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Sommario
Le Cento Città
*
Direttore Editoriale
Mario Canti
Comitato Editoriale
Laura Cavasassi
Ettore Franca
Alberto Pellegrino
Anna Maria Zallocco
Direzione, redazione,
amministrazione
Associazione Le Cento Città
[email protected]
Direttore Responsabile
Edoardo Danieli
Prezzo a copia
Euro 10,00
Abb. a tre numeri annui
Euro 25,00
Spedizione in abb. post.,
70%. - Filiale di Ancona
Reg. del Tribunale di Ancona
n. 20 del 10/7/1995
Stampa
Errebi Grafiche Ripesi
Falconara M.ma
3Album
Ferruccio Ferroni, fotografo tra realtà e metafisica
di Alberto Pellegrino
9Editoriale
Costruire la memoria e progettare il futuro
di Alberto Pellegrino
12 Conversazioni sull’etica
Le sfide dell’etica nella cultura postmoderna
di Luigi Alici
15 L’Università per la Città
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
di Natale G. Frega, Antonio Benedetti
23 La mostra
Raffaello, nella culla del genio
di Mario Canti
26 La qualità
Architettura di pregio per rilanciare il territorio
di Edoardo Danieli
30 L’incontro
Ando Gilardi tra arte digitale e memoria
di Marcello Sparaventi
Periodico quadrimestrale de
Le Cento Città,
Associa­zione per le Marche
Sede, Piazza del Senato 9,
60121 Ancona. Tel. 071/2070443,
fax 071/205955
[email protected]
www.lecentocitta.it
*
Hanno collaborato a questo numero
Francesca Acqua, Luigi Alici, Antonio
Benedetti, Mario Canti, Edoardo Danieli,
Giovanni Danieli, Natale G. Frega,
Alberto Pellegrino, Marcello Sparaventi,
Adrian Vasilache
In copertina
Raffaello, Madonna con
Bambino, 1506-1508. Washington,
National Gallery.
32 Musica
La riscoperta di un compositore marchigiano, Giuseppe
Balducci
di Adrian Vasilache
35 Libri ed eventi
Libri - Eventi
di Alberto Pellegrino
42 Vita dell’Associazione
a cura di Giovanni Danieli
45 Controcopertina
Marche/Arte
di Francesca Acqua
Le Cento Città, n. 37
Album
3
Ferruccio Ferroni, fotografo tra realtà e metafisica
di Alberto Pellegrino
Ferruccio Ferroni (Mercatello
sul Metauro 1920 - Senigallia
2007) è stato insignito nel 1996
del titolo di Maestro Fotografo
Italiano e per anni è stato il decano della fotografia marchigiana, il
continuatore più fedele di quella
poetica dell’immagine coltivata e
promossa da Giuseppe Cavalli,
vate indiscusso della fotografia
d’arte dentro e fuori i confini
della nostra regione. Cavalli era
un maestro molto particolare
che non impartiva solo lezioni di tecnica e di linguaggio
della fotografia, ma invitava i
suoi discepoli a leggere i classici e i contemporanei della
letteratura, a visitare i musei e
a studiare la storia dell’arte, ad
ascoltare i grandi della musica classica. Grazie a questa
impronta multidisciplinare è
nata nelle Marche una schiera
di fotografi “umanisti” di notevole valore, fra i quali assurge
a livelli internazionali il “grande” Mario Giacomelli.
L’attività artistica 1948-1957
Ferroni inizia a fotografare
al fianco di Cavalli nel 1948 e
svolge un’intensa attività artistica
fino al 1957, quando sospende
ogni impegno fotografico per
dedicarsi a tempo pieno all’avvocatura. Si tratta in ogni caso
di un decennio che costituisce la
prima fase di una carriera artistica che vede Ferroni affermarsi
attraverso la partecipazione di
sue opere al Grand Concours
International de Photographie di
Lucerna, alla Mostra Nazionale
di fotografia di Ravenna, alla
Mostra della Fotografia italiana di
Venezia, alla Mostra della fotografia italiana di Firenze, alla Mostra
della Subjekfive Fotografie di
Saarbrucken, alla Biennale della
Fotografia e del Cinema di Parigi,
all’Exposition international de
Photographies di Bruxelles.
In quello stesso periodo
Ferroni entra a far parte del
Gruppo La Bussola di Venezia
e Misa di Senigallia, allacciando
rapporti professionali e umani
con i più importanti fotografi
del suo tempo. Sono anni di
intenso lavoro durante i quali
egli riesce a conciliare la ricerca
di una perfezione tecnica con
un’esigenza interiore di poesia
come viene acutamente sottolineato dal suo maestro Cavalli:
“Con pazienza alacre, Ferruccio
Ferroni se gli accada di essere
attratto da qualsiasi realtà visibile che muova, in lui fotografo,
le segrete molle dell’emozione,
si mette al lavoro non ha più
riposo e pace finché non riesce
a piegare docilmente i mezzi
tecnici – che ormai controlla
molto bene – ad esprimere con
fedeltà quel ch’egli ha saputo,
“vedendo”, intuire, e che tiene
nel cuore”.
A testimonianza di questa presenza attiva di Ferroni nel panorama fotografico del suo tempo
anche sotto il profilo teorico,
l’Istituto Superiore per la Storia
della Fotografia ha pubblicato
nel 2004 il Carteggio 1952-1959
intercorso tra lui e molti altri
fotografi italiani che hanno operano in quegli anni particolarmente intensi per la fotografia
italiana, per cui attraverso le lettere di molti autori, critici, operatori culturali (Monti, Roiter,
Di Biasi, Crocenzi e altri) è possibile approfondire il dibattito
culturale in corso in quel periodo storico.
I connotati dell’arte fotografica
di Ferroni
Ferroni inizia il suo cammino
inseguendo il mito della bellezza, cercando di coniugare la
levità poetica di Cavalli e degli
autori del gruppo La Bussola
con l’espressionismo di Paolo
Monti e degli aderenti al gruppo
della Gondola, fra cui spiccano i
nomi di Fulvio Roiter e Mario
De Biasi. Sempre impegnaLe Cento Città, n. 37
to a costruire le sue immagini
seguendo una costante ricerca
della perfezione, egli persegue
una precisa architettura formale, per cui nella sua opera non si
avverte mai uno scatto improvvisato, legato alla causalità di
un incontro oppure alla cronaca
quotidiana. Al contrario emerge
con chiarezza un continuo studio dell’inquadratura all’interno della quale la composizione
assume un’importanza fondamentale e diventa il tessuto di
un discorso poetico che si protrae nel tempo con una coerenza
veramente straordinaria.
All’astrattismo assoluto di
Luigi Veronesi, punta avanzata
della ricerca fotografica, Ferroni
contrappone un’astrazione simbolica della realtà che viene
frantumata sotto il profilo materico e “reinventata” attraverso
una serie di atmosfere poetiche che si caratterizzano per le
“magie” luministiche e per la
costante ricerca di geometrie
capaci di trasfigurare l’oggetto
o di estrapolare un frammento
di paesaggio, a cui l’autore sa
conferire una piena dignità narrativa in una perfetta sintesi tra
significato e significante. Egli
riesce a raggiungere una piena
intensità lirica senza arrivare
mai a uno stravolgimento radicale della realtà, ma ponendosi
come obiettivo di fondo una
sua costante “trasfigurazione”
attraverso l’uso ricorrente degli
elementi fondamentali del suo
linguaggio: il sapiente dosaggio
della luce, la cura costante per
le sfumature, l’eleganza delle
composizioni, la creazione di
atmosfere oniriche, la ricerca di
una serenità libera da tensioni
diventano le “costanti” di un
autore che opera avendo alle
spalle una solida cultura, una
ricca personalità, una raffinata
sensibilità.
In questo decennio prende
vita e si sviluppa quel particolare mondo di Ferroni fatto di
Album
4
Le Cento Città, n. 37
Ferruccio Ferroni
architetture, luminosità, atmosfere: il frammento di una facciata, di una porta, di una finestra
diventano un universo che lascia
intuire la presenza dell’umano;
un corrimano che proietta la sua
ombra contro un muro grigio
o il riccio bianco di un cancello
che intreccia le sue volute con i
rami spogli di un albero assumono valenze metafisiche; ritratti
di bambini, fanciulle e giovani
donne dalla delicata luminosità vogliono rappresentare con
la loro delicata luminosità un
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ideale di innocente bellezza; le
nature morte (di fronte alle quali
la mente corre all’eleganza di
Edward Weston e al minimalismo di Minor White) hanno per
oggetto soprattutto la sinuosità intrigante delle piante grasse
esaltata dal raffinato gioco delle
luci, oppure una vasta tipologia
di conchiglie che, estrapolate da
ogni contesto realistico, assumono una propria vita poetica e
astratte profondità metafisiche;
infine i paesaggi apparentemente “tradizionali”, ma che rivelano
Le Cento Città, n. 37
ad un secondo livello di lettura la
ricerca di un superamento della
realtà “apparente” per arrivare
ai significati più nascosti del rapporto uomo-natura.
Due sono tuttavia gli elementi più consistenti della poetica
figurativa di Ferroni. Da un lato,
abbiamo la rappresentazione di
una realtà misteriosa e intrigante
che traspare al di là di una finestra, l’agitarsi come neri fantasmi
di alberi dietro i vetri appannati
dalla pioggia, la raffigurazione
poetica e intimistica di un’umanità minore e riservata, osservata con rispettoso pudore e
filtrata attraverso lo schermo
della vetrina di un negozio e del
vetro di una finestra (Il cortese orologiaio, Donna con gatto).
Sull’altro versante acquista
un’importanza determinante il
paesaggio marino, un genere in
cui rivaleggia per intensità poetica con il suo maestro Cavalli:
siamo di fronte a una poesia
metafisica come nella “Nuvola”
(1950) con la solitudine di quel
moscone abbandonato sulla battigia o nella “Marina” (sempre
del 1950) con le tre cabine sulla
spiaggia deserta che riflettono la
loro geometrica solitudine contro
il cielo grigio; ancora geometrie
perfette fino all’astrazione ritroviamo nella rappresentazione
della palla a spicchi appoggiata
contro la parete della cabina a
righe verticali, mentre fanno da
sfondo i tre piani della spiaggia
sassosa, del mare e del cielo.
Infine Ferroni conduce una
serrata ricerca sul rapporto tra
la materia e la luce che si riflette
sui mattoni di un muro, sulle
ferite di vecchie porte, sui tronchi d’albero segnati dall’uomo
e dagli anni. Ancora una volta
si afferma la poetica del “particolare” che va ad aggiungersi
ai suoi paesaggi, dove si avverte
il “respiro” della luce, a tutte le
altre opere dove si avverte una
simpatia umana per gli uomini e
per le cose, costituendo un corpus
unitario che rende l’autore uno
dei protagonisti della fotografia
italiana degli anni Cinquanta.
L’unità stilistica di Ferroni trae
origine da una ricerca poetica
sempre raffinata, quasi timida e
sussurrata, lontana dalle mode
Album
ma pur sempre attuale, perché
si propone di parlare alla sensibilità più profonda dell’animo
umano. “Le sue opere – dice
Mario Giacomelli – sono frammenti poetici, immagini formali
squisitamente composte che contengono l’essenzialità, l’essenza
di una energia che porta con sé
l’anima delle cose, l’espressività
lirica, la partecipazione emotiva
nelle sue leggi più arcane”.
Il ritorno alla fotografia dopo
il 1984
Dopo una lunga pausa di inattività, Ferroni si riaccosta alla
fotografia ed apre un nuovo ciclo
artistico che va dal 1984 alla fine
del Novecento, quando l’autore
ritorna sulla scena nazionale con
una serie di mostre personali e
con la presenza in importanti
manifestazioni fotografiche: nel
1980 partecipa alla Mostra 30
anni di fotografia a Venezia –
La Gondola 1948-1978 allestita
6
nel veneziano Palazzo Fortuny;
quindi partecipa nel 1993 alla
V Biennale internazionale di
Fotografia di Torino, nel 1995
alla Mostra Gli anni de La Bussola
e de La Gondola a Padova, nel
1997 alla mostra Forme di Luce
– il gruppo “La Bussola” e aspetti
della fotografia italiana del dopoguerra, organizzata a Firenze dal
Museo di storia della fotografia
Fratelli Alinari.
Quando riprende a fotografare, sembra che Ferroni voglia
ripartire là dove si era fermato,
cioè da quella ricerca formale e
luministica legata alle superfici
legnose, solo che questa volta
la luce scava sulle tavole corrose ferite più profonde e laceranti, disegna venature misteriose,
ombre inquietanti in mezzo alla
violenta luminosità che investe
la composizione: lo scorrere del
tempo non ha segnato solo quei
legni tormentati, ma ha segnato
anche la personalità dell’autore
Le Cento Città, n. 37
che cerca di recuperare il suo
antico senso di serenità attraverso la luce e la consueta eleganza
formale.
Un tema nuovo è invece costituito dalla serie dei muri urbani
dove i manifesti strappati compongono forme e figure che
attraggono l’interesse e la sensibilità di Ferroni che con questa sua
ricerca formale si avvicina al pittore Mimmo Rotella, l’inventore del
decollage cioè la rappresentazione
di un mondo artistico attraverso la sottrazione-distruzione di
parti di manifesti o altri tipi di
immagini. Il fotografo senigalliese
cerca, al contrario, di rappresentare un universo figurativo creato
dal passare del tempo e dall’incuria dell’uomo, per cui questi
frammenti di manifesti, modellati
dal caso, diventano un mondo
fantastico e personale, finiscono
per assumere una loro dimensione poetica che trasuda da questi
muri attraverso forme rese dinamiche dal gioco dei bianchi e dei
neri, brandelli che si convertono
in paesaggio o che si presentano
come le tessiture di catene montuose e di cieli nebbiosi: ancora
una volta in Ferroni la dimensione onirica prende il sopravvento
sulla realtà del “rottame” urbano, diventa rappresentazione di
stati d’animo, assume la dimensione di un racconto fantasioso
di un viaggiatore che ama vivere
le intime avventure dello spirito
percorrendo le vie della propria
città.
Una tematica di tipo urbano,
parallela a quella precedente, è
rappresentata dalla serie delle
vetrine, che diventano il doppio
filtro per osservare il mondo che
traspare oltre il vetro, ma anche
lo specchio della realtà urbana
che si riflette sul vetro destinata ad assumere, proprio perché
appare distorta e frantumata,
quella dimensione onirica che
rappresenta una costante nell’arte di Ferroni: così vediamo uno
specchio riflettere la finestra del
palazzo di fronte; un mondo fantastico di burattini e anticaglie
occhieggiare verso l’osservatore;
vasi di fiori riflettere la tremolante realtà esterna; un abito di
gran gala femminile inglobare il
riflesso di una figura maschile;
Ferruccio Ferroni
ancora abiti femminili, manichini, lampadari, oggetti d’antiquariato popolare, il mondo statico
delle vetrine contro le quali si
riflette il passaggio delle figure
umane, i profili delle automobili,
i profili degli alberi, metafora
della vita reale che scorre come
in un acquario, estranea alla
“vita” del sogno, imprigionata
dentro una vetrina. Questa serie
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di immagini diventa la lettura
poetica di una realtà urbana che
appare nello stesso tempo fantasiosa e alienata, rappresentazione metaforica di una quotidianità in cui viviamo costantemente
immersi fino a diventare così
abitudinaria da sfuggire ai nostri
stessi sguardi, alla nostra concezione del reale: proprio per questo l’autore ci invita a riflettere
Le Cento Città, n. 37
su di un mondo che, sublimato
attraverso il sogno, diventa uno
dei messaggi più poetici di tutta
la sua produzione artistica.
