Libri luterani verso
il Friuli: Vergerio,
Trubar, Flacio
Silvano Cavazza
1. Per la propaganda luterana la strada che portava in Friuli da Villach
lungo la Val Canale fu inaugurata in modo clamoroso da Pier Paolo
Vergerio, nel marzo 1558. L’ex vescovo, non più giovanissimo (aveva
ormai sessant’anni), si trovava ancora a Tübingen in gennaio; in febbraio era a Vienna e il 19 aprile già di ritorno nel Württemberg, dopo una nuova sosta a Vienna: è comprensibile che il viaggio in Friuli
sia sfuggito alla maggior parte dei biografi tedeschi. Vergerio era passato per Pontebba, Tricesimo, Manzano, senza attraversare Udine;
a Mariano entrò in territorio austriaco, proseguendo per Gradisca
e Gorizia fino a Duino, dove si fermò dal 18 al 25 marzo, ospite di
Matthias Hofer, signore del luogo. Aveva viaggiato in carrozza, accompagnato da alcuni cavalieri, probabilmente occasionali compagni di viaggio più che una scorta vera e propria. Nel ritorno non toccò più il territorio veneziano e raggiunse a cavallo Lubiana attraverso
Aidussina e la Selva di Piro (Hrušica): un percorso assai meno agevole, praticamente precluso ai carriaggi. Il suo bagaglio del resto si era
molto alleggerito: lungo la strada e a Duino aveva infatti distribuito
un gran numero di libri portati da Tübingen, per lo più proprie opere,
di piccolo formato e ancora a fascicoli slegati1. Quest’aspetto del viaggio di Vergerio allarmò particolarmente le autorità ecclesiastiche: gli
opuscoli erano letti con avidità e passavano di mano in mano. Della
Andrea Del Col, L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, 1557-1559,
Trieste, EUT, Montereale Valcellina, Centro Studi Menocchio, 1998, pp. xxviixxxii, 107-152, 329-342.
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loro pericolosità si accorse lo stesso luogotenente di Gorizia, Vito di
Dornberg, buon cattolico: erano «libri pieni di oppinioni horrendissime», scrisse in aprile al vicario patriarcale Iacopo Maracco, chiedendo il suo intervento sulla situazione religiosa della contea2.
Fino a quel momento i libri protestanti erano arrivati in Friuli
principalmente da Venezia, seguendo le merci inviate nella città lagunare dalla Svizzera e dalla Germania meridionale. La via da Villach
a Gemona, attraverso Pontebba, era fin dal Medioevo una grande direttrice dei traffici verso la pianura friulana: ma la vasta area centroeuropea che serviva non si segnalava certo per la produzione editoriale. Pier Paolo Vergerio aveva inviato due volte a Capodistria il pronipote Aurelio attraverso strade diverse, ma convergenti su Venezia:
nel 1552 dalla Valtellina a Bergamo, e poi per Vicenza e Padova; nel
1554 da Coira, con tappe a Bolzano, Trento e Feltre. Nel corso del
secondo viaggio Aurelio da Venezia si recò anche a Udine, passando per Oderzo, Sacile e Pordenone: in ciascuna di queste località lasciò opere dello zio; raggiunse infine Capodistria via Monfalcone,
Duino e Trieste, sempre distribuendo i libri che aveva portato con
sé. Aurelio, che era poco più che un ragazzo (era nato nel 1537), non
volle ritornare in Germania e si fermò nella città natale. Qui l’Inquisizione cominciò a indagare sul suo operato e nel marzo del 1556 venne arrestato; il processo fu celebrato a Venezia e si concluse con l’abiura il 20 ottobre 1556. Aurelio però rimase in carcere ancora alcuni mesi e infine venne rispedito a Capodistria, dove rinnovò l’abiura solenne in duomo il 16 maggio 15573. Il viaggio a Duino dell’anno
Ivi, pp. 337-338. Diversamente da quanto è scritto nell’intestazione il mittente della
lettera è il luogotenente Dornberg, come si ricava anche dalla successiva lettera di
Maracco al patriarca Grimani (p. 339). Il capitano di Gorizia Francesco Della Torre
di Santa Croce già allora viveva a Praga, dove era passato al luteranesimo.
3 Andrea Del Col, I contatti di Pier Paolo Vergerio con i parenti e gli amici italiani
dopo l’esilio, in Pier Paolo Vergerio il Giovane, un polemista attraverso l’Europa del
Cinquecento. Convegno internazionale di studi, a cura di Ugo Rozzo, Udine, Forum,
2000, pp. 53-82.
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seguente servì all’ex vescovo anche per sistemare le cose di famiglia,
dopo questi eventi spiacevoli.
Nel secondo viaggio a Capodistria Aurelio Vergerio aveva avuto anche l’incarico di visitare a Trieste Agostino Sereni e Odorico
Teofani, due seguaci dello zio che nel 1549 erano fuggiti dalla città istriana. Sereni però in quel periodo si trovava a Villach: non si
trattava di un soggiorno occasionale, perché sua figlia Barbara aveva sposato Nicolaus Pichler, un facoltoso mercante della città. Già
all’epoca del secondo viaggio del nipote, Pier Paolo Vergerio considerava la casa di Pichler un sicuro punto d’appoggio, tanto che poteva
invitare i parenti a fermarsi lì se volessero raggiungerlo a Tübingen4.
Agostino Sereni, che doveva essere anch’egli un commerciante, restò nella località carinziana almeno fino al 1555, o forse anche dopo:
nel 1558 era comunque ritornato in Istria5. Su di lui fece una rapida dichiarazione un altro mercante, Dionisio de Rizardis di Buia, sul
quale l’Inquisizione di Udine aveva aperto un processo il 15 marzo
1558, proprio mentre Vergerio intraprendeva il suo viaggio in Friuli6.
Più circostanziate le informazioni che l’inquisito fece su altre persone che aveva incontrato nella località carinziana, dove passava buona parte dell’anno. Interrogato a metà aprile, de Rizardis confessò di
aver letto a Villach varie opere di Lutero, che gli aveva dato Stefano
da Pinguente, un ex prete che anni prima era vissuto a Mariano, nella contea di Gorizia. Lo stesso Stefano gli aveva dato libri luterani da portare a Gemona per il prete Antonio da Pinguente, che vi-
4 Pier Paolo Vergerio alla nipote Anna Mantica, Tubinga, 18 aprile 1554, in Luigi A.
Ferrai, Il processo di Pier Paolo Vergerio, II, «Archivio Storico Italiano», s. IV, XVI
(1885), p. 168. Nei documenti e nelle citazioni la grafia del cognome di Pichler è
molto oscillante: Bühler, Büchler, Puchler, Püchler; anche Piler e Pillar. Sul ruolo di
Villach nell’azione di Vergerio ha avuto buone intuizioni Conradin Bonorand, Pier
Paolo Vergerio und die Reformation in Villach, «Neues aus Alt-Villach», IV (1967),
pp. 235-245.
5 Le notizie su Agostino Sereni in Del Col, L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di
Aquileia, p. 31, nota 47.
6 Ivi, p. 31.
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veva in città. Una dichiarazione appare particolarmente importante: a Villach Stefano da Pinguente aveva alloggiato un tempo proprio
presso Nicolaus Pichler, prima di trasferirsi in Germania7.
