CERTOSA DI
VIGODARZERE
S.O.S.
A cura di Luciano Francato, Giovanna Dorio e Giulio Cesaro
Monumentale complesso della Certosa di Vigodarzere (Padova).
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Sommario:
LE CERTOSE E I CERTOSINI
(A cura di Luciano Francato)
- Origine dell’ordine certosino
pag. 5
- I monaci certosini
pag. 9
- Contesto ambientale e culturale
pag.12
- Struttura delle certose
pag.13
- L’abito monastico
pag.15
- Cenni storici
pag.16
- Il rito certosino
pag.19
- Le certose in Veneto
pag. 20
LA CERTOSA DI VIGODARZERE
(A cura di Giovanna Dorio)
- I monaci certosini
pag. 25
- Da monastero a dimora aristocratica
pag. 29
- Blasonatura dello stemma dei De Zigno
pag. 31
- Un avo dei De Zigno di grande spirito di iniziativa
pag. 32
- Un palazzo di rappresentanza a Padova in via Dante
pag. 32
- Il barone Anchille De Zigno
pag. 35
- Achille De Zigno, gentiluomo di nascita, di abitudini,
di sentimenti e di modi
pag. 38
- Scheda di Marco De Zigno
pag. 40
- Scheda di Anchille Pietro De Zigno
pag. 40
- Scheda dei figli di Anchille De Zigno e di Adelaide Emo
Capodilista
pag. 41
- Dai baroni De Zigno ai conti Passi Preposulo
pag. 42
- I conti Passi Presupolo
pag. 44
- Alcuni ospiti Illustri della certosa
pag. 48
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- Il venerabile Don Luca, Conte Passi di Preposulo
pag. 49
- Don Marco Celio, conte di Preposulo
pag. 50
- Tre visite pastorali all’oratorio della certosa
pag. 52
- Lettera di Alberto al padre Achille
pag. 54
- In memoria di Adelaide
pag. 55
- Postfazione
pag. 62
- Anchille De Zigno ha salvato la certosa
pag. 65
- Vigodarzere mappa del catasto Austriaco 1828 – 1845
pag. 66
- 1797 – Anno funestissimo, un documento prezioso
pag. 68
LA CERTOSA IN PERICOLO
(A cura di Giulio Cesaro)
- Dalla demolizione della certosa di Padova alla sua ricostruzione
nel territorio di Vigodarzere
pag. 72
- La confisca del monastero certosino di Vigodarzere
pag. 77
- Vendita dell’ex monastero, demolizioni e mappatura
pag. 83
- Prospetti e sezioni della certosa di Vigodarzere
pag. 86
- La grandinata luglio 2009
pag. 93
- Quanti ricordi attorno alla certosa
pag. 94
- La colonia elioterapica di Vigodarzere
pag. 96
- 1945 – Bombe a farfalla lanciate nei pressi della certosa
pag. 100
- Gli abitanti della certosa negli anni 1944 – 1945
pag. 102
- La certosa nel dopoguerra
pag. 105
- Documenti relativi ai vincoli dell’ edificio
pag. 106
- L’edificio comunale ex municipio
pag. 109
- Visita alla certosa del ministro Gullotti
pag.110
- La mia prima visita in certosa
pag.111
- Gli affreschi sulla facciata della chiesa in cui è
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raffigurata la Madonna prossima al parto
pag.116
L’Angelus della Certosa
pag.125
- Manoscritto sulla certosa
pag.127
- Speciale sulla certosa pubblicato nell’Ottobre del 1986
pag.130
- Il Rifacimento del tetto della certosa effettuato nel 1993
pag.131
- Singolare matrimonio in certosa
pag.132
- Altre manifestazioni dentro la certosa
pag.136
- Il fucile da caccia e Napoleone
pag.143
-
Il deposito degli esplosivi
pag.144
Danni conseguenti la disfatta di Caporetto
pag.145
Il tunnel sotterranneo, leggenda e realtà?
pag.145
Il Bosco della certosa
pag.146
Le tante certose d’Italia
pag.146
Ridiamo vita alla certosa
pag.147
- Il monastero Benedettino di Praglia:
Cenni storici e documentazione riguardante gli ebrei ricercati
dai nazifascisti e nasconti all’interno del monastero
pag.151
- Il futuro della certosa e proposte di restauro
pag.164
- La certosa in fotografia
pag.169
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LE CERTOSE E I CERTOSINI
ORIGINE DELL’ORDINE CERTOSINO
(A cura di Luciano Francato)
S. Bruno in un dipinto rinascimentale
L’ordine Certosino (lat. Ordo Cartusiensis) è uno dei più rigorosi ordini monastici
della Chiesa Cattolica e deve la sua nascita a San Bruno, il quale nacque a Colonia
intorno all’anno 1030 e sempre a Colonia fu canonico della collegiata di San Cuniberto.
Studiò alla scuola del Duomo di Reims in Francia, in seguito ne divenne insegnante e
infine gli fu affidata l’alta funzione di “scholasticus”, ossia la direzione della scuola. Tra i
suoi discepoli vi fu Eudes (Oddone) di Chatillon che divenne monaco benedettino a Cluny
e in seguito Pontefice con il nome di Urbano II, papa che difese la libertà della Chiesa
dall’assalto dei poteri secolari, combatté la simonia e la corruzione del clero e nel Concilio
di Clermont col suo “Deus Vult” indisse, nel 1095, la prima crociata.
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Quando nel 1075 Bruno divenne cancelliere dell’arcivescovado di Reims ebbe forti
contrasti con l’arcivescovo Manasse de Gournay, prelato corrotto e simoniaco dal
comportamento indecoroso. Le altalenanti vicissitudini spesso drammatiche di quegli anni
segnarono profondamente la vita del Maestro e probabilmente fu proprio allora che maturò
in lui la propensione alla vita monastica. L’Arcivescovo Manasse fu deposto nel 1080 e
Bruno avrebbe dovuto esserne il successore ma non accettò l’incarico, egli preferì
assecondare il suo bisogno di allontanarsi dal mondo per vivere in solitudine, rinunciò ai
suoi beni che donò ai bisognosi e con sei compagni, Landuino di Toscana, Stefano di
Bourg, Stefano di Die, Ugo il cappellano, e i conversi Andrea e Guarino, si mise in viaggio
in cerca di un romitaggio per avviare la vita eremitica e cenobitica. Nella primavera del
1084 il Maestro si rivolse al vescovo di Grenoble, suo allievo a Reims, Ugo di
Chateauneuf, il quale ispirato da una visione avuta in sogno (sette stelle che indirizzavano
sette pellegrini a una valle solitaria), li guidò in quello che da allora sarà chiamato, a causa
del suo estremo isolamento, “deserto di Chartreuse”, una zona boschiva a 1175 m. di
altitudine nel cuore del massiccio che al tempo si chiamava “Cartusia” da cui il nome
italiano di “Certosa” e francese di “Chartreuse”, una valle corta situata nel comune di Saint
Pierre de Chartreuse nelle Alpi francesi, chiusa a nord dal passo di Ruchère e a sud dalla
valle di Guiers Mort. Il monastero della Grande Chartreuse è la casa madre dell’ordine
Certosino. Il vescovo Ugo di Chateauneuf fu il primo abate della Chartreuse e fondatore
dell’ordine manastico di Chalais, morì a Grenoble nel 1132 e nel 1134 venne canonizzato
da papa Innocenzo II.
Nel 1090, dopo sei anni dalla fondazione della Grande Chartreuse, Bruno fu
convocato a Roma dal suo allievo di Reims, Oddone, divenuto il pontefice Urbano II che lo
volle come consigliere. Prima di raggiungere il Papa, il Maestro affidò la comunità
monastica della Chartreuse a Landuino di Toscana che lo sostituì più che degnamente.
Il suo soggiorno romano non durò molto; Bruno dovette seguire il Pontefice che,
incalzato dalle truppe dell’imperatore Enrico IV fedeli all’antipapa Clemente III, si rifugiò in
Calabria. Urbano II propose a Bruno l’Arcivescovado di Reggio Calabria che egli però
rifiutò per assecondare ancora una volta il mai sopito desiderio di vivere in solitudine e nel
silenzio. La nostalgia per il suo deserto silenzioso lo indusse a chiedere e ottenere il
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permesso di ricercare un luogo solitario adatto alla sua vocazione monastica e che infine
trovò grazie alla magnanimità del conte Ruggero d’Altavilla, il quale destinò a Bruno un
territorio nella località Torre a 790 metri di altitudine nel cuore di un bosco della Calabria.
Correva l’anno 1090 quando in questo “deserto” di Calabria, Bruno fondò l’eremo di Santa
Maria per i “Padri” e, a breve distanza, fondò il monastero di Santo Stefano, destinato a
ricevere i “fratelli conversi”. In questi luoghi Bruno visse gli ultimi dieci anni della sua vita
fatta di preghiera, meditazione, silenzio e solitudine.
Ispirato dalla vita eremitica dei monaci anacoreti del Basso Egitto i quali, col nome
di “Padri del Deserto”, ricercavano nell’ascesi solitaria la via dell’hèsychia, ovvero della
pace interiore per elevarsi a Dio, Bruno, pur non lasciando una regola scritta e pur non
avendo intenzione di fondare un ordine, ha il merito di avere dato alle piccole comunità di
Chartreuse e di Santa Maria del Bosco la spiritualità e l’orientamento che conferiranno
all’Ordine Certosino la propria specificità mistica.
Maestro Bruno si spense la domenica del 6 ottobre 1101 e fu seppellito in una
grotta dove egli era solito recarsi per pregare.
Attorno al 1127-1128, Guigo I (Guigo du Chastel 1083-1136), quinto priore della
Grande Chartreuse, redige le “Consuetudini” che in pratica sono la veste legislativa
derivata dall’esempio di vita eremitica condotta da san Bruno e dai suoi compagni. Il testo
fu approvato dal Papa nel 1133 e quindi adottato da tutte le nuove fondazioni dell’Ordine.
Il ramo femminile dell’Ordine ebbe inizio verso il 1145, quando le monache del
monastero di Prébayon in Provenza decisero di abbracciare la regola di vita dei certosini e
adottare le loro Consuetudini”.
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Lo Stemma dell’Ordine. Le stelle ricordano i primi sette Certosini e il sogno premonitore
delle sette stelle avuto da Sant’Ugo, vescovo di Grenoble. Il motto latino recita: Mentre il mondo
gira la croce resta ferma
Il vescovo di Grenoble Ugo di Chateauneuf guida Bruno e i suoi compagni nel deserto della
Chartreuse
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I MONACI CERTOSINI
“Unione di solitari in una piccola comunità” è questa la caratteristica fondante della
famiglia certosina che si è conservata attraverso i secoli. I certosini sono dei solitari che
nei momenti particolari, nelle celebrazioni liturgiche e nelle ricreazioni, si riuniscono come
fratelli.
Come precedentemente riportato, tra i primi sei compagni di Bruno, quattro erano
chierici e due erano laici ma tutti cercavano l’unione con Dio nella solitudine. I primi sono
detti “Padri” o “Monaci del chiostro”, vivono nel silenzio della cella e sono sacerdoti; i
secondi sono detti “Conversi, Fratelli “oppure” Monaci laici”, la cui vocazione religiosa è
finalizzata ad assistere la solitudine dei “Padri” e contemporaneamente la loro solitudine è
salvaguardata dal fatto che anch’essi dimorano all’interno del deserto. Per alcuni secoli la
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loro abitazione fu staccata da quella dei “Padri” mentre oggi dimorano, seppur separati,
nello stesso monastero.
Nel tempo, ai “Conversi”, si sono aggiunti i “Donati” che all’inizio erano operai
aggregati al monastero e che in seguito divennero monaci con il medesimo stile di vita e
abito dei “Conversi” ma esenti dal vincolo di voti. Essi si “donano” al monastero
promettendo di servire Dio ed hanno regole proprie e meno vincolanti.
Al vertice della comunità vi è il “Priore” così chiamato perché considerato “primus
inter pares – primo fra pari “ e non “Dominus - Signore”, Priore anche perché è “colui che
precede il cammino”. Egli è eletto a scrutinio segreto dalla comunità dei monaci ed è
coadiuvato da un “Vicario”. Il Priore ha la direzione spirituale ed economica anche se
quest’ultima, per questioni pratiche, è demandata alla figura del Procuratore. Il Priore della
Grande Certosa di Grenoble (Grande Chartreuse) è il Ministro Generale di tutto l’ordine.