Editoriale
9
Costruire la memoria e progettare il futuro
di Alberto Pellegrino
La costruzione della memo- tare il futuro, scegliendo la via
ria storica costituisce un fon- di un “apprendimento rapido”
damentale collante dell’identità connesso a un “oblio altrettanto
individuale e collettiva ed è per rapido”.
questo che abbiamo il dovere,
Forse è giunto il momento di
come marchigiani, di avere una prendere atto che stiamo vivenmemoria condivisa che renda do in una società di tipo egopossibile un confronto con i centrico che non ha più modelli
diversi livelli della realtà extra- di riferimento morali, culturali
regionale. È evidente allora che e politici condivisi, che mira
la nostra Associazione può e invece all’autorealizzazione e
deve rappresentare una zona di all’autolimitazione individuafrontiera tra conoscenza storica le, al rifiuto di una dimensioe futura società civile.
ne sociale dell’esistenza e, di
Nonostante le scienze socia- conseguenza, al rifiuto di ogni
li abbiano lanciato da anni un forma di partnership. Nello
grido di allarme sui pericoli stesso tempo è entrato in crisi
derivanti dalla globalizzazione il concetto di rischio come era
economica, soltanto ora comin- stato elaborato dalle scienze
ciamo a renderci conto che sociali: prevedere e rendere
stiamo attraversando una crisi controllabili le conseguenze sia
di tipo planetario che sembra dei comportamenti individuali
destinata a cambiare la storia e collettivi, sia delle decisioni
del nostro pianeta. Zygmunt prese da chi detiene l’autorità di
Bauman, il teorico della “società governo all’interno di comunità
liquida”, sostiene che sta entran- più o meno delimitate. Con il
do in crisi quel tipo di società procedere del processo di glofondata sul principio “consumo balizzazione, i pericoli hanno
dunque esisto”, all’interno della assunto dimensioni planetarie
quale il potere ha accettato (crisi ecologiche, crisi finane digerito tutti i cambiamenti ziarie, disoccupazione, minacdella storia, anche i più dram- ce terroristiche, ecc.), per cui i
matici, dichiarando uno stato rischi non vengono più “calcodi emergenza continua,
inculcando
un senso più
o meno vago
di
paura,
esaltando il
cambiamento per il cambiamento,
adottando
una politica
del vivere
quotidiano
che, a lungo
andare, si è
rivelata un
trucco per
liberarsi del
passato e
non proget- Il Presidente Alberto Pellegrino.
Le Cento Città, n. 37
lati” e anche le conseguenze di
“catastrofi annunciate” sfuggono al controllo degli Stati nazionali che si rivelano impotenti
a fronteggiarle. Sulla base di
questa situazione si prospetta,
sul piano pratico, la necessità di
superare la dimensione nazionale per arrivare a interventi
di governi continentali sotto il
coordinamento e il controllo di
un governo mondiale capace di
favorire la nascita di una democrazia planetaria che, superando
il concetto di Stato nato nel
Settecento, affronti i problemi del pianeta e lasci la “cura
del quotidiano” alle comunità
regionali e locali.
Nello stesso tempo, come
ha recentemente scritto Michele
Serra, è necessaria “una rivoluzione contro tutte le dipendenze di ogni ordine e grado, la
supina imitazione, lo spirito di
gregge, la passività psicologica,
la mediocrità mortificante che
spinge a emulare gli altri pur di
non fare la fatica di valorizzare se stessi”. Occorre pertanto
stabilire un nuovo rapporto tra
etica e globalizzazione per dare
un “volto umano” a questo fenomeno, per
coniugare
sviluppo
economico
e crescita
culturale,
per costruire un cambiamento
dal basso,
partendo
dalle realtà
regionali
per arrivare a livelli
planetari.
Si tratta di
un
cambiamento
radicale
fondato
Editoriale
sul superamento di una sfera
economica dominata unicamente
dalla logica del profitto, sul ritorno all’impresa come istituzione
aperta al sociale, sul recupero del
primato della politica sull’economia. Parafrasando e aggiornando
Max Weber, bisognerà ritornare a coniugare l’etica individuale
con l’etica collettiva, l’etica della
consapevolezza nei valori e nei
principi individuali con l’etica
della responsabilità propria della
dimensione politica.
In questo quadro la nostra
Associazione può assecondare
la tentazione di lasciar morire il
passato e di adagiarsi nel presente, oppure porsi come fine
il recupero e la valorizzazione
della storia e dell’identità culturale della nostra Regione senza
cadere in un ottuso “conservatorismo”, senza favorire forme
di “vetero campanilismo”, nel
rispetto di quel sano “localismo” che ha sempre rappresentato una fonte di ricchezza
spirituale, di fantasia creativa e
di sviluppo economico per tutte
le Marche.
L’Associazione deve assumersi l’obbligo della conoscenza,
della ricerca, della documentazione e della tutela di determinate realtà regionali in quei
settori che costituiscono ormai
tradizionalmente i nostri poli di
interesse: il patrimonio storico,
letterario, artistico, architettonico e paesaggistico, musicale e
antropologico, il sistema scolastico e universitario, l’organizzazione sanitaria e dei servizi
sociali, la condizione giovanile e
i fenomeni sociali emergenti, le
politiche culturali.
L’Associazione deve presentarsi all’esterno come un vivace
laboratorio culturale, elaborare
progetti finalizzati allo sviluppo
10
culturale della regione, creando le condizioni e le occasioni
perché la domanda culturale
e sociale della comunità marchigiana s’incontri con l’offerta
istituzionale, in modo da sviluppare un rapporto dialettico con
le istituzioni pubbliche e private
per mettere a confronto la natura
particolarmente variegata della
nostra regione così diversificata
tra nord, centro e sud, tra zona
costiera, collinare e montana. Il
nostro compito, come ha detto lo
storico Mario Bodei, è quello di
“essere capaci di cogliere la voce
degli altri per costruire una storia
unitaria che è più simile all’intreccio di tanti fili, che non a una
marcia trionfale”.
Un Decalogo per l’Associazione
Produrre una rivoluzione culturale per contrastare la standardizzazione dei costumi e dei
consumi.
Riflettere sulla complessità
della globalizzazione che mette
a confronto, spesso in modo
conflittuale, identità culturali, etniche e religiose diverse,
dando risalto a ciò che unisce
l’umanità rispetto a quanto la
divide.
Tenere conto del peso dei
mass media nella diffusione della
cultura di massa che offre più
vaste opportunità di conoscenza, ma favorisce anche una pericolosa omologazione culturale
verso il basso.
Prendere atto della proliferazione di culture e di modelli
di comportamento, accompagnata da una forte richiesta di
valorizzazione dell’individuo
che può svilupparsi in comunità locali aperte al nuovo e al
diverso.
Prendere atto che è in corso
Le Cento Città, n. 37
una crisi della società planetaria
del consumo fondata su uno sterile materialismo e all’insegna del
motto “compra, godi e getta via”.
Sentire l’orgoglio di essere
dei consumatori difettosi che il
mercato tende a emarginare,
in quanto capaci di selezione i
propri bisogni e di privilegiare
determinati beni.
Liberarsi della tirannia del
presente che porta a rifiutare
e dimenticare il passato, a non
riflettere e progettare il futuro, prendendo coscienza che sta
perdendo credibilità la formula
“più mercato, più privato, più
spettacolo”..
Adottare una cultura del cambiamento liberandosi del “culto
del lieto fine” e della impressione che la vita sia paragonabile
ad un format televisivo.
Respingere la politica del piccolo cabotaggio quotidiano e
l’antipolitica per ritornare alla
Politica come arte di governo
della società, basata su valori e regole condivisi, su forme
dialettiche improntate al rispetto reciproco, per diventare più
adulti e democratici, per liberarci di una “Italietta” chiusa, qualunquista e clericale, per avere la
fantasia di scoprire nuove ricette
valide per una civiltà della globalizzazione.
Operare nella convinzione
che la nostra Associazione ha
le carte in regola per partecipare a livello regionale a questa
rivoluzione culturale prossimoventura, sostenendo l’esigenza
di avere più scuola, più formazione permanente, più cultura, aprendosi ai soci di ambo i
sessi della seconda generazione
senza rinnegare il patrimonio di
esperienze e di saggezza rappresentato dai soci fondatori.
Conversazioni sull’etica
12
Le sfide dell’etica nella cultura postmoderna
di Luigi Alici
L’etica è come la salute: la si
invoca soprattutto quando si sta
male. Se questo ci aiuta a riaprire alcuni orizzonti valoriali che
avevamo smarrito, può essere
un bene; non possiamo però
appellarci all’etica solo in negativo. È soprattutto l’eccellenza
del bene, prima ancora che l’abisso del male, che dovrebbe
aiutarci a guadagnare un’idea
positiva e propositiva dell’etica,
la quale di per sé indica quell’insieme di orientamenti verso il
bene e di mediazioni normative
che conferiscono qualità morale
alla vita.
Usando una metafora automobilistica, potremmo paragonare l’etica al pedale dell’acceleratore, più che a quello del
freno; vivere una vita morale,
infatti, significa riconoscere che
ognuno di noi può essere e fare
di più: più vicino al bene e quindi più felice. In questo senso, la
morale è per il morale, proprio
nel senso che deve aiutarci a
“star su di morale”, evitando
una vita “demoralizzata”.
L’etica nella cultura postmoderna
Il modo in cui oggi, nella cultura e nel costume, si riconosce
una criticità etica dipende da
una complessità di fattori, che
non è facile censire in modo analitico e obiettivo. Si può cercare,
in ogni caso, una chiave interpretativa interrogandoci prima
di tutto intorno alla distanza
dalla modernità che caratterizza,
da alcuni decenni, la sensibilità
contemporanea.
Per modernità possiamo
intendere quella straordinaria
stagione culturale che nasce
e si consolida in Europa nel
Lettura tenuta nell’Aula del Rettorato
dell’Università Politecnica delle Marche, in
Ancona, il 21 novembre 2008 per la serie
di Conversazioni sull’etica, in memoria di
Tullio Tonnini.
Seicento, con l’affermarsi della
scienza moderna, e ha il suo
manifesto più rappresentativo
nella visione illuministica dei
diritti umani. La cultura moderna si afferma con una forte connotazione antropocentrica, configurandosi come un progetto
conoscitivo attraverso il quale
l’uomo, in virtù della ragione,
aspira a dominare la natura e ad
attivare nella storia un processo
di emancipazione collettiva.
Rispetto a questo paradigma, nella seconda metà del
Novecento matura progressivamente la consapevolezza di
un “congedo” irreversibile dalla
modernità, solitamente identificato come “postmodernità”.
È sempre più diffusa la consapevolezza che oggi viviamo
nell’epoca dei “post”: postmoderno, postmetafisica, postdemocrazia, postsecolare, postumano sono alcuni dei termini
che stanno avendo grande fortuna, a volte usati per comodità
storiografica come stereotipi
vuoti.
In ogni caso, oggi avvertiamo la difficoltà di riconoscerci
eredi o figli dell’illuminismo;
alla razionalità illuministica preferiamo una ragione “debole”,
che rinuncia a brandire la verità
come un’arma e s’accontenta
di assumere un profilo narrativo, interpretativo, mentre le
grandi promesse della “ragione
forte” sembrano essere raccolte soprattutto dalla tecnologia.
Con una conseguenza paradossale, però, che ci aiuta a capire lo spirito postmoderno: nel
momento stesso in cui la riflessione razionale intorno al bene
e al male, intorno al senso del
vivere e dell’amare si fa incerta
ed esitante, la razionalità tecnologica tende ad imporsi in forme
sempre più autonome e autorefenziali. Hans Jonas, uno dei
filosofi che più hanno riflettuto
Le Cento Città, n. 37
su questa singolare coincidenza
di onnipotenza della tecnica e
impotenza della cultura, nell’opera Il principio di responsabilità ha scritto: “Ora tremiamo
nella nudità di un nichilismo
nel quale il massimo di potere
si unisce al massimo di vuoto, il
massimo di capacità al minimo
di sapere intorno agli scopi”.
La sfida delle relazioni
In questo nuovo contesto, l’etica è chiamata a misurarsi con
la sfida delle relazioni, almeno
a tre livelli: relazione dell’uomo
con i suoi simili, con la natura e
con se stesso.
Per quanto riguarda il primo
aspetto, che investe il tema
della convivenza, basterà qualche esempio, simbolicamente
connesso ad alcune date: 1989,
2001, 2008. Il 1989 è l’anno del
crollo del muro di Berlino, che
segna la fine di una stagione
iniziata due secoli prima, nel
1789, con la rivoluzione francese; termina una stagione segnata da un’alta progettualità politica e da un’ideologia “forte”,
grazie alla quale si presumeva
di conquistare in maniera totale e irreversibile la felicità per
tutti. L’11 settembre 2001 porta
la ferita dell’attacco terroristico
agli Stati Uniti: nell’immaginario
collettivo questa data ha ormai
un valore simbolico, vissuto in
maniera traumatica come sintomo inquietante di un possibile “scontro di civiltà”. Il 2008
potrebbe finire nei libri di storia
come l’anno in cui cade un altro
muro, il muro di Wall Street, che
separava lo stato dal mercato,
pretendendo di stendere intorno al mercato una specie di cordone sanitario che impedisse
qualsiasi ispezione non solo da
parte della politica, ma anche
dell’etica.
Alla luce di questi eventi, oggi
L’etica nella cultura postmoderna
siamo chiamati a fronteggiare
la sfida del multiculturalismo
senza il collante delle ideologie politiche e senza un progetto condiviso di etica pubblica,
che possa mediare i conflitti tra
politica ed economia. Rinasce
quindi in forme nuove un’antica domanda intorno al “noi”:
dove comincia il “noi”? Il “noi”
è una dimensione originaria,
che ci accomuna e per questo
è parte integrante della nostra
identità, oppure è una dimensione semplicemente estrinseca,
rispetto ad un modello sociale
irriducibilmente conflittuale? Si
può stare insieme, nell’epoca
della globalizzazione, con un
modello culturale individualistico, che s’illude di arbitrare i
conflitti neutralizzando l’idea di
uno spazio (e quindi di un bene)
comune?
13
biologico marginale, che non
può rivendicare per sé nessun
privilegio. Eppure non ci è difficile riconoscere una serie di
incoerenze alla base di queste
prese di posizione: da un lato
riteniamo che l’individuo abbia
un diritto assoluto sulla propria
vita, ma dall’altro neghiamo la
libertà di coltivare mais geneticamente modificato, in nome
di un valore che deve prevalere sugli interessi individuali.
Ancora: secondo alcune teorie
animaliste (che oggi hanno sui
giovani una presa simile a quella
che qualche decennio fa avevano le opere di Marx), i primati superiori sono titolari di
diritti, non riconoscibili invece
agli handicappati gravi e ai cerebrolesi. Secondo alcune teorie
ambientaliste, invece, esiste un
diritto “biotico” di una montagna in un parco, che invece non
si può riconoscere ad un animale allevato in cattività. Nella
difficoltà di tracciare un confine
certo tra naturale e artificiale,
in qualche caso riconosciamo
alla natura un valore intrinseco, in qualche altro caso no.
L’articolo 9 della Costituzione
italiana riconosce alla famiglia
fondata sul matrimonio lo status
di “società naturale”, eppure
oggi facciamo fatica a riconoscere una società che non sia
convenzionale.
Un terzo aspetto riguarda il
rapporto dell’essere umano con
se stesso. Rispetto a qualsiasi
altra forma di vita sulla terra, la
persona ha la capacità di entrare
in una relazione riflessiva con se
stessa, direttamente o indirettamente. Questa attitudine riflessiva chiama in causa il valore
della dimensione interiore e l’altezza metafisica della coscienza.
Eppure, la cultura massmediale
imperante ci spinge a credere
che si possa guadagnare un’identità personale solo attraverso una visibilità esterna, soprattutto mediatica. Qualcuno l’ha
chiamata “idolatria del consenso”. La difficoltà, soprattutto
per i nostri ragazzi, di guardarsi
dentro, di riconoscere i propri
limiti, viene mascherata da una
ricerca ossessiva di riconoscimento esterno. Non a caso i
network pullulano di talk-show,
fondati su principio dello “spogliarello psicologico”; chi ha
bisogno dell’applauso per essere confermato nei suoi sentimenti evidentemente non ha
un buon rapporto
con se stesso.
Un secondo aspetto investe il
rapporto tra uomo e natura. La
cultura contemporanea denuncia l’antropocentrismo come la
radice di tutte le minacce alla
biosfera; tali minacce, prima
ancora che sul terreno tecnologico, nascerebbero sul terreno culturale. L’attualità non è
avara di esempi: il dibattito sul
cosiddetto “protocollo di Kyoto”, che
porta in primo piano
il tema del cosiddetto “effetto serra” e
del riscaldamento
globale, solleva il
problema dell’eredità insostenibile che
stiamo lasciando alle
future generazioni. Si
potrebbero ricordare,
ancora, il dibattito sul
nucleare, sugli organismi “geneticamente
modificati”, le teorie
dei diritti degli animali…
Dietro queste sfide
si va affermando un
paradigma biocentrico, che invita a considerare l’equilibrio
complessivo della
biosfera, declassan- Luigi Alici, Ordinario di Filosofia Morale nell’Università
do l’uomo a episodio di Macerata.