Le dichiarazioni di de Rizardis rivelarono a Gemona la presenza
di un folto gruppo di luterani, contro i quali l’Inquisizione aquileiese
procedette a partire dal giugno 1558. Alcuni dei processati, compreso
de Rizardis, abiurarono nel duomo di Udine il 30 novembre; altri fuggirono, tra i quali Antonio da Pinguente, che era stato a Gemona maestro di canto e organista in duomo dal 1537 al 15568. Quello che qui
ci interessa è il collegamento che si era creato dopo il 1550 tra Villach
e il gruppo luterano di Gemona. La rete, attraverso Agostino Sereni,
raggiungeva Pier Paolo Vergerio e difatti Nicolaus Pichler aveva prestato a de Rizardis anche un libro in italiano del capodistriano («certa operetta vulgar del Vergerio contra la devocion di Loredo»)9. Nel
contesto acquistano una fisionomia più chiara le figure dei due preti originari dell’Istria. Stefano da Pinguente dovrebbe essere il croato Stefano Consul (Stipan Konzul), di cui si hanno notizie certe solo
a partire dalla fine del 1552, quando fu ospite di Primož Trubar prima a Rothemburg ob der Tauber, in Baviera, e poi a Kempten, vicino al confine con la Svizzera; nel 1553 Consul trovò infine una sistemazione come insegnante a Regensburg10. Più problematica l’identificazione di Antonio «da Pinguente»: il rapporto con Consul farebbe
pensare ad Antonio ab Alexandro Dalmata (Antun Dalmatin in croato), originario di Fiume o di Segna, in territorio asburgico, un personaggio che compare, già anziano, solo nel 1559 a Lubiana, ospite di
Matija Klombner, uno dei membri più in vista della locale comunità
Ivi, pp. 26, 31, 42, 43.
Ivi, pp. cciv-ccvii, con i relativi documenti.
9 Ivi, p. 39; negli stessi ambienti circolavano già anche opere di Mattia Flacio Illirico:
Andrea Del Col, I contatti di Pier Paolo Vergerio, p. 74.
10 Ivi, p. 26, nota 41. Accurato Theodor Elze, Primus Trubers Briefe, Tübingen,
Bibliothek des Litterarischen Vereins in Stuttgart, 1897, p. 40, nota 9. Il recente
libro di Alojz Jembrih, Stipan Konzul i «Biblijski zavod» u Urachu, Zagreb, Teološki
fakultet Matija Vlačić Ilirik, 2007 (nel complesso abbastanza deludente), in pratica
inizia con il 1560.
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luterana11. Sia Consul che Antonio Dalmata erano stati preti glagoliti, avevano ossia officiato secondo l’antico rituale slavo ancora diffuso in Istria e nella Dalmazia settentrionale. Rimane da spiegare come mai Antonio a Gemona fosse conosciuto per vent’anni come originario di Pinguente, nell’Istria veneziana: in ogni modo le ulteriori
notizie che circolarono su di lui nella località friulana sembrano confermare l’identificazione con Antonio Dalmata12.
Stefano Consul e Antonio Dalmata sarebbero stati all’inizio degli anni Sessanta i maggiori collaboratori di Trubar nella tipografia di Urach, vicino a Tübingen, che produssse una serie imponente
di testi religiosi slavi, nelle diverse scritture in uso nell’area balcanica. Il progetto tradizionalmente viene fatto iniziare con l’incontro tra
Vergerio e Trubar a Ulm, avvenuto dal 24 al 27 gennaio 1555, presenti anche il giovane teologo di Tübingen Jakob Andreä e il sovrindendente della chiesa luterana a Ulm Ludwig Raab13. C’è da chiedersi
però se Vergerio già in precedenza avesse conosciuto Consul e avesse
Theodor Elze, Primus Trubers Briefe, p. 100, nota 8. L’identificazione è proposta
in Silvano Cavazza, La Riforma nel patriarcato d’Aquileia: gruppi eterodossi e comunità luterane, in Il Patriarcato di Aquileia tra Riforma e Controriforma, a cura di
Antonio De Cillia e Giuseppe Fornasir, Udine, Accademia di Scienze Lettere e Arti
- Deputazione di Storia Patria per il Friuli, pp. 9-59: 39; viene accolta da Del Col,
L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, p. 31, nota 48.
12 Marco Antonio Pichissino di Gemona, già inquisito nel 1558 dall’Inquisizione
di Udine, in un nuovo processo il 24 ottobre 1581 dichiarò, parlando degli anni
Cinquanta: «Gli miei compagni furono allora Dionigio Rizzardi, Nicola Formentino,
qual al presente è morto, pre Antonio de Pinguento, qual morse quest’anno alla
Lubiana». Antonio Dalmata era morto a Lubiana nel 1579, forse in maggio: ma
probabilmente la notizia aveva impiegato del tempo ad arrivare a Gemona. Luigi
De Biasio, L’ eresia protestante in Friuli nella seconda metà del secolo XVI, «Memorie
Storiche Forogiuliesi», LII (1972), pp. 71-154: 87-88. Notizie su Pichissino in Del
Col, L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, p. 32, nota 51.
13 Mirko Rupel, Primus Truber. Leben und Werk des slovenischen Reformators, deutsche Übersetzung und Bearbeitung von Balduin Saria, München, SüdosteuropaVerlagsgesellschaft, 1965, pp. 99-106 (la traduzione tedesca presenta aggiunte e
correzioni dell’autore rispetto all’originale sloveno, Primož Trubar. Življenje in delo,
Ljubljana, Mladinska knjiga, 1962); anche France-Martin Dolinar, L’influsso di Pier
Paolo Vergerio sul protestantesimo sloveno, in Pier Paolo Vergerio il Giovane, pp. 97-106.
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parlato con lui sul modo di diffondere la fede riformata tra le popolazioni slave. Il 19 febbraio 1551 il capodistriano aveva infatti scritto
a Rudolf Gwalter a Zurigo: «Ho meco un della lingua schiava, et anche in questa farei imprimer l’evangelio, ma con le mie forze non potrei portar la spesa; faccia il Signore, la causa è sua»14. Vergerio non
capiva bene la diversità tra lo sloveno e il croato, pensando sempre
all’esistenza di una lingua slava comune, al di là dei singoli dialetti:
per lui la «lingua schiava» rimase sempre sostanzialmente il croato.
Appare comunque significativo che egli abbia cominciato molto presto a interessarsi alle traduzioni slave. Altrettanto rilevante è che fin
dalla prima metà degli anni Cinquanta alcuni personaggi che sarebbero stati attivi nella stampa e nella distribuzione dei libri slavi un
decennio più tardi fossero, direttamente o indirettamente, in contatto con lui.
2. La pubblicazione di libri slavi nel Württemberg per le popolazioni dell’area più meridionale dei domini asburgici, vista la quantità e importanza dei testi prodotti, ha suscitato fin dall’ultimo scorcio del Settecento l’interesse di studiosi tedeschi, croati e sloveni15.
La lettera, spedita da Vicosoprano nei Grigioni, in Emidio Campi, Ein italienischer Briefwechsel. Pier Paolo Vergerio an Rudolf Gwalther, in Von Cyprian zur
Walzenprägung. Streiflichter auf Zürcher Geist und Kultur der Bullingerzeit. Prof.
Dr. Rudolf Schnyder zum 70. Geburtstag, hg. von Hans Ulrich Bächtold, Zug,
Achius Verlag, 2001, pp. 41-70: 60-61.
15 La bibliografia è piuttosto ricca. I lavori fondamentali ai quali si farà riferimento
sono: Christian Fridrich Schnurrer, Slavischer Bücherdruck in Würtemberg des 16.
Jahrhunderts. Ein literarischer Bericht, Tübingen, Cotta, 1799; Franjo Bučar, Povijest
hrvatske protestanske književnosti za reformacije, Zagreb, Matica Hrvatska, 1910;
Franjo Bučar, Franjo Fancev, Bibliografija hrvatske protestantske književnosti za reformacije, «Starine Jugoslavenske akademije znanosti i umjetnosti», XXXIX (1938),
pp. 49-128; Günther Stökl, Die deutsch-slavische Südostgrenze des Reiches im 16.
