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La convivenza con l’orso – 2 ‹ BANFF
La convivenza con l’orso – 2 (2-2)
(continua da La convivenza con l’orso -1)
E’ quasi obbligatoria a questo punto una dichiarazione di Ugo Rossi, presidente della
Provincia. L’11 giugno 2015 il Consiglio provinciale è incandescente. L’argomento è l’orso. Dopo
l’aggressione a Cadine, diversi consiglieri tornano a contestare il Progetto Life Ursus.
Ecco l’intervento di Rossi:
Ugo Rossi
«Siamo di fronte ad un episodio molto grave rispetto al quale non è opportuno fare
strumentalizzazioni. Per prima cosa ho voluto informare sull’accaduto in base ai rilievi e alle verifiche
fatte dalle autorità competenti. Sulla base di queste informazioni il dibattito si è sviluppato e io lo ho
ascoltato. Le decisioni che adotteremo saranno basate sullo stesso principio adottato lo scorso anno in
agosto quando si verificò l’altra aggressione: di fronte ad un fenomeno che è dentro le logiche naturali si
valuta la gravità e prima viene la vita e la sicurezza delle persone e poi viene la conservazione
della natura.
Lo scorso anno, dentro le regole di cui disponiamo, abbiamo applicato lo stesso principio. L’anno scorso
io mi sono assunto la responsabilità di prendere provvedimenti che hanno portato poi a reazioni sulle
quali non ho sentito molta solidarietà, nemmeno quando la Forestale dello Stato ha minacciato
interventi. Quello che noi possiamo fare in relazione alle regole è scritto e ve lo leggo. Nel momento in
cui un orso attacca senza essere provocato si possono adottare tre provvedimenti: cattura con
rilascio e radiocollaraggio, cattura con captivazione,abbattimento. L’ordinanza dello scorso
anno diceva esattamente questo. Io mi sono preso questa responsabilità assieme alla mia giunta l’anno
scorso e siamo pronti ad assumerla anche quest’anno. Per assumersi questa responsabilità è necessario
però identificare e riconoscere l’esemplare responsabile dell’aggressione. Questo è quello che faremo.
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La videoconferenza con Ministero e ISPRA che è in corso in questo momento serve proprio per
condividere questa procedura a livello centrale. Però siamo pronti a prenderci responsabilità in via
autonoma ma vogliamo evitare che qualche organo centrale, sulla base di informazioni scorrette, possa
fare rilievi, come lo scorso anno. Anche questa volta la cattura di un orso ha dei rischi come per l’evento
infausto dell’anno scorso. L’altra volta abbiamo assistito ad un mettere in croce persone e istituzioni
rispetto a quella decisione. Noi quei rischi ce li prenderemo anche quest’anno. Abbiamo le regole e le
abbiamo sempre utilizzate e le utilizzeremo fino in fondo.
Quanto al cambiarle, già lo scorso anno la Provincia di Trento ha formalizzato ciò che ho sentito dire in
quest’aula, e che condivido, sulla necessità di modificare alcune regole del progetto Life Ursus. Il
progetto del 1993 non prevedeva un numero massimo, noi stiamo chiedendo di definire modalità che
vadano oltre a quelle che abbiamo per cercare di modificare ciò che è possibile, compreso la riduzione
del numero degli orsi. Le decisioni le abbiamo prese e difese, talvolta un po’ troppo soli».
Qualche giorno dopo si stabilisce, dalle indagini e dai rilievi, che la responsabile dell’aggressione è
stata l’orsa di dodici anni KJ2, nata da Kirka e Joze. Nel diluvio di dichiarazioni e commenti, non è mancato il fiorire di consigli in caso d’incontro
avventuroso con l’orso, in alcuni casi contraddittori.
La Provincia Autonoma di Trento (PAT) con un comunicato sostiene che “in caso di incontro
ravvicinato, non bisogna correre o muoversi con concitazione, anzi allontanarsi lentamente”. Sul sito
del Parco dello Stelvio è scritto: «Sdraiati a terra e fingiti morto: rimani sdraiato sulla pancia in
posizione fetale, con le mani strette attorno alla testa. Uno zaino può proteggere la schiena. Cerca di
rimanere più calmo e silenzioso possibile». Anche la Provincia di Bolzano è su questa linea: «Se
dovesse verificarsi un attacco di una persona, mettere davanti a se un oggetto, ad esempio il cestino dei
funghi o lo zaino. Se questo non dovesse essere d’aiuto, sdraiarsi a terra in posizione fetale proteggendo
la testa con le braccia».