Le Cento Città, n. 37
Coerenza difficile
Non è difficile
riconoscere in queste forme relazionali
modelli di etica eterogenei. Nel primo
caso, cerchiamo di
garantire la convivenza in nome di un’etica contrattualista:
l’essere insieme non
è una proprietà originariamente umana,
ma si fonda su un
patto “artificiale”, in
virtù del quale ognuno cede allo Stato una
quota della propria
libertà individuale in
cambio della sicurezza. La grande fortuna
del pensiero di John
Conversazioni sull’etica
Rawls nasce da qui: è possibile
legittimare istituzioni pubbliche
solo in nome di una visione contrattualista della giustizia, che
metta tra parentesi il bene.
Nel secondo caso, invece,
s’invoca di solito un’etica rigidamente normativa; secondo l’ideologia ambientalista, ad esempio, la foresta amazzonica ha un
valore intrinseco, è un patrimonio naturale che non può essere
lasciato nelle mani degli Stati
nazionali, ma si colloca al di
sopra della politica e dell’economia; rispetto ad esso debbono
ridursi drasticamente gli spazi
dell’autonomia individuale.
Nel terzo caso, infine, il soggetto rivendica una proprietà
assoluta sulla propria vita, in
nome di un insindacabile principio soggettivistico. Il rapporto
medico-paziente, ad esempio,
si trasforma in un semplice rapporto tra un cliente che compra
e un tecnico che vende una prestazione; sull’etica medica della
cura grava un’ipoteca insuperabile, che può arrivare persino a
spingersi alla scelta della linea
terapeutica e del tipo di validazione scientifica che dovrebbe
accreditarla. Il dibattito di qualche anno fa (forse archiviato
troppo in fretta) sulla cosiddetta “cura Di Bella” è un esempio
eloquente.
Ecco dunque una tripla schizofrenia: nel rapporto politico
vige un’etica contrattualista, nel
rapporto con la natura un’etica rigorosamente normativa,
mentre nel rapporto con noi
stessi invochiamo una franchigia morale assoluta. È un inutile esercizio retorico invocare
l’etica, e poi di fatto appellarsi
di volta in volta a modelli etici
concettualmente alternativi.
Logos e pathos
Siamo rinviati a questo punto
al nodo cruciale della relazione. Nella modernità erano stati
elaborati due modi opposti di
concepire la relazione: da un lato
il paradigma illuministico del
logos, secondo il quale “sapere
è potere” e la ragione garantisce
14
un dominio conoscitivo sull’esperienza; da un altro lato il paradigma romantico del pathos, che
invece invita a liberarsi dal dualismo soggetto/oggetto, prodotto
da una razionalità astratta, guadagnando un’intuizione empatica
con l’intero della vita. Il primo
modello è freddo, oggettivo,
analitico, utilitaristico, guarda al
risultato; il secondo è caldo, soggettivo, sintetico, estetico, cerca
la gratificazione.
Nella
cultura
odierna
quest’antitesi viene risolta con
una ibridazione sincretistica
dei due modelli. Nell’orizzonte
dei “rapporti lunghi” tendiamo
ad assumere, in maniera più o
meno consapevole, il paradigma illuministico, mentre il paradigma romantico prevale nella
sfera dei “rapporti corti”. La
domanda di autenticità tende
ad essere accolta soprattutto in
questa sfera privata, dominata
dall’immediatezza delle emozioni: io sto bene con te, senza
alcun bisogno di un “terzo”, sia
esso una terza persona, o una
rete di istituzioni pubbliche, o
un bene universale che ci accomuna. Senza una razionalità
che ci aiuti a universalizzare le
relazioni, è difficile appassionarsi all’orizzonte lontano, dominato da una logica anonima e
impersonale. Per questo, spesso
i nostri ragazzi sono generosi
fino all’eroismo nella dedizione
al volontariato, e diffidenti fino
al cinismo verso il mondo delle
istituzioni.
Se non vogliamo continuare
ad oscillare in modo ondivago, dobbiamo guadagnare un
modello relazionale coerente. A
questo scopo, è indispensabile
aprirci ad un’idea più ricca e
articolata di relazione e di reciprocità, superando secondo il
modello mercantile dello scambio tra pari, negoziato sulla
base di regole convenzionali e
accompagnato da clausole di
revocabilità. La maggior parte
delle relazioni che ci costituiscono hanno una natura ben
diversa: io non ho scelto il contesto sociale e culturale in cui
sono nato, non ho scelto il mio
Le Cento Città, n. 37
soma, non ho scelto di nascere… Dentro questo orizzonte
ampio di relazioni involontarie
si apre la sfera delle relazioni
volontarie. Del resto, è la qualità
del legame a decidere della vita
buona, non il fatto che esso sia
frutto di un contratto liberamente stipulato: non ogni legame involontario è cattivo, non
ogni affrancamento dai legami
è buono. Si può decidere liberamente di aderire ad un gruppo
terroristico e, viceversa, ci si può
incamminare verso la maturità
personale a partire da un debito
incancellabile di riconoscenza
verso i nostri genitori o i nostri
maestri, che pure non abbiamo
scelto…
È questa la grande sfida con
la quale ci dobbiamo misurare:
finché continueremo a giocarci
la vita su tavoli troppo diversi,
non riusciremo a vedere l’eclisse
del bene comune, che è alla radice dell’individualismo odierno.
Se l’individualismo è un sintomo, l’eclisse del bene comune
potrebbe essere la malattia. Per
questo una terapia sintomatica,
fatta di appelli retorici alla solidarietà, non è sufficiente; occorre
una strategia culturale ed educativa in favore del bene comune.
L’etica è stata sempre fonte
di conflitti; in passato, però, tali
conflitti riguardavano per lo più
la collocazione di alcuni valori
nella scala del bene e del male,
mentre oggi si sta affermando
la tendenza a considerare l’intera scala morale come opzionale:
possiamo giudicare la nostra vita
adottando il paradigma etico,
oppure sostituendolo con quello
estetico, o etnico, o economico…. In questo modo ci poniamo al di là del bene e del male,
ma nessuna società può stare in
piedi se non condivide almeno
un minimo etico, che vuole conservare come un’eredità indivisa
per i propri figli. Siamo in grado
oggi di non dilapidare almeno
un piccolo paniere di valori irrinunciabili, evitando di mettere
ai voti persino il nostro futuro?
Ecco la sfida più grave, che non
possiamo permetterci il lusso di
perdere.
L’Università per la Città
15
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
di Natale G. Frega
Ha preso avvio lo scorso mese
una serie di conferenze realizzata dalla Facoltà di Medicina e
Chirurgia con la collaborazione
delle altre analoghe istituzioni
anconitane, conferenze dedicate
alla presentazione delle “nuove
frontiere della Medicina” ad un
pubblico anche non medico.
In quattro appuntamenti,
uno al mese, Medicina ha ospitato ed ospiterà successivamente
le Facoltà di Agraria, di Scienze,
di Ingegneria e di Economia,
per dibattere insieme alcuni
grandi temi della medicina ed i
suoi rapporti con il territorio, la
società, l’economia.
Si è iniziato con una conferenza congiunta MedicinaAgraria sul tema dell’alimentazione e dei suoi riflessi sulla
salute; sono stati presentati i
“segreti dell’olio e del vino”,
partendo dalla loro storia nei
secoli sino all’odierna attualità
scientifica, attraverso la citazione delle tipicità regionali.
Con la moderazione del
Preside Prof. Tullio Manzoni,
hanno presentato il tema il
Prof. Natale Giuseppe Frega,
Preside della Facoltà di Agraria
e noto studioso dei prodotti
della terra ed il Prof. Antonio
Benedetti, Professore di Epatogastroenterologia nell’Università
Politecnica delle Marche. Siamo
lieti di presentare una sintesi
delle loro relazioni. (G. D)
significa anche difendere la salute
e quindi prevenire determinate
patologie che, in alcuni casi, sembrano essere strettamente legate
al tipo, alla qualità e alla quantità
degli alimenti che quotidianamente compongono la dieta. Se
tutto ciò è vero nell’età adulta lo
è maggiormente nell’età evolutiva. È noto che l’organismo ha
bisogno di proteine, di lipidi, di
glucidi, di vitamine, di sali minerali e di acqua. Tra i nutrienti
quelli a cui i nutrizionisti e i fisiopatologi attribuiscono maggiore
importanza nell’epidemiologia di
alcune malattie di tipo degenerativo a lenta progressione come
l’aterosclerosi, l’ipertensione, l’obesità e alcuni tipi di tumore,
sono proprio i lipidi. Sia quelli
visibili, cioè quelli che giornalmente sono utilizzati nella tecnologia domestica e industriale
per la preparazione di cibi come
oli, burro, strutto, margarine ecc.,
che quelli invisibili, cioè quelli
naturalmente presenti o aggiunti
anche se in piccole quantità, che
accompagnano sempre l’alimen-
I segreti dell’olio
La sana e corretta alimentazione, quindi l’assunzione degli
alimenti sia dal punto di vista
quantitativo che qualitativo, va
assumendo sempre più importanza nelle moderne società ad
economia avanzata, vale a dire
nelle popolazioni con espansione di reddito medio pro-capite.
Infatti, se fino al recente passato
alimentarsi significava soddisfare
i bisogni nutritivi, attualmente
Le Cento Città, n. 37
to stesso (uova, carne, latte e
derivati, prodotti da forno, frutta
secca, cioccolata, ecc.).
I lipidi di origine vegetale sono
ricchi di acidi grassi considerati ‘essenziali’. In particolare si fa
riferimento all’acido linoleico
(w6) e all’acido a-linolenico (w3),
che non possono essere sintetizzati dall’uomo, ma devono essere introdotti con la dieta.
Agli acidi grassi essenziali competono molteplici ruoli nel mantenimento delle normali funzioni
metaboliche dell’organismo in
quanto vanno a costituire i fosfolipidi di membrana, regolano il
flusso ematico del colesterolo,
ma soprattutto sono i precursori
degli acidi grassi w6, quali l’ac.
arachidonico e degli acidi grassi w3, quali l’acido eicosapentaenoico e l’acido docosaesaenoico. L’acido arachidonico ed
eicosapentaenoico, a loro volta,
sono i substrati di partenza per
la sintesi degli eicosanoidi, molecole biologicamente attive che
comprendono prostaglandine,
trombossani, prostacicline e leu-
L’Università per la Città
cotrieni e che intervengono, in
modo vario e a volte antagonistico, nella regolazione di numerose ed importanti funzioni sia
fisiologiche (aggregazione piastrinica, tono vascolare, pressione arteriosa, funzionalità cardiaca), sia fisiopatologiche (processi
infiammatori).
16
dovute all’interazione tra più
costituenti endogeni (reazione
di Maillard), sono l’idrolisi dei
triacilgliceroli (trigliceridi) e l’ossidazione.
La reazione di idrolisi produce acidi grassi liberi per rottura
chimica o enzimatica dei legami esterei dei triacilgliceroli. La
concentrazione degli acidi grassi
liberi presenti in un olio o in un
grasso rappresenta uno dei più
importanti parametri di qualità
per la commercializzazione degli
oli di semi, ed è alla base della
valutazione merceologica degli
oli provenienti dalla lavorazione
delle olive.
La reazione di ossidazione invece dà origine ad una serie di
prodotti di neoformazione che,
oltre a modificare le caratteristiche olfattive e quindi organolettiche del substrato, pongono seri
interrogativi di carattere sanitario. Questo tipo di alterazione è
dovuta all’interazione tra l’ossigeno atmosferico e i doppi legami
delle catene idrocarburiche degli
acidi grassi insaturi, e qualunque sia l’aspetto meccanicistico
dell’innesco (autossidativo, fotossidativo o termossidativo), la reazione prevede un meccanismo
autocatalitico e procede, attraverso la formazione di radicali liberi,
in un tipico processo a catena.
Ossidazione dei grassi
La resistenza di un olio o di un
Oltre al tipo e alla quantità
grasso all’ossidazione dipende
degli alimenti che compongono
molto dal grado di insaturazione,
la dieta bisogna non sottovalucioè dalla composizione qualitare i problemi connessi con la
quantitativa in acidi grassi.
sicurezza sanitaria e in particoGli oli ad elevato contenuto
lare quelli legati alle alterazioni
di acidi grassi polinsaturi, a paridei prodotti alimentari. È opità di altri parametri, si ossidano
nione ormai diffusa che la sicupiù velocemente rispetto a quelli
rezza sanitaria dovrebbe essere
in cui gli acidi grassi polinsatula prima preoccupazione di tutti
ri sono meno rappresentati. È
gli operatori che a qualsiasi titolo
altrettanto vero però che gli oli
intervengono nella produzione,
della stessa origine botanica o di
nella trasformazione e nella comorigine botanica diversa, ma con
mercializzazione di un prodotto
una simile composizione in acidi
alimentare.
grassi, mostraTutti gli alino un diverso
menti nel tempo
comportamento
vanno incontro
verso l’ossidaad
alteraziozione accelerata.
ni, alcune sono
Questo diverfacilmente perso comportacettibili, come il
mento è dovuto
cambiamento del
al fatto che i
colore, il mutasubstrati lipidici
mento delle caratvegetali, in funteristiche orgazione della loro
nolettiche ecc.,
origine botanialtre invece sono
ca, contengono
meno percettibili
dei componenti
perché sfuggodi natura chino agli organi di
mica diversa,
senso, ma non
chiamati antiosper questo sono
sidanti,
che
meno importanesplicano un’atti. In ogni caso
tività protettiva
le
alterazioni
nei confronti dei
comportano, nei
grassi insaturi,
casi migliori, una
ostacolando o
diminuzione del
comunque ralvalore nutrizionalentando il prole dell’alimento.
cesso ossidativo.
Le principali
La quantità
alterazioni a cui
di antiossidanti
vanno incontro
naturali che si
gli oli, i grassi
riscontra negli
e gli alimenti
oli e nei grassi
ricchi di lipivegetali edibili
di, escludendo
più diffusi è in
n a t u r a l mente
funzione non
le alterazioni di
solo del tipo e
tipo microbio- Aachen Hans von: Bacco, Cerere e Cupido, Kunsthistorisches qualità della
logico e quelle Museo, Vienna.
matrice botaniLe Cento Città, n. 37
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
ca da cui l’olio è stato estratto, ma mazioni biologiche degli acidi
anche dalla natura ed intensità grassi essenziali negli omologhi
dei trattamenti chimici e chimico- superiori.
fisici a cui gli oli e i grassi vengono
sottoposti (raffinazione).
Oli ottenuti dalla lavoraDurante il processo di raffina- zione delle olive
zione, previsto per tutti gli oli e
Gli oli ottenuti dalle olive, in
i grassi, con esclusione degli oli
vergini di oliva, il contenuto di funzione del sistema tecnologico
composti a carattere antiossidan- di produzione, vengono suddivisi
te viene ridotto, nei casi migliori, in due diverse categorie: oli di
oliva vergini e oli di oliva raffinati.
del 40-50%.
Fanno parte degli oli di oliva
Forse non è secondario ricordare che durante il processo di vergini, l’olio extravergine e l’olio
raffinazione si formano, anche vergine. In questi il tenore in acidi
se in piccola quantità in funzio- grassi liberi, oltre ad altri paramene dell’intensità del trattamen- tri previsti dal Regolamento CEE,
to, acidi grassi in configurazione deve essere inferiore o uguale rispettrans. Questi acidi sono tipici dei tivamente allo 0.8 % e al 2%.
Tra gli oli di oliva raffinati
grassi idrogenati in quanto si formano principalmente durante il ammessi al consumo troviamo
processo di idrogenazione. I gras- l’olio di oliva e l’olio di sansa di
si idrogenati in qualche modo oliva. Questi risultano costituiti
entrano nella dieta quotidiana, da una miscela di olio di oliva rafsia come lipidi visibili, in quanto finato con olio vergine il primo e
costituiscono la materia prima da una miscela di olio di sansa di
per la fabbricazione delle
margarine,
sia
come
lipidi invisibili, in quanto
fanno
parte degli
ingredienti di alcuni
prodotti da
forno. Da
recenti ricerche sembra
che gli acidi
grassi
in
configurazione trans
costituiscono fattore di
rischio nella
aterosclerosi e da studi
epidiemologici sembra
esservi un’associazione
positiva tra
assunzione di acidi
grassi trans
e
cancro.
Inoltre gli
acidi grassi
trans inibiscono la D-6desaturasi
nelle trasfor- Caravaggio: Bacchino malato, Galleria Borghese, Roma.
Le Cento Città, n. 37
17
oliva con olio vergine il secondo.
In entrambi i casi l’acidità massima deve essere inferiore o uguale
all’1,5%.