Jahrhundert. Ein Beitrag zu ihrer Geschichte dargestellt an Hand des südslavischen
Reformationsschrifttums, Breslau, Priebat, 1940; Branko Berčič, Das slowenische
Wort in den Drucken des 16. Jahrhunderts, in Abhandlungen über die slowenische
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A Tübingen uscirono praticamente tutte le opere curate da Primož
Trubar, sempre presso la tipografia di Ulrich Morhart, passata dopo la morte del titolare prima alla vedova (1554-1570), poi al figlio
di primo letto della donna, Georg Gruppenbach. Urach si può ritenere una succursale della stamperia di Tübingen, specializzata nelle
edizioni in caratteri cirillici e glagolitici. Dopo il 1553 pubblicò presso i Morhart gran parte dei suoi scritti, italiani, latini e tradotti in tedesco, anche Pier Paolo Vergerio. Fu proprio Vergerio a comunicare al duca Cristoforo del Württemberg, il 13 luglio 1555, l’interessamento dei nobili luterani della Carniola per la traduzione dei Vangeli
in lingua slovena; in quell’occasione egli fece per la prima volta il nome del barone Hans Ungnad, allora capitano provinciale (praefectus)
della Stiria, che negli anni seguenti sarebbe stato l’animatore dell’intero progetto16. Nel 1557 Ungnad si trasferì nel Württemberg, dove il
duca gli mise a disposizione la residenza di Mönchshof a Urach, un
convento soppresso. L’anno seguente Vergerio gli dedicò la traduzione tedesca della propria Rettrattione, già uscita in italiano nel 1556: a
Reformation, München, Trofenik, 1968, pp. 152-268; Christoph Weismann, «Der
Winden, Crabaten und Türken Bekehrung»: Reformation und Buchdruck bei den
Südslawen 1550-1595, in «Kirche im Osten», XIX (1986), pp. 9-37; «Treffenliche
schöne Biecher». Hans Ungnads Büchergeschenk und die Universitätsbibliothek Basel
im 16. Jahrhundert (mit einem Ausblick auf spätere Geschenke), hg. von Lorenz
Heiligensetzer et alii, Basel, Schwabe, 2005, pp. 37-84; Hermann Ehmer, Primus
Truber, Hans Ungnad von Sonnegg und die Uracher Druckerei 1560-1564, in Primus
Truber 1508-1586. Der slowenische Reformator und Württemberg, hg. von Lorenz
Sönke, Anton Schindling und Wikfried Setzler, Stuttgart, Kohlhammer, 2011, pp.
201-216.
16 La lettera in Briefwechsel zwischen Christoph, Herzog von Württemberg, und Petrus
Paulus Vergerius, hg. von Eduard von Kausler und Theodor Schott, Tübingen,
Bibliothek des Litterarischen Vereins in Stuttgart, 1875, n. 30, pp. 109-110. Su
Hans Ungnad cfr. i saggi di Ernst Benz, Wittenberg und Byzanz. Zur Begegnung
und Auseinandersetzung der Reformation und der östlich-orthodoxen Kirche,
München, Fink, 1971, pp. 141-246; sulla sua biografia Bernd Zimmermann,
Landeshauptmann Hans Ungnad von Sonnegg (1493–1564). Ein Beitrag zu seiner
Biographie, in Siedlung, Macht und Wirtschaft. Festschrift für Fritz Posch, hg. von
Gerhard Pferschy, Graz, Steiermarchisches Landesarchiv, 1981, pp. 203-216.
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questa Widerruff è premessa una prefazione (Vorred) molto cerimoniosa a firma del nipote Ludovico17. All’inizio del 1561 il barone affidò ufficialmente a Trubar, che fino a quel momento era stato pastore luterano a Kempten, la direzione delle attività editoriali a Urach,
in quella che era ormai definita la Windische, Chrabatische und
Cirulische Trukherey (e adesso, forse esagerando, Istituto Biblico).
Vergerio aveva continuato a darsi da fare per la traduzione delle Scritture secondo la propria idea della lingua slava, ma con scarsi
risultati. Trubar progressivamente riuscì a estrometterlo dal progetto, esprimendosi in termini assai duri nei suoi confronti, come nella
lettera a Massimiliano d’Asburgo (il futuro imperatore Massimiliano
II) del 2 gennaio 1560: «Della traduzione della Bibbia in croato, che
Vergerio ormai da quattro anni dice di aver in corso la pubblicazione,
in realtà non si è fatto niente: Vergerio finora non ha tradotto in croato una sola parola, né della Bibbia, né di alcun altro libro, per il semplice fatto che non sa parlare in modo adeguato (recht) né lo sloveno,
né il croato: tanto meno sa tradurre»18. Massimiliano aveva promesso un forte appoggio finanziario all’attività di traduzione e Trubar
non voleva concorrenti: i costi dell’operazione infatti si prospettavano molto elevati. Alla fine del 1557 lo sloveno aveva cominciato ad
avvalersi della collaborazione di Consul; più tardi, nel febbraio 1561,
anche di quella di Antonio Dalmata, che si era appositamente trasferito nel Württemberg da Lubiana. Nell’estate del 1561 Trubar ritornò a Lubiana, come capo di quella comunità luterana: anche da lontano continuò a scrivere prefazioni e a dare indicazioni sull’attività
editoriale, ma la tipografia rimase affidata ai due collaboratori. Per
quanto sappiamo, Vergerio, che in quel periodo visse quasi sempre
a Tübingen, non si intromise mai direttamente nel lavoro di Urach,
anche se rimase in contatto con Ungnad e lo visitò più volte nella sua
Friedrich Hubert, Vergerios publizistische Thätigkeit, nebst einer bibliographischen
Übersicht, Göttingen 1893, n. 107, pp. 297-299.
18 La lettera in Elze, Primus Trubers Briefe, n. 6, pp. 35-43: 41-43.
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residenza. Sembra probabile tuttavia che mantenesse ancora rapporti con Consul e Antonio Dalmata, per quanto dopo il 1561 non parlasse più nelle sue lettere della stampa slava.
L’attività della tipografia fu sempre assai contrastata, per i dissidi tra Trubar e i suoi collaboratori non meno che per l’ingerenza dei
teo­logi dell’università di Tübingen, sempre molto sospettosi sul piano dottrinale19. Nel 1564 il barone Ungnad perse la pazienza e pensò
di trasferirsi a Basilea, una città che riteneva più adatta per il suo progetto: il 18 giugno scrisse a Bonifacius Amerbach, l’umanista e docente di diritto che era stato l’esecutore testamentario di Erasmo, con
il quale già nel 1559-1561 si era messo in contatto, quando meditava
di acquistare una casa a Basilea. Amerbach però era morto due anni prima; lo stesso Ungnad morì alla fine dell’anno e nel giro di pochi mesi la stamperia slava fu smantellata, perché gli eredi del barone non erano disposti ad affrontare le ingenti spese che essa comportava20. Trubar continuò a pubblicare presso gli eredi Morhart per
oltre vent’anni, ma si dedicò soltanto ai libri sloveni, senza occuparsi più di quelli in lingue diverse. Nonostante le difficoltà, il progetto di Ungnad aveva avuto risultati di tutto rilievo. Secondo le ultime
ricerche, tra il 1561 e il 1565 furono stampate a Tübingen e a Urach
37 opere complete, con una tiratura complessiva di 31.000 copie accertate (ma sul dato, comunque alto, ci sono discordanze): 13 edizioni croate in caratteri glagolitici, 7 in caratteri cirillici, 6 in caratteri latini; 4 libri in sloveno, 6 in italiano, uno in tedesco21. Di questa produzione la parte meno studiata è quella italiana, anche se essa rappresenta la più organica raccolta cinquecentesca di testi lutera-
Rupel, Primus Truber, pp. 171-200.
Lorenz Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl». Hans Ungnads Basler Pläne, in
«Treffenliche schöne Biecher», pp. 59-73, veramente importante.
21 I dati in Rolf Vorndran, Südslawische Reformationsdrucke in der Universitäts­
bibliothek Tübingen, Tübingen, Mohr, 1977, pp. 10-13, che fornisce anche le tirature;
una cifra inferiore di poche migliaia di volumi in Bučar, Povijest hrvatske protestanske književnosti, pp. 240-242.