Sembrerebbe dunque che bisogna fare rumore prima, per avvisare della propria presenza, ma
una volta che ci si trova faccia a faccia con l’orso niente gesti bruschi, niente urla e anzi
immobilizzarsi.
Tuttavia altri non sono d’accordo. La Guardia Forestale Nazionale nel proprio vademecum non si
sbilancia: «Se si incontra un orso lungo un sentiero, conviene alzare le braccia, fare rumore in modo da
allontanare l’animale. Ma se l’incontro è ravvicinato non fare rumore e non alzare le braccia».
Insomma, dipende dalla distanza, anche se non viene specificata. Addirittura per il National
Geographic «non è una buona idea fingersi morto, si potrebbe attirare la curiosità dell’animale». Il
National Geographic, a corredo di un articolo con l’opinione di alcuni esperti del settore, mostra
questo video:
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La discussione in merito è molto accesa e interessante anche sul gruppo Facebook «Convivere con
l’orso sulle Alpi». Qui si ribadisce che gridare e alzare le braccia è sbagliato:
“Da quanto abbiamo in mano, a differenza di quello che i media stanno pericolosamente diffondendo (e
cioè – ancora una volta! – che di fronte ad un’aggressione da orso ci si salva solo lottando con tutte le
forze, e grazie alla prestanza fisica), la reazione della vittima – e del cane, legato a lui – all’apparire
dell’orso (“ho fatto come dicono, ho alzato le braccia e ho gridato”) potrebbe, invece, addirittura aver
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peggiorato la situazione. Una reazione “fight or flight” (lottare o fuggire) in circostanze simili resta
comunque del tutto comprensibile e non condannabile: fa parte del nostro istinto reagire così in
circostanze pericolose. E’ radicata nel nostro DNA, e nei casi estremi della vita ha da sempre aiutato la
nostra, e altre specie, a sopravvivere.
Ma con l’orso non funziona, quando attacca per neutralizzare una presunta minaccia. Corpose moli di
dati da tutto il mondo dicono questo.
Mantenere la calma stando fermi e senza gridare può dare risultati sorprendentemente positivi, anche
di fronte a un orso apparentemente deciso a farci del male. E in caso di contatto fisico, restare a terra a
pancia in giù, senza difendersi attivamente – facendo però tutto il possibile per coprirsi viso, nuca e
testa con gli arti superiori! – sono atteggiamenti in qualche modo “contronatura”. Che si riescono a fare
solo con un grande autocontrollo, e soprattutto con una preparazione mentale adeguata (vale a dire,
provare a immaginare una scena simile, allenare la mente a simili eventi e a come comportarsi di
conseguenza); ma hanno aiutato tanta gente, anche in zone del mondo dove gli orsi sono decisamente
più aggressivi dei nostri. Difficile da fare, di sicuro: ma grazie a questo ci si può salvare la pelle, o da
ferite peggiori, o – come più spesso accade – addirittura uscire indenni e senza nemmeno un graffio
dalla contesa… Rimane una considerazione da fare: in Trentino c’è ancora molto da fare nel campo
dell’informazione su questi aspetti della convivenza con l’orso. Gli orsi sono cresciuti di numero in fretta
ma, a nostro avviso, negli anni non c’è stato un adeguato impegno istituzionale nella preparazione dei
residenti alla prevenzione e gestione degli incontri ravvicinati.
Infine: in seguito al grave ferimento, il governatore della Provincia ha firmato l’ordinanza per la
rimozione dell’esemplare, una volta conosciuta la sua identità.
Siamo fermamente convinti che la convivenza con l’orso bruno passi anche attraverso queste decisioni;
che sicuramente solleveranno ulteriori polemiche, ma sono in linea con i protocolli in vigore e con ogni
norma di buon senso.
A maggior ragione in una zona antropizzata come quella alpina, per gli orsi più aggressivi non ci può
essere futuro: pena l’incolumità di orsi che passano la vita senza disturbare nessuno, e soprattutto
l’incolumità delle persone.
E, per quanto “antropocentrico” possa suonare a qualcuno, la vita e l’incolumità di una persona, per noi,
è giusto che valga più della vita di un orso”.
