ~~ * I ~ ' P v ~ » %?Jo=erici PP a te(snxritirn rll'Piiropa dei ~ ~ ~ *~ p d el r)n~m~i n aun ruuloc una r a p , n m k i i r d ~ mmwori ~ n<lr 11 1 . ~ t rraiii. 8 ) ~ i ~r ~~ ltiiui*3~* l ~ ~ piiirti India rqlnna(g *..n<nratlci. 11 momior !oLMI,,, JVII* II PT~*WI<I 416 t ~ n d 0 » 1 l ~ ~ ~ ,J rurepni &l .laiaw, I ~ , P L .tdeuer yn<ur. a uzin Coiiionrta Jrlfr i9r<F ArPmmsl,enr inpare di xail'fai(,~i y ~ i t l h nr ~ ~ i o i i ~ l ~ , COMUNI D'EUROPA 24 di divenirlo. Si perverrebbe, alla fine, a un'area integrata di vaste dimensioni, che al vantaggio della concorrenza unirebbe quel1,o della complementarietà delle economie dei paesi membri industriali, da una parte; di quelli produttori primari, dall'altra. La libertà degli scambi non può alla lunga essere mantenuta senza assicurare un minimo di ordine monetario e valutario. Attraverso svalutazioni competitive dei tassi di cambio si può recare danno alla struttura degli scambi al di là delle frontiere, in maniera più diffusa e rapida di quanto sarebbe possibile fare manovrando gli stessi dazi doganali. Allorché lo Sme fu costituito, meno di quattro anni fa, l'esclusione delle svalutazioni competitive veniva citata dai suoi fautori come uno degli obiettivi da perseguire per il suo tramite. Ma l'argomento era giudicato di scarsa o punta rilevanza, tanto sembrava remota dalla realtà la manovra del cambio ai fini di una concorrenzialità aggressiva. Oggi, il rischio di svalutazioni competitive è molto elevato e ciò conferisce nuova attualità all'impostazione che condusse alla costituzione dello Sme. Ma, il capitale di credibilità, che lo Sme era riuscito ad accumulare nei suoi primi 2-3 anni di vita oggi è in buona parte sperperato. Le variazioni dei tassi centrali sono divenute più importanti e più frequenti. Ciò è in contrasto con la lettera e lo spirito dello Sme, il quale è si abbastanza flessibile per consentire gli adeguamenti dei tassi centrali coerenti con I'evoluzione delle variabili economiche fondamentali, ma ha come obiettivo nel medio periodo di rendere omogenei gli andamenti delle economie dei paesi membri, in modo da ridurre il bisogno di ricorrere alla manovra del cambio. Vi è il rischio che i movimenti di capitali, i quali nei primi tre anni hanno avuto tendenza a compensare i disavanzi nelle partite correnti dei paesi partecipanti, tornino ad amplificare dicembre 1982 gli squilibri di bilancia dei pagamenti e, alla fine, le variazioni dei tassi di cambio. La ripresa della speculazione destabilizzante è la conseguenza del fatto che i governi di alcuni importanti paesi membri hanno ripreso a comportarsi, nelle decisioni di politica di bilancio e creditizia, in maniera incoerente con l'assetto dei cambi che essi hanno sottoscritto meno di quattro anni fa; senza denunciare formalmente l'impegno aiiora assunto con la costituzione dello Sme, di fitto non lo rispettano. Poiché l'inversione di rotta verso politiche - specialmente quelle di bilancio - più permissive interviene in una fase in cui i paesi, i quali hanno mantenuto con coerenza l'impostazione antiinflazionistica delle politiche monetarie e di bilancio, cominciano a raccoglierne i frutti e stanno ora riuscendo a liberarsi di radicate aspettative inflazionistiche, la divergenza nella aperformance~economica rispettiva dei due gruppi di paesi, nello Sme, tende a crescere più rapidamente. È questa evoluzione contradditoria che crea le premesse per la ripresa su larga scala dei movimenti di capitali speculativi. In queste condizioni, per la soprawivenza dello Srne è necessaria una svolta che si articoli: a) in un potenziamento significativo degli suumenti a disposizione del Sistema monetario europeo per promuovere una maggiore coesione monetaria; b) nella finalizzazione dei nuovi strumenti alle esigenze dei paesi disposti a orientarsi decisamente verso la stabilità. Per quanto riguarda il potenziamento degli strumenti a disposizione dello Srne, un Fondo Europeo che fosse facoltizzato a effettuare interventi sui mercati dei cambi e operazioni di mercato aperto sui mercati monetari della Comunità permetterebbe di assorbire l'urto di movimenti massicci di capitali speculativi con danni minori per la stabilità dei cambi e delle condizioni monetarie interne. Le operazioni di mercato aperto utilizzerebbero come strumendal quartiere alla regione per una GomunitB europea federale O R G A N O MEE(SILE DELL'AICCE. ASSOCIAZIONE I l \ L I < < i n $ r r w r rwlrkuiok 51.11 \l<( 1 ~*nnitria \iw>ft il dS1+ 2 % ~ m t t w i ,8978 ~ 6, i' % i &. i Ritrci k r r N e rrglim.,Ii r ,&tti<:b Irw rr d-lrr*ratl.hr wt ytwsa<rsltwilr al prkl~esqt?Ji Inlc~rall<memtv irr.i . n r h <liiimn%f+w>r Iruidanunlak rnim la <(tute r * prai ~ imnl ,l,i<r%$cn <re rrnlr pr<iprcsau d ~ t h ix3xira a r w l a n;ldeiilale *i 1st. irne thpzr J( Ircrnle a ihc trr&.~irr , - lii irrbma ~ r r rrllrr i -- 4 4 qiubts 81 rtil i4irc I kippwlriiiila Ir, nrruir . r I l r r r n * i m tuaik rlatabillr~IL yri8iu#oddl* p r l i l L i W JeI1 Lu4i.msse priIer.8k r ~ lrmrrpu1 i ~ I i i ~ r l . + )nhUegirIi l~ rtnrprnrllrl F stii p m IiISit ~apriailrtivur ~ i ~ l nmllii la nltl pr,ir.n III>J~IISI in lmm*iMi~or r t i l i h p r. bunrriltirhs sriisilr in rbirl irrmlnl truuw un k w p . brwlr riill = . \ a l t . u & w ~ Jl un Wkru vrihigqm &(la punwiur r. th,Ik .~«twrwr~<rr.kxal& P rspirmali -81 pluralismi "Jlr p r y l n i r r n i a r l m ~ ~ s i n < r m r jmhbiki i~a r ck~vurrsikae ~tnPI~I\ULP&*IP . M ler nlrbrnt r k \e& I larerrtlliu m « i w &4 P1)iefi rrplunaH 8 IrraH e w tmoirriur stilld mianlRIatlrm dl fa$l» uesliu dn) s r t d Inluremri realt UNITARIA mn>iiI < . io$.= irrnlli u n w b b h l t i tiilnnnft ixr Ir l<,t I # i * . k > , , ~ ,l, ,,,t f r ~ ~ , t c'l, t,,&* t t t k m <Iltt*lx&~,t.' Jltrr.~x p y r t g a r s talte Ir l<n* iiii - ', i ì i i i s sciiha* rimi+ pi c irlh airnu> Irmp* r i % u u t h l r r Ilns c<nlrrl.ulunt ss$irralbls e p> siadlita (sir d s Il CJI Ishtnr W #hmi wHedetw ) ..A. - - .. DI COMUNI. PROVINCE REGIONI to titoli emessi dal Fondo Europeo e denominati in ECU;esse sarebbero condotte sui mercati nazionali, che si trovassero esposti a ondate speculative, con l'obiettivo di sterilizzare gli afflussi indesiderati. 11Fondo Europeo dovrebbe essere facoltizzato, inoltre, a compensare i deflussi di capitali da un paese partecipante verso altri, ossia ad acquistare la moneta Sme che fosse venduta, e fosse quindi debole, per effetto di movimenti speculativi. Allorché si sviluppasse un mercato dell'Ecu, le banche centrali partecipanti, le cui monete fossero forti, acquisterebbero (e accumulerebbero) ECUcontro l'offerta da parte loro delle rispettive monete, mentre il fondo europeo acquisterebbe le monete partecipanti che fossero deboli in termini di ECU,riscostituendo nella misura di volta in volta ritenuta opportuna le riserve dei paesi in deficit. Un sistema di questo tipo sarebbe dotato degli strumenti capaci di fronteggiare la speculazione; ed è verosimile che, con la crisi di credibilità che si va ora delineando, la speculazione assuma dimensioni tali da richiedere un sistema di questo tipo per il mantenimento dei vincoli di cambio introdotti dallo Sme. L'ostacolo alla sua accettazione è costituito dal fatto che esso appare troppo permissivo. Esso in effetti lo sarebbe, se fosse applicato senza che fosse ridotta, allo stesso tempo, la capacità dei governi di alimentare l'inflazione. Perciò, esso è proponibile solo in quanto si riesca ad apprestare un sistema di garanzie che impediscano un accrescimento della permissività monetaria nell'area Sme. A tale scopo, potrebbe essere previsto l'impegno dei governi a rinunciare al finanziamento monetario dei disavanzi di bilancio e a contenere progressivamente, secondc un programma da stabilire, il ricorso al finan ziamento quasi monetario; i governi si impe gnerebbero altresì a ricondurre gradualmente l'espansione della spesa pubblica entro il limi te dell'incremento, in termini reali, del pradotto interno lordo. Le facoltà, che qui si propone di attribuire al Fondo Europeo, dovrebbero poter essere attivate solo nei confronti dei paesi i cui governi accettassero di auto-limitarsi nella politica di bilancio e finanziaria. Una svolta di questo tipo richiede, verosimilmente, una spinta politica di portata comparabile a quella che rese possibile I'awio e la conclusione positiva del negoziato sullo Sme. Sotto questo aspetto, le condizioni attuali non appaiono promettenti; ma senza questa svolta, la soprawivenza stessa dello Sme è in pericolo. Una dissoluzione dello Sme vorrebbe dire che un diverso approccio dovrebbe essere ricercato per una politica comunitaria dei cambi, perché una situazione di laissez-fare per le singole monete nazionali non è compatibile con la soprawivenza del mercato comune, in condizioni di forte instabilità economica e finanziaria come quelle attuali. Ritengo che fra non pochi politici europei vi sia la percezione del fatto che la crisi attuale offra l'opportunità alla Comunità di divenire una realtà politica determinante. Per farlo sono necessari consenso e sostegno popolari nei paesi membri. I federalisti italiani dovrebbero agire in funzione catalizzatrice, proponendo I'analisi della situazione e le misure qui appena abbozzate. COMUNI D'EUROPA dlcernbre 1982 25 Non solo idee ma fatti di Maria Luisa Cassanmagnago dei Trattati. Noi vogliamo adesso dire ai sindaci, ai presidenti delle amministrazioni provinciali, ai presidenti di Regione: dateci una mano penhé questa riforma non sia un fatto deciso in una stanza del Parlamento Europeo, ma verificata con la gente, per crescere con loro, per mettere in corsa una riforma più partecipata, non fatta soltanto dagli addetti ai lavori. Questo ci interessa, e vorrei sottolineare che la nostra riforma non è di vecchio tipo, ma ha quattro capitoli importanti: la parte monetaria, la parte sociale e occupazionale, la parte giuridica strettamente detta. collegata ai Trattati, la parte di sicurezza collegata al tema della difesa. Sono solo dei capitoli che sembrano avere dei nomi astratti, ma, concretamente, l'ordine pubblico e la difesa sono fatti che devono partire da ogni cittadino, da ogni comunità farniliare, e quindi mi sembra importante che questi discorsi circolino nella prima comunità intermedia, il Comune. Per concludere, ed è una mia profonda convinzione, se per esempio la Regione Emilia, la Lombardia, il Piemonte, la Liguria od il Veneto intuissero che le prospettive economiche sono anche collegate allo sviluppo dei paesi di tipo africano, di tipo caraibico, e improntassero i loro discorsi non soltanto in termini di concorrenza all'interno dei dieci, ma si ponessero partendo dalle risorse che ci sono nei paesi in via di sviluppo, per aiutarli a crescere personalmente e a produrre uno scambio reciproco, tutto questo produrrebbe anche dei momenti oc~ cupazionali da. parte nostra. Perché, far crescere dei cittadini non significa soltanto far circolare delle idee, ma anche delle prospettive economiche. Ritengo molto importante fare un dialogo spazi anche al di fuori del territorio nazionale. con gli amministratori locali intorno al tema La Comunità finanzia corsi e scambi di giovani Europa e cittadini europei. Il problema euro- che vogliono fare una sperimentazione al di peo deve essere rimesso in corsa anche dal pun- fuori del paese d'origine. to di vista culturale, collegandosi al tema di Ho fatto questi primi accenni di tipo operarealtà locali che esigono un allargamento in tivo in relazione alle poche cose che oggi la cotermini di spazio. di territorialità, dato che in sostanzialmente legate fa, e che ogni paese risulta che i giovani. le donne non alla politica agricola, alla politica di formaziohanno una professionalità. o addirittura un'oc- ne e per 1, prima vol,a alla politica regionale; cupazione. anche se intorno al tema della politica regionaCosa significa ciò? Significa che occorre aprile abbiamo purtroppo messo insieme le briciore le porte del proprio paese verificando un le dei denari, mentre, al contrario, con un fimercato più ampio e verificandone le prospetnanziamento proprio della Comunità, la scelta tive. Proprio facendo questo discorso ci accorpolitica nuova dovrebbe passare attraverso le giamo che in Europa la disoccupazione sta dizone più povere di pc~liticheregionali, ma che ventando strutturale: come possiamo capovolcoinvolgerebbero tutta la crescita della Comugere questa tendenza? Prima di tutto facendo nità, partendo anche dal problema culturale, appello alla solidarietà dei datori di lavoro per formativo ecc. degli investimenti precisi, ma anche degli ocC'è infine la politica energetica7che ha me'cupati, perché non si può tollerare che una persona abbia tre lavori ed untaltra non abbia mai SO sostanzialmente in ginocchio l'Europa, e per la quale ci 'Ono veramente quattro lire. In incominciato ad averne uno. T~~~~ciò deve avere naturalmente una pre- realtà facciamo finta di dire che c'è una politiquesto Europeo-quemessa di tipo formativo. La telematica, la robo- 'a' ma sta Comunità può andare avanti così com'è? tica stanno andando avanti, il Giappone sta inanche se è diretta da Trattati che hanno un gorgando il mercato europeo, gli Stati Uniti, significato, mache nel 1982 devono essere riveche hanno molte possibilità di investimenti, rificati in relazione a.1 cambiamento che stanno correndo dietro a~ ~ i Q~~~~~~ ~ ~ ~ ~è in Europa non può più far finta che tali cose non esistono, ma deve produrre delle scelte di forI1 Parlamento Europeo ha approvato, il 6 lumazione collegate ai nuovi strumenti. l1 Parla- glio 1982, una bozza di proposta di revisione mento Europeo, e in particolare la Commissio7 ne esecutiva, già finanzia dei progetti di forD~W. e k & t n . : Plaaa dt frevl, 86 - MI187 Roma AHNO xxx - N. 7.8 t u @ b ~ g o t i t o1% mazione in alternanza, di formazione collegata S@@alow f n a W n a m e n l o poslald - GNWO liU70 2 - - ---------alla telematica. Il vero problema è verificare se le Regioni, attraverso dei progetti precisi, possano divenire degli interlocutori all'interno della Comunità europea. So pur bene che sarebbero svantaggiate le zone sottosviluppate, però l'Italia arrischia di essere lo stato che non produce una progettualità, nonostante I'insostenibile numero di disoccupati. un secondo problema intorno al tema ORGANO M E N S I L E DELL AICCE ASSOCIAZIONE --W------ 1 dei giovani e delle scelte professionali, sempre connesso allo studio della territorialità. Il problema dell'occupazione è collegato ai momenti operativi del territorio, ad esempio intorno al tema dell'artigianato, della piccola e media industria, della cooperazione. Se ci sarà una progettualità intorno a cooperative di servizi, cooperative culturali, la Comunità sarà sempre disponibile per finanziare questi progetti. Tutto questo però deve essere collegato a domande che passano attraverso la Regione per arrivare poi ad avere i finanziamenti della Comunità. Ancora un problema, a mio modo di vedere estremamente importante, è cercare di parlare con i genitori, perché nella formazione dei propri ragazzi tengano presente la formazione del cittadino europeo. Vedo in genere questi ragazzi come la sommatoria della società dei consumi; se avessero meno cose ma avessero ottenuto da parte dei genitori più capacità intorno al tema della seconda lingua, della terza lingua, avrebbero la possibilità di poter circolare come cittadini europei e poter trovare degli dal quartiere al(a regione per una C o t n ~ i n i t aeuropea federale UNIT4RIA DI PROVINCE COMUNI REGIONI Appello ai Comuni e a tutti gli Enti locali e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema dell'organizzarione della pace la b m b i atomica C gli drri rerrtbiii rrrunicntz rhc IJ tecndi&gxdcontemfxicinea ha mrsso a dtspnsizione pnina di alcuni Stati. poi di un numcrn umpre rndggiuie di so14e, rnhne, mitterb a d i s p o s i z ~ oanche ~ di c$strrtrc orgdnllzAri<miternitrctichc extra-+tatudi, fermo a che i1 pmhlcma della pace fra 811Stati e glr u»niini e d i l h sud orpdnrrzrzione s pngd orin& rame aw>luidmcnre pnmiiano per Is continuanone di una roiivivenza nuik F per LA s t a WprAvriveaka ~ d d l urna ntii L'equilibrio d d ierrotc non può essprc procrartmato ~U'rniin~m. t la rAgione e Iit q t r w r;>inm d~coowmztone ~ s r g rhe. ~ o specie in un mando che &b i p o i a ~IM arqututo inevmib8lii1en re un muttipuiarc. FI iato per un p=g10 dsi~dpn~ir~rd di pi>tcnz~ - C na piiw di P I ~ C , , aa ma d u p i r w n c di una idedugia - a und ptliina di ncgoaiafo p m r i c n t e e di gcsiione comune dei pù wotrauti problemi inremasonaki. dal h r m o alta cIimii~azioncdcitf3me b l l a eyur dismbuziunc deUe rrtcherre dcl frtndo deelr ( T C a~l h miraguardia dcli'manrema plrnctano Cna cultura rkila p x e SI &te foimaw ai di ropn dn b k h r e d d k diririon~>dco%ichc c reti^. e q w t a nnn può che rominnare c d diffondmi oiunquc &l12 p i a cmncnza degli aq>eni rcmbili della puern moderna, anche solo can~rnzionak o6 liropm ~ ~ lfw i rsiorna in cui UM> xegULlto wlupyo t~ sta per offrire in taluni Paesi qgjlomeni~umani di olrrc wm<z niiIwtn di v n c - N C I drffusioncdi ~ ~ q u a m cultura una gran* mlxsiunr ~ p c t uAI Ciimuni e a tutte k Cnmun115 di bm, che nncendo con c<>~gg(o m s t e n z r e pregiudizi dcbbomb inconirdrri su mia intcrnariunde c r t n d m ~panmpr cimndevolmcnte d e k Tmprie g n inquicru&ni ~ acri n n d o a propatc c«mmc PCI 11 s u ~ t ~ m r nddi8tyui~ibrio tn dei rcrriire S u h h w q u a t o q d ~ ~i e n r n l di r azione t di d r n i o n e gli incontn fra G m u n i C ali% Co munrlì lonli C I P W A ~ C tutti * g ~ t n c l ~ a gnel1'~mhiro g~ inntonalc &i < unrigho d'Eurtip3 e InCOI I"ù della CmunitP cumpra debbono avcrr 1x11 un r a n t t n c spcoaitn. &F &l rnro nrnr<ia I'upctlo r-rrdrcensrun wl qwle iumno I&A~I I gemdla.qgi oiiic trcnr anni té, <i&la drfiniiiv~tic o n a l r a z m , et!a dtmocnzaa coninne, tin P ~ Aruropa I che a r n i n < in i e i u r o m n le ~nmdirpui r pr h due ~ 1 4 r eund guerra niandilk k r n & le ind~raewnidel Consigli<idn G m u n i d'E~ropa,nbadtrc c ap~rnfwdirc<tgli Frati pntrdii <thfednd (wttenibw 1981). gemehgpi e u m p d e b b n o cmint~uirca p»musiqrrc l'unii3 palioca C rIenlorrat~oMl'Eurupa n di pdla Pmd'Europa che a a tmttrnta dispnnihilt rcw d a r intenti Il pnmn che qurrca untta naarrsenn un evento rwmnhrcmrhi rr.rrrrrh~u.,si .....T.-~.-.... I - , ...-.... COMUNI D"EUR0PA 26 L'ordinamento comunale in frantumi di Augusto Todisco Scriveva Adriano Olivetti nel 1958: «Non si dimentichi che nella grande opera di rinnovamento urbanistico promossa dal Governo britannico si sono studiate tutte le circoscrizioni di autogoverno nel senso di renderle più omogenee rispetto alla popolazione, contenendole in una unità compresa fra i 60.000 e i 250.000 abitanti, dimensionamento che appare anche per il nostro Paese sufficientemente elastico e capace di dare alla organizzazione del lavoro di pianificazione urbanistica quelle coerenze attualmente ardue e faticose*. Questo criterio è stato al centro del dibattito politico-culturale che si è andato svolgendo in questo ultimo decennio, sul tema della dimensione ottimale del governo locale. E variata nella considerazione degli studiosi la misura. La unità di base è però rimasta così dimensionata con margini di minore o maggiore approssimazione. Si è insomma affermata la convinzione che solo uno spazio territoriale ottimamente organizzabile possa costituire il perno di una politica autonomistica basata sull'armonizzazione delle diverse componenti: amministrativa, economica e sociale. Se si considera l'ampiezza demografica degli 8.086 Comuni italiani, solo 116 sono i Comuni che presentano una dimensione conforme al paradigma ottimale. Essi raccolgono complessivamente oltre 10 milioni di abitanti con una escursione che va da un minimo di 50.000 ad un massimo di 250.000 abitanti. I Comuni che superano l'ampiezza dei 250.000 e vanno oltre i 500.000 sono 14 con una popolazione di circa i i milioni di abitanti. Circa 35 milioni di abitanti sono distribuiti in 7.950 Comuni, ciascuno dei quali è al di sotto dei 50.000 abitanti: di questi poi 4.728, (il 58,50% del numero totale) sono sotto la soglia dei 3.O00 abitanti. Una vera e propria costellazione di microComuni rappresentativa di una realtà ordinamentale in frantumi. Sulla necessità di operare una necessaria ricomposizione si sono espressi unanimi consensi. Non si è ancora daccordo sui modi e sulle formule organizzatorie. Il tema è rimasto così circondato da ambiguità ed incertezze. Nel frattempo, la situazione dei Comuni si è aggravata sotto il profilo funzionale, tecnicofinanziario, democratico ed è destinata a peggiorare. La vita locale infatti si va di continuo arricchendo di complessità e tende a realizzarsi attraverso una fitta rete di transazioni che intercorrono tra una molteplicità di attori sociali. Alcuni di questi si identificano con le istituzioni delimitate dal territorio comunale per quanto infimo esso sia. Altri attori sociali sono al di fuori del territorio del Comune, ma ciò nonostante attivamente coinvolti da relazioni di interdipendenza e di connessione in ogni forma di vita comunale. La necessità di gestire e controllare queste complesse relazioni ha generato un affannoso, talvolta contraddittorio, ma vitale associazioni- smo tra i Comuni, i quali1 quanto più sono aPparsi condizionati dai rispettivi contesti strutturali, tanto più fortemente hanno awertito la sollecitazione a farsi promotore, nei limiti delle possibilità strumentali e normative esistenti, di strutture alternative, spesso non ufficiali, per svolgere in forme di cooperazione funzioni sociali essenziali. Il costo di questi sforzi è molto alto. Di qui l'urgenza di intervenire con propositi di riforma: o per ricomporre la Frammentazione stmtturale dei micro-Comuni attraverso la fusione, o per accrescere la capacità di funzionamento del sistema attraverso forme moderne di associazionismo istituziona1i:zzato. La fusione per legge di più Comuni in un unico Comune fu tentata dal fascismo. Non ebbe successo. I Comuni obbligatoriamente unificati ritrovarono con la caduta del regime la propria identità. La fusione non può essere neppure ipotizzata come spontanea decisione delle comunità locali. L'antica origine dell'ordinamento comunale, la persistenza millenaria in più di un caso degli insediamenti abitativi, ciascun carico di una propria storia, la radicata psicologia decentratrice che informa di sé i modelli di vita urbana costituiscono un ordine di difficoltà imprescindibili perché si possa attivare un processo di aggregazione che passi attraverso la fusione. Ove fosse tentato, piuttosto che innovare, un siffatto processo distiuggerebbe quanto di vivo è ancora possibile ritrarre dalla vita locale, in forza del suo radicarnento sul sentimento della «piccolapatria>. Il problema, per contro, è proprio quello di salvare queste radici di d'fettività e costruire su di esse una solidarietà comunitaria, con uno sforzo di elaborazione culturale e con un vero e proprio lavoro politico. Per questa via dovrebbe rendersi possibile la organizzazione, la centralizzazione, il mantenimento in buone condizioni di funzionamento di quei «frammenti di potere* che si trovano dispersi nell'ordinamento locale. Alla elaborazione culturale e alla solidarietà fondata su di un comune sentire politico, può fare da motore I'associaziionismo, a condizione però che esso sia libero di esprimersi in forme istituzionali coerenti e durature. L'associazione di Comuni, polifunzionale, coincidente con un «optirnumu spazio vitale organizzabile, può in questa prospettiva diventare la struttura tecnico-funzionale e politicorappresentativa del livello-base di autogoverno. Rappresenterebbe in questi casi una comunità autonoma territorialle più vasta, ma anche e soprattutto una comunità democratica. Infatti, secondo una affermazione del Kelsen, «più unità autonome, raggruppate in una «unità autonoma superiore* garantiscono che «l'amministrazione sia democratica non solo nello stadio inferiore, ma anche in quello superiore*. Ma è una prospettiva, quella qui indicata, che non sembra affatto condivisa dallo schema dicembre 1982 di disegno di legge approvato solo di recente dal Consiglio dei Ministri ed avente come oggetto il nuovo ordinamento delle autonomie locali. I1 fatto sorprende per due ragioni: una perché al problema della ricomposizione dei micro-Comuni il disegno pretende di dare una risposta; l'altra perché l'elaborazione del testo sembra abbia voluto ispirarsi al [icco dibattito svoltosi sul tema nellpambizione dichiarata di mediare ogni possibile divergenza, nor li comunque siano state le intenzioni, sta di fatto ,-he il disegno di legge lascia irrisolt. il problema del sotto~imensionamentodei Comuni, vale a dire la questione centrale dell'ordinamento autonomistico~ ~ ~ fcome ~ uniche ~ ~ ipotesi i , di cooperazione intercomunale, sono indicate le «convenzionip, sostitutive dei vecchi consorzi; con esse i comuni dovrebbero concordare forme e modi di gestione congiunta di servizi o di utilizzo di beni: le «intese» dirette a delegare alla Provin,ia [innovata specifiche attribuzioni; «forme associativeBcondizionate a fini di fusione. particolare, associazione intercomunale, con caratteri polifunzionali, può essere costituita solo tra Comuni aventi ciascuno una popolazione inferiore ai 3,000 abitanti, a condizione ,iano disposti a sperimentare la ,he borazione per un periodo massimo di un de.cennio allo scopo di fondersi in un unico co. mune. Alla fine del termine, a associazione è sciolta ove non intervenga la fusione con il voto favorevole delle popolazioni interessate, chiamate soluad esprimersi mediante referendum. zione ipotizzata è un compromesso tipico dei «politici del potere,: non stabilisce la fusione, non consente l~associazione,volontaria o obsia, permette solo l~associazione bligatoria finalizzata alla fusione. Non è difficile prevedere che buona parte hanno i redei Comuni italiani, tra quelli quisiti demografici e quindi il titolo a unificar,;, [imarranno per le ragioni naturali di attaccamento alle proprie radic, primarie in una condizione di permanente debolezza strutturale; continueranno cioè a rappresentare i «comunidellvordinamento, senza alcuna passibilità reale di adattamento dinamico alla plessità della vita locale. Una associazione non può nascere sul presupposto di una fusione per quanto differita, anche a questo proposito non si A meno voglia legittimare un comportamento ispirato alla finzione. I comuni cioè si associano fingendo di volersi fondere. Ma dieci anni nella ,ita di una istituzione sono pochi per un giuoco a dir poco picaresco, ~ 1maggior 1 ~ parte dei comuni italiani, non resterebbero che due sole possibilità: convenzionarsi o delegare proprie funzioni alla provincia. ~~1 primo caso, il convenzionamento avrebbe una portata scarsamente incidente sulle condizioni di funzionalità delle amministrazioni. ~~l secondo caso la possibilità di delega di funzioni o attribuzioni proprie alla Provincia, per quanto subordinata al conseguimento di .inteseB tra i comuni interessati, potrebbe'innescare un processo di espropriazione latente di compiti comunali da parte della Provincia (continuazztone apag. 31) dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA decentramento I1 decentramento amministrativo, assieme alle nazionalizzazioni, è stato uno degli impegni maggiori del candidato Mitterrand, attuato nei più brevi termini dopo che il paese abbia dato al nuovo presidente una eccezionale maggioranza parlamentare. Discusso speditamente dall'Assemblea nazionale, criticato, emendato dal Senato, il progetto è diventato legge il 2 marzo 1982. La legge però definisce solo le nuove istituzioni, l'organigramma delle collettività territoriali, e rimanda ad altre leggi la ripartizione delle competenze decentrate (progetto attualmente in dibattito e adottato in prima lettura il 2 dicembre 1982 dall'Assemblea nazionale) e la definizione delle entrate delle varie collettività. I1 Governo ha voluto mettere subito sulle rotaie la «locomotiva;e, come ha detto lo stesso G. Defferre, delle Grandi riforme, rimandando a più tardi le difficoltà. La riforma delle istituzioni porta, infatti, grandi innovazioni. Le leggi del 1800, 1871 e 1884 sulle quali riposava la relazione tra centro e periferia, orchestrata in modo da salvaguardare in ogni caso la centralità dello Stato, sono profondamente modificate. La collettività fin ora più decentrata, il comune (elegge il suo consiglio e il suo sindaco), non è più sottomessa alla tutela sugli atti e sulle persone da parte del prefetto, rappresentante dello Stato nel dipartimento, controllo che poteva venire esercitato anche ea priori,, cioè prima che il progetto di decisione diventasse esecutorio. Ormai il controllo è solo a posteriori e viene esercitato dai magistrati nel tribunale amministrativo. Più profondo ancora è il cambiamento a livello dipartimentale. Il Presidente del Consiglio dipartimentale, già eletto a suffragio universale, diventa capo dell'esecutivo del diparti- Francia 27 Questo primo passo verso un decentramento generalizzato a tutte le collettività territoriali di Anita Garibaldi Jaliet ha sollevato molte speranze in chi crede che l'Europa si costruisca, appunto, sulla base mento, a scapito del prefetto che gli ha già so- dell'emergenza dei poteri locali, specie dei polennemente trasmesso i poteri sui servizi dipar- teri regionali. Ma credo che la prudenza ci imtimentali. La tutela sugli atti e le persone pone due considerazioni. scompare anche a questo livello per andare in I1 decentramento in Francia è sempre stato mano ai giudici amministrativi, e solo a poste- concepito in una relazione di equilibrio con riori. l'accentramento, che è la tendenza naturale di La vera erivoluzionen sta forse nella emer- uno Stato burocratico fortemente strutturato genza di un istituto quasi nuovo, la regione, ed efficiente. Se la necessità è stata sentita da che sarà dotata della personalità morale che fin tutta la classe politica per rimediare ai rischi, ora non aveva, eleggerà la sua assemblea e il ormai quasi realizzati, di bloccaggio della sosuo presidente, tutto questo nel 1984 o 1985. cietà, il suo scopo è di equilibrare l'accentraLo schema del decentramento si vede, ma il mento che necessariamente dipenderà dalla punto nero rimane la futura relazione tra le politica di pianificazione dell'economia, dalle collettività, anche perché i legislatori non han- nazionalizzazioni, dall'estensione del pubblico no creduto, per ragioni politiche, di poter mo- impiego. Ma non si tratta certo di decentradificare la mappa comunale. I 32.000 comuni mento in assoluto. D'altra parte, le decisioni con meno di 500 abitanti (su 36.400) hanno del Consiglio costituzionale del 25 febbraio bisogno dell'aiuto dei mezzi tecnici del dipar- 1982 relative allo statuto della Corsica, attuato timento, e per esercitare le nuove competenze, prima degli altri statuti regionali per ragioni di (alloggio, occupazione dei suoli, fondi rustici, emergenza politica, e del 2 dicembre 1982 reapprendistato), non potranno fare a meno di lativi allo statuto dei dipartimenti d'oltre maappoggiarsi alla nuova Agenzia dipartimentale re, hanno ribadito con forza il principio della sorta, a loro richiesta, per sostituire i prefetti e Repubblica «una e indivisibilen, della sovranità vice-prefetti nella funzione di consiglio. interna dello Stato e della rigorosa uguaglianza A livello di dipartimento, l'ex-prefetto di- da osservare tra tutte le collettività nella relaventato Commissario della Repubblica, rimane zione con lo Stato centrale. Queste decisioni capo dei servizi dello Stato. I1 dipartimento sono una premessa interessante ai principi che avrà competenze in materia di giustizia, poli- saranno senz'altro sviluppati, in condizioni pozia, trasporti. Come saranno le sue relazioni litiche simili, in quanto riguardano la salvacolla regione, che sono competenti in materia guardia della sovranità esterna dello Stato. La di cultura, educazione, ma soprattutto di pia- centralità dello Stato nel sistema di potere per nificazione economica? Lo sapremo quando ora non si è scomposta. Ma forse il decentramento chiede tempo. Si sarà conosciuta la di:stribuzione delle entrate. Il ministro dell'lnterno e del Decentramento ha può confidare che il nuovo sistema favorisca fatto la promessa di entrate tributarie nuove l'emergenza di una nuova cultura portata dai per le collettività decentrate, oltre ai contributi nuovi detentori del seppure ristretto potere lodello stato, ma tutto sta, ovviamente, cale, più vicina agli ideali del federalismo e di nell'equilibrio futuiro tra le due fonti del pote- una gestione democratica del destino individuale e collettivo. re reale. 28 COMUNI D'ELIROPA dicembre 1982 11 contributo di «Comuni d'Europa)) per l'affermazione del paradigma europeo di Gabriele Panizzi Avevo conosciuto Umberto Serafini ad Ivrea nel luglio 1955, in occasione di un corso di formazione di quadri dirigenti del Movimento Comunità. Lo incontrai nuovamente a Francoforte sul Meno in occasione dei 111 Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa, dove egli fu relatore su <I Comuni e l'Europa di domani, (io mi ero recato a Francoforte al seguito di Renato Briigner, da poco eletto consigliere comunale di Terracina nella lista del Movimento Comunità. Briigner era un convinto autonomista ed un europeista pratico e mi aveva prescelto come suo successore: fui eletto consigliere comunale di Terracina, nella lista del PSI nel 1960). Da allora cominciai a conoscere «Comuni d'Europa. Vi scrissi la prima volta sul numero di marzolaprile 1958 con riferimento ad un seminario che la Campagna Europea della Gioventù aveva organizzato a Nuoro (ed al quale avevo partecipato) su Le autonomie locali e l'integrazione europea. I temi trattati dal giornale di Serafini mi affascinavano e mi turbavano: non era facile sviluppare contestualmente la battaglia per le autonomie locali e quella per gli Stati Uniti, d'Europa. Immerso nella realtà quotidiana di un Comune (Terracina) dove prevalevano atteggiamenti chiusi di una dirigenza locale che aveva attraversato il ventenni0 fascista, e costretto a constatare, insieme al drappello dei giovani comunitari, la difficoltà di affermare nuovi orientamenti culturali, sociali e politici, mi domandavo come si potesse introdurre e far comprendere la esigenza della dimensione europea nelle battaglie politiche sviluppate nei Comuni. Da allora sono trascorsi circa trenta anni di esperienze culturali, sociali, professionali, amministrative e politiche ma il problema che allora mi turbava (come far comprendere la esigenza della unicità della battaglia per autonome comunità a misura d'uomo e per gli Stati Uniti d'Europa) permane. Non voglio qui mettere in discussione i passi avanti compiuti in questi 30 anni per affermare la essenzialità della dimensione europea al fine di un mutamento positivo dell'ordine politico ed economico internazionale. Credo ciò sia il risultato della azione coraggiosa e tenace dei gruppi federalisti operanti in Italia (organizzati nell'AICCE, nel MFE, nelI'AEDÈ ; al di fuori di qualsiasi organizzazione) che sono riusciti ad introdurre in maniera sistematica la dimensione europea nel dibattito politico. Per convinzione o per adeguarsi a diffuse ufficialità, forze politiche ed organizzazioni sociali sempre più sviluppano le proprie analisi con riferimento a quanto awiene in Europa occidentale. È cosa diversa dal ragionare in termini europei, pur restando ciò importante acquisizione. Insomma, l'ambiente fa.vorisce più di trenta anni fa l'affermazione della dimensione europea; ma quando si va a parlare all'amministratore locale, al consigliere regionale, al parlamentare, all'uomo politico o al cittadino comune, è difficile constataire il di lui convincimento della essenzialità della dimensione europea per il miglioramento della vita quotidiana, per il rafforzamento della democrazia, per l'affermazione di maggiore giustizia fra i popoli della terra e per organizzare la pace oltre i precari equilibri nucleari. Tale convincimento è nc:cessario per un salto di qualità della strument:ale battaglia per gli Stati Uniti d'Europa. Che fare? Più volte la questione è stata disattesa negli organi direttivi dell'AICC:E, non di rado con qualche sintomo di sfiduci:a. Tredici anni fa lessi La s,truttura delle rivoluzioni scientzj'ìcche di Thomas S. Kuhn: di questo libro mi colpì il concetto di paradigma applicato al mutamento delle idee della scienza. Non basta che la nuova scoperta o intuizione sia vera perché possa essere accettata: altrimenti Galileo non avrebbe dovuto compiere l'opportuno atto di abiura per poter continuare la sua battaglia rivoluzionaria.. Occorre far maturare le condizioni (il paraa'zgma come complesso di situazioni culturali oltre che scientifiche) perché il vero possa affernDW3ibW 1lt1 marsi ed esplicarsi concorrendo a produrre nuove situazioni. Non so se sia superato ilparadigma nazionalista che ha dato luogo a tutte le coniugazioni culturali, economiche, politiche e sindacali fino ad oggi (credo ancora no). Comunque si tratta di operare per affermare il paradigma europeo, proprio a partire dalla crescente difficoltà delle coniugazioni basate sul paradigma nazionalista. Quando ciò sarà awenuto allora crescerà la schiera di quanti, convinti che la terra non è il centro del mondo, affronteranno gli eventi quotidiani in un quadro di riferimento euroP'=?. E pertanto opportuno ribadire il convincimento circa la insostituibilità delle battaglie federalistiche di gruppi anche ristretti: essi costituiscono il germe necessario per la coagulazione di comportamenti di forze politiche e sociali oggi ancora rarefatti. La organizzazione migliore di tali gruppi e la accresciuta diffusione delle loro posizioni accelera il passaggio da un paradigma ad un altro (owero catalizza la coagulazione di comportamenti attorno al germe federalista). <Comuni d ' E u r o p ~in trenta anni di vita ha contribuito a far maturare le condizioni per il mutamento di paradigma (dal nazionalista all'europeo). A questo rilevante merito altri se ne aggiungono: ad esempio quanti sono coloro che, come me, leggendo <Comuni d'Europa, e scrivendo talvolta per esso, hanno maturato e sviluppato il convincimento circa la necessità che autonomia locale e Stati Uniti d'Europa si conseguono insieme? COMUNI O'FURWA 3 un dmtmctrfo delle Regruni sulle proposte della Cf~munrta Le Regioni per una sostanziale svolta nelle politiche comunitarie P u b b b c h i n il d m m e n t o prexnrato 1141 da 1"arii~zi.ernrrgonn anaiir. uaiut.nioni e unrone polrrtcu e non no#r rnmmironu dl fin lu cosconenm ma in capuri di ~l<lbwureuua curnuue pditzca &l/. FmAmu di Rcgionc, in m a l o n e di un <C- niti di dirnto intererr rrgionrte, ma intesto- dferu ncIi'amBcto dr una jtrotegu dr pare ,u t1 furtrru del protaw di iirrci<&mondale) d d iegnaì~ W L propm #o m e e n t r a con I Minarn pei le qiierr%oni no gIoh,~frnr~ite &e i>cr il d m e n r o &le polirrche grar~uneeurotxn. quindr le <iueurinizioni. Er frinrd e caparrS di enltrrc orvcm J mondo ~nrhrdper mo conto. rpunro non && angosce %mtrure decnti>nali, I'arrranmcnro del sue wmurutitie. p r d u r o dalla ii6usrr~zit>ne che , n c<innoc.ì/I wzrond,tl<mi ne ha B m I'luarorr Gabnde Panrcr~.mem- tirl~nori,in una ~rarntn,Ir linea nimplesa~va nucleun r r n ~ f n m v>iloifimrrdlc genenche fiffirn~azionr bm rlrll'cserurivr? dell'A1CCE. per dui: m- del ruu ~rifuppop l i i i ~n (e non uiln economi i t c ~d t 1 T ~ & O R I d> eurr,pcr rdd hannu dmrortra nob r m i coi .-Perché d dueurttento rerimoilw. <u pr Ne d e n ~ runr ccmf~7rmdei ruolo deremtr- tu n~lIrpnnirpd~oapriJ6z nu &/t efrgeme mnfe. d v&x"..71»ne generdle ptnpm [xrchipri- rmfiera'~I /-.$I\ed i.# W e &/e rmnuni r e,rl concmro a m a di una c m ~ f o f r it~>lldbo~a trvenrr dei pupdr &I teno L rari- tra gegiani e AmmtnLruaz~oniwntrali Iinco, dclkRegion~che rlts Comunità runiprd r/w~~~ent;l/,zlr del r/u~rroarnndn dello Saur sui urmi c u t a p ~e ~ulIcrdtc delta dcsoii<iguardare nun solo come w>ggciri*nf e Regmnr devono firenden p&e u q u e ~ ~ a rrnii brnetirirn di i i U che e a w può Irrrv a s i ~ ~ Comuiut%,mnsiidrct~ o m i . a rrgiontt, crinie tamprmc8u ~s-rie deu'dainnr rcgmnrle rsrc in utmini di tinanziamcnri e incervenci. prohlrmtrw penhÉ/P ngum& 1virano &a IOIOfu Srcflra(Comrro uparirc), m# ##t &e col m n t w eumpeu tton sempre prù fri- m2 anche come rntr rdpprescnrauvi deciecisi e mquenri m& nclt'esantw ddlc rompcrcnze fremre. daila bau. La sua A Z i O m e il suo rrtfur- te /I Regmn~mendronaù - d a ngr(ro della i risultati, a rci<re&getnc e n t m d~Spugne e Pw#ogello nc/L CEE r Jopmistc &li sramti dciic Regioni r rtatnro tameiito n ier~tic;&rnc po I tagrei~odcba (;ICcu-- 15nno cbe L / d r spmale c W u t . I I7 dclh Cosntuzimie. S o n t.~<uiier ci~ntrsrldizioni Una Europa dctle Regioni e non solo per le rrw mrrditenune~&l& Conuairà non rr modi sruw u l a ~ a1qhct r a p m inituzionalizzato ~ r d~rrer6quel* a m p a m diW'hICCE. ma si 6 COmiilCIAt~a Reponi. In formula é f w un 1w' ambigud e firberà se I"Eumpa c o n h n ~ ~ eb potir~lente ma può furnrte, & pei 4. una li- ijPI menanh (done prede chi hu p* forra r dL1qam con f q u c n z a penodia p12 denam, E le &tre Regionr ~enlrom d o di azione - &che nei dncu5enlo. come C ~ I J ~ J nea Giaiifranm Maruni n&, - &ve n i un appunitn pmdutiruo priì mente evidutziaio ncUa pmrntamne farrane ,mrnutato cha nel mezzogiorno - ranno che non por?