In generale gli oli vegetali
sono costituiti per il 96-97% da
triacilgliceroli accompagnati da
piccole quantità di mono- e diacilgliceroli (mono- e digliceridi).
Accanto a queste molecole di
natura gliceridica sono presenti
(per l’1-3%) altri composti di
varia natura, comunemente chiamati, in relazione alla loro quantità, “componenti minori”. Tra i
componenti minori degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive,
oltre ai tocoferoli, sono presenti
molecole di natura fenolica con
caratteristiche antiossidanti presenti solo negli oli di oliva vergini.
Questi (extravergini e vergini)
sono ottenuti per semplice frantumazione e “spremitura” delle
olive e, a differenza degli oli di
semi e degli oli di oliva raffinati
(olio di oliva
o di sansa di
oliva), non
subiscono il
processo di
raffinazione.
La presenza di molecole a carattere fenolico
negli
oli
vergini di
oliva riveste
un’importanza che va
oltre rispetto
alle caratteristiche
antiossidanti. Alcune
di queste
sembra che
abbiano un
effetto sia
autoprotettivo che nutrizionale
e
terapeutico
nei riguardi
della steatosi epatica,
dell’invecchiamento
della cute
e della formazione di
lipoproteine
aterogene.
L’Università per la Città
Alcuni polifenoli svolgono inoltre un ruolo protettivo nella difesa da numerosi agenti patogeni.
Recentemente ad alcune di queste molecole è stata attribuita la
capacità di interferire con i processi coinvolti nell’aggregazione
delle piastrine e nella trombosi.
18
che lo “stress” termico sia di
breve durata e che il bagno di
frittura non sia riutilizzato.
Problemi differenti si hanno
invece nella tecnologia industriale
o semi industriale e nelle friggitorie ambulanti. In questi casi
infatti la mancanza di rinnovo del
bagno di frittura e il consumo non
immediato del prodotto, vanificano l’eventuale scelta dell’olio più
resistente all’ossidazione.
periodo permettevano di evidenziare un’aspettativa di vita più
lunga nei soggetti che preferivano
consumare moderate quantità di
vino, rispetto ad altre bevande
alcoliche: il rischio di morte per
malattie cardiovascolari diminuisce infatti della metà nei modesti bevitori, rispetto agli astemi,
mentre tali vantaggi non si risconOli di semi
trano fra i bevitori di superalGli oli di semi hanno una comcolici. E’ importante comunque
posizione in acidi grassi molto
sottolineare che i vantaggi per la
diversa rispetto all’olio prodotto
salute sono riconducibili solo ad
I segreti del vino
dalle olive. Generalmente risulun ‘modesto’ consumo di vino.
tano più ricchi di acidi grassi
Già dalla fine degli anni ’70 il
La ricerca, nei decenni sucpolinsaturi, acido linoleico e acido vino è stato rivalutato dagli studio- cessivi ed a tutt’oggi, ha riguarlinolenico, mentre negli oli otte- si della nutrizione, nonostante, sia dato lo studio delle componenti
nuti dalle olive predominano i sul piano sanitario che sociopoliti- che influenzano positivamente
monoinsaturi, in particolare l’a- co, le bevande alcoliche erano state la salute dei modesti bevitori
cido oleico. Inoltre gli oli di semi bandite da chi scambiava l’uso di vino. Evidentemente devono
vengono commercializzati solo moderato per l’abuso di alcol.
essere sostanze presenti nel vino,
dopo aver subito il processo di
Se è pur innegabile che l’ap- ma non nei superalcolici. Fra
raffinazione. Per queste ragioni gli porto eccessivo di alcol etilico queste, era già noto da tempo
oli di semi sono meno stabili verso ha conseguenze acute e croniche che l’uva apporta al vino sostanze
l’ossidazione, quindi si ossidano negative, studi francesi di quel classificate in origine come ‘polie irrancidiscono
fenoli’, prodotti
molto più velocedalla pianta per
mente.
difendersi dai
La minore staparassiti, dalle
bilità degli oli
aggressioni degli
di semi va tenuanimali, dagli
ta presente non
effetti nocivi dei
solo per quanto
raggi solari, e
riguarda la loro
probabilmente
conservabilità nel
con altre finalità,
tempo ma anche
ancora in corso
per
l’impiego
di studio.
nella tecnoloSi è scoperto
gia industriale e
successivamente
domestica di fritche i polifenotura e cottura.
li sono in realIn linea generale
tà una classe di
è possibile affersostanze molto
mare che, anche
eterogenee, che,
se nella tecnoper motivi di
logia domestistruttura chimica
ca di frittura la
sarebbe meglio
scelta del bagno
indicare come
d’olio dovrebbe
‘biofenoli’, cioè
ricadere su oli
sostanze a strutmeno insaturi
tura fenolica di
quindi con un
origine naturale.
minor contenuIl vino rosso e
to di acidi grassi
numerosi cibi di
polinsaturi, come
origine vegetale
ad esempio quel(frutta, verdura)
li ottenuti dalla
ne sono particolavorazione delle
larmente ricchi. I
olive, l’utilizzo
biofenoli si sono
di altri tipi di oli
rivelati impornon porta ad
tanti coadiuvanti
eccessivi incon- Berckheyde Job Adriaensz: Il Fornaio, Worcester Art Museum, dietetici attivi nel
venienti a patto Worcester.
contrastare molte
Le Cento Città, n. 37
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
19
patologie. Il loro ruolo, ricondu- razioni, è stato dimostrato che possibile attività anticarcinogenicibile fondamentalmente ad una i composti polifenolici del vino ca, antimutagenica, antimicrobiforte capacità antiossidante, trova esplicano un effetto neuropro- ca ed altro ancora.
riscontro in una riduzione delle tettivo: contribuiscono infatti a
Certo, gli effetti benefici di
malattie cardiovascolari e cerebro- ridurre lo stress ossidativo che un queste sostanze hanno più valore
vascolari, in attività antistamini- consumo cronico di etanolo può quando il prodotto ‘vino’ che
che, antivirali e antinfiammato- indurre a livello cerebrale.
si sta consumando viene ottenurie, nonché nella soppressione
Le antocianine sono biofenoli to con una tecnologia ‘mite’ nel
delle cellule cancerogene ed altro responsabili del colore dei frut- suo complesso, ovvero rispettosa
ancora.
ti e del vino rosso ed esercitano delle esigenze nutrizionali; questo
Numerosi studi hanno richia- anch’esse un ruolo positivo. Le significa, l’utilizzo, ad esempio,
mato l’attenzione sul cosiddetto proprietà antiossidanti delle anto- di dosi strettamente necessarie di
paradosso francese che descrive cianine fanno supporre che siano additivi permessi, come ad esemuna condizione molto particolare, coinvolte in un possibile mecca- pio l’anidride solforosa, per citare
tipica dei paesi in cui viene con- nismo di protezione del materia- il più importante.
sumato quotidianamente il vino: le genetico delle cellule contro i
Questo risultato si può otteanche se il notevole consumo di danni ossidativi.
nere, sia migliorando la qualità
grassi saturi nella dieta francese
Anche i tannini rientrano nella della materia prima impiegata, sia
(dovuto alla dieta ricca di grassi classe dei polifenoli, ed il vino ne agendo sulle varie fasi della tecnoanimali, come carne, burro, for- contiene quantità apprezzabili.
logia di produzione.
maggi) potrebbe far prevedere un
Sebbene l’introduzione, con la
La ricerca che si svolge nella
aumento dell’incidenza di malat- dieta, di elevati quantitativi di Sezione di Scienze e Tecnologie
tie coronariche (come avviene nei tannini possa comportare effetti Alimentari della Facoltà di
paesi nordamericani e nordeuro- svantaggiosi per la salute, mode- Agraria ad Ancona si inserisce in
pei), tali disagi si attenuano se alla ste dosi, simili a quelle che si un respiro ampio, che ha come
dieta viene associato un moderato riscontrano nel vino, risultano tema la qualità nutrizionale e mira
consumo di vino rosso. Sembra benefiche in virtù di una loro alla caratterizzazione delle peculiache ciò sia essenzialmente
rità dei prodotti tipici e/o
dovuto alla presenza, nel
di nicchia delle Marche. I
vino rosso, proprio di comrisultati ottenuti costituiposti biofenolici.
scono la base di partenza
Nonostante i numeper la verifica dell’autentirosi studi affrontanti, sia
cità dei vini, dal punto di
in vivo che in vitro, pervista della difesa del conmangono ancora numerosumatore, in modo diretto
si dubbi sui meccanismi
e sperimentale. In secondo
di evoluzione chimica e
luogo, con questi studi è
fisiologica di tali composti
possibile evidenziare le
nel corpo umano. In ogni
peculiarità dei prodotti,
caso, l’attività cardioproda cui si possono trarre
tettiva sembra esplicarsi
indicazioni per miglioraattraverso l’abbassamento
re la tecnologia, in colladella concentrazione plaborazione con le aziende
smatica delle lipoproteine
produttrici. Lacrima di
a bassa densità (LDL), che
Morro d’Alba, Rosso
notoriamente trasportano
Conero, Rosso Piceno,
il colesterolo ‘cattivo’, l’inRosso Piceno Superiore e
cremento delle lipoproteiVernaccia di Serrapetrona
ne ad alta densità (HDL),
sono vini rossi DOC proassociate al colesterolo
dotti nelle Marche, che
‘buono’, la diminuzione
sono stati oggetto di studio
dell’aggregazione e dell’arecente dal nostro gruppo
desione endoteliale delle
di lavoro, con metodiche
piastrine del sangue, fatanalitiche sofisticate e ad
tori, questi, che riducono
alta risoluzione. Si tratta
la predisposizione all’atedi vini, la cui produzione
rosclerosi. Per ciò che conè notevolmente aumentata
cerne il meccanismo d’anegli ultimi dieci anni, ma
zione, i biofenoli potrebche avevano ricevuto una
bero essere concentrati in
scarsa attenzione dal punto
prossimità della superficie
di vista della ricerca comdelle LDL, pronti a protegpositiva.
gerle dall’ossidazione.
Gian Lorenzo Bernini: Il Fauno che scherza con gli
Oltre a queste conside- Amorini, Metropolitan Museum of Art, New York.
Le Cento Città, n. 37
L’Università per la Città
20
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
di Antonio Benedetti
L’olio d’oliva ed il vino sono tosto interessante: l’acido oleico ma a doppio taglio. Infatti il vino
due alimenti tipici che contrad- contenuto nell’olio sembra esse- per il suo contenuto alcolico può
distinguono l’alimentazione degli re il meglio tollerato dallo stoma- essere dannoso per l’organismo,
italiani. È oramai dimostrato co, riducendo il reflusso acido in in particolare per il fegato.
L’alcol che il nostro organismo,
scientificamente che la dieta e esofago; l’olio d’oliva ha inoltre
le abitudini alimentari svolgono un effetto nella formazione della in primis il fegato, è in grado di
un ruolo di fondamentale impor- massa fecale e nella facilitazione metabolizzare in maniera fisiotanza nel regolare molti aspetti dell’evacuazione; stimola la libe- logica, senza apportare danni,
della salute umana: per esempio, razione di colecistochinina, che a è rappresentato da circa 30 g
è stato dimostrato ampiamente sua volta determina contrazione per l’uomo e 20 g per la donna.
che l’obesità presenta una stret- della colecisti ed apertura dello Nonostante tale precisazione, se
ta correlazione con il rischio di sfintere di Oddi. L’olio d’oliva utilizzato in maniera adeguata, il
malattie vascolari, cardiache ed è in grado inoltre di stimolare vino è un prodotto che possiede
la produzione di elevate quanti- numerose ed importanti proprieepatiche.
In questa relazione saranno tà di colesterolo-HDL. Tutte le tà benefiche: aumento di colestepresi in considerazione gli effetti caratteristiche sopraelencate per- rolo HDL, riduzione dei rischi di
che olio e vino svolgono nell’or- mettono di capire il motivo per malatie cardiovascolari, ecc.
Quindì se si vuole godere degli
ganismo umano, con particolare cui l’olio d’oliva sia diventato un
effetti benefici apportati dal
prodotto di interesse scientifico.
interesse per il fegato.
Prendendo in esame il primo
Oltre all’olio d’oliva, anche vino, è necessario prima di tutto
prodotto, ossia l’olio d’oliva, è il vino possiede effetti benefi- non abusarne (non superare la
bene presentarne una breve defi- ci nell’organismo. Il vino è una quantità consigliata)
L’elemento di primaria impornizione. L’olio di oliva è un pro- bevanda alcolica ottenuta escludotto alimentare caratterizzato sivamente dalla fermentazio- tanza negli effetti benefici del
da un contenuto molto elevato di ne (totale o parziale) del frutto vino è rappresentato dall’attigrassi monoinsaturi; la tipologia della vite, l’uva (sia essa pigiata vità antiossidante; infatti, come
vergine si ricava dalla spremitura o meno), o del mosto. Il termi- nell’olio di oliva, anche nel vino
meccanica dell’oliva, frutto della ne “vino” ha origine dal verbo ci sono elementi in grado di svolspecie “Olea europaea”.
sanscrito vena (“amare”), da gere attività antiossidante. Per
Oltre al gusto e alla loro bontà, cui deriva anche il nome latino capire l’importanza dell’attività
antiossidante, è necessario però
deve anche essere tenuto in con- Venus della dea Venere.
siderazione il contributo di tali
Tuttavia, nel considerare gli capire che cosa sono i radicaprodotti a livello medico e gli effetti del vino, è necessario li liberi e cosa genera lo stress
effetti fisiopatologici di olio e porre l’attenzione sul fatto che ossidativo nella patogenesi delle
vino nell’organismo.
tale alimento risulta essere un’ar- malattie epatiche e nell’organismo in generale. Come è stato
L’olio d’oliva possidede numedimostrato in
rose sostanze
letteratura, lo
anti-ossidanti
stress ossidati(tocoferoli,
vo rappresenta
composti fenoun fattore fonlici,
steroli,
damentale in
idrocarburi,
tutti i processi
alcoli terpenifisiopatogeneci) che sono
tici, nel fegato
in grado di
e in generale in
mantenere la
tutti gli organi.
stabilità del
Nello specifico
prodotto, rala livello epatilentando
in
co, la totalità
maniera signidelle patologie
ficativa il prorisulta carattecesso di ossidaStress ossidativo e fibrosi epatica: lo stress ossidativo è un meccanismo
zione. L’effetto di danno molto importante nel processo fisiopatogenetico della fibrosi rizzata dal mecdell’olio d’o- epatica; esso è infatti coinvolto in tutte le patologie croniche del fegato. canismo dello
liva nei vari Gli antiossidanti rappresentano quindì componenti importanti per stress ossidativo: come ad
organi è piut- contrastare la progressione della fibrosi epatica.
Le Cento Città, n. 37
I segreti dell’olio d’oliva e del vino
esempio la NASH, il morbo di
Wilson, l’emocromatosi, e fattori
di danno come alcol o HCV/
HBV.
Parlando di stress ossidativo,
è bene però definire con precisione gli elementi responsabili
di questa condizione patologica:
ossia i radicali liberi.
patologia epatica possiamo dire
che le caratteristiche fisiopatologiche del parenchima epatico
soggetto a stress ossidativo di
varia natura, possono evolvere
nel seguente modo: dalla steatosi, all’infiammazione NASH, alla
fibrosi ed infine alla cirrosi vera
e propria. La cirrosi inoltre può
portare a morte il paziente oppure evolvere anche in carcinoma.
Da un punto di vista puramente scientifico, la produzione di stress ossidativo coinvolge
differenti popolazioni cellulari
del fegato. Le cellule stellate, le
principali responabili della produzione di matrice extracellulare, rispondono infatti allo stress
ossidativo sia direttamente (con
produzione diretta di radicali
liberi) sia indirettamente, attraverso radicali liberi prodotti da
altri tipi cellulari, come epatociti,
neutrofili o cellule di Kupffer.
Proprio sulla base di queste
osservazioni, uno studio in vitro,
condotto dal nostro gruppo,
ha identificato nel resveratrolo
(un flavonoide comunemente
presente in diversi alimenti tra
cui il vino rosso), una sostanza
antiossidante capace di ridurre la
proliferazione delle cellule stellate epatiche e la produzione di
collagene normalmente indotta
dallo stress ossidativo.
Inoltre, uno studio recente
condotto nel nostro laboratorio
in collaborazione con il Prof.
Natale Frega, ha dimostrato
21
come l’ethilcaffeoato (derivato
idrossicinnamico presente in
gran quantità nel vino bianco)
sia dotato di notevole capacità
antiossidante.