Un divertente video di Lucio Gardin (www.luciogardin.it) su come comportarsi in un incontro con l’orso
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Il progetto Life Ursus
(tratto da http://www.pnab.it/natura-e-territorio/orso/life-ursus.html)
Per cercare di risollevare le sorti dell’ultimo nucleo di orso bruno delle Alpi italiane, nel 1996 ha
preso avvio mediante finanziamenti LIFE dell’Unione Europea il Progetto Ursus –tutela della
popolazione di orso bruno del Brenta, più noto come Life Ursus.
L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado – promosso dal Parco Naturale Adamello
Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi ISPRA) – si è basato su una attenta fase preparatoria.
In base ad un apposito Studio di fattibilità, la reintroduzione è stata individuata come l’unico
metodo in grado di riportare gli orsi sul Brenta: 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa
tra 3 e 6 anni) sono stati indicati come il contingente minimo per la ricostituzione, nel medio-lungo
periodo (20-40 anni), di una popolazione vitale di orsi sulle Alpi Centrali, formata da almeno 40-50
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individui. Lo Studio di fattibilità ha inoltre stimato – mediante un’approfondita modellizzazione del
territorio comprendente il Trentino occidentale e parte delle province di Bolzano, Brescia, Sondrio
e Verona – in più di 1700 kmq le aree idonee alla presenza del plantigrado: superficie giudicata
sufficientemente ampia per ospitare la popolazione minima vitale.
Proprio in base all’estensione territoriale dell’area interessata dal progetto ed alla sua complessità,
numerosi sono stati i partner che hanno collaborato all’iniziativa. Sono infatti stati formalizzati
accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti a quella di Trento, anche con
l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora anche al monitoraggio degli orsi immessi,
con il WWF – Trento e con numerosi altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.
Dato l’elevato impatto emotivo della specie, la fase preparatoria del progetto ha previsto altresì la
realizzazione di un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto DOXA di Milano): più di 1500
abitanti dell’area di studio sono stati intervistati telefonicamente per verificare l’attitudine, la
percezione nei confronti della specie e la possibile reazione di fronte ai problemi derivanti dalla
sua presenza. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70% dei residenti interpellati si sono
dichiarati a favore del rilascio di orsi nell’area e la percentuale ha raggiunto addirittura l’80% di
fronte all’assicurazione che sarebbero state adottate misure di prevenzione dei danni e gestione
delle situazioni di emergenza. Questi ultimi provvedimenti sono stati adeguatamente e
dettagliatamente pianificati dal Parco nell’ambito delle Linee guida che, oltre a definire
l’organizzazione generale del progetto, hanno permesso di individuare gli enti e le figure coinvolte
a vario titolo, identificando compiti e responsabilità nell’ambito di tutte le attività previste per
favorire una positiva realizzazione della reintroduzione.
La fase operativa del progetto ha preso avvio nel 1999, con la liberazione dei primi due
esemplari: Masun e Kirka, catturati nelle riserve di caccia della Slovenia meridionale. Tra il 2000 e il
2002 sono stati liberati altri 8 individui, per un totale di 10 complessivi (l’ultima femmina, Maja, è
stata liberata per sostituire Irma, morta nel 2001 a causa di una slavina).
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Tutti gli orsi rilasciati sono dotati di un radiocollare e di due marche auricolari trasmittenti.
Questi dispositivi hanno consentito di monitorare gli spostamenti degli animali per il periodo
successivo al rilascio, confermando le previsioni delloStudio di fattibilità e l’ottimo adattamento
degli individui reintrodotti al nuovo territorio di vita.
Il progetto, seppure di tipo sperimentale, ha assunto di lì a poco – a seguito della spontanea
ricomparsa dell’orso in territorio italiano – una valenza ben più ampia della semplice tutela della
popolazione trentina: contribuire al rinsaldamento tra le popolazioni ursine presenti e in
espansione sull’Arco Alpino centro-orientale. Il progetto Life Ursus, conclusosi nel dicembre 2004
dopo una seconda fase di finanziamenti europei, ha dato i suoi frutti: grazie ad un rapido
accrescimento, il nucleo di orsi che ha l’Adamello Brenta come sua core area è oggi stimato in circa
50 esemplari. Oltre che dall’incremento numerico, il successo dell’operazione di reintroduzione è
confermato anche dall’espansione territoriale: la presenza della specie non è infatti più limitata al
Trentino occidentale ma comprende aree distanti dal Parco. L’esplorazione del territorio lascia ben
sperare per un eventuale futuro ricongiungimento di tutte le popolazioni alpine, anche se il
pericolo di estinzione non può ancora dirsi scongiurato.