# ewrci nprerupmdMtt~ra( ~ O ~ I ~ S ~ U /e 4d una h u ~ f o m m o n edinduruo w d u U ~ vaj rn J I I E ~ W <dl zin UUO#O rapporto con t/MPIr del tema e d d q u m o mondo (hqw~rone&I lo wamb~oinegude e I& divisione intcmadi Cidbnele Plll~vzl ziondc &/ /ache v6 ~ O M I M Wrn, nlazro ne non u& o&rrt~~vr dette mll/huamdr) Non tr wrro dr iaar~#tmr J I mtta dr r~oler Non è srr&ficrenu battmi per qualcba modr1. f G d g E Regonilid i n i ~ ilodocumenta d n c m unu d w -- I I I ~ O u( w ~ ~PI J C U I I I O &mone a& I r g g c f i u u m m chc dParhmcn &l 4 nambr+ snik politiche mmunicrrie n e f i r mpprr tenlunn dr rrtrmmonr &e qudr m nuzzonI/s a ricrngr u volerc d $ n s dr oite I/ rrbrmrncnfo &! Regioni pcr u m stsransa- drpendr rn nr,revcilr innunr (nonnrwte le n nerepolbr m&di rn p&, q-& la n t u m o Jc wdta nelle potir& conunlruie) che I Pre rcontmte r~l/lorssbaht& WC/ quudm atcudr dl n ne ~ ~ r n u u r && d e twnonru Icbr non P imimn d d &I/@Reg~aair d& YNPIWCP JUIOW<> fcnmenm nuapn*le) /a mcl/uxone &I pmbte c6ea ma dipende & conresto i ruirrnauo~dq nrs J1 Trrnto e W x m o f & x e n &nro prmw- fnr t&/ nostm Pwse ne/ runtESto Iumpeo rejuprecana r &~~umprggraronognr Re. &@ i14 mmcmbm 1981 d &ftn~ihoperdrwr- C? - qurnh u w rosa akfmt~ufnto.dr gwuc. druumcnro inutlla idrliipahachc comunirmr rcutere J dotumenm ne: Con~ighrrgtonnlr ~d Cbr senso ba c f i w h r q&& rarld % con( p i i B M ~ ~qur ~ t oG% scgufio) lo)Z u n ~ o b f rn o tre in jppoiiie nrnroui del rapptrrcnlun8r rcgro to m piY per d FESR, o a s m diicutbn a i 1 hion pm: o SUiPcnrm quou Jr /c ? M O m & O U ~ FeJM dr (mrnlre pwe$oiro, nelle redr CEE e n 5 I , rrn dio di q d i & ne+ p+# ibur04f z r r d i , r iovort per definrrr contcnrrtr e wudr uo h m l u k u carrlo dal c o f i l W a r 0 *%UO prardcnte del& R ~ ~ D Ldzto. M Cluhn Santn- proprr che nim ri Iimaano alle pur inrpardi.a 8omc dclLr Conferenza Pef~tili~en(f dei canti policiche e azroni wrr.iriali della Comu- g«/i rtuh ~umunìdr jani * Europa federale e Regioni: avanti insieme per non soccombere - - Y dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 29 I1 movimento socialista in Europa Pubblichiamo l'articolo di Gaetano Arfe, apparso già in <SinistraEuropea» dell'ottobre scorso, perchénon solo prospetta in modo particolarmente felice quanto l'idea socialista dovrebbe unirsi e far propria l'idea europea per affermare pienamente i propri ideali e quanto al tempo stesso, invece, nella realtà il socialismo sia lontano e disinteressato dai problemi dell'integrazione comunitaria; ma soprattutto perche* questa duplice, felicissima dimostrazione di Arfe è, purtroppo, largamente generalizzabile: può, cioè, applicarsi a tutte le forze politiche e a tutte le ideologie che ad esse fanno da sostegno e in particolare alle tre pi6 dgfuse e centrali nelle nostre democrazie occidentali: quella democrirtiana oppure cristiano-sociale, quella liberale e quella democratica. Ciascuna di esse, leggendo queste lucide e meditate considerazioni di Arfe, potrà ripetersi il verso di Fedro: cmutato nomine, de te fabula nanaturw . ** ta agitazione contro la guerra, nel nome dell'internazionalismo e del pacifismo. Ma di Gaetano Arfè quella agitazione non ispirò mai un piano che implicasse un rapporto diverso e nuovo tra i le linee della propr~aazione concependole qua- paesi d'Europa. E quando la guerra devastatrili sintesi di autonomie nazionali destinate a ce scoppiò il movimento operaio socialista non convergere in un disegno a dimensione inter- soltanto non ebbe la forza di opporvisi - e nazionale che nel caso nostro non può non ave- non fu colpa - ma ciascun partito - fuori di re a propria base l'Europa. L'internazionalismo quello italiano - solidarizzò col proprio goverecumenico e umanitario che ispira i quattro no, e tutti insieme non ebbero un piano da quinti e forse più dei documenti dedicati ai contrapporre a quello sopraffattorio e imperiaproblemi mondiali è la faccia ostentata della listico delle potenze vincitrici. Non si tratta di medaglia sul cui verso è l'impronta del «pro- costruire ipotesi fantasiose sulle «cose che potevincial-socialismo», quello che caratterizza di vano essere e non sono state». Si tratta semplifatto la politica e le politiche del socialismo eu- cemente di constatare che in quella occasione, ropeo. di enorme portata storica, il socialismo europeo non fu in grado di qualificarsi con una parola La storia e le prospettive, i successi e le sconfitte d'ordine che costituisse al di là della guerra un Un sommario ric:hiamo alla storia può valere punto di riferimento per i popoli, che si levasse a simbolo. Le sconfitte più rovinose e più sterili a chiarir meglio il discorso. I1 socialismo europeo condusse, nei primi sono quelle che si subiscono per una battaglia anni del secolo, una vasta, intensa, appassiona- non data. dai qs.iart!ere alla reglorie per una Cnvtiirlità tiiiiopea fedcraie - Nel corso dei lavori del congresso di Palermo ebbi ad illustrare un documento redatto dai parlamentari europei del PSI e approvato anche da quelli del PSDI nel quale si rilevava con preoccupazione la tendenza in atto nei partiti socialisti europei a ripiegare ciascuno d'essi dentro i propri confini nazionali, si denunciava la latitanta politica della Unione dei partiti socialisti europei, si proponeva una iniziativa di largo respiro e di lunga lena rivolta a restituire consistenza e vigore all'europeismo socialista. I1 documento, sottoscritto anche dal segretario del PSI nella sua qualità di membro del Parlamento Europeo, non ha avuto - come era prevedibile e come era previsto - alcun seguito di atti e di fatti. È un segno, si potrebbe dire, dell'awenuta «europeizzazione» del partito socialista italiano che dopo le antiche sbornie di internazionalismo deviato e dopo le più recenti esibizioni di europeismo retorico, si adegua - e vi si inserisce - a una tendenza che è oggi propria di tutto il socialismo europeo. I1 «socialismo tricolore* non è, una volta tanto, una invenzione delle fertili fantasie italiane: è l'aspetto nazionale di una tendenza che percorre, su scala continentale, tutto il movimento socialista. La dimensione del fenomeno è perciò tale da escludere che si possa giudicarlo in termini di responsabilità personali, di cattive volontà dei gruppi dirigenti. La crisi che va sconquassando il mondo anche nelle sue strutture più solide; che ha incrinato, o addirittura ridotto in frantumi, accreditate dottrine e radicate ideologie; che ha provocato articolazioni nuove della società sowertendone comportamenti e costumi e che ha sconvolto le vecchie scale di valori; che ha modificato i metodi della lotta sociale e politica, è cosa che va ben al di là degli uomini, socialisti compresi. Ciò non toglie che esistano - è questo il quadro nel quale ci muoviamo e sono questi i problemi dei quali siamo direttamente investiti - delle carenze proprie del socialismo europeo, riconducibili, anche se con qualche forzatura, alla sua ricorrente incapacità di elaborare I ~ ~ C R A N OU r Y S l E . D E C L AICCP ASSOCIAZIONk UNITARIA D! COMUNI P I.ri Federazione europea e 13 ---- PiIOVINCE QFc;,ON, costruzione della pace I .I I h . < , / r c : r i r " ?r.iric-.~;.,ridr:i~.\IC':<1.. rii'.tit.r .i "I,>i.t.i,~ !Y [email protected]~ireI! <rg>C:aF-x*g~rfc-.<ii'. i g ~ i r ~ v( ;:t ,~z t ~ f r . t u ~ ~ \I~r.f8crr.tflt-<ittt~> i! pr.>i+ivw:.z d ~ U h t : k ~ i t * nrr ifir~rn,~r;r~ <;;.I p . .tul>!<> ~JcU'I'N r:,p.i *»ttd ?ic!I~ii.srriarrrs!ic ilr,t'!.z?.$<P .%i:c~.t;trtt*ileli ;irz:px* 1 ~ u ~ : w 'i:i~.z!. c ~ ~ ~ ~ :ir.s -. J w ~ > : t >i r t p . i l t ~ jur+,m: t L ~ V C , , : pu~rti Jr :.i<r,i 1r2< hr Jz: e ~ x erari L+ p r < w s; ?ati duc dox zr9rirtitt rb !.i;r i + o ,i.$ pìr?r .ir! ;i<eprc.i<ie.titc s'.zrr:iir<+8rn r. tli 1'1rtntrr. >cyrt.f.irr<i de1l.a :<.i, 7.ii:rrrir piet~rori:r~ic , fu tic<r,o di b3>f~~>,;~t.lr!<> e appruf<>ndi~ / u airrrrrsrnrrtr:~..~tt>~rii.tridr~ .zl!%'<rcuti. r !a riì2.nni.iir d1 Jpprilit1,iVe re1114 bn2r.i dr <iu<umr>i:ri rii<,rrti,.:/i<*1 r B c r r i t r 9 r ? i i <i: que4 che i-*.i,raro r . 8 J e t ~ s i .I! s e ~ r r t . : Yrri I e n t . * ~ I ~ C .' I I I ~ " P ~ ~.SL~F.</I~:. <> f~ne~ri<. ionm, ,ippunrrz, dei d r i i i r t r : ~ ,nimthr .I, r i w a t r r < ~Y I J S J L I ~ I i ~ f ! @ ~ t & v l~ rH~~ r c . . r l ~ ~ ~ ~ z * . : ~ ~ . ~ zdel I u ~i..'CE I s ! P P,rrixr 11 :! X W ~ U J I ~ Lhcz . rtditttt? I ~ JI < I < U I > I C(~h I, .~ > . !'trr~urti.ri& t i er,zrrirn+ii<i 1V fabkr.r:< . tvprr.>ir*rdo usi I < I R . ~ ~ I I di S ~ ~nw<unta r. L < > + ~ I I , ~ J J~ -~ I ~R UJ ~~~JaS tPe k r i l , ~ .di ~ ~~. U I 'irrnftnr ha iert.iro di rcnrr (untu. L , ì i2ire/1m#t*, F ~ I O I I ~.z ~ iì P Z ~ W C',t~~:pz d * j ~ i f r > .- w , , . ~ , ~ .: !,I ~ . a , t l p ! c ~ ~ ~ l ~ . , < k f l J r X r ~ m r a rra rnr,r,a d . i i / C < i K r ~ i zdr ì pcrresirrr .i <rirr<!u,rr>rit, t t v d i r t ~&&a ! < 9 l l h i ~ P >H1>1 I n;l.wl/>rt. l>i YMd nJ$<J<liCzrc~tteB I X V ~ C I ~ I L I L. I V ; I C V I < >u r l t t ~ r z ìr»*,ie !','\IC"Cf-.yra<l:r.ivdr~ <lot,prci ,i :.<<t u'+po p r e v ~ r , q ~ e ri n r , » i i C .r!!.iy.<ri. i: 'mfrtmto tieih rrir.r. k p r e p : i l I! S C ~ S - COMUNI D'EUROPA 30 Qualcosa di analogo accadde di fronte al fascismo. I1 socialismo europeo non seppe capire per tempo che il fascismo era qualcosa di non riducibile a un fenomeno di folklore politico di un popolo a sangue caldo e immaturo per la democrazia, era un fatto potenzialmente europeo. Ci fu addirittura chi pensò, quando la potenzialità cominciò a tradursi in attualità, che esso si potesse fronteggiare svuotandolo, facendo proprie le sue parole d'ordine, assorbendone, depurati dei fanatismi e degli autoritarismi, i suoi propositi di superamento del capitalismo per la via del protezionismo, dell'intervento statale, del corporativismo. Ne nacque in Francia e in Belgio un filofascismo socialista che sfociò nel collaborazionismo coi nazisti. E intanto la potente socialdemocrazia tedesca capitolava senza gloria, e la socialdemocrazia austriaca salvava l'onore col sangue dei proletari di Vienna, ma dopo esser rimasta sola di fronte al clericofascismo e al nazismo. La lotta antifascista divenne lotta di popolo soltanto quando vi calarono i comunisti, ma anch'essi soltanto nel momento in cui gli obiettivi della lotta antifascista venivano a coincidere con quelli politici, diplomatici e militari dello Stato sovietico. I1 socialismo europeo non seppe essere europeo neanche all'indomani della seconda guerra mondiale, quando lasciò cadere i disegni di unità europea fioriti e maturati nel corso della resistenza e si lasciò comprimere e mortificare nella morsa di Yalta, rinunciando a farsi promotore di una vasta agitazione che impegnasse tutte le forze popolari intorno alla bandiera della unificazione europea. I1 processo si awiò ma ebbe a protagonisti uomini di ispirazione cattolica e di tendenze conservatrici, e a forze motrici quelle dei gruppi economici dominanti e a propria politica quella del blocco egemonizzato dagli Stati Uniti d'America. Qualcosa di analogo è accaduto negli anni di quella che fu definita la rivoluzione neocapitalistica, gli anni della energia a buon mercato e dello sviluppo presunto senza limiti, gli anni della tecnocrazia e del consumismo. Di fronte a quel disfrenarsi impetuoso delle forze produttive e alla conquista di impensati gradi di benessere le dottrine tradizionali non fanno più luce, le vecchie ipotesi si dimostrano fallaci, le ideologie sedimentate nei decenni mostrano tutta la loro fragilità. È una fase nuova, imprevista dai sacri testi. che si apre, e che esigerebbe da parte socialista uno sforzo di ripensamento critico che approdasse non già alla formu1ai:ione di nuovi dogmi, ma alla elaborazione di nuove ipotesi, alla costruzione di una nuova ciiltura che sia al passo con la più avanzata cultura militante, che ne assorba idee e stimoli e ne arricchisca e ne rinnovi dialetticamente 1'ani:ico patrimonio di esperienze dottrinali e pratiche. Invece di questo si ha il disarmo ideale, I'abbandono acritico di quando aveva dato al socialismo una propria feconda e originale autonomia nella storia delle idee e. dei fatti del nostro secolo. Con procedimenti burocratici si sono dichiarate superate dottrine che certamente superate erano dal volgere tumultuoso degli sconvolgenti processi storici del nostro secolo, dimenticando però, o ignorando, che il superamento è anche assimilazione e continuazione dei fermenti vitali: in questo caso la grande intuizione che la storia procede sempre per processi gravidi di contraddizioni e il richiamo costante alla inesorabilità delle leggi che regolano la lotta sociale e politica. ],a conclamata «fine delle ideologie, è stata in realtà l'accettazione subalterna e passiva di urla ideologia banalmente ottimistica, volgarrnente utilitaristica, che va in mille pezzi nello scontro con la drammatica realtà in atto. Ii rischio delle «vienazionali>e l'esigenza di un acentro di direzione politica, del socialismo europeo Oggi sulla scena, e fino ai più lontani orizzonti, abbiamo disoccupazione e inflazione, terrorismo e droga, abbiamo dittature burocratiche, dispotismi sanguinari, democrazie vacillanti, abbiamo tensioni tra i blocchi e dentro i blocchi e una corsa al riarmo di per sé devastante, abbiamo milioni di morti di fame. Questi problemi sono uguali per tutti. Ciascun partito socialista ha il diritto e il dovere di affrontarli innanzi tutto là dove opera, ma nel quadro di una visione d'insieme che abbia come dimensione minima necessaria e quale base di partenza quella europea. Quando si vedono governi e partiti socialisti sostenere campagne per la difesa del prodotto nazionale o lanciare appelli per l'incremento della competitività a spese dei propri lavoratori e a danno di altri paesi e restare. però inerti di fron- ABBONATEVI A il 1982 è il 30" anno di rigorosa e libera battaglia per gli Stati Uniti d'Europa La raccolta delie sue annate rappresenta la memoria storic;i dell'AICCE, per non dire di tutto il CCE;di riflesso si ritrova neile sue pagine l'intera storia delie battaglie per l'unità europea e delia partecipazione ad essa dei militanti di base dal 1952 ad oggi. dicembre 1982 te al problema di una programmazione su scala europea, quando si legge la interminabile serie dei patetici ordini del giorno a favore dei perseguitati e dei massacrati di tutto il mondo e li si vede segnare il passo e avanzare pesanti e insulse riserve di fronte al problema di come fare per gettare sul piatto della bilancia il peso di una Europa unita democratica e socialista, ci si domanda se ancora una volta il socialismo europeo si stia predisponendo a una sconfitta senza battaglia. Il socialismo ha segnato profondamente la storia del nostro secolo, l'ha impregnata delle proprie idee e delle proprie idealità, ne ha rinnovato la cultura, le ideologie, il costume, ha levato i proletari al rango di cittadini, ha modificato la società nei suoi rapporti e nei suoi equilibri, ha imposto una nuova scala di valori, ha dato la propria impronta a una nuova. civiltà. Ogni suo successo ha prodotto effetti positivi per tutti, ogni sua sconfitta ha significato un arretramento per tutti, un prevalere della violenza nei rapporti tra i popoli, tra le classi, tra gli uomini, una affermazione di barbarie. Le grandi sconfitte storiche del socialismo, di fronte alla guerra, ai fascismi, alla spartizione del mondo in blocchi stanno lì a dimostrarlo. Ma in ciascuna di queste circostanze il socialismo europeo - giova ripeterlo anche a costo di apparire e di essere monotoni fino alla noia ha mancato di dar battaglia, e non per viltà in ogni circostanza esso ha saputo esprimere combattenti eroici - ma perché non ha saputo per tempo identificare il campo e i temi della battaglia. Oggi il socialismo europeo è ancora una volta chiamato alla prova del fuoco. Le «vie nazionali» possono essere diverse, gli obiettivi hanno bisogno di essere gli stessi e le azioni coordinate. È una follia proporsi di conquistare per lo meno lo stesso grado di omogeneità che le forze conservatrici hanno conquistato e che mantengono? I partiti socialisti stanno passando in Europa attraverso vicende diverse, in un intrecciato alternarsi di successi e di arretramenti, che proprio nella sua apparente contraddittorietà lascia intendere che le condizioni esistono perché battaglia si dia. Dovunque le difficoltà sono gravi e nessuna di esse fronteggiabile dentro i confini nazionali, dovunque i consensi delle masse lavoratrici e delle classi popolari non sono venuti meno, in più parti tendono a estendersi, nel segno della speranza. Ma resta un dato di fatto che un centro di direzione politica del socialismo europeo, articolato quanto si vuole e rispettoso di tutte le autonomie, ancora non esiste. Ma non esiste neanche nessuna istituzione che assicuri un collegamento permanente e sistematico, non esiste una sede dove si scambino idee e esperienze, non esiste uno strumento di dibattito e neanche di informazioni. So bene che a dire queste cose si corre il rischio di essere tacciati di pessimismo. Ma il pessimismo vero, capitolardo e disfattistico è quello di chi si colloca deliberatamente al rimorchio degli awenimenti aspettando che siano i fatti a risolvere i problemi. Le ragioni sono dalla nostra parte ma è l'ora che esse si armino di volontà. Non è troppo tardi, ma non c'è più tempo da perdere. dicembre 1982 COMLINI D'EUROPA 31 Kaccogllere non seminare Le ricorrenze anniversarie inducono, a volte fatalmente, nella tentazione di risolvere dubbi e incertezze in confortevoli ricostruzioni del passato, assunte poi a promessa e garanzia di immancabili sviluppi ugualmente rassicuranti. «Comuni d'Europa* non merita celebrazioni di questo tipo e neppure discorsi puramente commemorativi. Questi ultimi, infatti, si tengono di regola per le imprese già morte e sepolte, oppure per quelle compiutamente realizzate. Ora, non pare che il umovimenton per l'unificazione delllEuropa, di cui I'AICCE è parte cospicua e consapevole, sia a tal punto vincente o già così irrimediabilmente sconfitto, da legittimare elogi conclusivi. D'altra parte la declamazione mal si accorda con un periodo che è di peculiare e pericolosa ambiguità. Ambigue sono infatti le interpretazioni della crisi (la quale di per sé, è invece concretissima, a livello nazionale, come a quello europeo e comunitario). Ambigue sono le ricette comunemente suggerite. Ambigue le domande, ambigue le risposte. Qual'è, allora, la riflessione critica più pertinente, più adatta, per festeggiare oggi i sei lustri di «Comuni d'Europa*? Una rivista, vogliamo ricordare, che, accanto ai meriti politici maggiori, ha anche quello di riuscire a stanare con regolarità - stavamo per dire implacabilmente - i suoi interlocutori, nonostante le difficoltà e i disservizi postali e a trasformarli in lettori partecipi, nonostante si occupi sempre e da sempre dello stesso argomento. Forse varrebbe la pena di tentare un'indagine comparativa del genere «come eravamo e come siamo,. Non per fare un discorso intimista, naturalmente; ma per riportare alla luce i percorsi politico-culturali attaverso cui, in anni ormai remoti, si diventava ueuropeisti radicali, o, se preferite, federalisti spinelliani. Scopriremo probabilmente quanto profondi sono i cambiamenti intervenuti nella ricerca e nell'organizzazione del consenso politico, in Europa e in Italia. E quanto ufigé~sia invece rimasto l'approccio dell'europeismo organizzato, a parte alcune non trascurabili eccezioni. Il modello del piccolo gruppo chiuso e compatto che «pensa* con rigore assoluto e che solo raramente si apre a improwise e spregiudicate iniziative in campo aperto è certo «vissuto* in buona fede e con convinzione, ma non corrisponde più a un progetto e a una pratica politica capace di espansione. Si rischia così continuamente di confondere la sclerosi del piccolo gruppo che ripete se stesso, con l'orgoglio proprio delle minoranze irriducibili e creative. Del resto, il confine fra le due situazioni è incerto e mobile per definizione: la sua localizzazione non dipende dal numero dei militanti, ma dalla «qualità» del loro impegno e dalla loro capacità d'interpretare concretamente le necessità o le aspirazioni al cambiamento. Insomma, sarebbe gran tempo che si ripensasse ai modi e alle forme di un'azione europea Naturalmente valutazioni di questo tipo non implicano che si debba per ciò stesso buttare tutto a mare, insieme alla vasca anche il bambino. Implicano però che la questione che di Gerardo Mombelli fronteggiamo non è meramente uorganizzativa,, poiché richiede un recupero ed un aggiorall'altezza delle sfide, abbandonando le preoc- namento culturale e politico molto più ampi. cupazioni e il peso di un continuismo burocra- In altre parole occorre proporsi una rivisitaziotico. Ciò è tanto più necessario se si considera ne puntuale delle condizioni generali, econoche non funziona più - o non funziona più miche e stmtturali, del processo di integraziocome una volta - neppure l'altro classico mo- ne, per capire a cosa puntare e come arrivarci. dello dell'organizzarsi europeista, non necessa- Non che questo lavoro sia tutto da inventare: riamente contrapposto al primo: il fronte de- esiste in materia una letteratura nell'insieme mocratico largo, che riunisce tutte le compo- sostanziosa, benché non smisurata; tuttavia esnenti possibili sulla. base di un minimo comu- sa raramente si arricchisce di opere e di ricerche che abbiano un taglio europeista o federalista ne denominatore europeo. Non funziona più perché il livello dei pro- di uscuola italiana*. Awiene invece, assai più blemi e delle scelte attuali dell'integrazione frequentemente, che ci si contenti di ripubbliesige ben altro che uspontaneo* europeismo care testi - magari tradotti - di illustrazioni all'italiana, e anche perché una serie di generi- giuridico-formale del federalismo. Operazione quest'ultima di per se' insuffiche disponibilità non diventano, automaticamente, forza politica. Certamente non in Eu- ciente ad assolvere ad una funzione di formazione (in ispecie dove non esistono, come in ropa; ma, in fondo, neppure in Italia. Q O R G A N O MENSI1.E DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI C O P ( U N I D ' E U R O P A SI*OR=TIII>d f ~ » .Clonnrr ytr ~ivniiai P drll al!ru Ibl~md c > ~ r « n n ofin,,^ prr ir!eridrr,t c utr-eatorr uititt i Pra spdnlr 1 t r d ~ r o ! ~l<ii*un« ~r: p*- qiic*fa ,,,<p<, P ~lt~t*tdt rior' i oyir<rvn znisfcnre t1 naziottadstrbo rrad~ri«iiolea iii , : ! o eurupuo ma ~ o alinno t h& gl:. P U T L ~ P C - 1I 1 ~ ~ p e ~ eaitLore rlu $<va~r,Irn) r1~1>11.t.todn <iggrfci B W J ~ ~ P * , ~$>I rieao dryz<strr dr'lr. yolittcn mondxale Uotrlii17 rior t eranirirre Iibe i -Jl>binmo onrf it t.r'ziir> rii qxier'o tiiitiipru -- nfs~rrii<lo<i ad nliii-rt t g r c - f i n S P ~ Z O V B contribuire od ~ ~ t q ~ i a d - r tPr os t ~ g ~ r n delle rr s<r!iizioatalla gttnhlim iri<a europea srrito i3nrì pr«(ah, ~ t e r r h e6-vrl:a»tt> nella itecP.s8tra dt p-u<pettarr tiz pmrilutiii syiecifin il pras~s80 t<JlIi~ 'tR CI< !l nnr, I.,,., I&% D kUItCE DE YItAFPE i"EUK0PA can scritti di P, Calluir, 1. P. CAus, r P , Yoriqlisn<l, .'l '.C?nsrid.. lotta Iii yu<.*'u r,anirrr, $ 4 n<arm perrodice noi> cbhmrna p w l ~ r ( odt nffrt-e 11'1. comp!~ta 15swqsra dei princiyall problemi. i l i m ~ p>ngwio dt jr,snre a l l l r a m p ie o iqurgh virrowi che ar i<-aia<vrio dei rr~swidetti regimi demoemrtrt r<!ppterentatli z pmr@ -o n Ramo tlmttatr o W- nprripxre --a% noan Ieltm e:1r%-t4nei prub!rmi piu srutrnntt, a titolo u.;r.m;.lti.<atrtu C r ~ d t a n u rw r altro eh@ dai!a .rtmrrseu ni~taiogiada nor appmntara a l t i agii r r c h t . 'un dulurosn P L I ~ P ~che O ,!e cose rion r anno come d o c r P h t l ~ r o Non rhr I'Europa taon cammtni sntin @l: alt? C ~ P<aimi;laano p i ~st*rltt La felice i<ri<0i.irturouronnmica, attraversu?a d a a!runi suur Paan, da :slcolfa I'tllustona rlte "Esrope non sia tirgtuta i n rrgresso sul piana poiiircri internaxaniiate pencoloaa liiunmta D'altro caqro, oricha oll'nlemo del noslro iofi:t?i~~,.rP ~ ~ ~ ~ ~ ~ d e rquu ~ t~ lld ap al r n t e e SU fu, nlrbinmu drre'ro pemiliitdlitb di tnrFri~F%:o. ncclnro clie fa-LP centriwtr oplwmo sinporfanti t o r 2 ~runcrifugkr e !a -lwziORr puiz di.lerultarp 11, qunl\lnsr monienru Se b d e n m m z i a non P una astralta nirtodalaga, un giw>rn r> u n liisso, 8% propungono ad asso i% Eirropn ,-oncreti t d ~ a l i .che tnrtronnn vsmw ~ l ~ n $010 ~ t t daiia Fudcrntilnt. I.-l!r pgtw che segiaotw~ abbiamo Lerraco dt t n d l ~ n ~aei c u r i ~ s s n i r ~ obierl ~ 11'. ~ I X I I C che ~ . d o t r a n m porcc 011 S'ui Unili d ' i ' u m ~e che nmi mno alla poriota deelr Siarr nonmio11 I l m d o e dinoxtalo un giucto dr naso e , - - sirna I.A . . . . . 3 I4 I~EI,L'AI'RI~:A d i l. U~rvurn I, Tenti di . Il. (ONSIGI l 0 DEI I Y ) H l \l I1'61'ROPA - gumdr la Inlt4 p e r !v c»ttyrolimie europea Qucsta posiirrrnr c h6 o dii~crsad a pi~eliadi cvloru elir, per difrtidrtu tn1wes.w pa7liCO!arl E m:l<maI~ S I pterncupfno &i& sorte di ~ T ~ P T I11D qiu! ~ a n t ~ n < ~ M>S~I?OIIC ~Ilu, che i<p~aso e i n rohrrasr<i con i'ina~nare g ~ t w r a i r d i t u t ' i i m!tadini Renderido come-eco I! disrorso Flsrowo su al<-uritacpptri e qtlcslo ~ u r n ~ rdi r i r Comuni d ' k t o p a 1 rrcordn, fra gli a l i n . pnelll e r a 1 ~ ~ 1 ~ 0 - l > ~ td~ ~l <lc~r ~~df: t. o, alle comunila Incalr, della rollabomnonc e o r Paes Jobto.miltippati, della p<anif<cazivw del trrnioW>, dell'enicgia. della scuola, ollrf' che quelpr(>priomQntP yoirllcu orti~~Fr@mo lo 1c f m e che stanno dietro L'Eurya Non n Snrnnno 5;tio I ffdern!iRl genmn. »W n Srenne nnchc I Iederalrslt romP arnmlnutrat o n loctlb eonie w m t n i da eulticra. WrnP iioirttni dl scienza, P I I Abbramo pn valuto c o n t r r b u t r ~ u <.hiariru od w a degli intp?ntix, c h r o#@ non C'@ bnn Faiilr i diutnonr drlfZ&ropa, fra 11 MEC r I'EFTA ,nn s e m p l i c ~ m r n lUn ~ primn (indiiffcrier&L<) tentQitlo cun&liniraT$o f m se* Pncqi p tre ~1>>10n710slt se, per !'0s11111a o l'imprepa-nz!one poliz~rndegli a l f n a d agy . i i n g r i ~ t ai Se) e 711i lnttatt10 d a pa-le i l rirerni or Sqar d i annovqiinrr t1 MEC fino ad elimmnrr in esso twnl i " > s ~ i b d ~ oi i,io od iiria rom,initn economtra ed ogni i ittiiaJztu w7lilico CUI c1 battamu, non I, LI,LI-LI eu-OPC~, p una untra pari hunsia. nro I'untld nelli duntncraiui rhhrne ne:!~ noolunrme fcdPcfir r ~ rrunreyinra no! d o u r m m o COItrggutF k di~fiinriontche i irad~:wiali !.*ttuo. dv!ru>c-atin. Iinnno q t a r la mostralo Eccu un altra grande orr.asiozie ofierton d d la eoarnil.i@rte tieg11 .%a11 Uniti d'EuWpo L . . . . . 15 BIWSCtO EliH<?PIIJ Del, iWl diY,&Plrwnu. , . 20 il. COMECON STKCMENYV D1 INTEeRAZlOhX DEI DEU:FST di E. P . . . . . PAVSI . .. . Z& l RASCHI 30% D I M F m O I . 30 - 11. PRESIDEAITX DE ACtYIRRE <li W. Olmi * di A, Minelli . . fOSW . . . P6 Da -LO Il. MPNIWSO EUROPM - .. . . . . . li IL CREDPn> A U 6 C0MI:FITA' W U d wmm. di I!.%-tini . . * -. - i . . . . . rP DALL'I5TI'T.HAZIONK EC0.W. MCA A1.I.A PIAFIIFICAZIOFIE DEI, TERRITORIO raii rrdni di F, Cliuiiua.P*ii~. H. R m p a n i . H. Mautti . . 34 11, C00RDINAYENlW DELIB F71STI FYERGETICHE CYIYI: VATN~RI' nr ISTBCIIAZK)NE ):I ROffb4 rari ,rr,wi ilt P: lypoliin. P. Mal< n ~ i t l , <;. Carnn. . . . - . 36 11, NI;OV<I vot:tn DRII:F.I'ROP.). INDIlSTRIALE di H . Shrsrnm . . . . . d2 { . . I ~ ~ H I , Z I I I Y B(:<)ME ISVE. Sl'lhlENlr) PRODGTTIW mi, rrriiti di A . Virallpr*lii. (;. I:rti.<.i . - - ' '4 . . r o r ~rt rn1,i;iorinli ~'iM."li riii ton N. COMUNI D'EUROPA Italia, preoccupazioni e sensibilità acute in ordine al dogma della sovranità nazionale), e inadatta a fare avanzare il fronte europeo in quei paesi che mal digeriscono impostazioni rigidamente dottrinali e che comunque hanno già difficoltà all'integrale applicazione delle regole comunitarie. Più in generale bisognerebbe guardar dal perpetuare l'errore di puntare troppe carte sull'europeismo spontaneo degli italiani, poiché esso finisce con l'essere un elemento di debolezza e inoltre comincia a diventare meno consistente e diffuso o addirittura labile e contrastato per quanto riguarda la classe dirigente e politica. (A causa degli eccessi propagandistici e delle delusioni conseguenti?). È in ogni caso saggio prendere atto dell'esistenza di un divario tra le concezioni ed il linguaggio impiegati nel nostro paese e le concezioni e il linguaggio prevalenti negli altri. Tale divario non è tutto da esaltare, né interamente da buttare. Quando la «differenza»italiana significa fuga dai nodi reali, mancata considerazione degli interessi in gioco e dei vincoli propri di ogni negoziato - l'Europa, piaccia o meno, è anche un contesto di negoziato permanente - essa è da combattere e da respingere. Quando invece la differenza italiana significa mantenimento della bussola sulla direzione più ambiziosa, misura dei vantaggi e degli svantaggi in una prospettiva di lungo periodo, presa in considerazione dell'economia ma anche della politica, dei contenuti ma anche delle istituzioni . . . allora essa va preservata e rafforzata. In quale modo ? Ciò che sin qui, schematicamente, siamo venuti sostenendo, ci conduce ad una ulteriore riflessione che riguarda ancora una volta la nostra specificità e tradizione politica europea. È da noi infatti che la questione della forzapolitica idonea a promuovere e consolidare il processo di integrazione è stata quasi sempre, e giustamente, in primo piano. Particolarmente gli «europeisti radicali», sin dal loro affacciarsi sulla scena politica, hanno guardato all'unificazione del continente coIrie ad una grande occasione democratica e non soltanto in termini di riequilibrio diplomatico. Da questo punto di vista si può considerare la storia del tentativo Europa come largamente coincidente con la storia del tentativo rivolto a suscitare una forza politica di dimensioni e strutture europee. Per rxggiungere un tale obiettivo sono utilizzabili (dueitinerari diversi, benché con dei tratti paralleli o addirittura comuni. Si può mirare alla cteazione, ex novo, di uno schieramento in partenza sovrannazionale, oppure ricercare una qualche formula per collegare in uno stesso fronte europeo partiti nazionali. Nelle vicende dell'europeismo militante ambedue queste vie sono state tentate, contemporaneamente o in periodi successivi. La prevalenza dell'una o dell'altra impostazione ha anzi spesso contrassegn:ito le fasi dell'impegno e della battaglia per l'Europa. Forse addirittura la separazione tra «europeisti moderati» ed ueuropeisti radicali» h:i trovato qui la sua più convincente giustificazione ed interpretazione. I1 discrimine tra gli uni e gli altri sarebbe costituito, in altre parcile, più che dalle diverse concezioni del traguardo istituzionale, dai diversi approcci al problema dei mezzi per arrivarci, cioè al problema della forza politica idonea e necessaria. Che una tale uletturau della questione europea sia non solo legittima ijul piano storico, ma utile per capire la dinamica dell'integrazione, è messo in evidenza dallo stallo comunitario degli anni '70 e dalle esperienze di unificazione federale condotte in altre aree geografiche. Questi ultimi casi ci dicorio in verità che dove la spinta unitaria - endogena o esogena che fosse - non si è tradotta in organizzazioni politiche a vocazione e a rappresentatività transnazionale, l'unione si è dissolta, quali che fossero le altre istituzioni formali. Quanto alla Comunità, ciascuno di noi conosce come l'ualimentazioneu politica, divenuta, da un certo momento in poi, insufficiente, abbia bloccato - e blocchi - ogni serio sviluppo dell'integrazione. E dunque accertato, in primo luogo, che l'integrazione delle forze politiche gioca un ruolo centrale, in secondo luogo che, proprio su questo punto, gli europeisti radicali hanno incontrato le più acute difficoltà o, per dirla più francamente, le sconfitte meno rimediabili. Fingere che ciò non sial awenuto non è né buona propaganda né biuona politica. Serve soltanto ad impedire, paradossalmente proprio a coloro che avevano colto un nesso essenziale della lotta europea, di capire cosa è successo, cosa succede, cosa occorre fare e, soprattutto, come impegnare le risorse disponibili e limitate. L'elezione diretta del Parlamento Europeo ha, in un certo senso, ridato fiato e credibilità alla prospettiva di fusiontp delle forze storiche degli Stati nazionali nell'ambito delle rispettive famiglie ideologiche. Ha ridato forza, per dirla in breve, all'approccio che abbiamo definito umoderato», o almeno a una sua variante. Tuttavia il processo di cui parliamo non è affatto, a differenza di quarito sono venuti soste- dicembre 1982 nendo fino a poco fa numerosi amici federalisti, un processo automatico! I1 Parlamento eletto costituisce una occasione solo più propizia per accelerare un'integrazione i cui ritmi sono lentissimi e insufficienti. L'accelerazione si realizza però soltanto a condizione che si lancino rivendicazioni, proposte e battaglie atte a favorire dislocazioni upolitiche~sovranazionali. L'iniziativa di Altiero Spinelli e l'attività della Commissione Ferri sono awenimenti di grande portata se, proseguendo nel loro cammino, determinano, come è ragionevole attendersi e come in parte è già accaduto, mutamenti nella coerenza, nella logica delle attuali confederazioni partitiche comunitarie, incidendo in senso positivo nella complessiva dinamica europea delle forze. L'esercizio che ha preso I'awio nel luglio 1982, poiché postula un uso più avanzato o, più semplicemente, un utilizzo specifico ed adeguato del Parlamento Europeo, dovrebbe costringere le parti politiche ad un chiarimento tra di loro nonché con la loro rispettiva storia e i rispettivi programmi. Al vecchio, e forse esausto, cemento ideologico tradizionale - peraltro tuttora utilissimo per attenuare le spinte alla rinazionalizzazione nell'attuale fase critica - si aggiunge così un nuovo collante che può portare, nel vivo della lotta, a modificazioni di rilievo e ad inedite aggregazioni. I1 successo dell'impresa impone però il ucontrollou di tutti gli estremismi, più o meno infantili, più o meno inutili o dannosi, e impone altresì di favorire tutte le latenti disponibilità e le capacità virtuali a condurre manovre generose e a raggiungere compromessi progressivi. Non sarà arduo tenere a distanza le frettolose impazienze di coloro che sognano la imminenza di una unica e decisiva battaglia per la conquista della Bastiglia e ad essa si preparano, forti di poche formule, con batterie caricate con qualche slogans. Ben più complesso sarà invece proporsi di contribuire positivamente &affinché un'occasione tanto straordinaria per la nascita di istituzioni politiche europee non vada perduta. Volerci riuscire comporta, probabilmente, che si abbandonino i patriottismi di gruppo e di gruppetto; che si limiti all'indispensabile la contemplazione delle proprie rispettive microstorie; che non si rimanga confinati in un'opera soltanto pedagogica o di testimonianza. Comporta soprattutto la concentrazione degli sforzi e delle energie su azioni e progetti che assicurino, in partenza, un confronto ed un ascolto europeo. Un lavoro politico puntuale, di parte, transnazionale, che ricerchi, invece che «rigore assoluto~nelle proposte, possibilità sempre maggiori di «leverage» europeo, nelle iniziative e nelle situazioni. Comuni d'Europa, in un rinnovato equilibrio tra le speranze dell'utopia e le esigenze del negoziato, può essere, nella attuale congiuntura, uno strumento importante della posizione europea, se rompe il silenzio italiano e awia un dibattito continuo e dettagliato la cui urgenza è, oggi più forte di ieri, diffusamente avvertita. Se è consapevole del fatto che, per dirla con Goethe, seminare è assai meno faticoso di raccogliere. dicembre 1982 33 COMUNI D'EUROPA Obiettivi europei e piani nazionali di Raimondo Cagiano de Azevedo Venti anni or sono, esattamente il 14 gennaio 1963, alcuni studenti della Facoltà di Economia e Commercio delllUniversità di Roma, desiderosi di impegnarsi personalmente ed attivamente nella vita quotidiana della loro società e notevolmente insoddisfatti per l'insufficiente risposta che l'università in genere e quella di Roma in particolare fornivano a questo loro desiderio, si organizzavano quale gmppo di studio e di pressione fondando il Gruppo Studentesco Europeo (1). Tale episodio, storicamente forse trascurabile, richiamò intorno a sé l'attenzione di una certa parte del mondo della scuola e dellJUniversità che, come del resto molti altri ambienti culturali e professionali, erano in quegli anni assai poco abituati a considerare il problema dell'unità europea in termini di problema di vita politica quotidiana richiedente l'interesse e la partecipazione di tutti i cittadini. La patente di originalità che I'idea unitaria dell'Europa forniva ai singoli era tale che, chiunque venga oggi interrogato, si considera un moderno e un progressista se, paternalisticamente o realmente, può sostenere di «essere stato valido assertore della necessità dell'Europa Unita* almeno da cinque anni a questa parte: cosa che in termini di realtà politica è falsa nei riguardi degli anni passati almeno quanto è falsa ai nostri giorni. ~ a m ~ a n tee conseguente è la sensibilità odierna degli Europei verso il problema dell'unità europea: la maggioranza sostiene che è una cosa bella, molti sospirano profetizzando un numero variabile di anni da 10 a 200 per la sua realizzazione, alcuni ne sostengono I'impossibilità ed infine, cosa assai rilevante nella civiltà delle comunicazioni, tutti ne parlano. Quali gli argomenti ricorrenti della sensibilità pubblica verso il problema europeo? Quali i motivi per cui l'unità europea viene discussa? Traspare, in primo luogo, un senso di rabbia e di noia da parte dell'opinione pubblica europea che è costretta ad assistere, praticamente senza molto influire, al dialogo fino a questi ultimi anni bilaterali fra i due colossi della politica mondiale che realizzano e compromettono fra loro l'equilibrio del mondo intervenendo qua e là in vari paesi secondo un criterio che si presenta, apparentemente ed a breve termine, ineluttabile. Questo atteggiamento fa insistere molto sulla opportunità che i paesi europei si riuniscano per poter dire la loro in questo dialogo magari pensando che essendo tre a discutere (ed essendo, inutile dire, l'ultimo arrivato il più preparato ed il più fornito di buon - (1) Chiedo scusa per aver voluto iniziare questo scritto con una nota autobiografica (il sottoscritto era infatti fra quei pochi) che è scaturita essenzialmente da un sentimento di riconoscenza verso il G ~ p p oStudentesco Europeo nel quale ho trovato, prima militante e poi dirigente, una preziosa fonte di approfondimento dei problemi europei e di esperienze nel campo della loro diffusione. Gli appunti e le riflessioni che seguono sono tratti da uno dei miei manoscritti raccolti in occasione di un corso di formazione tenuto a Sèvres (F) da Alexandre Marc nel febbraio 1964: anche questo vuol essere un omaggio e una dedica! senso) si possano meglio realizzare quegli equilibri che già dai due precedenti interlocutori vengono continuamente minati. Questa «communis opinio~nei riguardi della unità europea, confortata da documentate quanto retoriche :affermazioni riguardanti il mantenimento (sic!) della pace, la culla della civiltà, il superamento dei nazionalismi antistorici, le aspirazioni comuni e contrastata invece dalle stesse espressioni, questa volta poste al negativo ma altrettanto documentate e retoriche, diventa più raffinata e quindi propria della parte « impegnata* dell'opinione pubblica quando in essa viene ad inserirsi l'elemento economico. Con le osservazioni fin qui fatte non si è vo- luto affatto cercare di individuare quelli che sono i motivi ispiratori di chi è favorevole all'unità europea, ma solo indicare qualche comune denominatore di quello che appare un atteggiamento abbastanza diffuso e che, con queSta caratteristica, non sottolinea dell'atteggiamento stesso né un aspetto decisamente positivo né uno decisamente negativo: ed in particolare ci si è concentrati sugli obiettivi di sviluppo. La giustapposizione fra piani economici emanati da centri di decisione diversi, come è il caso attualmente in Europa, non può avere luogo se non si crea fra questi una gerarchia: eppure la subordinazione dei piani nazionali al piano europeo o dal piano europeo ai piani nazionali deve essere scartata. Se I'idea di obiettivi regionali e nazionali è considerata come scontata, e quindi viene accettata I'idea di piani economici regionali e nazionali, altrettanto non può dirsi per gli obiettivi europei e per la programmazione europea. COMUNI D'EUIOPA - .- IR due facce del t'ederalisrno integrale . 5 Wlisu che C i Ilanno indicato Pistone o Ci* che ha Fatto finora segnarc il pa.rst, al fedcnlisnio. Sia lo Spinelli dcgli anni cinqwnta, rk. UYIiC et Hcraud rlehsiraa Inle niet»rlu rrn qucili L ' E u r o f ~.un~ imie dal EiQIo, sk 1'AlbL.nini et P I I - * k w l i P c dal punto di vista pruridic» de LO Sfato naziomlc contro In denimro&, la^^ par A. Mdrc. Paim. Prrwes d Fuiiip. formale 11- i&k c l . ~ ~ h i f t ~ a ~i.i ~ ineccepi ne 1968, 155 pp hrle P4f pintct di ,lata politic~ustan~iaie, ci avevano dal0 una impl*wiiune l c d c a a nostro ahvisu tuttora valida' di qudb wrzilln, r lo stcsw H6raiid a drrselo Ciug Hei~ucl. m i o ai a r a u i b i t w i e mntestaziune n, aimenu, p r dir cmi, neila i suoi atudi sui pmbkiui delle rmm~an+e e r>i%essstla premesm a talc nxtodo .una generala dcll'ordinc statale c sua msatura istinizionaie: ma ms;i m elnrhe, e pr le peuprate ungm&i e i-&contcrra?iome . nuwi mai a insamani nella prassi: sia caln~enlefc*raitstr da l u i lorn~ulateper inlcrstalnlc attuale. (p 105) Cio e quanto perché nun volle o non poi6 rimpufpere r<wl.rerlr (una F ~ d e r a i o n edi re$iom .m &n: che e matrice profonda di questo mequ~~ll'msaturacon gli dementi amsueti mfrniche-=) da noi a l u y o e g a r m ~ t e todo nun p u i ~esser se m I'tllegaliii~,e che su qiiw;lc iwhne ( e C4rmuot d'Europl e, a pmprio h~senradi una forra federalista delta mnimtarione d w a n m n i c a , razionachiaramente organirata in ta) senw (ncl lirrandoli e dando ad msi un obiettivo di mi 11/1%? a t 1 % 3 , -. rivrende ora il trmia gmwaìe della drfinuio& di un W&. nuuarlo giundro pc!r I'E~riwpnumia che sa prmanwnle nhpeltow, &I pnncip dr aulit nomia, Jhutoguwemc~ e ui p1ur;ui~mu w, eiale c k sunu afta &IL,: del kderali~mo; a fa ctu alla lwx della tllosofut r fedwalzs#a-mtegrale. di Alewndrr Marc dai40 slcsm Marc ampiamente nmra in una dotta ~ ~ n d i c edella quale il pwL. Hcrmd e un <unvinto seguacc Rir n&, per parte nostra. ndepti f c &l1 delh carreuone .harniluin~wa. &l fateraliwno. nel senm d ~i::slato pkì vdte chiarito dal mzrlm AIberiim, non ~ t e n d i a n i u p 1 qupstu aegare @2 11 \7ilere delle mncenwu frtosofkb di Marc. m, tanto meno, i prcpi dci pnncipi S I U F L ~ W IEhr, CUI la w a abituale mazstnn, o c m uria ~ h i a n u adl espdnum che nulla lyrlre aiia Finara M i'aoalisi, Guy Hcraud da q&& deduce (m che ~ C r c i k r u4tipttanUl naturalmente dc. duni, akmmo m nitlcr sii> che hauna di vaiido, ippunto. dal e kcderahsl m, o, pìu M generale, da una cocrenu: concc&~one de. mucralnra. cosciente dclla nccesuìh che i grincrpi di questa non si mestia> aìk 1ticm W s i n p i o stato). Basti pcnsare alle pamm in cui egli rniimenuona e correggo )e runu-aioni r paaterferaltst<:r(a matto avkiw, assai fantasiose) dd famosa forse lrop po giunrta franoese Gmqm M e , così c m le uitidai t17ippo unilaterali dr akuni censori di detto giunsw e u n c ii Duverper. o qu&k in cui soliopone a una malisi wrrrr m a il pnricipio di sus$nliaiie@ì. al quale wioitttuixe quetlo di esa1i.1 adeguariunr r. Nrll'ullinia parte dell, sua u p r a C e tlwdud passa pui a detmiie wmmanamcntu h' p r s s ~ b i l ~strutture dr.1 potere tc<lrrak eumpex e a quc\lu piolasitu Iaincnriamo ~ h egli e non abbia np~ihtiticatointcrrimentc II svo sti%di<id~ qualrhc anno fa Ce quc qrruir tu Federerftrnt Ftitr>yi~intre Il); e aurpiciicr~mrno pei d i r H e r ~ u dpoponer-e. ptr f'esrxutsso fcdcsnlc ~urupu,+ t u s t m b tura di\rrw c pia rofzda, da quclla chr ~ug. genrirce ii> qwsti Prinayres Inftre Ikuiuie tratta da par sui> dei diicrw irrettxli a$trattrmcntc pu<isibili p e r icrtirr,?rc. In F&era?ti,ne Fi~iqwa,p.r piun $%TC alla dimo~rraaiun~ -- tanto piu pewn torta e d&iri%Lva.quanto pit cundotw con atrenra mutrronwre e crbn supenore imprr tialil;: sehntifica ch$- i l mctrxlo crati tuuite L. non 9olWtu d mgliare o il ptu JcmotrJirco, ma il d a valida (2). - - - - - - - ;2 *te,=gwsiwyip&-*g ,;;$;:m er.uadagsr dl mmpmll rn pPnt&ik, rhv dt<<uu di iv8k$ <,la&&ti>rwm&m mo r r - w >s rrrlra, rull al at il," p r .