Nella Certosa tutti i fratelli formano un solo gruppo attorno alla figura di un monaco
detto “Procuratore”; egli riceve l’incarico direttamente dai fratelli, i suoi compiti sono di
coordinare gli stessi, assegnare i lavori (obbedienze), ricevere gli ospiti e di amministrare il
monastero. Data la particolarità del suo incarico, il Procuratore cura i contatti con il mondo
esterno e contemporaneamente egli ha il dovere di proteggere la casa dai “rumori del
mondo” che, a causa dello svolgimento delle sue mansioni, potrebbero giungere all’interno
del chiostro disturbando il silenzio, infatti il suo compito è principalmente quello di
permettere ai Monaci di “tendere alla contemplazione nel totale isolamento”. Il procuratore
può essere sia un padre sia un fratello converso.
Secondo la tradizione certosina, il “Monaco del chiostro” ricerca la solitudine della
cella per cercarvi Dio. Isolati all’interno di queste piccole e sobrie abitazioni trascorrono la
loro vita nel silenzio e nell’intimità; la cella come rifugio dove regnano la pace e la gioia,
luogo di preghiera e contemplazione, quindi il luogo adatto per favorire la ricerca
dell’unione con Dio. Lo svolgimento della giornata è regolato in maniera che essa sia
uguale tutto l’anno in modo che il monaco, nelle sue ricorrenze quotidiane, inalterabili e
puntuali, apprenda a vivere al ritmo lento delle stagioni e dei tempi liturgici. Nel chiuso
della cella essi svolgono lavori manuali quali la copiatura di antichi testi, le miniature, la
scultura del legno, le pitture sacre, il commento e lo studio delle Sacre Scritture.
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Lo “Spaziamento” è la passeggiata settimanale dei Padri che generalmente si
svolge il primo giorno della settimana e dura in media 4 ore. Durante lo spaziamento essi
camminano a coppie in stretto contatto con la natura e possono dialogare liberamente. Lo
scopo principale di questa regola è la necessità di risollevare l’animo indebolito dalla rigida
disciplina monastica e favorire il confronto tra i componenti.
Agli inizi il “Refettorio” certosino non era previsto; nella propria cella ogni monaco
disponeva di un locale adibito a cucina e dispensa che lo rendevano indipendente per il
consumo dei pasti. Solo a partire dal XIII secolo alcune modifiche apportate alle
“Consuetudines Cartusiae” consentirono ai certosini di disporre di un locale destinato a
refettorio con un’unica cucina gestita da un cuoco. Il refettorio è costituito da un unico
locale suddiviso da una tramezza di legno che separa i monaci dai conversi. Durante la
permanenza in refettorio vige la regola del silenzio e dal pulpito presente nella sala uno
dei monaci legge la Sacra Scrittura o le opere scelte dal Priore.
Il “Fratello converso” inizia la sua giornata in cella, un’unica stanza che gli serve sia
da oratorio sia da soggiorno e egli vi resta in solitudine nella preghiera e nella meditazione
da quando si alza sino alla messa comunitaria. I compiti dei Fratelli sono molteplici:
svolgono i lavori domestici, agricoli e pastorizi sia all’interno sia all’esterno dell’edificio ma
sempre osservando la regola della clausura e ricercando la solitudine anche
nell’esecuzione del proprio lavoro. Lo spaziamento per i fratelli si svolge una volta al
mese.
L’Ordine monastico certosino, nonostante la severità della sua regola, è l’unico
ordine della Chiesa che nella sua storia non è mai stato riformato.
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CONTESTO AMBIENTALE E CULTURALE
Negli intenti di San Bruno vi era la ricerca della “stabilitas” da lui voluta e
propagandata per contrastare il romitaggio individuale e confuso proprio di quel periodo
storico, quindi divenne necessario ricercare un sito stabile e idoneo al romitaggio, un luogo
e un modo abitativo che potesse ricreare un ambiente adatto ad accogliere una comunità
eremitica e che garantisse gli stessi fondamenti originari ricercati dai primi eremiti cristiani,
ossia “il deserto”, termine inteso sia come sostantivo e sia come aggettivo, il cui significato
è “solo, abbandonato”, dunque il luogo perfetto per gli eremiti in cerca di pace e solitudine
che favorisca la contemplazione e la meditazione; ecco perché l’isolamento della Certosa
è garantito da una vasta fascia disabitata detta “deserto”.
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STRUTTURA DELLE CERTOSE
Fin dagli inizi, per poter svolgere al meglio la vita in Certosa secondo i dettami della
regola e le esigenze della loro particolare forma di vita monastica, le Certose sono state
costruite con una medesima struttura fondamentale che le differenzia dai monasteri di altri
ordini.
Come precedentemente descritto, un tempo gli edifici erano due, uno per i Monaci
del chiostro e l’altro per i Fratelli conversi che nel corso del XIII secolo divenne un unico
edificio ma ugualmente diviso in due parti distinte: “La casa alta” e “La casa bassa”. La
prima è la parte che comprende gli spazi della vita comunitaria dei “Monaci del chiostro”,
ossia gli ambienti di stretta clausura organizzati nel cuore della Certosa cioè “ Il chiostro
grande” intorno al quale si affacciano le celle dei monaci che di solito sono costituite da un
ambiente soppalcato con annesso un piccolo orto e sono strutturate in maniera che i Padri
non abbiano contatti tra loro. Al piano terra si trova la legnaia che serve per alimentare la
stufa, un banco da lavoro, un tornio per il legno e un piccolo orto delimitato da un alto
muro, mentre salendo al piano superiore troviamo l’Ave Maria, un’immagine della
Madonna davanti alla quale il Padre entrando recita una preghiera. Qui si trova il cuore
della cella detto il “cubicolo”, che comprende un letto spartano, un tavolino per il pasto, ed
un “oratorio” costituito da un inginocchiatoio dove il monaco recita le sue orazioni.
Solitamente le celle vanno da un minimo di dodici a un massimo di trenta. Nella
casa alta sono situati anche l’appartamento del priore, la biblioteca, la chiesa, il refettorio,
la cucina e il cimitero.
La seconda zona, la casa bassa, è dedicata ai Fratelli Conversi ed è separata dalla
prima per consentire che la vita contemplativa dei Padri non sia distratta dalla vita attiva e
dai lavori quotidiani e manutentivi propri della casa bassa. In questa zona sorgono le celle
dei “conversi” dette anche “correrie” che in genere sono formate da una o due stanze. Qui
si svolgono le attività atte al sostentamento della comunità certosina: spezieria, stalle,
granai e gestione dei depositi ubicati nella corte esterna. In alcuni monasteri esiste un
secondo chiostro appositamente costruito per i Fratelli Conversi.
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La certosa di Ferrara da un’antica stampa francese.
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L’ABITO MONASTICO
L’abito dei certosini è composto di una tunica di colore bianco chiusa da una cintura
di cuoio bianca e di uno scapolare chiamato “cocolla” fornito di un cappuccio. Le bande
laterali che uniscono le parti anteriori e posteriori della cocolla conferiscono all’abito una
somiglianza con la croce di Cristo.
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CENNI STORICI
Fin dall’inizio le nuove fondazioni si susseguirono a ritmo crescente, alla fine del
dodicesimo secolo si contavano 33 certose; nel 1371 giunsero a 150, e nel 1521
arrivarono alla massima espansione con 195 certose presenti in tutte le Nazioni d’Europa,
39 delle quali in Italia.
La seconda metà del 1500 vide esplodere in Europa il fenomeno delle guerre di
religione. Il grandioso sogno di Carlo V (1500-1558) di unificare l’Europa in un nuovo
Sacro Romano Impero era fallito per l’aprirsi di violenti e tragici dissidi tra cattolici e
protestanti, dissidi che assunsero con i suoi successori drammatiche implicazioni politiche.
A seguito di queste guerre l’Ordine Certosino assistette ad una costante e spesso violenta
riduzione dei propri monasteri; nei paesi passati al protestantesimo una quarantina di
Certose furono soppresse. Emblematico il caso dei 18 monaci certosini inglesi che tra il
1535 ed il 1537 furono martirizzati durante una violenta persecuzione voluta da Enrico VIII
dopo lo scisma anglicano.
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L’imperatore austriaco Giuseppe II d’Asburgo (1741-1790), sotto l’influsso
dell’Illuminismo, soppresse tutte le Certose dell’Impero e la Repubblica di Venezia non
tardò a imitarlo.
La rivoluzione francese chiuse e alienò tutte le numerose Certose della Francia, in
seguito Napoleone completò l’opera nei territori da lui occupati. Di fatto nel 1810 l’Ordine
era quasi scomparso.
Il periodo post napoleonico vide una lenta e costante ricostruzione ma ben presto
invalidata da nuove soppressioni e incameramenti di beni da parte dei vari stati. Agli inizi
del 900 le leggi antireligiose emanate dalla terza repubblica francese costrinsero i certosini
all’esilio, sorte che inevitabilmente toccò anche ai monaci della Gran Certosa di Grenoble,
culla dell’ordine. Solo nel 1940, il Padre Generale Dom Ferdinando Vidal, con due monaci,
poté ritornare in Francia e stabilirsi nuovamente negli edifici della Gran Certosa, da allora
proprietà del demanio.
Per meglio comprendere lo stato di abnegazione e di sacrificio che caratterizza
l’ordine certosino sono senz’altro emblematici i fatti accaduti nel 1944 nella Certosa dello
Spirito Santo di Farneta (Lucca). E’ una consuetudine dei monaci prendersi cura e dare
assistenza a fuggiaschi e a chiunque ne avesse bisogno ed è sopratutto in tempo di
conflitto che questa pratica assume un carattere di importanza assoluta. Durante quel
tremendo anno di guerra essi ospitarono e curarono sia soldati tedeschi feriti, sia ebrei
perseguitati e partigiani in fuga senza distinzione alcuna. Nella notte tra l' 1 ed il 2
settembre i soldati nazisti irruppero all’interno del monastero arrestando tutti i civili e i
religiosi che si trovavano all’interno, nei giorni successivi nelle campagne circostanti il
convento, 6 padri, 6 conversi e 32 civili furono barbaramente trucidati. Attualmente la
comunità di Farneta insieme a quella già citata di Serra San Bruno sono le uniche certose
maschili attive in Italia.
Al 31 gennaio 1996, l’Ordine contava 366 monaci, 177 dei quali sacerdoti.
Attualmente l’Ordine certosino conta 16 certose maschili in Europa, una nel Vermont (Stati
Uniti), una nello stato di Rio Grande do Sul (Brasile), una di recente fondazione in
Argentina (1997) e una ancora più recente (1999) nella Corea del Sud. Cinque sono le
certose femminili sparse tra Spagna, Francia, Italia e Corea.
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IL RITO CERTOSINO
«la Sede Apostolica non ignora che la liturgia dei monaci solitari dev’essere
adattata al loro genere di vita, dev’essere tale cioè che in essa abbiano prevalenza il culto
interiore e la meditazione del mistero, che si nutre d’una fede viva».
Così nel 1971 si espresse il Pontefice Paolo VI in una lettera indirizzata al
reverendo padre Ministro Generale dei Certosini.
Fin dalla fondazione della Grande Certosa, i monaci adattarono la liturgia alla loro
particolare forma eremitica e solo a seguito del Concilio Vaticano II, che diede nuove
regole alla liturgia romana, furono introdotte alcune modifiche ispirate a tali cambiamenti
senza però rinunciare alla semplicità, alla sobrietà e alle particolarità secolari, tra cui la
grande prostrazione dopo la consacrazione, il rito dell’offertorio e l’assenza della
benedizione a fine messa.
Anche nel canto i certosini conservano la loro specificità, simile al Gregoriano però
più semplice, più diretto; le composizioni risultano meno difficili e non sono ammessi
strumenti musicali.
Suggestiva è la “liturgia notturna” che si svolge nel cuore della notte in cui si
alternano canti, preghiere e la lettura delle sacre scritture.
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LE CERTOSE IN VENETO
Certosa di Venezia
S. Andrea della Certosa, anticamente era chiamata “Isola di Sant’Andrea del Lido” o
anche “Isola di San Bruno” in onore del fondatore dell’Ordine Certosino. L’Isola della
Certosa fu donata nel 1199 dal vescovo di Castello, Marco Nicola, al sacerdote Domenico
Franco affinché vi costruisse un monastero per i frati agostiniani i quali, nel corso dei
secoli, si ridussero talmente di numero che furono trasferiti in altri conventi. Dal 1424 il
convento fu concesso ai Padri Certosini di Firenze che edificarono nell’Isola un chiostro
chiamato “Galilea”, con 15 cellette per ospitare i frati.
L’isola venne abbandonata dai Padri Certosini nel 1806 a seguito delle
soppressioni religiose volute da Napoleone, ll monastero fu spogliato delle sue opere
d’arte e adibito a uso militare.
A oggi di questa Certosa non resta praticamente niente.
Certosa del Montello (Treviso)
La Certosa sorgeva in una località nei pressi di Nervesa che ancora oggi è detta “Ai
frati”. Le notizie più rilevanti provengono da un codice membranaceo ora conservato nel
Museo Correr di Venezia, “Chronica Domus seu Monasteri Huius Montelli Cartusiensis
Ordinis”, compilato in latino da un monaco della comunità certosina che ne divenne poi il
17° priore, Antonio De Macis di Chiarenza.