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ni nella nostra lingua. I libri peraltro sono oggi di una disperante rarità: alcuni sono conservati soltanto in una o due copie, sempre fuori
d’Italia. Può essere utile ricordarne i frontespizi e indicare i dati delle tirature22:
1. Catechismo piocciolo di Martin Luthero, verso dal Latino in lingua Italiana,
per gli fanciugli. Mathe. 19. Lasciate i fanciugli et non prohibite che venghino a
me, perché di tali è il regno de’ cieli. Tubinga anno 1562.
La tiratura fu di 1000 copie.
2. La confessione della fede data all’invittissimo Carolo V. nella Dieta di Augusta
del MDXXX. Novamente versa dal Latino in lingua Italiana, per alcuni fideli
Christiani, amatori d’Italia. Aggiontovi la Defesa della istesa Confessione et la
Confessione della dottrina delle Chiese di Sassonia, scritta del M.D.LI. per darla
nel Concilio di Trento. Psalm. 119. Et parlava de’ tuoi Testimonii al cospetto de
i Re & non era confuso. Stampato in Tubinga l’anno 1562.
Tiratura: 1000 copie.
3. La defesa della confessione, detta Apologia. Versa dal Latino in lingua
Italiana, revista & corretta con diligenza per Antonio Dalmata & Stephano
Istriano. Psal. 119. Et parlava de’ tuoi Testimoni al cospetto de i Re, & non era
confuso. Stampata in Tubinga, l’anno 1563.
Tiratura: 500 copie.
4. Espositione nel salmo LI: Habbi misericordia di me Signore. Et nel Salmo
CXXX; Dal profondo gridai à te Signore, di Martino Lutero, pur hora tradotti di
Latino in lingua Italiana. Revisti & correti con diligenza per Antonio Dalmata
Per ulteriori dati bibliografici cfr. Verzeichnis der im deutschen Sprachbereich erschienenen Drucke des 16. Jahrhunderts, voll. 25, Stuttgart 1983-2000 (d’ora in avanti
VD 16: ma si fa uso dell’edizione on-line, costantemente aggiornata), nell’ordine: L
5274, C 4794, M 2556, L 4539, W 2802, ZV 27294. Quasi mai VD 16 riproduce i
frontespizi per intero; qui vengono proposti mantenendo gli errori di stampa e le
particolarità linguistiche, ma distinguendo, per esempio la v e la u e aggiungendo
accenti e apostrofi.
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& Stephano Istriano. Salmo 119, La dechiaratione de’ sermoni tuoi illumina et
dà intelleto a i piccolini. In Tubinga. 1564.
Tiratura: 500 copie.
5. Forma breve della dottrina christiana, come si costuma d’insegnare nella
Chiesa di Madeburga. Di Iohan Wigando. Tradotta de Latino in lingua Italiana.
Revista et corretta con diligenza per Antonio Dalmata & Stephano Istriano. In
Tubinga. 1564.
Tiratura: 500 copie.
6. Trattato utilissimo del beneficio di Giesu Christo crocifisso, verso i Christiani.
In Tubinga. 1565.
Tiratura: 500 copie.
I libri apparsi a stampa non esauriscono il programma di traduzioni in italiano di Urach. Quando Ungnad morì erano in preparazione, o addirittura già in parte composte in tipografia, altre opere importanti: l’Hauspostille e il commento all’epistola ai Galati di
Lutero, i Loci communes di Melantone e alcuni scritti in forma dialogica non più identificabili; era stata anche progettata un’edizione
italiana delle Sacre Scritture, forse ripresa dalla versione di Antonio
Brucioli23. La traduzione dell’Hauspostille, la popolare raccolta di
commenti scritturali di Lutero per l’uso domestico, stava molto a
cuore a Trubar, che ne curò la versione slovena (la sua ultima opera, pubblicata postuma nel 1595). Alla fine del 1563, poche settimane
dopo il suo viaggio a Gorizia, scrisse a Ungnad che in un castello vicino al confine croato (forse nel retroterra istriano) era stata ritrovata «des Luthers hauspostill in walischer sprache transferiert». Trubar,
che non si era mai pronunciato altre volte sulle traduzioni italiane,
in quella circostanza manifestò tutto il suo entusiasmo: «Con que-
Schnurrer, Slavischer Bücherdruck, pp. 71-72; Heiligensetzer, «Die Loblich Statt
Bassl», pp.64-66.
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sta Postilla si può fare gran danno all’Anticristo romano anche in
territorio italiano (in dem walischen Land)24». Molto meno convinto dell’attività editoriale in italiano si rivelò invece il duca Cristoforo
del Württemberg; i dubbi sono espressi in una lettera a Ungnad del
10 settembre 1564, che contiene giudizi severi e per certi aspetti singolari. Vanno bene le traduzioni slave, scrisse il duca; aggiunse però:
«Non possiamo ritenere una cosa giudiziosa leggere e stampare questi libri anche in der Welschen oder Italienischen Sprach. Ci sono infatti nella lingua italiana idiomi diversi, proprio come in Germania.
E poi gli Italiani sono una marmaglia furbastra, malvagia e particolarmente inclinata al settarismo religioso. Inoltre noi qui non abbiamo nessuno che sia esperto in questa lingua: perciò siamo assolutamente dubbiosi se lasciar stampare tali libri nei nostri domini»25. A
dir il vero Vergerio aveva pubblicato libri in italiano a Tübingen fin
dal 1553 e, benché nell’ultimo anno di vita, era ancora attivo sia come scrittore, sia come consigliere ducale.
3. Le edizioni italiane di Urach suscitano più di un problema: in primo luogo quello del traduttore. Il riferimento a Consul e ad Antonio
Dalmata sul frontespizio di metà dei volumi pubblicati ha fatto di
24 Trubar a Ungnad, Lubiana, 9 dicembre 1563, in Theodor Elze, Primus Trubers
Briefe, n. 43, pp. 370-375: 373; sul viaggio di Trubar a Gorizia cfr. Silvano Cavazza,
Seba­­stiano Blancato, Primož Trubar in Gorizia and Friuli, in Reformacija na
Slovenskem, (ob 500-letnici Trubarjevega rojstva), urednik Aleksander Bjelčevič,
Ljubljana, Znanstvena založba Filozofske fakultete, 2010, pp. 547-556.
25 La lettera in Schnurrer, Slavischer Bücherdruck, p. 67 (la traduzione è alquanto libera): «Das aber solches alles auch in der Welschen oder Italienischen Sprach sollte
gelesen und gedruckt, solches konnten wir nit für rathsam halten. Dann es seien
mancherley Sprachen in Italienischer Zungen, wie auch in Deutschland; zudem ist
diß ain listigs, bös und sonderlich zu Secten geneigts Gesindt [Gesindel?]. So haben
auch wir niemandt, der da solcher sprach kündig seie; darumb will uns in allweg
bedencklich fallen, solches in unserm Land drucken zu lassen». Il duca rispondeva
a una lettera di Ungnad del 2 settembre precedente, edita in Heiligensetzer, «Die
Loblich Statt Bassl», p. 71.
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solito pensare che le versioni fossero da attribuire loro. I testi presi per riferimento però sono tutti latini, mentre i due ex preti conoscevano bene anche il tedesco, tanto da usare normalmente questa lingua nella loro corrispondenza. Inoltre un riferimento al loro
contributo («revista et corretta») compare anche nella ristampa del
Beneficio di Cristo, sia pure all’interno, dopo l’avvertenza dello stampatore originario, e non può che significare la semplice cura editoriale26. I documenti contabili della tipografia, utilizzati solo saltuariamente dagli studiosi, confermano che per l’italiano fu cercato un
traduttore professionista. Grazie alla mediazione di due mercanti del
Fondaco dei Tedeschi a Venezia, Leonhard Peyerlsteiner e Sebastian
Pfaffenberger, venne incaricato del lavoro Pietro Lauro, che aveva
all’attivo decine di versioni dal latino, dal greco e dallo spagnolo27. A
Lauro, che aveva stretti contatti con il mondo dei mercanti tedeschi,
vengono attribuite simpatie per la Riforma: in effetti nella sua vastissima attività aveva tradotto anche la Chronica di Johannes Carion
(1543) e i Colloquii famigliari di Erasmo, dedicati a Renata di Francia
(1545); inoltre il suo nome in alcune occasioni compare nei processi dell’Inquisizione28.