$,I d URO ItsUB d'.n'"m N pn 1'ahFBiXMa nail uU lutkr fvllbony1isr <Turo i wts r% sunre @P-6 mniii PVflTlcn m UD *i bp grure nulonati uirlr) - COMUNI D'EUROPA Eppure, questi obiettivi esistono e per conseguenza il piano europeo è necessario: a) per rendere efficaci certe azioni comunitarie richieste dal Trattato (elevato saggio di espansione economica, equilibrio tra le varie regioni); b) per rendere compatibili tra di loro le programmazioni ed in genere le politiche economiche nazionali. La politica economica a medio termine della Cee si inserisce in questa visione. Lo dimostra l'autonomia nella quale si vanno compiendo le varie fasi attraverso cui il progetto di piano viene elaborato e lo dimostra ancora di più I'azione sua propria che è stata attribuita al piano di sviluppo europeo. L'autonomia di questo lavoro rappresenta anche il fondamento della sua efficacia. Da essa dipende in grande misura la serietà del lavoro di previsione e l'equità degli obiettivi comunitari prefissi. Certo, le incertezze e le deficienze in questo campo non mancano ed hanno anzi una dimensione notevole: a) quale può essere la funzione della politica economica a medio termine della Cee, quando, accanto a Stati che seguono metodi di programmazione economica assai simili ve ne sono altri che compiono solo previsioni a medio termine ed altri ancora per i quali non si può affatto parlare di programmazione economica generale? b) È possibile poi un coordinamento tra i piani nazionali se questo non si inizia a partire dalla fase di elaborazione dei piani stessi? C)Ed infine, perdurando l'attuale debolezza delle istituzioni comunitarie, quali sono le possibilità che il piano di sviluppo europeo possa integrare i piani nazionali promuovendo I'equilibrio e l'espansione della economia comunitaria? Sulla base di queste considerazioni, il piano di sviluppo europeo può apparire un'idea, più ancora che ambiziosa velleitaria. Eppure essa è sorta da un'analisi realistica dell'evoluzione dell'economia comunitaria. Gli anni che hanno portato al 1970 hanno visto la conclusione del periodo transitorio e l'attuazione dell'unione doganale, tanto per i prodotti industriali, quanto per quelli agricoli. Questo ha prodotto come effetto che al tempo stesso la interdipendenza economica fra i paesi membri si è accresciuta anche se le barriere ancora esistenti fra le varie economie non sono svanite del tutto. Fatalmente la concorrenza tra le imprese europee si è accresciuta e gli squilibri derivanti da una diversa situazione strutturale si sono accentuati in assenza di un'efficace politica economica. Ma proprio perché lo spazio economico nazionale è ulteriormente penetrato in quello europeo, l'efficacia già ridotta delle politiche economiche nazionali è legata in misura maggiore al loro inserimento in un quadro comunitario. In sostanza se fino ad oggi il motto è stato una efficace politica economica nazionale per un elevato sviluppo della economia europea, ora questo motto deve esseie capovolto: occorre una eficace politica economica europeaper un armonioso e d elevato svilybpo delle economie nazionali e regionali. I1 piano di sviluppo europeo può apparire velleitario. È vero. Nella situazione attuale, così come è concepito, difficilmente esso potrà assicurare un coordinamento tra i piani nazionali. Né d'altronde è da supporre che la fragile Comunità possa, con intenrenti propri, migliorare la situazione. Ma non sono meno velleitari i piani nazionali se credono di poter assicurare isolatamente l'espansione armonica di economie che isolate non sono e meno ancora lo saranno? Posto nei termini attuali la via appare senza uscita. Senza uscita è la Comunità se non riuscirà a varare un'efficace programmazione europea che dia il quadro nel quale si formeranno i programmi economici nazionali e regionali. Che senso ha una Comuni1à Economica se non è una Comunità di armonioso sviluppo economico e sociale. Ma qual'è la via di uscita per le economie nazionali? Un ritorno a forma di mercato chiuso? È un vecchio discorso che torna. Un discorso che parte da considerazioni rigidamente economiche, ma che necessariamente porta al di là di quella che è la stretta realtà economica, verso la sintesi della vita civile. È infatti evidentissimo che la presente organizzazione politica europea è soprawissuta alla propria utilità ed ora non è altro che una minaccia per la stessa esistenza della civiltà che aiutò a formare. Quando gli Stati sovrani dell'Europa moderna emersero dal feudalesimo del Medio Evo, le loro fiinzioni liberatrici e creatrici eliminarono la massa delle restrizioni locali che soffocavano lo sviluppo economico. Pacificarono i bellicosi baroni e principi e stabilirono una legge uniforme su territori prima chiusi nei loro particolarisrni. Ma oggi predominanti sono diventate non le loro tendenze unificatrici, ma quelle separatiste. Esse restringono le attività di una vista economica, la quale nel suo spontaneo sviluppo si estende molto al di là delle loro frontiere. Sono unità antieconomiche che per l'amministrazione di quelle funzioni positive cui adempiono e il peso del mantenimento dell'apparato di difesa necessario ad assicurare l'indipendenza, minaccia sempre più di assorbire tutte le energie dei loro abitanti. La esistenza di restrizioni commerciali e migratorie fra i differenti Stati europei odierni è altrettanto assurdo quanto l'esistenza delle analoghe restrizioni fra differenti province in periodi precedenti. È necessario che il Piano Europeo spinga al superamento di questi concetti. Naturalmente la pianificazione deve essere svolta anche in funzione di motivi che escono dal campo economico, altrimenti sacrificherebbero molte altre realtà a favore di un monismo; ridurrebbero perciò il reale ad una qualunque delle sue componenti. Abbiamo visto nel corso della discussione alcuni principi base di un piano europeo. Possiamo forse cercare di puntualizzarli meglio come segue: dicembre 1982 1) l'uomo vive in una società di uomini e gruppi di uomini di tutti i tipi: alcuni di questi gruppi sono formati in funzione di un lavoro da portare a termine; 2) è condannabile tutto l'egoismo dei singoli quanto quello dei gruppi. I singoli, i gruppi e le collettività non hanno significato esistenziale senza relazioni fra loro; 3) la realtà sociale ha forma agglobante, cioè comprende le sue componenti con rapporti gerarchicamente pluridimensionali. In sostanza tutti e tre tendono ad orientare la società verso un minimo di costrizione ed un massimo di spontaneità. I rapporti fra i vari enti (singolo, gruppo, collettività) sono basati sui concetti di reciprocità e mutualismo e non di semplice contatto. Riportiamo queste considerazioni alla pianificazione che per essere democratica deve rispettare l'indipendenza di tutti (produttività e consumo) senza ostacolare il moltiplicarsi dei rapporti tra gli enti della società (singolo, gruppo, collettività), favorendo quelli in orizzontale (specie fra le imprese) e non ostacolando quelli in verticale. Visto quello che deve essere il contenuto della pianificazione, vediamo la qualità. Diciamo Piano Democratico Europeo: per essere tale deve apparire: l ) obiettivo: deve partire da un'economia reale e non da modelli teorici previsti per il futuro (rifiuto quindi della ideologia); 2) analitico: deve tenere conto di tutte le forze partecipanti all'economia; 3) integratore: alla ricerca di un equilibrio nel tempo e non di una sintesi hegeliana o mamista. Così, la pianificazione risulta legata al passato, poggiata sul presente e rivolta al futuro in modo da essere ancora: 4) proiettiva 5) sperimentale, cioè empirica 6) creativa od estetica; deve essere anche invogliante, cioè umana. Bisogna passare, andando dal presente al futuro, da una situazione non pianificata ad una pianificata: per questo, come al solito, bisogna passare per delle tappe intermedie e intercomunicanti: queste, sotto l'aspetto dei fini intermedi visti sopra, dovranno essere tali da poter essere cambiate durante lo svolgersi della pianificazione stessa. È questo il principio della temporalità della pianificazione: 1) le tappe intermedie sono determinate da scelte private, 2) le tappe intermedie sono elaborate o determinate da un apparato statale, 3) le tappe intermedie sono elaborate e determinate in considerazione della necessità di tutti e di ciascuno: difficile, ma più democratico in quanto vi è la partecipazione di tutti, come diritto di tutti e di ciascuno. Con i primi due tipi di pianificazione si è avuto il capitalismo privato e quello di Stato (in cui alcune minoranze possono determinare l'orientamento della pianificazione). La pianificazione federalista oppone a queste forme una forma antiburocratica. Questo porta il discorso sull'argomento del gigantismo delle imprese e della cooperazione economica che, se pur importanti, vanno qui solo menzionate. dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA O R G A N O H I N S t L Z DZLL'ASSOCIAZIONE ITALIANA - P E R IL CONSIGLIO DEI C O M U N I D ' E U R O P A La petizione popolare per i poteri costituenti al Parlamento Europeo Il I J febbram I Ere~uiivumrwrwlt <'At( E s # "~11" ~ ~ t*, ~ della Nolurinnc r L@ rmpontubrl~tadrl CTE liclld h#tlaglin pP1 1.1 f i e. razione MII»P~~r. Ir s u a ca>pnizione curi I t t l c »rcsilrn.#~l«nilultli~th aorizmwn da:tAsrembl<r< &i Di.kprfi del <LE s Uuntrtai.iii lcrnii i1 78% mapsto I W l ( l a si nrl n I> giugno 1Vli di Conierii J l U J V ni 4 ha n-lo l e s i e e w di ii'sa *tirilJ uilbbtrarroat *is al rrirlro ilr #nwrtforta im IAILCT e i1 Mo%tmtnroFc4rr;rlr*tit I iinmw ( C t > i i i nli3swb-e i b l i u u ) , nel quadro <ki Conogli0 iirltalu> &i Al«\trtrrtirc? Liirt>fur, Jet suuz Cornilali prn\iniraii pLr I E u r u l ~<: JLlk iur altra slrurulrc orssnutAli\e e pul8ttrhe Il 19 mano a hliu Iwnhure iGi.irn&t,ia fr<kr.tIi i si -no #tu-onlrstcdue drkpsz~unr,una t . ~ i ~ p r ~ ~ ~ n t . n&.Il; r nl ,i,cnt dr, ~ ~ - L'EUROPA HA BISOGNO DI UN GOVERNO: L'&di@ ka b i w dell' Eurape per sopravvivere e rinnovarsi. di vn ~povarnaeumpeo per non s0scom Bi fache & sta sviluppado nel quadro lyk t W i 1 ranl maE un gavaino europeo Hno a che non dl &k>. La pianificazione democratica nel senso visto è una vera e propria rivoluzione che non può essere affrontata leggermente e senza, in particolar modo, tener presenti questi quattro punti: 1) l'ordine economico globale (pianificazione generale e non di singolo o di gruppi di imprese); 2) le strutture primarie attraverso le quali la pianificazione costruisce un ordine nuovo; 3) quadro storico e geografico nel quale si svolge la pianificazione; 4) congiuntura: situazione nella quale si comincia a pianificare. Due parole conclusive, infine, sul rapporto produzione-consumo nella pianificazione. Si dice che il consumo debba regolare il consumo; in realtà si produrrebbe per produrre e non per consumare. L'uomo deve essere il tramite fra produzione e consumo, mentre invece il produttivismo tende a ridurre I'uomo in schiavitù (più o meno incosciente), attraverso varie forme (interesse, pubblicità ecc.). I1 produttivismo non è che l'eppressione economica della massificazione; questo farebbe pensare < 4r1 eulhghi ed um1.i. <r E a i e sempre hpirtuo per ffwcotrruzio~rc dcltitmtd t < u r o w a inlriuu e emi tu PL>~IPIIPO:IOIIP ddlrl /«rie @ari a demurairrlie per rwgiungrre queslo wgo 11 %*l ha. unche r~cenrernnite pib 1*olfc irhnrfrrf~che sano errrnciah iin intibrr.enro coordinalo e s w r m a z i o ~ ~ &dci J'arrrr %li e regzanalt e I.cli$one direfra dt rrn Parfnrl<rmrtrrcidt<topea, cttc dovia r5prrmerp ctft guverrio c m u n i t n m nd esso ra>mrril>~le. Ld lima poiilira ~'iirrafa avunrr d d <'CE, in pcnr? anordo rvn turtc 2e &Ire f w r e dcmveru~ichre frdrrali8fe, 2 quello dc chipcferg che sia ormai confsrrr<>u1 Purlom6~nroeuropwl, deltn ce wlfrrigro i<ntvmrsale c direrro. #t ntondor<>il: redifiere lo Cosiilffiro~u. dei gritm r w c h degli Sloii L>niri d'Furf>~~n Frann>iro,poieh6 r Vmk mmmi & Porisi e di C o ~ n t i t i ~ eIrunw n sluhilitn di ckrsdera <hr le Iht~cucani ~ a r a p ~prcbPnrtm 'e enl?n 11 197.5 un pragefro dr Lfniane eutnpu fIq raQ1tzz4rbi non d l t ~ la rraden;~ d#l 19&, ZII CCE p% pirrtrrr* lormmre I'AILTE, surr &varie Irattruiu, hanno /aitu p r o p r b 11 Yinno St>ineUI. ciod la riehtvrro a, <iuvpn>i delfu Canr#n<u dz uecurdarri r»m,ediarnm~.nt~rul ror#rnmt*rifo al Parlamento w o p m atrmlr del ~ m l ) i t o&t F W ~ I P E ~ Cffno Slawfa pai61w drli'Utrwnc eurtippu (Srarulo ke dovrff pr~~rviere on81tnlt~~ " P ~ ~ L B aP Usrrlfrn.qu> 'ftrerio di uno d a rrmu del Purbrwnro rnrqxs, coul eumo k< Jorrrwrlone dt un aurrniuw <;Or*rrns Fnropeo w j l@ maerie &e ravn pusunio aia uvcre vni, p u r m iiireraovrmfiva c db@m@r<o). A qsarslo w f o I'ilnron der i0dl.rslrstes eum@mr IUEF) bu dcnw d4 fanczura utrri mmmgnu p r m ~ @ t l o > lP>@#< d cd Par. Irmmhi rulvw%.rn hase uli'arr 46 $ol fie&#mwrto, n4 InrBtre rld Piurai Spinetir, 6eFir.ir tu18d0 a cmsiwfm mgaainfe, fsdem. Itit6 e &m<*T<rnr% dr rrubirire I'oHr&tvrrs dalla rarrriixrg~edr WUR P m ~ e di.lln <i% ,nrttrrh I atr d m A A ~=.e. -.#n-. .-*n VI P nula che 11 alla necessità del consumo sulla produzione: e così si passa per reazione da un eccesso a quello opposto. Né produttivismo né consumismo assoluto. Bisogna mettere I'uomo in condizione di soddisfare il meglio possibile i suoi bisogni, adeguando opportun&ente la produzione. I - bisogni - si manifestano in maniera diversa secondo il tempo e il luogo: - di qui la pianificazione deve poter prevedere diversa soddisfazione a medesimi bisogni in luoghi e tempi diversi. Non è dunque contrasto, ma tensione fra produzione e consumo; e la tensione, dicono alcuni, è la base della società. La società in realtà è un macrocosmo nel quale si riflette il microcosmo uomo, cioè la singola - espressione della natura, in trasformazione ed in espansione costante, L'uomo dà e riceve (base dell'economia), produce e consuma, fa e si fa; per questo in ogni trasformazione ed ordine nuovo non si può prescindere dalla natura umana, ma anzi bisogna partire da questa e considerare le sue prospettive. È chiaro comunque che la preponderanza del consu- matore giuoca molto sui beni di consumo o di prima necessità (base della vita umana): è questo il solo campo in cui si può fare pianificazione nel vero senso della parola; in ogni caso precede tutte le altre. Il minimo sociale deve essere garantito e non deve essere compresso: ogni uomo deve avere garantito (non regalato) un minimo potere d'acquisto indispensabile nei suoi momenti di vita essenziali: alimentazione - vestiario - alloggio - educazione - salute. Finalmente la pianificazione nel campo dei beni di prima necessità deve essere indicativa o imperativa? Cercando nel federalismo europeo la soluzione, non ci stupiremo di rispondere: né l'uno né l'altra; la pianificazione sarà incitativa. Tutto ciò è possibile solo se esistono istituzioni che garantiscono l'applicazione di tali idee (principio di garanzia): sono queste le Commissioni di pianificazione che devono esistere ad ogni livello sì da poter agire, superando le inevitabili e necessarie dialettiche, sia su un piano verticale (con commissioni analoghe a livello superiore ed inferiore), sia su un piano orizzontale (allo stesso livello). La distribuzione delle competenze fra regioni, nazioni o federazioni, awiene sulla base di un principio di sussidiarietà. In origine tutte le competenze spettano alla comunità più piccola, dove tutti i cittadini possono più facilmente far sentire le proprie esigenze, esercitando un controllo diretto fra chi gestisce il potere. Quando un problema assume una dimensione che supera quella della regione, rientra nella sfera di competenza della nazione: a sua volta un problema che superi la dimensione della nazione rientra nella sfera delle competenze specifiche della federazione. Per cui sarà la regione a decidere se costruire un nuovo ospedale, la nazione se raddoppiare l'autostrada, la federazione se aumentare gli stanziamenti per la ricerca spaziale. L'ordinamento federale compone così l'enorme telaio (questo è già un piano) entro cui si tessono i rapporti sociali, si svolge l'attività economica, si ordina la ricerca scientifica e si ricerca una vita culturale. Nell'autonomia e nella cooperazione, elementi nuovi della vecchia e della nuova Europa, si arricchiscono le tradizioni dei singoli popoli, rafforzando con esse i legami sociali ed il rispetto per I'uomo e per i principi della libertà. L'ordinamento comunale in frantumi (continuazione dapag. 26) che per la sua qualità virtuale di ente sovraordinato non sarebbe privo di mezzi di pressione più o meno occulta per alimentarlo. I1 risultato, a parte ogni considerazione sullo snaturamento della autonomia comunale, potrebbe essere che la Provincia, nell'arco temporale di alcune generazioni, si trasformi surrettiziamente da ente territoriale con funzioni prevalentemente programmatorie in ente di amministrazione attiva, senza responsabilità primaria nei confronti delle comunità locali. 36 COMUNI D'EUROPA Istituzioni e cultura politica per l'Europa «seconda generazione)) di Massimo Bonanni Una riflessione oggi sulla Comunità Europea, sulla sua crisi, sulla cultura politica che l'ha sostenuta o che le ha fatto difetto, non può essere altro che una rilettura. A questa rilettura il percorso (che pure presupponeva un obbiettivo, un punto di arrivo) appare con le stesse caratteristiche di una navigazione sottocosta. In essa l'orizzonte non si presenta mai aperto ma su di esso incombe sempre un promontorio che bisogna doppiare, e dopo di esso un altro ancora. Tali promontori sono stati rappresentati volta a volta da scadenze quali la firma dei trattati, la fine del periodo transitorio, la crisi francese prima e il superamento del compromesso di Lussemburgo poi, i primi tentativi per l'UEM, la politica regionale, i negoziati di adesione, la politica di bilancio, il sistema monetario europeo, le nuove politiche del Mandato.. . Se facciamo riferimento all'attuale situazione comunitaria (lasciando quindi da parte quanto si sta elaborando nel Parlamento Europeo) dobbiamo dire che ancora oggi (e forse oggi più di ieri) l'orizzonte non si presenta aperto. Abbiamo anzi il sospetto che questa navigazione sottocosta abbia fatto perdere alla CE la direzione e il senso del percorso e che il problema sia oggi quello di ripensarlo. Che il problema sia (per restare nella nostra metafora) quello di passare da una navigazione sottocosta alla navigazione strumentale, il che implica la necessità di tracciare sulla carta una linea tra punto di partenza e punto di arrivo anche a costo di tagliare come irrilevanti alcuni dei promontori che si è dovuto faticosamente doppiare. E questo è il procedimento a cui mi atterrò nel corso delle mie considerazioni sulla crisi europea come crisi delle istituzioni e della cultura politica, intesa quest'ultima non solo nella sua accezione accademica ma anche come cultura delle forze politiche e in particolare della sinistra. È probabile che questa navigazione al largo - che non ripercorre le vicende della Europa «prima generazione» - comporti una perdita di paesaggio. Ma ci auguriamo che permetta di guadagnare più orizzonte. Per introdurre la tematica istituzionale inizierò quindi dalla attuale situazione di crisi (se non di regressione) in cui si trova la Comunità Europea esaminandola dapprima con riferimento alle vicende e ai paradigmi interpretativi del sistema internazionale e in secondo luogo con riferimento alle vicende interne degli stati. Che la crisi della Comunità Europea si collochi in una più ampia crisi del sistema internazionale è una osservazione che può al più essere aggiornata ed esemplificata di volta in volta sulle vicende del momento. Facendola oggi dovremmo mettere l'accento sulle carenze di un sistema monetario europeo in parallelo con le avventure del dollaro e con le drammatiche conseguenze che ne derivano alle bilance dei pagamenti e alle aziende che si sono indebitate in quel mercato. Ma non si tratta che di esempi che confermano I'ingovernabilità e l'imbarbarimento del sistema internazionale (per usare alcune definizioni che sono state date alle vicende dell'ultimo decennio). Che esso versi in una cri,si di grandi dimensioni lo dimostra il fatto che qualunque nodo rinvia subito ad un altro senza che ciò ci awicini alla soluzione. Si può partire dal nodo monetario per giungere subito a quello petrolifero, da questo alla politica commerciale e al risorgere del protezionismo e di qui al problema dei paesi in via di sviluppo., per tornare a ritroso ai problemi già enunciati: protezionismo, politica commerciale, problema petrolifero, problemi finanziari e monetari. Su questa rete di problemi sono possibili vari percorsi e, di conseguenza, varie interpretazioni: ogni sapere specifico, ogni scuola di pensiero potrà così stabilire dei percorsi secondo catene causali più o meno credibili e più o meno compatibili. Ma non è questo il punto che ci interessa. A noi interessa piuttosto sottolineare come il decennio trascorso sembri sempre di più confinare queste discussioni ad un ambito accademico in quanto si è approfondito il divario tra teoria e prassi, e il sistema internazionale è sempre meno accessibile ad una pratica politica. E, ciò che è più drammatico, questa inaccessibilità crescente va in parallelo con una crescente interdipendenza. Oggi sentlamo in modo più forte di ieri, come problemi monetari, commerciali e finanziari si colleghino strettamente ai problemi della nostra governabilità interna. Ma oggi sentiamo in modo più forte di ieri come queste componenti esterne siano sottratte alla nostra capacità di determinazione, come esse sfuggano sempre di più alla presa di una azione politica. È sullo sfondo di questo buio all'orizzonte che dobbiamo porci il problema dell'Europa, sia per una analisi critica dei risultati raggiunti, sia per individuare le funzioni a cui essa deve o dovrà rispondere. Nella prospettiva di una analisi critica non possiamo non rilevare come: la Comunità Europea sia stata attraversata e decomposta da una crisi che ha inciso in maniera differente sulla governabilità dei paesi mernbri spingendoli alla ricerca di soluzioni differenziate o conflittuali che hanno ulteriormente aggravato la situazione. La Comunità Europea insomma ha fallito nel compito di presentarsi come «un insieme economico e monetario organizzato* (per esprimersi con le parole di iin programma della Commissione risalente orinai al 1970). Essa non è stata né l'istanza attraverso la quale agire sul sistema internazionale né il filtro che attutisse le conseguenze del suo disordine. Queste valutazioni critiche non tolgono però che in una ricostruzione del discorso europeo, dicembre 1982 in una nuova cultura politica che ponga il problema europeo in una nuova centralità, debba essere rivalutata la funzione della Comunità Europea nel contesto internazionale; che si debba riconoscere che nonostante le sconfitte la costruzione europea è la condizione storicamente data per una maggiore accessibilità del sistema internazionale ad una pratica politica. Può sembrare forse un po' enfatico parlare della necessità di una Itnuova cultura politica». Vorrei perciò soffermarmi su questo punto per sottolineare come, nei riguardi del sistema internazionale siano presenti due diversi paradigmi, due paradigmi antitetici che è possibile delineare in correlazione con il concetto che più ha affascinato e monopolizzato sia il pensiero che la prassi politica: il concetto di stato. Il primo paradigma di sistema internazionale (che uno storico della politica ha definito come caratteristico dell'ideologia ottocentesca) si articola in modelli che potremmo definire «a priorità stato,. Secondo questi modelli sono gli stati a costituire l'elemento originario. Essi non presuppongono un sistema internazionale ma al contrario lo generano. La definizione di sistema internazionale è così residuale e derivata: esso è costituito da tutto ciò che non è stato, da tutto ciò che è al di fuori di una monade originaria che potrebbe vivere anche senza finestre. La vitalità di questo paradigma è maggiore di quanto si possa pensare imputandolo alla ideologia ottocentesca. Ancora oggi, tanto nei più recenti dibattiti teorici sulla crisi dello stato quanto nella politologia più alla moda non si è mai riflettuto (o non si sono tratte le debite conseguente) alla connessione tra la governabilità interna e la crisi del sistema internazionale, alle conseguenze della coesistenza di questi due diversi livelli, alla possibilità e alla necessità di riawicinarli in una pratica politica. A fronte di questo paradigma ce n'è però un altro che chiamerò «a priorità mondo». I suoi precedenti ottocenteschi possono essere ritrovati nel concetto di «primato della politica estera* di un pensatore come il Ranke ma soprattutto nel quadro di riferimento teorico di Mam. Utilizzando con una certa libertà concetti e temini di studiosi contemporanei (quali Amin ed Emmanuel, Braudel e Wallerstein) possiamo dire che questo paradigma vede l'elemento originario non nello stato ma nella formazione di un sistema ceconomia-mondo*. In questo quadro la formazione dello stato (anche quando la sua origine non sia costituita su una interpretazione rigida del teorema della sovrastruttura) è strettamente connessa a particolari esigenze del sistema globale in cui è immerso. Dei due paradigmi è stato il primo a prevalere e il fatto che la prassi politica (anche quando si presentava con valente utopiche a livello globale) abbia progressivamente subito la fascinazione dello stato chiudendosi nei suoi confini, costituisce la contraddizone da cui oggi bisogna uscire. Se inseriamo i problemi della Comunità Europea nell'àmbito di un paradigma «a priorità mondo» possiamo meglio apprezzare e qualificare alcune delle difficoltà e delle resistenze a cui la costruzione eyÉopea ha dovuto far fronte. COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 Possiamo apprezzarle e qualificarle dicendo che esiste un interesse dei centri e dei settori che possono meglio adattarsi alle regole dell'economia-mondo a mantenere la Comunità Europea al livello di un mercato-senzastato, a frantumare e confinare il peculiare rapporto tra stato e mercato che esiste nei nostri paesi impedendogli di allargarsi, sia pure alle dimensioni della Comunità Europea. Come esempi di ostilità provenienti dai centri esterni alla Comunità Europea potrei citare l'opposizione di Kissinger alla politica energetica comunitaria, le opposizioni incontrate dalla Convenzione di Lomé e la fine che hanno fatto le proposte della Commissione per una uniformazione delle politiche nei riguardi delle multinazionali. Come esempi di ostilità provenienti dall'interno si può pensare alle ostilità che hanno incontrato o che incontrano le innovazioni che si presentano come correzioni al mito del mercato quali la politica regionale, la seconda fase dello SME, I'instaurazione di una politica industriale. Credo che sia utile prendere atto di questo contrasto tra due insiemi di regole, quelle di una economia-stato, basata su articolazioni stato-mercato, e quelle di una economiamondo che postula come forma ideale un mercato senza stato. Credo che sia utile non soltanto perché ci permette di fondare la nostra analisi su qualcosa di più solido che non sia una generica congiuntura apoliticm o addirittura su valutazioni soggettive relative al personale politico. Ma credo che sia utile soprattutto perché ci permette di vedere nella costruzione della Comunità Europea la possibilità di diminuire il divario tra momento statuale e momento internazionale, e la possibilità di rendere il sistema internazionale più accessibile ad una prassi politica. Ma se queste sono le potenzialità non dobbiamo stupirci delle opposizioni e delle ostilità palesi o occulte, né dobbiamo attenderci che la costruzione europea sia accolta con un favore generalizzato, interno ed esterno. Anzi, oserei quasi dire che proprio il favore generalizzato, che si postulava avrebbe dovuto accompagnare la crescita della Comunità Europea, e ciò che ha finito per danneggiarla, e ha frenato la sua legittimazione culturale e politica mettendone in secondo piano le valenze innovative e rivoluzionarie. Una nuova cultura politica significa oggi dare ai modelli «a priorità mondo» una énfasi che non sia solo liturgica ed una posizione che non sia specialistica o collaterale ma che si colleghi più strettamente alla stessa prassi politica e agli stessi obiettivi perseguiti a livello statuale. Questa nuova cultura politica deve collocare al suo centro il problema europeo per costruire intorno ad esso non generiche reti di aconsenso di opinione pubblica ma quelle reti di consenso e quei fronti di conflitto che sono costitutivi di ogni azione politica. Credo sia chiaro n questo punto che il mio discorso sulla struttura istituzionale rinvia immediatamente alle forze politiche. Nell'esaminare le vicende e le strutture della Comunità Europea non si può sfuggire alla constatazione che la sua incapacità di decisione 37 vada ricondotta alla sua carenza di legittimazione per forze politiche. Basta ripercorrere la storia della Comunità Europea per rendersi conto di come, più che giuridica o politica, la sua base di legittimazione si fondi su va.riabili accordi intergovernativi o addirittura su accordi personali di cui non mancano esempi (Adenauer - De Gaulle; Heath - Pompidou; Giscard - Schmidt). Con un'altra terminologia possiamo dire che sono i cicli politico-elettorali nazionali, nel loro variegato intrecciarsi ad impedire un respiro regolare degli organismi comunitari, a rendere possibile l'esistenza di un ciclo politico europeo periodicamerite scandito da verifiche del consenso. Questa linea di analisi può essere meglio illustrata con qualche esempio. Basti pensare al caso inglese dove la carta europea viene giocata alternativamente da laburi- Plsilr di iroui. 86 9 rstlsmbre l 0 6 3 0,raiione m Roda1 Anne X l .N io portale - sti e conservatori. Saranno infine i conservatori a condurre il negoziato. E ciò è all'origine del famoso rinegoziato. Un secondo rinegoziato ha seguito la successiva vittoria dei conservatori ed è facile profezia che se i laburisti giungessero al potere nel 1984 avremmo un terzo rinegoziato. Anche in Germania l'ascesa di Schmidt nel 1972 ha segnato un rivolgimento che ha inciso nella struttura comunitaria. Più vicino a Giscard che ai socialisti, più vicino al Governatore della Banca centrale che a un Brandt, la politica europea della Germania subirà un cambiamento di cui faranno le spese la politica regionale e quella monetaria e finanziaria (si pensi al caso del prestito franco-tedesco) mentre sarà proprio il nuovo cancelliere a teorizzare 1'Europa a due velocità. E del resto, per passare alla Francia, non si può forse definire un rinegoziato la politica gollista che si esprime con la crisi del '63-'66? E ROMA Gruppo I l 1 O R G A N O M E N S I L E DECC'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI C O M U N I D'EUROPA [,a g a n d e rnariilcstazione (Ici lavoratori a Dort i i ~ i i n d li con aiessi ~thiurriri cirl (:(:E i s i i r ~ l ~ ~ i ~urirop~si iilr s i pri>af~r'<l<in<i tirnitii finti clrris<i ~>rer*iorrrt,rw<irii:ovt<i . Iti nr.<.e*siri; di unir? rarlla corriune Iirrr<i iiirle I r / i > r i r viri- P I I P P I I I ~ C ~ ~<~f <I ~ i I~ lj ~ i~> ~ r ~I u Ppnpc>biri . i l r ~ l li.onionir<i ~~ 1," itli, iriiimiirp ri,nmintairitii,ri r l r r i i . ni Iriror<il<rri P iii /or<> x i r i ~ l ~ i ~ <O~I IlP i .orflt~nizs<ilii<ini i l f ~ l l ~sir i i o l < ~P ilrlrit iiliur<i. i r gur-I)e iIpllu rl,,tinu. dei (rir>i.riiii. < I e ~ l ri x ~viritlit~itectfi, rlr~gli r x pnrripliiirti. i I r , ~ l iex tkporinri. cillr r.oopur,irire. ,,gli ol>c*r,trori ..ponti. m i ~ irion l e p i i cii r<rmlir<imprairdil [>ofPris 1lcisir>no1e, c i l t i l ~ i i ruppi ,,<in ~ i r i r i l r g i a i i r non piirctisilnri rlrllo .\l,iri> nasionnle i l peri<'i>lrr che i *i##rldid.clIi,#orlo il ri<rirru rriilorirririo. 8.re#/t1tl~# di poIPr n < t ( r , ~ 1~1 r ~ /,>T<, f,tnsione <r8lbnl«lldc?xid,t u n a lorr,r cnn,rrie r » r i le nltrv J j i r w ~ I ~ n ~ o c r e r i r htina e ICCIICI~ > r e ~ . i n o »: 11811 r ~ ~ * n u n i t ~ , it t r w p e adi > ~ . i l t ~ ~ >pi<inii<ciitn p<>. m o npertn (11 ~:omrnot~cie inicrnnoi<rnnlr, o seriirainti r i p i r r n i ~ nolionali, ri.iolli d« un pulere < l ~ m ~ r r r i f i~r «o ~ r n n o z i ~ n n l ~ . sindm~oti pripioniari di r»liiaioni corporarice P r u r t r i l i p r i ~ a l i pnclrnni (rmn o senon HEC) rielln rcurin rrrnppeo - . t.icriiec;o d c o r restare chiusa ai PRESIn<r>t 11 6 Iiiglio nella iVmiirtlenhallt dt Dtxlrn~i,ul 8 , E ~1wìtaIn CCOnj<'renzc~d ~ ~i ~ n d a c u f l<lern»cmtili (Unflo Chiesa: mi alla Spagna l r h m della Cirnrinrut eurqn'r (VECA CEF, franchisto e ni Faesi io>alilnrr nel &WC); Eicrotorm) rhi- wppfaseri>a,iu piii di 12 me- che r*.ctrnP pretxriipurei ~ E RRTIP~ L d<n.en tum< tft Lcbwaiori orS0ntz~mta Prum<>ssa &1f uawt i Patv: & v t l l ~ r I ' ~ i I b ~.spec~r f a t l . d'Africa i'omiioro e m h m j eunwo. essa ha vi.rCo iRrtcchi: iit impt!i ri'Af+n im<lrtrpoter b prrmportmra d~ oler@ 25 600 L i ~ m a W z dire una w ~ r hcirnrprcnrititle. t7:riarc «ti fra o i t <ielegwu,ni arrivnte dalia L<wem mPspnggtn rnIuli> r r a ~ o l : a t n, ); chc ncm I: dalla P r a w a dr>l N w d e' da P a w , rtal Bclt:m>le I'Eiiri>;a dollc ~ w l n r t>iu . <~vr~l!n dt't gro dal I,uxs~mb>iry«p npmltutto dal!'Ohri- popolt (Tii~js, ,no,, rnpprvsrntr.titi d e l iriorki W, m t o a numeroil h r o r n ! m itnhnni ?:bmrta snducal~ brly<i. ri nfiutriirm dni oltre noturaimmte r tedPwhi 01-CP d < ~ I U ~ Y iic<'ott<rnr ehc trn j r r r ~ m g y r >d, uv1 Pwre Jran M m w t In n m d i h pre\cn;o dct mxpassa doi»l?rnre l'trir<*grasicnu: rtirrvmi . J . Ih;', cltni dingcntt sindacali ric1 C m i i l a l o d'A2ioCMIM e stato ranreplio. tu>% si ,>i16 noo cswrir n<. ppr g!1 Srnh I*n>ci iI Bu-<*n) Kipmirunlrt $ 1 t<%to ~ P U Uv 1 ~ d ~ z i mctle J i. vt<lln ewumt ~ : i r r o!l'unaninaild dallo C~~>.fmi'cio Q i <I>scow tnr~grnla di Mrn,nvt, d6.t i>.resir!rnt<' < i < . s,: rlctruli belgi Tki:s, dcll'itaiiatrii Rorct., ICrSI,). di KTIP?. ppn.~ldrntl'dei s z n d n c ~ ! ~ l a s r rrrhirrgkcri, del !.or curp Bolhorrsu, 3 s g,vi>f~riogrtirr,i:e <!i Z.G,,CI~ O ~ I V T ~ C ~ CCILC p.csie<iern io -'iiinunr d ~ s~wreturi« l dl'i s~ndocnrt ri!cndr.s> ticin '?$ibti?g. <Iell'iIn!i«irr~ Dtiila C'I:CCL.~ (l'il.) (le! p~,r<.ridetticd.'i Sindirrrtri t<*nric-tii :I~.U.U.' R~wrnhurg Li iclvrra dtrettti rlrt ttsti sera ;n!: irfv:<' r i i rrn iil.<lro ri&!jnirqoyirli'rir:r>itr;n:<~t1io fr l r i i , ~ iicti<r rr;inrfcr.knlni@: r i i i t . t ~ ' ~ . r ' ~ : i . d i1r.1 a ~ l e r ' ~ !che r r si r< ~ ~ r t n < i , v i r:ha<!il<i ~it . - ?<in cari,. sfu>ma!rrnr- <.tle !':l)>-r>rflt..l *tr;rt.yr?c;) d u i sindor.«ti r Ls I.:.uozt,>nr. dv!il. S!ari 1'ri:fi du?nircrultci *lEtirr.l>c, ci)ii.-:: ntffl C a>iinb<~r,~nu:re tntrrnutkmolt. {R:uPxt:i'rg. Nrirr :*i.plrunto rr!lr«t#:e o M I :<ma <ii i i l s ~ ' ! < r ,*cnmh.n: royluinui g;i : i i n t t f.'>iit; d ' t h r o j i i riirlite di nkcn,, E nienlp ,di pii, .Ma nuri i.,>g:i<imo neppu~e un nr:ooii<;ii.vriii> t.irroppo g d t o e mese h i w ), rhr. In C'<mitrnitd eirrriomlcn - a r r.em n dRir r e- ~ i .r cn-,w r t n- n- l -h L:rurr B r e t a p a e egli a ! t n P I I P ~democratici; che ---. . . ~ c~mtrit11 iraliuf<i fravuo-tcdesco ( ~ ~ u tTilr hirrg) r cltc io <.oruiltaaae franca-tedesro rlmrnitti al 1950 (Dtilla Chicmi: rlrr o c r m c r i ; ~ p « ~ g l n r"in @ p&n« d t utonr f<unoniic<i e srrir.!~n TLWL b w i w ~ca<ìenin:C I I F .s'tn~kw>t~gowi la fc<~$vnr> del 3 Grenuit.i ci>rnrinitan c f'ele:~rmp 11 ;<~bffr<i~iu ~ ~ n i t w x lCc iI!re!l<> del Parlntnr'ntt3 rrirvyPu, c k ircrmt prr i<n(i <.orrslln coilni-i<itic cm7itl»il<iwt.1 0 vl?»ii>Lo dt irn forte mwi~ne1:1<> ~x>P>&TL' {Nos r t ~ b e r y .ngpr?lt>ui ctttotlinz <Irr ?iosera Sfntti .\lurrnc! tlu itttrrprptnto 11 senrirn~nlop l r rii'i. efjennnn,li> rtie solo l'$i<ropn iirtito porro r<,a!rr:iì?t.i i i i r i partnership f ~ : iegiiRli COMUNI D'EUROPA chi potrebbe negare che i ritmi decisionali della CE non siano stati rallentati ed inibiti dalle vicende politiche ed elettorali di Pompidou e di Giscard? Se mi limito a questi esempi è soltanto per non aminiaturizzare, l'analisi, scendendo nel merito di singole decisioni. Questa situazione, questa sensibilità solo in negativo a quanto awiene nei singoli paesi, non poteva non rifluire sulla vicenda e sulle strutture comunitarie. Per le vicende basta considerare il decennio 1970-'80: al suo inizio (Vertice delllAja del '69, Rapporto Werner del 1970) si facevano programmi per una unione «economica e monetaria»; alla fine si rinvia con tutta naturalezza come fatto di ordinaria amministrazione «l'esame delle misure che facilitino il passaggio alla seconda fase dello SME,. All'inizio del decennio (Vertici di Parigi e di Copenaghen) si parlava di Unione Europea e di identità europea come obbiettivo per il 1980, alla fine del decennio la Commissione con il rapporto Andriessen «si felicita del fatto che il dibattito politico sull'Unione Europea sia stato rilanciato proprio a dieci anni da quella data».. . Per quanto riguarda le strutture non si può non rilevare che il disegno complessivo è ormai stravolto da dinamiche contraddittorie. Il disegno originario, basato su un equilibrio tra stati e forze dell'integrazione, può essere riassunto così. Da una parte la Commissione, organismo forte nella articolazione delle proposte e quindi con una sua struttura amministrativa, dall'altro il Consiglio, organismo forte solo nella decisione (e quindi con struttura amministrativa leggera). A dieci anni dall'inizio, quel disegno (in forza del quale le decisioni prese a maggioranza dovevano essere conformi alle proposte della Commissione) era ormai stravolto e il rapporto Vede1 segnalava con preoccupazione la centralità del solo Consiglio «ora come organo comunitario, ora come sede di concertazione tra stati~. Negli anni seguenti il Consiglio si riservava anche compiti di amministrazione e di gestione, anche quando questi erano, per trattato, riservati alla Commissione. Alla crescita amministrativa del Consiglio si aggiungeva poi una politica espressamente diretta (vedi dichiarazioni di Giscard in merito) a controbilanciare la crescita del Parlamento europeo e a disinnescare in qualche modo un processo che mettendo in contatto un Parlamento con una istituzione «tipo esecutivo» avrebbe costituito «in nuce» un qualcosa che andava oltre il mercato. I1 cervello andava quindi allontanato dal cuore e portato fuori dello schema istituzionale in cui lo si voleva rinchiudere: I'istituzionalizzazione dei Vertici nel Consiglio europeo fino a quell'ultimo apasticciaccio brutto» che è I'aAtto solenne, italo tedesco rispondono a questa logica. Che la macchina ormai macini acqua, che la sua dinamica interna si sia dissolta nell'entropia risulta anche - se non altro in termini quantitativi - dalla molteplicità dei rapporti, documenti, progetti e proposte con i quali si cerca di rimettere in moto la macchina. Cito a caso: il rapporto Tindemans, il rapporto dei Tre Saggi, l'affresco della Commissione, il rap- dicembre 1982 porto Spierenburg, i lavori del gruppo sul Questa critica si può meglio formalizzare Mandato, le proposte di lord Carrington, il con riferimento ai meccanismi di legittimaziorapporto Andriessen, un memorandum france- ne dei sistemi complessi, siano essi federali o se.. . oltre al già citato «Atto solenne» italo te- quasi federali. È implicito nella tradizione istidesco. tuzionale e verificabile nel diritto costituzionaCaratteristica di tutti questi documenti è che le comparato che tali sistemi debbano disporre sotto le ambizioni espresse enfaticamente come di un doppio sistema di legittimazione: per uapproche à la fois ambitieuse et pragmatique» stati e per forze politiche. o come «souci de pragmatisine et d'efficacité, Diciamo allora che la CE «prima generaziosi cela un «gioco linguistico~in cui l'analisi è ne» è stata caratterizzata da una legittimazione talvolta lucida e disincantata ma non presenta per stati non adeguatamente bilanciata da una alcuna relazione logica con le misure proposte, legittimazione per forze politiche. Ciò ha fatto con il risultato che anche l'arialisi iniziale viene cadere la dinamica fra realtà statuali e realtà sconfessata per riproporre coine fatto nuovo ciò politiche con riflessi anche sulla decisione, sotche già esiste. toposta, come abbiamo visto, a cicli determiIl povero pragmatismo più volte richiamato nati dal ristretto gioco della sua unica base di nei documenti comunitari era ben altro. Esso è legittimazione. stato una importante corrente di pensiero dalla Non ho finora accennato al problema del PE quale abbiamo ancora da imparare. Ma qui lo di cui non sottovaluto gli indubbi successi polisi vuole utilizzare per coprirc: insieme l'inerzia tici, ad esempio sul bilancio. Tuttavia - sedell'azione e le aporie del pensiero, per coprire guendo il filo del nostro discorso - dobbiamo strategie che postulando una «efficacia senza dire che la situazione che si è venuta a creare spettacolarità», si risolvono in una spettacolanella Comunità Europea era in qualche modo rità senza efficacia. Lasciando stare il pragmatismo, la situazione è la stessa che si presenta nel implicita in presenza di un Parlamento che malato a cui sia stata praticata la lobotomia e non nasceva dalla società (divenendo organiche compie con la mano sinistra le operazioni smo politico attraverso un «patto costituzionainverse di quelle con la destr:a: nega in qualche le») ma da un trattato: la «forma parlamento, precedeva così la costituzione dei soggetti che modo con una mano ciò che :Iffema con l'altra. I rapporti inter istituzionali quali oggi si pre- avrebbero dovuto farlo sostanza. sentano tra la Commissione, i vari tipi e i vari In questo senso del resto si esprimeva il Raplivelli del Consiglio dei ministri, il Consiglio porto Vedel quando in sostanza affermava che europeo e le più recenti riunioni informali sul «il problema del Parlamento non è quello (giuMandato.. . ci presentano proprio una Comu- ridico) delle elezioni dirette. Esse saranno pronità lobotomizzata. ficue solo se innescheranno dei processi socioloMa abbandoniamo la linea narrativa per cer- gici che portino a nuove realtà nel campo delle care di rinserrare il tutto in u i quadro ~ teorico. forze politiche. Solo a queste condizioni il siLa Comunità Europea nori dispone della ca- stema potrà dirsi dotato di una specie di rete di ratteristica (che è propria degli stati costituzio- comunicazione che generi consenso. Questo nali) di rendere permanente la processazione processo purtroppo richiederà del tempo ma fidel consenso, di sapersi rigenerare anche quan- no a che esso non sarà compiuto non avremo do quel consenso venga a cambiare. Il consenso un vero Parlamento e nonostante le apparenze iniziale che aveva portato ai Trattati di Roma il gioco elettorale si fonderà sui partiti e sui poteva quindi solo diminuire e la sua rigenera- Parlamenti nazionali. Ciò creerà dei malintesi zione poteva awenire solo all'esterno, facendo e rivalità destinate ad aumentare quanto più si aumentare la sua subordina.zione alle vicende progredirà in una unione economica e monetainterne degli stati. ria~. 9- 1m. *.m"'%# t ' .-r'd-d~r<*nair ... .i - L- S*'.a". ". ,.q . ht~." n PENSIERO E AZ10NF U1.l I:FI)SK.9tllTl FGROJTI .- I <.,>i,.., ~ ^ _ _ , . i . Uc.%t(pni ~ per IL1 I % : M ! L : ~ t t!~,,p,:. i>s,f$e & C ~ , < ,p ~c ~l , ~t,c,. ~ <!cll'F.l~r~~pii t'tl+tpk~l.<3 p:! \'n .Yz%!6tdì.7.'lct :-:<k<e,<<, J, ~,l,. !l; : ,,- dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA È inutile rifare su questo punto la storia e I'esegesi dei trattati e degli atti successivi, se non per mettere in rilievo che essi non considerano il Parlamento Europeo come momento di rappresentanza popolare ma come momento di rappresentanza «dei popoli degli stati*. Nel riprendere per il Parlamento Europeo una formula (ai popoli degli stati*) che era quella della Carta di San Francisco per l'istituzione delI'ONU era implicita la conseguenza che il processo di legittimazione non avrebbe dovuto avere come soggetti le forze politiche ma «le forze politiche degli stati». Se si affianca questa osservazione a quanto abbiamo già detto sulla macchina decisionale, la situazione può essere descritta con una metafora che vede l'Europa come un mercato di oligopolisti (gli stati) di cui le istituzioni sono il acomitato di affarioe le forze politiche i «sindacati interni*, cioè organizzazioni nelle quali le logiche aziendali degli stati prevalgono sulla necessità di costituirsi come soggetti politici, O R G A N O M E N S I L E DELL'ASSOCIAZIONE I quadri " del CCE I1 pmtcair G m m , pr~gidenw deIPL'n?onr delle Piu\rncr d'ltelie, nella. wlrvione alin agcmblee otraordiaarls del %'residenti d d IiJni«ne Le proqpPttiue d i Una nnova lesgr cnmunale e pmvindah @ Io fisnrrutli deib Pmvbce *t b u t i i d nel mugw BRMPU a Salema hp me= in pianfia wnhn i1 m h i o di ndurre L'ente (aerrtoriiLe l o d e , s t l r a v m un InSBuki elenco d i hiawaii sd W kcmplwe mmme di sttribueloni. Nsn t ammteublle tnan (. nrstiturior(ale> ha allennaw l1 relncore ridurre la Provincia ( o LI C m m e ) ad assolvere puamenw &I@funztonx deteminale dalle leggi li pmfaaw Qmsso ha sottoknesto I'imporlailza rn una nuova legge mmunak e pmineiuli., d t i b enunohzlone generale che de\e IW stan i pnncIpi nelI'ambl(o del quel1 a svoiige le aubntxnla s ha pmscllitito. Noi veiirem mo p r e e i m e a l e queste Impratirimir p r m d c t r lelsnw delle Iirnztoni, e far cnpu allrr sviluppo m i u n i c o e M a l e ed a i pwmau8 eivllc del* w p a a , fwwdo centro, wonda la e d g m m r i t i h u i d e , nelb e u ~ rime S. Seguado LW UPgUintiee f o m un W' @@sire ma rreàiemo -piL.rIe Wtreznnw, a Mafm volta, umcludwe eh@ dalle - . . - - - come operatori di una diversa forma di legittimazione . Quali conclusioni (e soprattutto quali indicazioni) si possono trarre da queste analisi? Una prima indicazione è quella di ridisegnare il sistema istituzionale comunitario a partire da un dibattito sulle competenze in un quadro «a priorità mondo,. In questo senso si sta già muovendo il Parlamento Europeo e soprattutto la sua Commissione istituzionale. Vorrei tuttavia mettere in rilievo come accanto ai lavori della Commissione istituzionale (a cui tutti auguriamo il successo) quasi nulla si sia ottenuto con la legge elettorale la quale non è riuscita a forzare la compartimentazione che il sistema impone all'elettorato attivo e passivo e quindi anche alle forze politiche. Il pericolo a cui si va così incontro è quello di un nuovo sistema decisionale non adeguatamente accompagnato da un più radicato sistema di legittimazione. Oppure al pericolo di veder languire il pro- FTALkANA W P E R ti. CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA r fedemi@r ferma n1 lirrlln degli accordi mter govcm;lu\i -- intpgtaiati dulle i>wmsiii~ er Disi glime renda merru,) dwii eli*<wrafi - r df€Uk+(U al alprrln BiUOm diglmtrco r aUd s wvmnadt«nah<a* dei p%ilmtatipnnirtniiei ma e del t ~ t b~mepm.mbile NatiLiiuuRalr~~enti' t w n U ~ IParlamento eunipm fimnulo dl deputati aauunali, puaarenh wneullivo e, dr fatlir esau\oraio). 