Il monastero fu edificato dal 1340 nel luogo dove prima sorgeva un convento di
legno degli Agostiniani. La chiesa fu costruita nel 1345 e consacrata nel 1396.
In conseguenza delle soppressioni napoleoniche la Certosa fu confiscata e nel
1809 messa all’asta. I conti di Collalto, la cui casata ebbe un ruolo rilevante nella
costruzione della stessa, cercarono di salvarla e furono disposti, anche se probabilmente il
complesso non era dotato di una struttura rilevante, a pagare una somma considerevole.
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Purtroppo la loro offerta non fu nemmeno presa in considerazione. Tutto il complesso finì
invece a un certo Gaspare Novello detto Franchidoro, sindaco di Selva, che con
accanimento ossessivo volle rilevarla per demolirla e ricavarne un appezzamento per farvi
crescere un boschetto ma, stranamente, nessun albero riesce ad attecchire in quel
terreno. Ad oggi non resta più niente.
La Certosa del Montello (Treviso)
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La Certosa di San Marco (Vedana - Belluno)
Fin dal 1155 esisteva l’Ospizio di San Marco di Vedana, nel 1456, il Capitolo della
Cattedrale diede la gestione dell’ospizio all’Ordine Certosino che da subito lo tramutò in
Certosa. Nel 1768 la repubblica di Venezia sancì che le comunità religiose con meno di
dodici monaci dovevano essere soppresse. Così la Certosa di Vedana, subì la sorte di
quella di Vigodarzere, ma nel 1882 il monastero fu riacquistato dai certosini francesi che
v’insediarono un importante noviziato che funzionò fino al 1977. Dal maggio del 1998 il
monastero ospita una comunità di 12 monache Certosine provenienti dalla certosa di Riva
di Pinerolo (TO). Luogo di pace e tranquillità, altamente suggestivo sia per la bellezza del
monastero, sia perchè circondato da fitti boschi che ne proteggono la solitudine; nei pressi
vi si trova anche un piccolo e bellissimo lago. Il sito risulta un posto ideale per la vita
eremitica cara ai monaci del chiostro. Questo cenobio certosino, anche se in modo ridotto
in rapporto alle sue possibilità, è l’unico rimasto attivo in terra veneta.
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LA CERTOSA DI VIGODARZERE
A CURA DI GIOVANNA DORIO
RICERCHE STORICHE SU PADRONI DI CASA NOBILI E OSPITI
Monaci Certosini
Marchesi Maruzzi
Baroni de Zigno
Conti Passi dI Preposulo
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Foto dell’ex monastero della Certosa di Vigodarzere (Padova) attorniato dal tradizionale
deserto certosino a due passi dal fiume Brenta.
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I MONACI CERTOSINI
Simbolo certosino posto sulla volta dell’ingresso nord della Certosa di Vigodarzere
Il simbolo certosino sulla chiave di volta del primitivo accesso alla Certosa di
Padova, apud Vicum Aggeris (presso Vigodarzere); il monogramma CAR (Cartusia),
intrecciato ad una croce latina, è molto usato in Italia nei sigilli e negli stemmi delle singole
Certose.
Nella “Descrittione di Padoa e suo territorio con l’inventario Ecclesiastico
brevemente fatta l’anno salutifero MDCV “ l’autore, Andrea Cittadella (1572-1637), con
efficaci pennellate narrative pone in risalto virtù e stile di vita dei monaci della Certosa di
Padova in quel di Vigodarzere. “Servono il silenzio - egli scrive- né mangiano a ben ch’in
transito carne. Simplici, umili, puri, fideli, discretti, volontarij, verecondi, integri, secreti, forti
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et obedienti, che, col’ardente affetto dell’animo casto, dedito a Dio, godono beatitudine in
quello, dal quale desiderano il sommo bene, però come sacratissimi quanto ci permette
l’humanità, li sono simili nella mistione della Sapienza, compiacendosi preziosamente
muovono l’anima con la perpetua volontà de felicitarsi, certo che quanto piace al mondo è
breve sogno”. Continua il Cittadella ” Han’appresso la Brenta tre Chiostri e Chiesa ove
non entrano donne, con bel pavimento a quadri e cupole in volto. La Chiesa longa 86;
larga inanti il coro 36, essendo il coro longo 50 et largo 38”. Sono misure espresse in piedi
lineari padovani, pari a m. 0,357 che tradotti risultano approssimativamente 31 x 13 x 18
x14. In prospettiva, senza le quattro cappelle dove in tutto sono sette altari, otto calici e tre
campane coperte di piombo e nel sagrato dell’horto una bella sepoltura oltre le particolari
terre al discoperto […] Celebrano S. Bernardo del quale avevano la chiesa dentro la città
prima che si facesse questa ”. L’antica Certosa padovana, Cartusia Paduæ Sancti
Hieronimi et Sancti Bernardi, esistente presso Porta Codalunga, fu rasa al suolo nel 1509
al tempo della Lega di Cambrai in seguito al guasto ordinato dai veneziani per favorire la
difesa della città di Padova. Trascorsa la guerra si ripensò all’edificazione di un nuovo
cenobio in un sito più solitario e più atto alla meditazione. La scelta cadde sui terreni posti
a Vigodarzere lungo le rive del Brenta ereditati dall’Ordine Certosino dal vescovo di
Padova Pietro Donà (o Donato), uomo di fine cultura e grande umanista. Caduto il
monastero in seguito alla spianata imposta dalla Serenissima, i Certosini si recarono in un
primo tempo al loro ospizio di S. Lorenzo a Campo San Martino dove rimasero fino al
1554 circa, passando poi al nuovo romitaggio ancora incompleto. I lavori proseguiranno
per diversi anni; la Certosa, splendida e funzionante, lo diverrà solo nel 1623. Alcuni storici
hanno ipotizzato che nei pressi del complesso monastico sorgesse un turrito castello,
ridotto a un rudere alla fine del ‘600 e adibito a ricovero di fortuna per gente del luogo.
Angelo Portenari (+ 1630 c.) lo attribuisce alla potente famiglia dei da Vigodarzere,
facoltosi possessori di fortilizi nel padovano. Ad oggi, pur concordando sull’esistenza di un
castello a Vigodarzere, gli studiosi non hanno elementi utili ad identificarne l’ubicazione.
I monaci, vestivano una rozza tunica di lana bianca, cinta ai fianchi da corregge di
cuoio o canapa, con scapolare e cappuccio; erano dediti alla preghiera, alla
contemplazione di Dio nella fede e nella carità secondo l’ideale certosino. Sprofondati nel
26
verde e nel silenzio del luogo attendevano allo studio, al lavoro, alla pratica di rigide
discipline, nell’adempimento costante di opere di carità fraterna, tra le quali l’assistenza
spirituale e materiale soprattutto ai contagiati da malattie epidemiche, quali peste ed altre
calamità. A turbare la pace, l’impegno ascetico, l’operosità e la bellezza del romitaggio
magnificentissime constructum, lambito dal fiume e affacciato all’ansa dolcissima della
sinistra riva del Brenta, ecco giungere crudele e inappellabile il decreto della Serenissima
(7 settembre 1768) volto ad alienare le comunità religiose con meno di 12 soggetti, tra cui
la Certosa che ne contava cinque. A Venezia, ove furono trasferiti portarono i documenti
della Certosa e, mentre la Serenissima faceva incetta della proprietà monastica, vandali e
saccheggiatori fecero il resto.
I monaci Certosini conducono una vita da eremiti dentro il monastero, osservando
soprattutto il silenzio.
27
Foto scattata a Tavo. Una delle tante anse del fiume Brenta; così si presentava anche a
Vigodarzere prima della rettifica dell’ottocento.
“Il corso e le volte di questi fiumi sono state così graziosamente disposte dalla
benigna natura, che non vi è castello, terra, villa, luogo, che sia più di cinque miglia
dall’acqua lontano, il che è di comodità meravigliosa per condurre le biade, i vini et ogni
sorta di vettovaglie alla città” (Angelo Portenari).
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DA MONASTERO CERTOSINO A DIMORA ARISTOCRATICA
I NOBILI PROPRIETARI
Antica e ricchissima famiglia di banchieri, i Maruzzi, greci di origine e veneziani di
adozione, di fede cristiano-ortodossa, nel 1770 acquistano la Certosa nella persona di un
autorevole esponente di famiglia, il marchese Labro il quale in un primo tempo fu tentato di
abbatterla, poi ci ripensò. Alla fine non avendo idee chiare sul da farsi, la cedette nel 1778
ad un certo Antonio de Zigno che contava di trasformarla in una amena villa di campagna
con tanto di corte rurale. Malauguratamente il nuovo proprietario intervenne con mano
pesante sulle preesistenti architetture, mutilandole e stravolgendole inesorabilmente. Di
fatto “demolì buona parte della Chiesa e fece altri guastamenti in quelle fabbriche che
erano oggetto di ammirazione. Un peccato da non perdonare” annota irritato lo storico
Gennari (1721-1800).
PASSAGGIO DI PROPRIETA’
I De Zigno nel 1778 acquistano la Certosa dai marchesi Maruzzi.
Chi erano questi nuovi signori che lasceranno un segno indelebile nell’antico monastero?
Riportiamo integralmente una sheda storica
(Da: La famiglia de Zigno di Padova, Concini G. A.)
“La famiglia De Zigno si trasferì [da Bergamo] poscia in Venezia ove nel 1777 fu
ascritta all’Ordine dei Cittadini originari veneti. Questo Casato annovera ancora Antonio
nel 1660, poi Pietro, Antonio nel 1718, Pietro nel 1744, dottore in ambi i diritti, che fu dal
Consiglio de’ Dieci nominato Procuratore fiscale al Collegio della Milizia da mar. Marco,
figlio di Pietro nacque nel 1780; esso pure dottore in entrambi i diritti, fu durante il Governo
Italico membro dei Consigli del Regno e di Prefettura coprendo altre cariche importanti.
Nel 1805 si ammogliò con Maria Cregh Maguire” [ultima discendente della linea
29
primogenita dei Maguire, principi e dinasti di Fermaragh, baroni di Enniskillen e pari
d’Irlanda]. Achille, suo figlio, nobile dell’Impero, attuale rappresentante della Famiglia de
Zigno, servì più anni sotto il Dominio Austriaco colle cariche onorificentissime di Podestà
di Padova, di deputato alla Congregazione Centrale di Venezia e di Membro del Consiglio
dell’Impero a Vienna per le province Venete; contemporaneamente dava alla luce opere
varie e pregiabilissime di Storia Naturale, che gli procacciarono un posto eminente fra gli
scienziati italiani, ne’ cui congressi coperse cariche cospicue e le sue pubblicazioni gli
valsero ancora la nomina a membro effettivo del Regio Istituto di Lettere, Scienze ed Arti
di Venezia; dell’Accademia reale di Scienze, Lettere ed Arti di Padova; della Società
Italiana delle Scienze Naturali di Milano; della Società geografica Italiana di Firenze; della
Società Geologica di Francia; dell’Accademia Imperiale dei Naturalisti d’Allemagna; della
Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca; dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena; della
Società Granducale Sassone di Mineralogia Geologica e Paleontologica di Jena, etc.”.
30
BLASONATURA DELLO STEMMA DE ZIGNO
(V. Spreti, Enciclopedia Storica Nobiliare Italiana)
Inquartato; nel I d’oro coll’aquila spiegata di nero, imbeccata, ornata e coronata del
medesimo [assunta da Alberto de Zigno colla nomina a cavaliere della milizia aurata]; nel
IV d’oro al leone rampante di rosso [assunto coll’ascrizione alla Cittadinanza originaria
Veneta]; II e III di verde al cavaliere armato, d’argento tenente nella destra la spada alta
del medesimo: il cavallo corrente, imbrigliato e gualdrappato dello stesso [stemma della
Famiglia Maguire], sopra il tutto d’oro con una banda di azzurro, caricata dal fiordaliso
d’argento [stemma originario della Famiglia de Zigno] Motto: PRO DEO ET REG.
Nota personale Nella postfazione ho voluto inserire alcune interpretazioni araldiche
circa le figure e i colori rappresentati nei blasoni de Zigno-Passi di Preposulo.
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“A Padova, sulla fine del Settecento, era questa [de Zigno] una famiglia di
commercianti molto ricchi che avevano fatto costruire un notevole palazzo in Strà
Maggiore”.