In conclusione questi dati sembrano confermare la correlazione fra alimentazione, sostanze
I radicali liberi sono molecole
antiossidanti ed il loro ruolo
instabili e reattive, caratterizzaepatoprotettivo, suggerendo la
te dalla presenza di un numero
necessità di promuovere regimi
dispari di elettroni, che si formaalimentari in cui tali principi
no naturalmente all’ interno di
siano presenti.
ogni cellula vivente.
Quindi, riassumendo, le cellule
Data la continua produzione in
stellate
epatiche, per un danno
natura, la formazione di radicali
cronico del fegato di varia origiliberi non è un processo esclusivamente negativo. Una delle
ne vanno incontro ad un procesfunzioni fisiologiche mediate dai
so di attivazione. Tale attivazione
radicali liberi è rappresentata dal
è mediata dallo stress ossidativo.
meccanismo difensivo antibatteIn relazione a tale fenomeno, le
rico. Negli ultimi anni si è però
cellule stellate epatiche acquivisto che i radicali liberi possono
stano tutte le caratteristiche di
anche regolare la funzione cellucellule miofibroblastiche, produlare agendo come messaggeri trasduttori del segnale: regolando l’
cendo collagene, e promuovendo
espressione di geni e l’ apoptosi
pertanto la fibrosi epatica.
cellulare; quindi, se da un lato i
Gli agenti antiossidanti, ed in
radicali liberi, a basse concentraquesto caso anche le sostanze
zioni, svolgono un ruolo protetcontenute nel vino e nell’olio
tivo per l’organismo, una perdita
d’oliva, sono in grado di agire
di controllo nella formazione dei
proprio a questo livello, quindi
radicali liberi comporterebbe lo
direttamente sulle cellule stellasviluppo di reazioni dannose a
carico di biomolecole, cellule,
te, determinando una riduzione
tessuti ed infine organi.
dei radicali liberi prodotti, che
A questo punto risulta chiaro
risulterà quindi in una riduzione
come il ruolo di alimenti che
dell’entità del danno epatico e
hanno proprietà antiossidandella fibrosi.
ti, quali il vino e l’olio d’oliva,
Pertanto, se
contribuiscano
questi sono i
al benessere
prodotti della
dell’individuo.
Gli antiossinostra terra,
danti contrabuoni, genuini
stano i radicali
e
soprattutliberi e cercano
to efficaci per
di pareggiare lo
la salute del
sbilaniamento
nostro orgache si può crenismo, non ci
are tra agenti
proossidanti e
resta che managenti antiossitenere salde le
danti a favore
nostre tradiziodi questi ultini, pensando
mi, bloccando
che in questo
Etil-Caffeoato
e
proliferazione
delle
cellule
stellate
epatiche
(HSC):
l’ani meccanismi di
tiossdante
contenuto
in
grandi
quantità
nel
vino
bianco
(etil-caffeoato)
è
in
caso ciò che è
danno.
grado
di
ridurre
l’attività
proliferativa
delle
cellule
stellate
epatiche
indotta
buono, se usato
Q u i n d i ,
della stimolazione con un agente ossidante (FeNTA). Tale fenomeno dimo- con moderadovendo riperstra l’effetto degli antiossidanti nel ridurre i meccanismi di progressione
correre la storia della fibrosi epatica. (E. Bendia, et al. Anal Chim Acta, 2005)
zione, è anche
naturale della
salutare.
Le Cento Città, n. 37
La mostra
23
Raffaello, nella culla del genio
di Mario Canti
Da qualche tempo è in atto
nelle Marche una sorta di
“operazione riacquisizione”
degli artisti che hanno operato nelle regione e delle loro
opere, almeno a livello culturale e sociale; una operazione di
grande rilevanza per le definizione della identità regionale
che, a nostro avviso, trova il suo
primo sostenitore e promotore
in Pietro Zampetti, ma che oggi
viene portata avanti da molteplici soggetti e, per la verità, con
strumenti assai diversi.
Sul piano delle conoscenze
critiche abbiamo avuto la pubblicazione, o la riedizione, di
testi fondamentali per la storia
dell’arte marchigiana: I taccuini
del Morelli, gli scritti di Amico
Ricci e prima ancora, l’edizione anastatica dell’Archeologia
Picena del Colucci; a queste
fonti, per così dire storiche, si
sono aggiunti in tempi recenti
le pubblicazione relative a studi
e ricerche di approfondimento,
quale ad esempio, la raccolta
sulle Marche disperse prodotta a
cura della Regione Marche.
Questo recupero delle fonti
è stato accompagnato da una
lunga serie di mostre ed iniziative di valorizzazione rivolte a promuovere la conoscenza degli artisti e delle scuole
che negli anni hanno operato
nella nostra regione; un serie
inesausta ed inesauribile di
eventi che hanno riguardato
l’arte marchigiana dalla protostoria, vedi “Piceni” alla soglia
del XX secolo, vedi De Carolis,
passando attraverso i riminesi del cappelone di Tolentino,
il gotico nelle Marche, il quattrocento a Camerino ed ad
Ancona, ed interessando la
produzione di singoli artisti: da
Crivelli a Podesti, da Ridolfi a De
Magistris, da Lotto a Peruzzini, e
tanti altri ancora.
Su questo cospicuo volume di
iniziative, condotte con risorse
di volta in volta disomogenee
sul piano culturale, organizzativo e finanziario spicca la mostra
organizzata a Fabriano su
Gentile per almeno due ragioni:
la scarsità di opere di questo
artista ancora presenti in Italia
(con la assoluta mancanza di
suoi dipinti nelle Marche ) e
l’ampiezza delle opere di altri
artisti che accompagnavano il
visitatore nella approccio alla
produzione di Gentile, testimoniando in modo esemplare
i fattori della sua formazione
come gli influssi prodotti dalla
sua opera.
Lorenza
Mochi
Onori,
Soprintendente ai Beni Storici
Raffaello: Quattro cavalieri e un nudo maschile a piedi, Firenze, Galleria degli Uffizi.
Le Cento Città, n. 37
La mostra
24
Raffaello: Sacra Famiglia con Agnello. Madrid, Museo Nazionale del Prado.
Le Cento Città, n. 37
Raffaello, nella culla del genio
25
Raffaello: Sogno del cavaliere, National Gallery Londra.
Artistici delle Marche, che curò
con grande capacità e con risultati splendidi quella mostra
affronta oggi un alro “gigante
“ della arte nato nelle Marche,
Raffaello, con l’intento precipuo
di far riconoscere gli influssi
che nella formazione di questo
grande personaggio dell’arte
del Rinascimento ebbero l’ambiente culturale urbinate e,
segnatamente, quello del padre
Giovanni Sanzio pittore ducale.
Un approccio quanto mai
significativo per la storia della
cultura marchigiana, che verrà
valorizzata
dall’importanza
dell’evento e che vedrà ricostruito un rapporto tra l’artista
ed il territorio che fino ad oggi è
risultato sottovalutato; un altro
tassello per la costruzione di
una corretta genesi dell’identità
culturale marchigiana.
L’importanza dell’evento è
testimoniata dal numero delle
opere esposte: venti dipinti e
diciannove disegni del giovane
Raffaello ai quali si accompagnano trentadue dipinti e dieci
disegni di Giovanni Sanzio e di
altri artisti operanti in Urbino
Le Cento Città, n. 37
negli anni della sua formazione; e dalla, partecipazione ai
lavori del Comitato Scientifico
dei maggiori conoscitori della
pittura di Raffaello.
La mostra, che è programmata dal 4 aprile al 12 luglio sarà
accolta nelle sale del Palazzo
Ducale di Urbino e costituirà
sicuramente uno degli eventi
espositivi di maggiore importanza del 2009, ma anche per
quello che qui interessa soprattutto, un apporto nuovo e fondamentale per l’identità storica
della nostra regione.
La qualità
26
Edifici residenziali di Via Annibal Caro a Senigallia premiati dall’Inarc: un corretto rapporto forma-funzione unito
alla capacità di integrare i materiali tradizionali con materiali nuovi.
Le Cento Città, n. 37
La qualità
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Architettura di pregio per rilanciare il territorio
di Edoardo Danieli
“Questo tipo di premi mette
in evidenza come sia possibile riscontrare maggiormente qualità e innovazione nel
cosiddetto territorio locale,
piuttosto che nei grandi contesti urbani”. La considerazione
è di Fulvio Irace, editorialista
e storico dell’architettura, ed
è stata espressa in occasione
della premiazione della prima
edizione del Premio regionale di
architettura, promosso dalla sezione Marche dell’Istituto Nazionale
di Architettura (Inarch) con l’Associazione Nazionale Costruttori Edili
Marche (Ance), e il patrocinio della
Regione. Un importante momento di riflessione tra progettisti,
costruttori e professionisti sulla
necessità di elevare la qualità architettonica dell’edilizia,
pubblica e privata, nella nostra
regione ma anche nel resto del
paese.
D’altro canto, come fa notare
Maria Luisa Polichetti, presidente dell’Inarch Marche, “anche
se ci sono stati illustri eccezioni
che hanno prodotto realizzazioni splendide, nelle Marche
negli ultimi cinquanta anni non
ci sono stati esempi significativi di architettura di qualità”.
Non vuol essere un’accusa, ma
è un’affermazione che sottolinea la necessità di contribuire
a creare un clima fecondo tra i
vari attori interessati per invertire questa tendenza. Proprio in
questa direzione opera l’Inarch
grazie anche alla collaborazione
che si è realizzata con l’associazione costruttori. Il Premio
diventa così il momento in cui
questa volontà di puntare alla
qualità affiora in maniera più
evidente: il segno di un lavoro
da portare avanti con ancora
più determinazione ad ogni
livello.
“La provincia - ha sottolineato
Fulvio Irace editorialista de Il
Sole 24 Ore e Storico dell’Architettura - consente di sprigionare creatività, innovazione,
partecipazione al progetto dei
L’Istituto Professionale per Servizi Alberghieri di San Benedetto del Tronto.
soggetti protagonisti (progettista, committente e impresa edilizia) poiché spesso sono vicini
e rappresentano la cultura socio
economica della zona dove l’opera edilizia viene realizzata.
Qui infatti consistenti fenomeni
di trasformazione ed innovazione sono possibili. L’architetto
Santiago Calatrava Valls non ha
avuto problemi a realizzare, in
tempi assai accelerati il ponte di
Reggio Emilia; contrariamente a
quanto accaduto per il ponte di
Venezia”.
Polichetti, invece, ribadisce la
necessità di una qualità complessiva dell’architettura. “La
qualità si stabilisce con l’impatto che l’opera ha sul territorio, sulla vita delle persone
che per motivi di lavoro o di
svago vivranno quel luogo, in
una parola sulla sostenibilità
dell’intervento”. Non più scuole
o capannoni, ma anche semplici
abitazioni, che siano invasive del
territorio ma buone pratiche di
Le Cento Città, n. 37
vivibilità sostenibile. Tra l’altro,
nel suo intervento, l’architetto
Polichetti ha ribadito la necessità di favorire l’istituto del concorso, incentivato anche dalla
legislazione, per la committenza:
si tratta di uno strumento che
favorisce l’innalzamento della
qualità.
Dunque il premio, dunque la
cerimonia di premiazione. Una
serata dedicata alla cultura della
qualità: qualità della vita, qualità
dell’architettura, qualità del territorio che recupera e rilancia,
innovandole, storia e tradizione.
Architettura che aggrega, crea
punti di socializzazione, riverbera benessere e amplifica la
comunicazione e l’incontro.
L’evento si è svolto all’interno
di una delle opere premiate: la
biblioteca La Fornace di Moie.
A ritirare il premio l’architetto
progettista Nazzareno Petrini,
che insieme ad Anna Serretti ha
realizzato il progetto, il sindaco
Giancarlo Carbini quale com-
La qualità
28
Le Cento Città, n. 37
Architettura di pregio
29
I vincitori del Premio Regionale di Architettura promosso dall’Inarc in collaborazione con Ance e Regione.
A fianco la Biblioteca “La fornace” di Moie di Maiolati, uno degli interventi premiati.
mittente. Premiata anche l’impresa che ha eseguito i lavori,
la Edil Atellana di Caserta. La
qualità architettonica dell’intervento è data sia dal rispetto per
la storia del luogo sia dall’uso all’interno dei fabbricati di
materiali contemporanei, compatibili con l’ambiente e capaci
di creare spazi che rispondano
alle esigenze del nuovo modo
di lavorare e studiare, anche
di un pubblico giovane. Come
ha ricordato il sindaco Carbini,
in un anno sono stati concessi
circa 13.000 prestiti librari. A
premiare e ad intervenire sono
stati Adolfo Guzzini, presidente
Inarch nazionale, Maria Luisa
Polichetti, Giovanni Cecere per
l’Ance e Fulvio Irace. Tra i pre-
senti rappresentanti della cultura e dell’imprenditoria tra i quali
Armando Ginesi e Gennaro
Pieralisi. Ha portato il suo
saluto e rimarcato l’importanza
dell’incontro il vice presidente
della Provincia Sagramola.
Premiate anche opere di
Senigallia e San Benedetto del
Tronto. A Senigallia un intervento realizzato da un giovane
progettista, (under 40), Marco
Maria Ceccarelli: gli edifici residenziali di via A. Caro. Vincitori
anche il comittente Sema
Costruzioni snc di Senigallia e
l’impresa Globo costruzioni di
Senigallia. Edifici esemplarmente integrati nel contesto urbano della città, attraverso una
attenta lettura della storia e
Le Cento Città, n. 37
dell’attuale situazione. Un corretto rapporto forma-funzione
unito alla capacità di integrare i
materiali tradizionali con materiali nuovi. Assai felice l’uso del
mattone faccia-vista e l’uso del
colore.
A San Benedetto del Tronto,
premiato l’istituto professionale
statale per i servizi alberghieri e
la ristorazione di San Benedetto
del Tronto. Vincitori: progettista Enzo Eusebi-Nothing Studio
di Martinsicuro; committente
la Provincia di Ascoli Piceno;
impresa: Edil Steel srl- Atessa. Si
tratta di un validissimo esempio
di collaborazione e di integrazione dei soggetti coinvolti nel
progetto, specialmente con la
committenza pubblica.
L’incontro
30
Ando Gilardi tra arte digitale e memoria
di Marcello Sparaventi
La vasta produzione di
immagini “numeriche” attraverso le tecnologie digitali,
credo abbia sviluppato la diffusione e di conseguenza l’eccessivo consumo visivo delle
immagini fotografiche in ogni
settore sociale; particolarmente sensibili in tal senso sono
le nuove generazioni, geneticamente predisposte all’uso e
abuso dei nuovi sistemi.
La fruizione visiva che avviene sulla “rete”, ed in particolare in alcuni siti Internet visitati da milioni di “naviganti”
come Flickr, You Tube e recentemente anche il social network Facebook, permette uno
scambio globale delle proprie
fotografie anche di carattere
privato, da condividere con
altri internauti.
Questo fenomeno tecnologico
rapido ha determinato un altro
processo culturale, quello delle
riviste e libri che trattano solo
la “rivoluzione” digitale, corsi di
fotografia digitale o di fotoritocco
allegati ai giornali quotidiani, ma
in particolare la nascita di festival
dove i “nuovi” media sono protagonisti.
Alcuni eventi legati alla cultura
fotografica sono stati recentemente realizzati anche a Fano;
mi limiterò a parlare per ovvie
ragioni solo di iniziative dove
sono stato uno dei promotori: mi
riferisco alla prima retrospettiva
sull’Arte digitale di Ando Gilardi,
che si è svolta alla saletta Nolfi
nel gennaio di due anni fa. Una
mostra frequentata da quasi settecento visitatori, i quali sono
rimasti sbalorditi e anche coinvolti dalle sue cento immagini
esposte.
“L’arte che nasce dall’arte
che nasce dall’arte che nasce
dall’arte” è la mostra di Gilardi
a Fano, che ha coinciso con
l’uscita del suo libro a carattere biografico “Meglio ladro
che fotografo – Tutto quello che
Le Cento Città, n. 37
dovreste sapere sulla fotografia
ma preferirete non aver mai saputo” edito da Bruno Mondadori
e scritto in collaborazione con
Patrizia Piccini della Fototeca
Gilardi di Milano.
Nel giugno del 2007 sempre
nella saletta Nolfi, si sono invece ammirate cinquanta fotografie in bianco e nero di Ferruccio
Ferroni; stampe originali realizzate dallo stesso autore con tecniche analogiche.