6 aenrs i.Rrlt~\oennlrollo pipolnr4. S(Utis(1 narrmali vlajjgianu per 1'Eumpo c dimrmno, facendo a meuo di iastldlad inWmeaiarl, s i m le loUe. m rrfiiguuno ddt'iurrrigare wcondo le regole dello drmWCrdsU i1 pop<?h*i~irq>et*tO PI>\S~X<.O tnllemm l resposshilr, liberemente cletli, delle mn%oiilfAIwali9 Che debbono iamq Il CCE *i strutwuu, politra> degli ammininratorl Locaii che per il bene ddle I m tvuiiinit.4 lotlsnn i1 hnr d i mninhuira alla c~)nruzimie di un i o ~ i n i r ftaeralr ~ eum~e~, iI CCE lo stntmeato a t l i a % e m U quale @l< arnminfhtmlorl locali mtrn8pmio. BU m a b e w p e a , i@ nweasanc ailmnu. demucratrrhe. Questo s t m m m t ~vive e dl peso a>lLanto per m i a &m Sapm dire la sua panik deiasmtnante. si- una imgo paize di Rsl paneclpe* ~ attivsmcnrt@ ~ - e e<m ptena aMe sie tuiLlstJve La f n r m s ~ l a edi squadri ~oiIticl drl CCR sdeciuati in numem r quelits al raioi cumpit~ calremmrnia eomp l d , e onerosi, d r m d e i a de goc4ta parte c l w z ~ o n r e vogliaaio qui Inossiera sull'espmnrane < con piena m n r s w a l r m che ~bbiamu uain Infntti. si- un Qttenlrr, a m n m , conunso .\udio i rieaies(n PPT ls a4uzlme dei pmblemr delle nonm mrnunxu .a msira d'uamo. (o dovrcbhero esser tali ) uno studia iaiimto P Y'lchl@& dalla ba-gIla per pntpr mU0car~h. o m t n Nmuniiù iu un cr>nle& lederate Won ri PU<S ~leei*rnawla clsese del dingmfi mvmnarianntl del CCE mlsmnito rn luuime della lrita rapprcmtau-.~ità. d ~ l l a&m I m w . w , ma anche e aOprattutto lo SI do\* in iuezfune della luro pmvaU capeeità di g o l d s ~un6 lotta rovrenaaoiiale com. in\emnreati, r m bastem che skunl sn%iu fpderalinl si pmp0ngsno di guidare alla Irttla per h CmtrLlmC 11 powlo eumpco se, in una nii>rrtod<inticasciL tlta , dr mammv l attnalc nnn v>noF P P ~ C L di apdm un dlnlogo etiettfvo e cn~nancntc m n le sue 8Ttleolnr1unl deniucnrliche, m le wmunità lwab >n fnndo i1 n M m P un invi&, al fcdemlrstl g i B milli%nUa cercare il mandato legittimo delle n>muntu Lucalt. ciod a dtvenirv aminlnislrabirl: mbt come ai ailleghi ammi ntsirittori w n t r l b i ~ l r -~ mn I'impcgno chi nchiedao i m e n t i pia daWcili della storia alla formennne dalla cl&asp dohtica P I I ~ ~ U I I Puent'ultima iarh irnpmbahllmwitc l'1'nu(trm3 ticn llllsfl~medrllt fI.rb\i pr>littchr narlrm.ili In tutt'nltri- faccende af?#~-rrndalc Azionp Q sriidlo e d n t l ~colonne di <'oiiiuni d'Eumpn ar(@ r,de\ama mprattuiit, riehwmano al dovere dello mdlo, dt cul da &ani e &amo mmtemmie ontlamrr gli spunti vie ita p'u rtttualt Tocchnh nlla Setwne itaimnu r a turui IL c*3E di oiirite m r p f f - mrglie a1 sxi Enti e p p m e i medi ~ c orrai?lr r iarn mie dlwersione Questo studio SnoSapP vvie o impsgnelo ci6 sXlmWini!riagfflnnn?nt< dopo ifli SLau geiierali di Vicnnd Mn corni r<\%er+d zri> W t11 W: tt~+tnir~ t t n i ~letwtr ) t ) rnrqlira, I d t < s v nmIc< l, non p1< rnr-e In querto mq(> diehiareridoti . in J J J n teitianr ziiunbb 3 m t m ~ t e10 riOM O r g r ~ t l i l ~ aehc t l ~ nc rrvl lieRlIb" - - - -- -- - - - - . 1 . - - W INCHIESTA bLU,'AMMIAl. STRAZIi>Nf: VEt.U> sl &W> 1Pi.1, MlSAEHL%,m - - . aii~imnduni dd ailega Groaao mnliegue che gli arnniiriislraton h l I n m davrnnno niai dlbenLare d ~ u t iW& .+unzionan n, mrr dovranno antrtutlr> i;tmem i rmpl-b~ll llberarncnte elettx, d i sulrvaomp mar<rnitB denw eratiche. Questf ipspanmbili non porsuio t l r m t e r ~ s s 3 i m dp11~cand~zimtnlmcme dir dctennlnano diretlamcaie In niluppo hmoomico ic m i a i e deIi.- mmunit4 e i1 pro&rws eivite della loro ~tpolsziom: e, iopr%ttutto, non possono di&teressam del p~rmnhere o meno del SIX~PIIM dcmacrntico, au cui 6 beasta la lem ehia nlsta al pvemo beak ORBI,oette fattirrpecic non P un diritto nia un rlr>nrrp $egli amminimrernrl loesll dlip la pmpria palola nrlla sviluppo d d FSEC che per uns evidwte eug m ~ adelle mm&l(~ r lnlermpdie ncm potrit ferisrsi iulo atadlo dl unione dogitnnle ma dovre evolvere In una auienclcs mmunlia mn m c a mvranazwoale Oggi c bJia dovere chie deno una planifiesricrne dernmrnUc6 cm? k m e D ~ X n WIPtl&uzi~neli - e un equilibmto sviluppo reuionale &l krritorlo e u m w irve L 1 MEC cckbra EP m e iinpreae Ogd p3a rum posarno attcnden che altri - ~e c guandti rar rh -- protvnli. rotCI ormal gh argini dello m v m u naxloaile ut mnpu mmmico-utciale, B ~ s l l z z a r eII ~ h d l O dem-stm del18 numre, ~0.1. IBsluL in mwimeato Perche 6 FEuro~adel M E , maacendo dl W nnitnirn SOMMARIO - - W I IRI,K1%' p. D f W i C R A I I A h ' ~ d . A STORIA D& Pt?lIlk.HO POI.tTIC0 5PkGVlPl0 dr f W, sr S k w n o r i GOBRE* 1: 1.k rDNbTRFSZ4 ECXV'2OinUXCA DEL CAIllO 4, Srariar C,ROYAC& DtU.E 1STITPEI<i,11 C1 WPt% 8, Animi . PER tiYA WLIIILA i.t~HOpt.:.A DI PIILX) I prebl~mi d i atb. p~paiaca*i+,m. *Irmw.a la praniiirilr&neic Irr errnrvr, r Iirrlln w»pu ds P S<i*<r-Mkre Ii.' ari.srane di R un pisnu wrnppn: bfaiani* A.<swrarc I P L alle ~ ~ s i i i ~ ~ h ~ nsieriati dt R Wmsi F'I1AkXE & t 1lFSPlm l*> R,inci r~tmpra p r 811 in*<. .,,,t <",Il, C I* *.a l.lpn.lllx )*.I i1 erdilo r<maan*C di K Llm I.'n~r,riis nrl 1061 iblin ì%siiiil ~ t n p a<>CF dl iriLrrliiiit nii <I, FI+XIF 39 getto perché contemporaneamente non si è lavorato al secondo binario che ne avrebbe permesso l'avanzamento. È proprio qui invece a mio awiso che si deve collegare una linea strategica delle forze politiche e della sinistra. Una strategia che sappia far riferimento ai problemi del consenso in stretta connessione con quelli della decisione. Una strategia che sia insieme costituente ed auto costituente e che colleghi in un'unica logica politica momenti nazionali e momento europeo, che riversi per così dire nel sistema europeo la forza legittimante del momento statuale, che orienti fin dall'inizio il momento nazionale in una prospettiva europea, che fornisca come substrato alla decisione un ciclo politico elettorale non intermittente. Una strategia di questo genere deve anche saper delineare i primi passi tenendo presenti le divergenze e le diverse posizioni parlamentari che sigle, programmi e gruppi parlamentari solo formalmente unificati non riescono a nascondere. Proprio per questo credo che i primi passi debbano essere fatti muovendosi sul crinale tra politica e cultura, senza investire direttamente i centri nevralgici dei partiti per non ricadere subito nella logica degli schieramenti. Credo che l'esperienza europea del Coccodrillo e quella nazionale della Sinistra indipendente possano servire a delineare una prima strategia di azione. Ci sono owiamente delle difficoltà ma possono essere superate se la tensione è animata da una nuova cultura tesa ad awicinare la prassi politica alla dimensione mondo. Uno studioso ha rilevato come il «Manifesto dei comunisti» cominci con la parola «mondo» ma finisca con il prospettare tutta una serie di obiettivi «ad interimo dentro i quali il movimento operaio sarebbe poi rimasto imbrigliato a livello statuale. Ed è in questa perdita della dimensione mondo che si può collocare l'origine di quel processo definito come «socialdemocratizzazionep. Lavorare per un soggetto politico che riprenda a livello europeo le tradizioni del movimento operaio significa riaccostarsi a questa dimensione, diminuendo il divario che esiste tra momento statuale e momento internazionale. Tale divario costituisce il massimo punto di forza dell'attuale assetto sociale, essendo esso a determinare i margini di governabilità all'interno dei singoli paesi e quindi anche i rapporti tra le classi. I1 problema della crisi della sinistra in Europa può essere affrontato utilizzando diversi parametri. Ma la conclusione è sempre la stessa: la crisi è nella incapacità di prospettare convincentemente il futuro. Ci sono motivi per argomentare che un ampliamento della prassi politica verso la dimensione-mondo comporti anche un ampliamento di possibilità nella dimensione prospettica, in termini di futuro. L'occasione che oggi si offre al movimento operaio, quella in cui la linea dell'utopia sembra incrociarsi con la linea della possibilità storica, forse la stessa occasione per la (terza vi=, è nella scelta europea non come fatto da accettare o da respingere ma come premessa di un grande rilancio ideale per tutta la sinistra. COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 I1 turismo: problema culturale di Aurelio Dozio L'art. 2 dei Trattati di Roma dice chiaramente che ala Comunità ha il compito di promuovere.. . più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano, e naturalmente il turismo ai fini dell'unificazione europea e quindi è tra i problemi, tra i mezzi per promuovere questa unificazione. I1 turismo, con tutti i suoi addentellati, gemellaggi, ecc. assume certamente un ruolo primario, ai sensi del citato art. 2 . Secondo me però il problema del turismo e della promozione della coscienza europea è anzitutto un problema culturale. È chiaro che il turismo lasciato a se stesso crea comunque dei rapporti, è innegabile che un turismo che prescinda da ogni obiettivo, tipo quello dell'unificazione europea, comporta con sé comunque delle qualità di conoscenza, estensione dei rapporti, ha delle funzioni sociali, culturali, economiche, umane, ecc. Ma se vogliamo che questo turismo, nel senso dello spirito del Trattato di Roma e nel senso dello spirito della concezione federalistica di una nazione europea, questo turismo, per raggiungere questi scopi, per promuovere una coscienza europea, avendo come scopo l'unificazione dell'Europa non può prescindere da due grandi caratteristiche. La prima caratteristica è quella dell'organizzazione. L'organizzazione. Come ogni famiglia qualora si vogliano raggiungere degli scopi ben precisi, si stabilisce un programma per cui innanzi tutto il padre (almeno dovrebbe essere così!) il padre dico combina con i figli, con il coniuge, gli scopi e le varie disponibilità, così per l'Europa, qualora si voglia perseguire lo scopo dell'unificazione, il turismo non può prescindere da una impostazione programmatica ed organizzativa di base. Concetto programmatico e organizzativo che è l'unico mezzo affinché questo turismo europeo, di cui spesso si sente parlare in chiave egoistica ed egocentrica (cicero pro domo sua), raggiunga il ruolo di strumento dell'unificazione. E una grande attenzione a questo proposito deve essere dedicata ai mass media, che ci possono essere di grande aiuto. Poiché noi siamo vittime dei mass media (noi abbiamo visto cosa possono fare i mass media, magari in base a criteri, a ricerche reali delle varie scienze, noi abbiamo visto, dicevo, intere posizioni culturali o economiche o semplicemente dietetiche, trasformarsi). Faccio un esempio, c'è stato un periodo in cui si diceva che le uova facevano male al fegato, poi improvvisamente hanno scoperto che le uova non fanno così male al fegato, e così via.. . Uno si domanda sempre se dietro queste cose non ci sono altri interessi di altra natura, e perché allora non usare dello stesso metodo di influenza per indirizzare ed educare il nostro turismo. Ora io non pretendo che la politica europea si muova solo così, ma è chiaro che quando (Da un intervento alla Conferenza europea sul tlrrhmo; Rimini, 23-2> settembre 1982). parlo di organizzazione di turismo, parlo anche in questo senso. Un'adeguata organizzazione del turismo è imprescindibile strumento per aiutare anche una politica di sviluppo regionale. Io non voglio suggerire niente ma quel giorno in cui si scoprisse che le sabbie dello !Schleswig-Holstein sono particolarmente radioattive, sarebbe la fortuna di quelle zone sottosviluppate della Danimarca o così come la st:ampa scoprisse che particolarmente ricchi di fosforo fossero i pesci delle coste del Portogallo. Voi direte che questa è una furberia tipicamente «latina,. No, è un amarketing* turistico, è uno strumento attraverso il quale si può pensare ed attuare quelli che sono i compiti che sono stati delegati alla Commissione dei vari Trattati che mirano all'unificazione europea. Ma a parte questo, però, e ritornando all'inizio, all'altro punto della rnia relazione, che sottolinea la necessità di un turismo organizzato, per lo sviluppo di una (coscienza europea, l'altro argomento è quello di una preparazione culturale. Vedete, io per la mia attività, per la mia posizione, per certe altre cose, viaggio molto e vedo molte cose. Sempre sono stato turbato a proposito del turismo e di coscienza europea e in alcuni casi veramente scioccato dagli impatti con il turismo di massa. Turismo di massa, che può servire forse a promuovere la coscienza europea, ma se non è ben inquadrato, organizzato culturalmenre, il che mi dispiace per coloro che magari vedono in quello un certo progresso sociale, io ritengo che se non è una sciagura, non è certo argomento né di sviluppo sociale né di sviluppo culturale, e neanche di sviluppo economico. Cito due esempi che mi hanno scioccato: il primo è avvenuto a Lugano dove esiste una collezione Von Thyssen, una collezione di primitivi italiani splendidi e dove la storia della pittura europea è esposta in una villa sul lago, con una serie di quadri eccezion.ali. Io ci sono arrivato, ho avuto la sventura di arrivarci in un momento della estate calda e afosa e mi sono imbattuto in qualche centinaia di turisti europei che erano venuti a vedere la Von Thyssen. Era uno spettacolo pietoso, la cultura non c'entrava niente, c'entrava la freschezza delle sale e il desiderio di liberarsi dei sandali e delle scarpe che avevano turbato queste signore che venivano dal nord, dall'est e dall'ovest.. . Il secondo esempio che io vorrei esporre per dimostrare come il turismo qualora non culturalmente preparato, attraverso una formazione di acquisizioni del comune patrimonio culturale, storico, architettonico, ecc. non serve a niente, né all'Europa né alla coscienza europea, riguarda i prati che precedono la Marmolada. Io ho la fortuna di poter vivere nel Trentino, nel Sudtirol, e i luoghi cui accedo di frequente sono le montagne. Questa estate io ero sulla Marmolada, e ho potuto con dolore constatare a cosa sono ridotti i prati che prece- dono i ghiacciai della Marmolada. Questo grazie a un turismo di massa irrazionale, incultutale e non preparato, non organizzato. Per riassumere ripeto che nella mia relazione troverete due argomenti, il turismo come fenomeno promotore dell'unificazione europea e come fenomeno altresì catalizzatore della coscienza europea nel senso di portare alla superficie dei nostri interessi egoistici, personali o nazionali, questa adeductio ad unum» che è la sola speranza di salvaguardia del nostro patrimonio culturale artistico ambientale, non può prescindere da una organizzazione al vertice che determini e scaglioni i periodi di vacanze, le epoche, i luoghi, indirizzi le correnti perché nel determinare alcuni indirizzi di focalizzazione del turismo ci può essere un fattore di grande importanza economica; ma, aconditio sine qua non», tale turismo non può prescindere da una base culturale, chiara e cosciente. Fin quando i nostri turisti, noi turisti, non saremo culturalmente preparati, è tutto da rifare. Ci si lamenta che nelle nostre città si scriva sui muri, nelle nostre città si butta per terra la carta, ecc. e io continuo a sostenere che fin quando non si comincia dalle elementari a dire che chi butta la carta per terra è cattivo, chi butta la carta per terra è maleducato, chi butta la carta per terra distrugge il patrimonio comune pubblico, non si farà un passo avanti. Così è nella coscienza del turismo europeo, perché fin quando non si porterà a conoscenza di queste masse vaganti di turisti, dicevo, cos'è che vanno a vedere, a cosa serve questa loro presenza, che cosa portano delle loro abitudini e li si convince che è inutile saccheggiare, distruggere o semplicemente passare come acqua sulla pietra, non c'è niente da fare, il turismo rimane un fenomeno economico, una miniera d'oro nelle mani delle varie agenzie, delle varie multinazionali, che continueranno a scoprire e a sottoporre sia in Europa che nel Mondo ai soli fini del loro tornaconto economico (e non certo ai nostri fini dell'unificazione europea o della coscienza europea) dei paradisi, dei nuovi paradisi da distruggere al solo scopo di ricavarne il massimo beneficio. COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 41 Regioni e Comunità europea di Onorato Sepe Può darsi che il fatto di essere italiano sia per me fuorviante e che pertanto io sia afflitto da una inesatta visione dell'orizzonte comunitario, ma, pur rendendomi conto che altri, soprattutto non italiani, possano non condividere il mio avviso, ritengo che il fenomeno più importante della nostra Europa sia costituito dallo sviluppo assunto dalle politiche regionali e dall'idea stessa del regionalismo. È lo spoglio dell'ultimo decennio di questa rivista, che celebra ora il trentennale della sua fondazione, mi sembra convalidare pienamente la mia convinzione: l'Europa comunitaria è soprattutto l'Europa delle regioni e la sua storia è proprio contrassegnata dall'avanzare dell'idea regionalistica, cioè dalla presa di coscienza, da parte dei cittadini d'Europa, del loro essere sempre e comunque legati ad un determinato territorio, che non è tanto lo stato ma quel territorio più ristretto cui legano affetti, tradizioni ed interessi. Claude André, direttore generale della politica regionale nella Commissione delle Comunità, ci diceva in un colloquio svoltosi a Firenze nel 1980 che la Comunità offre una enorme varietà di paesaggi, di climi, di popolazione e di attività e che ciò è reso molto più evidente non facendo attenzione alle varie comunità statali ma confrontando le diversità regionali. La Comunità si è quindi incontrata o scontrata con i problemi delle regioni agricole e di quelle industriali, con la difficoltà di sostenere il c.d. sottosviluppo rurale connesso ad attività agricole che vivono in regime ancora quasi artigianale e di far fronte ad un nuovo impiego di mano d'opera nel settore dell'agricoltura che è dell'ordine del 60%, corrispondente a tredici milioni di lavoratori che si sono trasferiti dal lavoro contadino ad attività diverse, spesso in paesi lontani. 11 nostro Mezzogiorno, ed in particolare la Calabria e la Sicilia, con l'esodo massiccio verso il Nord ne sono uno degli esempi più evidenti. Ma il problema del sottosviluppo delle regioni agricole non poteva e non è stato affrontato solo con la politica del trasferimento di mano d'opera ma anche con una razionalizzazione della produzione agricola. Altri numerosi problemi comunitari si sono presentati nel loro aspetto di interesse regionale: quelli della concentrazione urbana in alcune zone, connessi con l'aumento dell'inquinamento atmosferico o delle acque; owero con la necessità di consentire investimenti di rinnovamento nelle zone e regioni in cui antiche attività industriali continuavano a vegetare con impianti obsoleti ed inidonei a trasformarsi secondo una tecnologia più avanzata; owero i problemi delle regioni di frontiera, connessi con la pendolarità di lavoratori appartenenti a stati diversi e con la necessità di facilitare gli scambi in zone con valute differenti. A ciò si aggiunge la tendenza nei vari paesi, sia pure dietro spinte ideologiche o economiche diverse a sviluppare le autonomie regiona- li. Accanto ai vecchi i>roblemi delle diversità linguistiche, tanto vivi nel Belgio, o in Alto Adige, o in Catalogna, si sono verificate ulteriori linee automobilistiche. La Comunità, attraverso i suoi organi responsabili, ha avuto il merito di cogliere I'importanza politico-sociale, oltre che storica, di questo risveglio del fenomeno regionalistico ed ha compreso che aveva un importante ruolo da svolgere perché fra tutta l'attività che essa esplicava sarebbe stata proprio la politica regionale che avrebbe attirato maggiormente I'attenzione sugli organismi comunitari o su i modi di intervento. È vero che la creazione del Fondo europeo di sviluppo regionale è piutto- sto recente, perché risale al 1975, ma esso è già un punto di arrivo, una presa di coscienza delle necessità di coordinare nell'ambito comunitario, - con opportuna diplomazia per non urtare suscettibilità dei singoli stati - le politiche regionali nazionali in vista di uno sviluppo economico-sociale armonico di tutto il non piccolo territorio. Che il Fondo sia divenuto poi qualcosa di pregnante interesse per tutti gli stati aderenti alla Comunità si è rivelato nel convegno di Roma del gennaio 1982, organizzato dall'Istituto di studi sulle regioni del C.N.R., nel quale si è discusso del concetto stesso dipolitica regionale, cominciando dal chiedersi se esista una politica nazionale di riequilibrio fra aree di diverso livello o sviluppo economicosociale. La conferenza ha fornito utili indicazioni per una più precisa individuazione del contributo che può venire dalle istituzioni regionali (e soprattutto da quelle consolidate come le regioni italiane) nella scelta degli obiettivi di sviluppo e nell'indicazione degli interven- dal qusrtiate aka rigrone per una Comuni& europea federala ORGANO MENSILE DELL'AICCE. ASSOCIAZIONC UNITARIA 01 C O M U N I , PROVINCE. SEGIOWI .,orvpg'w il$ ,\ii,i r. tr.irrrt1 c i x ~ - < m r$II>?L*FJ.IC ~ rrrollo *pr.ir/irri qr<tt:rr i>rr,:.Lr, d v.rti,.r ire Ir cuirw. f a r i i ~ ~ F U M Z C *J<,lÌr I~O rritr r c ~ ~ r u f ri r i, r ~ ~ r l ~ f.li t i &di~cwrn~* r prrrprr%:rilu'i,i l'i'm~i\,t<nrc d< A r i r r r t l ~ s .Ir rs,x:*tst:r dsS:ir ,i-iJti:u:r v,tkrrlr rri frmrì* ;l ~ t n I*u:.J'I,: ".><?,u. r i , > l p n dr n(*nanic r rtr . , l : ' . ~ ' a i , il t d r l r , .ti, r'-ip<.im*nsrr !rlrliu:.? I"tzpilr.rrrr .. ora h? i u i i t ;:i ! v i . h i k .-i..><.:;.t>"i:s~sr i. p::(- . + t ht JI 18,: :~~<ih!>.. '?,'t 9 l,? C?,,>.,. .,p,*c.. s:* <,><;.,d,.,z-,,.,,, i'<:'.. 'uu!. .;i..ii::.> ,2J.",., n,. ' a ...i.... .. Jr'!, I W ! , ; ! ~ ~ u c , i < ; . f ~ < . ~ . i . ~ + t , . >C r ~ , > ~ t ù : t z r ~ n ~ ' t i d ~ x ~ > t t : . ; . , ;, ' z ia.. i<r<ra, p v. i.,. , r .,.,t.i>rur..> :,:.,i S... S.,. ,<.!:.L<,,> d.1 elt:,.,, r . . , , h ; . ~ l J ! ,:i ' $11 i'f .r ,' :"t: i.s, >:v,. r r . .,i%. , m,, 1 ,; . ,:: ,k.i,>i< .Il .,:,.-<i., , . t . . ,i; .,, .-,,'i. r . ...,3;; tiil t ~ Y i.iw::i .. ~<,. ,., .. .. dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA ti necessari e nell'analisi del funzionamento effettivo delle politiche regionali. Ma sempre nell'ambito dei rapporti fra Comunità e regioni non si possono non segnalare le iniziative delle regioni, soprattutto italiane, a vedersi garantito un ruolo nella elaborazione delle scelte governative in materia comunitaria. Ciò ha visto soprattutto I'AICCE rendersi promotore di un progetto legislativo per istituzionalizzare un organismo di collaborazione consultiva stato-regione. Il fatto è che nel 1972 il trasferimento di poteri e competenze dallo stato alla regione in Italia è stato viziato dai consueti compromessi e ciò ha portato a far sì che le materie di interesse regionale, previste dalla Costituzione, venissero frantumate, in modo da conservare allo stato funzioni di interesse nazionale nel seno delle competenze regionali. Così nell'ambito della protezione dell'ambiente venivano considerate di interesse nazionale la protezione delle bellezze naturali, la tutela contro gli inquinamenti, la sistemazione idrogeologica; nella materia agricoltura si consideravano riservate allo stato tutte le funzioni strategiche e fra queste I'applicazione delle direttive della Comunità che toccano la politica dei prezzi e dei mercati, il commercio dei prodotti agricoli e gli interventi sulle strutture nel settore. Nel 1977, al termine di una lotta serrata condotta dalle regioni, in esecuzione della legge di delega n. 382 del 1975, si è passati ad un ulteriore trasferimento per settori organici in modo da effettuare una analisi delle funzioni da svolgere. Non è il caso qui di soffermarsi comunque sul problema del trasferimento di funzioni. Sta di fatto che la lentezza e le manifestazioni di gelosia che hanno caratterizzato la nascita e la crescita della regione a statuto normale ha avuto owie ripercussioni sui rapporti comunitari. Le autorità statali sono partite dal considerare solo lo stato come soggetto idoneo a garantire, nell'ambito del territorio nazionale, il rispetto dei trattati e delle obbligazioni internazionali ma ciò senza analizzare la differenza che esiste fra obbligazioni derivanti da trattati bilaterali o plurilaterali e le conseguenze che si hanno per il fatto di aver aderito alla Comunità, che emana norme direttamente applicabili nell'ambito degli stati. È appena il caso di rammentare che la Corte costituzionale ha adottato dapprima una posizione rigida (è lo stato soltanto competente ad assicurare l'esecuzione di obbligazioni derivanti da rapporti internazionali) con alcune pronunce del 1960 e del 1961. Successivamente però (sentenza n. 142 del 1972) ha aderito ad una tesi più morbida, ammettendo la possibi- B n < < I i X o aI111LI ELLL 4IIOEIIIXORI , T * L x 1 * l PIE ??I O Usi < O * u l l O.l.<CI1 I b~ regionali del CCE :A b m e Iolise lità di una ripartizione dei poteri di applicazione dei regolamenti comunitari in favore di colettività infrastatali a condizione che I'ordinamento consenta allo stato di intervenire, se necessario, in via sostitutiva in caso di inerzia della regione. Anche la dottrina, pressoché unanimemente, ha preso posizione al riguardo: lo stato non può sottrarre competenze alle regioni invocando il limite del rispetto di obbligazioni internazionali. Ogni eventuale lirnite può condizionare le attività della regione ma non sottrarre ad essa competenze (sul punto Bassanini, Benvenuti, Carbone, De Vergottini, Elia, Paladin, La Pergola, Teresi). Va quin'di riconosciuto un interesse preciso e garantito delle regioni allorché si determinano gli obiettivi generali e settoriali della politica comunitaria. Ciò potrebbe addirittura costituire una sorta di istituzionalizzazione della regione (ancorché solo sotto un profilo consultivo) nel quadro comunitario (Trimarchi). Di conseguenza la regione assumerebbe una effettiva dimensione di organismo comunitario portatore di interessi generali di quell'aggregato socio-amministrativo che essa rappresenta (Benvenuti). Così posto il problema presenta due aspetti: l'uno riguarda l'attività di applicazione del diritto comunitario e la partecipazione della regione all'attività stessa; la seconda concerne la formazione stessa delle decisioni comunitarie. D'altro canto I'applicabilità dei regolamenti comunitari è strettamente legata al sistema interno ( che deve avere capacità di adattamento). È proprio nel momento in cui si formano i regolamenti comunitari che occorre tener conto delle competenze statali e di quelle regionali per consentirne poi l'applicazione senza difficoltà e fratture all'interno. È un problema che non riguarda solo l'Italia ma anche il Belgio, la Repubblica federale tedesca e la Spagna paesi cioè che hanno forme avanzate di autonomia territoriale. In Italia la legge n. 382 del 1975 ha in effetti riconosciuto un certo spazio alla normazione regionale ed il D.P.R. n. 6 16 del 1977 ha stabilito che, per l'applicazione delle norme comu- nitarie, lo stato deve dettare norme quadro nell'ambito delle quali si svolga la legislazione regionale di dettaglio. Ciò costituisce un riconoscimento implicito della necessità di forme di partecipazione delle regioni all'elaborazione della politica nazionale che viene sostenuta in sede comunitaria: occorre cioè garantire che gli interessi delle regioni non siano ignorati nel momento in cui si formano le norme e le scelte comunitarie. Da qui I'awiso che sia opportuno creare un organo consultivo nel quale siano rappresentate tutte le regioni. Si tratta di una partecz3azione necessanh alla realizzazione degli obiettivi della collettività. La politica europea è la proiezione naturale, nell'ambito comunitario, della politica interna. I condizionamenti reciproci che si producono fra le scelte nazionali e quelle europee hanno la conseguenza di imporre la presenza o di far conoscere I'awiso della regione nel seno di tutti quegli organismi nei quali si formano le decisioni. Da questi accenni si vede che la partecipazione italiana alla Comunità ha consentito anche alle forze politiche ed alle dottrine costituzionale ed amministrativa di fare grandi passi sulla via di un regionalismo maturo. La regione non è solo una nuova dimensione amministrativa dotata di un certo grado di autonomia politica, ma è un organismo con alto sviluppo di autonomia costituzionalmente garantita e potenzialmente idonea ad esprimere decisioni politiche nei settori di propria competenza. Da ciò scaturisce la necessità di sviluppare la concertazione fra stato e regione sui problemi in modo che la formazione dal punto di vista #azionale sui problemi stessi scaturisce da un discorso fra lo stato e le regioni. È una trasformazione profonda del nostro stato oggi così diverso da quello in essere al momento dell'emanazione della cosiddetta legge Scelba n. 62 del 1953. E tutta questa trasformazione - occorre qui ricordarlo - non è stata senza contrasti e senza difficoltà. «Comuni d'Europa, ha sostenuto ed agevolato in maniera poderosa la formazione di una conoscenza che fosse allo stesso tempo europea e regionalistica. dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA La funzione storica dell'AEDE di Lino Ventureili In questi ultimi tempi sono sempre più coloro che accentuano la loro attenzione sulla Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE) e sull'attività che essa svolge. Ma, per meglio far comprendere la natura e la funzione di detta Associazione, sarà bene anzitutto - illustrare quando essa è nata e perché. L'AEDE si costituisce nei lontani anni '50, precisamente neii'apriie 1956, a Parigi. Sono gli anni - occorre non dimenticarlo in cui, entrato in crisi il processo di una costmzione di unlEuropa a livello di «vertice», si comincia a comprendere che il nostro continente se vuole realmente percorrere il cammino verso la sua unificazione - e non solo politica - deve affiancare all'azione dall'alto, sì necessaria, il concorso della base, l'apporto - cioè - di un'opinione pubblica informata e cosciente. In definitiva, all'Europa di «pochi»deve sostituirsi l'Europa di umoltiu, di tutti. È in questa prima profonda riflessione che iniziano a farsi luce presenze e partecipazioni di varie componenti fondamentali dell'intero processo in oggetto, fino a quel momento trascurate o non sufficientemente trascurate e non sufficientemente valutate, fra le quali s'inserisce - senz'altro - la «scuola». Quest'ultima - infatti - se riesce ad ispirare un uanimus» nuovo non imposto ma nato dalla consapevolezza che la civiltà europea rappresenta - nella.sua più ampia articolazione - una manifestazione di «unità, nella «divas i t b e se si sforza di cogliere negli europei più quello che li unisce che ciò che li separa, può - certo - permettere ai cittadini di domani di ritrovarsi - senza deformare o attenuare le profonde radici di una loro coscienza nazionale - in una pacifica e progredita Europa. Ecco - dunque - ciò che si propone, se non di raggiungere, almeno di avviare il gmppo di docenti che costituirà il primo nucleo della organizzazione, denominata nella dizione italiana Associazione Europea degli Insegnanti e che si espliciterà chiaramente nello stesso ustatutos internazionale, ove - fra I'altro è detto «... di unire tutti gli insegnanti desiderosi di collaborare alla creazione di una Federazione Europea, (art. I); u.. . di approfondire tra gli insegnanti la conoscenza dei problemi europei e delle vie e metodi atti a permettere la rapida realizzazione di una Federazione Europea,; u . . . di prodigarsi con tutti i mezzi appropriati a far conoscere i fondamentali caratteri della civiltà europea e ad assicurarne la ripresa»; u . . . di sviluppare le medesime conoscenze tra gli allievi e in tutti gli ambienti presso i quali può essere esercitata l'influenza degli insegnanti~(art. 2). Tutto'ciò dà già la motivazione della nascita dell'AEDE e spiega - inoltre - il particolare momento in cui essa avviene. 11 lavoro - però - rivolto ad una tale attualizzazione è improbo. Occorrerà non dimenticare che nel processo teso al raggiungiriiento dell'unità dell'Europa non verrà nemmeno prevista la partecipazione - nell'intero. settore educativo-scolastico - dell'Istituzione che verrà successivamente al l'uopo creata e nella quale oggi lo stesso processo si struttura -- cioè: la Comunità europea. Non poteva -- infatti - ciò prevedersi perché la uscuola>, resta, secondo gli assunti schemi costituzionali classici dello Stato «federale», di stretta competenza dello Stato ufederato* e, quindi -- prospetticamerite nel caso europeo - dello Stato «nazionale». Stato nazionale dal quale - d'altro canto - non si può certo pretendere che - pur cominciando esso a capire come anche nel campo educativoscolastico vi sono degli aspetti non più affrontabili solo al suo livello - sia disposto a creare le migliori condi2:ioni per lo sviluppo di un processo di ufederalizzazione~. La Comunità europea comprenderà - solo in ritardo - l'esigenza di una propria politica dell'educazione. Tale comprensione - dovuta più alla drammaticità delle condizioni dei figli dei lavoratori migranti che all'interpretazione della normativa dei <trattati* istitutivi comunitari - porterà la stessa Istituzione a riconoscersi nei 1976 precise «competenze» in materia, facendo registrare - forse - l'unica vera rivoluzione operata in tutto il suo periodo di attività. Ma l'azione rivolta in tal senso - priva di una sufficiente incisività - stenterà al decollo e ancora oggi essa si presenta debole mentre la medesima ucompc-tenza~ viene messa - di nuovo - in discussione. Quali - allora - la «strategia» e le umetodologie» applicate dalla AEDE? Quanto alla prima, l'Associazione in oggetto doveva costituire - e lo ha poi cercato di tradurre in atto -- una sorta di ualimentazione» esterna nell'ambito delle stesse strutture educativo-scolastiche nazionali; ealimentazione,, volta a far callare «giorno per giorno» una dimensione europea dell'educazione e dell'insegnamento nella scuola e fuori la scuola. Circa i metodi, I'AEDE - come recita ancora l'art. 2 del suo Statuto internazionale può provvedervi attraverso «qualsiasi iniziativa valida in tal senso». Non è - ovviamente - questa la sede per elencare le molteplici attività svolte con le tecniche di cui poteva e può disporre una tale Associazione, quali: congressi, convegni, semina- Europa, :ìcuola, eliti fo<*ali ri, corsi, tavole rotonde, sempre correlati a susseguenti relative pubblicazioni e come tramite la predetta stmmentazione I'AEDE abbia intrapreso le azioni più feconde per rispondere alle finalità suesposte. Va - viceversa - sottolineato che qualsiasi contributo, sia a livello di «riflessione»sia «operativo~,si è venuto enucleando sempre più non tanto nell'ambito di «personali»e - quindi isolati studi specialistici quanto attraverso il fmtto ucollegiale» dei dibattiti ai quali hanno preso parte docenti a cominciare da quelli dei numerosi gmppi locali per arrivare ai rappresentanti delle sezioni nazionali che - a loro volta - non hanno mancato di lavorare ugomito a gomito» fra loro. Le conclusioni e le relative documentazioni seguite si sono rivelate di notevole interesse e all'uopo si segnalano: - per le più lontane - la «Carta europea dell'insegnamento» (scaturita al 4 " congresso europeo tenutosi a Bmxelles nell'aprile 1968); - per le più vicine - «Per una scuola senza frontiere - Convergenze e divergenze dei sistemi scolastici europei» (avutasi a11'8" congresso europeo di Bad Tatzmannsdorf nell'apriie 1981). Va - però - aggiunto che gli esiti così ottenuti sono il fmtto di un uimput» proveniente dalla cbasew, che non si circoscrive solo nelle biblioteche e negli uffici studi per divenire oggetto di analisi di pur attenti ricercatori ma rifluisce, quale «output», alla stessa base onde essere trasfuso - soprattutto verso i giovani e non unicamente nel ricorrente periodo preparatorio alla Giornata europea della scuola (GES) - da tutti coloro che, attraverso una paziente e costante opera di sensibilizzazione, credono e lavorano per questa unità. Indubbiamente ciò è positivo ma non è ancora tutto quello che I'AEDE può dare. A ragione di quanto sopra - l'Associazione in questione - tende sempre più, in questi ultimi tempi, ad incentrare l'attenzione nella duplice e inscindibile sua natura di: associazione uscolastica professionale, e associazione «federalista~. È nell'interazione di questi due aspetti, del mondo - cioè - della scuola, dell'educazione e della cultura nella sua più ampia accezione e del mondo ufederalista*, teso ad unire l'Europa per unire tutto il pianeta che non si possono non ricercare e trovare le 'complete potenziali capacità dell'AEDE su un piano non solo di principi ma anche di concrete operatività. Esiste - infatti - il pericolo che il primo suindicato «mondo», pur accettando una udimensione, europea resti lo stesso isolato, perché privo di quel necessario filo conduttore che lo avvicina e lo unisca al secondo. Quest'ultimo - viceversa - più preso dalle tematiche politiche, economiche e sociali può non valutare con esattezza il contributo che una dimensione europea della scuola, dell'educazione e della cultura è capace di offrirgli perché lo stesso processo di ufederalizzazione~giunga nella fase della sua attuazione e successivamente il suo uafflatus~permanga nel tempo. Sta - allora - in questa azione di «osmosi» il compito e l'impegno ancora dellJAEDE e, in definitiva, la sua funzione storica. COMUNI D'EUFIOPA Riunificazione tedesca e unificazione europea di Sergio Pistone La caduta del governo Schmidt e l'insediamento del nuovo cancelliere Kohl, sulla base di una coalizione fra democrirtiani e liberali, ha sollecitato una forte attenzione sulf'evoluzione della Repubblica Federale di Germania. In attesa che il nuovo governo definisca con maggiore precisione fa sua linea politica, soprattutto in riferimento aff'integrazione europea, n>eniamo utile puntualizzase ilproblema del rapporto fra unzjicazione europea e n.unz>cazione nazionale tedesca che è di nuovo al centro del dibattito politico nella RFdG. La capacità o meno di assumere una valida posizione su questo problema costituirà in effetti un momento decisivo di venfia dell'adeguatezza del nuovo governo. * * Nel dibattito ininterrotto che si svolge nella Repubblica Federale di Germania sul problema della riunificaziuone nazionale è riemersa negli ultimi tempi con una certa insistenza l'opzione neutralista, non mancando di suscitare allarmi nei partners europei e occidentali del governo di Bonn e in particolare, come di consueto, nella Francia. La tesi che l'uscita dei due Stati tedeschi dai rispettivi blocchi contribuirebbe in modo decisivo a una duratura distensione e nello stesso tempo aprirebbe la strada al superamento della divisione nazionale ha avuto in effetti importanti e qualificati sostenitori all'interno del movimento tedesco per la pace. Basta per tutti ricordare l'«appello di Krefeld», una lettera aperta inviata a Breschnew in occasione della sua visita a Bonn nel novembre 1981 e sottoscritta dal noto dissidente tedesco-orientale Havemann e da numerosi intellettuali tedesco-occidentali, tra i quali Boll, oltre che da alcuni deputati della Spd, da sindacalisti e da ecologisti (l). Un'espressione molto importante di questo orientamento, che è stato denominato unuovo patriottismo tedesco~,è inoltre costituita dal libro, a cui la stampa estera ha dato un discreto rilievo, uDie deutsche Einheit Kommt bestimmt*, pubblicato nell'aprile 1982 dall'editore Lubbe di Bergisch Gladbach e contenente scritti di Wolfgang Venhor (che ne è il curatore) e di altri autori appartenenti ai diversi settori dello spettro politico tedesco, che vanno dal democristiano Harald Ruddenklau a Peter Brandt, figlio dell'attuale presidente della Spd e schierato nettamente a sinistra di questo partito. La linea di ragionamento comune agli autori di questo libro, nonostante le differenze che pur esistono fra le loro posizioni, si riassume efficacemente nella affermazione del curatore secondo cui non è l'unificazione europea che (1) A proposito della presenza - ritenuta nel complesso marginale da questo autore - del tema della riunificazione nazionale nel movimento tedesco per la pace e delle reazioni - giudicate sproporzionate - da ciò suscitate al di fuori della Germania si veda Wilfried von Bredow, .Zusarnmensetzung und Ziele der Friedensbewegung in der Bundesrepublik Deutschland,, in aAus Politik und Zeitgeschichte,, inserto nella rivista .Da. Parlament~,19 giugno 1982. crea le premesse dell'unità tedesca, ma è al contrario l'unificazione tedesca che costituisce la condizione imprescindibile per l'unità dell'Europa. Alla base di questa tesi c'è la convinzione che l'opzione a favore dell'integrazione atlantica ed europeo-occidentale compiuta da Adenauer e che la Spd finì poi per fare propria a cavallo fra gli anni '50 e '60 ha contribuito in modo decisivo a irrigidire il sistema dei blocchi contrapposti in Europa ed ha quindi operato in senso del tui:to contrastante rispetto all'obiettivo della riunificazione nazionale oltre che alle esigenze della distensione e della pace. Nell'attuale fase, in cui il sistema dei blocchi sta producendo una acutizzazione della corsa agli armamenti che, se non bloccata, finirà inevitabilmente per sboccare in uno scontro nucleare avente l'Europa e la Germania in particolare come fondamentale campo di battaglia, è diventato d'altra parte sempre più improcrastinabile un mutaniento radicale della politica estera tedesco-occidentale. In sostanza, per fare della Germania una reale zona di distensione che awii un'inversione di tendenza nell'attuale crisi internazionale e nello stesso tempo metta concretarnentc in moto il processo di riunificazione tedesca, occorre impegnarsi a fondo a favore dell'obiettivo transitorio di una confederazione fra le due Germanie, la quale (secondo il Venhor, ma non viene affatto chiarito come) sarebbe compatibile con la loro permanenza rispettivamente nella Nato e nella Cee e nel Patto di Varsavia e nel Comecon, e non porrebbe quindi nell'innmediato problemi troppo complessi. Da qui prenderebbe awio uno sviluppo in direzione di un progressivo superamento dei blocchi e quindi dell'unità di tutta l'Europa, intesa però chiaramente come cooperazione fra Stati che resterebbero sovrani, fra i quali avrebbe il suo posto una Germania pienamente riunificata. Di fronte all'emergere di posizioni così de- dicembre 1982 vianti deve essere registrata con grande soddisfazione la pubblicazione, pure essa awenuta nell'aprile di quest'anno ad opera delllEuropa - Union Verlag di Bonn, del libro di Eberhard Schulz (vicedirettore del Forschungsinstitut der Deutschen Gesellschaft fiir Auswartige Politik), uDie deutsche Nation in Europa. Quest'opera costituisce in effetti uno strumento di eccezionale valore per riportare chiarezza nel dibattito sulla questione tedesca (ma la stampa estera non ne ha ancora parlato, poiché come sempre le voci irrazionali hanno almeno all'inizio sempre più spazio di quelle razionali). Ciò perché non solo dimostra con estremo vigore l'inconsistenza delle tesi del unuovo patriottismo tedesco», ma mette altresì in luce i limiti della stessa linea ufficiale sul tema della riunificazione nazionale delle fondamentali forze politiche di Bonn e quindi del governo, i quali limiti hanno anche una parte di responsabilità rispetto al periodico riafiiorare di posizioni irrazionali e pericolose rispetto a tale questione cruciale della politica tedesca. Per quanto riguarda la critica all'opzione neutralista, l'autore si sofferma in particolare a chiarire che 1'Urss mai potrà rinunciare - a meno che un radicale mutamento dell'equilibrio di potere la costringa a ciò - al controllo su uno Stato di importanza così vitale, come la RDT, per la preservazione delle sue posizioni imperiali in Europa e quindi nel mondo, e precisa che, al limite, essa non potrebbe neppure vedere di buon occhio una Germania unificata comunista, poiché una simile entità politica, data la sua forza, le creerebbe problemi ancor più gravi di quelli derivanti dalla rottura con la Cina. Se talvolta il governo sovietico sembra lasciare intrawedere prospettive di awicinamento alla riunificazione tedesca a prezzo di una scelta più o meno marcatamente neutralista, ciò non può essere interpretato altrimenti che come un espediente tattico volto a cercare di indebolire il legame di Bonn con la Nato e la Cee. Al di là dell'argomento relativo alla totale mancanza di realismo dell'opzione neutralista, la critica decisiva di Schulz si rivolge all'arretrato orientamento nazionalistico che sta alla base delle tesi del unuovo patriottismo tedesco, e che impedisce ai suoi esponenti di comprendere che lo Stato nazionale è ormai da lungo tempo una forma politica storicamente superata e che pertanto l'obiettivo prioritario della politica tedesca deve essere il completamento dell'unificazione europea e non la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco distrutto in seguito all'esito della seconda guerra mondiale. Se nel criticare l'opzione neutralista l'autore difende la validità di fondo della politica estera seguita dalla RFdG nel dopoguerra, egli non manca d'altro canto, come si è accennato prima, di sottolineare molto nettamente - ed è questa la parte più nuova e interessante di questo lavoro - anche i limiti che a suo awiso caratterizzano nell'attuale fase la linea ufficiale del governo tedesco-occidentale sul problema della riunificazione nazionale. L'aspetto cenuale di questa linea è, come è noto, la tesi, condivisa ufficialmente da tutte le forze politiche fondamentali di Bonn, nonostante le loro divergenze a proposito della uostpolitiko, secondo cui la questione tedesca resterà aperta fino a quando non verrà riconosciuta al popolo dicembre 1982 tedesco nel suo complesso la possibilità di realizzare la propria riunificazione statale attraverso l'esercizio del diritto di autodeterminazione e quindi attraverso la stipulazione di un trattato di pace che definisca in modo accettabile per tutte le parti i confini del ricostituito Stato nazionale tedesco. Questa tesi, occorre precisare, ha per gli organi costituzionali della RFdG il suo fondamento giuridico nella Costituzione del 1949, la quale indica nel suo preambolo quali finalità fondamentali del nuovo Stato sul piano internazionale la preservazione dell'unità nazionale e statale del popolo tedesco, oltre che la partecipazione ad un'Europa unita. Per quanto riguarda la eostpolitik~del governo Brandt-Scheel, ciò significa concretamente che il governo di Bonn considera prowisori, in quanto vincolano la RFdG, ma non lo Stato che dovrà nascere dall'esercizio del diritto di autodeterminazione del popolo tedesco, sia il trattato con la Polonia del 1970, contenente il riconoscimento della linea OderNeisse fra Polonia e RDT, sia il trattato del 1972 fra le due Germanie, relativo al loro reciproco riconoscimento. Ed è significativo, a questo proposito, che la Corte Costituzionale con una sentenza del 1973 ha affermato il carattere costituzionalmente legittimo del trattato del 1972 (contestato dal governo bavarese), ma ha nello stesso tempo ribadito che la Costituzione vincola gli organi costituzionali della RFdG a perseguire la riunificazione statale della nazione tedesca. Orbene, secondo il Schulz, se appare storicamente comprensibile la proclamazione di questa tesi all'epoca della nascita della RFdG, data l'incertezza circa le linee di sviluppo del quadro europeo e mondiale, essa appare nella situazione attuale del tutto superata e produttrice di conseguenze fortemente negative. Il suo limite più grave riguarda i rapporti con i partners dell'Europa occidentale. In questo contesto è chiaro che finché Bonn continuerà a proclamare ufficialmente come suo obiettivo la riunificazione delle due Germanie, rimarrà in piedi un ostacolo di grandissima rilevanza all'avanzamento del processo di integrazione europea, poiché le tendenze nazionalistiche presenti nei partners di Bonn nella Cee, e in particolare in Francia e in Gran Bretagna, potranno sempre utilizzare a loro vantaggio la preoccupazione per il molo egemonico che la Germania unificata avrebbe oggettivamente nella Comunità, date le sue dimensioni economiche e demografiche. Ciò, oltre a indebolire la credibilità della politica europeistica di Bonn verso l'esterno, apre all'interno degli spazi alle tendenze favorevoli a indebolire i legami europei e occidentali di Bonn nel perseguire l'obiettivo della riunificazione nazionale. I1 fatto di considerare ancora aperta la questione tedesca ha delle implicazioni negative anche nei rapporti con l'Est europeo. Se la prospettiva, sia pure estremamente teorica, che un domani possa essere rimessa in discussione la linea Oder-Neisse contribuisce a rafforzare in Polonia le tendenze più filosovietiche e antiliberalizzatrici, che possono sempre evocare il fantasma del revanscismo tedesco ancor più negativamente influenza lo sviluppo dei rapporti con la RDT il continuare a proclamare ufficialmente l'obiettivo della riunificazione naziona- COMUNI D'EUROPA 45 le, che significa oggettivamente che si è pronti ad assorbire, non appena vi sarà una occasione favorevole, questo Stato, e a fare di Berlino la capitale del nuovo Stato nazionale tedesco. Anche se si tratta di una prospettiva assai irrealistica, il mantenimento di questa posizione ha non solo l'effetto di rafforzare le tendenze più filosovietiche di Berlino Est, ma fornisce anche un importante alibi al rifiuto sia di alleggerire le barriere ai rapporti umani fra le popolazioni delle due Germanie, sia di favorire un miglioramento della situazione sempre precaria di Berlino Ovest. In tal modo viene bloccato ogni sviluppo degli aspetti più positivi della «Ostpolitik~. La linea ufficiale del governo della RFdG sulla riunificazioile nazionale produce infine degli effetti negativi non trascurabili anche nei confronti della propria opinione pubblica. I1 fatto di persistere da decenni nel proclamare come compito fondamentale della politica estera di Bonn un obiettivo di fatto politicamente irrealizzabile, a meno di sconvolgimenti imprevedibili e comunque estremamente pericolosi per il mantenimento della pace, non può che contribuire a creare sfiducia nella classe politica democratica tedesco-occidentale e quindi a indebolire la coscienza democratica della popolazione. Il che apre indubbiamente spazi all'emergere, soprattutto fra le giovani generazioni, di tendenze politiche irrazionali anche in riferimento al problema delle divisioni nazionali. Sulla base di queste considerazioni lo Schulz propone apertamente la revisione della attuale linea ufficiale tedesco-occidentale sulla questione tedesca e suggerisce pure, implicitamente, di non trascurare l'eventualità di una modifica delle prescrizioni della Costituzione a questo riguardo, se esse dovessero rivelarsi un ostacolo insormontabile su tale strada. In termini concreti le forze politiche fondamentali della RFdG e quindi il governo, partendo da una più coerente affermazione che I'obiettivo prioritario della politica estera di Bonn è I'unificazione europea, dovrebbero, in riferimento alla (continuazione a pag. 49) O R G A N O M E N S t L E D E L L ' A S S O C I A L I O N E I T A L I A N A PER 1L C O N S I G L I O D E I COMUNI D ' E U R O P A 1,a razza tedesca aIt1 1 1 ~ Vulri.unin s<rii.ere r~rt pui~orama poìiliru ric>r@ s<icut< .i n L O I I ~ ~ I nI ~< ~ z ~ o > ~1.1 vt,roi>eo e ~,iietiinno!raie B run esso oprr~r rrTe?i.