UN AVO DOTATO DI GRANDE SPIRITO DI INIZIATIVA
Un certo Pietro Zigno, fu proprietario di una delle più famose botteghe da caffè in
Padova sita di fronte al Bò, presso la
loggetta dell’attuale caffè Pedrocchi. Volendo
ampliare sempre più il giro d’affari e per ostacolare la concorrenza del suo intraprendente
garzone (bergamasco come lui), Francesco Pedrocchi, divenuto suo socio in affari,
cedette la caffetteria e aprì nel febbraio 1790 nelle sale superiori della stessa, un raffinato
club all’inglese di ottantadue iscritti escludendo di proposito i patrizi veneziani. Un locale
all’avanguardia, in cui ” si potevano trovare tutte le gazzette politiche italiane e francesi,
giornali letterari, fuoco, illuminazione, carta e inchiostro”. Un circolo alquanto sospetto per i
signori della Dominante, perché costituito e frequentato da soci dichiaratamente ostili alla
politica della Serenissima. Marco si dedicava alla gestione del club, mentre il figlio
Antonio, totalmente disinteressato all’attività paterna preferì dedicarsi alle speculazioni
finanziarie.
UN PALAZZO DI RAPPRESENTANZA A PADOVA
(V. Spreti, Enciclopedia Storica Nobiliare Italiana)
“Fra i nomi di coloro che maggiormente si distinsero nell’esibizione dell’opulenza
personale, impegnandosi in cospicue imprese edilizie, troviamo esponenti di famiglie
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d’estrazione borghese come i Maldura, gli Zigno …” Nel 1782 dunque, il figlio del
caffettiere pensò seriamente al palazzo di famiglia. Destino volle che l’edificazione
avvenisse su un punto assolutamente strategico per il de Zigno: il Palazzo del Capitanio.
Alvise Mocenigo aveva posto in vendita quel terreno a causa dell’incendio che aveva
pressoché distrutto le stalle e altri edifici confinanti con la sua dimora. Antonio Zigno colse
la palla al balzo, tramite un suo procuratore acquistò l’area per la somma di 11.000 lire
dell’epoca. Soffermiamoci ulteriormente sull’incendio, ripassando la cronaca dell’evento
stilata da Santo Pengo (Cfr: Padova – Case e Palazzi a cura di L. Puppi e F. Zuliani) “Addì
7 aprile 1778. A’ ore 14 si manifestò un gran foco nello stallone del Capitanio, in cui si
abbrucianno circa centocinquanta carri di fieno e cinquanta di paglia. Cadde la facciata e
rovinò quella del fornaio che l’era dirimpetto e due persone perirono nell’incendio”.
Il cronista puntualizza: “Il giorno appresso frugando tra le rovine furono rinvenuti
altri cinque cadaveri. La testimonianza si riferisce alle stalle, usate per diritto dai pubblici
rappresentanti e dalla guarnigione prefettizia, che sorgevano all’estremità nord-est del
Capitaniato, alla confluenza con la Strà maggiore” così nominata per la bellezza dei
Palazzi che vi si affacciavano e per il cardo della Patavium romana, stiamo parlando
dell’odierna via Dante.“Negli anni intorno al 1640, una parte di tale area era stata
trasformata su iniziativa del veneziano G.B. Bertani in un famoso teatro tra i più frequentati
della città. Dopo l’incendio che distrusse interamente le fabbriche fra cui anche le vecchie
stalle ancora esistenti, il Capitanio Alvise Mocenigo, su delibera del Senato, decise nel
1782 di mettere in vendita i resti semidistrutti dell’edificio e il terreno su cui sorgev, In
quello stesso anno l’appalto fu concluso da un procuratore del signor Antonio Zigno figlio
del proprietario di uno dei più famosi caffè della città. Questi aveva ben presto
abbandonato l’attività paterna ed investito in commerci e fortunate speculazioni finanziarie
i propri beni tanto da qualificarsi come esponente della più ricca borghesia padovana”,
Assertori d’idee democratiche, fieramente avversi alla politica della Serenissima, Antonio
ed un altro esponente della famiglia, Marco, inquisito dalla polizia e anche arrestato per il
fatto di essere in amicizia con un emigrato francese mons. Souly sospettato di essere un
agente rivoluzionario. “A riprova dei sentimenti politici della famiglia, il comandante delle
33
truppe francesi che nel 1797 s’ impadronì della città s’installò proprio in casa Zigno. Sono
chiari in questa ottica i motivi che spinsero il ricco finanziere ad insediarsi in uno tra i più
invidiabili siti della città, posto sulla strada principale e a due passi dai luoghi riservati al
governo politico, la piazza del Capitanio e quella della Signoria”. Nell’aprile 1785 i lavori in
corso per l’erezione della nuova fabbrica furono ultimati e il manufatto esposto
all’ammirazione della città. Il conte Polcastro espresse un giudizio positivo: “Dalle ceneri di
un edificio abbruciato avvien di sovente che ne rinasca un più nobile e più superbo. Sulle
rovine di uno stallone incenerito e consunto, s’erge al presente il palazzo dello Zigno”.
L’architetto a cui aveva affidato i lavori fu Bernardino Maccaruzzi. I soffitti della scala e vari
luoghi vi si dipinsero da Pier Francesco Novelli l’anno 1786 e la sala fu dipinta da
Giambattista Canal. “Ancora sensibile al trionfalismo scenografico inerente al rococò, il
progettista impostò l’edificio secondo la concezione d’imponente “presenza” dell’opera.
L’edificio, tanto alto da non poter essere contemplato prospetticamente nel suo insieme se
non di scorcio dalla vicina piazza dei Signori, s’ innesta con eversiva e dirompente
violenza sul ritmo porticato della via dove s’attesta maestosamente, quasi a gara ideale
con le prossime fabbriche del Capitanio”.
Palazzo De Zigno ubicato tra via Dante e il Selciato S. Nicolò a Padova.
Dal 22 /04/2002 l’immobile è di proprietà dell’on. Carlo Fracanzani.
34
Il BARONE ACHILLE DE ZIGNO
(Dal Dizionario biografico degli Italiani)
Nacque a Padova il 14 gennaio 1813. Figlio di Marco e di Maria Creagli Maquire di
ricca famiglia padovana imparentata con nobili casati inglesi e francesi, Achille fu educato
dalla madre, di origine irlandese e da una serie di tutori privati. Non frequentò mai alcuna
scuola, né università, ma lunghi viaggi e soggiorni in Svizzera, Francia ed Inghilterra che
permisero al giovane nobile veneto di acquisire una profonda conoscenza delle principali
lingue europee. Agli anni della giovinezza risale la nascita del suo profondo interesse per
le scienze naturali, per la botanica e la geologia in particolare. Nel 1833 si stabilì nella villa
di Vigodarzere per amministrare personalmente le terre e i beni di famiglia. Di sentimenti
profondamente conservatori ed esponente di spicco della fazione filoaustriaca della
propria città, il naturalista ricoprì vari incarichi amministrativi nel Comune di Padova. Dal
1846 al 1856 fu podestà della città; nel 1856 fu eletto deputato nella Congregazione
Centrale Veneta e dal 1860 al 1866 rappresentò le province venete presso il Consiglio
dell’Impero a Vienna. Nonostante gli fosse rimproverata un’eccessiva deferenza verso le
autorità imperiali, va tuttavia riconosciuto che nel 1848, e poi nel 1860 il De Zigno si
prodigò per mitigare le rappresaglie e le tasse di guerra che il governo centrale di Vienna
voleva far subire a Padova e alle province venete. I servigi resi al governo austriaco furono
ricompensati con diverse onorificenze, quali il titolo di Cavaliere della Corona Ferrea e la
nomina nel 1857 a barone dell’Impero. Dopo l’annessione all’Italia del Veneto, Achille si
ritirò a vita privata accettando solo di ricoprire la carica di Sindaco di Vigodarzere (dal
1872 al 1884). Nel 1848 aveva sposato la contessa Adelaide Drusilla Emo-Capodilista,
dalla quale ebbe numerosa prole. La scomparsa della moglie nel 1888, fu un duro colpo
per il De Zigno che morì a Padova dopo breve malattia. Giovanni Omboni acquistò dalla
famiglia la biblioteca e le collezioni dei fossili, che donò all’Istituto di Geologia
dell’Università di Padova, dove sono ancor oggi conservate. La biblioteca dell’Istituto
possiede anche la collezione pressoché completa delle opere del De Zigno.
35
Il prof. Giovanni Omboni (1829-1910)
Una seconda, autorevolissima testimonianza giunge dallo stesso Omboni; trascrivo
i passaggi più significativi:
“Fece i suoi primi studi con la madre col padre e parecchi professori privati e ne
ebbe una copiosa, svariata e soda istruzione che gli permise di passare, senza quella
universitaria a quegli studi, coi quali egli divenne uno dei più stimati naturisti. Fece con i
genitori la sua prima gita all’età di cinque anni a Bassano presso il nobile Parolini che gli
mostrò il proprio studio; rimase colpito alla vista dei metalli, minerali e cristalli tanto che il
Parolini gli regalò alcuni esemplari. Di ritorno a Padova, Achille li pose in buon ordine in un
cassetto per ammirarli spesso e li conservò sempre, con particolare affetto. La madre sua
gli faceva osservare ogni cosa e gli nominava le piante che egli con passione raccoglieva
in un erbario. Nel 1833 dovette stabilirsi in campagna [nella Certosa] per accudire agli
affari e per dodici anni fu Sindaco di Vigodarzere e sempre lavorò assiduamente
compiendo i suoi doveri come gli dettava la coscienza e per quanto gli permisero le
circostanze per il maggior bene dei suoi concittadini e del suo paese. Intanto che il De
Zigno fu Podestà di Padova fu estesa a quasi tutta la città la illuminazione a gas, ed anche
la rete della strade interne con selciati e marciapiedi. Fu organizzato il corpo dei civici
36
pompieri, fu fondato il Museo Civico (con i quadri delle Corporazioni religiose soppresse al
tempo napoleonico), fu ampliata la Biblioteca Municipale, l’Archivio Civico, fu costruita la
Barriera di Codalunga con l’ampia strada e i viali che conducono alla Ferrovia e fu curato il
pagamento di tutti i debiti che aveva il Comune.
Nel 1856 il De Zigno fu eletto Deputato nella Congregazione Veneta del Consiglio
Comunale, per dimostrargli la sua riconoscenza per l’abnegazione e la solerzia da lui
dimostrate durante due epidemie di colera. Amò appassionatamente la Scienza e poi
anche il sapere per mezzo dei suoi famigliari, passava ore e ore di giorno e di notte nel
suo studio, in mezzo alle sue predilette collezioni e fra i suoi libri, studiando, leggendo,
scrivendo, ed approfittava per istudiare e lavorare anche dei più brevi istanti che gli erano
lasciati liberi da altre occupazioni. I lavori del De Zigno, oltre che numerosi, furono anche
d’un grande valore scientifico. Se ora noi pensiamo alle grandi spese che Anchille De
Zigno dovette fare per acquistare gli oggetti da studiare, per farli disegnare in modo
perfetto e per procurarsi i libri necessari per il loro studio, alla quantità di lavoro
intellettuale impiegato per bene esaminare, confrontare e descrivere tutti quegli oggetti, ed
al gran numero di lettere che egli dovette scrivere ad altri naturalisti, per consultarli intorno
ai suoi studi ed ai suoi dubbi, ed anche per rispondere alle loro domande e sciogliere i
dubbi loro. La prodigiosa attività di Anchille De Zigno non diminuì che nel 1888 quando, la
morte di quella donna, ammirabile sotto ogni riguardo, che gli era stata fedele compagna
per quarant’anni, lo colpì tanto vivamente, da toglierli per qualche tempo ogni energia; ma
ben presto, incoraggiato dai figli, si rimise, quasi per distrarsi del suo dolore, a lavorare. La
morte lo colse dopo pochissimi giorni di malattia, nel mattino del 15 gennaio 1892, all’età
di 79 anni. Ora egli riposa nella sua villa di Vigodarzere, presso Padova, vicino le spoglie
della sua diletta consorte”. Le collezioni e i libri che egli amò tanto, sono nel Gabinetto di
Geologia dell’Università di Padova” Il prof. Omboni titolare della Cattedra di mineralogia e
geologia acquistò dalla famiglia de Zigno, collezioni, libri, opuscoli, etc. donando il tutto al
succitato istituto.
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ACHILLE DE ZIGNO, GENTILUOMO DI NASCITA, DI ABITUDINI, DI
SENTIMENTI E DI MODI
Barone Achille De Zigno
(Per gentile concessione dell’Istituto di Paleontologia e Mineralogia dell’Università di
Padova)
38
“A giudicare quale carattere egli ebbe, basterebbero quattro parole: quello di un
gentiluomo. Fu definito: il più compiuto e garbato signore che si potesse desiderare in
società; gentiluomo di nascita, di abitudini, di sentimenti, di modi. Mantenevasi
invariabilmente di carattere dolce e cortese, ma franco ed energico, Ricusava pressioni,
sentiva alto e soprattutto non recedeva di una linea dalla idea e dai sentimenti una volta
enunciati. Morì meno ricco che non nascesse. Il lavorare costò alla sua fortuna quanto e
più che ad altri lo scioperare. Rese agli studi dei servigi che non gli furono certamente
ricambiati. La sua vera e sostanziale cortesia era molto più che urbanità, rimanendo ad
ogni modo ancora piena di un’energia non altera, ma alta. Egli s’inchinava, si profondeva
innanzi ad una sola cosa, al merito; scevra di questo, riguardava e dichiarava assai umile
qualunque più elevata condizione” (G. Omboni).