Molti giovani hanno potuto conoscere personalmente
Ferruccio Ferroni, un autore
importante nella storia della
fotografia italiana fino dagli
anni cinquanta. La retrospettiva
precedette di qualche mese la
sua scomparsa, avvenuta il 5
settembre del 2007 a Senigallia.
Due eventi molto diversi, due
personaggi straordinari che
avevano in comune l’età anagrafica, perché Gilardi è nato
nel 1921 ad Arquata Scrivia
Ando Gilardi
in provincia di Alessandria e
Ferroni nel 1920, a Mercatello
sul Metauro in provincia di
Pesaro e Urbino.
Ora questo ultimo significativo
appuntamento che si è svolto alla
fine di gennaio: la presentazione
nella Sala di Rappresentanza della
Fondazione Cassa di Risparmio
di Fano, dell’ultimo libro di Ando
Gilardi, edito sempre da Bruno
Mondadori; “Lo specchio della
memoria – la fotografia spontanea dalla Shoah a You Tube”,
dove il nostro importante studioso analizza la forza morale
delle fotografie “spontanee”,
realizzate in parte dagli stessi
internati nei ghetti e in parte
dai loro aguzzini; immagini che
nel primo caso sono state realizzate segretamente con l’in-
31
tento di documentare la tragedia umana che stavano vivendo
(i racconti non sarebbero stati
una prova certa dell’accaduto)
e nel secondo un ricordo o un
“trofeo” delle azioni compiute.
Le immagini spontanee,
oggi sono testimonianze conservate in diversi musei dedicati alla Shoah; ma sono facilmente reperibili anche in rete,
rielaborate in sequenze video
con l’aggiunta di testi e musica.
Il capitolo più originale del
libro, è proprio quello dove alcuni Youtuber, creatori tecnologici
di video sull’Olocausto, vengono
intervistati da Ando Gilardi.
È lo stesso Gilardi che ha
deciso il giorno per la presentazione del suo libro, quello
della Giornata della Memoria;
Le Cento Città, n. 37
questo assume un valore particolare se si considera che egli è
di origine ebraica e che all’inizio
della sua attività di fotografo e
storico della fotografia, nel 1945
a Genova, c’è la sua partecipazione alla campagna di riproduzione delle immagini dell’Olocausto
nell’agenzia interalleata incaricata di raccogliere prove documentarie per i processi ai crimini di
guerra.
L’Olocausto è un argomento
molto trattato in rete, e molti
youtuber condividono e “taggano” le proprie opinioni; la rete
internet è un vasto universo
dove coesistono cose ed espressioni di ogni tipo, basta avere la
coscienza di “cercarsi” bene.
Musica
32
La riscoperta di un compositore marchigiano, Giuseppe
Balducci
di Adrian Vasilache
Giuseppe Balducci (Jesi
1796-Malaga 1845) è un compositore della prima metà dell’Ottocento, in cui mi sono imbattuto
grazie agli studi di un musicologo neozelandese e questo incontro mi ha spinto a compiere una
ricerca musicografica e ad effettuare degli studi propriamente
musicali su alcuni lavori vocali
e strumentali che ritengo particolarmente rappresentativi di
questo autore quasi del tutto
dimenticato e che ritengo debba
essere riportato alla luce.
In un’epoca particolarmente ricca di validi compositori
e dominata dalla personalità
di Rossini, Spontini, Bellini e
Donizetti, anche la personalità
artistica di Giuseppe Balducci
si rivela particolarmente interessante per la sua autentica originalità stilistica che arricchisce
il panorama musicale del suo
tempo già di per sé sfolgorante.
Cresciuto a Jesi in un ambiente familiare che era solito coltivare la passione per la musica, Balducci viene avviato agli
studi musicali dal cantante jesino
Giovanni Ripa (1748-1816) e,
successivamente, diviene allievo
di Pietro Morandi (1750-1815),
l’illustre musicista bolognese che
ha insegnato la tecnica del contrappunto a intere generazioni di
musicisti di ogni Paese. Morandi,
che era stato discepolo di Gian
Battista Martini (1706-1784) e
che si era trasferito nelle Marche,
trasmise al Balducci, oltre ai
mezzi tecnici, la passione per
determinati virtuosismi contrappuntistici; si tratta soprattutto
di alcuni elementi di stile e di
gusto estetico che hanno sotterraneamente determinato certe
scelte non solo stilisticamente
originali, ma anche “stravaganti”
per quella età musicale: infatti il
Balducci, grazie agli insegnamenti del Morandi, riesce a maturare
una originalissima sintesi tra la
tecnica del contrappunto e la tradizione del bel canto romantico
proprio della più pura e preziosa
melodia italiana. Balducci “eredita” dal suo maestro bolognese
una tendenza alla cura particolare della strumentazione, delle
frequenti arditezze armoniche e
un certo modo “cameristico” di
trattare il canto: in altre parole,
l’ala dello spirito musicale mitteleuropeo sfiorò il cuore del
canto mediterraneo, imbrigliandolo in un nuovo tessuto sonoro
che, dopo una lunga “gestazione”, arriva a produrre un genere
melodrammatico unico: l’opera
da camera o “da salotto” di cui
Balducci è il solitario creatore in
tutta la storia della musica.
La formazione musicale di
Balducci si completa, come aveva
fatto Pergolesi quasi un secolo
prima di lui, in quella grande
capitale della musica e del teatro
musicale che è Napoli, dove frequenta la scuola di perfezionamento diretta da Giacomo Tritto
(1733-1824) e successivamente
da Nicola Antonio Zingarelli
(1752-1837), compositore di successo di opere serie e buffe, nonché Maestro di Cappella della
S. Casa di Loreto (1794-1804).
Dal primo, Balducci impara a
introdurre il concertato finale nei
lavori operistici e ad affinare progressivamente il disegno melodico, ingegnosamente intrecciato
ad un accompagnamento sempre
più ricco. Dallo Zingarelli, questo
singolare “studente”, già abilissimo nell’arte della composizione,
“eredita” una certa spigliatezza
teatrale e un modo squisitamente
“napoletano” di trattare la voce
come se fosse uno strumento e
gli strumenti come se fossero
voci in una sintesi che sfocia nel
“bel canto” strumentale.
La forte personalità creativa di
Balducci riesce tuttavia a superare tutte queste “influenze”, arrivando a una originale e nuova
sintesi stilistica che rappresenta
non solo un interessante lascito
artistico, testimonianza del ruolo
giocato nella trasformazione
Le Cento Città, n. 37
del teatro musicale napoletano
in opera lirica, ma il raggiungimento di momenti di autentica
e struggente grande arte addirittura anticipatrice, per alcune
invenzioni, dello stesso Verdi, al
quale Balducci si avvicina per il
temperamento e per la rara maestria nel rendere, pur inserendola in tessuto ricco e raffinato,
molto leggera la voce anche nei
momenti musicali più drammatici.
Terminati gli studi, Balducci si
inserisce facilmente nella grande
vita musicale di Napoli e Roma,
producendo una serie di opere
che vengono rappresentate con
notevole successo nel Teatro San
Carlo e nel Teatro Capranica di
Roma, reggendo la “concorrenza” di tanti straordinari compositori del suo tempo. Tra le sue
molte opere vanno ricordati in
particolare alcuni titoli: L’amante
virtuoso (Napoli, 1823), Le nozze
di Don Desiderio (Napoli, 1823),
Riccardo l’intrepido (Roma,
1824), Boabdil re di Granata
(Napoli, 1824), Tazia (Napoli,
1826), I Gelosi (Napoli, 1834),
Le streghe di Benevento (Napoli,
1837), Bianca Turenga (Napoli,
1838), Il Conte di Marsico
(Napoli, 1839). Egli inoltre compone romanze, duetti, quartetti
vocali con accompagnamento
pianistico, brani strumentali,
corali e composizioni religiose,
una vasta raccolta di canoni; egli
scrive anche un metodo di canto
e di solfeggio, rinnova la pedagogia musicale italiana, lo studio di
autori come Haydn, Beethoven
e Schubert, allora quasi del tutto
sconosciuti presso il pubblico
italiano.
Nel ricco panorama operistico
del primo Ottocento, Balducci
interpreta con originalità le tendenze operistiche dell’epoca,
riuscendo a fondere in maniera elegante fluidità melodica e
contrappunto in una scrittura
vocale e strumentale, dove si
mescolano gli stilemi musicali
Giuseppe Balducci
del teatro napoletano settecentesco con le novità dirompenti
del Romanticismo non ancora
consacrato: una grande sapienza
armonica unita ad uno spirito
cameristico quasi mitteleuropeo
nella trattazione delle parti e
dell’accompagnamento, drammaticità e spirito “eroico” dei
duetti, terzetti o quartetti solistici, salti e interruzioni improvvise del canto, un evidente stile
belcantistico esteso anche agli
strumenti. Nel suo insieme, la
musica di Balducci stupisce per
il “coraggio” delle innovazioni,
tanto da non essere probabilmente di facile comprensione per
i suoi contemporanei. Dopo aver
messo alle spalle e aver superato, con grande determinazione
intuitiva, il Settecento, Balducci
cavalca l’onda delle “novità”
espressive e strutturali con una
evidente e progressiva conquista di un percorso artistico teso
verso il pieno sviluppo romantico dell’opera, partecipando alla
nascita del grande melodramma
italiano, che arriverà al massimo
del suo fulgore con il “colosso” Verdi. Tuttavia Balducci ha
diritto di cittadinanza in questa
33
sorte di Olimpo musicale, perché in alcune sue ispiratissime
opera, come Bianca Turenga o
Il Conte di Marsico, raggiunge
una intensità lirica e drammatica quasi verdiana, anticipando
in modo assolutamente geniale
alcune delle strade percorse dal
Maestro di Busseto.
Oltre a melodrammi con un
organico tradizionale (orchestra,
solisti e coro), la produzione
di Balducci comprende delle
composizioni che costituiscono
un’autentica sorpresa, in quanto
rappresentano un genere assolutamente nuovo e mai più ripetuto: l’opera da camera. Infatti
il compositore jesino “inventa”
sei opere per sole voci femminili
con accompagnamento di due
pianoforti che sono le uniche
nella storia della musica. La scelta di un organico così singolare (solo voci femminile e due
pianoforti) deve essere collegato
al lungo e profondo rapporto
che Balducci stabilisce con la
Famiglia Capece Minutolo, una
delle più in vista dell’aristocrazia
napoletana. Il compositore ricopre per qualche tempo il ruolo
di insegnante di musica delle tra
Le Cento Città, n. 37
figlie della famiglia e per diversi
anni il palazzo Capece Minutolo
a Posillipo accoglie uno dei più
attivi e frequentati salotti musicali della Napoli degli anni Venti
e Trenta dell’Ottocento.
Egli riesce in questa “versione
intima” dell’opera, con grande
maestria e abilità funambolesca
e grazie alle basi contrappuntistiche ricevute nei primi insegnamenti marchigiani, a non far
sentire la mancanza delle voci
maschili, nonostante la durata
dell’esecuzione e la compiuta
drammaticità del soggetto. Si
tratta infatti di opere assolutamente intere e perfettamente
realizzate “in scala” (come masse
sonore), che non devono essere
confuse con le romanze o le varie
composizioni per canto e pianoforte che erano composte da
ogni autore di successo. Siamo,
al contrario, di fronte al più strano e incredibile incontro tra due
mondi molto lontani come tipo
di sensibilità: il lied mitteleuropeo e la nascente opera italiana.
Libri ed eventi
35
di Alberto Pellegrino
Libri
L’Accademia Filelfica e il artistiche della maturità presso
Comune di Tolentino, dopo il la corte di Parma, al fianco del
tragico incendio del luglio 2008, Bodoni, alle opere pittoriche e
hanno deciso di pubblicare architettoniche realizzate nelle
un volume intitolato Il Teatro Marche. Il secondo saggio, intiVaccai. Spettacolo e socie- tolato Un teatro ai tempi della
tà a Tolentino tra Settecento Rivoluzione. Il pittore Giuseppe
e Ottocento a cura del prof. Lucatelli e l’esordio di Tolentino
Giorgio Semmoloni, presidente come architetto teatrale è dello
dell’Accademia, che nel giro di storico dell’architettura Cristiaquattro mesi è riuscito a riunire no Marchegiani che analizza il
una imponente documentazione Teatro di Tolentino come oristorica in parte già esistente e in ginale prodotto dell’architettura
parte del tutto nuova, raccolta neoclassica tanto da rimanere
in un libro di 317 pagine, molto come un prototipo nel panoracurato sotto il profilo grafico e ma architettonico nazionale, un
dotato di un interessante appa- edificio realizzato in modo comrato iconografico. È lo stesso pleto dalla facciata monumentaSemmoloni a curare la riedizione le all’interno con l’affascinante
di un celebre (ma ormai introva- volta a velario e tutti gli arredi
bile) opuscolo del 1883 sulla sto- pittorici realizzati dallo stesso
ria del teatro a Tolentino, edito progettista. Fra i nuovi apporti
dal tipografo Filippo Guidoni, storiografici risalta per imporche si pensa possa essere anche tanza il lavoro fatto da Laura
l’autore della pubblicazione Mocchegiani che ha riportato
visto che nella copertina del ne La fabbrica teatrale. Fonti
volumetto, intitolato Il Teatro documentali e cronologia degli
in Tolentino - Memorie stori- avvenimenti tutti gli atti conteche, sono riportate le iniziali “F. nuti nell’archivio comunale di
G.”. I due saggi seguenti sono Tolentino e fedelmente trascritti,
stati già pubblicati su Quaderni che riguardano la costruzione del
del Bicentenario (n. 7-8, 2001- teatro dal 1763 al 1797 con l’ag2002). Il primo è dell’eminente giunta di due documenti del 1812
storico Nicola Raponi e s’intitola e 1816. Si tratta di un materiale
Biografia ed
opera del pittore e architetto Giuseppe
Lucatelli, il
primo saggio
completo
sulla vita e
sulla attività
artistica di
questo autore, dai primi
studi romani alla scuola di Anton
Raphael
Mengs e di
Tommaso
Conca, dalle
esperienze Il Teatro Vaccaj, subito dopo l’incendio del luglio 2008.
Le Cento Città, n. 37
particolarmente importante per
la storia del teatro nelle Marche,
finora di difficile consultazione
per la sua mole e per la grafia
non sempre facile da decifrare
e che è ora a disposizione degli
studiosi. Altro contributo originale, anche nella sua concezione, è quello dell’architetto Luca
Maria Cristini che affronta il
percorso fatto dai due architetti
neoclassici Lucatelli e Aleandri
per quanto riguarda la progettazione del teatro all’antica. Infine
Alberto Pellegrino traccia un
quadro della storia teatrale in
quella zona della regione compresa tra Fermo, Ancona, Jesi
e il Maceratese nel saggio La
civiltà teatrale della Marca centrale; oltre a un’analisi sociologica della fioritura teatrale
marchigiana, l’autore analizza lo
sviluppo storico dello spettacolo
con un particolare approfondimento per il teatro di prosa. Il
volume si chiude con un contributo di straordinario valore storico, perchè per la prima volta
è stato possibile pubblicare un
repertorio teatrale, riguardante
la prosa, la lirica e altre forme
di spettacolo proveniente da un
fondo privato e contenente ben
964 titoli
dal 1797
al 1857, a
cui se ne
aggiungono altri 212
del periodo 18641973 per
un totale di
1176 titoli,
che rappresentano
lo spunto
per ulteriori studi e
approfondimenti.
Il Centro
Studi
e
Libri ed eventi
Attività Teatrali Valeria Moriconi
di Jesi ha recentemente pubblicato, nella collana “Quaderni
delle Memoria” delle Edizioni
Quattroventi, il volume Valeria
Moriconi. Come in uno specchio a cura di Franco Cecchini,
autore di diverse pubblicazioni
teatrali e direttore del Centro,
nonché delle attività teatrali della Fondazione Pergolesi
Spontini. L’opera si propone
di tracciare un profilo quanto
il più possibile completo della
personalità umana e dell’attività artistica della Moriconi, una
delle più grandi attrici italiane
del secondo Novecento, nata a
Jesi nel 1931 e qui scomparsa nel 2005. Oltre
ai due saggi introduttivi, di cui parleremo,
il volume risulta importante per la storia del
teatro italiano, perché
contiene una forma di
biografia postuma intitolata Valeria Moriconi.