A compenso delle sue prestazioni Lauro chiese 10 ducati veneziani per il Catechismo di Lutero, 18 per la Confessio Augustana, 47 per
26 Benedetto da Mantova, Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI, documenti e testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze, Sansoni, Chicago,
The Newberry Library, 1972, p. 431 e nota.
27 Franjo Bučar, Povijest hrvatske protestanske književnosti, pp. 96-98; l’indicazione
è sfuggita a quasi tutti gli studiosi e solo di recente è stata ripresa e approfondita da
Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl», pp. 65-66.
28 Gabriele Dini, Lauro, Pietro, in DBI, vol. 64, Roma, Enciclopedia Treccani, 2005,
pp. 119-122; ma soprattutto Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia, 1520-1580,
Torino, Bollati Boringhieri, 1987, ad indicem. Ai due mercanti sono dedicate due
lettere (in realtà piccoli trattatelli) in Delle lettere di messer Pietro Lauro. Libro secondo, in Vinegia, senza stampatore, 1560, cc. 58v-59r, 62v-63v (ma la numerazione
delle pagine è irregolare). L’intero volume del 1560 è dedicato a Johann (Hans)
Fugger (1516-1575), appartenente alla famiglia di banchieri di Augsburg.
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l’Hauspostille e 25 per altre due opere che non vengono menzionate: il contratto, con la pignoleria dei mercanti abituati al cambio delle valute, venne stipulato per la cifra tonda di 100 ducati da 124 soldi, pari a 136 fiorini tedeschi da 60 carantani29. Lauro lavorò sempre
a Venezia, non senza rischi; i manoscritti dei testi venivano inviati in
Germania attraverso i consueti canali commerciali. Concluse la sua
opera alla fine del 1563 e fu saldato per le cinque versioni fatte30: i libri in italiano pubblicati tra il 1562 e il 1564 furono dunque tutti tradotti da lui. Le caratteristiche dei volumi, per quello che si è potuto
vedere, sono molto simili: le versioni appaiono abbastanza frettolose,
senza pretese di eleganza; mantengono la dedica delle edizioni originali (quando c’è), anche se i personaggi menzionati potevano apparire dei perfetti sconosciuti per i lettori italiani. Non sembra che i due
revisori abbiano aggiunto qualcosa al di là della semplice cura della stampa: probabilmente si limitarono alla correzione delle bozze.
Mancano del tutto nuove prefazioni, come quelle che Trubar appose
alle principali edizioni croate.
Anche dopo aver perso la collaborazione di Lauro, Ungnad continò a pensare alla parte italiana del suo progetto. Nel giugno 1564
Stefano Consul a Basilea si mise in contatto con l’esule milanese
Antonio Mario Besozzi, una figura di un certo rilievo nel mondo
dell’emigrazione religiosa italiana, che accettò di tradurre il commento all’epistola ai Galati di Lutero e altre opere, tra cui probabilmente i Loci communes di Melantone. Nell’iniziativa venne coinvolto anche un altro emigrato italiano, il tipografo Pietro Perna31. Subito dopo la morte del barone carniolino Consul si preoccupò che i proget-
Bučar, Povijest hrvatske protestanske književnosti, p. 98.
Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl», p. 66: Lauro interruppe la collaborazione
senza aver concluso i lavori per i quali si era impegnato.
31 Ivi, p. 65; cfr. anche le appendici pp. 73-74. Su Besozzi Delio Cantimori, Eretici
italiani del Cinquecento, a cura di Adriano Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, pp. 272279; John A. Tedeschi, Besozzi, Antonio Mario, in DBI, vol. 9, Roma, Enciclopedia
Italiana, 1967, pp. 672-675.
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ti in corso ricevessero ancora un finanziamento adeguato e già il 12
gennaio 1565 si rivolse al duca del Württemberg, chiedendo che gli
inviasse denaro; nella lettera, oltre a varie edizioni croate, sono citate
esplicitamente la Bibbia e l’Hauspostille di Lutero tradotte in italiano.
Inoltre egli rammenta l’incarico conferito a Basilea a «zwen Exules
Italj Locos communes Philippi Melan[cthonis] und Epistolam ad
Galatas mit der außlegung Martini Lutheri in der walischen sprach
vertiren», al quale attribuiva grande importanza: il lavoro era già per
metà fatto32. Il sovrano, che rispetto a quattro mesi prima doveva aver
cambiato opinione (forse per aver dato ascolto a consiglieri diversi),
inviò subito 300 fiorini per le spese dell’anno: ma nonostante il suo
intervento prevalse alla fine la decisione degli eredi di Ungnad di interrompere l’attività tipografica. Delle traduzioni italiane in preparazione non si ebbero più notizie.
Quasi tutti i libri italiani di Urach, compresi quelli solo progettati,
trovano uno o più corrispettivi nelle edizioni nelle lingue slave: anche
il Beneficio di Cristo, che prima di essere stampato nel testo originale
era uscito nel 1563 in traduzione croata, con i caratteri glagolitici; nel
1565 apparve anche la versione in caratteri latini: l’una e l’altra ebbero una tiratura di 500 copie33. Trovare lo scritto più importante della Riforma in Italia in un catalogo che altrimenti contiene solo scritti
luterani tedeschi senza dubbio fa una certa impressione: il Beneficio
di Cristo in Germania non aveva suscitato alcun interesse. Non meno sorprendente appare che il raffinato libriccino all’inizio fosse considerato utile per diffondere le nuove concezioni religiose nell’area
La lettera in Bernhard Hans Zimmermann, Ein unbekannter Brief Stephan Consul
Isterreichers an Herzog Christoph von Württemberg, «Jahrbuch der Gesellschaft für
die Geschichte des Protestantismus in Österreich», LX (1939), pp. 186-189.
33 Le tre edizioni sono accuratamente descritte in Benedetto da Mantova, Il beneficio
di Cristo, pp. 505-506, 508-509; ben informato Valdo Vinay, La Riforma in Croazia
e in Slovenia e il «Beneficio di Cristo», «Bollettino della Società di studi valdesi», 85
(1964), pp. 19-32. Sulle due traduzioni croate Jembrih, Stipan Konzul, pp. 241-255.
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in cui erano in uso i caratteri glagolitici e cirillici, praticamente a ridosso o addirittura all’interno del territorio ottomano, in una situazione politica e culturale del tutto diversa rispetto all’Italia degli anni
Quaranta. Il testo non sembra rientrare nella prospettiva di Ungnad,
né tantomeno in quella di Trubar. La cosa più semplice sarebbe pensare a un’indicazione di Vergerio, che ebbe sempre l’opera in grande
considerazione: in questo modo però si torna al rapporto tra l’ex vescovo e Stefano Consul, sul quale si hanno vari indizi, ma nessuna testimonianza sicura. La pubblicazione del testo originale italiano, ultimo libro apparso nel cosiddetto Istituto Biblico di Urach prima della chiusura, potrebbe essere invece un’idea di Consul. Quando questi si recò a Basilea, nell’estate del 1564, aveva portato con sé almeno
una copia dell’edizione in caratteri glagolitici, destinata a Bonifacius
Amerbach e poi donata con altri volumi alla biblioteca dell’università; forse nell’ambiente degli esuli italiani Consul capì che una ristampa sarebbe stata accolta con favore, essendo ormai introvabili le vecchie edizioni veneziane34.