%ime di.ilo Ctorls d'Europa dell'iri~tr%! , o n? .,i 11 1 rrnrttita 1967 di ,Conitini d Europa. m<t Yisher, usserimrri c l i ~ I'l~~@tiillct e . I C . W ~ P ~d~) nleggeri* in quesri gu~riisnl- crmitrteas<> t ' u t ~ u t r f <tamalo) dr itdaqtrirui .n g w l k forma di itberoltrmu rz Murrtene rocctzie pogirrt di Adolfo Omadeu. del "int n m m P i n r a dt UI.PIC rnott'2 liI$$$ P prrfertamo dor loro lo prarcdebrrta per chi In p s s m l e P tolle?ato tke Prrrhr' la Eiberlci f v i s r anpefienirntrs calpestafa iit Ebbrne, gruptlo pen'he i?nnnio lo cnai dr:l'Ei<~opi <Ipmocroaico a &i& 16itlut:alli a t t n paeu d E t i r < m , spnru accwgers~ der pericolo cbe rio rappreieninuo per lo rtir .or>iunzmrrr w m m e na d a r e or m o m i %hS~BSWIl t b e r ~ .Eglr n l e 1 ~ 1 I6M ' ~ rwtu riluili e ealltrrnlr p~profondt pa" eni ahbuimo mnxi detla menialteu itinr~laro,oircortt a<,iu>?u<o 10 fi.dems~one sovranaz~onale n-w ~ i x i ~ r i ~int eInghrlfeno a espandere lu hsViehe tuttora rie giialifimno e ne rngonu Iibc>pta, a panr<wverP ttn o)frotelhmni.tllu la rrratmnr. I?, uti conresto iiia~wiiak-- sie rtpovta li certo im la can&*t~riraripme yrp.messn deliu daU%emzm + I L G a f o ~ l Cnrortr rprsto pl.ntr* lo imicliu~orie delI<Omsdeo rvr,xi~nizit e tii spa=r,i?asir ~quàebvto del T t i t t ~cio mpvrrobbe un )roca.so di adrrwrm p -- C ha fra b s a q p di lundf esmfn. m > ~ , c t oo di <ump.nulra:ioiie del plpoli <!t LPitrmruanre trnari7iatricI i o IIOI) tLnu lego puraE pa, L rxgtnr deil'(muxleo. un 1au-n ben piu p r ~ ~ f m u chelaiwtn nmi intturwgerire, acqtirsmo n w r n ?>-te dlptomatuo &rrrlie lo anfizlmis e le It,%ehe:ra p r u p w &+a i1 Conalto e szrmno drefe dtpLutiui1,che nella storui fl&uropl. dri lithpw di Xncedorita a Ottow dt Rinnorrk. o ttidic~nrcr ì e ihp rntstenogt della Pm,vtdrnzn. srrmeo n trasr~adenbe,e il sfgnrfl- ben lungt dall'unrlirort' <rr-arotlu w m w di%cordiee occestuni dt ptrerra I Eilrmin del:oro piu xrufcnido dpllo cullerrmrn e del drale l a t n e e dqiripue, qufiiirrt lnpll<J Iatrltloun - L! 'ero dwia*rao -- L' m uncura aim.-t? ~<tgtnehanno an snarre cnsi a t z u a l ~ rumera della halcautzzazaone Vn da SP che la cr,rifedcrcui<ine= euro- per Cfia i'~tluatI1a che c m l n non $dentiiichs c m quelfu d e l b g a u e t t r o di rerrc pea di rui w r l s Ot?iodeo e in reoltd quella i~ny*uerrsannn<pdrtrrhe -, npl tnmnenlo che n a deliniamo r<,n+rfecletatwne Per caru6' ti wxero Dn<ulro l<* <itoruodellti s i i CUI La qu@stiuwtnlescn ritorna al conI yraiiJi !ipo(eOO, Resuumrtone sarebbe riuto forar rE p111 t-" d@tlo prnbiemonctr eurrrpw e s w m idonea a ridiroburore r r m canto D r Gaulle I zhiavis!flii ~ o nle.rst,, !a rerisndc 5on catate. sce aplt uni e pii altri, ta sprmruduru ptoche e un drltzlas<#Oggetftnn da m i w n w>sta dr pseudo-salmoni. 1 ' popoio tace. purtroppo rtpulila a %itioira aunnto 1 s mnIndubbmme~trtla gol'tlwa è I'arte del wisfedemti. che 10 r o r t ~ ~ g mP r lo ~ romtde- ;m pqrte a:>enr %mchivia rtbrlu ma de»e emere I'arie dt quel muto rana a la paw, e d>altrw&= at tema dl Ci, &:i C :e dee della !erra. kr e pustbile attuarr= dl un Ideale L ci17iUa -- di rir ilka da rwrsone che 81 mpet- sirper~m~iitudelle s<>rro~irtonarianok %n fano P dmlogonu, non e o p L i m ~sopraffard E u r o p Ornmleci a i n a < mywrto un opusca- Shamam. Si,%. Adad e lrhtnr, io dpl>ttrtir> ma <irir«nt~i quaranfaCItIq~ie 5; sono ritira?, a dermire nel < 1 d 0 P -0 didwste a wmwneltefbl a Isga! C<+ rnutir -, Bene lo h i n m w f o d a a l e i y*r,rnz rlrl pntiiv yur m«, Bndoglta Nan pionunztdno p!Ù giudizi. Piro I(<1i+iche le p ~ ~ i ndav Um nportatn proiagmwtt dell'odien%a vkende ruropeae Si YORO, ue ~t<iltamie tedexhl, Femmenlr aullavsrin alire obreriort,~ dr filosofi nwder- Notr ~ R I ~ I I M O te cause raurii-e~tiix.e n t c Snulc, dopo i lmo abietlz r,%wrmi r sr*ioliziaii pcrrrivitct<icidr nota <i:rnrk FI VIQ Ika < t i,.rereqm dc ribadire V C I ~ <') ~la notfe, t m c n m mrtrsh* E t'c,lriasmo p o m o fruncese' Anche i1 rrrlruirn<i nel -W rhP r k ~ 1nel inrnsentn de:i<i irtsz riarno qrit r m i. r>a~azro ed i :arnpr sono quieti ed ascirr r<Dortrnnro nlb'attrri ista dt Cecll SRnggu ocntt del nostri buuna mutn'k. L" qui oftendtaI i ) r a r d ~ <!ai. qii det della Mtte sto ( e 0111 I-PR~OBDJ1 yiv<ran~C i gioiamcpiro amnrmarcl al<llc> 8l~i1tl1eulul1~1no L . O ~ Cul utmi oLrorc*r Se rsr tr~iiilorio carllo di ?mrfr rlctln rlopae 4 1 t w a inuleae buasa ollr Mi T. a n o dapi?iesra. ~tlentetete6ttl #.%L~@AZFin01a1' ~ P p%m11 I P p v r e dei BPEC e nrn, che amwtnr> fin d d f a i. r>ciitl ili;,riazione che taccio. r t)limi che hanno ndobacensa (e riberto kriglffsr, non pmeamn delta qtoi I rifu d Birroyn la respam.nh~lrin qtinladtrirui ~ f e l l i . rornufiltn Nt%rvs~~.t: per altm mrnrettere cha m p r ~ n i o n d~ quel o :!>e offro. locah Saorno Uun pl'i.ti~ a <oinl>n;turP flilti Paese (siano pure soti2 v s s l ~d i progresnPorii;n$io i vero !v: <"e' scii irmgunrl m,en(valmeate a rlnfopurra il 5 funririibnlisn~i,Lurtz i to-lrlcgi lul$!t<i. p' i quuli ri dol?tibbr jur :~nrrportre {<i cel<ir-rrunanrict degls w t i b n i a t i deil'eirropeismo t Alessandro Cilmfe Uirnoni. hu seniio rhe bn della pn6r. drilla iiihn d ~ tuirionnliriso Omodeo trisiateua sul ecmetta detti li- Is,whu n<m sr nrrir'i alla trnpr<ihirhiiediasok r t u esprsnva. ltbwatrrce, cile p r r m v Iraiunc dullo Slato, alla sui1 ~ 1 m j 1 4 r ~ 1 1 ogni i ero iiil#~r>il.ini.oi.z~r~o <rgrii Rarr+lrl~o * il.t--e r<an delw n n e s t i r ~ a t dinanzi a hixt- ., . . . - - - - - -- - - dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 46 Appuntamento con la storia di Luciano Bolis Quando nasceva <Comuni d'Europm, esattamente trent'anni fa, il mondo era molto diverso da quello che è oggi, e in particolare era diverso il modo di concepire l'unità europea, che sembrava allora addirittura a portata di mano, mentre i tre decenni successivamente trascorsi ci hanno portato al risultato di dubitare oggi ch'essa possa mai vedere la luce! Eppure, da quel tempo ad oggi, molti risultati parziali hanno continuato ad aggiungersi gli uni agli altri. Ne diamo, come esempio, la politica regionale e lo SME, senza contare l'elezione diretta del Parlamento Europeo. Come si spiega l'evidente contraddizione? Da un lato la spiegazione può essere psicologica, cioè esaurirsi nell'ambito dell'evoluzione individuale. I militanti che, come il sottoscritto, portano sulle spalle il peso di questo certo esilarante, ma anche estenuante esperienza, erano allora giovani e, come suo1 dirsi, pieni di speranza; a tal punto da scambiare per certezze obiettive quelle che non erano in fondo che semplici stati d'animo o intuizioni aweniristiche; certo necessarie, come la molla che muove il mondo, ma di per sé non risolutive e ancor meno sufficienti a determinare il cambiamento. Un'altra spiegazione può essere invece di natura storica, cioè attinente alle stesse modalità che determinano l'avanzamento di un processo del genere di quello di cui si tratta, cioè il passaggio dall'era degli stati-nazione, che ha caratterizzato la vita diplomatica dei secoli precedenti, a quella delle federazioni continentali, in cui un precursore di genio come Proudhon ANNO XXV ORGANO aveva rawisato la missione propria di questo secolo, come condizione imprescindibile per la stessa soprawivenza del nostro mondo civile. Secondo questa interpretazione, l'ipotesi di un'unità europea raggiunta nel bel mezzo del XX secolo, cioè a pochi ancii di distanza dallo sfacelo materiale e morale degli imperi nazi-fascisti e dagli orrori del secondo conflitto mon,diale, si basava su una spinta spirituale e un condizionamento sociale irripetibili; dovendosi realizzare grazie ad un colpo di sorpresa, altrettanto spettacolare quanto lo erano stati quegli avvenimenti cui essa appunito doveva direttamente succedere, a confermia del vecchio adagio aa estremi mali, estremi rimediu. Venuta meno nel '54, con la caduta della Comunità europea di difesa, la possibilità di quel salutare «colpo di manou della storia che sarebbe stato il raggiungimlento di un elevato grado di unità europea con una preparazione ancora limitata a ristretti vertici, mentre le grandi masse assentivano solo istintivamente al progetto, ma senza misurarne appieno I'immensa portata, la storia ha ripreso a giocare sui tempi lunghi, lasciando cosiì riemergere tutti i dubbi, le opposizioni, gli interessi contrari che in un primo tempo non avevano neanche avuto modo di manifestarsi, ma che avrebbero successivamente preso piede fino a diventare un esercito agguerrito e potente, grazie soprattutto alle infrastrutture immobilistiche di apparati respingenti fondamentalmente il cambiamento, per non perdere i privilegi che il lento assestamento postbellico aveva loro progressivamente permesso di riacquistare. - N. 11 - Novembre-7 Dicembre 1977 Assistiamo così da un lato al continuo progredire di un processo cooperativo e integrativo che ha già dato vita a fin troppe istituzioni, finendo con l'imporsi alla generale attenzione (chi ignora oggi più l'esistenza del cosiddetto mercato comune?),mentre dall'altro constatiamo atterriti il risorgere di manifestazioni nazionaliste che vanno dall'aperta rivendicazione di interessi corporativi alla follia antisemita. E poiché i due processi crescono di pari passo, non spostandosi così il relativo equilibrio, il risultato finale non cambia, se non nel senso che siamo ormai passati dallo scontro diretto di poche élites combattenti (una sorta di moderni Orazi e Curiazi) a una battaglia frontale destinata a schierare ben presto in campo il grosso degli eserciti, le fanterie. Intanto l'esito della battaglia tra europeisti e nazionalisti resta incerto; benché tutti, almeno in Italia, si dichiarino europeisti, tanto che, a chi giudichi le cose superficialmente, riesce difficile rendersi conto del perché, in simili condizioni, l'Europa non sia già stata fatta da un pezzo! In realtà il problema è più complesso e merita attento esame la particolare natura del fenomeno. Non dimentichiamo che, con felice intuizione, già De Gasperi ai suoi tempi diceva che per fare l'Europa era necessario «più distruggere che costruire», avendo appunto compreso che il prezzo dell'unione era in primo luogo il superamento degli ostacoli di ogni tipo che ad essa si opponevano: dai «nostalgici»ai fautori del protezionismo economico, dai panciafichisti di tutti i colori agli eterni difensori dello statu quo. Non troppo diversa, in questo, è la situazione di oggi, perché se tutti, ripeto, si chiamano europeisti, ben pochi sono però coscienti della necessità di affrontare, per realizzare il cambia- dal quartiere alla regione per una Comunith europea federale MENSILE D E L L ' A I C C E . ASSOCIAZIONE UNITARIA D / COMUNI. PROVINCE. REGIONI APPELLO DEL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA PER L'ELEZIONE DIRETTA DEL PARLAMENTO EUROPEO (Parigi, 19 ottobre 1977) Dalla sua nascita i1 Consiglio dei Comuni d'Europa non ha mai cessato di affermare che l'elezione di un Parlamento Europeo a suffragio universale diretto rappresenta una misura di democratizzazione essenziale della costruzione europea, del resto iscritta nei Trattati di Parigi e di Roma. I Governi nazionali della Comunità, superando le loro ultime divergenze, hanno sottoscritto il 20 settembre 1976 un accordo, per cui è deciso che nel 1978 circa 180 milioni dì cittadini europei saranno chiamati allc urne per eleggere direttamente i loro deputati al Parlamento Europeo. Nei 9 Stati membri della Comunità Europa la ratifica dell'accordo da parte dei parlamenti nazionali è acquisita. In taluni paesi la legge elettorale è già approvata, in altri l'approvazione è in corso. Spetterà ai partiti politici di condurre la campagna Der Queste elezioni. Tuttavia. consapevoIe che il loro successo COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 47 - mento, anche qualche sacrificio, o almeno di superare un periodo di relativo disagio, corrispondente alla inevitabile perdita di ricchezza prodottasi per il fatto stesso di trovarsi in una fase di transizione, in termini sia economici che politici; come accadrebbe a più società che, fondendosi, non solo cambiassero di titolare, ma fossero anche indotte a modificare in conseguenza i loro stessi metodi di gestione. In sostanza, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca, come diceva Ernesto Rossi, perché ci si rifiuta di pagare il dazio e si pretende assurdamente che l'operazione possa essere indolore! Come sempre, il malo esempio viene dall'alto: dai vari De Gaulle, che vogliono l'Europa ma lasciano per sei mesi «la sedia vuota» perché risentono gli stessi progressi dell'Europa come se fossero intollerabili attentati al loro prestigio nazionale; alle varie Thatcher, che immancabilmente vogliono anch'esse 1%ropa ma si allarmano all'idea di quel che essa potrebbe immediatamente costare sul piano dell'economia nazionale e invocano quindi il «giusto ritorno, delle somme presuntivamente sborsate in più, contravvenendo così a quell'elementare principio della solidarietà che sta alla base di ogni costmzione comunitaria. E l'elenco potrebbe continuare! Per venire infine all'Italia, ci riempiamo spesso la bocca dei vecchi meriti di De Gasperi, dell'alta percentuale di votanti raggiunta alle elezioni europee, della funzione di guida che esercitano personalmente alcuni nostri compatrioti nell'azione in corso per la trasformazione in senso democratico delle Comunità, nonché della presenza qualificata di altri alla testa di molte organizzazioni internazionali aventi lo scopo comune di promuovere la costruzione europea; e si tratta certo di meriti, o comunque di felici circostanze, indiscutibili, alla cui sottolineatura mi associo. Ma l'Italia è quello strano paese in cui il rapporto tra gli interessi e i comportamenti non è sempre lineare. In compenso essa eccede contemporaneamente in tutti i sensi, per cui le si potrebbero attribuire i più opposti primati: in pratica, ha l'acqua alla gola, ma non s'impegna seriamente ad uscire dal guado; anzi, si direbbe che tale posizione, inconsciamente, le conviene, consentendole di non affrontare i reali sacrifici che ogni vera politica di risanamento le dovrebbe naturalmente imporre. Così, sprofondando ogni giorno di più nel pantano nazionale, si ritiene autorizzata ad allontanarsi progressivamente da quelle scelte autenticamente europee da cui pure era teoricamente partita. Ci troviamo così di fronte a una lunga sequela di promesse non mantenute, che non voglio neanche affrontare perché trent'anni di «Comuni d'Europa» ne hanno già fatto la storia con pazienza, con costanza, con coerenza, tenendo sempre d'occhio l'ideale europeo, ma anche la situazione concreta in cui dovevamo mettere i piedi per tentare il necessario decollo; denunciando con pari severità le incongruenze e le lacune non solo delle forze politiche, ma anche di certe organizzazioni che, pur intitolandosi all'Europa, si comportavano talvolta come se la voce del cuore le portasse invece altrove, verso lidi dove di europeo non esisteva più soltanto che il nome; studiando, elaboran- do, progettando soluzioni che ci troverebbero «Comuni d'Europa» potrebbe a buon diritto oggi in meno disastrate condizioni se appena si trasformarsi in una rivista di cultura, destinata fossero volute seguire, e in ogni caso conosce- a quei pochi o molti che fanno dei suoi contenuti l'occasione mensile di un sostanzioso nure.. . Trent'anni che hanno fatto, dall'interno, la trimento sul piano intellettuale. Ma siccome cronaca di un'inlziativa europea il più delle così non è, penso che abbiamo ancora bisogno volte rimasta allo stadio di progetto, ma che di questo foglio anche come organo di battanon per questo è mai venuta meno al suo com- glia e di sprone ad operare congiunti, tutti noi pito critico e propositivo, nella duplice direzio- che per diverse vie siamo arrivati a questo apne di realizzare insieme le autonomie locali e puntamento con la storia, cui intendiamo rel'autorità supernazionale, esistendo natural- stare fedeli. Certe parole d'ordine come il «fronte demomente tra le due cose quel nesso logico e storico che doveva permetterci di proseguire contem- cratico europeo» sono tornate oggi perfettaporaneamente sul due piani, anche in forza di mente d'attualità, ma esse mi riportano indietro di quasi un ventenni0 a questo stesso focontinue reciproclne spinte d'interazione. Questo e altro ancora è stato, per noi vecchi, glio, che tra l'altro ha saputo mantenere anche «Comuni d'Europa,; e, per me in particolare, una sua linea di presentazione, indice di una lo spiraglio ideale che mi ha permesso appunto superiore e più rara coerenza che investe lo di afferrare quel riesso, l'insegnamento di Rossi stesso mondo delle idee. E naturalmente mi prenoto per scrivere un e Spinelli avendomi già precedentemente introdotto nei misteri, più dolorosi che gaudiosi, panegirico aggiornato di «Comuni d'Europa» quando si tratterà di celebrarne il cinquantenadella soprannazionalità. Se l'Europa fosse oggi un fatto compiuto, rio. Ad Europa finalmente unita! - . Annct 'Jttl N 9 sottonbre 1960 Qiniisns a Rsdsr.? Pkirxa di Trsr6.M ROM& . -W& O R G A N O M E N C I L E DELC'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONiiGLIO DIE WEISSE ROSE LA RLOSA BIANCA ì ' ,..C i i .. .. ;';< :<. 'S.: ' ..T<, . *,-<:: .. 5. . ',.a ,S.": > <,. i v., L?., ..a i <;..:t.. %. .i l'.'I 8 , >;-t.-.- !i, l,. 'i,,... ri.i.iri.<. s-*z,? :'L<&?.* .: .. @.'L?:, :!C'&. ,. <..'i.<. i!'r.. 9. a , :;. (;. ... ,;;.,< <t> '::;.,i. ,$ 0 :l< %g.,- $.r%$.*..\t... i . ..t! t,'it, .l ,i<; l'< t'.'ir,.<< i,.>, , .t! % C )W,, !;<i l'; 2:!k.f>$21 31. *. i i , , t , > L z # : x !:,s.r,+--..$ ,j: '?!.,,'.,i*, i&e=,P.j 3 - ? ; t , p;r. 3. i r e E ..tic, .i: qtocl p,, . . .!!V I'L.!>:t,:< i:< .i> . :.t:* .: , <> - , , , a .)h,..€$>< ..:i.>.!... v c; >Ci:li'ur;ri <!<.P, : a : . ! . :<rd:i>k<. Q~.:*:LL,. gt:+$~e:#cx~:.~ .e;.btari.. ?.%"t vi-riti,,i., !,<.i . I:.-.' :::BL.:... . -. % i!. 'C. t.2:: - .;:;,,i, .,,*.i,: s %Z."St..!. r :i."-($ :$ <it: :.g:: $1' , $;!.v ,,! . .:, t.<,:. !I. ,lkk *:t \!!3 c :..,y>&:ir<ll,'i ! .'..!,i.!< .::.* ". .li < L < > . ,>t<,$. .,;h:.,:. i.:,. . ; . ! I . ! $ * %: ;9<3>:&!, .> *!Lllli'> @,t>??$: ,Ti,:t:<r~- .r<.:::i:<. tr.<*:,,,s 1 DEI COMUNI D'LUROPA COMUNI D'EUHOPA 48 Due saggi sul Parlamento Europeo di Geriirdo Zampaglione rando gravi difficoltà, rappresenta l'eccezione. Ai loro occhi i risultati sono s,empreinferiori alle aspettative e comunque deludenti rispetto alle iniziali, fideistiche certezze. Chi scrive ricorda come una decina di anni fa, I'intelligentsia europeistica sostenesse con vigore che I'elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale diretto avrebbe permesso alla Comunità di uscire dalle secche della condizione prevalentemente intergovernativa e scarsamente sopranazionale, in cui ancora langue, per giungere alle sospirate vette della statalità. Nel pensiero di chi si batteva allora per tale tesi il binomio sembrava di automatica semplicità. Elezione diretta eguale superamento dell'ultimo ostacolo per realizzare l'Europa unita, riducendo gli stati membri a province della nuova formazione unitaria. Era allora impossibile temperare entusiasmi e illusioni. Si rischiava di passare per filistei e rallentatori di un immancabile processo, legato alla natura cogente degli eventi. I ricordi della rivoluzione francese prendevano la mano. Si affermava infatti che, una volta eletto attraverso la consultazilone diretta, il Parlamento Europeo avrebbe conseguito il vigore morale e dato prova della volontà richiesti per proclamarsi Assemblea costituente, riformare le strutture comunitarie, soggette all'ipoteca nazionale e imporre all'Europa I'auspicata costituzione federale. A tante, apodittiche certezze doveva necessariamente seguire una traumatica delusione, sul genere di quella che attualmente travaglia studiosi eminenti, della cui onestà d'intenti e dei cui meriti scientifici non ì: possibile dubitare, anche se qualche riserva può formularsi circa la loro capacità di valutare i fatti in prospettiva realistica. Con queste idee e memorie in mente, è opportuno leggere il denso aprofilo politico~,di gran lunga il capitolo più sostanzioso del secondo dei due volumi. I1 rammarico per I'assenza di vere competenze legislative trae tono e veemenza dalla mesta constatazione che un processo di erinazionalizzazione~e di riduzione di competenze e risultati, un tempo reputati acquisiti, è attualmente in corso. I1 che non impedisce all'autore di compiere un'analisi approfondita della natura giuridica dell'istituzione, a lui ben nota nell'evoluzione storica, nei testi istitutivi e nella prassi quotidiana, presso la quale ha svolto per anni le sue attività di funzionario. L'esposizione è accompagnata da proposte, ritenute idonee a superare il presente e a far rivivere la passata atmosfera di effervescente entusiasmo, ripercossosi in maniera determinante sulle esperienze europee degli anni Cinquanta e Sessanta. L'esegesi giuridica è troppo ampia e particolareggiata perché si possa riassumerla. La conclusione dell'autore è che le attribuzioni del Parlamento Europeo e le corisuetudini procedurali affermatesi nel suo funzionamento sono (1) 1 poteri del Parlamento Europeo, Milano Giuffrè pressoché prive di contenuti. L'assemblea ri1981, pp. XII-406. Il Parlamento Europeo, Padova CE- mane un semplice corpo consultivo, coerenteD A M 1982. pp. XVI-412. mente col carattere *confederale» della Comu- Tra i moventi che spingono un autore ad affrontare un tema controverso agisce a volte la constatazione che gli sforzi da lui compiuti per conseguire un certo obiettivo sono stati inutili perché la realtà si è rivelata diversa da speranze e previsioni. Questa considerazione affiora spontanea alla lettura delle ultime due opere di Andrea Chiti-Batelli (l),infaticabile saggista e politologo che da trenta e più anni, senza mai abbandonare il metodo rigidamente scientifico, combatte una strenua battaglia per mantenere accesa la fiamma dell'europeismo, dare vigoria alle istituzioni, corpo alle idee, tempra a una normativa, da lui giudicata in fase di decelerazione. Dal punto di vista morale e della serietà dell'impostazione, egli si è condotto in maniera esemplare, schierandosi in prima linea e fornendo sicure prove di diligenza ed impegno. Queste da sole gli assicurano un posto di spicco nella saggistica italiana rotante attorno all'integrazione del continente e all'accelerazione del processo unitario. Ha, tra l'altro, rinunciato alla carica di consigliere parlamentare del Senato della Repubblica e di segretario delle Delegazioni parlamentari italiane nelle varie Assemblee europee, per dedicarsi a tempo pieno all'attività critica e letteraria, di cui queste due opere sono gli ultimi, pregevoli risultati. Se poi le sue ricerche denunciano disinganno, questo - ahimé - rientra nella normalità delle cose umane. Talvolta le campagne lanciate da Chiti-Batelli possono suscitare qualche perplessità. Per esempio, quella diretta a sollecitare l'adozione da parte della Comunità di una sola lingua veicolare, non da scegliersi tra quelle di maggior diffusione (mettiamo l'inglese o il francese), ma tra quelle inventate come I'esperanto. I saggi di questo autore rivelano quasi sempre un trasporto idealistico di tipo in certo senso risorgimentale che rinfranca e consola, visto che l'entusiasmo è divenuto, all'epoca attuale, un prodotto raro, oltreché di difficile smercio. Può anzi generare apprensione in chi legge, dato che ogni programma politico, formulato in vista di risultati concreti, non deve ignorare la realtà, anche a rischio di apparire piattamente materialistico. In politica non è consentito confondere speranze e certezze. Il magistero storicistico a cui, se non andiamo errati, Andrea Chiti-Batelli è, almeno in parte, debitore della sua formazione, milita in tale direzione. Questo preambolo si propone, in certa misura, di spiegare - e giustificare - la delusione, di cui si è detto agli inizi e da cui l'autore dei due volumi dedicati a un tema di grande attualità sembra acerbamente afflitto. È normale che sia così, né bisogna stupirsene. Gli studiosi impegnati sono spesso destinati a restare delusi. Nella loro economia mentale I'insoddisfazione è anzi la regola, mentre il compiacimento per quanto è stato conseguito, spesso supe- dicembre 1982 nità, nel cui sistema sono ancora gli stati membri, e non le istituzioni sopranazionali, a prendere le massime decisioni. L'autorità del Parlamento Europeo (persino il nome offrì un tempo motivo di controversia, perché il governo francese si rifiutava di adottarlo in sostituzione di quello: «Assemblea parlamentare~usato dai Trattati, da cui non intendeva discostarsi, dato il suo evidente contenuto restrittivo) è dunque marginale e scarsamente avvertita nel meccanismo decisionale complessivo. Anche i apoteri di bilancio» si sono rivelati di ridotta portata rispetto a speranze e impostazioni iniziali. La Comunità ruota sempre attorno al Consiglio dei ministri, investito degli stessi poteri normativi attribuitigli dai trattati di Parigi e di Roma, dei quali non è intervenuta alcuna limitazione. Il correttivo non sarebbe da ricercare in un lento, ma costante, allargamento di competenze, bensì nella creazione di un vero e proprio governo, agente nella pienezza delle funzioni tradizionalmente attribuitegli in uno stato democratico, traente la sua legittimità dal Parlamento, democraticamente eletto e quindi rappresentativo della volontà popolare. In sede teorica non si può non corcordare. È invece lecito esprimere qualche riserva quanto alla possibilità di realizzare a breve termine questo programma, soprattutto in base ai propositi del Club del Crocodile fondato a Strasburgo da Altiero Spinelli e patrocinato dall'autore. Siamo infatti del parere che il ruolo del Parlamento Europeo sia da valutare con minore pessimismo. Tutto sommato, esso è ancora in grado di esercitare una costruttiva funzione di stimolo, sia pure nei limiti dell'attuale edificio comunitario, allargato alle competenze del Consiglio europeo e degli organi di coordinamento, sorti nella scia e per impulso di quest'ultimo. La condanna formulata da certi giuristi e politologi, stando ai quali le elezioni dirette si sarebbero risolte in una «farsa,, ci sembra troppo severa per essere presa sul serio. Così possono pensare quanti dalla modifica del sistema di designazione si attendevano risultati enormi, indubbiamente auspicabili, ma per i quali CHIAROSCURO C *.-. I._"BRiU< I, W> *,. e,-, ...(_, n* " 6,-. 'L" ,.sb,,=z.*,.*". .&" ,,,., ,& ,.""*",8. ., I%__I" " *h< ."",* ,,.,.,,,,,., ,%%a-,*. ,a, .'.*"*" ..<*" sa. "-,..,, ., -^I* SI-. . P_ ,.,._I W** -<*l -. 8, .*,.*-a -"~. .- ."%h,-~.m. _+> ,<" *S. ,._*<_I.. L1*<. .C, - , v . B(.w.~'"« .>* 11, .>II.(I<"s.<.,l-ri LI <*_ . . .,..," -. *.*,. >*. _, ,*" "e*"".', *"<, ." .---.*< """* __,,, -I*"I*.. "U . IC U YI,.>." -.<L i .#L .,'"a. >>_,_ >"'*<. /, .*<"..",," -,*, >ljm.. ,"S.<--%, 6",,-" 2~ -.e/- *""', .-- X,.. <n,.> < V.b*, .,,#' *- .*,%" .I <> ...,. , > ..IX,.< a*h.,?"* &",,"~ , * * , .. *,m" ., ,,.,,, " ,. .. ._*< m C' ,. _Y/ " I , < .I ,i ..S.. M* *<>_ ..^., *'.%,~ %>i M. &I .., % , h.,," *".*bd*. .., ",,"* .. ':<m <>". 'I F* *ws*, ,*.k . . . b u , . <I ,h<* - «..<-j*. "8 .2 r . ',*)l*_ 4 ,-e*-.?< ,*C-"I"_*_ >' t-*.-i n> /._#..,6 O< *>b .. *,, ,-(<* ." _. .:, U .n__s_ .uv.N<X,* ,<".el e*_e. U _ >m. 'm, --P m a ,-,," ,""3. ?, ,iriit*u .*I__ . -.,-*"'b,b , **,. z *, , .,..,*,#-m. , . . % 2 h,, -xinlU..* ,^..S,<>. e*,*. C,."* ~,.. . ., , ,,, , ,,'_.. ,U,_I-* ,-.mu>.-*.' _**,., I. , e***.-*' <_ -, -. mr iri.-*mn. ..nar*hm dar** *W, .4b""v-e-* ra.d.m*>-.,-<*<>- dicembre 1982 mancavano condizioni e premesse nei trattati istitutivi. Si awerte in questa dura sentenza l'ingiustificato convincimento (o l'auspicio) che, forte della designazione popolare, il Parlamento europeo potesse suscitare una sorta di insurrezione assembleare, imponendo la revisione dei trattati e ampie limitazioni della sovranità e delle competenze nazionali. Per eccesso di zelo europeistico e di fede comunitaria si erano persino presagiti comportamenti scarsamente ortodossi sotto il profilo dei trattati in vigore. Constatato che tutto questo non era realizzabile, si è gridato allo scandalo o si sono condannate le elezioni per aver tradito gli obiettivi sperati. Come illudersi, d'altra parte, che i deputati eletti a suffragio universale, ma sempre attraverso la designazione e l'apparato dei partiti, solidamente inseriti nella struttura degli stati membri, potessero dar prova di indipendenza e spirito di iniziativa tali da mettere a repentaglio il loro awenire politico? A noi sembra che senza cedere a indulgenze elegiache che rischiano di sconfinare nella retorica, sia doveroso riconoscere al Parlamento europeo una funzione di stimolo e di incoraggiamento, di cui si tende a sottovalutare la portata, tanto essa appartiene ormai all'essenza stessa della vita comunitaria. I dibattiti in corso a Strasburgo e a Lussemburgo e l'operato delle commissioni nella formulazione dei pareri, richiesti dai trattati per l'adozione della normativa comunitaria, recano un contributo certo al progredire dell'ideale comune. La diversa disposizione mentale non ci induce tuttavia a disconoscere il valore di opere come queste. Nella misura in cui riflettono finezza esegetica ed irrequietezza costmttiva, le giudichiamo utili a puntualizzare i problemi, risvegliare le iniziative, suscitare entusiasmi. Per non parlare poi della specifica funzione didattica, legata all'abbondanza dell'informazione fornita dall'autore. Questi ci presenta un quadro esauriente del funzionamento e delle procedure del Parlamento europeo, nonché - secondo un metodo a lui caro - una minuziosa bibliografia ragionata, distribuita nelle note e nel testo. Questi elementi forniscono una ulteriore conferma della serietà e dell'impegno di uno scrittore, il cui scetticismo è smentito dalla sua stessa vivacità produttiva e capacità critica. Finché queste animeranno uomini impegnati come Chiti-Batelli, le lugubri profezie sul futuro dell'Europa, formulate da autori come Walter Laqueur in «A Continent astray: Europe 1970-1978*, appaiono esagerate, gratuite ed inutilmente pessimistiche. Riunificazione tedesca e unificazione europea (continua da pag. 41i) questione tedesca, giungere a proclamare ufficialmente che il perseguimento del sacrosanto compito di eliminare le barriere oggi esistenti ai contatti tra le popolazioni delle due Germanie non si propone quale sbocco ultimo la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, bensì la possibiltà per i tedeschi dell'Est di esercitare I'autodeterminazione democratica, cioè di dar- COIHUNI D'EUROPA 49 si un regime democratico, che aprirebbe loro la prospettiva di aderire alla Comunità europea, conservando perij la personalità statale della RDT (2). Una simile posizione - verso cui le più importanti personalità politiche tedesche, da Strauss e Scheel :iBrandt, hanno fatto chiaramente intendere di propendere in varie prese di posizione, senza però avere avuto il coraggio, anche a causa dell'orientamento della Corte costituzionale, di giungere a una precisa proposta di revisione formale della linea u f i ciale del governo -, oltre a togliere di mezzo uno dei più importanti ostacoli all'avanzamento del processo di integrazione europea, aprirebbe anche rilevanti spazi alle tendenze distensive e liberalizzatrici nella RDT e più in generale nell'Europa orientale e, mentre contribuirebbe a breve termine al raggiungimento di una maggiore permeabilità delle frontiere fra i blocchi, contribuirebbe a più lungo termine, in connessione con il rafforzamento dell'integrazione europea, a far emergere prospettive di cambiamenti decisivi all'interno del blocco sovietico. L'analisi svolta nel libro di Schulz e le sue conclusioni non possono che trovarci pienamente consenzienti, non fosse altro per il semplice fatto che esse convergono con tesi che da molto tempo appartengono al patrimonio politico dei federalisti europei. Basta qui ricordare la risoluzione del MFE sulla questione tedesca del 1963, la dichiarazione dell'Europa-Union Deutschlands approvata a Baden-Baden nel 1966 e le dieci tesi approvate nel 1980 dal1'Hauptausschuss di Europa-Union, una delle ( 2 ) Una tesi del gencre era già contenuta implicitamente nel libro di Karl Kaiser, qGerman Foreign Policy in Transition. Bonn between East and W e s t ~ ,Oxford University Press, London, 1982, ma mai finora, almeno a nostra conoscenza, era stata formulata in modo così esplicito e argomentato (a parte le ptese di posizione delle organizzazioni federaliste europee che verranno viste più avanti) come nel libro di Schulz. La contestazione da parte di quest'autore dell'obiettivo della ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, è utile ricordare, costituisce un orientamento diametralmente opposto a quello di Rosario Romeo, il quale nel suo libro <Italia mille anni,. Firenze, Le Monnier, 1981, considera un grave errore politico e morale la rinuncia aperta o mascherata, sia da parte della maggioranza dei tedeschi occidentali, che dei loro alleati, alla riunificazione nazionale. Una assai lucida critica di aspetto del libro di Romeo è svolta da Dino Cofrancesco, <Riflessioni sul nazionalismo. La Germania e l'Europa,, in <Storia contemporanea~,1982, n. 4. - - quali contiene la formula: «Due Stati in Germania - sotto un tetto europeo» (3). Al di là della legittima soddisfazione per il fatto che uno studioso di prestigio conferma, sulla base di una indagine assai completa e approfondita, la validità di una delle posizioni più significative della linea politica dei federalisti, occorre d'altra parte sottolineare l'estrema attualità politica del discorso svolto da Schulz, date le scelte cmciali di fronte a cui si trova in questo periodo la Comunità europea. Ci riferiamo evidentemente al problema della rifondazione istituzionale della Comunità posto all'ordine del giorno dal Parlamento europeo, e che affronterà la sua prova cmciale - la ratifica da parte degli Stati membri - nel periodo delle prossime elezioni europee nella primavera del 1984. Per inciso si deve osservare che proprio per carenza di informazioni aggiornate sull'azione del P.E. le considerazioni di Schulz sulle prospettive concrete di sviluppo del processo di integrazione europea costituiscono l'unico punto debole del suo lavoro, poiché si limitano a registrare l'attuale fase di profonda crisi della Comunità, senza inserire adeguatamente nel quadro le tendenze evolutive messe in moto dall'elezione diretta del P.E. Ciò precisato, si deve osservare che nel quadro della libertà per la rifondazione istituzionale della Comunità potrà avere un peso molto importante ai fini di un suo esito positivo in Francia - il paese in cui si giocheranno le sorti dell'intera impresa e dove, non va dimenticato, all'epoca della battaglia perduta per la Ced il fantasma del pericolo egemonico tedesco fu il principale cavallo di battaglia dei nemici della costmzione europea - l'emergere a Bonn di chiare indicazioni di distacco dalla attuale linea ufficiale sulla questione tedesca. Nella misura in cui le proposte di Schulz saranno in grado di suscitare un ampio e produttivo dibattito in Germania sui limiti di tale linea - e qui sarà decisivo l'impegno politico e culturale dei federalisti tedeschi - c i potrà ~ contribuire in maniera non irrilevante a produrre sviluppi positivi a questo riguardo. (3) I primi due documenti sono pubblicati in S. Pistone, aLa Getmania e l'unità europea,, Napoli, Guida, 1978, il terzo (a cui fa riferimento positivamente lo Schulz) è pubblicato nel numero di settembre del 1980 dell'organo ufficiale dell'Europa-Union Deutschlands, ~EuropaischeZeitungs. Grazie! «Comuni d'Europa» vuole pubblicamente testimoniare il suo ringraziamento a quanti nel corso di questi trent'anni hanno coilaborato, ad ogni livello, per la sua continuità e il suo rniglioramiento. Un grazie particolare, oltre che al direttore responsabile del primo numero, Giovanni Russo, va a Tiito Scipione che ha permesso, con la sua competenza, la trasformazione del «boilettino» n~ell'attualeorgano di stampa, organizzandone l'amministrazione e pianificandone la penotiicità. Non possiamo poi non ricordare il decisivo impegno della federalista Magda da Passano nel trovare i mezzi per la partenza di «Comuni d'Europa», come nella stessa costituzione del CCE che molto deve aila sua iniziativa. Non possiamo, inoltre, non ringraziare, ricordando anche queili di ieri, coloro che oggi prestano la loro opera, non appariscente ma continua, neila redazione di «Comuni d'Europa)), garantendone la struttura essenziale ma egualmente efficace per la sua realizzazione. Forse dovremmo anche ricordare i sacrifici finanziari, non lievi, che è costata la rivista nei primi anni, quando la fragilità deil'AICCE non consentiva di accoilarle pesi eccessivi e l'autonomia del giornale voleva dire contributi economici «personali»e «autonomi»: ma a questo i fedendisti europei sono abituati. COMUNI D'EUROPA 50 I temi di lotta del popolo europeo (continuazione dapag. 3) le difficoltà obiettive in cui si sono venute a glia per la Comunità politica europea e per la trovare altre pubblicazioni federaliste), a teneratifica della CED, al Congresso del popolo eu- re, all'attenzione dell'opinione pubblica e delle ropeo; dall'iniziativa del «Censimento,, alla forze politiche, la necessità e l'urgenza dell'inpetizione per la elezione unilaterale dei dele- tegrazione soprannazionale dell'Europa: acgati italiani al Parlamento Europeo; dall'opera canto all'azione di mobilitazione e di formadi sensibilizzazione per le prime elezioni euro- zione federalista degli amministratori locali, pee a suffragio universale, fino alla impegnati- non avulsa dal contesto dei problemi politici va azione a sostegno dell'iniziativa costituente mondiali, Comuni d'Europa si è preoccupato del Parlamento Europeo; è necessario però no- di sostenere, con la collabor:izione di amminitare come in tutti questi qualificanti momenti stratori locali e di esperti dei varii campi, della battaglia per l'unità europea, la disponi- un'azione quotidiana volta a raggiungere anbilità e l'impegno delle amministrazioni regio- che gli altri due settori statutari dell'Associanali e locali del CCE sia stato molto importante zione, che sintenticamente indichiamo come e a volte determinante per la riuscita delle varie azione di servizio europeo e sindacato, inteso campagne. non certo in senso corporativo, e azione tenMa il ruolo di Comuni d'Europa non si limi- dente ad ottenere lapartecip,zzione e la rappreta a seguire questa prioritaria battaglia, spesso sentanza degli enti territoriali regionali e locali in posizione di avanguardia, alimentandola di nelle Istituzioni europee. contenuti ideologici e pratici, sia nei momenti È a questi tre filoni principali, naturalmendi rilancio, sia nei momenti di stasi, quando, a te spesso interdipendenti fr:a di loro, che per volte, il periodico si è trovato solo o quasi (per trent'anni si è alimentato Comuni d'Europa. 