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Riassumo schematicamente per fare chiarezza su notizie e dati anagrafici desunti
dall’Archivio di Stato e Biblioteca Capitolare di Padova (Registri dello stato civile, sezione
Parrocchie urbane).
SCHEDA DI MARCO DE ZIGNO
Marco, di Pietro e di Vittoria Ridolfi,
nato a Venezia il 23 gennaio1780.
Luogo da cui procede: Venezia.
Epoca dell’arrivo in Comune di Padova: 1786
Parrocchia di S. Nicolò.
Coniugato: 25 giugno 1805
con Maria Creagli Maguire.
Morto 14 aprile 1843 alle ore nove antimeridiane nel suo palazzo in Strà Maggiore,
250 Padova (Parrocchia di S. Nicolò).
SCHEDA DI ACHILLE PIETRO DE ZIGNO
Achille Pietro di Marco e Maria Creagli Maguire,
nato a Padova il14 gennaio 1813,
coniugato 22 febbraio 1848 a Padova (Basilica di S. Giustina)
con Adelaide Drusilla Emo - Capodilista, dei conti Giordano e Lucia caldura.
Morto a Padova il 15 gennaio 1892. Parrocchia S. Nicolò.
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Padova, Chiesa di S. Nicolò.
FIGLI DI ACHILLE DE ZIGNO E ADELAIDE EMO-CAPODILISTA
Il 3 dicembre.1848 Ugo Marco, il primogenito; muore il 6 dello stesso mese a
Fanzolo, distretto di Castelfranco;
23.11.1850 Maria Lucia - Vittoria - Bianca - Francesca - Paolina; sposerà il conte
Girolamo de Bernini;
18.09.1852 Alberto Marco-Andrea-Giordano - Ugo-Federico; coniugato a Luisa dei
conti di Serravalle;
10.08.1856 Lucia Maria Beatrice; coniugata al nobile Antonio Lazzara-Pisani-Zusto;
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10.11.1858 Federico Benedetto-Giovanni-Marco-Giordano Maria; impalmerà la
marchesa Flavia Malaspina;
05.11.1863 Giovanni - Nepomuceno -Alberto - Marco - Giordano Maria coniugato a
Vigodarzere il 26.08.1889 [Oratorio della Certosa] con la contessa Emma Maluta.
Giovanni muore improvvisamente a Vigodarzere il 23 marzo 1892 mentre era in
visita alla sua villa detta la Certosa;
23.05.1869 Emma Lucia - Giulia - Maria - Margherita - Eleonora; coniugata presso
la Chiesa della Certosa a Vigodarzere al nobile Lorenzo Lonigo;
“Domiciliata a Padova per una metà dell’anno e per l’altra metà in questa
Parrocchia nella sua villa della Certosa” (dal Registro dei Matrimoni della Chiesa
Arcipretale di Vigodarzere; firmato Don Giovanni Battista Magnabosco, arciprete, che
celebrò i solenni sponsali).
DAI BARONI DE ZIGNO AI CONTI PASSI DI PREPOSULO
L’ultima erede dei De Zigno è la baronessa Maria, figlia di Giovanni Nepomuceno e
di Achille De Zigno.
Maria Anna, Leonilde, Beatrice, Giovanna dj Giovanni Nepomuceno, Alberto,
Marco, Giordano Maria, di Achille Pietro.
Nata a Padova il 26.07.1892
coniugata il 28.11.1915 con
Alessandro Fermo conte Passi di Preposulo
nato 01.03.1890 a Carbonera (Treviso),
morto 11.04.1964 a Carboneria.
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Da cui:
Dr.Enrico Matteo, Conte Passi di Preposulo,
nato a Venezia il 15.04.1931,
coniugato il 18 settembre 1965
con Caterina Corsini dei principi di Sismano, di Giovanni ed Olga contessa
Olsoufiev,
nata il 3 aprile 1941 ad Addis Abeba.
Morto a Padova (ottobre 2004)
Da cui:
Passi Dr.ssa Ludovica, nata 22.06.1966
Passi Dr.ssa Maddalena, nata 05.05.1970

43
CONTI PASSI DI PREPOSULO
“Il cognome primitivo di questa nobile famiglia bergamasca era de Preposulo. Esso
è rimasto fino ad oggi nello stemma dei Conti Passi di Preposulo presso da due sigle, ed
anche nell’uso, specialmente in lingua latina, fino al secolo XVIII.
Non valida la leggenda del mandriano disceso in Bergamo nel secolo XIV da una
giogaia dei monti di Premolo chiamata Pas (valico) e perciò denominata DEL PAS.
Sembra invece che la Famiglia iniziasse a chiamarsi PASSI quando, nel 1307 ,
OTTOPASSO da Preposulo compose la pace tra guelfi e ghibellini nei territori di Bergamo.
Da allora furono chiamati “quelli de la pas” da cui i Pas e quindi i Passi.
La prima notizia risale ad un Henricus de Preposulo, filius quondam Petri Federici,
Sacri Palatii judicis (Archivio della cattedrale di Bergamo).
Diede personaggi illustri nelle pubbliche magistrature, nelle armi, nelle lettere e,
segnatamente, nel campo ecclesiastico. La Famiglia fu aggregata nel 1743 al Consiglio
Nobile di Bergamo e fregiato del titolo Comitale”.
Blasonatura dello Stemma Passi di Preposulo
(V. Spreti, Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana)
Inquartato: nel I d’oro all’aquila coronata di nero; nel II e III sbarrato d’oro e di rosso
col capo d’argento caricato da quattro lettere P di nero, poste due a destra e due a
sinistra; nel IV di azzurro al leone d’oro tenente con le branche un bastone in palo,
sostenente una stella dello stesso.
Motto: VINCE ET CONOSCE TE IPSUM.
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La linea che dobbiamo seguire per giungere agli attuali eredi della Certosa è di
MARCO CELIO PASSI, DI FERMO, DI ENRICO E DI LUCA
Conte Cavaliere Nobile MARCO CELIO PASSI, dottore in giurisprudenza, nato nel
1828, morto nel 1897, figlio di Fermo e della nobile Elisabetta Zineroni, sposa in prime
nozze la Nobildonna Giulia dei conti Valier, patrizia veneta e in seconde la Nobile Carolina
dei conti Passi.
Figli di primo letto
1) Co. Alessandro Fermo nato nel 1860, morto 1903, sposa la nobile Giuseppina
dei conti Mozzi, da cui:
a) Ippolita nata 1884, morta 1975, sposa avvocato Plinio Donatelli;
b) Giulia, nata 1886, morta 1971, sposa il marchese Francesco Tacoli;
c) Marco Celio nato 1888, morto nel 1890;
d) Modesta nata nel 1889, morta nel 1967;
e) Maria Luisa, nata nel 1891, sposa il marchese Filippo Tacoli ; capitano Carlo
Cavalli;
nobile Leone Tiberelli;
f) Benedetta nata nel 1893;
g) Angelina, nata nel 1895, morta nel 1977, sposa il generale Giacomo Papi;
h) Livia, nata nel 1897, morta nel 1982.
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2) Co. Arduisio Enrico Matteo, dottore in giurisprudenza, grande ufficiale della
Corona d’Italia, cavaliere d’onore e dev. del S.M.O. di Malta, maggiore del R.E. nato 1862,
morto nel 1945, sposa nobile Maria dei conti Mappelli Mozzi, nata nel 1865, morta nel
1943
Da cui:
a) Carolina, nata nel 1887, morta nel 1968, sposa l’ingegnere Giovanni Striscia
Fioretti;
b) Co. Alessandro Fermo, dott. Ing. Cav. Uff. della Corona d’Italia, commendatore
dell’Ordine di S. Silvestro papa, cavaliere del S.O.M. di Malta, tenente colonnello del R.E.,
nato nel 1890 a Carbonera (Treviso), sposa la nobile Maria Anna dei baroni De Zigno
Da cui:
1) Co. Gian Luca, dottore, ingegnere, cavaliere d’onore e dev. del S.M.O. di Malta,
capitano del R.E., nato nel 1918, sposa Elisabetta dei marchesi Ferrero di Cambiano e
Cavallerleone.
Da cui:
a) Maria Alessandra nata nel 1945, sposa il dr. Paolo Bance;
b) Giovanna nata nel 1947, sposa il dr. Pasquale Manzi;
c) Co. Alberto, nato nel 1949, sposa Barbara Bruni;
d) Co. Cesare nato nel 1950
e) Francesca, nata nel 1953, sposa Alberto Franchini
1) Franca Sessa, morta nel 1956.
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2) Emma, nata nel 1920, sposa il barone Roberto Ciani Bassetti.
3) Co. Achille dottore in chimica , nato nel 1924, sposa:
Da cui:
Co. Alessandro, nato nel 1951, dottore in lettere, sposa Lynn Maria Pitcher.
Da cui:
Co. Federico Achille nato nel 1981
2) Anna Maria Corbetta
4) Maria Antonia nata nel 1927 sposa il dr. Carlo Perissinotti Bisoni;
5) Co.
Enrico Matteo, dottore in scienze agrarie, cavaliere d’onore e dev. del
S.M.O. di Malta, nato a Venezia il 15 aprile 1931, sposa il 18 settembre 1965, donna
Caterina Corsini dei principi di Sismano.
Da cui le attuali proprietarie della Certosa:
a) Ludovica
nata il 22 giugno 1966
b) Maddalena
nata il 5 ottobre 1970
47
ALCUNI OSPITI ILLUSTRI DELLA CERTOSA
Nella Certosa, villa di campagna, Lady Mary Creagh Maguire, aveva dato vita ad un
raffinato cenacolo di artisti e di letterati, tra i suoi ospiti illustri vanno annoverati, Lord
George Gordon Byron, poeta e scrittore inglese, un aristocratico dalla mente quanto mai
geniale e bizzarra e dallo spirito inquieto,
il veronese Ippolito Pindemonte, scrittore
fecondo e versatile, inoltre furono ospiti nella Certosa Ippolito Pindemonte, (1753-1828)e
Lord Byron (1788-1824) E la Contessa Isabella Teotochi Albrizzi (amica personale di Mary
e animatrice del salotto del Foscolo a Venezia), la Principessa d’Assia, Lord Elgin (colui
che portò in Gran Bretagna i marmi del Partenone) e il Generale Lamarmora per citare
solo i principali.
Lord Byron (1788-1824)
Ippolito Pindemonte
48
IL VENERABILE DON LUCA, CONTE PASSI DI PREPOSULO
Da un altro ramo dei Conti Passi due straordinari fratelli:
Bergamo 22 gennaio 1789 – Venezia 18 aprile 1866
Primogenito della nobile veneziana Caterina Corner e del conte Enrico Passi de
Preposulo, di Bergamo, don Luca eredita dalla famiglia un bagaglio di doti positive, che lo
hanno caratterizzato fortemente. La famiglia dei Passi è costellata di figure insigni per
religiosità e virtù. Fra queste si ricordano in modo particolare lo zio conte Marco Celio,
sacerdote tra i più stimati del clero di Bergamo, che lasciò una traccia profonda nella vita
del nipote e della sua scelta vocazionale. Educato nell’ambiente familiare fino a 18 anni,
Luca frequentò successivamente il seminario di Bergamo e il 13 marzo del 1813 fu
ordinato sacerdote. L’analfabetismo, l’ignoranza religiosa, il degrado morale della società
ebbero una forte ripercussione sui bambini e sui giovani, molte volte abbandonati a loro
stessi. Mosso da un forte realismo e da un indomabile zelo per la salvezza delle persone,
progettò e realizzò strumenti idonei per l’evangelizzazione e la promozione delle classi più
deboli, dando espressione concreta a molteplici intuizioni pastorali, tra le quali occupa un
posto di primaria importanza la “Pia Opera di S. Dorotea”. Nata dal suo cuore di
sacerdote-missionario, come una esigenza pastorale fortemente sentita, l’Opera mirava a
consolidare le giovani generazioni nella fede cristiana, attraverso l’impegno di molte donne
che diventavano per loro “amorosa guida”. Successivamente, don Luca, propose la stessa
formula apostolica per i ragazzi dando vita ad una seconda istituzione socio-religiosa per i
giovani delle campagne. L’attività di don Luca confluì, infine, nella fondazione delle Suore
Maestre di S. Dorotea in Venezia, il 6 agosto 1838. Insieme a numerosi laici sparsi in
Italia, Africa e America Latina, l’Istituto è ancora oggi l’erede e l’appassionato trasmettitore
del patrimonio spirituale e apostolico del suo fondatore. Don Luca morì a Venezia il 18
aprile del 1866 lasciando come suo testamento un’alta, impegnativa consegna “bisogna
dare anche la vita per la salvezza di una sola persona”.