“Il teatro è vita”, si tratta di 180 tra interviste e
interventi compresi tra
il 1957 (anno in cui l’attrice comincia ad affermarsi) e il 2004 quando
praticamente conclude
la sua attività artistica,
accuratamente selezionati da Cecchini tra i
550 documenti raccolti
nel fondo archivistico
del Centro e adattati in modo
tale da costituire un’autobiografia da cui si può venire a conoscenza delle vicende umane e del
percorso artistico della grande
attrice marchigiana. Gli apparati
comprendono la cronologia della
vita e dell’attività cinematografica e teatrale dell’attrice, l’elenco
delle interviste raccolte nel Fondo
Archivistico del Centro, una vasta
raccolta di immagini fotografiche riguardanti la vita privata e
gli spettacoli della Moriconi. Il
primo saggio, intitolato Sguardi,
intrecci, segni. Valeria Moriconi
nel teatro italiano del Novecento,
è di Anna T. Ossidani che insegna
Letteratura italiana e Letteratura
teatrale italiana presso l’Università di Urbino. La studiosa riper-
36
corre il cammino artistico della
Moriconi a partire dagli esordi nel
cinema nel 1953, quando approda a Roma avendo alle spalle solo
alcune esperienze fatte a Jesi con
il teatro amatoriale. Le innate
qualità della Moriconi la portano
nel 1957 all’incontro fondamentale con Eduardo De Filippo
con il quale fa il suo esordi teatrale nel 1958 con De Pretore
Vincenzo. Si tratta di una vera
scuola in cui Valeria apprende
la grammatica recitativa, gli elementi fondamentali per interpretare un personaggio e dominare
la scena; sono i primi passi di un
“animale da palcoscenico” che
si avvia a raggiungere risultati
di altissimo livello fino a quella
Filumena Maturano (1986) che
rappresenta una tappa fondamentale della sua carriera. In
mezzo l’incontro con Visconti
(L’Arialda di Testori) e quello
decisivo con Franco Enriquez,
dal quale nasce un sodalizio esistenziale, culturale e teatrale con
la creazione della Compagnia dei
Quattro (Enriquez, Moriconi,
Glauco Mauri e Mario Scaccia),
un laboratorio teatrale dove si
vive “l’eterna gioia e l’eterna
follia del teatro”. Si rappresentano Shakespeare e Goldoni
(La locandiera), ma anche Cecov,
Pasolini, Codignola, Max Frish.
e Stoppard, inoltre la Moriconi
interpreta una splendida Medea.
Le Cento Città, n. 37
Nel 1978 si scioglie il sodalizio
con Enriquez e la Moriconi sperimenta nuove strade con registi
di valore come Castri, Ronconi,
Corbelli, Marcucci, Missiroli,
Sequi. Porta con successo sulla
scena testi di Miller e Bernhard,
l’impegnativo monologo di
Alberto Savinio Emma B. vedova Giocasta, affronta da mattatrice della scena La nemica di
Niccodemi, un popolare testo
del 1917, rivitato da Missiroli.
Con la sua applicazione, il suo
coraggio, la sua sensibilità e il
suo fascino innato la Moriconi
lascia un segno indelebile
nella storia del teatro italiano. Franco Cecchini,
nella sua introduzione
alle interviste biografiche, punta soprattutto
a mettere in evidenza
la strenna connessione
che sentiva Valeria tra
il teatro e la vita, la sua
appassionata sensibilità, la sua voglia di “dialogare con il mondo”.
L’attrice sente il bisogno per prima cosa
di comunicare con il
pubblico, sfruttando
anche la sua forza di
seduzione; nello stesso
non si accontenta della
routine, ma vuole continuamente innovare e
sperimentare fino alla
provocazione. Nello
stesso la Moriconi coltiva il
“mito delle radici”: la sua famiglia e in particolare suo padre;
Jesi e la casa natale di Via Mura
Orientali, dove si ritirerà negli
ultimi mesi di vita; le Marche
(“Sono e rimarrò sempre una
marchigiana”), la terra che
ha amato, alla quale avrebbe
voluto dare un Teatro Stabile
con un progetto che ebbe però
breve durata. Infine il “mito
del teatro” come grande amore
e centro dell’esistenza, come
professionismo e
passione
assoluta: “Il teatro – ha lasciato impresso su un manoscritto
– è vita, è parola, è finzione, è
realtà, è luce, è gioco, è catarsi,
è idea, è passione, è poesia,
è lo specchio, è illusione, è il
Libri
tempo…Il teatro è casa mia…
l’ambiente naturale…come
il pesce nell’acqua, l’uccello
nel cielo, il fuoco nelle viscere
della terra”.
La Fondazione Carima ha
pubblicato come strenna nata-
lizia un interessante volume
curata da Luigi Ricci e intitolato Saluti e Baci. Cartoline
dal Maceratese, che presenta in
apertura alcuni saggi brevi sulla
natura della cartolina e sullo spirito del collezionismo (Goffredo
Binni, Siriano Evangelisti,
Ermanno Arslan), mentre Evio
Hermas Ercoli disegna un
quadro storico e sociologico
di questo mezzo di comunicazione inventato nel 1865 dal
tedesco Henrich von Stephan
(1831-1897) che ha riscosso un
enorme successo fino alla fine
del Novecento e che sta ora
entrando in crisi a causa dei
37
nuovi strumenti di comunicazione elettronica. La cartolina
è stata usata per illustrare il
paesaggio urbano e naturale,
per la propaganda politica e
militare, per rappresentare
mode e costumi, come veicolo
delle arti figurative,
come forma espressiva della fotografia
professionale anche
con ambizioni artistiche. Infine Luigi
Ricci analizza l’importanza che la
cartolina ha avuto
nella nostra società,
procedendo anche
ad una classificazione
tematica:
mercati, militari,
fabbriche, costume, corsi d’acqua,
pescatori, trasporti,
commemorative,
pubblicitarie, saluti
da….
Il volume si
chiude con un’ampia selezione di
cartoline riguardanti i 57 comuni
della Provincia di
Macerata,
tracciando la mappa
geografica, urbanistica e antropologica di un mondo che
ormai resta documentato soprattutto da questi piccoli
rettangoli di cartoncino.
Nella convinzione che la
cartolina, da strumento di
comunicazione molto diffuso
e popolare si stia trasformando in un prezioso mezzo di
documentazione storica, la
Fondazione Carima con la
collaborazione di numerosi
collezionisti ha istituito un sito
internet www.cartoline macerata.it che contiene una raccolta
di ottomila cartoline, che potrà
essere ancora incrementata e
arricchita, ma che costituisce
già una preziosa fonte di documentazione storica per gli studiosi di storia e sociologia, ma
anche per coloro che vogliono
Le Cento Città, n. 37
“sfogliare” questo ideale album
elettronico per sapere “come
eravamo” per quanto riguarda
il costume e l’abbigliamento,
l’architettura e l’urbanistica, i
mezzi di trasporto e le ricorrenze civili e religiose, il paesaggio
montano, collinare e marino.
Il Servizio Diocesano di
Pastorale Giovanile e l’Ufficio
Scuola della Diocesi di Macerata
hanno promosso un’Indagine
conoscitiva sulla realtà giovanile
diocesana, condotta su un campione di giovani del Biennio e
Triennio superiore (563 maschi
e 382 femmine), estrapolato da
una popolazione studentesca di
5524 unità. L’indagine è stata
affidata a Stefano Cacciamani,
ricercatore in Psicologia dello
Sviluppo e dell’Educazione
presso l’Università della Valle
d’Aosta. Essa rappresenta uno
strumento offerto alla Scuola
e altre Agenzie educative del
territorio diocesano e agli stessi
giovani, affinché possano aprire
un costruttivo dialogo, partendo dai risultati emersi dall’indagine. La prima dimensione
indagata (Io con me stesso) ha
messo in evidenza che oltre il
53% degli intervistati si dichiara moderatamente soddisfatto o
insoddisfatto del periodo di vita
che sta vivendo per mancanza
di sicurezza interiore, per paura
della solitudine dell’assunzione di responsabilità, mentre la
maggioranza esprime fiducia
verso il futuro pur senza avere
un progetto personale; il 72%
si dichiara credente e di appartenere a un’esperienza religiosa,
soprattutto cattolica, e la stessa
fede viene percepita come una
dimensione non solo privata.
Per quanto riguarda la seconda dimensione (Relazionarsi), la
stragrande maggioranza (88%)
colloca al primo posto la famiglia, seguita dal gruppo degli
amici (97%), mentre si nutre
una certa sfiducia nei confronti della scuola, dato che il
56,4% giudica la scuola poco
o per nulla piacevole, anche se
il 72,5% si dichiara molto o
abbastanza interessato a ciò che
si fa a scuola. Circa gli adulti di
Libri ed eventi
riferimento la quasi totalità ha
indicato il bisogno di confidarsi
e consigliarsi; per quanto riguarda le associazioni le più frequentate sono nell’ordine: sportive,
parrocchiali, gruppi religiosi, di
volontariato, culturali, politiche.
Infine circa i mezzi di comunicazione/informazione, quelli
più utilizzati sono il cellulare,
la televisione, Internet con l’uso
della chat, dei siti web e l’e-mail.
Il nostro socio Fabio Mariano,
che è stato insignito del premio “Benemerito per la Storia
delle Marche 2008” promosso
dall’Associazione Marchigiana
Rievocazioni Storiche, ha recentemente pubblicato sui Quaderni
dell’Accademia Fanestre (7/2008)
un importante saggio intitolato
Piero della Francesca architetto e prospettico ed il disegno
della città ideale del primo
Rinascimento, nel quale affronta il tema dell’architettura quattrocentesca che si propone di
“travasare” all’interno delle
strutture urbane la nuova concezione umanistica dell’uomo attraverso nuuove città appositamente
progettate, ma solo in minima
parte realizzate (Pienza, Urbino,
Sabbioneta, Palmanova, ecc.).
Un impulso a questi studi è dato
dalla riscoperta e pubblicazione nel 1486 del De Architettura
di Vitruvio, nel quale si persegue l’armonia tra microcosmo e
macrocosmo, tra corpo umano
e arti figurative nel loro complesso compresa l’architettura.
38
Nel quattrocento quindi gli
architetti ipotizzato un tessuto
urbano dove convivano razionalità, equilibrio e simmetria,
dove s’incontrino gli ideali umanistici e le necessità del sistema
di governo che deve assolvere
la perfetta città principesca: le
esigenze di rappresentanza (il
palazzo signorile), la difesa e
le strategie territoriali (le fortificazioni), la vita cortese e lo
spettacolo (il teatro e la scenografia), le strutture abitative che
formato il tessuto residenziale. I teorici della “città ideale”
portano i nomi dell’Alberti, di
Filerete, Brunelleschi e Palladio.
Francesco di Giorgio, alla
fine del Quattrocento nel suo
Trattato di architettura, dedicato a Federico da Montefeltro,
scrive: “avendo la città ragione, misura e forma del corpo
umano…è da considerare come
el corpo ha tutte le partizioni
e membri con perfetta misura e circonferenza, el medesimo in nelle città e altri difizi
osservare si debba”. Sempre in
ambiente urbinate Baldassarre
Castiglione nel Cortigiano dice
che il Palazzo Ducale di Urbino
“non un palazzo, ma una città in
forma di palazzo esser pareva”,
per cui certifica la monumetalizzazione e la spettacolarizzazione della corte che diventa
centro del tessuto urbano e sede
di un’architettura dell’effimero,
sofisticata e ricca di simbologie
anche politiche. In questa sta-
La città ideale (attribuito a Piero della Francesca).
Le Cento Città, n. 37
gione si colloca non solo l’opera pittorica, ma anche teorica
di Pietro della Francesca che
nella sua opera De Prospectiva
pingendi (1472-75) riassume in
forma organica tutti gli studi
prospettici del Rinascimento.
Collocato alle origini presso la
prestigiosa biblioteca federiciana,
il trattato è attualmente custodito nella Biblioteca Palatina di
Parma e si suddivide in tre libri:
sulla geometria piana, sulla geometria solida e sulla rappresentazione prospettica delle figure
complesse.
La concezione antropocentrica del primo Rinascimento,
teatro e scenario delle azioni
umane, trova la propria rappresentazione in quella Città ideale
ormai attribuita quasi univocamente a Piero, anzi ne costituisce un prototipo profetico nel
raffigurare un ambiente nitido
e asettico, quasi fuori del tempo
e dello spazio, senza presenze
umane, formalmente perfetto
nella sua immobilità come se
stesse in attesa di animarsi con
l’ingresso di protagonisti umani,
tanto che qualcuno ha ipotizzato con un certo fondamento che
possa trattarsi di un “bozzetto”
per la scena di una commedia.
L’appassionato di storia
Leonardo Bruni ha recentemente pubblicato un volume
intitolato Cronistoria del movimento operaio e proletario in
Italia (1840-1900), Pensiero
e Azione Editore, Senigallia,
Eventi
2007, che rappresenta un’agile
ma esaustiva analisi storica di
oltre sessant’anni della nostra
storia nazionale vista secondo
l’ottica del movimento operaio
che nella seconda metà dell’Ottocento cerca il proprio riscatto
politico e la conquista di quei
diritti sociali (diritto di voto,
partecipazione alla vita pubblica, diritto all’istruzione, sicurezza e tutela del lavoro, tutela
della salute, giusto salario, ecc.),
contrapponendosi alla borghesia liberale che si limitava a
tutelare le libertà e i diritti individuali. Il movimento operaio
(gli addetti all’industria nel 1861
rappresentano l’8% dei lavoratori contro il 62% dei contadini,
mentre il resto era costituito
da artigiani e lavoratori domestici) trova nel periodo 18481870 il proprio punto di riferimento nel partito “mazziniano”
e nelle prime Società Operaie
di Mutuo Soccorso. Altra formazione presente sulla scena
politica è il partito radicale di
estrazione garibaldina e soprattutto il movimento anarchico
che si afferma in Italia dopo la
nascita dell’Internazionale anarchica, esprimendo forti personalità politiche come Bakunin,
Cafiero, Costa, Pietro Gori e
Malatesta. A partire dal 1875
comincia a formarsi il movimento socialista che fra mille
difficoltà arriva alla costituzione della Federazione Socialista
Alta Italia e del Partito socialista rivoluzionario guidato da
Andrea Costa; nel 1885 nasce
il Partito operaio italiano che
gode di breve vita perché viene
messo fuori legge nel 1889.
mentre comincia a delinearsi la
formazione di un partito repubblicano e delle prime formazioni
cattoliche dopo la pubblicazione nel 1891 dell’enciclica Rerum
Novarum di Leone XIII, sempre
nel 1891 alcuni politici italiani partecipano al II Congresso
dell’Internazionale socialista
e nell’agosto 1892 si svolge a
Genova il primo Congresso del
partito dei lavoratori italiani,
che nell’agosto 1893 prende la
denominazione di Partito socia-
39
lista dei lavoratori italiani (Psli),
si separa definitivamente dal
movimento anarchico ed assume
la guida politica del movimento
operaio italiano.
Eventi
Ha avuto luogo a Jesi la
prima edizione del Premio
Internazionale Valeria Moriconi
indetto dalla Fondazione
Pergolesi Spontini e organizzato dal “Centro Studi e Attività
Teatrali Valeria Morioni”. In
un Teatro Pergolesi gremito
di spettatori e alla presenza
del Sottosegretario ai Beni
Culturali on. Giro, il premio
Protagonista della scena è stato
assegnato alla grande attrice
di teatro e del cinema Isabelle
Huppert che ha lavorato con
registi importanti come Blier,
Tavernier, Goretta, Cimino
(I cancelli del cielo), Godard,
Losey, Marco Ferreri (La storia
di Piera), Wajda, i Taviani (Le
affinità elettive), Haneke (La pianista), Ozon (Otto donne e un
mistero); in particolare è stata
l’interprete preferita di Chabrol
per il quale ha interpretato
Violette Nozière, Un affare di
donne, Madame Bovary, Il buio
nella mente, Grazie per la cioccolata, Rien va plus. In teatro
è stata diretta da grandi registi
come Patrice Chereau e Bob
Wilson. Nel 2005 ha ricevuto
Valeria Moriconi.