1. La mobilitazione politica 1.1. La battaglia istituzionale Al momento della fondazione del CCE, tutti i movimenti erano impegnati nella battaglia per la Comunità politica europea e la Comunità europea di difesa. E il CCE fa immediatamente la sua fondamentale scelta che è quella di oggi: la lotta per lo sviluppo di moderne ed efficienti autonomie, è la stessa lotta per la Federazione europea, cioè per l'Europa del popolo europeo: «Le comunità locali d'Europa, unite al di sopra delle frontiere nel Consiglio dei Comuni d'Europa, fermamente decise a creare nell'interesse dei loro cittadini unlEuropa libera e pacifica, hanno stabilito e fissato, come segue, i diritti che, santificati da un'esperienza millenaria quale uno dei fondamenti della libertà umana, sono ora minacciati e spesso soppressi. I1 Consiglio dei Comuni d'Europa difenderà questi diritti e si affiancherà ad ogni comunità locale in lotta per essi, con la forza di tutte le sue comunità,. E questo il preambolo della «Carta europea delle libertà locali», che, approvata dal Direttivo del CCE a Ginevra (C.dlE., gennaio 1953) in una riunione - alla quale parteciparono, per l'Italia, Costantino Mortati, Giambattista Rizzo, Umberto Serafini, Lamberto Jori e Renato Bnigner - fu approvata ai I Stati generali del CCE del 16-18 ottobre 1953 a Versailles. Sempre durante la stessa riunione di Ginevra fu specificato, in una risoluzione, l'impegno del CCE che aconstatando la lentezza nel costruire l'Europa ... in ciò che concerne la creazione di una Autorità politica.. . richiama nuovamente l'attenzione delle autorità responsabili sull'urgente necessità di portare soluzioni pratiche in vista della costmzione di una Europa libera, unita e rispettosa delle differenze,. .. si dichiara pronto ad appoggiare ogni movimento che tenda a realizzare questi fini, insiste perché le Assemblee rappresentative stabilite presso l'Autorità politica, così come ogni Assemblea costituente, com- portino una rappresentanza dei comuni e delle collettività locali, (C.d'E., gennaio 1953). Non possiamo qui riportare tutte le tappe di questa quasi quotidiana azione sostenuta da Comuni d'Europa, ma, sfogliando le annate del periodico, prenderemo solo alcuni momenti particolarmente qualificanti. Perduta la battaglia per la Comunità europea di difesa, il 30 agosto 1954, il CCE è la prima organizzazione che rilaricia il processo di integrazione europea. Ai I1 Stati generali di Venezia (ottobre 1954) viene approvata da più di mille sindaci e amministratori locali una risoluzione politica dove essi dichiarano «che il primo scopo della loro azione è l'istituzione di una Comunità politica europea con poteri limitati, ma reali, sui piani politico, economico e sociale, e sottoposta a un controllo democratico emanante dal suffragio universale diretto» (C.d'E., gennaio 1955). Questa chiara posizione politica fu ribadita dall'«Appello di Esslingen~, approvato dall'Esecutivo del CCE del gennaio 1955. I1 testo, fra l'altro, indirizzato agli amministratori locali di tutta Europa, affermava: «La nostra convinzione, basata su molteplici esempi storici, è che le autonomie locali :<iconquistano o si riscattano durante i grandi movimenti che uniscono più Stati centralizzati in Federazioni di popoli. Voi sapete che i vostri amministrati chiedono la pace, la libertà, il lavoro e la casa: tutto ciò non si può ottenere che promuovendo gli Stati Uniti d'Europa. La Federazione, unificando le monete e creando iin mercato comune, porrà le premesse certe clell'autonomia finanziaria e della prosperità economica delle vostre comunità. I Governi sono lenti o, peggio, insufficienti nella creazione del Potere politico soprannazionale: è necessario che ogni organismo locale divenga un centro di attiva propaganda federalista, in modo che al più presto le popolazioni costringano i governi nazionali a convocare I'Asserriblea costituente. dicembre 1982 Nasceranno così gli Stati Uniti d'Europa, che, salvando la civiltà occidentale, assicureranno un avvenire migliore e il progresso sociale nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana*. Nella stessa pagina in cui si pubblica il testo dell' Appello, Comuni d'Europa (aprile 1955) riporta il testo dell'ordine del giorno votato dal Consiglio comunale di Udine che approva l'Appello, come faranno in seguito molte amministrazioni locali, anche per altri documenti. A sostegno della propria battaglia il mensile inaugura, con il numero dell'agosto 1955, e continuerà per 27 anni, la sua rubrica più importante, unica fra tutte le pubblicazioni europeiste: l'osservatorio sui lavori delle Istituzioni europee, che, iniziata sotto il titolo «Finestra europea*, a cura di Magda da Passano, si è avvalsa poi, con il titolo definitivo di «Cronaca delle Istituzioni europee,, della firma di esperti e militanti federalisti come Francesco Tagliamonte, Andrea Chiti-Batelli, Marce110 DelI'Omodarme, Pier Virgilio Dastoli. Nei mesi successivi all' Appello di Esslingen, Comuni d'Europa segue sia le iniziative diplomatiche che porteranno alla Conferenza di Messina, dalla quale traggono origine i Trattati di Roma, di cui appoggerà la «clausola democratica~(elezioni europee dirette e simultanee), sia la nuova iniziativa dei federalisti massimalisti, il «Congresso del popolo europeo,, alla quale le amministrazioni locali aderenti al CCE daranno tutto il loro appoggio politico e organizzativo (molti degli eletti provengono dalle file della nostra Associazione) riportando sui propri fogli le notizie dei grandi successi che avvengono specie nei comuni associati al CCE. Ma il momento centrale e qualificante dell'azione del CCE resta la presa di posizione sostenuta nel periodo tra la firma dei Trattati di Roma (avvenuta il 25 marzo in Campidoglio) e la ratifica dell'atto nei vari paesi che permise l'inizio dell'attività, il 1" gennaio 1958, alla Comunità economica europea e alla Comunità europea per l'energia atomica. La chiara scelta di quei mesi fece assumere al CCE una posizione diversa sia da quella fatta propria dal Movimento Europeo, che appoggiava apertamente le nascenti Comunità, certo della loro evoluzione futura, sia da quella dei federalisti massimalisti che, criticando aspramente i Trattati, si dedicavano a preparare i quadri per il momento della crisi che sarebbe venuto e si impegnavano nella nuova iniziativa di base: il Congresso del Popolo europeo. I1 CCE, invece, sotto la spinta della Sezione italiana, pur giudicando che i Trattati fossero lungi dal garantire un'autentica politica sovrannazionale europea, si impegnavano alla piena ed accelerata realizzazione dei fini dei Trattati stessi, realizzazione che avrebbe permesso di porre i problemi economici, sociali e politici, con le loro contraddizioni, a dimensione europea, trasformando il processo di integrazione da un fatto eminentemente diplomatico in lotta popolare. Questa linea, anticipata in una risoluzione del direttivo dell' AICCE, tenutosi a Roma 1' 11 giugno 1957, è quella affermata dal Congresso nazionale dellJAICCE, riunito a Frascati il 2 , 3 e 4 dicembre 1957. I1 Congresso «tiene a manifestare che ha piena consapevolezza della grave COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 situazione nella quale si trova oggi l'Europa, decaduta, rispetto alla sua tradizionale funzione, da soggetto ad oggetto sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico, e coi Parlamenti e i governi tutt'altro che decisi e unanimi a imboccare la via maestra della Federazione europea; si rende conto peraltro della grande speranza popolare che i due Trattati della Comunità economica europea e dell'Euratom hanno suscitato, anche se i detti Trattati sono lungi dal garantire un'autentica politica soprannazionale europea; dichiara di voler impegnare la Sezione italiana del CCE e per quanto possibile tutto il CCE alla piena e accelerata realizzazione dei fini dei Trattati stessi.. . (C.d'E., gennaio 1958). Gli anni a venire dovevano dimostrare la giustezza dell'analisi fatta nel dicembre 1957, anche se, all'esplosione delle contraddizioni politiche ed economiche non ha fatto riscontro il coagularsi delle forze politiche, economiche e sociali per offrire la dimensione soprannazionale della soluzione dei problemi. Questa esigenza dell'alleanza delle forze centripete si delinea intorno alla metà del 1963, quando si comincia a determinare, sulla base di un rapporto di Raymond Rifflet, la necessità della creazione di un «fronte>che raccolga tutte le forze vive europee (come già anticipato nella relazione di Serafìni agli Stati generali di Francoforte del 1956). Il testo del rapporto di Raymond Rifflet, che Comuni d'Europa (settembre 1963) pubblica con grande rilievo, preceduto da un corsivo di Umberto Serafini, si articola in tre parti: una analisi della realtà, una definizione degli obiettivi strategici in funzione di questa realtà, le conseguenze tattiche che ne derivano. Il problema della costituzione di una aforza politica european, che dovrà assumere «la forma di un fronte, di un'associazione stretta di organismi diversi, e non quella di un partito nuovo,, sarà la grande idea-forza dominante dei congressi federalisti del 1963 e soprattutto del 1964. A sottolinearne il valore federalista, il periodico illustra il testo di Rifflet con tre foto: una che ritrae Luigi Einaudi con Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, gli autori del Manifesto di Ventotene; una di Henri Brugmans con Spinelli ed Eugen Kogon; la terza di Jean Bareth, uno dei pionieri del federalismo integrale, primo segretario generale del CCE. Lo stesso numero di Comuni d'Europa, che riporta il testo integrale del rapporto, si apre, a tutta pagina, con il resoconto della grande manifestazione sindacale di Dortmund, cui partecipano oltre 25.000 lavoratori aderenti alla Conferenza dei sindacati liberi delle Comunità europee e molte personalità, tra le quali Jean Monnet: nell'occhiello al titolo appare, per la prima volta, lo slogan «Verso un fronte democratico europeo,. I resoconti e i documenti dei congressi federalisti vengono raccolti in un numero monografico dell'aprile 1964, che dedica ampio spazio in particolare al X Congresso federalista di Montreux, dell'ii e 12 aprile 1964 (con un commento critico di Serafìni alla «Carta federalistap), uno dei più importanti della lunga storia del Movimento. Non entriamo nel merito dei risultati dei vari congressi, interessandoci solo come Comuni d'Europa ne seguisse, al lo- 51 fra cui capi di governo, ministri, presidenti di parlamenti, esponenti di organizzazioni politiche, culturali e scientrfiche e tutti i massimi esponenti delle Istituzioni comunitarie e dei federalisti, riempiono il Palazzo circa ottomila giovani federalisti. Nella risoluzione politica approvata, dal titolo «Per un fronte democratico europeo,, i 7.000 delegati affermano: «La costruzione europea è bloccata.. . L'Europa è gravemente minacciata nelle sue fondamenta democratiche e nella sua indipendenza economica e politica.. . L'integrazione economica europea, così felicemente iniziata dalle Comunità esistenti, potrà registrare progressi sostanziali solo se compirà un passo decisivo verso l'organizzazione federale: estensione progressiva delle competenze comunitarie nei campi della politica estera, della difesa e della cultura, e, in un prossimo awenire, costituzione di un governo federale europeo. Un controllo veramente democratico deve essere esercitato da un Parlamento, di cui una Camera deve essere eletta, ro interno, la mati~razionedella linea del fronte democratico europeo. Era su questa linea che spingeva il CCE, trainato soprattutto dalla sta Sezione italiana, guidata dal segretario generale Serafìni, e finalizzata a raccogliersi nei VI1 Stati generali del CCE, la cui data era stata fissata per il 15-17' ottobre 1964 a Roma, sotto il motto: «Per l'Europa dei popoli». Anticipate nel iiumero di settembre la pubblicazione dei testi delle relazioni, il numero successivo dedica :j2 pagine al più grande congresso democratico europeo di ogni tempo. La foto della copertiaa è dedicata alla tribuna allestita al Palazzo dello Sport di Roma, dove campeggiano le gigantografie di alcuni eroi della Resistenza europea, mentre nel paginone centrale appare una veduta del catino del Palazzo dello sport gremito nel giorno della seduta inaugurale. La documentazione fotografica è eloquente; oltre ai cinquemila amministratori locali e duemila rappresentariti delle forze vive europee, - Spadmhura in sbbonomrnw postuts Gruppo I l 1 Anno V I 1 N 3 Marre 1960 s Rador.8 Plaaio dl Tmwl, 84 ROMA - - . M E N S L E DELL'ASSOCIAZIONE O S G A N O ITALIANA P E R i i L O N S i G C l r J DEI COMVYI C) F V K O v k A taa~sei 41 c Ic~alo* t un p d u d'ullam>r rautw i1 ritanla m l l a rirrlnral<tne el*$li *t.iti t n i l i d'b.rim>pu r ioiiir<s I ininr>hilwaiodrl ( ~ i c n i i . RCImrunrlllu 11, FUI eceICrwmami n n l ~dcipo l'sdixin~ aurrra *iaairi prenii nd r i i l r ~ n ii'IId \ + i i t politica. .i.irw <h* n<" ritTr,aaiio luro t i s i &Rh i* nir.lim &I rurrira *cedo, r ynnmd» la ~-;4riirir 'nliip<.IrIl*n c$rrtii%hiuu f.ir wiilrw d -iirr pri?r L- .trt i..>peitrr u \pp~<>~ai<i. pur<h i tu" rulnxra piyliwmtn~iltr acUn %piri;a drll' kppclla Eialii>pnr, 11 prn*riiu di rl<risitt reraper .t iiaiirugio t ~ t t ~ r i n a k dirrtt<i kriritii uli p i i apprrbrrilitn di+eimo *alle ruiirr drl dwlini* d*llc sutunointr b r u l i . . .: .. % '. : , > 'Y ,:t?,,.::'! %:,t!, . , ~ .':.;h.:;* .. 'r .: . !-.!e' r , 8.i:) i':, "S. <' ~ zrir,,.< ~ a.:' ~ .:.::...s t , *,,.r:;w: - ~?!,':S::L & t ;k$:a,:or.c ~ ~ . ; , r ~ i i C!:,: ~ r ~ .:<r.rir?.rb-r:?:iiiti t:.:: ,. d~.! t><,- :.,t :< ?C>.!: E!>:8:-.',>. bi,,t$> :LZCtAr$t ,. , Li*:,, : > 3 r l s <tiaai::,:?,<- ::,&ir<:v~T,z4 ~! , '.%.,'. - :!i:ntri<r a; ' .:. i : . r,::> irr pdr:;'<?!~tnan:r : . : . $.rb'!:.. t:,*:r :t,, <i.*:;;l.;il':i,; n:::.. :'..:i; <:<.:.t :i$< ; .,srrv ? ;i.r,Ui.; . : i it?i.o'i. .*'a:: dt.3 Cu-ii;:ni, i.lw di :t. V,<:l,. i . fle.p(it>rii. r . : i i < . l ;.v.i;;i. :,ic.,!iirt ,i: f>i<>fr"-a'r .:;ri.r:i.,. r,>.lilUi:>ir:i',.. t. ; i un .. :I,' ' : i:: p;;.n:::<.r.w:. <.vir*W!.!i :A,:!.",<. ,i ' ' ~<v:!'lc.%~.r~k~$ **:k-..t n~\-Iati>;>:E~ 1 x 8 , . ,., .. ..t:.......,. ..t ,~::i<ix,i-<>t::; <l<.! ~htzl.Gioi.r.rtcn i , f * t % . t . \ > t $ s!: (.<'>r.;>s.: 4'E~rnpa .* rl?.:, .':*e.. - 'r.a:,*< .:.S. ' C : i!'P::>A l >':< ?::<!l<?,' ~!:~?,tfc~%i*z~~t..,~, ~ ~ ~ ~ * COMUNI D'EUROPA a suffragio universale e diretto, dall'insieme degli europei. Coscienti della gravità della situazione, i VI1 Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa fanno appello ai cittadini europei, a tutti i poteri locali, agli organismi politici, economici, sociali e culturali e ai movimenti della gioventù, affinché sia costituito un fronte democratico per unlEuropa federale*. Ma il afronte~,malgrado gli impegni presi dai diversi congressi federalisti, non ha preso corpo, né politicamente, né organizzativamente, sia perché molti federalisti del Movimento federalista europeo, che doveva rappresentare l'ala trainante del fronte, preferirono una linea aspontaneistap, che dette luogo ad una serie di Comitati locali, scarsamente coordinati sul piano europeo; sia perché il Movimento Europeo, che doveva fungete da coordinatore del fronte, era prigioniero di gruppi moderati, i quali impedivano una radicale riforma che permettesse in esso la prevalenza di gruppi più avanzati e con maggior radici sociali (CCE, sindacati, avanguardie dei partiti democratici). Sul piano comunitario le cose non vanno meglio. La crisi diviene sempre più grave e Comuni d'Europa la documenta con i testi sui quali avviene il fallimento del Piano con cui il presidente della Commissione esecutiva di Bruxelles, Hallstein, uno dei protagonisti dei VI1 Stati generali di Roma, voleva rilanciare il processo comunitario. Il fallimento del apacchetto Hallstein» segna anche la fine della concezione funzionalista, intorno alla quale si erano facilmente e illusoriamente collegate le forze dell'europeismo. Essa segna però, paradossalmente, anche l'inizio di una maggiore attenzione dei federalisti intorno alle Comunità, dopo anni di attacchi frontali; essi si avvicinano perciò alla linea del CCE, di critica costruttiva nei confronti delle Comunità e di opposizione ai governi e parlamenti nazionali per le loro inadempienze. Infatti, qualche mese prima della presentazione del Piano Hallstein, Comuni d'Europa (marzo 1965) pubblica in prima pagina le foto dei membri del Parlamento Europeo deceduti dal giugno 1961 all'aprile 1964 e non sostituiti per ragioni di alchimie politiche. Nello stesso numero il periodico documenta anche come dei restanti 32 membri, almeno altri dieci non partecipano a vari titoli ai lavori dell'Assemblea e che la rappresentanza vede esclusi non solo i comunisti ma anche i socialiti, mentre sono presenti i parlamentari del MSI. La farsa dura a lungo e Comuni d'Europa ritorna sull'argomento col numero di marzo 1968, un numero completamente dedicato all'irresponsabile atteggiamento del governo e del Parlamento italiani: in prima pagina le foto dei parlamentari deceduti e non sostituiti sono ora sei e i rappresentanti a pieno titolo sono scesi a 16 (continuano ad essere esclusi dalle delegazioni italiane socialisti e comunisti). Oltre a questa denuncia provocatoria, le altre pagine del periodico documentano altre gravi inadempienze italiane, che esperti analizzano con abbondanza di dati. Ma si critica anche l'inadempienza da parte federalista, e più propriamente del Movimento Europeo, che avrebbe dovuto inquadrare le fotze del fronte democratico: «Fronte democratico europeo o cimitero degli elefanti?»è appunto I'eloquente titolo del numero di febbraio di Comu- ni d'Europa, a firma del direttore Umberto Serafini, che radicalizza la sua critica al Movimento Europeo sostenendo che esso era «arrivato al momento della verità: rinnovarsi o perire*. Critica ripetuta puntual.mente con precise analisi e suggerimenti nei mesi successivi. Ma di rinnovamento non si parlerà che molti anni dopo, quando su una nuova iniziativa della Sezione italiana del CCE il uC;ruppo di Milano* (C.d'E., ottobre 1980) propone la «rifondazione» del Movimento Europeo. Conseguentemente è fermo anche il fronte democratico europeo, di cui il numero di marzo 1973 pubblica una storia (ripresa dalla relazione del segretario generale al Congresso nazionale di Ancona del settembre 1966) delle origini e dello sviluppo. L'attuazione dell'ordinamento regionale, con le prime elezioni dei Consigli delle regioni a statuto ordinario, dava il modo di collegare più strettamente le regioni alla battaglia federalista: un «Appello ad elettori ed eletti» viene lanciato dalla prima pagina di Comuni dJEuropa nel numero di maggio 1970, nel testo approvato dalla Direzione nazionale delllAICCE: aLe Regioni italiane - vi si Ilegge - possono e debbono essere, a determinalte condizioni, elementi insostituibili, istituzio~nalie politici, della costruzione di una Federazione europea sovrannazionale, intesa come l'occasione per dar vita ad un modello esempla.re di avanzata democrazia.. .B. E l'Appello concludeva richiamando l'attenzione degli elettori sulla necessità di *reclamare, attraverso le elezioni amministrative, un impegno sinceramente e seriamente federalista ed europeo, e quindi democatico e moderno degli eletti che esse esprimeranno. Il CCE rimarrà lo strumento disponibile per i migliori di essi, nucleo politico insostituibile di una quotidiana lotta per un'Europa federata; sindacato dei più Iiingimiranti Poteri locali a livello delle istituzioni europee; cooperativa di servizio europeo pei: tutti gli Enti aderenti». Due lunghi ed articolati «Appelli» vengono di nuovo lanciati alla vigilia delle elezioni regionali italiane, in prima pagina (C.d'E., maggio 1975 e aprile 1980), e sempre più chiaramente si legano queste elezioni all'azione costituente del Parlamento Europeo, delle quali il vertice del dicembre 1975 aveva fissato la data. Questo sarà il tema dominante delle più recenti annate di Comuni d'Europa, specie a partire dalla decisione presa dal Consiglio europeo nella seduta di Roma dell' 1 e 2 dicembre. È a questo avvenimento e alle manifestazioni pubbliche e popolari che I'accompagnano che il numero di dicembre dedica un'ampia ricostruzione, soprattutto fotografica, con, in apertura, una immagine a tu.tta pagina del corteo federalista che, uscendo dalla riunione di tutte le forze politiche, sindacali e federaliste, tenuta in Campidoglio, si prepara a sfilare per dicembre 1982 le vie del centro di Roma per attendere poi, manifestando davanti alla sede dei lavori, i protagonisti del Vertice europeo. Il titolo è anche il programma di lotta di questi anni: «ora la lotta è per l'assemblea costituente europea» e per questa lotta, la cui scadenza elettorale è il momento di partenza, si mobilita Comuni d'Europa, all'insegna di un altro slogan con il quale precedentemente il periodico aveva intitolato un altro numero monografico, predisposto per il primo Vertice europeo del 19-20 ottobre 1972 a Parigi «Sapere per lottare» (C.d'E., ottobre 1972). Dal numero di giugno 1978 si inizia, infatti, la periodica pubblicazione di <inserti» dedicati ai molti argomenti della lotta, sia sul piano istituzionale, sia su quello inscindibile dei contenuti: il primo, in ordine di tempo, è dedicato al rapporto MacDougall, sull'aumento delle risorse comunitarie; l'ultimo, in questo numero del 1982, è un saggio storico-bibliografico sul contributo dato dal CCE alla lotta per l'integrazione europea. Sono trenta inserti che arricchiscono il panorama europeo, specie quelli in più stretto collegamento alla campagna elettorale europea del 1979 (del febbraio, sui programmi dei partiti, e del maggio, sui sindacati e l'Europa). Vengono, per l'occasione, curati anche due numeri monografici di notevole rilievo: il primo, del dicembre 1977, riporta interviste e dichiarazioni esclusive rilasciate a Comuni d'Europa sulle prime elezioni europee dai principali leaders politici e sindacali: Zaccagnini, Berlinguer, Craxi, Romita, Biasini, Zanone, Gorla, Riz e Pannella, per i partiti; Bonaccini, Macario e Benvenuto, per i sindacati; Spinelli, Albertini, Bastianetto, Chiti-Batelli e Petrilli per i federalisti, si pronunciano sul tema delle elezioni. I1 numero è completato da una storia delle elezioni stesse curata da Pier Virgilio Dastoli, Edmondo Paolini e Argo, corredata da alcune schede pratiche. L'altro, del mese di maggio del 1979, è completamente dedicato alle prese di posizione, agli appelli e ai documenti di tutte le forze politiche, sindacali, culturali e federaliste alla vigilia delle elezioni. Dopo le elezioni, Comuni d'Europa segue attentamente, sostenendola, la battaglia, guidata da Spinelli, che il Parlamento neo-eletto porta avanti sui bilanci, e successivamente dà il pronto e pieno appoggio all'iniziativa, sempre dovuta a Spinelli, del <Coccodrillo»,dalla quale nascerà la commissione istituzionale del Parlamento Europeo, incaricata di elaborare un nuovo Trattato comunitario. Comuni d'Europa però, sin dall'inizio ammonisce i parlamentari europei a cercare l'appoggio e il consenso del territorio e delle forze politiche e sociali. È in quest'ottica che viene rilanciato, a seguito dei lavori del «gruppo di Milano*, il Movimento Europeo che, secondo l'editoriale del numero di ottobre 1980 di Comuni d'Europa, deve andare ad una sua «rifondazione». In questo quadro prende vita anche la commissione istituzionale del Movimento Europeo (la commissione Bangemann) alla quale il CCE dà il suo fattivo contributo con la presenza di Giancarlo Piombino, membro della analoga commissione istituzionale del CCE. L'annata XXX di Comuni d'Europa termina mentre è in corso questa fondamentale battaglia costituente, che si inquadra nella più am- dicembre 1982 pia battaglia per la pace, secondo le linee dell'uAppello ai Comuni e a tutti gli Enti locali e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema dell'organizzazione della pace, che, sottoscritto dai vertici dell'AICCE e delle altre associazioni di enti locali e da sindaci di grandi città e piccoli comuni, apre il numero di luglio-agosto 1982 di Comuni d'Europa. 1.2. I contenuti della battaglia Dopo esserci soffermati più direttamente sugli aspetti politico-istituzionali della battaglia per la Federazione europea, ricordiamo qui brevemente altri temi riguardanti i contenuti di questa lotta, a partire dai due che si riferiscono agli attributi specifici che, in un sistema soprannazionale, sono di competenza della Federazione: la difesa e la moneta. Il problema della difesa e, collegato, quello dell'olocausto atomico è stato oggetto di riflessione di Comuni d'Europa - a parte, naturalmente, il periodo della battaglia in favore della Comunità europea di difesa - nel numero, già citato, del dicembre 1960, intitolato *Temi di lotta): nel capitolo «Laforce defiappe e l'Europa%,la rivista pubblica saggi e articoli di Pierre Gallois (L'Europa e la difesa dell'occidente), di cui il periodico si era assicurata l'esclusiva, di Gouzy e Moriquand (Forza atomica: una chimera nazionale) e l'intervento di Paul Reynaud all'assemblea nazionale francese, sempre sulla force de fiappe . Precedentemente, nel 1959, il numero di giugno apriva col titolo, a tutta pagina, «Sull'orlo dell'abisso~,che aveva come sottotitolo «L'atomo, la salute, la pace e l'urgenza comunitaria», tema questo ripreso, in forma ancora più drammatica, nell'ottobre 1961, nel saggio «L'etica dello sterminio)), di Lewis Mumford (illustrato da foto sulle conseguenze per l'uomo dello scoppio della prima bomba atomica a Hiroshima). Successivamente il numero di aprile 1963 si apre con il saggio di Atlanticus su «Strategia e politica - l'occidente nell'era atomica», mentre, alla vigilia della scadenza del Patto Atlantico, Andrea Chiti-Batelli, scrive per il periodico tre ampli saggi dal titolo «Si deve rinnovare il Patto Atlantico?,, partendo da considerazioni in margine ai dibattiti awenuti in seno all' Assemblea dell'UEO (C.d'E., marzo, maggio e ottobre 1966). Nel numero di luglio-agosto 1972 è Stefano Silvestri che aggiorna il tema in un altro saggio dal titolo «Europa e sicurezza: lo scenario anomalo». Il tema viene ripreso, a livello di organi statutari dell' AICCE, dalla Direzione nazionale che, in una riunione a Torino, il 18 febbraio, affrontò, sulla base di una relazione del segretario generale aggiunto Martini, il problema della crisi della distensione e del ruolo dell'Europa unita nella costruzione della pace; il risultato del dibattito, integrato da quanto affermato in materia a livello di tutto il CCE, fu oggetto di un puntuale documento redatto dal segretario generale Serafini, che Comuni d'Europa pubblica nella prima pagina del numero di marzo 1980, sotto il titolo «La Federazione europea e la costruzione della pace,. Anche in priia pagina compare (C.d7E., luglio-agosto 53 COMUNI D'EUROPA '82) l'«Appello ai Comuni e a tutti gli Enti locali e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema della pace,, documento che costituisce uno degli strumenti di lotta concreta degli amministratori locali federalisti. Anche il tema della moneta europea, è stato tenuto in primo piano da Comuni d'Europa: ad esso si è fatto riferimento più volte, esplicitamente o implicitamente, quando si è trattato di integrazione soprannazionale europea. In proposito ricordiamo le prese di posizione, riportate integralmente da Comuni d'Europa, del Comitato pre:sieduto da Jean Monnet estimatore della nostra rivista - . Ma vogliamo qui fare un particolare riferimento al numero di Comuni d'Europa del febbraio 1977 contenente il saggio di Dario Velo su «Piano a medio termine per l'Unione monetaria europe- e il testo dell'intervento di Serafini al Direttivo del Consiglio italiano del Movimento Europeo, dal titolo «Dalla falsa alla autentica moneta». Gli articoli di Gianni Ruta su «Il Sistema monetario europeo, (settembre 1970) e di Dario Velo «Con il dollaro erratico lo SME è fermo, l'Italia anche, (febbraio 1981); il documento del MFE *L'economia italiana di fronte a un crocevia% (C.d'E., aprile 1981). Come esemplificazioni di altre tematiche acontenutistiche», escludendo quelle che tratteremo nei capitoli specifici (politica regionale, agricoltura, ecologia, ecc. ) ricordiamo, in ordine cronologico: «PapaPio XII e il federalismo», una raccolta dei discorsi di papa Pacelli sull'unità europea, fra cui quello pronunciato ai partecipanti al Congresso nazionale delllAICCE nel dicembre 1957 - il Pontefice riconosceva nel Consiglio dei Comuni d'Europa «uno dei principali movimenti che lavorano a costruire la Comunità europea soviannazionale» - (C.d'E., ott.-nov. 1958). La pubblicazione dei testi dei «programmi»della Resistenza francese (febbraio 1959); e sullo stesso tema della Resistenza europea apre con grande rilievo il W ORGANO HEN611P D I L L 1 A 5 $ 0 C I A Z i O N E ITALIANA ?BR li. CONSIGLIO DEI COMUNI D ' E U R O P A I diadochi senza bussola h Iine di ogni pocr~biksogno [*#ei 2 CWWI f u la seelia del p>r I'Eurapa c.>ntio i mio-Orsmuili, per la 1itErl.l rambr contro TOaularchm, per la concormnsn cmVu iI eorprrativtsmo, per La fBetUvn cemiro I .8-P verbale Si p& d. ialuno obreiìare che fu una mnt* rra d o l p o di h s t r nC ua a g o 6iokro s .dlLula. bp. ni rncbh ti tnr* *, uuni s t W a a e obbb&va &b uu& a i Cmvuw~ BuDp. r bbersle 8 sazlcbP u n ' m a soTlWm e 48th di civ<lUI tha culc 4. ~a d& C u l b spmpessrs(a>, ma Qa suo blralno di mmspro i1 dtmano E& a 1smtauaiammW. Acm e detto @&I aceglicndo 11511ropB d rerrsiarre rnrhe il Iibeitsmo o il m b sul piano ecmomlu %scile, o rik?lula pru fa&e e ci10 amls dubbio ofirivn l e rnsaglar? posrbthtb di afrutLan ie energie indrndiulr più d#%mnem un'opers di rmxlrurllm d i 11l. rrlurime che rtchldemi soprattutto in\entii.a. gurk I Z u U i avevs audam e nschio L'idoa fu lart- l'Europa %n su. .dospohs o ciò pbrcbh cmnids.mxww e poi saiere m e i'avld,bpro wnf*guraìa WE1a11 &%PSCI,U In qup.\<i aennu fu una mlta popnlare e il mondu tlmale ~tdliano da perte qua iaccet* raro tnnW sume am&e se PIuIIOSIO hrora*mi a queila di L-@ rQdOLh MU& psauhiie indna pii( lanìano prtenda co- +icidimen<c Qoes'si anche m~he19 prnf& eir<8din c ar sltta IBBK a mi&* am E$ partiva. dri un'wow dr gvrrnai (si& ma&ar Farte dvlle dnisroni e dexlr impeapgi, PtbOm DoU'alho gaio mlesa a m n di u n i ld'urto v o gn2~sul piano cunryp<i iunbnr> si-un!r corsgrlutaiaw nari rapala nlrpmlllas d< Wtte W r i a k a t p ay knn mropci. un DutpchIte g.iaaamentc al Iikrllo d un @uppo ddl cnriier-unte de:le m s n l wnrwmi % @%%m eurr<prsrte. annprok. Ragi«ns w c h P 3 p& e oudori fur17.nnan. spillnge.at. da nrrptr, del batsmere. n m db obhmdonta, iillrenpntn ehfars e h Frntoaecm<r alcuni pariammtan r uomini ai Gnverno dwdelsolr e talvolta mwfisì jnilii ma#il sui waritu mngpitar fu qur!lrr di sn'etm l n mt qwbm rguale mm m10 n m fa-p t a l s - cha %n> di mdn, p r altm, brne lare plu die d: r p a r k r p a r i Se n ~ l t o I i i a 11 passaggio a8VinWnnne politica ?rnl"'le B O C C ~ I d8 NIUlrle m i n m -, m che al lia.r!lo qr>\wnat~\n cumP D quelio - anche iid n? rende piu BPUEa il b w n n $>?iradr robuste WCid~wlcnei n i v &Ua ddl'nprnlone pubf,lira c fatta meannc s , t.% nmmola Ppltds Jsew dallo @$sua, ma p e r m t r di fure della Camumll c BalW i setimi rrik,tent~-- n m fu mai vera' i f f i u e giidlr>~~ia6sn~ L'eqxdllbrm del rer- la rur d&#li alitwnni eno strumento p~.r m i e romprno $1 ~sgni'rrntti C"-6 t" dql l'rd~lrttmir'81 un'egemMIIII sul ronltn44ile -,%re crnidttamo, mllrt sfmrdr~ a xpcaar >atrrin7<.rtsorirti*a?olrt*ci i< li, imglnar ri che ~urrpnrda parle di eh1 h@DIÙ 1110 91 WD- a rtlwr.nnirnrc I I r e s e de! p w n n o rSe @ l 9 0 a r ~ ~ b t lCr ,.nprrk,ra rn i ? a?:O ~ di '*.?m tiefic r~ispaen:@;s la mcmglta I i k r - w a lrlriio %@p de (iau:le &mani qualrm p>lil:cn intems .d estera L a v i <I e- l,in. .&l&o I mrchc n@ l* Gran Brckcni"i o( rro !O al PCIIPIPtlx ~ < ~ ~pcil u n ' < . li chn - < n . , \ t i mjiirr la Cmnunitd doveva pr,rnci.iarnnite \snn nepp.ire $111tu .i1 n i t ir! -- - COMUNI D'EUHOPA 54 D.reiionr r i)dw Artio itit Pie*:. di lnri, 8 b N IO ottogr. l W . 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Per gli anni successivi ricordiamo, in special modo, il numero monografico, dal titolo emblematico <Sapere per lottare,, pubblicato in occasione dell'importante Vertice di Parigi, del 19 e 20 ottobre 1972, che riporta non solo la dichiarazione conclusiva (che propone I'Unione europea aentro la fine dell'attuale decennio,, nonché le linee della politica economica e monetaria, della politica regionale, della politica industriale, scientifica e tecnologica, della protezione dell'ambiente, dell'energia, nonché delle relazioni esterne e della cooperazione politica), ma anche i risultati del acontrovertice, promosso dai federalisti negli stessi giorni (C.d'E., ottobre 1972) a cui intervengono, tra gli altri, Tierno Galvan e Soares: federalisti che, a partire dal congresso di Nancy (a questo importante avvenimento, e ai documenti di base per la riunificazione, che awerrà l'anno successivo a Bruxelles, è dedicato il numero monografìco del febbraio 1972), si preparano alla riunificazione - opera soprattutto dei federalisti del CCE -, dopo 15 anni, delle loro due grandi correnti, quella massimalista del Movimento federalista europeo e quella moderata, del Centro d'Azione europea federalista (AEF), divise dopo la caduta della CED. <Materieprime: imperialismo o federalismo~ è il titolo di un ampio saggio di Gian Piero Roz dedicato al problema di un nuovo ordine economico mondiale, necessario per superare il drammatico scontro tra i Paesi sottosviluppati e i paesi industrializzati (maggio 1974); <Piano europeo di lavoro garantito, è invece una risposta europea alla grave crisi della disoccupazione e inflazione. Piano illustrato, per la nostra rivista, da Mario Didò (settembre 1982), per quanto attiene alla difesa e all'organizzazione del lavoro nel momento critico della ristrutturazione produttiva. 1.3. Gli Stati generali numero del settembre 1960 commentando la pubblicazione del libro, in edizione italiana, «La Rosa bianca, la storia dei giovani studenti di Monaco, eroi della Resistenza tedesca. I1 resoconto del Convegno di BolzanolBozen dell'aprile 1961 che, in un momento particolarmente teso delle relazioni fra Italia e Austria, mise intorno allo stesso tavolo amministratori locali dei due Paesi, la presidenza e la segreteria del CCE, che, unitariamente, indicarono la soluzione del problema in una prospettiva europea (C.d'E., maggio 1961); incontro che si ripeterà con successo a Riva del Garda il 5 maggio 1967 (C.d'E., giugno 1967). Non poteva mancare l'attenzione di Comuni d'Europa alla grave situazione dei popoli europei oppressi dalla dittatura: per la Spagna il periodico pubblica i saggi di José Maria de Semprun Gurrea dibertà e democrazia nella storia del pensiero politico spagnolo, (C.d'E., luglio-agosto 1962) e di Dioniso Ridruejo aEsame di una situazione, (dicembre 1964); per la Grecia, il testo integrale della Costituzione approvata dal regime dei colonnelli greci per im- bavagliare la democrazia greca (C.dlE., ottobre 1968). Al problema della riunifi.cazione tedesca, in un quadro europeo, sono dedicati gli articoli di Ferdinand Kinsky a1 tedeschi sono ancora europei?, (C.d'E., ottobre 1966) e di Karlheinz Koppe <Lasfida dell'Europa intera» (novembre 1966); ad essi offre il qua'dro culturale la ristampa del magnifico saggio di Adolfo Omodeo aLa razza tedesca, pubblicato nel numero di gennaio 1967. Un'altra utilissima ristampa è quella del Manifesto di Ventotene, il documento di base del federalismo militante europeo (febbraio 1967), che verrà ripubblicato, con un commento di Serafini, in occasione del quarantesimo anniversario dalla sua redazione (C.d'E., ottobre 1981). A questo proposito, interessante l'analisi a tre -- Guy Heraud, Andrea Chiti-Batelli e Umberto Serafini - del afederalismo integrale, (febbraio 1970). Dello stesso anno, ricordiamo I'arnpio saggio di Chiti-Batelli sugli aspetti della protezione del patrimonio artistico e naturale (settembre 1970)e il saggio di Gerardo Zampaglione su aNazioni Le linee di azione del CCE, che Comuni d'Europa è andato sostenendo in questi trent'anni, sono state periodicamente verificate alle grandi assisi degli Stati generali, dove migliaia di amministratori locali europei hanno creato il consenso popolare alle linee strategiche stabilite dagli organi direttivi dell'organizzazione. La storia delle XIV edizioni realizzate meriterebbe un discorso a parte. Qui ci limitiamo a ricordare come il periodico ne abbia sempre fatto oggetto di numeri monografìci, pubblicando gli atti (relazioni, dibattiti, risoluzioni approvate e commenti) accompagnati da una documentazione fotografica che attesta l'imponenza della partecipazione. Abbiamo già accennato al contenuto di alcune sessioni degli Stati generali che hanno una costante: l'impegno degli amministratori locali per la costituente europea. Su questa costante si innestano, di volta in volta, problemi contingenti e di attualità. Ai I Stati generali di Versailles, oltre alla risoluzione politica che vede anella prossima nascita della Comunità politica europea un nuovo importante passo verso l'integrazione dell'Europa nel rispetto della democrazia*, viene ratificata la «Carta europea delle libertà locali» COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 (C.d'E., febbraio 1954). Ai I1 Stati generali di Venezia (19-21 ottobre 1954), oltre al rilancio politico dell'integrazione europea, si vara la Comunità europea di credito comunale (C.dlE., gennaio 1955). A Francoforte sul Meno (5-7 ottobre) nella I11 sessione la relazione generale di Serafini vi denunciò con anticipo la eventualità di una force de frappe nazionale francese e indicò le linee principali della Ostpolitik europea (C.dlE., dicembre 1956). Ai IV Stati generali di Liegi (3-6 luglio 1958) si mise in luce, tra l'altro, il rapporto fra evoluzione tecnologica e Poteri locali (C.d'E., luglio 1958). A Cannes (10-12 marzo 1960) alla V Sessione, dove viene alevato un grido d'allarme contro il ritardo nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa, si approfondisce il discorso sulle cause del declino delle autonomie locali (C.dlE., marzo 1960). Alla VI Sessione a Vienna (26-28 aprile 1962), oltre a richiedere fermamente la ripresa del processo di integrazione europea, bloccato dal fallimento dei negoziati di Parigi, si affronta in modo concreto il problema della pianrficazione del territorio europeo e si approva il testo della Carta federalista dei Poteri locali (C.d'E., giugno 1962). Della VI1 Sessione di Roma (15-17 ottobre 1964) abbiamo già detto. Ricordiamo che, accanto al tema politico, incentrato sulla necessità di un fronte democratico europeo, viene ribadita la necessità di una pianificazione del territorio europeo, che non sia la somma delle pianificazioni nazionali (C.d'E., ottobre 1964) e l'importanza di una politica europea della cultura (sulla base della relazione generale di Henri Brugmans). Agli Stati generali di Berlino (8-10 giugno 1967), i delegati, constatano 55 come «la mancanza di una Autorità politica.. . lascia una volta di più l'iniziativa politica e diplomatica alle due grandi potenze mondiali$; ma si preoccupano anche della soluzione del problema tedesco,, da negoziare con l'Europa dell'est da una Federazione europea, fattore di pace ed esempio di democrazia. La IX Sessione si tiene a Londra (16-18 luglio, 1970), dopo che la Conferenza dell'Aja del dicembre 1969 aveva riacceso le speranze sul processo di integrazione europea e sull'esito dei negoziati per l'ingresso dei nuovi paesi nella CEE: la dichiarazione finale ammonisce però che solo una immediata e vigorosa azione in favore dell'unificazione politica dell'Europa può creare le premesse per I'allsugamento; a Londra si chiede anche il miglioramento e il rafforzamento degli strumenti comunitari per uno sviluppo equilibrato delle regioni d'Europa (C.d'E., ottobre 1970). Negli Stati generali di Nizza (15-17 giugno 197'2) è la politica ecologica ad essere affrontata iri modo specifico, mentre sul piano politico si condannano le conferenze al <vertice, e 1'istituz.ionedel segretariato, inadatte a prowedere all'interesse generale dell'Europa (C.d'E., giugno 1972). Alla XI Sessione, tenuta di nuovo nella città di Vienna (3-5 aprile 1975), si richiede fermamente la definizione delle modalità di elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento Europeo, al quale affidare il compito di redigere la nuova carta costituzionale dell'Europa e si sostanzia la politica unitaria dei comuni, province, dipartimenti e regioni nella lotta per una pianificazione del territorio simultanea alla programmazione economica, aperta ai problemi del Terzo mondo (C.d'E., aprile 1975). Nei XII Stati ge- K~US~II~I*IIIV f ~ m - f ~ t ì t ~l't~r ~ : @A .. l - l l ~ l ~ Y U l 7 l G PElRlZl'l.> ~il e blsi,*,a I k e * n n i ii.'"'nali GCt'lyP'*, 3 .Wt', *<*l',*, n <iiml*-,m,sr *U'IU,.crlC o. nD,**i,nno o g . , %,<l,rp V < b I rlr*iI>i1""P,ln<*i y<is*,<> 1 "l*," 'i .tnlira <inifrrirnilitimra -l > C X < i l ' I r .,drrtm<etr ase~n wlte rrxe l<rid i w n w &ner rrtr~bu i P* Il. .<,il #ld!p<"d^ltla i$tsni ml<d tU Iiis,, %nrr ii.1 kntrn$r<rw dri r i i l r dint iurnyrz (W. nisdrban *rnl<mla nitnir Ir .Iruil4im aa,nrm*laa iiit n i l r i r r e r f nui C. t f l I ,o<erns wii o niiwirr * . I <ni,l*>ir dqx $a\l itir s mmmlrinrre ian l ,trc.va d r l b nllrwtr ,.IIR m x n r d, 2 a i i*, l i < I I i * i+)ni-fs dcllr i a l l i i i i m l . 61iaIxrr-it I I\I*C.U%~IIT\B i l r ~>\CP%II l \ l I I t t r P t I t-,., iej*w,~m$tcc,t,rt,*c1= 11*1(,. t* ",,iiu>iI', '-",.trii,, ~"<*.,..l uc(cn,,.I, USI B i l X ? ~ P I I I I \ O IbWa yoci. , . ' h V "-dLtla s, cali, I P N I 1WII4IIIZ lr611itv ~ I V I I I I ~ Cr d 1 1 1 nerali (Losanna, 8-11 giugno 1977) si riafferma la necessità di dare poteri reali al Parlamento Europeo, di cui è stata finalmente decisa I'elezione diretta, auspicando che la campagna elettorale possa divenire occasione per un grande dibattito sugli scottanti problemi della disoccupazione, inflazione, salvaguardia della natura, cooperazione con il Terzo mondo, ecc. ; contemporaneamente si approfondiscono gli aspetti della partecipazione dei cittadini alla vita politica locale (C.d'E., luglio-agosto 1977). Ai XII Stati generali de 1'Aja (9-12 maggio 1979) si respira già l'aria delle prime elezioni europee: il Parlamento Europeo eletto e il Consiglio dei Comuni d'Europa, guida del Movimento europeo delle autonomie e suo interlocutore privilegiato, devono battersi per l'Assemblea costituente; ma la nuova Europa deve creare anche un nuovo modello di società, affermano 3.000 delegati, e garantire una diversa qualità della vita. Nel corso della sessione si svolge anche un grande dibattito fra i massimi esponenti politici delle forze presenti nel P.E. e gli amministratori locali: vi partecipano, fra gli altri, Willy Brandt, Gaston Thorn, Geoffrey Rippon, Leo Tindemans, Carlo Galluzzi, Pierre Mauroy, Jean Francois Pintat, Loretta Montemaggi. Il tema della Costituente europea domina anche i lavori della più recente sessione degli Stati generali, quella svoltasi a Madrid dal 23 al 26 settembre 1981: l'appoggio delle decine di migliaia di enti territoriali locali europei, rappresentati dal CCE, all'iniziativa costituente del Parlamento Europeo, awiata con la risoluzione del 9 luglio 1981, è unanime, e al tempo stesso si auspica che nel progetto di nuovo ILonwa iir napui.nai;ni $i rrriivie di ~ . 1 1 1 n } * t ~,,..t?.*,,.t k rirrni<".i a .<.1r .tP.,~. ,*a. a<* v uniir<i rd rfirlcir i a . 0 r%rrli emb*nv i&$clrlc i..teel>wr+>r ~stc~.r*.\rc~ a $Ah ii~ni*imir<rulruii*l;>rir + a * i o u d ~ & xurhu<a v - l r r i &il* drtr-t drl 1% +RI~XE<.P m ,in vi<n\ima a<,rn*rr .