49
DON MARCO CELIO, CONTE PASSI DI PREPOSULO
Bergamo 22 febbraio 1790 – 21 febbraio 1863
Crebbe con il fratello don Luca alla scuola degli ottimi genitori. Divenuto sacerdote il
5 marzo 1814 si dedicò alla predicazione e collaborò con don Luca nel diffondere la Pia
Opera. Canonico della cattedrale di Bergamo nel 1854. Fu un eccellente direttore di
spirito, ammirato per dottrina e virtù. Come il fratello don Luca, visse distaccato dai beni
terreni, impiegandoli in opere buone. Oltre al voto di povertà e di ubbidienza, s’impegnò
pure a operare tutto a gloria di Dio, coltivando l’umiltà, rinnegando la propria volontà per
adempiere unicamente quella di Dio.
Morì a Bergamo il 21 febbraio 1863.
(Da P. Guerrini, Le Dorotee di Brescia nel carteggio dei loro fondatori, don Luca e
don Marco Celio Passi)
Don Marco Celio, Conte di Preposulo.
50
Da sin. Il venerabile don Luca Passi Conte di Preposulo (fondatore dell’ordine delle
suore Dorotee di Padova) e il fratello don Marco Celio conte di Preposulo.
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TRE VISITE PASTORALI ALL’ORATORIO DELLA CERTOSA
In occasione della Visita Pastorale alla Parrocchia di Vigodarzere compiuta dal
vescovo di Padova Francesco Scipione dei marchesi Dondi dell’Orologio (aprile 1811),
estesa agli Oratori del territorio viene detto: “Visitavit Oratorium publicum in loco Certosa
sub invocatione S. Brunonis, de jure Domini Marci Zigno Patavini, et invenit ad formam”.
(Visitò l’Oratorio pubblico in località Certosa sotto l’invocazione di S. Brunone, di proprietà
del Signor Marco Zigno padovano, e lo trovò secondo le regole canoniche).
Nel marzo 1877 Mons. Antonio Polin compie la Visita Pastorale a nome di Federico
dei marchesi Manfredini, vescovo di Padova di cui è ausiliare. Lo stesso Polin, il 27 ottobre
dell’anno successivo, consacrerà solennemente la nuova chiesa arcipretale di
Vigodarzere. Nella relazione viene specificato che il presule “ Visitavit Oratorium publicum
ad Certosam de jure nob. Familiæ Achille de Zigno quod ad formam invenit”.
Settembre 1888: Il cardinale Giuseppe Callegari si accinge a compiere la Visita
Pastorale. Presso la stazione ferroviaria di Vigodarzere viene accolto dall’arciprete e
vicario foraneo don Giovanni Spagnolo, il cappellano, il presidente del Comitato
parrocchiale (Gaetano Tommasi, gastaldo del conte Grimani), il barone Achille de Zigno,
trenta cavalieri, i membri della Confraternita del SS.mo, una moltitudine di fedeli, bimbi che
agitavano le bandierine con la scritta Benedictus qui venit in nomine Domini. Sulla “nobile
carrozza” presero posto il vescovo, il maestro di camera, i sacerdoti, il nobiluomo, il
presidente del comitato parrocchiale seguiti da un’interminabile corteo di gente osannante.
Sulla via che porta alla chiesa erano stati eretti magnifici archi predisposti di luci per la
sera. L’ingresso in chiesa fu solenne; il barone, fregiato delle sue decorazioni, apriva il
seguito.11 settembre 1888: il nobile aveva mandato i servi con la carrozza a prelevare il
vescovo per la visita all’Oratorio. Per l’occasione sul viale che conduce alla Certosa aveva
fatto approntare dei magnifici archi trionfali; all’ingresso del luogo il proprietario con i figli
ricevettero il presule ed i suoi accompagnatori con molta reverenza e dopo aver parlato
con questi Signori, si legge nella cronaca dell’evento, entrò nell’oratorio per la
celebrazione della Messa. Al termine del rito, visitò l’altare con tela picta della B.V. del
52
Carmelo, S. Francesco d’Assisi ed i santi Benedetto e Brunone. Dopo aver visitato la
Sacrestia, rientrò nell’oratorio, pregò con gli astanti il De profundis per la per la colazione.
Visitato il Palazzo e salutati gli ospiti, il vescovo visibilmente compiaciuto per tanta cordiale
accoglienza, risalì sulla carrozza defunta nobile Signora Adelaide De Zigno, morta di
recente, moglie del barone, indi si trattenne per la colazione.
Il Cardinale Giuseppe Callegari Vescovo di Padova dal 1882 al 1906.

53
LETTERA DI ALBERTO AL PADRE ACHILLE
Esiste un documento presso la Biblioteca civica, una copia della toccante lettera
che Alberto l’11 maggio 1872 dedica al padre Achille in memoria della nonna paterna
Maria Maguire: “Alla riva del lago Erna che giace in quel di Fermanagh trovasi un
maestoso castello di nome Tempo; qui venne alla luce Maria, da Ugo Maguire of Tempo
dei principi e dinasti di Fermanagh, Pari d’Irlanda e Conti del S.R.I. e da Febe CreaghMacnamara, germe dei re d’Irlanda e discendente per parentela dagli Anjou che in
Inghilterra regnarono. Sempre fiera n’andò del suo sangue illustre, né mai mutò pensiero;
che condotta e maritatasi più tardi in Italia con un membro della nobilissima famiglia Zigno.
Con lo sposo, che teneramente amava, visse in cordiale ed affettuosa unione di pensieri e
inclinazioni, quantunque nei primi anni fossile dai medici messo in dubbio se avrebbe
prole. Con quanta gioia però dopo qualche tempo mettesse alla luce un figlio maschio,
non è a dire; quanto fosse poi grande la sua cura in educarlo, parmi bastare la
considerazione di lui già avanzato in età a darne la più bella prova … Basti dire che Ella
tutte l’ore consecrò ad educare a nobili e virtuosi sentimenti quell’unico bambolo che il
cielo largille ...Volto bellissimo ma di quella bellezza che a tutti è cara ed in cui gareggiano
nel dipingersi con rara e difficile unione di spirito e candore . . . Nelle patrie storie e in
quelle di altre nazioni era versatissima, e le ore d’ozio se ozio appellar si può, quelle
poche ore in cui non s’occupava del figliolo o della casa, le rendea divertenti e istruttive or
componendo, or leggendo, or dipingendo.
Scevra di quegli eccessi di Religione che
rendono ridicole le dame ove s’abbandonino, seppe conservare la via di mezzo
discernendo ciò che si chiama dovere dell’uomo verso Dio dalle altre superstizioni dettate
da ignoranza. Se vi ha consolazione che rende meno gravose le pene dell’ultima età ad
una madre, una delle principali è poter vedere i propri figli padri, e balocar co’ nipotini.
Negli ultimi anni della sua vita fu travagliata da penose malattie cotalché neppur potea
recarsi a respirare la tiepida e salutare aria della campagna; il che sostenne con eroica
rassegnazione benedicendo quella mano che la percuoteva”.
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IN MEMORIA DI ADELAIDE
E’ spuntato un secondo libretto edito in memoriam di Adelaide Emo Capodilista,
moglie di Achille, offerto dai familiari nell’anniversario della morte “a tutti coloro che
onorarono la memoria e colle dimostrazioni del più affettuoso compianto cercarono di
lenire la nostra angoscia”. Sono riportati tra l’altro, articoli giornalistici a ricordo della
nobildonna che fu sepolta nella Certosa di Vigodarzere.
Dal giornale Euganeo del 7 marzo 1888
“Stamane alle ore 3 è spirata in età di anni 61 la baronessa Adelaide de Zigno,
modello di donna e di dama, per tutta la vita esempio nobilissimo di figlia, di sposa, di
madre. . . D’animo mite e cortese, in lei non so se si ammirasse la innata bontà, la
squisitezza del sentire, la gentilezza del tratto . . .” Lo stesso giornale qualche giorno dopo
dà notizia del funerale:“I funerali della baronessa Adelaide de Zigno furono dei più
commoventi e dei più solenni che la città abbia veduti. V’era rappresentata tutta Padova,
dalle più alte sfere ai più umili strati sociali. Il corteo, preceduto dal battistrada a cavallo e
dalla Banda del Comune, mosse subito dopo le 11 dal Palazzo Zigno per la Chiesa di S.
Nicolò dove furono celebrate le esequie. Poi il corteo si rimise in marcia. A Porta
Codalunga il corteo mestamente si sciolse e il carro procedette verso la Certosa di
Vigodarzere, dove la salma benedetta avrà sepoltura nella tomba di famiglia”.
Dal giornale L’Adriatico
“Questa mattina [9 marzo] ebbe luogo il trasporto funebre della baronessa Zigno,
moglie del celebre mineralologo cittadino. Vi intervennero la musica cittadina, gli alunni
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degli Asili infantili, duecento torce, moltissime corone, circa 25 carrozze seguivano il
corteo. La defunta era molto stimata per le sue opere filantropiche e per le sue rare doti
dell’anima”. La morte dell’amatissima moglie Adelaide, fu per Achille un dolore tremendo,
una pena atroce, una sofferenza implacabile dalla quale non si solleverà più. Il suo penoso
stato d’animo si legge drammaticamente nei versi di una poesia tenerissima e struggente.
AD ADELAIDE
Oh Adelaide mia! La cui bell’alma
in cielo aleggia, ove di sue virtudi
gode il compenso negli eterni gaudii,
mira pietosa del mio cor l’ambascia
e ai desolati tuoi porgi conforto!
Io più non ti vedrò starmi da lato
e divider con me gioia e dolori,
me consolando col sereno sguardo,
e ogni tua cura prodigando ai figli,
che col materno sen tutti nutristi.
Io più non ti vedrò prostesa al piede
de’ sacri altar, con incussa fede
indirizzar pe’ tuoi, tue preci a Dio,
o ministrar soccorsi ai poverelli;
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e negli affanni più trovar conforto
potrò, nei dolci detti e nel tuo affetto
e nei consigli che il tuo cuor dettava.
Per quarant’anni mia compagna fosti,
senza che mai per un istante solo
alcuna nube ad alterar venisse
la serena armonia del nostro affetto.
Oh destino fatal, che a me ti tolse
e mi colpì di così gran sventura
che infelice per sempre avrò la vita!
Il pianto e il dolor che mi ange il core,
ti muovano a pietà del mio tormento
che a te consacro, moglie mia diletta!
E prego sol, che tu dal ciel implori
un felice avvenir pe’ nostri figli.
In quanto a me, giammai sperar poss’io
sollievo al mio dolor, che sempre aumenta
quando rammento, quanto in te perdei!
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Il pianto nostro anche nel ciel ti provi
di quanto amor qui si ricambi il tuo.
Qui, dove la tua salma giace, io piango
e bacio il suol da lei santificato,
te chiamando ogni dì, col cuore affranto,
Angelo in terra ed ora Santa in Cielo.
Il tuo desolato marito
Certosa, 2 novembre 1888
Lo conforta il suo amico Tiberio Altino:
Qual triste e caro suon oggi mi viene
dal Medoaco maggior, che mi ricerca
tutte del cor le più riposte fibre?
Ah, lo ravviso! E’ quello d’un illustre
concittadino mio, di un infelice
sposo cui tolto fu forse il suo primo
ben che avesse qui in terra; egli solingo
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lo ricerca, lo chiama, e ognor s’illude
nel gran desìo che di continuo il preme
di vederlo e abbracciarlo.
Ma il tuo duolo
fa più mite, se ‘l poi, chè la diletta
Adele tua, ora beata in cielo,
a te volge i suoi lumi e ti sorride.
Quando la notte avrà spiegato il manto
trapuntato di stelle, estolli il guardo
alla volta sublime, e là vedrai
roteare fra quelle il tuo tesoro
memore ancor del puro e ardente affetto
ch’ebbe ognora per te, benedicendo
al suo caro compagno e a’ figli amati.
Se tanta luce di virtù preclare
ebbe nel suo pellegrinaggio in terra,
con quanta gloria starà innanzi a Dio!
Or ti conforta o preziosa gemma
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della città di Antenore; se il senso
non te l’offre vicina, ella t’è presso
sempre in ispirto, ed aura lieve il volto
ti carezza, ed almen ti vuol tranquillo.