Le Cento Città, n. 37
un Leone speciale per la carriera alla Mostra del Cinema di
Venezia e nel 2009 sarà presidente della Giuria nel Festival
di Cannes. Alla Huppert per
il Premio “Protagonista della
scena” è stata consegnata una
scultura appositamente ideata
dall’artista marchigiano Eliseo
Mattiacci intitolata Frammento
di stelle 2009. Nel corso della
manifestazione è stato assegnato anche il Premio Futuro della
scena ad una giovane personalità
emergente del teatro italiano che
si sia già distinta per impegno
e qualità nell’attività scenica e
nella regia. Per l’edizione 2009
è stata premiata Claudia Sorace,
nata a Roma nel 1980, già assistente di Gabriele Vacis, la quale
ha fondato la compagnia teatrale
Muta Imago, dove svolge la sua
attività di drammaturga, regista ed attrice, portando avanti
un interessante lavoro di ricerca
tra uso dello spazio, della luce
e dell’immagine per cercare di
evocare infiniti mondi possibili: un teatro ancora di nicchia,
ma che aspira ad aprirsi ad un
pubblico più vasto con nuove
proposte nate da un lavoro in
continuo movimento. A Claudia
Sorace e alla sua compagnia il
“Centro Studi e Attività Teatrale
Valeria Moriconi” ha affidato un
progetto teatrale da realizzare
a Jesi.
La Galleria di Franca Mancini,
Libri ed eventi
Claudia Sorace.
che rappresenta a Pesaro un
prestigioso luogo d’incontro
con le arti figurative, ha allestito
dal 16 al 28 febbraio 2009 una
mostra del fotografo Gianfranco
Gorgoni intitolata Ritratti. Di
qua e di là dell’Atlantico. Si
tratta di una serie di opere fra le
più rappresentative nella vasta
produzione di questo fotografo
abruzzese che per oltre venti
anni ha vissuto a New York
riuscendo ad essere il testimone
di quanto stava accadendo in
quella città nel mondo delle arti
figurative ad opera di una intera
generazione di artisti americani
o europei ma operanti per un
certo periodo negli Stati Uniti.
Egli riusciva in questo modo a
coniugare e documentare quali
erano gli sviluppi della produzione americana e il nascere
della nuova sperimentazione
europea. Introdotto nel mondo
newyorchese da Leo Castelli,
certamente uno dei più importanti galleristi operanti negli
Stati Uniti, Gorgoni ha potuto
conoscere, frequentare e fotografare grandi artisti come Bob
Rauschenberg, Roy Lichtenstein,
40
Jannis Kunellis, Richard Serra e
Arnaldo Pomodoro durante il
suo soggiorno americano. Nello
stesso tempo ha fotografato alcuni dei nostri autori più
prestigiosi come Mario Merz,
Enzo Cucchi, Eliseo Mattiacci,
Mario Schifano. La strada delle
fotografia legata alle arti figurative è stata aperta tra il 1950 e il
1970 da Ugo Mulas che ha fotografato tutta una serie di artisti
mentre erano all’opera nei loro
studi (Duchamp e Fontana,
Johans e Warhol, Lichtenstein
e Calder, Rauschenberg e
Nolan), ma anche la nostra
avanguardia di allora (Burri e
Consagra, Pistoletto e Ceroli,
Alviani e Melotti); la stessa strada percorsa nel 2003
dalla fotografa marchigiana Emanuela
Sforza che ha
raccontato nel
volume Face to
face l’avventura
creativa di dodici artisti marchigiani tutti colti al
lavoro nei loro
rispettivi studi.
Gianfranco
Gorgoni fa un
percorso diverso nella rappresentazione del
mondo delle arti
figurative, perchè ferma la sua
attenzione non
tanto sull’opera d’arte quanto sulla persona dell’artista
come uomo.
Per raffigurare
soprattutto l’umanità dell’artista attraverso
il suo ritratto,
Gorgoni
ha
voluto conoscere questi autori
attraverso una
serie d’incontri, ha visitato
i loro studi e
le loro case, ha
viaggiato con Isabelle Huppert.
Le Cento Città, n. 37
loro in macchina o in nave,
in treno o in aereo, ha partecipato alle loro mostre e ha
conosciuto le loro famiglie; ha
cioè condiviso una parte della
loro vita. In questo modo egli
è riuscito ha stabilire una sorta
di complicità tra la macchina
fotografica, l’artista e la sua
opera, per cui i ritratti nascono
spontanei e nello stesso tempo
rituali, in una rappresentazione
interiore che si sviluppa all’interno di un contesto dove solitamente l’artista agisce, oppure
attraverso una metafora visiva
che in qualche modo sintetizza
la sua complessa personalità.
Vita dell’Associazione
a cura di Giovanni Danieli
Jesi, 14 dicembre 2008
Assemblea dei Soci
Con la presenza di un numero
elevato di Soci si è svolta presso
l’Hotel Federico II di Jesi, come
è tradizione, l’Assemblea invernale dell’Associazione, dedicata
principalmente alla presentazione dei risultati ottenuti nel secondo semestre dell’anno, all’approvazione del bilancio finanziario
2008 e alla elezione per il rinnovo del Consiglio di presidenza.
Nella sua relazione, densa di
appunti, il Presidente Alberto
Pellegrino ha ricordato sia l’avanzamento registrato nei progetti strategici, sia i numerosi
eventi culturali organizzati con
coerenza, successione razionale
ed adesione ai fini istituzionali;
il livello delle manifestazioni è
stato sempre elevato e ha sempre
portato ad un dialogo culturale
costruttivo.
Dal
Segretario
Generale
Giovanni Danieli è stato presentato il movimento dei Soci
nel corso del 2008 ed illustrata
una integrazione dell’art. 5 dello
Statuto, finalizzata ad assicurare
all’Associazione la costante partecipazione di cento soci, presenti e motivati.
Il testo dell’integrazione, approvato all’unanimità, è il seguente:
Il Socio Ordinario, assente per
un anno e non in regola con la
quota sociale, viene trasferito
dalla categoria dei Soci Ordinari
a quella dei Corrispondenti.
I Soci Corrispondenti, assenti
per due anni, perdono la qualifica di Socio.
La decadenza non esclude la
possibilità del rientro, previa
nuova domanda di ammissione.
Il Tesoriere Anna Maria Zallocco
ha quindi presentato il bilancio
finanziario, che è stato approvato
all’unanimità.
Si è quindi passati all’elezione
del Presidente ed alla nomina
del Consiglio di Presidenza e del
Comitato editoriale.
All’unanimità Walter Scotucci
è stato eletto presidente per
il periodo 1° agosto 2009 - 31
luglio 2010 ed avrà come collaboratori Mario Luni (PesaroUrbino), Mara Silvestrini
(Ancona), Giuseppe Oresti
(Macerata), Giovanni Martinelli
(Ascoli Piceno).
42
Dal Presidente neo eletto sono
stati confermati Giovanni Danieli
Segretario generale, Anna Maria
Zallocco Tesoriere, Mario Canti
Direttore Editoriale, Edoardo
Danieli Direttore Responsabile
della rivista.
Mario Canti ha quindi scelto il
Comitato editoriale che lo affiancherà nel prossimo anno societario: Gianfranco Polidori (PesaroUrbino), Fabio Brisighelli
(Ancona), Giuseppe Oresti
(Macerata), Romano Folicaldi
(Ascoli Piceno).
L’assemblea si è conclusa con la
discussione generale, nella quale
numerosi Soci sono intervenuti
avanzando al nuovo Consiglio
proposte di nuove iniziative.
Macerata, 30 gennaio 2009
I cento anni del Manifesto futurista
L’Associazione ha festeggiato i
cento anni del Manifesto futurista a Macerata presso l’Auditorium della Fondazione Cassa
di Risparmio della Provincia
di Macerata, con un convegno
promosso e organizzato da Evio
Hermas Ercoli.
In apertura il Prof. Nino Ricci ha
Le Cento Città, n. 37
tracciato in una rapida ma limpida sintesi il percorso artistico del
Futurismo dalle prime espressioni pittoriche all’aeropittura
maceratese degli anni Quaranta.
Si è avuto poi l’intervento del
prof. Alfredo Luzi, docente
di letteratura contemporanea
dell’Università di Macerata, che
ha messo in evidenza gli aspetti “rivoluzionari” del Manifesto
futurista del 1909 nelle sue componenti sociologiche, politiche e
letterarie, dal fondatore Filippo
Marinetti fino a Palazzeschi. Il
prof. Hermas Ercoli ha presentato con un interessante supporto di immagini la figura di
Depero, soffermandosi in particolare sulla sua produzione pubblicitaria che tocca il suo vertice
nella campagna per il Campari.
Dopo la pausa-aperitivo il prof.
Alberto Pellegrino ha presentato la fotografia futurista dei
Fratelli Bragaglia e il manifesto
del Teatro Futurista, mettendo
soprattutto in evidenza l’opera di
Ruggero Vasari con il suo “teatro
delle macchine” e dello scenografo maceratese Ivo Pannaggi.
Altissima la percentuale dei Soci
presenti.
Vita dell’Associazione
43
30 gennaio 2009 a Macerata, Auditorium CARIMA
per “I cento anni del Manifesto futurista”. Dopo l’introduzione di Nino Ricci che ha inquadrato, anche
sotto il profilo cronologico il movimento futurista
in rapporto alla situazione culturale e politica del
momento, Alfredo Luzi ha svolto la relazione su
“La letteratura Futurista” ed Hermas E.Ercoli e
Alberto Pellegrino, a cui si riferiscono le fotografie 1
e 2, rispettivamente quelle sulla complessa figura di
Fortunato Depero e su “I manifesti futuristi del teatro
e la fotografia”, con particolare attenzione all’opera di
Anton Giulio Bragaglia.
Nella foto 3, il momento dell’aperitivo con il
Campari Soda al centro dell’immagine, nella caratteristica bottiglietta di vetro disegnata da Fortunato Depero.
Nella foto 4, la visita alla sezione dei futuristi a Palazzo Ricci, Hevio H.Ercoli si sofferma sull’opera pittorica di Fortunato Depero, mentre (foto 5) Marco Pannaggi commenta una delle opere del padre, Ivo
Pannaggi, presenti nella Galleria di Palazzo Ricci.
Nelle foto 6 e 7 infine, la riunione conviviale nella trattoria “da Ezio”, dove il calore e la spontaneità di
Mirella, l’anima del locale, ha rappresentato il migliore complemento allo spirito di cordialità che anima
il sodalizio de Le Cento Città (Testo ed immagini di Romano Folicaldi).
Le Cento Città, n. 37
Vita dell’Associazione
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Monterado, 15 febbraio 2009
Il carnevale de Le Cento Città
Ideato e realizzato da Folco Di
Santo, con la collaborazione di
Anna Pelamatti, nella suggestiva
sede del castello di Monterado,
Le Cento Città hanno voluto
festeggiare il carnevale, con l’intento di inserire un momento
ludico nel programma annuale di
impegno socio-culturale.
Non sono mancati nè il menu
tipico nè le danze caratteristiche
ed ampio rilievo hanno avuto
due brevi relazioni di Alberto
Berardi e di Ettore Franca concernenti rispettivamente la storia
e la gastronomia del carnevale. Ospiti graditi sono stati il
Sindaco di Monterado, Dott.
Orlando Rodano e la Dott.ssa
Luana Angeloni, Sindaco di
Senigallia.
Il castello di Monterado.
Nelle fotografie 1 e 2 Alberto Berardi, Presidente a livello nazionale di tutte le manifestazioni che vengono indette per Carnevale, ed Ettore Franca che ha grande esperienza e conoscenza dell’evoluzione
dei cibi e delle bevande nel corso della storia,in due “siparietti”, rispettivamente sul significato del
Carnevale e sulla enogastronomia legata a questo ciclo di festeggiamenti.
Le fotografie 3 e 4 mostrano il presidente Alberto Pellegrino con la Consorte Paola e, ospite d’onore, Luana Angeloni, Sindaco di Senigallia (Testo ed immagini di Sandra Casadio Folicaldi e di Franca
Zambotto Fedeli).
Le Cento Città, n. 37
Controcopertina
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Marche/Arte
di Francesca Acqua
Carlo Crivelli
Il Beato Gentile Ferretti
in estasi (particolare)
Londra, National Gallery.
Sullo sfondo appare
probabilmente la via
di accesso alla città
di Ancona, oggi via
Astagno, lungo la quale
era posto il convento di
San Francesco “ad alto”
(attuale sede del distretto
militare), nel quale il
Beato Ferretti risiedeva.
Il tema del “paesaggio” ha rappresentato in questi anni un interesse costante de Le Cento Città,
sia per quanto riguarda le attività di ricerca e approfondimento svolte dall’associazione che quelle di
diffusione e divulgazione proprie della rivista.
Nello sforzo di individuare metodi e atteggiamenti che favorissero la conservazione del paesaggio “storicizzato” e la qualificazione di quello ancora oggi “in divenire”, si sono proposti strumenti
conoscitivi quanto più possibile “oggettivi”, capaci, in quanto tali, di aiutare la crescita di sensibilità
e di conoscenze omogenee e condivise all’interno della società regionale.
Conseguentemente la individuazione dei possibili elementi componenti del paesaggio: geomorfologci,
vegetazionali, agricoli, storici ed economici, ecc., e delle modalità con le quali questi elementi si sono tra
loro composti sul territorio e nel tempo, generando ambiti territoriali diversi e differenziati, ha assorbito
gran parte della nostra attenzione.
Oggi possiamo riscontrare che lo studio e la progettazione del paesaggio sta divenendo anche in Italia
una attività disciplinare costante, oggetto di una sempre più sviluppata ricerca scientifica, i cui risultati
cominciano a riversarsi anche nell’ambito amministrativo attraverso l’adozione sempre più diffusa di piani
paesaggistici redatti a scale diverse: regionali, comprensoriali, comunali.
Le Cento Città, n. 37
Controcopertina
46
In relazione a questa comprovata evoluzione della tematica “paesaggio” ci sembra opportuno tornare
a riflettere sulle ragioni che ci avevano indotto a ritenere la stessa un argomento fondamentale per una
associazione che intendeva interessarsi del significato e del valore del termine “identità” a livello locale; più
volte abbiamo affermato che il paesaggio in quanto “testimonianza materiale di civiltà” unica ed irripetibile
per ogni sito, pur nella costanza dei fenomeni fisici e storici formativi, conferiva “identità” al sito stesso e, per
suo tramite, agli abitanti.
La percezione del valore del paesaggio, quello dei luoghi natii come di quelli comunque vissuti, la relazione al proprio essere e alla propria capacità di esprimersi di ogni artista, rappresenta una costante tale
che non v’è, a nostro modo di sentire, poeta, romanziere o pittore che non abbia fatto riferimento nelle sue
opere alla forma fisica del territorio, al “paesaggio”, anche se talvolta questo possa essere stato “mascherato” o espresso per “contrasto”.
Questa considerazione ci sembra essere particolarmente vera per le Marche e particolarmente significativa per quanti siano interessati a recuperare la sua identità, anche storica, come ancoraggio alla realtà
Le Cento Città, n. 37
Marche/Arte
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sopra:
Vittore Carpaccio
Veduta di Ancona
(particolare)
Londra, British Museum.
a sinistra:
Vittore Carpaccio
Predica di Santo Stefano
(particolare)
Parigi, Museo del Louvre.
del presente e del territorio nel quale vive, ma soprattutto come fondamento culturale di nuove e diverse
realizzazioni economiche e sociali, di nuovi sostenibili assetti anche formali del territorio.
Ovviamente la citazione dell’artista viene mediata dalla sua sensibilità, dal periodo storico nel quale vive,
dall’ambiente culturale nel quale si trova ad operare, dai particolari condizionamenti sociali od economici
ai quali è sottoposto, e così via.
Di conseguenza il paesaggio “raccontato” da un artista, sia esso un poeta o un pittore, è “sempre vero e
sempre inventato”; pure ci è sembrato che fosse importante utilizzarlo come strumento per comprendere
meglio l’ambiente al quale fa riferimento e, forse, amarlo di più.
Da queste considerazioni è nata la controcopertina “Marche/Arte che a partire da questo numero proponiamo ai nostri lettori e che contiamo di sviluppare nel tempo, con l’aiuto di esperti e studiosi, ma anche di
tutti quei nostri lettori che vorranno fornirci indicazioni e segnalazioni in merito.
Le Cento Città, n. 37
Controcopertina
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Tiziano Vecellio: Noli me tangere (particolare), Londra, National Gallery.
A destra sullo sfondo appaiono nitidamente rappresentate la Porta di Capodimonte, attraverso la quale si
accedeva in Ancona provenendo dal nord, e la soprastante Cittadella realizzata su progetto di Giuliano da San
Gallo; a sinistra il tratto di costa compreso tra Ancona e Senigallia.
La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di
Banca Marche, Carifano, Fox Petroli, Gruppo
Pieralisi, Proel, Banca dell’Adriatico, Santoni, TVS
Le Cento Città, n. 37
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