<n,,«uisl,r di "o hrrinir> tcdursh ptlmpa l a ti<atiuU<i<rrarisrnlr dmwrrt%cn drrn r.utr rr.r.i<ain da un I'srl*urs(i a, dt t a i iin. ,mr<. ~ I ' Wrr-rsr rlrur* x r,$@?aru ais8reiwtr di»-tl<s <Idlm.ia deeb wlnws - ..,< -- l I I T T \ 1 I I \ i a. ~,,,"*d.r"slit-,iln W, I,, e:tu~ìY> I iaiiu? drtle -1nitf.l" d n n x i r i l r h i i r e".. pr.;ra>,,ln,i><<ii* r<,"wi"s<a FT.niW.. iirii*<.i<.. \m.<. 1;. udd,.frrmnr dddd britni .Iwi-trlniv<ifi' ,W di rw<iip;inooi.. di ;,t,r*ria s+mt.Jk, dd1.i ra<liiita 313 all.brLa. #IL w x i c t ~ r s- * m t d o,..,>.r,a krtm te- I ; v l r r x l > r > l >~.K~IPI:I r.r>rl iaw*is. Ir pn'ltna %d$dnr<rr.+ trik i rsitk l 1 C I 1 1 Ll>l.t l 1 ll<>l*Pl d.l>bi a., h, .,im*nr la le* .n* r.11 < < % V i',,.7dr< ,h* .inrura .i.<.,><. in >".<iliii di di,,.<",. '?i a,i.,.il-r><o .n4 ( < . l \ i i r r nire dvl niinda 1.u rtr,liaii>n iril7ip p a r r L u,.n,r r Ir irrni,x *urr.pn I -h* i I<ui>axe-i i.> <in t>rii-iiru< i * s t . i i l i,,in<r Ieenn h%rdrriri. r1l'kut~iti.iI r ,~,m~.",,m,'.",~ .la*.., ,.ta->,.. dk l!$. \t<uia -l,*tnq% k lrrsbv < u l b h « i ? i w ~ i r , <I',IC rd r ,*.t> n,*r,.,,, ,<,d<.l.ii. ,bdi *I prii % - l C l~,',ill\l *,t'EtlI.l l <,>.*te,, COMUNI D'EUHOPA 56 dicembre 1982 Trattato venga inclusa una «carta dei diritti zia; Ludovico Quaroni, dell'Istituto nazionale fondamentali dei cittadini e delle comunità lo- di urbanistica, nonché Riccardo Musatti, Renato Btiigner e Umberto Serafini, per I'AICCE. cali~(C.d'E., dicembre 1981). Durante i lavori, presieduti da Seratini, vengono gettate le linee di base, politiche e organizzative, che si ritrovano nel «Giuramento della L'idea di affratellare due o più comuni è fraternità europea,, in cui si afferma: «i rapprecontestuale alla nascita del CCE, che, sin sentanti del popolo prendono solenne impedall'inizio, ne accentua il contenuto essenzial- gno di mantenere legami permanenti fra le mente politico come strumento per contribuire municipalità delle nostre città.. . di congiungealla realizzazione della Federazione europea, re i nostri sforzi per aiutare nella piena misura partendo dalla definitiva riconciliazione, nella dei nostri mezzi il successo di questa impresa democrazia comune, fra i Paesi europei - par- necessaria di pace e di prosperità: la fondazioticolarmente la Germania e la Francia - che ne dellJUnitàeuropea». avevano suscitato, con le loro dispute due guerQuesto fine determinato è alla base della dire mondiali. Se ne era parlato già alla riunio- versità fra i gemellaggi prornossi dal CCE e gli ne di Bad Durkheim, del 14-16 marzo 1952 «incontri», così come chiarito da Umberto Sera(C.d'E., aprile 1952), ma è a Parigi, il 9 e 10 fini nella nota «I veri gemellaggi e il loro plagennaio 1953, che si tengono riunioni (il cui gio» (C.d'E., settembre 1961) dove si sostiene resoconto è riportato nel numero di gennaio), che non sono da scoraggiare incontri di ammialle quali partecipano, fra gli altri, Samonà, nistratori di città di Paesi extra-europei e di presidente della facoltà di architettura a Vene- non elettivi, ma essi sono c'osa ben diversa dai JRGANO'MENSILE DfLLASSOCIAZ1QNE tr ITALIANA P E R I L CONSIGLIO DEt COMUNI D'EUROPA I,~&rrrl Iri>>rrninrnr i*t* ~ k r r w r i h t i b i r t a . ~ Iiirple i,, rhi I ttitid Kin&rri uJ Crrni \rrrih<,rii f r * ~ l : r n d hwri !tir<l nn d i r > $t. p~r<aa.a:< i,nrtvn*<,. nxd thr.1 Pvd ii h r d . Nniritrt rsrii/ rir, all'ltiptiiltc.rr;i ,t,<r#fi,,'' t,, ~,r,,icr.#<$r,*i I?k,,f i r t " a. :TI. col l i - t i i ? , ,[h.. ,9,,fasi,,,l , I , , .i < i l l * l~rgliilti.rni rr.trrl., ri.!ririiln ni ,.I rrtrl.. i I t- .. I t .r, <.. M t i b h u t iiiI.*at I'hiiuisps, I<,nibn 1UC3) C I& h,.,,n,/r~eL~a .c,i,iio< . i . 7kix or che I<dirrcol rinir 1.5. Europa, Scuola, Enti locali $et..vrait.rri. n ~ i u t,rrl<zrer ,,) rhi ,.rzv L .<,ti!.r. rrrn hr done rir[x b> ir <oni»$iirt e<+isrnriiirl biiyid aia firfra,rl prii+rlpbs. I r i n r t r tihi,lt ihr t ~ n i lo( ? ~ i ~ r , ; f < r + e i r r r n a rtic<ar r > ir imirr ,,,n>r nrsr tcritrh rrr*t~onti &t:<'apr~.iri v. i tii,ttairirjl ,,,h,t,reiirru zziS,.+ ,,..Mii;, h . gemellaggi del CCE, espressione della volontà popolare in favore della Federazione soprannazionale. Ai resoconti dei più esemplari gernellaggi, sia di grandi città, come di piccoli comuni, il periodico ha quasi in ogni numero dedicato spazio. Particolare menzione .meritano i numeri dell'ottobre 1960, completamente dedicato al tema; del febbraio 1969, che riporta il resoconto del 1" Congresso delle città gemelle di Alessandria; del marzo 1970, con le relazioni di Gianfranco Martini, Bruno Cadetto e Corrado Calsolaro al I1 Congresso delle città gemelle di Strasburgo; del maggio 1974, con intere pagine dedicate, anche dal punto di vista fotografico, allo svolgimento di esemplari affratellamenti; del giugno 1977, contenente la relazione di Snijders ai XII Stati generali di Losanna, sul tema «I1 ruolo dei gemellaggi e degli scambi intercomunali nella costruzione europea»; del giugno 1978 con gli atti dell'importante convegno delle città gemelle di Lucca (19 e 20 maggio) sul tema «Ruolo dei gemellaggi e le elezioni europee», relatore il vicepresidente vicario dell' AICCE, Giuseppe Bufardeci. Per l'importanza politica assunta, va ricordato l'incontro soprannazionale di Magonza, che ha rappresentato, per la numerosa e qualificata partecipazione, un costruttivo passo avanti nel coinvolgimento degli enti locali nella battaglia in favore dell'unità politica dell'Europa, a pochi mesi dalle prime elezioni europee: all'awenimento il periodico ha dedicato quasi completamente il numero di ottobre 1978, aperto da una foto a tutta pagina che documenta la presenza dei duemila amministratori locali, mentre il numero di settembre riporta il testo integrale della relazione politica di Serafini («Gli europei adulti»)ivi tenuta. L'impegno dei comuni gemellati «per la pace e la sua organizzazione ovunque, non piegandosi all'ostacolo di alcuna frontiera» è il naturale coronamento politico e culturale del gemellaggio come ideato dal CCE ed è richiesto dall'«Appello ai comuni e a tutti gli enti locali e regionali europei per gemellaggi, che pongano in primo piano il problema dell'organizzazione della pace,, sottoscritto dal vicepresidente del CCE, delegato ai rapporti coi movimenti europei, Umberto Serafini, dal presidente delegato alle questioni europee della Fédee"ration mondial viles jumeleés, Diego Novelli, sindaco di Torino, dal vertice dell'AICCE, dai membri della presidenza dell' Associazione nazionale comuni d'Italia (ANCI) e dai sindaci di altre città italiane ed europee, fra cui Tierno Galvan, sindaco di Madrid. L'Appello, pubblicato in apertura del numero di luglio-agosto 1982, conclude affermando che «i gemellaggi nell'ambito territoriale europeo debbono mirare sempre allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale del processo di integrazione europea, fattore essenziale di pace; e si debbono moltiplicare fra il Nord e il Sud dell'Europa, come pegno di una più larga e strategica volontà di superare gli insopportabili squilibri fra il nord e il sud del mondo*. ikv .ir.-t Sotto questo titolo si può collocare la costante azione unitaria svolta dal CCE e dalllAEDE, soprattutto a partire dal primo congresso na- dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA zionale di questa Associazione, tenuto a Frascati il 29-30 marzo 1958 (C.d'E., marzo-aprile 1958), dove parteciparono, oltre ai rappresentanti dell'AICCE, anche alcuni assessori alla P.I. di comuni aderenti. Ma le linee della stretta collaborazione fra le due organizzazioni e i contenuti della battaglia furono stabiliti nell'importante convegno dal titolo, appunto, «Europa, Scuola, Enti iocali», svoltosi a Venezia dal 13 al 15 gennaio 1963 di cui il periodico riproduce in prima pagina (C.dlE., gennaio 1963) il documento conclusivo, rimandando ad una pubblicazione ad hoc gli atti integrali. Il tema, su piani più specifici, viene ripreso negli anni successivi, specie negli articoli di Antonio Tatti «La riforma universitaria fra dimensione nazionale e dimensione europea» (maggio 1969 e gennaio 1971), mentre il numero successivo (febbraio) reca, come «supplemento» in preparazione alla XVIII Giornata europea della scuola una nota informativa sugli aspetti politici ed economici dei rapporti estovest e un articolo di Argo su «Nazioni e nazionalismi nei processi di integrazione all'ovest e alllest». «L'Europa dell'educazione» è il titolo di un altro saggio a firma di Mario Bastianetto (C.d'E., luglio-agosto 1974). Ma un eccezionale quadro dell'impegno del CCE e dell'AICCE nel campo più generale dei rapporti tra la politica della cultura e il federalismo viene fatta in un numero monografico di Comuni d'Europa dedicato a Vincenzo Bellisario, uno dei pionieri dell'AEDE. Nel numero di marzo 1970 si raccolgono i documenti, le relazioni, le risoluzioni che dall'origine il CCE ha approvato su questo fondamentale tema, dal convegno internazionale dei Foyers de culture di Reims, del 9-12 ottobre 1952, a cui parteciparono rappresentanti del CCE, ai rapporti e risoluzioni adottati dagli Stati generali, al testo del documento riepilogativo delle principali istanze della relazione Bellisario-AICCE, predisposto per gli Stati generali di Vienna del 1962 sull'importanza dei gemellaggi per la creazione dello spirito europeo e come veicoli 2. per la cultura popolare, nonché al testo della Carta europea dell'insegnamento, approvata al Congresso internazionale dell'AEDE di BNxelles neil'aprile 1968. È recente il convegno che rilancia, dopo circa vent'anni. la collaborazione fra AICCE e Conformemente agli scopi statutari delllAssociazione, il settore dell'informazione e della documentazione europea per gli amministratori locali, intesa come <servizio europeou, ha avuto spazio costante sull'organo ufficiale Comuni d'Europa. I soci, infatti, a parte la conoscenza diretta degli specifici problemi awenuta in occasione di convegni, seminari, stages (di cui ne ricorderemo alcuni per la loro esemplarietà) hanno trovato soprattutto sulle colonne del periodico gli elementi di conoscenza e di approfondimento. Vogliamo qui ricordare - a titolo di esempio - rimandando a quello che diremo per alcuni settori specifici (come l'agricoltura, il credito ai comuni, ecc.), le ampie mbriche curate da Tito Scipione sui problemi della finanza locale, sia a livello italiano che a quello degli altri paesi europei, preparate sulla base di copiosa documentazione; le troviamo, con una certa AEDE sotto il tema «Europa, Scuola, Enti local i ~ tenutosi , a Teramo dal 7 al 9 maggio 1982 di cui Comuni d'Europa (luglio-agosto 1982) pubblica la sintesi conclusiva del segretario generale dell'AICCE, Martini, e la relazione del presidente Serafini. dal qusrtlprre alla reglone w r Una Comunftb europea federale ORGANO M E N S I L E DELL'AICCL, ASSOCIAZIONE UNITARIA 01 COMUNI, PROVINCE, REGIONI la lotta C pcr I'assthni\ilrac<istiititsiliix(aur»pw U serviizio europeo 2.1. Informazione e documentazione 57 puntualità, nelle prime annate di Comuni d'Europa: spesso si tratta del commento alla <Relazionegenerale sulla situazione economica del Paeseo, che consente di fare il punto non solo sul complesso della situazione ma anche in ciascuno dei suoi fondamentali settori (è naturale che il periodico privilegi quelli riguardanti i comuni e le province italiane, come viene fatto nelle pagine del numero di aprile 1957 e del maggio 1958). Di pratica utilità la tavola sinottica sul numero e dimensione dei comuni secondo le classi di ampiezza (C.dlE., gennaio 1957) e quella sul.le attribuzioni e funzioni dei segretari comunali nei paesi dell'Europa occidentale (marzo 1957). Sul piano comparato, «I1fabbisogno finanziario dei Comuni tedeschi e la sua coperturzw, di Karl Horn (novembre 1957) e le note sulle finanze comunali in Francia e in Germania, di Tito Scipione (settembre 1958). Poi l'attenzione si sposterà sugli istituti e le provvidenze comunitarie, come risulta, per esempio, dal numero di luglio-agosto 1962, che tratta della BEI, in due note di Karl Horn e Tito Scipione. L'esigenza di una informazione e documentazione sui singoli problemi è andata aumentando, man mano che la complessità dei temi specifici venivano messi in luce dalla realizzazione della Comunità. Per facilitare una presa di coscienza diretta, la nostra Associazione ha organizzato, spesso in collaborazione con gli Uffici per l'Italia della Commissione e del Parlamento europei, corsi-quadro, seminari, giornate di studio, per amministratori locali e funzionari, nonché per i responsabili degli uffici stampa delle regioni e delle province autonome di BolzanoIBozen e Trento. Una motivazione dei corsi, tendenti soprattutto a creare a1 quadri del CCEBper la battaglia federalista delle autonomie, viene data organicamente nel numero monografico di luglio-agosto 1962, che sotto questo titolo riporta numerosi saggi e scritti per i vari campi di interesse. COMUNI D'EUHOPA I1 primo <corsoquadri, dell' AICCE, ricordato dal periodico nel numero di aprile 1967, si svolge a Torino, con una numerosa partecipazione di amministratori locali (ma già, in precedenza, si erano svolte altre manifestazioni, a livello regionale, come le giornate di studio di Genova del luglio-agosto 1962). Nel prosieguo degli anni, l'iniziativa dei seminari si è intensificata, specializzandosi in gran parte sull'utilizzazione dei «fondi» comunitari, ad eccezione del periodo precedente alle prime elezioni europee quando i seminari e le conferenze regionali promossi dall' AICCE, come documentano in particolare i numeri di febbraio, settembre, novembre, dicembre 1978 e novembre 1979, vengono inquadrati nel programma di attività per l'elezione del Parlamento Europeo: se essi dimostrano, da una parte, la scarsa conoscenza del processo di unificazione europea, dall'altro mettono in luce una domanda politica di Europa da parte della base. 2.2. Pianificazione del territorio e politica regionale europee I . I contenuti della politica del terrijorio È questo, insieme al terreno squisitamente politico istituzionale, il settore più approfondito da Comuni d'Europa durante i suoi trent'anni di vita: nel secondo numero (gennaio 1953) si dà conto di una riunione, svoltasi a Bad Durkheim nel luglio 1952, su d'aménagement du territoire~anche con una esposizione sulla pianificazione del territorio in Germania, Francia, Olanda e Inghilterra: la delegazione inviata dall'AICCE era composta dagli architetti Piccinato, Albini, Labò, Astengo, Di Gioia e Zevi. Da allora il periodico pubblica articoli e saggi, nonché resoconti, documenti e risoluzioni delle moltissime riunioni, a tutti i livelli, a partire dalla prima sessione degli Stati generali (Versailles, 16-18 ottobre 1953). I1 tema è affrontato dalla I1 Commissione («I comuni davanti al problema della sistemazione nazionale e dell'urbanistic~)e, più approfonditamente, alla seconda sessione degli Stati generali (Venezia, ottobre 1954), di cui Comuni d'Europa del gennaio 1955 riporta la risoluzione sul tema dell'equilibrio tra città e campagna. Basilari, su questo tema, le anticipazioni che Costantino Mortati poneva già, agli inizi degli anni '50, prendendo spunto dalla situazione delle libertà locali in Italia, in rapporto alla <Carta europea delle libertà locali» e alla «Costituzione della Repubblica (esemplare la sua interpretazione come imperativo etico-politico dell'art. 11); e soprattutto la risoluzione approvata al I Congresso nazionale dell'AICCE (Forlì, 14-15 maggio 1955), dove si chiedeva la rapida attuazione dell'ordinamento regionale come presupposto per lo sviluppo della democrazia (le Regioni a Statuto ordinario tardarono, malgrado la pressione dell'AICCE, altri 15 anni!). Già da queste prime riunioni si rileva come in tema di pianificazione del territorio e politica regionale, la più congeniale forse al CCE, Comuni d'Europa si muove in due direzioni: quella della sollecitazione prima e della defini- zione poi dei contenuti di una politica della pianificazione del territorio e di una politica regionale, delle quali i poteri locali siano non oggetti ma soggetti politici, e quella dell'informazione e dell'analisi delle situazioni degli altri paesi. Nel suo primo numero dell'apriie 1952, il resoconto del convegno costitutivo dell'AICCE riporta la notizia dell'inizio dei lavori della commissione «equilibrio città e campagna, del CCE, mentre in un'altra pagina vengono pubblicati <Appuntibibliografici, destinati alla conoscenza anche, oltre che del federalismo politico-economico, della letteratura sulla pianificazione del territorio, l'urbanistica, I'organizzazione di comunità. L'esigenza di fare della politica regionale e della pianificazione del territorio europeo il nodo centrale dell'azione del CCE è un impegno antico e costante del <:CE. Esso discende sia dalla concezione di federalismo integrale di Adriano Olivetti, come dimostra, in modo organico, il saggio che Umberto Serafini dedica sulla rivista in occasione della prematura scomparsa di uno dei maestri del federalismo integrale (C.d'E., marzo 1960), sia della corrente francese, che fa capo ad Alexandre Marc. Provenivano, infatti, dal Movimento Comunità, o ne condividevano le linee, alcuni dei partecipanti alla sessione di Torino della commissione urbanistica del CCE del febbraio 1954, dove, nella risoluzione approvata, venivano visti in prospettiva unitaria «pianificazione generale del territorio, pianificazioni particolari, governo locale, equilibrio rurale-urbano e mercato comune europeo,. Con l'entrata in vigore dei Trattati di Roma, la politica regionale, anche se non esplicitamente prevista, acquista sempre più importanza, che le deriva dalla lettura e dagli adempimenti del Trattato stesso, a partire dal upreambolo,, che indica tra i fini quello <di assicurare lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite,. È merito del CCE, però, di aver associato a questa politica i Poteri locali, verso i quali la Comunitli si era mostrata, all'inizio, molto esitante. Infatti, nella prima, fondamentale relazione sui problemi di politica regionale, del francese Bertrand Motte, all'Assemblea parlamentare europea nel 1960, si accenna solo all'esigenza della Commissione esecutiva di creare, da una parte, un <Comitato consultivo per le economie regionali,, e uall'altro estremo di un'azione regionale comunitaria, deve essere istituito o riconosciuto un certo numero di organismi intermedi che assicurino, nello studio come nell'azione, con l'aiuto e con il tramite degli Stati membri, i principi di decentramento, di partecipazione e di coordiriamento, (C.dlE., giugno 1,960).Malgrado la costituzione, nel luglio successivo, dell'Intergruppo delllAPE per i poteri locali, il vicepresiderite della Commissione esecutiva, Marjolin, ignora nell'elenco delle istituzioni pubbliche e private consultate il Consiglio dei Comuni d'Europa (C.dlE., agosto 1961); così come gli enti locali vengono ignorati nella importante conferenza sulle economie regionali del 6-8 dicembre 1961 (C.d'E., febbraio 1962), che segna l'inizio di una sistematica azione della Comunità nel dicembre 1982 campo regionale, come sostiene Gianfranco Martini commentando sul periodico i lavori della conferenza. Ma la lunga e paziente opera del CCE, promossa e coordinata in larga misura dallo stesso Martini, dà i suoi frutti: la relazione sulla politica regionale presentata da Willi Birkelbach, e approvata all'unanimità dal Parlamento Europeo nella seduta del 22 gennaio 1964 (C.dlE., gennaio 1964). fa esplicito riferimento ai suggerimenti dati per la stesura da un gruppo di esperti (gruppo di lavoro che in seguito lavorerà in stretta collaborazione con 1'Intergruppo), di cui facevano parte, come rappresentanti del CCE, il presidente e il segretario generale, Cravatte e Bareth, nonché Merlot, Muntzke, Pic e, per I'AICCE, il segretario generale aggiunto Martini. Proprio a seguito delle proposte del CCE, nella relazione Birkelbach si legge: «sarebbe in ogni caso necessario assicurarsi, eventualmente ampliando i Gruppi di lavoro, la collaborazione di persone che abbiano una particolare esperienza dei problemi delle amministrazioni locali.. . per studiare più da vicino: a. la forma più idonea che si potrebbe dare ad un centro di formazione e documentazione da istituirsi presso la Comunità; b. il modo migliore di stabilire una permanente attività di reciproca informazione e consultazione tra gli Esecutivi delle Comunità e le rappresentanze dei Poteri locali.. .; C. una eventuale forma da dare ai contatti diretti fra comuni e amministrazioni regionali da un lato e gli Esecutivi delle Comunità europee dall'altro~. E, finalmente, nell'VII1 relazione generale sull'attività della Comunità, pubblicata nel giugno 1965, il contributo del CCE viene uffìcialmente sancito: S . . .la Commissione - vi si legge - ha chiesto ai rappresentanti degli enti locali, attraverso il Consiglio dei Comuni d'Europa, di ricevere le osservazioni sulle conclusioni dei gruppi di lavoro, dando così inizio ad un fruttuoso scambio di vedute...». Tale collaborazione si concreta nella stesura di un Memorandum del CCE, espressamente richiesto dalla Comunità, che Comuni d'Europa riporta in una indovinata sinossi nel numero monografico del gennaio 1966 pubblicando, a fianco del testo delle proposte della Commissione di Bruxelles, in materia di politica regionale, le proposte del Consiglio dei Comuni d'Europa, nonché i commenti puntuali di Commzcnes d'Europe, l'organo di stampa della Sezione francese del CCE. Il riferimento più completo della battaglia del CCE in materia di politica regionale e di pianificazione del territorio è il numero monografico del gennaio 1966 che, sotto il titolo «Pianificazione europea del territorio e Poteri locali*, riassume quanto era stato proposto dall'organizzazione nei primi 15 anni di attività, sia sul piano dei documenti e risoluzioni approvati dai vari organi del CCE o dagli Stati generali, sia sul piano degli studi e delle relazioni. Vi trovano posto, fra le altre, la risoluzione di Torino, del febbraio 1954, e quella di Palazzo Canavese dell' i 1-12 settembre 1958, che affermava la necessità del parallelismo fra integrazione economica e pianificazione del territorio, nonché del ristabilimento di un adeguato equilibrio tra città e campagna. L'am- COY UNI D'EUROPA dicembre 1982 plissima bibliografia che completa il numero, nella quale compaiono anche titoli non specificamente riferiti a contributi del CCE e di Comuni d'Europa, rappresenta un panorama pressoché completo di quanto pubblicato in materia fino a tutto il 1965. Precedentemente, nel più volte citato numero di dicembre 1960 («Temi di lotta»), sotto il titolo aDall'integrazione economica alla pianificazione del territorio, erano stati raccolti tre importanti scritti di Eugen Claudius-Petit (La pianificazione del territorio in una prospettiva europea), di Henri Brugmans (Il fattore geografico) e di Riccardo Musatti (Pensiero e azione di Adriano Olivetti per il Mezzogiorno d'Italia). Il pensiero e l'azione del CCE si approfondisce negli anni seguenti e Comuni d'Europa ne segue, quasi in ogni numero, i vari aspetti in politica e in dottrina, facendone oggetto anche di temi specifici degli Stati generali: particolarmente incisiva in materia, la IX sessione, svoltasi a Londra dal 16 al 18 luglio 1970, che sotto il titolo generale <L'Europa: perché, con chi e come - dal consiglio comunale al Parlamento federale europeo*, vedeva dedicati i due temi specifici a <I rapporti istituzionali fra i poteri locali, le regioni e gli stati nazionali in una Europa federale,, relatore il tedescoJurgen Hahn, e <Lo sviluppo equilibrato delle regioni d'Europa: vie e mezzi», affidato al segretario generale aggiunto dell' AICCE, Gianfranco Martini (C.d'E., giugno 1970). Martini stesso riprende il tema, sotto I'angolo della partecipazione, nella sua relazione alla IX Conferenza dei poteri locali su «La partecipazione dei cittadini, degli enti locali e delle Regioni all'assetto territoriale dell'Europa~, pubblicata integralmente sul numero di settembre 1972. I1 tema della partecipazione diretta dei cittadini all'assetto del territorio trae l'origine storica dalla <Carta europea delle libertà locali,, lanciata ai I Stati generali di Versailles, dove veniva affermato «le comunità locali.. . devono sviluppare una azione amministrativa e creare i mezzi stabili perché ogni cittadino, cosciente di essere membro della comunità e vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale*. Con tempestività l'AICCE, all'inizio della prima legislatura regionale, pubblica il libro «La regione italiana nella Comunità europea,. 11 tema regionale sarà quasi sempre una costante degli Stati generali del CCE, a partire, come abbiamo già detto, dall'edizione londinese, e si legherà strettamente alla partecipazione delle collettività locali alla politica regionale comunitaria, non solo per la sua applicazione, ma anche, e soprattutto, per la sua elaborazione, interesse che costituisce un altro dei grossi meriti del CCE e dell'AICCE. Questo ha portato in Italia, dove le regioni sono investite di dirette responsabilità su problematiche europee, nel corso del 1974, all'approvazione di una proposta di legge di iniziativa regionale per assicurare la partecipazione unitaria delle regioni all'elaborazione e all'attuazione delle politiche comunitarie (C.dJE., giugno 1974), che sette regioni approvarono rapidamente, inviandola al Parlamento italiano (C.d'E., marzo 1975). 11 7 e 8 dicembre 1976 viene convocata a Pa- 59 rigi la I Conferenza generale dei presidenti di regioni o di enti ecl istituzioni analoghe dei Nove paesi della Comunità (il periodico vi dedica il numero monografico di marzo 1977). La Conferenza, proniossa dal Consiglio dei Comuni d'Europa, d'intesa con la Commissione esecutiva di Bruxelles e sotto il patrocinio del presidente dell'Assemblea nazionale francese, Edgard Faure, crea il Comitato consultivo delle regioni e degli altri poteri locali presso la Comunità, che costituirà, d'ora in avanti, il tramite diretto presso la Commissione e il Parlamento della CEE. 2. La documenta.zione su ie espenenze degii aitn'paesi e iprobjemi settonaii Fra i primi articoli pubblicati in materia da Comuni d'Europa, che si è sempre orientato non tanto a ripoiytare quello che in diritto è stabilito negli altri paesi, quanto piuttosto I'incidenza reale che l'applicazione legislativa provoca sul tessuto politico, economico e sociale, vanno segnalati: e:[ Landkreisen, firmato dal se- B A M O XXV W t? Dlcmhm t917 sd&fonb &bw&iw*io mal.. Gn**a Ht CiRGANO MENSILE m gretario generale della Sezione tedesca del CCE, Hans Muntzke (C.d'E., maggio 1957); a1 comuni austriaci,, redatto dal presidente della Sezione austriaca, Alois Lugger (C.d'E., agosto-ottobre 1957); d'autonomia comunale e provinciale in Belgio nel quadro dei principi costituzionali,, del segretario generale della Sezione belga, Robert Marique (C.d'E., febbraio 1959); per la Francia, firmano i testi Jean Bareth, Jean Francois Gravier e Gilbert Gauer (sempre nel numero di febbraio 1959). Nel 1964, il periodico dedica al tema il primo dei suoi numeri monografici (luglio-agosto): sotto il titolo «L'urbanistica nella Germania di Bonn*, si riportano sia le proposte legislative, sia gli sviluppi in dottrina in uno dei Paesi europei più avanzati. La serie degli studi continua con «I distretti urbani francesi e le libertà comunalin, di Max Richard, pubblicato nel novembre 1965; «Lander, politica regionale e pianificazione dei territori nella Germania federale*, di Renato Briigner e Hans Filbinger (giugno 1968). Un altro numero monografico, dal quartiere aila regione Per una Comunita europea federale D E L C A I C C E . ASSOCIAZIONE UNITARIA D I COMUNI. PROVINCE, REGIONI dichrarationi alla nostra rivista di Zaccagnini, Berlinguer, Craxi, Romita,Biasini,Zanone,Gorla,Riz, Pannella e dei responsabili della Cgil.Cisl, Uil. COMUNI D'EUROPA 60 htiil) O R G k N O N E N S I L E DELL'ASSOCIAZIONE I T A L I A N A P E R .;>*.r,r,,rn.,:n?r..iir .-.-:.!L r.,.,& .., iw*.svi!e . ..:ii, r.*r % s s i.1' , 11'<~'r-i" ,!.;i,ri. t fr<.i;l,a '9il<..,?O ,. i.. :. .,.i&-.:<; li:',..,,, r. x=rv,!*ri. b.'?.sj..,',iec!~ ii,.sii?,=-r.ro;prii .A,,, ,..u .: <, ,. ';l*ii~r ai C O M U N I D'EUROPA . . -.l *.,..",..<1, C&,* :c.-eii ,r*r..:::r>, IL CONSIGLIO DEI j?ti,l*<.. ......'Ir-!-.lairl . >!n?.,i;'t;Rgtrc :v~i: i ' ~J2eg b~;os >zrt?' i> i r xtiri l~ i,! :.t , .<<' ;.*::'i. I ". *.. ~,a*;!z. t2t$,:~,,i~trto*,,,J$.%a:'$ <i?.ndu:rr. !?:i c;ilutws *,...r i.. ..i'r a a-. rarro, n# ,'C, &'a ry:i a,,- .$ : -.%<.si)'r:I.. iuriicli:a A l i $ ~ h tr!. , ? ; 3,t7!*-.'&*~,,' t12 . . \ , k ~<*>$??'d',-,,t.' <t?'+*!,t ;.<,-,i, ?..;.i.i't,i*xri:i, ':h*::*" r>,r,. n:! i.:. ."m > .?t,<.. Bi<-,..i.O I . >>r.i.f,*:Q I, ml.-<r. El<,?.<i.'i . i , *r <. ::,,i -S.>+:-; ~.,ri,. Ui 1.. ....oiir. a i <.m: .; p r t . e i r.r<r*r di ~ o - $ dt: n iurii !!e< rii~%,'? C h,* 'e bwwi:ls dr!:n iiire.rru nw .ioli iii 1 1 b ~ i w><l::t <i a~irau!p<> '81 f+i.jrro2:n 11 ..t eri nr'u-<a"iixir. reeu %'t;>:. d p ~ i i lltl~$ .. .- - .>. . i . P ~ r r a . - r . iii Solr.-I*. ts ..xc,. r>inr r*.i.!i:: : rriig'iss: dl ~ o r ~ r t f , . - 6 v ,&l ,xoi irrnc u nu C;, :wrrin. .P, .':)irir.iri $d<-wdnic I'oprv;Lu ds ~!::>P,: h -.o<:i.v:rrt.w *<ii>:<fn6. ,-.i de<%11"1: O ,~e~rnkle:r..~1.x~e, fld$.mi(., <!il 1 .rtiZ2r pa:"rb*i vq.it fipxsrrrrr t,-noyrrer e ri". . , . r . t ; !erra. rrr-.tii Li-.;r6,' ailr f<;?:rn. nnri>i:r :aaaii"kr dil.!:ni?.d mrrfr, r rt<.tef?n(r*lrv M*. ::?,.!cc, gr>!i'..a x r : , l d i . witftr7r chraraniriri. i.. . r- rct?j ... ~ < c F P < *~ni.,>irnxd'blh~!% ' i d« ( I ~ I Pad U I W S~SIU. IlliffSS. $:u:r, >ircrrUln trr iruriCL ( i z i > r b r i .. ho presa; u u-o?. b .nir.nriia trlarirure rrimr a m a <;iu:riroa!t.-n. t'wnrr I ~ P R I I ~ds ~ ~uO n ii+vrr .+ro rBz1 <!'iri<r-io f ~ . i .i?id,l i ~ ~ dl ,.,* .... >.a. - . - i,osrc 6 -ia?n S. Disrre%e. mbbiiiandn Borhc - diri'&-&. tmli di cui ~k p.id8zi0 %i n<* ihrnamn m a . i l e t o pn npm<iri nur sol. '*.>./ife&m> LI mà*v#iieie Bo. .r<'r. dr ?h& rrnvr nru wrr m ~ ' < i . l oi u .ilru.t ytndt:: s r o d &h. 66-me. *ori e ,,,atwn. d r l b l", C~(FO.@(CO gnl<,m.,. jnm, ..a(rtr asrbc latuuz>..i<flr<t( 2.1 mmnrnru sa o<* fu o e r o d r -muo r>rrr.rn ve o( W :vrnmo 1-m *il hnrr. (. a(.( w1C -r <,reo il 3.rrrioolt-(r mlr( + ,, b wtitwo ,,,l 4 . ( &, e PO( ~~~ - - . .&R. e r o tMnd,tr u t , u n ~ u r . iriti<<tmino uriwml-i<., ..n&, . - , , i i . n I U ~ ! I O E < . '. !u3!8lirr, c m . ir>b survam« juiro e ~ r a . ~ < o ~ ~ ..>,I r i . . d r l k <i.(riit-.t*~:s . I ) -.d-ti.,ca SI o, i z i a t t I'.zi.-: L ( , ' YIM. 81 111 S t ~ t twnrroi*. " V I 1956 - I ' , T > - ~ t u n11)*31#hl!r -bik M.*< di *.a I t u n de rnpw nzrin s m m a l ' t l H S i 1.0 pri.rO tili" A' . ncn,m>to pio ):,b,2~I .,t v-I. '8 . Mie * r n * m l Il sIWI. dc< Hunilmd ,il* i wnrr,, ~ . . t ~ o rrtam uvi til<lriid ~ t . , c . i J v l n I . r - i . (.-mdel& riyrrul r ~ t i . 1 . 1 1 ~ . wr & WRU~ ~ l l l dAPII.. dt(dnlir Afonthl~.d r l ; ~ t l t&" l-. 8 i i g l o poi p i b b h t o n.tl'ap.<!r ds s " ~ " "dal& ~ nrlM . I l Rnitc. ,.h# <-e t e 6 ho g v i ~ r u z a or o n r u m s ~ a& npridti:ioL. mi iitr.. . ,.u~, H. rJU -, htr W: rc< m u q i u m r > qui dn~nui<r~~ ir *re t(OM cm IZpgri111s dei ~).rr(lr<>.l,'urr:n !.emto h-8 H fa. d r < a i i ~ l t t u i l l r d ari wpour n yote < ~ > ~ Nn ul trvu nimgtor y q i o . puriiir da arm moro u& Vlb W tiP*r( W? .,,a h- mpna -,. .cr(. m, .- questa volta dedicato alla Gran Bretagna, viene stampato in vista dello svolgimento a Londra, nel luglio 1970, degli XI Stati generali. Il tema è «Le articolazioni del Regno Unito», cioè la riorganizzazione del governo locale in Inghilterra (aprile 1970). La Germania di Bonn, proprio per la sua struttura federale, continua ad essere oggetto di valutazione: nel settembre 1971 Comuni d'Europa pubblica in esclusiva il testo integrale della Conferenza di Theodor Eschenburg, ordinario di scienza della politica all'Università di Tubinga, dal titolo <Regioni (Lander) nella Repubblica federale tedesca». Dopo un intervento del ministro inglese per l'ambiente, Geoffrey Rippon, e un commento dell'urbanista Leonardo Benevolo intorno al tema del verde londinese («I1green Belt di Londra*, luglioagosto 1973), nel numero successivo, interviene a proposito di uI1 verde in Europa e a Rom a , l'architetto Bernardo Rossi Doria, che -- . .. 1 ":. nl'>hJ, . 'l', "a' -' .. *' ' I .<':f<...1 " i "I. uo1r 24 s,itt.ririr~.(<*.>i< 1%' Intu 1111 ,11 flin$:rprr,,<, PIA l<.reow e ) , $8 li* d w f i t t i;$fu 0 :,n < I # brii.' n. n r ~ < ' '' ~ l drt.i.. .,. .. ~.'i~. "' ""' o'.''o .ins.*i r r r ,'I-. 'lr' '":" . ner irio vidiir'o "I'."l~'" t.~ ~ u 1roy)w ~ ~ . t ~ fi.t.if< 21.t a 1i. vr ~ a ~ l . "»d > ann,' . "' '.' ' ,lpiliatr. < 2 t t B r n , v l i , ir VI.CS:O 6S W"',' j Iiaaitrrrtai* r. a r ~ , ~ .tiid ~ ~$'oi .u' f i ~ i ~ 'l' s e . > ~ » .8..r , ,u+.t 2 7 0 . CU1 : l'R.' ' * i " commenta una nota pubblicata nella rivista Le scienze. Il resto di questo numero è dedicato completamente alla pubblicazione del testo (in inglese, con a fianco la traduzione in italiano) del Land compensation Act. Due anni dopo, viene pubblicato un altro numero monografico (novembre 1975) che illustra «Le amministrazioni locali in Gran Bretagn;i». Negli anni successivi coni:inuano a riportarsi articoli e documenti sulle esperienze europee nel campo regionale e, dal settembre 1982, viene con una certa regolarità pubblicata una rubrica dal titolo «Autonomie e regioni in Europa», dedicata ad alcuni aspetti delle autonomie locali negli altri Paesi europei, rubrica anticipata negli anni precedenti dall'esame di alcune esperienze in vari paesi (Gran Bretagna e Olanda, ottobre 1976), Danimarca e Belgio (novembre 1976), Germania (gennaio 1977), Irlanda, Lussemburgo e ancora Danimarca (settembre 1978). 2.3. Daiia Comunità europea di credito comunale al fedemlismo fiscale I . La Comunità europea di credito comunale Fra le prime battaglie condotte dal CCE, sostenuta da notevoli contributi scritti su Comuni d'Europa, un posto importante merita la proposta della costituzione di una Comunità europea di credito comunale (CECC). La sua struttura veniva delineata già nel primo numero del periodico (aprile 1952) che indicava nel credito per i lavori più urgenti (dopo le distruzioni della guerra) - scuole, abitazioni popolari, ecc. - il primo problema degli enti locali. Nei numeri successivi se ne segue la difficile realizzazione, iniziata con una relazione ai I1 Stati generali tenuta da uno dei pionieri del CCE, il senatore Alessandro Schiavi, primo presidente dell'AICCE, e continuata da Tito Scipione nell'articolo «Per una Comunità economica europea dei Poteri locali», che ne amplia il concetto, legato al nascere della Comunità economica europea, mettendo anche magistralmente in luce i problemi e le difficoltà fondamentali della CECC e della necessità di una sua trasformazione, appunto, in una Comunità economica europea dei Poteri locali, di cui il credito è solo un aspetto. Al tema dette successivamente (dicembre 1960) un efficace contributo Giordano Dell'Amore, nel suo saggio «Il credito finanziario alle comunità locali europee*; due i punti nodali: la lentezza con cui procedeva l'integrazione economica europea e la necessità di rivedere le funzioni dei varii enti locali, e di definirle meglio nel quadro di vasti piani di sviluppo economico. Della necessità di legare lo sviluppo del credito agli enti locali a quello dell'integrazione europea, si era fatto interprete lo stesso segretario generale dell' AICCE, Serafini, che, commentando il testo di Dell'Amore, chiariva che lo sviluppo non era realizzabile se non nell'ambito in cui è prevista una politica monetaria e congiunturale comune. Parallelo alla CECC, di cui furono presidente e segretario generale Amedeo Peyron e Robert Mossé, venne fondato a Lugano, il 26 gennaio 1958 un altro importante organismo del CCE, l'Istituto europeo di studi e relazioni intercomunali (IESRI), in esecuzione ai deliberati dei 111 Stati generali. Scopo dell'IESRI era quello di costituire archivi sulle caratteristiche di tutti i comuni ed enti territoriali locali aderenti al CCE, condurre inchieste sull'organizzazione amministrativa dei vari paesi e raccogliere informazioni e documentazione sulle varie funzioni dei comuni (C.d'E., gennaio 1958). Ma le difficoltà politiche e organizzative, superate all'inizio con grande abnegazione dal principale animatore dell'Istituto, Renato Briigner, dopo alcuni anni presero il sopravvento. E quando Briigner lasciò l'organizzazione, messa in crisi anche, come la CECC, dagli sviluppi di organismi comunitari specializzati e dall'intensificarsi delle politiche dei «fondi» europei, i due organismi cessarono, in pratica, la loro attività. 2. I nfondiu comunitari Con I'awio della realizzazione dei Trattati di Parigi e di Roma prende corpo un altro dei dicembre 1982 compiti statutari della nostra Associazione, quello di far conoscere le possibilità offerte dai vari <Fondi europei, e permetterne, dando tutto l'aiuto possibile, la migliore utilizzazione da parte degli enti regionali e locali. Va però sottolineato che l'interesse dell'AICCE e di Comuni d'Europa per i fondi comunitari è stato sempre collegato alla realizzazione prioritaria delle politiche comuni, rispetto alle quali i finanziamenti si collocano a valle. Diminuita notevolmente l'incidenza dei contributi della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), destinati soprattutto agli alloggi dei lavoratori del settore, è la Comunità economica europea che predispone tutta una serie di interventi, volti, all'inizio, a settori spectfici, come il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola (FEOGA), nonché le operazioni finanziate dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Alcuni anni dopo, constatato che il divario fra le regioni ricche e le regioni povere della Comunità non veniva superato dal meccanismo dell'economia di mercato, si vara la politica regionale e del riequilibrio del territorio, come elemento centrale e di riferimento di tutte le altre politiche: prende vita così il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), intorno al quale si cerca di coordinare gli altri fondi. Tutta questa politica dei fondi è stata oggetto di una attenta informazione da parte di Comuni d'Europa, che si è sforzato non solo di dare agli enti regionali e locali il quadro giuridico e politico, ma anche quello operativo (esemplificazione di procedure, fac-simile di domande, assistenza ai soci, ecc.) collocandosi all'avanguardia di questa documentazione in Italia. Infatti, quando il 31 agosto 1960 la Gaz- COMUNI D'EUROPA zetta ufficiale dellt: Comunità europee pubblica il testo del Regolamento che istituisce il Fondo sociale europeo, Comuni d'Europa, volendone dare una informativa agli enti territoriali locali (possibili soggetti delle prowidenze previste in quanto Enti di diritto pubblico), si trova di fronte ad un imprevisto ostacolo: in Italia il Regolamento è ancora completamente sconosciuto al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, al quale dovrebbero essere indirizzate le domande per (ottenereil contributo. Il collaboratore di Comuni d'Europa e il sottoscritto, in cerca di elementi, vengono indirizzati a un funzionario che dice di essere stato informato di qualcosa, ma non conosce il problema. Altra sconcertante :scoperta, nessun Ente in Italia, a distanza di mesi dall'entrata in vigore del Fondo, ha ancora presentato domanda di rimborso. Con l'aiuto dell'Ufficio di Roma della Comunità la nostra. rivista (che nei mesi successivi con alcuni articoli e resoconti sul problema sociale informa di quanto è predisposto a livello comunitario) pubblica (nel numero di gennaio 1962) sotto il titolo J 1 Fondo sociale europeo e i Poteri localiu, un paginone contenente gli elementi essenziali per ottenere i contributi del Fondo, corredato anche di tutte le modalità pratiche (indirizzi, fac-simile, ecc.). Successivamente, con un intero numero di ben 52 pagine (luglio-agosto 1963), Dornenico Sabella affronta in modo esauriente tutto il problema del Fondo sociale ruropeo, nella politica della Comunità e nello sviluppo del Mezzogiorno: vengono analizzati i principi, le disposizioni e la procedura del Fondo, l'attività generale dei primi anni, si pubblicano i testi ufficiali e, infine, si stampano i modelli necessari, raccolti successivamente nell'opuscolo <<Laqualificazione professionale con l'intervento del FSE» dello 61 stesso autore, con prefazione di Lionello Levi Sandri, vicepresidente della Commissione CEE. Man mano poi che la Comunità aggiorna o modifica elementi del Fondo, Comuni d'Europa ne informa puntualmente i lettori, entrando, spesso, anche in analisi politiche, come nel saggio curato da Gabriele Panizzi in occasione della riforma del FSE (C.dJE., dicembre 1972). In esso, dopo un puntuale confronto fra il vecchio e il nuovo testo, si analizza il FSE sia in rapporto con l'esigenza di una politica regionale europea, sia nei riguardi dei sindacati dei lavoratori, constatando la convergenza degli obiettivi, su scala europea, di regioni e sindacati (tema ripreso dallo stesso autore nel numero di marzo 1975). Nel capitolo dedicato alla politica agricola comune accenneremo all'inserto, ancora di Domenico Sabella, sul FEOGA. Certamente più importante per gli enti territoriali locali si presenta il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito il 18 marzo 1975, il cui testo viene pubblicato da Comuni d'Europa (maggio 1975) insieme alla Decisione del Consiglio che crea un comitato di politica regionale e al Regolamento relativo al finanziamento, il tutto preceduto da un commento del segretario generale aggiunto dell'AICCE, Gianfranco Martini, che ne rileva le luci e le ombre . Quasi un anno e mezzo prima, il periodico era uscito con un editoriale dall'interrogativo emblematico «I1 Fondo europeo regionale: dono o debito?, a firma della segreteria dell'AICCE (Umberto Serafini, Gianfranco Martini, Aurelio Dozio): condannata la parziale applicazione delle norme del Trattato, che hanno permesso di utilizzarne, da parte dei paesi for- Al scrvizio dcl1'Europa Unita l ARONA rffrstrllata ad una cittadina belga I dicembre 1982 COMUNI D'EUROPA 62 Londra il 31 ottobre 1981 dello stesso Comitato Chiti-Batelli che dalla premessa di Serafini, è consultivo sulla revisione del Fondo, sia il «pa- che la differenza fra l'efficacia della pianificarere, sulla revisione del FSE (è interessante ri- zione economica e finanziaria tedesca e I'inefcordare che il testo dei «pareri, è illustrato dalla ficienza della pianificazione economica e della foto della pubblicazione ufficiale della Camera politica regionale della Comunità europea sta dei Lords, che riporta il parere del Comitato nella struttura federale per la prima e nella struttura a livello di unione doganale nella seconsultivo del CCE). conda, la quale, priva di istituzioni politiche, 3. Il federalismo fiscale non riesce a trasformarsi in una unione econoLa recensione di un volumetto di Fritz mica e monetaria. Franimeyer e Bernhard Seidel, edito da ~Euro- La lunga storia della perequazione finanziapa Union~nel 1976, dal titolo Uberstaatlicher ria comincia alle origini del CCE, con l'idea Finanzausgleich europaische Zntegration, cura- prima e la creazione poi di una Comunità euta da Andrea Chiti-Batelli, occupa le prime pa- ropea di credito comunale, dopo aver iniziato gine del numero di giugno 1977 di Comuni con la prospettiva di una cooperazione creditid'Europa. È il segno dell'iinportanza che il te- zia fra i comuni europei. Ma con l'avvio della ma riveste per il CCE e per la rivista e che tro- Comunità europea (si tenta per un certo perioverà conferma negli anni successivi con la pub- do, senza successo, di utilizzare un settore delblicazione, a cura dell'AICCE, del volume di la Banca europea per gli investimenti) viene Sigrid Esser a11 federalismo fiscale della Germa- lanciata l'idea di una Comunità economica eunia occidentale,, da cui Comuni d'Europa ri- ropea dei Poteri locali, perché era divenuto prende la premessa di Umberto Serafini chiaro che la cooperazione finanziaria non poteva essere più legata solo al settore del credito, (C.d'E., settembre 1981). Quello che emerge, sia dalla recensione di ma doveva comprendere l'intera economia dei comuni e degli altri enti territoriali locali, in COMUNI D'EUROPA 9 primo luogo le regioni. Si era definitivamente accertato che tutto il processo era legato allo sviluppo, in senso federale, della Comunità europea: è in questo quadro istituzionale che si potranno sviluppare, come nella Repubblica federale di Germania, il discorso sulla pianificazione economica, in specie in tema di perequazione finanziaria e in ordine alla politica regionale. In questi ultimi mesi Comuni d'Europa è tornato sul tema, anche se sotto I'angolatura specifica dell'autonomia delle politiche di bilancio degli enti territoriali ed il loro coordinamento di fronte alla crisi economica, con due saggi, dovuti alla stessa Sigrid Esser, con riferimento ai casi della Repubblica federale di Germania, della Francia e dell'Inghilterra. ti, le realizzazioni della semplice unione doganale, della politica agricola comune, della circolazione dei capitali e dei lavoratori, senza un parallelo sviluppo delle altri parti del Trattato, soprattutto per quanto attiene alla realizzazione piena delllUnione economica e politica, si sostiene che *nei limiti in cui il Fondo regionale risponde alla logica del Trattato di Roma e corrisponde ai guadagni già fatti da altri Paesi, non è un regalo dei contribuenti di alcuni paesi a contrade tradizionalmente sottosviluppate, ma una parziale - molto parziale - redistribuzione dei benefici del MEC». Negli anni successivi tutte le tematiche dei fondi continuano ad essere analizzate da Comuni d'Europa, che riporta anche notizia di riunioni e incontri specializzati: una attenzione speciale viene dedicata alla revisione del FESR, prima pubblicando la presa di posizione sottoscritta a Bruxelles il 16 marzo 1981 dal Comitato consultivo delle istituzioni regionali e locali dei paesi membri della Comunità (C.dlE., maggio 1981) poi predisponendo un inserto contenente sia il *parere%formulato a ~m 2.4. Politica agricola comune -- , .irk*uiii~,sit<* h. i s l piu a ' n d l t i fhenurwr di ilil8 mcn11 r 4 i u r. 4 ; t I t r Bctinii<r . . -crnpn. wrurt<i,piu ~ h dae filliite arlblti%t rr,rsrir-2 ~ u tinrts~tr»anicni~~ dt t!