Giorno verrà (ma sia per noi lontano!)
vegliar possiate i vostri eletti figli
e quelli pure che verran da loro,
perché sconfitto l’inimico fiero,
che a nostro danno frodolento adopra,
anch’essi un dì possan goder felici
del gioir vostro e dell’eterna vita.
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Sedile in pietra lungo il chiostro della Certosa.
61
POSTFAZIONE
L’araldica non è scienza astratta, ma vera e propria disciplina avente per oggetto lo
studio delle armi o stemmi gentilizi usati fin dai tempi medievali e diventati d’uso comune
per i guerrieri e la nobiltà. Nella composizione del blasone possono ascriversi figure
naturali tratte da elementi quali flora, fauna, astronomia, meteorologia, arti, mestieri,
vicende di famiglia, etc. In araldica tutto assurge a simbolismo quanto mai intrigante e
suggestivo e tutto obbedisce a norme precise di interpretazione. Vanno presi in
considerazione gli smalti costituiti dai metalli e dai colori. Oro e argento, a ricordare le
armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano dorate o argentate;
i colori come il rosso, verde, nero, azzurro, porpora. Inserito in una lista bifida posta sotto il
blasone, compariva il motto consistente in una breve iscrizione (solitamente in lingua
latina), caratterizzato da una frase sentenziosa quale un messaggio personale, una
minaccia, un’esortazione morale, una norma, un esplicito riferimento familiare e via
dicendo. Occupiamoci brevemente dei blasoni attinenti ai marchesi de Zigno e ai conti
Passi di Preposulo. La blasonatura, vale a dire la lettura degli stemmi delle sopracitate
nobili famiglie, è stata efficacemente e correttamente interpretata dagli araldisti di
mestiere, tuttavia, oserei aggiungere qualcosa d’altro per una maggiore comprensione dei
simboli. L’arma degli Zigno è detto inquartato perchè il campo dello scudo è suddiviso in
quattro parti e caratterizzato dai colori: oro, argento, rosso, verde, azzurro, e dalle figure di
un’aquila, un leone, due cavalieri
reggenti una spada, rispettivamente in arcione su
destrieri galoppanti; un fiordaliso o giglio di Francia.
I COLORI
•
Oro:
simboleggia la nobiltà, la fede, la clemenza.
•
Argento: richiama virtù quali la giustizia, la temperanza, l’equità; amicizia gentilezza,
sincerità, concordia.
•
Rosso:
esprime amore ardente verso Dio e verso il prossimo.
62
•
Azzurro: significa devozione, fedeltà, ricchezza.
•
Verde:
onore, speranza, amicizia.
LE FIGURE
•
Aquila:
segno di potenza, prosperità, vittoria.
•
Leone:
emblema di coraggio, valore, fortezza.
•
Cavallo:
animo intrepido.
•
Cavaliere: nobiltà.
•
Spada:
•
Fiordaliso: devozione, fedeltà; questo fiore per la delicatezza dei suoi colori
origine e volontà guerriera, talora indica minaccia per i nemici di famiglia.
simboleggia la dolcezza.
IL MOTTO
•
Pro Deo et rege (Per Dio e per il re).
Splendono i metalli nobili l’oro e l’argento ed i colori rosso e azzurro nel blasone dei
conti Passi. Compaiono le figure dell’aquila e del leone tenente tra gli artigli un bastone
reggente una stella, emblema di guida sicura e di aspirazione a cose superiori.
63
Altro simbolo rappresentativo: quattro lettere P a ricordo del cognome primitivo:
Preposulo.
IL MOTTO
•
Vince et conosce te ipsum (Vinci e conosci te stesso).
64
ACHILLE DE ZIGNO HA SALVATO LA CERTOSA
Il 7 marzo 1534 fu posta la prima pietra; nel 1623 la Certosa fu ultimata. In seguito
al decreto della Serenissima Repubblica di Venezia, volto ad alienare le Comunità
religiose con meno di 12 soggetti, nel settembre 1768 i cinque monaci rimasti furono
costretti a lasciare la Certosa.
Nel 1770 il monastero, già oltraggiato da saccheggi e vandalismi, fu acquistato dai
marchesi Maruzzi di Venezia e ceduto nel 1778 al nobile Antonio De Zigno, rampollo di
facoltosa famiglia padovana di origini bergamasche, imparentata con nobili casate inglesi
e francesi. Un suo discendente, Achille, mente eccellente, sempre in giro per il mondo per
motivi di studio, profondamente interessato alle scienze naturali, la botanica e la geologia
in particolare, nel 1833 si stabilisce definitivamente nella Certosa per amministrare
personalmente i beni di famiglia. Podestà di Padova, insignito del titolo di barone
dell’Impero Austriaco nel 1857, Sindaco di Vigodarzere dal 1872 al 1885, si spegnerà a
Padova nel 1891. Il barone Achille è il padrone con cui nonno Alfonso dovrà vedersela per
i conti.
Achille De Zigno
Presidente dell’ istituto Veneto delle scienze, lettere ed arti dal
(1876-1878)
65
Vigodarzere - mappa del catasto austriaco
Vigodarzere mappa del catasto austriaco 1828 – 1845.
E’ una sezione della Mappa del Comune di Vigodarzere (foglio XVII) prodotta dal
Catasto austriaco (1828-1845). Con lettera A è identificata la Chiesa parrocchiale, con
lettera B il relativo sagrato e con lettera C il Cimitero (risalente al 1831). Proseguendo
66
sull’asse principale, prima di imboccare via Vendramin si nota un edificio di ampie
dimensioni (la Gran Carta del Padovano ne evidenzia un secondo adiacente,
corrispondente ad una villa poi demolita). L’edificio in questione, abitato inizialmente
(sembra da una Comunità monastica), poi destinato a masseria e finalmente occupato
dalle famiglie Vieno. Allorché traslocarono, la struttura fu letteralmente cancellata da
sciagurati in mala fede rimasti more solito impuniti. Avevano distrutto uno tra i più vetusti e
significativi edifici storici di Vigodarzere!
In prossimità di questa curva a gomito, una costruzione che non corrisponde a
quella “dea Elvira dei Martini, bensì della famiglia Dall’Armi, quea dea nona Miassa”.
Imbocchiamo la prima carrareccia di sinistra ed ecco, la famosa casa di via Verzare n° 8
prospiciente l’argine sinistro del Brenta (in seguito ai drissagni il fiume le sarà ancor più
vicino), proprietà del nobile Marco de Zigno (particella catastale 1019).
67
1797 ANNO FUNESTISSIMO: IL DEVASTANTE PASSAGGIO DELLE
TRUPPE FRANCESI
Una testimonianza storica drammatica, una cronaca concisa eppure così eloquente,
a ricordare frangenti di terrore in anni sciagurati, vissuti e condivisi da un povero prete di
campagna con la gente della sua altrettanto povera parrocchia. Chi scrive è don Giovanni
Battista Ceroni (senior), benemerito arciprete di Vigodarzere. Anche questo è onda lunga
della rivoluzione francese.
Pagina tratta dai registri parrocchiali di Vigodarzere.
“1797 Anno funestissimo
In cui passando per questa Villa [paese], li francesi nell’ora 1 circa della notte antecedente
al dì 25 Gennaio, passando dissi, per questa Villa, li francesi apportarono gravissimo
enorme danno siccome ad altre Ville, ovunque passavano così a me ed alle famiglie di
questa mia povera Parrocchia, saccheggiando le case senza pietà fino a spolgiarle di
68
quanto vi ritrovarono di vivande, suppellettili, vasi di rame, pecore, polli, maiali e di più
costringendo anche con minacce gli abitanti atterriti a trarsi di dosso gli abiti, se alquanto
speciosi, o uomini fossero e pur anco donne.
Quod Domino placuit, ita factum est, sit Nomen Domini benedictum.”
Altri furti perpretati dalle truppe napoleoniche:
Tratto dal libro: ”SAGGI STORICI CAMPOSAMPIERO” di don Luigi Rostirola
pag. 419-420-421-422.
“La requisizione delle argenterie delle chiese della nostra podesteria fu
effettuata dal municipalista Antonio Gennari nel maggio e giugno del 1797.
Esebisco l’elenco parziale dell’argenteria requisita:
Meianiga
once 330
Loreggia
once 491
Codiverno
once 232
S. Eufemia
once 116
Campodarsego
once 176
Vigodarzere (dieci lampade)
once 432
Camposanpiero
once 1160
S. Michele delle Badesse
once
416
Marsango
once
332
Fratte
once
84
S. Giustina
once
266
S. Marco di Camposampiero
once
448
Reschigliano
once
66
Tavo una lampada
69
S. Giorgio delle Pertiche
once
298
Pionca
once
270
70
CERTOSA IN PERICOLO
(A cura di Giulio Cesaro)
Lati nord - est della chiesa della Certosa di Vigodarzere: sono rimasti i segni della navata
laterale abbattuta. La foto di Salmaso Fernando è del gennaio 2004.
71
LA DEMOLIZIONE DELLA CERTOSA DI PADOVA RICOSTRUITA A
VIGODARZERE
Nel 1509, era in corso la guerra tra la Repubblica di Venezia e la Lega di Cambray;
il Senato di Venezia decretò, per motivi strategici, la demolizione di tutti gli edifici ubicati
all’esterno delle mura nuove della città di Padova. Il decreto affidava ai proprietari stessi
l’opera di demolizione, pena la confisca di tutte le proprietà.
Furono demoliti illustri
monasteri: i Camaldolesi e i Benedettini di S. Maria di Porciglia, le Benedettine di S.
Marco, la chiesa della Trinità, i monasteri dell’Arcella e quello della Certosa di Padova, che
era ubicata nell’attuale zona di Piazza de Gasperi (notizie tratte dal libro “La Certosa di
Padova” di don Cesare Michelotto - 1923).
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Padova con la prima cinta muraria medioevale e la seconda cinquecentesca, con
l’indicazione della Certosa di Padova, che era situata nell’attuale Piazza A. De Gasperi (la mappa
originale si trova nella Biblioteca Civica di Padova).
La Certosa di Vigodarzere in un disegno prospettico del 1700. Da notare la presenza del
campanile che fu poi demolito.
“Il colera del 1630 rimasto tristemente celebre negli annali d’Italia, trovò i certosini
pronti a cedere i loro beni ed anche la vita, a vantaggio dei malati e dei morenti”
(“La Certosa di Padova” di don Cesare Michelotto, pag. 18).
73
La Certosa di Vigodarzere nella Gran Carta del Padovano (1780) del Rizzi Zannoni. Si
evidenzia che essa, prima delle successive mutilazioni ottocentesche, era comunque
incompleta sui due lati del chiostro maggiore delle celle monacali. Le celle dei padri certosini
quindi erano in tutto cinque. La Certosa di Vigodarzere probabilmente non fu mai completata.
74
Dipinto su tela della Certosa di Vigodarzere conservato presso la grande Certosa di
Grenoble (Francia). Foto eseguita dal geom. Antonio Pegoraro nel 1973.
75
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LA REQUISIZIONE DELLA CERTOSA (1)
Decreto di confisca del Consiglio dei Pregati (2) della Repubblica di Venezia
9 Settembre 1768
(1) La decisione di confiscare la Certosa di Vigodarzere fu dettata per
incrementare le risorse per le necessità della Repubblica Veneta.
(2) Il Consiglio dei Pregati venne istituito nel 1229 quale assemblea deliberativa con finalità decisionali e
nel 1400 assunse la valenza di decretare.
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81
Documento conservato dall’avv. Ivone Cacciavillani
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VENDITA DELL’EX MONASTERO, DEMOLIZIONI E MAPPATURA
“Un maestoso campanile a cella trifora, simile per disegno a quello di S. Marco in
Venezia, domina la chiesa al suo fianco sinistro … “.
(Dal libro “La Certosa di Padova” di don Cesare Michelotto, pag. 17,
stampato nel 1923).
L’abate Giuseppe Gennari (1721 – 1800) alla fine secolo del XVIII° così annotava
nelle sue “Notizie Storiche” che manoscritte si conservano nella Biblioteca comunale di
Padova:
“Questo bel monastero scomparso per fatal soppressione dell’Ordine Certusiano in
questo Dominio, insieme coi beni fu venduto ai Marchesi Maruzzi e poi rivenduto da loro
con piccola porzione di campi ad Antonio Zigno, padovano, il quale demolì buona parte
della chiesa e fece altri guastamenti in quelle fabbriche, che erano oggetto di ammirazione
ai dotti viaggiatori stranieri. Che peccato da non perdonare”.
83
Disegno prospettico della fabbrica della Certosa
Xilografia della pianta assonometrica della Certosa di Vigodarzere fatta eseguire dal barone
Marco De Zigno nel mese di giugno del 1856. (è stata conservata da Maria Ranzato Cattelan).
84
Mappatura del territorio attorno alla Certosa dell’anno 1842 (Biblioteca Civica di Padova).