Per chi desiderasse ulteriori dettagli è qui a disposizione e integrale il Documento del Parco n. 18
– L’impegno del Parco per l’orso: il Progetto Life Ursus.
Nelle settimane seguenti ai due incidenti, continuano gli interventi scritti su giornali e
social. Particolarmente interessante è quello di Giuliano Castellan su L’Adige, 8 agosto 2015:
“I trentini hanno iniziato a cambiare il proprio approccio al bosco. Non ci si va più, semplicemente. Non
ci si va più con il cuore aperto di chi si sente accolto da un abbraccio balsamico, protettivo e silente.
Tutto ciò è diventato sbagliato: almeno per certa comunità «scientifica» che ritiene che i trentini vadano
rieducati alla loro secolare cultura del bosco, per il più buffo atteggiamento dell’assessore, che fa
mettere cartelli e invita a far rumore nei boschi, restare sui sentieri, coprirsi di campanelli, come
appestati d’antan.
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Ma tranquillo assessore, ormai perfino gli scout trentini fanno i campi in Sudtirolo, figuriamoci il
semplice camminatore. E molti altri ospiti del Trentino se ne andranno altrove. E chissà poi perché tutta
questa agitazione da parte dell’assessore «competente» visto che pare non abbia uno iota di
competenza, che spetta invece tutta al ministero.
Ministero lontano, forse sorpreso dal successo del progetto: pensa, perfino in Francia è fallito, che
rispettosi ‘sti villici trentini, altro che i montagnards francesi. Ma di reagire con un piano alla situazione
di oggettivo pericolo, nessuna fretta. Né a sommesso avviso di chi scrive, nessuna voglia. Gli orsi,
secondo il ministero, sono pericolosi uno per uno, individualmente presi. Va data la prova circostanziata
che quell’orso, che in quel luogo ha aggredito, senza provocazione (concetto che diverrà amplissimo: eri
coperto di campanelli sul sentiero e facendo abbastanza rumore, magari idealmente a bordo di un
quad?) era per di più «problematico». Noi che dall’orso ci aspettiamo solo che faccia l’orso, ossia
oggettivamente pericoloso, siamo totalmente spiazzati. Ma come, non dovevano essere al massimo
quaranta? Quanti sono? Non si sa. Non dovevano solo servire a rinsanguare il parco dell’Adamello
Brenta? E invece pare normale che passeggino attorno a Zambana e Terlago.
L’orso problematico, per me, è quello lì, che se ne sta fuori dagli stretti limiti di un parco naturale, e che
lì deve stare calibrando il numero di esemplari che quel ridotto territorio può sopportare. Il resto è
violenza fatta a comunità di insediamento diffuso che subiscono danni. «Tanto li rimborsano» mi pare
una risposta cinica, di chi disprezza il lavoro degli altri. Perché a chi lavora in montagna, o
semplicemente ci vive, si deve rendere la vita ancor più dura? E perché andare a respirare un po’ d’aria
fuori dal bailamme e della camera a gas della Val d’Adige è diventato angoscioso? Invece che rispondere
seriamente alle ragioni che presidiano questa gratuita violenza dell’immettere animali pericolosi in
boschi vicinali ormai a ridosso di zone densissimamente abitate, alcuni, anche sull’Adige, hanno evocato
il concetto di «buffo».
Ossia, invece di spiegare, ricorrono come sofisti greci all’arte della persuasione di chi si sente superiore,
portatore di una civiltà più evoluta, cittadina, meglio, transatlantica. Quella certa cultura cui non va mai
niente bene dell’America, quando si tratta dell’orso e della sua gestione nel parco dello Yellowstone
diventa acritica e entusiasta. Senza un grammo di discernimento sulle altrove ben rimarcate differenze
culturali (e dico io, semplicemente di densità abitativa). Non lasciamoci turlupinare. L’orso in Trentino
non potrà mai essere trattato come l’orso in Canada o in America, ma neppure come l’orso marsicano. A
meno di non ridefinire tutta la cultura materiale e antropologica del Trentino.