% r s z 5 . \i*tvnib d* i l i t o i r c di prr.\i.tt?bm- c(31 'h* c o t t ì x I T I ~ Iht p.,~I , C I ~ . S I ~ X '!i tcarsunl t,ntisitc ledi Jx mc. nr<glni renire ~ J J k t r i i41 I.II<>I 111~ \ irrl rlt 1 -.uul>, d 11 ".t#% t < , I , < % L C I , t1etnwit~ d f rt?*$e, l!if-~rs*~,8vne iutfttii di lbt ilif<%.t Jrlinilc ari 11% -6 p*n ,:v ~ l i % < ~ i~i !~ ~ I ~V ~t ~ urI~ Id e n l i %s,ntlare Jalh rllt,.li>rtt n#*, a t a < k \ ~ r l t ,itt. iin.lr' i te!iiri*~ d*l ~ R I rcqx,ars%t?lliliì 'pptlrc. t? tlla.rrherarc h k m r m i n i . b r ~ i i ma$ b l a l r iepir <* ,iiKl+rn <!~i~.~.ri,,. E coipr. 1s puhbticri crpini<mc I <:iira<li % i crora. ir, ' c i t i casi. fr~st<lrr~al;< d.1 rxp#i<r u t n g y -.%&<i i l < - l ~ k ~ i a t a n n i iyfnrreit* i J<>ruiri,sllir,ivtnl* ; - > i < i i t n h c ptcr;rlr*rrtr.iiunir rum t,hic~lirr=i., <L chr .surrhìu~p~lcili, t r i u , h < rc le k l t r n r r % n . l 4 ~ l l r l a l ~ r i c i roSs l * q > . t > * ~ r t .$*t 4 q p ~ sdt ~ t ~ t ~ . i tLt~sI X~ I ~ I ~ I ~ ~ I dt R~ t ~ p t i ~ t t.I*~ t ii le i<ir,t ~ r '...ttiini .!I u ir>w;, desiih-r'i~rtdi piihbli~ilb < t u < \ t r r t t l ~ r t r x ~ s~ l ~ ! t r ~ , ~ l t> r rd ~ i ~ li i l a aliamrrtt~a i'!' < * t *+ ir-i~fi,.** rhc. ~ v pst.(iir:r ;i rl,rri-iririevr'r%i ,,.',,<>,,<ti <1<1.1i 7 r b ,riti, '8 8 -r .t i .i,: ri,r?i,-r,.+rr,.iirl,.# %ai%-re twirr m i' lr * i a s ~ ~ . l > > ~11,~ ~ttkm-zs . r c k .!;.i : ii irrikcrnv . ... .I . .! Il dibattito e l'analisi della politica agricola comune, con particolare riguardo all'impatto che essa esercita sugli enti regionali e locali (in specie nel nostro paese) si è sviluppato nella nostra Associazione, puntualmente ripreso da Comuni d'Europa, al momento della presentazione da parte di uno dei più coerenti commissari della CEE, Sicco Mansholt, del memorandum che è rimasto noto con il suo nome. Le ragioni dell'interesse sono molteplici: il fatto che la politica agricola comune è già operante, purtroppo con le aberrazioni che tutti conoscono e che impegnano quasi 1'80% del bilancio comunitario nel solo settore della garanzia dei prezzi e che portano a privilegiare alcuni prodotti a danno di altri; il fatto che le regioni italiane hanno competenza costituzionale in materia agricola e quindi sono soggetti giuridici sia dei regolamenti che delle direttive in materia; il fatto che l'economia di molte regioni, e non solo italiane, dipende quasi esclusivamente dall'agricoltura. Con largo anticipo, però, I'AICCE si era posto il problema della soluzione a livello europeo dei problemi agricoli, come risulta dal convegno «I comuni rurali e l'Europa, promosso dall'AICCE, dalla UIL-terra e dal Movimento dicembre 1982 rurale italiano ad Alba (Cuneo), il 29 ottobre 1955 (C.dJE., novembre 1955). I1 relatore generale, Aride Rossi, segretario nazionale della UIL-terra e uno dei massimi esperti del campo affermava, infatti, l'impossibilità di uno sviluppo di una moderna economia agricola nel solo ambito nazionale. Quando poi, con I'entrata in vigore dei Trattati di Roma, e in seguito all'elaborazione dei suoi fondamenti, awenuta alla Conferenza di Stresa del luglio 1958, nel gennaio 1962 viene varata la politica agricola comune, subito I'AICCE si fa interprete delle preoccupazioni delle regioni più direttamente interessate e promuove a Chieti un importante convegno regionale (cui partecipavano anche rappresentanti del CCE) sul tema «L'integrazione agricola europea e l'Abruzzo». L'ampia e approfondita relazione di Aride Rossi (C.d'E., novembre 1962) resta uno dei documenti più significativi in materia perché non solo vi viene fatta una dettagliata analisi della PAC, ma se ne commentano i riflessi interni ed internazionali. Tralasciamo qui di ricordare i molti convegni dedicati all'argomento, e di cui Comuni d'Europa ha dato resoconto, per ricordare tre incontri qualificanti sul Piano Mansholt per I'ammodernamento delle strutture agricole. I1 16 maggio 1968 la Direzione nazionale dell'AICCE, allargata a numerosi esperti, viene interamente dedicata all'esame del Piano, introdotto dalla relazione di Mario Bandini, presidente dell'Istituto nazionale di economia agraria e preside della Facoltà di economia e CONILINI D'EUROPA commercio dell'Università di Roma. Comuni d'Europa (luglio-agosto 1969) riporta gli atti della seduta e il documento conclusivo, che rivolge, fra l'altro, un vivo appello «alle Comunità e agli Stati membri perché essi non lascino cadere una così preziosa occasione per avviare a soluzione in un quadro unitario i problemi di un settore essenziale per l'avvenire della società europea e sottoliilea come «gli ingenti mezzi necessari per l'attiiazione della riforma in oggetto riconfermano la necessità pressante di un adeguato controllo democratico tramite un Parlamento Europeo eletto a suffragio universale e direttoip. Il documento, auspicando una rapida attuazione del Memorandum da parte del Parlamento e (le1 Governo italiani, ne sottolinea anche l'esigenza della sua uregionalizzazioneu. Nello stesso numero di Comuni d'Europa veniva pubblicato un ampio saggio di Domenico Sabella su «La ricomposizione fondiaria e 1'orient.amento culturale con il contributo del FEOGA-sezione orientamentou che, oltre a riportare le finalità e i compiti dell'importante istituto, settore per settore, indicava tutte le procedure necessarie per ottenere i contributi, pubblicando chiari fac-simile per l'inoltro delle domande. Il pregio del Piano Mansholt, che pur conteneva qualche errore di valutazione, consistente soprattutto nel voler disciplinare in modo uniforme situazioni a volte notevolmente differenti, risiedeva nel fatto che, per la prima volta, si affrontavano in modo chiaro e programmato le riforme di struttura e non più la politi- 63 ca dei prezzi, affidando alle imprese di adeguate dimensioni, condotte con metodi razionali e moderni, l'attuazione della politica agricola comune. Inoltre il Piano predisponeva gli strumenti per disciplinare un ordinato esodo dalle terre, soprattutto per gli anziani. Ma esso non fu approvato, per le critiche violente provenienti dai gruppi di potere che monopolizzavano il mondo agricolo. Precedentemente il Piano era stato oggetto di un esame da parte dell'Intergruppo del Parlamento Europeo per i problemi regionali e locali, in una riunione del 19 dicembre 1968 a Bruxelles, cui avevano partecipato per il CCE il presidente Cravatte e il segretario generale Bareth (per I'AICCE, il vicepresidente della provincia dell'Aquila, Mario Arpea): ne era scaturito un giudizio positivo (C.dlE., marzo 1969), per il fatto che «esiste finalmente - come sostenuto dal commissario Von der Groeber per la riforma delle strutture agricole un piano della Commissione che attribuisce valore decisivo ai fattori economici. I1 processo però deve essere attuato in modo che possa svolgersi razionalmente sia dal punto di vista economico che da quello umano». Di qui la necessità della collaborazione degli enti regionali e locali partecipi all'elaborazione dei principi di una politica regionale della Comunità. Perciò l'attenzione si sposta di più sulla determinazione ed utilizzazione del FEOGA, naturalmente collegandolo alla politica regionale comunitaria: è questo l'oggetto di un incontro svoltosi a Roma il 22 giugno 1971, di cui Co- COMUNI D'ELIROPA 64 muni d'Europa riporta gli atti integrali (ottobre 1971) sotto il titolo emblematico «Costruttiva contestazione delle Regioni alle proposte agricole comunitarie~.Nella riunione vengono a lungo esaminati gli strumenti messi a disposizione dalla Comunità per contribuire al miglioramento delle struttiire agricole ed alla soluzione dei problemi connessi, ma si critica soprattutto il grande passo indietro fatto dalla Commissione nei confronti del Piano Mansholt e I'esiguità delle provvidenze previste e si constata la necessità di uno sforzo unitario di tutte le regioni, coordinato dall'AICCE, per migliorare le proposte della Commissione. Sui rapporti fra Comunità europea e regioni, sul problema agricolo, interviene Comuni d'Europa (luglio-agosto 1972) con un lungo corsivo di introduzione (a firma G.Ma.) ad una intervista rilasciata dal vicepresidente della Commissione esecutiva di Bruxelles, Carlo Scarascia Mugnoza. Nel corsivo si individuano sia nel senso discendente (Comunità-regioni), sia in quello ascendente, cinque linee di sviluppo di questi rapporti, e cioè: il problema dei colle- dicembre 1982 gamenti orizzontali fra le varie realtà regionali all'interno della Comunità (esigenza politica alla cui concretizzazione il CCE deve dare un apporto determinante come associazione europea); la necessità di una consultazione e «consulenza~delle regioni (collegate dal CCE) e degli enti sub-regionali da parte della Commissione; un raccordo verticale con il Parlamento Europeo, eventualmente tramite I'Integruppo; una procedura, da determinare, che consenta di esprimere a livello coiaunitario non solo l'atteggiamento del potere centrale, ma anche quello delle regioni, opportunamente collegate fra loro, che contribuisc:ino alle deliberazioni definitive del potere esecutivo; il ruolo spettante alle regioni come esecutori delle direttive in materia di agricoltura. sioni sul ruolo degli Enti regionali in una politica comunitaria a favore dei lavoratori migranti» (documento pubblicato sul numero di novembre 1973). In esso si ricorda come uno studio preparato dal CCE nel 1967 (su «I poteri locali di fronte alla situazione dei lavoratori e delle loro famiglie che si spostano all'interno della Comunità. Problemi, esperienze e prospettive d'azione*) fosse stato riprodotto e diffuso dagli stessi servizi della Commissione esecutiva di Bruxelles, che due mesi dopo, a cura della propria Direzione generale degli affari generali, pubblicava anche il rapporto di sintesi, sullo stesso tema, curato da Jean de Wanger, redattore capo di ~Communesd'Europe», il periodico francese del CCE. Successivamente Comuni d'Europa riportava i resoconti e i documenti dei più qualificati 2.5. Emigrazione convegni ed incontri, come quello di Grenoble L'attenzione specifica del CCE per i proble- de11'8-9 marzo 1974 (C.d'E., aprile 1974); mi dell'emigrazione si cosncretizza nel 1973, quello di Noordwijkerhout, in Olanda, sul quando il CCE prepara uri documento da sot- tema della partecipazione dei lavoratori mitoporre all'attenzione della Commissione ese- granti alla vita locale, svoltosi il 30-31 ottobre cutiva di Bruxelles, conteriente «Alcune rifles- 1975 (C.d'E., gennaio 1976); quello di Rotterdam, dal 28 al 30 novembre 1979 su *I figli dei lavoratori migranti, (C.d'E., gennaio 1980). Da ricordare, anche, il contributo dato alla Conferenza nazionale sull'emigrazione, svoltasi a Roma a fine febbraio 1975, con un documento pubblicato nel numero di marzo 1975. Una particolare attenzione, in vista della prima elezione europea del 7-10 giugno 1979, vei testi fondamelitali niva dedicata all'esercizio del voto degli emigranti nei diversi paesi di residenza; ai vecchi problemi del diritto alla partecipazione alla vita civica e perciò all'elettorato attivo e passivo a livello locale, si aggiungeva il problema di come permettere il voto sul posto per le elezioni I>O hu r l 4 U t u url upWbif<r?.liuto rurripu di I I h& m m p » <lisiilappe rcpnmalc d nlei fiubbti< lnlirno r I ~ s t i1 w o ~ t i V tsbcn:&4 i L U ~ Ila <i>?tlnnlla~ per feci111a~~ li,iiilirr,iiic tana malte l rcrii rhr pubbIirka gwrrx<luli <r d<'iporl:iunudi Rcg&, PIIIUIfxtr <i>lle@~fl@~Hw La proposta del CCE, scaturita da un del Pfktt&s ti fu%ercfil~ F I ~ : I Q ~ Ieuropee. I< *m, r i ~ i t i portaeafi is Juta del I 8 m r : e 18tT r Cmuiii rd dtrr Enh locnii t n ~ c r ~ % ~ 1 .gli ~n~artwfrd tRruufarrirn~t~C'EE n. 714 75 che r$t>tpw* /:AICC1 n>nanc d toro wPvulo a m t z c ~ w t e e rfspùm?n udr t&t~b,rrrrvrper qun!~ importante convegno tenutosi a Roma il 21-22 i l I<»idu Dtur~runrdel f i r t ~ g l w erte dei srw 11ffn1d> Rana o ih d r a w l l ~ df a t e . C %t& urirrrltu Cur,-rrain dz # O I ~ I ~ < W ~ ? ~ I U I I O ~ E Rcpkr n r 8 miu. ~ il C&xlnr &i Cd d%urrb O i d n e r o Blullnl aprile 1978 (C.d'E., maggio 1978), curato .rrcnrt>CEE i1 725 7%rha uftnbrusbv d Fmuha d'accordo con il Ministero degli esteri e con la iirr Frrmr1:tumto rup&wmCirff pr@teawfr* dal F E W A . Senau oruntmwoL corrr partecipazione di sindaci delle città europee, Iului>wrz d iom$ìrwo Rormafrtv nrnialtdr olla$lsrei del Furmi~ @ del r w r & w r m t u sedi di forte immigrazione, e di esperti, è per ~iellrpo(ot&e reg<unrih d@@liStati imrnbrr la realizzazione di un sistema di voto da poter Uirr diie prwrdiinmtr (Reroi-ra fnirar ;<erro I irrarutn C R 4 fZE n IJalM. cite effettuare presso i consolati. I1 Ministero degli ~wmsdMarnlu m a - e h t o M d h s&bne #f bdioralu & r m t d l e drllr <*mnunlr&e uW interni, da parte sua, riconosceva lo sforzo fatto Jmtl)f**Rtc d k w r e rui ki rtilunru 41 d n t ~ 1I <'OnSIGLIOB E W fOMUWlTN BUW(tP1.P de, Con.irgl,o rblhui &ti$& EhE m WU~IC n>tr spmte santag :iwc del Fondo nri hparruwmti t-st dalla Sezione italiana del CCE, indicando ~ dutrre?irire) gur fwmdo mrh dcIPhila~mi 2% nell'opuscolo ufficiale illustrativo delle modadel seri8 PdOltms 11 llC>Z àul delo~siplru ra ,ufr la irririirlurm, so>u rrori wnesx prdd m .,*t ~ l M lità di voto per gli emigranti italiani all'estero oirnri rtr ~nietc%u drtc#fumcnrc o p r i t i r r ~ r.pla ,I Cun>,,.m e@kJ %x-Qwa 11 # CUnlnbUI0 *I *OnOr* wr r m t n rmterluntior~.ic R@#ant.le Pn, *r ò dnr ruar u e n a ( o rn fuw-191* ddl inwnmia la collaborazione che il CCE poteva fornire. &hbn d a r -li Ic regans anr, r I Comum &nod. e h . a oami. W*2 dil m&itc.,cke M t n a ~ p ~ cwrn t u am* Wlfi I1 ruolo giocato dalla nostra Associazione nel rwpe roid m1~.&Coanara(ibLi91ddipruaarr mC caaipmua di s.iwar~ I ' i a t c m e h tl ~ m i a t ~ m rnh+i~em lanw di] wnro 41 .ir;ta settore dell'emigrazione, di cui è responsabile dee Cwaunt a ' ~ u m wM t m m rwta I C I I ' / n l g &! m Wdmrb. -. da d b Mia C r n ~ u n l l l'attuale segretario generale aggiunto, Enzo Baldassi, otteneva un alto riconoscimento nel novembre 1979, quando la I11 Commissione permanente del Senato italiano ascoltava, per una indagine conoscitiva sulle comunità italiane all'estero, una delegazione della nostra Associazione, composta dal presidente, Giancarlo Piombino, e da Aurelio Dozio, membro della segreteria, che illustravano una nota precedentemente predisposta e pubblicata in Comuni d'Europa (gennaio 1980). In essa, dopo aver riassunto i principali momenti dell'interesse del CCE per il tema, si afferma che il fenomeno dell'emigrazione, con le sue implicazioni E' M e un Fcmda rurcgru di & \ ' t z b w u W ,& & awito * m ; r r i > economiche e sociali, è una conseguenza diretr wmpprrc t ptim&ult uiutghn in ~ur>@tm3-otBtr %u* ta della persistenza dei gravi squilibri regionali <@h *nrr.it& a$*, t ~ 6 t rutz ~ t t a fra gli stati e all'interno degli stati, che spingono i disoccupati e i sottoccupati delle regioni più deboli a trasferirsi nelle zone economica- I1 Fondo europeo di sviluppo regionale i 1% ii~i E t& i ,mi OEURO dicembre 1982 mente più forti, e si prospetta che la soluzione può awenire solo nel contesto di una politica di sviluppo più equilibrato e di un diverso modello di crescita sociale ed economica a livello europeo. I concetti generali già enucleati nel documento predisposto per il Senato italiano (emigrazione come conseguenza diretta degli squilibri territoriali), vengono ripresi dal documento finale approvato dal Convegno soprannazionale tenutosi ad Assisi (C.dlE., giugno 1980), dedicato al tema della partecipazione dei lavoratori emigrati nei paesi di accoglimento. In esso si «conferma la necessità di ottenere dai governi l'aumento del bilancio comunitario, secondo quanto richiesto dal Parlamento Europeo, nel quadro di una programmazione economica comunitaria che permetta un riequilibrio territoriale* e si «invitano gli amministratori locali a proseguire e migliorare le iniziative per l'inserimento dei lavoratori migranti nella vita amministrativa, politica e sociale, ribadendo che la dimensione europea non esclude anzi rafforza la necessità che le legislazioni dei diversi paesi prevedano il diritto di voto, a livello amministrativo, per tutti gli stranieri residenti e no*. COMUNI D'EUROPA ln Ci>nferrnin u sL'4vtpn(m d t l l n w i l l l e n inunllh cunt(>er *. L* r l u n l w per la prima *»m1 7 r iS &FN~R $976. R T J d r n l l ed dir) rpppresenlinll drlk regioni te il1 enti -3 b t l t i l r k n l areni1 Fornpelrmp aneh#hrl &l n%c&si u t r M &ite LbL, ru Inlelrll$a dl k.dga i k n l e della R Fr'rsnrhrCmnle c Rprldcnls del1 rkmrib I r a m e . *I C u ~ l g R o*l Oitlmmull d't.uniya r &IVUalasr lntcribprlcrnek del& rIItB c. bri puW k n t l a l ) . %&iW dr>l'apertrra M n e a p r r l f r r i p r m l M Pril rwmbri do(la CmmadiA i u l k p n m t r d r l l u Comrniuhme -r nrilli ia p d i l k m rqlhaabt cnraunlisrlr c ii rrcla*>.ip del F o n b u i t t o p r o JI sviluppo ngbnuk, &P> a&et &iato e d i r p p n u l l o k m l i l k m l p m r n t s t c ds <.rxww inanlrar. CaMM%w% h*arkmtn &la p f l i l k a w'dlnnuk i ~ n w n i l i u l r r .r da GIPnIrmra %artisal, nrpnurMk W miom r l u d l sci funnlp(b &lCurnuni dauropa, C dopo u n r awn>lwd(la dl - 8 c k r i-mi l u i i n )n c~@nIp e u '1 dcre r r ~ l l r t r r etiira miglluw Iirtera fra Slrc'i t polfri h n l i e rugbnnli CONSIDERA - ncreuar(o CI% k asplrullonl t I pareri d e i p11erI rrgtt* NU e k n i i ru-l .O wgnV CUIUTIU~I I IbweIIu wanumiI.r& li r lorrll dcbhn<i fare quanto m e r sa& niflneht i'miltvlll gib m a l l a r l m w t u I'edd. &Cuid#l*r l &i fumwl d'Furop o M i a E C U ds a p p n d d l a e mslbi #w$riii# crir s I l v c l b cumpo: 9 nusabru. RICHIEDE ilk d u (kunPÌ.dusl t n l c m n d m a l l di mlrd bcali. Il CLE. e I r i 1 ' 1 ~ . di r~*rpre, ihgurr c rrsdm r ~ p r ryhi COEI-~IIUILI~ I C& t pwrrnì rl bprstdm e ~arpkn o@ LIORO, anrk <. diq lavori, ~ U k pmm o Lr Cummhrkm &lk Lvmunile fbBIQflu, per -~e@m )'ebbkiil~a.rtlcnute v l U r pn IkqullC r k ou 81bna n n l l i l d t o p* & prrrrrhl anni M>e u w . dl rtdurrr br &parlib mgbnali r r*pcltb.o punluaC (juppo di Lrwm s c.nilpmumiir cnntdbuira r d mente k dl f u n r i a i n m n l s &a F a d u chr & iirul huwo ip1~Ururrtkr.i n -1). dl pdllb rrg-jnnak.I'lnuea fra k Regiomi Iia*rio: chic& .trk cBi tm*nl+ &lrua mruitr>o o gli a l t r i pol& ù x n t i o b i t ~ n ir a n p n c m c unsbgiu &fla ,airrmcRI'> b ~mulmnJutdmle Brl SI. h<Mti < m n u d l a nvopi h%nsrm ù l p i i ~ t o h p p t rl pnranm m J I 1 F d ~ d p w ~ mankr* u i n k c h r ii aa,v a e w m s k dp m a n i m u t o p(lcue i rn-el k brltudoni mm<drsr* r urganlusm In nrnustsnir I%fhksmX modo mnunmlc u n ia\di rHkdow. CHIEDE - - ~~ - 2 rhe i r d i t dilk Cominltb *rao u t l H a a i i w n i o di -io S u t l nrmW cpn>brrbbmr re Il esblem. I« i mmp8@ PmPa - 3 e k si o p r l aa. ntldu k f l l v l l a g m y o i f k a ed erau, rMIr d.1 F.ED.E& per rULcrrrr ~ l l s ldil ~rilupprr q r b n d k urf firknlmrsa -t: CIIIEDE 2.6. Ecologia - rht SI.%t1 I p v 6 u ~ i a oh n dai 1978. mu ~ a rln ua cb k irnpegrral* I mcwami p t t ~ ci8d-)I tqhrrPk, r c g w C 19 dlri m 1 la& .bmo a qUQt0 Paprrum c m d d r n t l ~ c a p r t lr m q l p r t l & I h d u W dl t r l h p W . R s p u a i a n gk4dcbtaaa nm p k n a m m l c u n c L I t r k p m W I t u k c alla rea d+l mmnRlia( d l irlluppe c b il flluirbim d Il problema ecologico, visto nella prospettiva del ruolo degli enti locali e del quadro soprannazionale di soluzione, trova attento il CCE e Comuni d'Europa, che nel numero di novembre 1971 pubblica un primo schema di quella <Carta europea dei Poteri locali per la salvaguardia dell'ambiente naturale ed umano» che, elaborata agli Stati generali di Nizza del giugno 1972, sarà poi chiamata la «Carta di Bruges*, dalla città dove l'Assemblea dei delegati, il 27 e 28 giugno 1972, approva il testo definitivo: nella relazione di Nizza su «I1 ruolo e le responsabilità dei Poteri locali e regionali nell'attuazione di una politica europea per la protezione dell'ambiente naturale ed umanou, curata dall'olandese Reijnen (co-relatore Aurelio Dozio, che ha illustrato il progetto della «Carta) si esaminano sia i principi di base di una politica dell'ambiente, sia la necessità di una presa di coscienza del problema, sia, infine, il contributo pratico delle collettività locali e regionali alla politica dell'ambiente. Sullo stesso numero del periodico che riporta il testo della relazione (aprile 1972) compare anche la prima parte (le successive compariranno sui numeri di maggio e novembre 1972, maggio e ottobre 1973) di una imponente bibliografia ragionata sul tema, curata da Andrea Chiti-Batelli, unica nel suo genere, che tocca i problemi dell'ecosistema non solo dal punto di vista generale della natura, ma anche dei singoli settori: acqua, aria, rumore. Il testo della Carta resta di grande attualità e, forse, di insuperato contenuto: «Il fallimento di un sistema di sviluppo - si afferma fondato sullo sperpero della terra e degli uomini è divenuto ormai lampante: così come sono state orientate, le nostre attività determinano una aggressione continua ed intensa all'ambiente naturale. La violenta crescita della popolazione e la sua cattiva ripartizione, l'accelerazione brutale e disordinata - nel corso dei 65 * - .* 5 che $4 miM Inhn ma re& ed ad pn%'elil -)lrro*ar< che hiirmo &I v&. &W- - n l m m per q - ~ o rtnur CUII Mi *Il "~eUlBloll, un.arla>. m&maII pr dlmwinrc e raitr(b)rc - i WI u i l k rlradrrt che la pontia rrl(auk nni e la 4 di ik. ~ m m m i l u r i srhr inck*an .ul m l d m&nnaIl e k a l l M v rm lek o+-&ww.P us+r & a n i di ras r t r u l l u r a tk&Wk blnna ad «a ms*n pdlih c o ~ I a I l r o prira . ira1 1m . tn mog> rliicmLsfh,. c w l o L propria rripaolbillln. I u l t l gb *iiddi i n t r m s ~anmzpn. k cqrbni C @l ahrl pr<rrl locatl n ~ltuduol -1d+ib C d U drl N a s 'Yn PP -10 UIChe UudlrpC k m H I S di U N ~tltlfO<* hlilU ~*uuiIIudorr M npporil t r a IPoleTI lTdm.n C LXILI <L( %L .'. r gil a p n i comunlttrt 18 &*yilhiIaUUU .Ik Eoniwmu sull'nivtnlrr Qrila puli t k i &k &ib C a a u n i ~wmqc~,d k v a m&r& la ~ 1 i v lnt-m a d@ strunmnli dcllr pn(ltk~ r q i m a k . l ' m c r r a i u t a cowhun europea, Il mm?nic l u m k r n r n r n l o &I Fvndo di ~ r l l u p p s ,i .*m n o ~ c u u l m n l ca m a r a l l l t r a d i r l a u i i .puiilhrl Irr 1wt1 r &Wi nl quidn) d l u ~ crlS . smvc e d+ s u i l l i A -i che Inrratc i u i t s I'Funy>* Ikddaurk i.'weef~luaml -t: equllgirl m&mnll inm P corni>siiMk mi u l u «nrtul*nw denmurrlkb Mia Cmmunita ~lri.m-a I*l e d e m e W p t i l v e wnnu nmcrasiatc inn unn nw,rn pditlrzi m m k a eh<. p m e r p u l i a m n t r r i i m i n l k ~migrnbnli w i a i c m I'r'alrr~ c m l r r r i o drlla Ilhora r l r i e i l s z b w &tls mam &wrr r eambo i3 F ED.ER g)o u n u dcgki m l ~ m m t della l pJ\ ilea reghmk, -5%sii rpui'tibrl m g k m a l della C e m w l l b &Pnr m I n q w t a sbiusrkinc deve nurlam il p c m r o k quadrii d i rlfQi+ i r t l i con mu p&~i<lrir1nttlui11kgldmk che ~ i x d l nI il&Il+n s n t o c d n e alaruiitw iin nilnvo p n > ~ c l t du l r r k l o h*iiilla SII uur Mlkk ptiarcsli o & x t m t i &usuIari conlrpradonil. L'in dbcrsa gt.rarchlu del rnnsi,ml. ni uni difiereiitr gografia del?ll 113 i c r d 6 o n d a a s di o-b divndilkhr e te& e k I m n m l &h. due ultimi decenni - dell'urbanesimo e dell'espansione industriale, lo sfruttamento intensivo di risorse di cui sappiamo che non sono rinnovabili, la gestione irrazionale di quelle rinnovabili, 1'evolu:zione di certe tecniche di produzione agricola e industriale, la non osservanza delle legislazioni, la competizione sfrenata in tutti i campi.. hanno comportato una degradazione quasi irreversibile dell'ambiente ...3. Sui problemi sollevati dalla Carta, con particolare riguardo al ruolo degli enti locali, si tenne a Roma un Convegno europeo promosso dal CCE, in collaborazione con la Comunità europea (28-30 novembre 1974). L'importanza e la concretezza delle relazioni e la qualità del dibattito venne sottolineata da tutta la stampa quotidiana e periodica, che prestò anche molta :ittenzione, successivamen- te, ad alcuni saggi, pubblicati più recentemente su Comuni d'Europa, come quelli scritti da Walter Briigner su «Difesa del suolo in Italia: carenza di organizzazione, di qualità o di costume?~, nel quale si paragona la scandalosa situazione italiana a quella degli altri paesi europei, e «Per un più ampio impegno degli enti locali sulla difesa del suolo*, pubblicati nei numeri di giugno 1977 e novembre 1978. Con angolature più settoriali il numero di Comuni d'Europa del febbraio 1982 riporta il resoconto e la risoluzione di Brest sull'inquinamento marino, mentre il numero di settembre 1982 pubblica l'intervista, data in esclusiva dal ministro del mare francese Le Pensec sulla legge per la protezione delle spiagge francesi, seguita da un corsivo, che suona come monito all'immobilismo, se non addirittura al disinteresse dei responsabili del.nostro Paese. 3. Rappresentanza e partecipazione nelle istituzioni europee 3.1. Nella Comunit3i europea Nella riunione del suo Comitato costituzionale - che aveva lanciato poco prima 1'Appel- lo di Esslingen per la Costituente europea -, tenutasi il 16 marzo 1955 a Strasburgo, il CCE si era pronunciato per un sistema parlamentare europeo bicamerale, nel quale la prima Camera 66 COMUNI D'EUROPA (bassa) sarebbe stata espressione del popolo europeo, eletta a suffragio universale diretto; nella seconda Camera (alta), invece, emanazione degli Stati, avrebbe dovuto, secondo la richiesta del CCE, aver posto anche una rappresentanza dei comuni. Va notato che la richiesta si rivolgeva ad una ccostituenda comunità politica», di cui si stava dibattendo dopo la caduta della CED. I fatti, invece, portarono, il 2 giugno 1955 (qualche mese d~opola presa di posizione del CCE), alla convocazione, da parte del ministro degli esteri italiano, Gaetano Martino, della Conferenza di Messina, da cui presero I'awio le attuali Comunità europee (CEE e CEEA). Non va dimenticato, anche, che I'attuazione dell'ordinamento regionale italiano gli inserti di Comuni d'Europa dicembre 1982 anno 1!#80 L'uniti e u m p e i1 problerm dell'rmigrazmne. Il punto di vista tkfl'AICCE sulle co. munita italiane all'estero pap. I . . anno 1978 Biugno Il rapporto hcB<>ugall 11 ru<il«dt.lia tinnnra pubblica per I'integraztune europrd. di (;iarrfranco ~Wurtrtri . . . . p!.g I ta relarione geiierale . . png I tuglioagosto Gli europei adulti Le eleticini europee e i compiti politici dei poteri lcuiali e regionali, di L'ntbcrru Serafini . P%. V settembre Il documento dell'Uniorie europea dei federalisti. Manifaito per I'rlcrione europea pag. YVII dugao II Parlamento Europeo, poteri e risurse c e munitane, relazione di (iiancarlo Piombino pag, XIII lug i a politica rnergetica dnla Comunità eurcb pea e gli Enti l o d i , di Gianfruncu Murlinr pag. XVII wttcmbn I1 ruolo @ u m pdella programmaxione regionale: una ~potesicor~creta,di Ninn Ferreili . . . . . . png. XXV . . OtLOiFre L'ispirazione personatista nei trattati comunitari e neli'attività deflii Corte di $iustSia dàle ComunitB, di Gianfranco Marttni pag. XXVII anno I n 9 tFM0 Lavoro e occupazione nella prospettiva del. l'Unione vconomica e monetaria: asptli m* netari e di Finanza pubblica, relazione di Lherer Brehl . . . pag. XXI . . . febbraho Per il nuovo Pariamento Europeo. 1 programmi europei dei Partiti . . pag. XXIX . . . . . . ., I Cons "onazfonaIe dell'AXCCB (Roma, 7 opri- 1. E& . IELaM IL Convegno sorrannazionate di C~nova,Le Regioni p r I'allar amento delh Comunith europea a Grecia, $ortogallo e Spagna pag. X L U aprile Iln reate progresso verso la Federazione. Impegno del popolo europeo nel pracesso di integrazione europea . . pag. LXXIII . Per un Fronte democratico europeo. I %indacati e l'Europa. a cura dì Lrrigr Troiuni pan. LXXXI " @ugllro Dopo il Congresso di Monaco. I Sindacati e l'Europa. di Litigi Troiani . pag. CXVII . Consigli<>nazionale dell'AJCCE (Roma, 4 luglio 1999) . . . . . . pag. CXXV . ottobre fbpporlo ai Coaiiiata fcdcrale UEF, di Maria Afht.rrini . . . . . png. CL111 . novembre I cristiani nella costrur,iune dcll'Europd, di Giulio C;tninli . , pag. C1.llI . . . &ambre I problemi urbani nella Comunila cbrrapra (Livarpvw,ril, 6-9 nr~vernhic 1979) part. CIXr Giornata cun>pcu della scuola 19% paga CI,XXV 1 ~ 1 . ~ 9 8n1 Manifesto di vaototaac m. mrx nel contesto ooqnuniritrio (atti del convqpo AEDB I Lmco) pepl. I era ancora lontano e ancora di più lo era negli altri paesi (escluso, naturalmente, il caso della Germania federale) per cui solo più tardi, quando il regionalismo diviene operante in Italia e assume connotati sempre più marcati negli altri paesi della CEE, si riproporrà il problema di una rappresentanza degli Enti regionali e locali in una seconda Camera europea. Un elevato contributo giuridico e culturale al tema: regioni-stati nazionali-comunità soprannazionale fu dato agli Stati generali di Cannes, del marzo 1960 (C.d'E., maggio 1960), dalla relazione di Gaspare Ambrosini. Egli riprese e sviluppò, tra l'altro, la tesi contenuta nel suo volume «Autonomia regionale e federalismo», dove si prospetta l'opportunità di prendere in considerazione l'«autonomia regionale» come elemento caratteristico di un tipo di Stato diverso dall'«unitario»e dal cfederale», e precisamente di un tipo intermedio tra questi due, da denominarsi «Stato regionale» sulla base dell'esame degli ordinamenti di Austria e Spagna, prima dell'awento delle dittature. Proprio dagli Stati generali di Cannes era venuta l'esigenza, espressa in una risoluzione politica (C.d'E., marzo 1960), di associare più strettamente i Poteri territoriali locali all'attività dell'Assemblea parlamentare europea (il 30 marzo 1962 assumerà la denominazione di Parlamento Europeo, senza peraltro mutare compiti e funzioni): a questo scopo, il primo luglio 1960 a Strasburgo, durante la sessione dell'APE, sotto la presidenza di Joseph J. Merlot, rappresentante del Consiglio dei Comuni d'Europa, si riunirono numerosi deputati europei, presente anche il segretario generale del CCE, Jean Bareth: partecipavano alla riunione, tra gli altri, Robert Schuman e i presidenti dei gruppi democratico cristiano, Alain Poher, e socialista, Willi Birkelbach, nonché il presidente del gruppo di lavoro per le elezioni europee dell'APE Ferdinand Dehousse (il cui progetto non fu mai preso in considerazione dal Consiglio dei ministri e si è dovuto aspettare fino al 1979 per eleggere il Parlamento a suffragio universale diretto!). La delegazione italiana era guidata da Pietro Micara, sindaco di Frascati e vice presidente dell'AICCE. Al termine dei lavori si costituì 1'Intergruppo dell' APE per i Poteri locali (C.d'E., luglio-agosto 1960), che portò avanti una buona attività, fino a quando la successiva creazione, in seno al Parlamento Europeo, della commissione per la politica regionale e dei trasporti ha modificato il luogo ma non i contenuti e il significato politico dei rapporti fra l'Assemblea comunitaria e i Poteri locali, associati nel CCE, come dimostrano i due hearings sui problemi del Fondo europeo di sviluppo regionale del 1973 e quello sulle regioni di confine, del 1974. Ma l'idea di un organismo ad hoc fu ripresa nel 1980 con la creazione di un nuovo Intergruppo (qualitativamente diverso dal precedente Intergruppo, creato nel 1960 nell'ambito dellJAPE), presieduto dall'italiano Giovanni Travaglini, che tiene sedute periodiche durante le sessioni. La prima riunione ufficiale si è svolta il 17 aprile 1980 a Strasburgo (C.d'E., maggio 1980). A questo organismo si affianca il Comitato consultivo delle regioni e degli altri enti locali, promosso a seguito della Conferenza di Parigi del dicembre 1976 (C.d'E., marzo 1977), delle 67 COMUNI D'EUROPA dicembre 1982 cui riunioni il nostro periodico dà regolari resoconti. Ma il forse irripetibile momento che tutto il processo di costruzione europea sta vivendo (da quando il Parlamento Europeo ha preso I'iniziativa di riscrivere un nuovo Trattato idoneo a dare alla Comunità la capacità di rispondere in modo adeguato alle sfide politiche ed economiche mondiali, garantendole una struttura in grado di evolvere in senso federale) ha ridato un motivo contingente e più concreto all'azione del CCE per una rappresentanza degli enti locali nelle Istituzioni europee: su iniziativa del Movimento Europeo, sotto la spinta del CCE (a sua volta trainato dalla Sezione italiana) si è costituita una commissione istituzionale, presieduta dal tedesco Martin Bangemann, per fornire utili suggerimenti alla Commissione istituzionale del Parlamento Europeo, presieduta dall'italiano Mauro Ferri, e coordinata da Altiero Spinelli, che ne è anche relatore, da utilizzare per il progetto di nuovo Trattato comunitario. È ora la Commissione Bangemann (di cui è membro, per I'AICCE, Giancarlo Piombino) che ha proposto un meccanismo di rappresentanza delle regioni nella Camera alta del futuro Parlamento, in un documento approvato nel dicembre 1982 e le cui linee generali sono indicate nel numero di ottobre '82 di Comuni d'Europa e in aderenza a quel motto che dal numero di gennaio 1975 campeggia nel nostro periodico a fianco alla testata «Comuni d'Europa,: «dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale*. 3.2. Nel Consiglio d''Europa Nell'ambito del Consiglio d'Europa il tema della rappresentanza degli enti locali e regionali si scontrò subito cori il nodo politico centrale, messo già in evidenza alla seconda sessione della Conferenza europea dei poteri locali, I'organismo creato su iniziativa del CCE: cioè, la sostanziale differenza tra il Consiglio d'Europa, istituzione puramente consultiva, e la Comunità europea, istituzione in grado di evolvere in senso federale, con alcuni istituti prefederali o addirittura federali (si pensi alla Corte di giustizia e al diritto comunitario o ai Regolamenti). Di qui l'esigenza di creare, nel seno della Conferenza, un orgariismo specfico per i Paesi della Comunità. È in questo ambito, infatti, come affermava il presidente Dehousse alla Conferenza, convocata dal 29 al 31 ottobre 1958 a Strasburgo, che «si profila, come risultato del processo di integrazione, una struttura politica comunitaria d.otata di un Esecutivo e di un Parlamento, in seno al quale gli amministratori locali devono essere pronti ad assicurare adi fronte alla rappresentanza dei popoli considerati nel loro insieme numerico, quella delle collettività intermedie, (C.d'E., gennaio 1959). È lo stesso Dehousse che, autorevolmente, riprende il tema del *senato dei poteri locali^, in una ampia relazione al congresso promosso dalla Sezione belga del CCE (C.d'E., gennaio 1961), facendo propria una delle linee fonda- mentali che il CCE persegue sin dalle origini. I testi fondamentali, approvati durante le varie sessioni della Conferenza dei Poteri locali, sono stati pubblicati periodicamente in Comuni d'Europa non solo a titolo informativo, ma anche per il loro valore culturale e scientifico che molto spesso li contraddistingue, anche se, come detto, essi mancano poi del quadro politico di applicazione (vedi, per esempio, C.d'E., gennaio 1982). 0 0 . 3 A conclusione di quest'ampio, ma certamente lacunoso quadro sulle battaglie che Comuni d'Europa ha cercato di portare non solo nelle amministrazioni locali e regionali, ma anche nella società europea, non ci resta che I'impegno a continuare nella nostra azione: lo faremo ripercorrendo le strade già collaudate e dimostratesi valide. Lo faremo dedicando le nostre pagine, con continuità: alle istituzioni europee, agli aspetti comparativi delle autonomie locali, al pensiero e azione dei federalisti, ai libri, nonché agli «inserti».Riprenderemo rubriche fortunate come il «Chiaroscuro»degli anni '60, un tipo di segnalazione di brevi passaggi di discorsi, relazioni, pareri, a favore e contro l'unità europea, o il «dizionarietto*, brevi schede che chiarivano l'importanza di fatti, iniziative o istituti qualificanti del processo di inegrazione europea. Soprattutto contiamo sulla collaborazione attiva di vecchi e nuovi amici al fine di compiere un salto di qualità determinante per la realizzazione della Federazione europea. COMUNI D'EUROPA Organo dell'A.1.C.C.E. ANNO XXX - N. 12 DICEMBRE 1982 Direttore resp. : UMBERTO SERAFINI Condirettore : GIANFRANCO MARTINI Redattore capo: EDMONDO PAOLINI Piazza di Trevi. 86 - 00187 Roma Jean Bareth. non li dimenticheremo A conclusione di questo numero per il trentennale di «Comuni d'Europa» vogliamo qui ricordare quanti hanno direttamente contribuito a rendere la nostra Associazione e, di riflesso, «Comuni d'Europa», la più importante tra le organizzazioni che lottano per la creazione delia Federazione europea. Ci riferiamo a coloro che ci hanno lasciati, e pur sapendo di dimenticare qualcuno non possiamo non ricordare, per quel che riguarda il CCE: Jean Bareth, segretario generale, Artur Ladebeck, Robert Mossé, Raymond Berrurier, Emilius Hamilius, Dieter Roser, Jean Joseph Merlot, Ernile Ronse, H. Schaub, Raymond Mondon, James Greenwood, Arthur Skeffington, Claude Delorme; e per quel che riguarda la Sezione italiana (AICCE) e la collaborazione diretta a «Comuni d'Europa»: Renato Briigner, Alessandro Schiavi, Amedeo Peyron, Vincenzo Ciangaretti, Angelo Seracchioli, Pietro Micara, Domenico Smargiassi, Nicola Buracchio, Giuseppe Grosso, Giacomo Centazzo, Natale Santero, LambertoJori, Celeste Bastianetto, Silvio Ardy, Glauco Della Porta, Elena Sonnino, Vincenzo Beiiisario. A noi l'impegno di continuare la loro opera. Abbonamento annuo per la Comunità europea, ivi inclusa l'Italia, L. 10.000 Abbonamento annuo estero L. 12.000 Abbonamento annuo per Enti L. 50.000 Una c o ~ i aL. 1.000 - (arretrata L. 2.000) ~ b b o n a m e n t osostenitòre L. 300.000 - ~ b bonamenro benemerito L. 500.000. Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma I versamenti debbono essere effettuati sul n. 35588003 intestato a: Istituto Bancario San Paolo di Torino, Sede di Roma - Via della Stampe&, 64 Roma (tesonere delllAICCE), oppure a mezzo assegno circolare - non trasferibi/e - intestato a sAICCE», speczficando sempre la causale del versamento. c / c postale Aut. Trib. Roma n. 4676 dell'll-6-1955 LITOTIPOGRAFIA RUGANTiNO ROMA - 1982 Associato aIl'USPI Unione Stampa Periodica Italiana 68 COMUNI D'EUROPA pag. 23 Una vera moneta per uscire daiia crisi pag. 2 I temi di lotta del popolo europeo EDMONDO PAOLINI, redattore capo d i comuni d'Europa# j i dicembre 1982 3 Per una copertina plasticifata si può deliberare UMBERTO SERAFINI, presidene delllAICCE e direttore di nCom u n i d'Europa# 4 Le battaglie del Consiglio dei Comuni d'Europa THOMAS PHILIPPOVICH, segretario generale del CCE 5 I1 CCE in prima linea ALTIERO SPINELLI, parlamentare europeo e relatore-coordinatore della commissione istituzionale del Parlamento Europeo 6 Riflessione sui passato e indicazioni per il futuro GIANFRANCO MARTINI, segretano generale dell'AICCE e condirettore d i n Comuni d'Europa# 8 Attualità drammatica del riarmo atomico ALBERTO CABELLA, socio fondatore delllAICCE e già segretano del comitato di iniziativa del Congresso del Popolo Europeo 9 Ricordi personali e una testimonianza politica FRANCO F E R R A R professore O~I, aL'Università A Roma 9 Lettera aiia nostra redazione LUIGITARRICONE, presidente del Consiglio della Regione Puglia 10 Equilibrio del terrore e Governo europeo GIUSEPPE BUFARDECI, vicepresidente vicario dell'AICCE 11 Decentramento-integrazione: parallelismo o contraddi- GIOVANNI MAGNIFICO, capo del Servizio Cooperazione economica internazionale della Banca d'Italia 25 Non solo idee ma fatti MARIA LUISA C E R R ECASSANMAGNAGO, ~I vicepresrdente del Parlamento Europeo 26 L'ordinamento comunale in frantumi AUGUSTO TODISCO, socio emento delllAICCE e gxì segretano generale della Lega dei Comuni del Canavese 27 I1 decentramento in Francia ANITAGARIBALDI JALLET, professore aiilUniversità di Bordeaux 28 I1 contributo di «Comuni d'Europa» per l'affermazione del paradigma europeo GABRIELE PANIZZI, assessore agli Enti locali della Regione Lazio 29 I1 movimento socialista in Europa GAETANO A&, parlamentare europeo 3 1 Raccogliere non seminare GERARDO MoMBELLI,vicedirettore deiilUfficio per l'Italia delle Comunità europee 33 Obiettivi europei e piani nazionali RAIMONDO CAGIANO DE AZEVEDO, professore aiilUniversità d i Roma e segretario generale del Centro Italiano d i Formazione Europea (CIFE) 36 Istituzioni e cultura politica per l'Europa «seconda genera- l 1 1 I 1 1 l lI zione)) zione MASSIMO BONANNI, professore aiilUniversità della Calabna GIUSEPPE PETRILLI, presidente del Movimento Europeo 12 I1 nostro messaggio GIANCARLO ZOLI,vicepresidente delllAICCE 13 Urbanistica in crisi GIUSEPPE CAMPOS VENUTI, professore al Politecnico d i Milano 15 I principi d'azione del manifesto di Ventotene MARIO ALBERTINI, presidente delllUnione Europea dei Federalisti (UEF) 17 Contro due pericolose illusioni CESARE MERLINI, presidente dell%tituto Affari Internazionali (1-4 18 Un'opinione pubblica consapevole deiia battaglia fede- ralista GIANCARLO PIOMBINO, membro dell'Esecutivo delllAICCE e già presidente 19 I1 federalismo europeo strumento politico deiia società po- st-industriale ORIOGIARINI , già segretano generale del Movimento Federalista Europeo (MFE), membro del (Club di Romair 20 I1 Parlamento Europeo parla a nome dei popoli deila Co- munità PIERVIRGILIO DASTOLI, direttore A ~Crocoddes 2 1 «Refaire la Renaissance)) ARMANDO RIGOBELLO, professore aiilUniversità d i Roma 40 I1 turismo: problema culturale Aumrro Dozro, segretano amministratrvo delllAICCE 41 Regioni e Comunità europea ONORATO SEPE,professore aii'università di Roma e direttore delllUfficio Regioni del CNR 43 La funzione storica deii'AEDE LINOVENTURELLI, professore aLIUniversitàd i Pescara e segretario generale dell'Associazione Europea degli Insegnanti (AEDE) 44 Riunificazione tedesca e unificazione europea SERGIO PISTONE, professore alllUniversità di Toni20 46 Appuntamento con la storia LUCIANO BOLIS,membro dell'Esecutivo delllAICCE,presidente della Federazione italiana delle Case d'Europa e vicepresidente del MFE 48 Due saggi sul Parlamento Europeo GERARDO ZAMPAGLIONE, ambasciatore d'Italia INSERTO:Trent'anni di vita dell'AICCE: saggio storico-bibliografico ANDREA CHITI-BATELLI, già consigliere parlamentare del Senato e segretano delle delegazioni italiane alle tre Assemblee europee I ABBONATEVI A turopa Hegioni agenzist settimanale p e r gli enti regionali e locali Organo mensile dell'AICCE, a s s o c i a z i o n e unitaria d i Comuni, Province, Regioni I' I esce tutti i venerdì a cura dellJAICCE ci si abbona con sole lire 100.000 sul c/c postale n. 35588003 intestato a Istituto Bancario San Paolo di Torino (sede di Roma, Via della Stamperia, 64 00187 Roma) specificando la causale del versamento 1