L’unico testo italiano di Urach che non trovi corrispettivi nelle edizioni slave è la Forma breve della dottrina christiana. È il libro meno conosciuto: fino a qualche anno fa si ignorava con quale titolo fosse stato tradotto e si pensava che fosse andato perduto35. L’originale di riferimento è la Methodus doctrinae Christi, sicut in Ecclesia Magdeburgensi traditur di Johannes Wigand (15231587), che nell’edizione tedesca, apparsa nel 1558, aveva avuto prima
del 1564 tre edizioni a Magdeburgo, mentre la versione latina, curata dallo stesso autore, era stata pubblicata a Francoforte nel 155936. In
Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl», pp. 66-67.
L’individuazione dell’opera nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco è stata
possibile grazie a VD16: Silvano Cavazza, Catechismi e propaganda religiosa; il modello di Johannes Brenz, «Bollettino della Società di studi valdesi», CXXI (2004), pp.
217-242, 227-228. Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl», pp. 65-66, ignora ancora
l’esistenza dell’esemplare e cita l’opera con il titolo latino.
36 VD16, W 2798-2800 e W 2803 (l’edizione latina).
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tutte queste edizioni lo scritto di Wigand è completato dal Piccolo catechismo e da altri brevi testi di Lutero, che mancano nella traduzione italiana. Anche la Forma breve è a suo modo un catechismo, articolato per domande e risposte (molto lunghe) e suddiviso in 28 capitoli; non è però un’opera destinata ai ragazzi o alle persone incolte,
ma piuttosto agli uomini di chiesa, come testimonia la lunga prefazione, datata «di Magdeburga il giorno di S. Zorzi. Anno del signore 1559», che in realtà è un trattatello teologico di una trentina di pagine. L’esposizione è fortemente anti-romana, ma la polemica sembra rivolta in primo luogo contro Melantone e gli adiaforisti, come
testimoniano, per esempio, i capitoli XII e XIII, che escludono radicalmente ogni rivalutazione delle buone opere, o il XXIV, «Delle
cose indifferenti, overo delle ceremonie e costumi della Chiesa dagli huomini instituiti». Il tono è quello delle discussioni provocate
dall’Interim, dieci anni prima, in una strenua difesa del luteranesimo
più rigoroso. Wigand del resto, dal 1553 al 1560 pastore della chiesa di sant’Ulrico a Magdeburgo e poi docente a Jena, all’epoca era in
stretti rapporti con Mattia Flacio Illirico, con cui collaborò ai volumi
dell’Ecclesiastica Historia (le Centuriae di Magdeburgo), che cominciarono a uscire a Basilea nel 155937.
La Forma breve è uno scritto di chiara ispirazione flaciana, predisposto appositamente per i lettori di lingua italiana. Sembra difficile vedere dietro a una scelta del genere Trubar, sempre contrario a intromettersi nelle polemiche teologiche; Ungnad, a quanto pare, aveva scarsa simpatia per Flacio38. Anche Vergerio, che per al-
37 Irene Dingel, Wigand, Johannes, in Tre Theologische Realenzyklopadie, vol. 36,
Berlin-New York, De Gruyter, 2004, pp. 33-38; qualche notizia in Oliver K. Olson,
Matthias Flacius and the Survival of Luther’s Reform, Wiesbaden, Harrassowitz,
2002, ad indicem. Negli anni Sessanta anche Wigand ruppe i rapporti con Flacio.
38 Cfr. la lettera di Ungnad al luogotenente e ai deputati (Verordnete) della Carniola,
Urach, 12 settembre 1562, in Theodor Elze, Primus Trubers Briefe, n. 28 (appendice), pp. 222-235: 228, dove si fa proprio il giudizio del duca di Sassonia su «Illyricus
und andere zanksachen (controversie)». Sulla posizione di Trubar Mirko Rupel,
Primus Truber, pp. 185-186, 189.
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tri aspetti stimava molto il corregionale, si guardò bene dal seguirlo
sul piano dottrinale, forse per non inimicarsi i sospettosi teologi del
Württemberg39. La traduzione di Wigand deve piuttosto essere considerata un’iniziativa autonoma di Stefano Consul e Antonio Dalmata,
chiaramente schierati dalla parte del teologo di Albona, insieme con
il loro maggior corrispondente e collaboratore a Lubiana, il segretario degli Stati Provinciali carniolini Matija Klombner. Le vicende
successive alla morte di Ungnad confermano del resto l’orientamento teologico dei due curatori delle edizioni di Urach. Venuta meno la
possibilità di proseguire l’attività nel Württemberg (anche Vergerio
era morto il 4 ottobre 1565), essi nel corso del 1566 si trasferirono a
Regensburg, dove nel 1562 aveva trovato ospitalità Flacio, espulso da
Jena, insieme con il suo allievo sloveno Sebastjan Krelj (Krell)40. Il capo della comunità luterana della città, Nicolaus Gallus (1516-1570),
era un suo vecchio amico, particolarmente interessato alla diffusione
del luteranesimo nelle province austriache41.
A Regensburg nel 1566-1568 ci fu un tentativo di continuare le
edizioni slave di Urach, presso il tipografo locale Johann Burger. Il
risultato più importante fu la pubblicazione nel 1568 della versione
croata in caratteri latini della Kirchen-Postilla di Johannes Brenz, alla quale i due ex preti glagoliti avevano messo mano negli anni pre-
L’elogio di Flacio in Pier Paolo Vergerio, Annotationes in catalogum haereticorum,
Venetiis impressum a Gabriele Iulito de Ferrarriis, de commissione tribunali sanctissimae Inquisitionis Venetiarum, authore Athanasio, [Tübingen, Morhart], 1556 c. B1v.
In seguito però Vergerio fu molto più cauto nelle sue attestazioni.
40 Jembrih, Stipan Konzul, pp. 279-290. Olson, Matthias Flacius, ferma la sua trattazione al periodo di Jena.
41 Cfr. Gerhard Simon, Gallus, Nikolaus, in Tre Theologische Realenzyklopadie, vol.
12, Berlin-New York, De Gruyter, 1984, pp. 21-23. Fondamentale, ma di difficile
consultazione, Eduard Böhl, Beiträge zur Geschichte der Reformation in Österreich:
Haupsächlich nach bisher unbenutzten Aktenstücken des Regensburger Stadtarchivs,
Jena, Fischer, 1902, pp. 65-74, 179-204.
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cedenti42. Prima ancora erano state stampate due opere slovene, entrambe curate da Sebastjan Krelj: nel 1566 l’Otrozhia Biblia (Bibbia
puerile, ma il titolo non rende l’idea dell’opera) e nel 1567 la Postilla
Slovenska di Johann Spangenberg, tradotta dal tedesco, una raccolta di sermoni biblici43. A Regensburg, mantenendo in qualche modo la tradizione di Urach, furono stampati anche testi in italiano, sia
pure in forma non autonoma. Il primo è La instrucione italiana della
pietà christiana, inserita nell’Otrozhia Biblia : questa piccola opera si
può considerare un manuale per missionari luterani in terra di confine, perché accanto a un sillabario, a un dizionarietto teologico latino-sloveno e ad alcune prediche in sloveno contiene un catechismo
minimo in cinque lingue: nell’ordine, sloveno, croato, tedesco, latino e italiano44. L’altro libro parzialmente italiano uscito dalla tipografia di Johann Burger, nel 1567, presenta una struttura abbastanza particolare: contiene la versione di un’opera apparsa in latino nel
1520, ferocemente antiromana, il Trattato nel quale… si manifesta
come Pietro Apostolo non mai fu a Roma, del ceco Ulrichus Velenus
(Oldřich Velenský), alla quale segue, con paginazione consecutiva, la
ristampa di due opuscoli di Flacio sullo stesso argomento, nell’originale latino. Come traduttore di solito è indicato lo stesso Flacio, che
però non sembra aver mai pubblicato scritti in italiano45. La presenza a Regensburg di Consul e Dalmata fa piuttosto pensare che possa
VD16, B 7838; Jembrih, Stipan Konzul, pp. 297-315, 352-358.