Il risultato sarebbe tracciare anche qui quella terribile cesura tra natura e aree abitate che ho potuto
percepire percorrendo l’appennino, in particolare tra alto Lazio e Abruzzo. Lì ho intuito cosa i romani
intendessero per timore panico, ossia la paura degli spazi silvestri: sì, di un bosco! In Trentino, un
mondo di malghe, masi, una fitta rete di sentieri e alpeggi, agritur e rifugi, su fino alla croce di vetta non
può essere distrutto da un’ideologia pro orso invasiva e irrispettosa. Serve subito una norma di
attuazione che ci restituisca la saggia amministrazione del nostro Trentino”.
Castellan cita il paragone tra le due convivenze, quella con l’orso alpino e quella con l’orso
appenninico (marsicano). Ed è così che ci siamo incuriositi, e siamo andati a informarci su quanto
succede in Abruzzo.
Chi volesse avere maggiori ragguagli sulle differenze tra orso alpino e orso appenninico può
consultare http://www. parchionline. it/orso-bruno-in-italia. htm: non si direbbe però che le
differenze fisiche vadano molto oltre le dimensioni che gli esemplari possono raggiungere.
Nel frattempo, in questo periodo di più o meno ingiustificati allarmismi e
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palesi strumentalizzazioni che vedono in Italia l’orso e la fauna selvatica maggiore al centro di
nauseanti campagne mediatiche di demonizzazione, fa piacere riscontrare una intelligente
iniziativa editoriale curata dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con la collaborazione
dell’Associazione Teriologica Italiana (ATIt).
Si tratta di un opuscolo di 25 pagine (Edizioni Il Centro) che spiega, con l’aiuto di immagini e
simpatiche illustrazioni, le principali caratteristiche, abitudini e problematiche legate alla presenza
dell’orso bruno marsicano sul territorio montano abruzzese.
Un opuscolo per informare e promuovere il rispetto per questa specie, nell’ottica di una
convivenza possibile quanto necessaria. Per fugare paure ingiustificate e isterismi collettivi in una
terra che da sempre convive con i grandi predatori e può e deve considerarli parte del proprio
patrimonio naturale e culturale.
Ne consigliamo la lettura, soprattutto perché aiuta a stabilire un differente approccio globale al
problema, lontani dalle polemiche trentine.
Eccolo, in versione integrale:
E’ pericoloso l’orso bruno marsicano?
Anche dopo questa lettura permangono mille dubbi, tanto che più di prima ci sembra che siano in
pochi ad affrontare il problema in un’ottica davvero globale. Tra questi è di certo Barbara
Chiarenzi, le cui note conclusive, apparentemente pessimiste, dovrebbero spronarci a lavorare
tutti in quella direzione.
L’intervento (18 marzo 2015) di Barbara Chiarenzi Daniza, a sipario chiuso, a commento
dell’uccisione di Daniza, si concludeva con queste amare parole:
“A fronte del fatto che esiste un habitat naturale in grado di sostenere una popolazione alpina di orso,
non vedo infatti al momento un habitat sociale che sia disposto ad accettarne i rischi che vadano un
po’ oltre la tolleranza nei confronti di qualche pecora mangiata e alcuni apiario rovesciati.
La nostra società, a tutti i livelli, è in questo momento disponibile a una fruizione solo mediata, magari
solo informatica, certamente non diretta, di certi fenomeni naturali. Siamo interessati agli animali
selvaggi, ma che essi se ne stiano buoni buoni in un habitat che non dev’essere il nostro. L’orso Yoghi ha
permeato di sé un’intera generazione e ci piace vedere l’orso con questo filtro. In effetti non siamo
disponibili al rischio di un incontro, a parte chi con telefonino schierato non sa neppure a che rischio si
sta esponendo.
L’amministrazione non vede di buon occhio fenomeni che non siano riconducibili a una qualunque
responsabilità: e in definitiva anche noi siamo stati trasformati.
Di questa immensa trasformazione culturale e sociale, sicuritaria, garantista all’eccesso per tutte le
responsabilità e in fuga da ogni imprevisto, la conservazione dell’orso in Italia dovrà tener conto, se
vorrà avere un futuro”.
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