Cfr. VD16, O 1450 e S 8006. Johann Spangenberg (1484-1550) era il padre di
Cyriacus, esponente flaciano molto noto. Krelj (1538-1567), originario di Vipacco
(Vipava), tornò in Carniola nel 1563: prima affiancò Trubar come predicatore a
Lubiana, poi gli successe brevemente come capo della locale comunità luterana. A
Jena aveva avuto una formazione accademica completa.
44 La instrucione è edita in Cavazza, Catechismi e propaganda religiosa, pp. 239-242.
45 VD16, V 508. Antoine Jan Lamping, Ulrichus Velenus (Oldrich Velenský) and his
treatise against the Papacy, Leiden, Brill, 1976, pp. 180-184; Olson, Matthias Flacius,
pp. 199-200, dopo una lunga discussione inserisce ugualmente nella bibliografia
l’opera tra gli scritti dell’Illirico (p. 348).
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43
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trattarsi di una delle traduzioni già predisposte per Urach da Pietro
Lauro o da Antonio Mario Besozzi, rimaste inedite per la chiusura
della tipografia. La partenza di Consul e di Dalmata, che seguì quella di Flacio nell’ottobre 1566, pose comunque fine alla breve stagione delle stampe slave e italiane a Regensburg46.
4. Nella generosa visione di Hans Ungnad le edizioni slave di Urach
dovevano servire a diffondere la Riforma in tutti i Balcani, fino a
Costantinopoli; addirittura sarebbero potute arrivare ad Alessandria
d’Egitto e in altri porti dell’Oriente; si pensava inoltre di spedire i libri italiani a Venezia via mare, insieme con le merci provenienti da
Ragusa47. Al di là dei progetti utopistici, non erano opere facili da
vendere, specialmente quelle nelle lingue slave. Ungnad si preoccupò di far conoscere le pubblicazioni donando copie lussuosamente
rilegate ai principi e alle città libere tedesche che avevano contribuito a finanziare l’iniziativa, ma anche inviando esemplari alle università e ad uomini di cultura; inoltre provvide insieme con i suoi collaboratori a mettere insieme una valida rete di distribuzione. A Vienna
il punto di riferimento fu il libraio Ambros Fröhlich, che diffuse nel
corso degli anni parecchie centinaia di volumi48. Nel 1562 alla fiera di Francoforte Georg Gruppenbach cedette al libraio e tipografo veneziano Vincenzo Valgrisi otto copie del Catechismo piocciolo di
Consul si trasferì ad Eisenstadt (nell’attuale Burgenland, fino al 1925 appartenuto al regno di Ungheria), dove esisteva una numerosa comunità croata; Antonio
Dalmata ritornò a Lubiana.
47 Matija Klombner a Hans Ungnad, Lubiana, 20 dicembre 1561, in Ivan Kostrečić,
Urkundliche Beiträge zur Geschichte der protestantischen Literatur der Südslaven in
den Jahren 1559-1565, Wien, Gerold, 1874, n. 38, pp. 63-66; Benz, Wittenberg und
Bysanz, pp. 191-204.
48 Bernhard Hans Zimmermann, Die Bedeutung Wiens für die Reformation und
Gegenreformation bei den Kroaten und Slowenen, «Jahrbuch der Gesellschaft für die
Geschichte des Protestantismus in Österreich», LXV-LXVI (1944-45), pp. 21-53.
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Lutero49: ma le stampe italiane rappresentano un caso a sé. Nel viaggio a Basilea del 1564 Consul portò con sé 1040 copie (delle 3.500
complessivamente stampate) delle cinque opere in italiano apparse
fino a quel momento, affidandone la vendita a tre librerie della città; offrì anche una provvigione del cinque per cento a quanti avessero distribuito le ulteriori opere che fossero state inviate da Urach50.
La Svizzera era sempre stato il canale principale per la spedizione di
scritti protestanti in Italia; rimangono però dubbi se questa volta la
strada dei Grigioni e della Valtellina abbia funzionato. Già alla fine
del 1561 era stata esclusa la possibilità di far arrivare i libri via mare a
Venezia; gli agenti dei Fugger, che in un primo tempo erano sembrati disponibili a occuparsene, non vollero più partecipare all’iniziativa,
per timore dell’Inquisizione: c’era da rimetterci la vita51.
La diffusione delle edizioni di Urach seguì principalmente il percorso incentrato su Villach. La città, dominio temporale del vescovo di Bamberg, era stabilmente in mano alla Riforma sin dagli anni
Venti e il culto cattolico vi era stato quasi del tutto abolito52. Il vecchio amico di Vergerio e Consul Nicolaus Pichler si assunse l’incarico di ricevere e far proseguire i libri che arrivavano dal Württemberg,
attraverso Regensburg e Salisburgo, chiusi in botti e mescolati ai nor-
Franjo Bučar, Popis knjiga, koje su izašle u jugoslavenskoj protestantskoj tiskari u
Urachu-Tübingenu u XVI. Stoljeću, «Carniola», n.s., VII (1916), pp. 104-109, 178188: 185, che utilizza i registri originali della tipografia: «Georg Grupenbacher hat
inn Frannckhfort einem venedischen Buechfüerer Vincentio Wolgrisio geben, ob er
dern mehr vertreiben khündte 8 Expl.». Nella bottega di Valgrisi a Venezia furono
trovati ancora nel 1570 un buon numero di libri proibiti stampati fuori d’Italia: Paul
F. Grendler, L’Inquisizione romana e l’editoria a Venezia, 1540-1605, trad. it., Roma,
Il Veltro, 1983, pp. 424-427.
50 Heiligensetzer, «Die Loblich Statt Bassl», pp. 63-64.
51 Kostrečić, Urkundliche Beiträge, p. 66.
52 Wilhelm Neumann, Die Reformation in Villach, in 900 Jahre Villach. Neue
Beiträge zur Stadtgeschichte, geleitet von Wilhelm Neumann, Villach, Stadt Villach,
1960, pp.411-466; Claudia Fräss-Ehrfeld, Geschichte Kärntens, II, Die ständische
Epoche, Klagenfurt, Heyn, 1994, pp. 263-283; 300-321; 369-389.
49
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mali carichi commerciali. Da Villach i volumi erano spediti a Lubiana
via Kranj (Krainburg), dove l’ulteriore distribuzione era organizzata
da Matija Klombner e da altri membri della locale comunità luterana: in questo modo i libri croati raggiungevano Metlika (Möttling),
da dove erano smistati verso Zagabria, all’interno, oppure verso la
costa, a Fiume (Sankt Veit am Pflaum); da Fiume, via mare, le spedizioni raggiungevano i porti della Dalmazia veneziana e Ragusa. In
quasi tutte queste città c’erano persone di fiducia che si prendevano
cura dei carichi: la rete si valeva anche della collaborazione dei mercanti53. Gli invii cominciarono nell’estate 1561. Già il 18 marzo 1562
Klombner poteva riferire a Ungnad che aveva spedito 410 copie del
catechismo di Trubar tradotto in croato a Fiume, 200 a Metlika, 100
al nobile Veit Khisel, tesoriere a Zagabria; 60 copie erano ancora da
lui a Lubiana. Due botti di edizioni in cirillico inoltre erano ferme
a Villach («Die zwei vassl mit der tsurulika ligen zu Villach»)54. Nei
due anni successivi diede conto di aver distribuito altri 1226 volumi.
I registri contabili della tipografia di Urach che ci sono pervenuti
testimoniano il ruolo fondamentale di Pichler nella distribuzione dei
libri: per esempio, della traduzione croata in caratteri latini del catechismo di Lutero (1562) furono inviate a Villach 350 copie delle 400
stampate55. Pichler ovviamente si occupò anche delle stampe in ita-
Josef Žontar, Villach und der Südosten: zur Geschichte der wirtschaftlichen und
verwandtschaftlichen Beziehungen Villachs und seiner Bewohner zu Krain, dem
Küstenlande und Kroatien bis zum Ende des 16. Jahrhunderts, in 900 Jahre Villach,
pp. 459-522: 509-511. Sulla rete dei mercanti e degli altri collaboratori di Ungnad
cfr. anche Stökl, Die deutsch-slavische Südostgrenze, pp. 188-96
54 Kostrečić, Urkundliche Beiträge, p. 71. Klombner nel 1563 entrò clamorosamente
in conflitto con Trubar: Rupel, Primus Truber, pp. 85-186, 189 e passim; Fanika
Krainc-Vrečko, Matija Klombner in Vlačićev vpliv na slovenske protestante, «Stati
inu obstati», XI-XII (2010), pp.111-119.
55 I dati sono ricavati da Bučar, Fancev, Bibliografija hrvatske protestantske
književnosti, che riassume i risultati delle precedenti ricerche di Bučar, molto ben
documentate. Per il catechismo croato cfr. p. 64.
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liano: del Catechismo piocciolo ricevette, in tre riprese, 426 esemplari, quasi metà della tiratura; della Confessione della fede, 286; dell’Apologia melantoniana, 364 su 50056. La distinta delle spedizioni della Confessione augustana mostra che Pichler distribuì direttamente le
copie che ricevette; a Vienna ne furono inviate altre 50, a Lubiana, in
due viaggi, 324. Una parte dei volumi infatti doveva venir fatta proseguire verso sud senza transitare per la Carniola; da Villach attraverso Tarvisio e il passo del Predil si poteva raggiungere Plezzo e la
valle dell’Isonzo: negli anni Sessanta i mercanti si servivano già di
questa strada, che consentiva di portare le merci a Gorizia evitando
la muda di Venzone. Da Gorizia, per Duino e Trieste, si arrivava facilmente in Istria: soprattutto il percorso fin dall’inizio si manteneva
sempre in territorio imperiale, dove l’Inquisizione di Udine non poteva intromettersi. Per questa via passarono anche molte edizioni slave, come risulta dai sequestri di libri operati alla fine del Cinquecento
nell’area goriziana: la maggior parte in lingua Slavonica, ossia in sloveno (ma forse anche in croato); altri in lingua Illyrica, probabilmente in caratteri non latini57.
Verso la pianura friulana le spedizioni da Villach dovevano necessariamente passare per Pontebba e la valle del Fella; più a sud a
Gemona risiedeva ancora il nucleo di amici di Antonio Dalmata (se
si accetta l’identificazione proposta di pre Antonio «da Pinguente»),
che aveva mantenuto stretti rapporti con i compagni di fede oltralpe. Tra le carte della tipografia di Urach è rimasta la nota di un invio
personalizzato, evidentemente in dono, della Confessione della Fede a
Ivi, pp. 65, 115-116, 118-119.
Silvano Cavazza, Johann Rainer, «Infrascripti libri combusti fuerunt». Inquisizione
e roghi di libri a Gorizia, Gradisca, Duino (1586-1599), in «La gloria del Signore». La
riforma protestante dell’Italia nord-orientale, a cura di Gianfranco Hofer, Mariano
del Friuli, Edizioni della Laguna, 2006, pp. 159-186. Per l’identificazione di alcune
edizioni slave comprese in questi elenchi cfr. Sergio Bonazza, Novo o fra Gregoriju
Alasii de Sommaripa, in Reformacija na Slovenskem, pp. 527-545: 531.
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«Johanni Spiro Schuelmeister zu Glemaun inn Fryaul»58. Forse non
è arrischiato vedere in questo personaggio Giovanni Spica (Spiga)
da Pinguente, organista e precettore nella località dal 1558 al 1577
(il successore di Dalmata, dunque), già menzionato nei processi del
1558 e denunciato nel 1576 proprio perché possedeva la Confessio
Augustana59. Nel settembre 1567, sempre a Gemona, a casa di Giulio
Passavolante furono trovati cinque dei sei testi italiani stampati a
Urach: mancava solo il Beneficio di Cristo. C’erano anche tre scritti di
Vergerio relativi al concilio di Trento, tutti stampati a Tübingen, a dimostrazione che il canale di distribuzione era stato lo stesso60.
La presenza a Gemona della Forma breve della dottrina christiana
è l’unica testimonianza della circolazione di un testo flaciano nell’area friulana: difficile dire quanto le idee del teologo di Albona abbiano potuto trovare accoglienza in Italia. A Villach e nella Carinzia
meridionale i seguaci di Flacio erano invece forti e agguerriti ancora negli anni Ottanta61: la strada che dal Württemberg portava i libri
verso sud toccava del resto anche Regensburg, un altro baluardo dei
flaciani. Pichler continuò a distribuire opere luterane anche dopo la
cessazione dell’attività di Urach e la morte di Vergerio, che era stato
il suo primo ispiratore; venute a mancare le edizioni italiane, si occupò di libri tedeschi, sloveni e latini stampati in Germania. Trubar da
Franjo Bučar, Popis knjiga, p. 185; Bučar, Fancev, Bibliografija hrvatske protestantske književnosti, p. 116.
59 Del Col, L’inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, p. 87 e nota 6.
60 Archivi Storici dell’Arcidiocesi di Udine, Curia Arcivescovile, Sant’Officio, b.
2 (=1279), fasc. 42. Gli scritti di Vergerio sono: Della declination che ha fatto il
papato, 1562 (Hubert, n. 155); A’ reverendissimi vescovi congregati in Trento delle
enormità del Concilio loro, [1562] (Hubert 160); di dieci anni precedente è invece
la Descrittione di quello che in nome dell’illustrissimo … signor Christophoro Duca
Virtembergense … è stato fatto dagli suoi ambasciatori nel concilio di Trento nell’anno
1552, 1553 (Hubert 77).
61 Neumann, Die Reformation in Villach, pp. 427-446; Oskar Sakrausky, Ein bisher
unbekannter slowenischer protestantischer Katechismus aus dem Jahre 1580, in 900
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Tübingen lo ebbe come punto di riferimento almeno fino al 158362.
Tipico uomo di confine che padroneggiava più di una lingua, il mercante carinziano talvolta fu preso per italiano dai viaggiatori che passavano per Villach, tappa obbligata sulla strada da Venezia a Vienna.
Le voci della sua attività giunsero anche alla nunziatura di Graz; da
qui furono trasmesse al Sant’Uffizio romano. Il 27 settembre 1581
infatti il nunzio Germanico Malaspina aveva riferito preoccupato al
cardinal Savelli: «Don Juan de Borgia mi scrive che in Villacco le cose
stanno in malissimo stato, et che un italiano nominato Nicolò Pillar
fa danno grandissimo per esser pessimo lutherano; et che ’l commercio de’ nostri in quelle parti per quanto si intende non è senza manifesto danno. Et io ancora lo so, ma non avendo Sua Altezza [l’arciduca Carlo] braccio in quel luogo per esser del vescovo di Bamberga,
non saprei che farci»63.
Jahre Villach, pp. 447-458; Irmtraud Koller-Neumann, Die Gegenreformation in
Villach, Villach, Stadtmuseum, 1976 («Neues aus Alt-Villach», XIII), pp. 16-35.
62 P. Trubar ai deputati della Carniola, Derendingen, 8 gennaio 1583, in Elze, Primus
Trubers Briefe, n. 60, pp. 523-525: 525.
63 La lettera in Innerösterreich betreffende Quellen aus den Inquisitionsarchiven in
Rom und Udine, bearb. von Johann Rainer und Christian Rainer, Graz, Historische
Landeskommission für Steiermark, 2004, p. 24 (il testo è stato modificato in un
punto in cui non dava senso). Juan de Borgia (Borja) dal 1577 era ambasciatore
spagnolo presso la corte imperiale.
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Libri luterani verso il Friuli: Vergerio, Trubar, Flacio