85
Prospetti e sezioni della Certosa di Vigodarzere
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SUPERFICI E SPAZI DELLA CERTOSA
Pianta del piano terra scala 1:250
Superficie coperta
mq. 3.762
Spazi interni confinati
(cortili – chiostri)
- Cortile chiostro maggiore
mq. 4.804
- Cortile chiostro “Pane”
mq. 1.620
- Cortile ingresso principale
mq.
957
- Cortile chiostro chiesa
mq.
157
- Cortile agricolo
mq. 2.564
- Cortile ovest
mq.
456
Superficie complessiva
mq. 14.100
Grande giardino
mq. 4.408
Superficie tetti
mq. 4.514
Piano primo
mq. 2.369
Piano terra
mq. 3.762
Cortile e chiostri
mq. 10.338
92
Superficie approssimativa tetto mq. 4.514
La superficie delimitata a terra
è pari a
mq. 14.100
Geom. Antonio Pegoraro
Il temporale del luglio 2009 non risparmia la Certosa
Un violento temporale, alle ore 18 del 12 luglio 2009, investì il territorio di
Vigodarzere: in alcune case la grandine riuscì a forare le tapparelle delle finestre e a
lesionare addirittura le tegolei. Naturalmente non fu risparmiato il vasto tetto dell’ex
monastero della Certosa: numerosi coppi furono frantumati dai chicchi della grandine di
dimensioni eccezionali e scaraventati da un forte vento. Il fatto vanificò il lavoro di restauro
eseguito nel 1993 per la parte riguardante il tetto
Chicchi di grandine fotografati nei pressi della Certosa (ore 18 del 12 luglio 2009).
93
Quanti ricordi attorno alla Certosa!
Testimonianza di Cesaro Giulio del 20 ottobre 2009.
“Mia madre, Oliva Pedron Cesaro mi ha dato alla luce, nel mese di agosto del 1937,
in una abitazione rurale vicino al monumentale ex monastero della Certosa di Vigodarzere.
In quella casa ho vissuto felicemente la mia infanzia e nella stessa zona tuttora abito.
Ricordo con trepidazione i bombardamenti anglo-americani del 1944/45, i passaggi
notturni del loro aereo ricognitore che si annunciava da lontano con il suo fragoroso
motore a scoppio, aereo che tutti chiamavano “Pippo”. Controllava il territorio ma qualche
volta seminava distruzione e morte (1). In quel periodo l’edificio della mia scuola di
Vigodarzere era occupata dai soldati tedeschi che tenevano anche parte della vicina
canonica. Ricordo il grande deposito di esplosivi sotterrati nell’argine del fiume Brenta
vicino alla Certosa. Mi è rimasta impressa la grande apprensione dei miei genitori e dei
vicini di casa perché un caccia bombardiere anglo-americano il 3 gennaio 1945, alle ore
10,15, sganciò nei pressi della Certosa una ventina di bombe a farfalla (2) seminando il
panico tra la popolazione: c’era il pericolo che quell’enorme deposito di tritolo e di granate
esplodesse.
Ricordo anche che, una mattina, alcuni dei soldati tedeschi armati (alloggiati in una
piccola stanza della Certosa, erano addetti al servizio di guardia al deposito degli
esplosivi) transitando a piedi nell’attuale via Certosa, notarono il recinto dove mia madre
allevava una decina di galline e un gallo. Tre soldati sghignazzando si precipitarono dentro
il recinto, presero il gallo, gli tirarono il collo e se lo portarono via come bottino di guerra.
Mia madre infuriata non ebbe paura di inveire all’indirizzo di quei mascalzoni, ma mio
padre, che era reduce della prima guerra mondiale, la zittì dicendole che quei soldati
armati avrebbero potuto fare molto di peggio sfogando la loro violenza su di noi.
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Ho fisso nella mia memoria gli ultimi giorni della guerra, in particolare la gioia della
gente per la notizia del passaggio a Limena delle truppe di liberazione inglesi. La notte del
sabato 29 aprile 1945 alle ore 23,30 (allora dormivo nella stanza con i miei genitori), fui
svegliato dall’urlo di gioia della mia mamma che aveva sentito le campane di Vigodarzere
suonare a festa: annunciavano alla popolazione la tanto sospirata fine della guerra nel
nostro territorio. Nel maggio di quell’anno a Vigodarzere vi erano più armi che alimenti: si
soffriva molto la fame.
Con la fine del conflitto si riprese la coltivazione del terreno per produrre frumento
per fare il pane, del granoturco per la polenta, l’erba fu falciata anche ai bordi delle strade
per alimentare le mucche. Anch’io, avevo appena nove anni, aiutavo mio padre ad arare il
terreno conducendo le mucche che trainavano l’aratro. Solo dal 1960 iniziò la ripresa
economica e anche il lavoro agricolo fu meccanizzato rendendolo più umano. Ricordo le
lunghe serate del filò (3) con i racconti della guerra; in particolare di quei trentasei
prigionieri di guerra inglesi che furono nascosti nelle famiglie del territorio comunale di
Vigodarzere per evitare che i soldati tedeschi li internassero nei campi di concentramento
in Germania.
Nell’ultimo periodo della guerra gli sfollati dalla città di Padova che trovarono
alloggio nelle case, nei fienili e nei granai nel territorio comunale di Vigodarzere per
sfuggire ai bombardamenti aerei furono circa 1500. Nel 1936 gli abitanti censiti nel
territorio comunale di Vigodarzere erano 6.109 distribuiti in poche case sparse nella
campagna”.
(1) Durante la notte del 21 febbraio 1945, l’aereo ricognitore chiamato da tutti “Pippo”, apparve
improvvisamente nella zona della stazione ferroviaria di Vigodarzere, sganciò una bomba che
esplose al suolo. Non trovarono scampo alla morte quattro cittadini di Saletto: Vettori Bruno di anni
26, Pasqualotto Danilo di anni 23, Parancola Guerrino di anni 48 e il figlio Gaetano di anni 18 (Tratto
dalla Cronistoria Parrocchiale scritta dal parroco di Vigodarzere don Giulio Rettore).
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(2) A causa dell’esplosione di una bomba lanciata da “Pippo” nella zona di Terraglione di Vigodarzere
De Marchi Luigi, di anni 10, fu ferito a morte colpito dal crollo di una trave del tetto.
(3) Il filò: durante la guerra e negli anni successivi, dopo cena ci si raccoglieva con la famiglia e i vicini
di casa nella stalla (unico ambiente riscaldato dal fiato dei bovini), era illuminata da un lume a
petrolio o ad acetilene.
VIGODARZERE “BEACH”
La colonia elioterapica fluviale
La colonia era ubicata nella parte interna dell’argine sinistro del fiume Brenta nei
pressi dell’ex monastero della Certosa di Vigodarzere (1). Era costruita con pareti di tavole
di legno intonacate con sabbia miscelata a calce e trucioli di legno. Le maestre delle
elementari organizzarono queste vacanze al sole nei mesi di agosto dagli anni 1936 sino
al 1942. Usufruirono di questo servizio i bambini del territorio comunale, figli di genitori
molto poveri. Nel primo mattino venivano prelevati dalle loro abitazioni e trasportati sopra
un carro agricolo, trainato da un cavallo, sino alla colonia. A mezzogiorno ai bambini
veniva offerto il pranzo, alle ore 16 veniva consegnato un panino con marmellata. Alcuni di
quei bambini, ora appartenenti alla terza età, mi hanno raccontato di ricordare con piacere,
soprattutto quel panino con la marmellata: allora una delizia del genere era una rarità fra la
popolazione di Vigodarzere. Durante la permanenza i bambini facevano la cura del sole e
giocavano sulla sponda del fiume Brenta allora ricco di sabbia. Seguiva il ritorno a casa
sempre sopra il carro agricolo.
Durante gli ultimi mesi della guerra la costruzione fu rubata.
(1) Testimonianza di Laura Carraro Noventa di Saletto e di Flora Cosma di Vigodarzere. Entrambe
nel 1942 parteciparono ai soggiorni nella colonia elioterapica del “Peoceto” di Vigodarzere, così
lo si chiamava popolarmente.
96
Dal giornale “il Veneto” del 30 luglio 1936
97
Nella foto: la colonia elioterapica fluviale di Vigodarzere che era ubicata nella parte
interna dell’argine del Brenta nelle vicinanze della Certosa.
Sullo sfondo la chiesa e l’altissimo campanile di Vigodarzere.
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I “PEOCETI” VISTI DALL’ALTO
Particolare di una foto aerea scattata il 29 maggio 1944 da un ricognitore anglo-americano.
Notare nell’ansa del fiume Brenta il monumentale monastero della Certosa di Vigodarzere e
sul letto del fiume le spiagge di sabbia. Le lingue bianche sono le spiagge scomparse
completamente, dati gli scavi della sabbia ad uso edilizio eseguite negli anni dal 1945 al 1960.
Come si diceva, in quelle piccole “beach” a portata di mano venivano a trascorrere le giornate
estive gruppi di bambini del territorio comunale di Vigodarzere sorvegliati dalle maestre elementari
locali. Anche molti abitanti della città di Padova, con il tram, scendevano al capolinea di fronte la
chiesa di Pontevigodarzere per poi raggiungere a piedi una delle tante spiaggette sul letto del
Brenta chiamate progressivamente: “peoceto uno”, “peoceto due” e così di seguito.
99
BOMBE A FARFALLA LANCIATE NEI PRESSI DELLA CERTOSA
Avvertimento bellico tratto da “Il Gazzettino”, dell’11 febbraio 1945.
“Venti bombe a farfalla furono lanciate, il 3 gennaio 1945 alle ore 10,15, da otto
squadriglie di caccia bombardieri anglo-americani vicino alla Certosa, provocando grande
100
panico tra la popolazione poiché in quei paraggi vi sono grandi depositi di esplosivi” (Tratto
dalla cronistoria parrocchiale di Vigodarzere scritta dall’arciprete don Giulio Rettore).
101
GLI ABITANTI DELLA CERTOSA NEGLI ANNI 1944 - 1945.
Testimonianza resa da Lollo Alberto (classe 1929) il 10-10 -2004:
“Durante la guerra, la mia famiglia lavorava a mezzadria (1) un terreno di proprietà
della famiglia Passi. Abitavo in una casa rurale a 50 metri dall’edificio dell’ex - monastero.
Ricordo che dentro l’edificio della Certosa abitavano le famiglie dei seguenti cittadini che
lavoravano a mezzadria una parte del terreno dei fratelli Passi”.
In totale i mezzadri e famigliari abitanti dentro l’ex monastero erano 20:
• Cattelan Primo, moglie e tre figli;
•
Cattelan Antonio, moglie e cinque figli;
•
Cattelan Giuseppe, moglie e due figli;
•
Cattelan Angelo, moglie e due figli;
Nel complesso era situata anche l’abitazione del castaldo Perin Attilio proveniente
da Vicenza.
Furono inoltre ricoverati 25 persone sfollate tra famiglie e cittadini di Vigodarzere:
•
Rampado Albano, moglie e tre figlie;
•
Bisanzon Emma e famigliari (sette tutto);
•
Bedin Giuseppe con altre due persone;
•
Sabbadin con altre 5 persone;
•
Marcato Albano, moglie e tre figli (Rimpatriati dalla Libia nel 1939).
In quel periodo il proprietario era il Dr. Alessandro Passi che, con la moglie Maria
De Zigno, abitavano a Venezia.
Nel terreno del circondario della Certosa, sempre di proprietà dei Passi, abitavano
cinque famiglie di mezzadri: Favero, Saretta, Lollo, Chinellato e Camporese, anche
102
l’abitazione adiacente alla certosa abitata dalle famiglie “Rettore” era di proprietà Passi
(ora villa “Pavanetto”). Le famiglie Rettore non avevano terreno da coltivare ma nel 1930
avevano acquistato un trattore Titan e una trebbiatrice e lavoravano per conto terzi.
I raccolti dei campi coltivati dai mezzadri, dell’azienda agricola Certosa, erano magri
sia per le avversità atmosferiche che per la natura sabbiosa del terreno. I coltivatori a
mezzadria dovevano pagare metà delle spese per acquisto di sementi, concimi ecc.. I
proprietari, in base al contratto di mezzadria, avevano diritto alla metà del raccolto,
dovevano pagare il castaldo, la metà delle spese per l’acquisto di concimi ecc. e le tasse.
All’11 novembre di ogni anno (festa di S. Martino) si faceva il bilancio. Eppure ciò
nonostante anche per i proprietari Signori Passi il bilancio dell’azienda agricola era sempre
in rosso. D’estate il volto degli agricoltori era sempre imperlato da gocce di sudore e pure
la camicia era inzuppata di sudore. Anch’io ricordo il faticoso lavoro agricolo manuale dei
mezzadri, dell’azienda agricola della Certosa, ma anche dei fittavoli, dei piccoli proprietari
e dei “massariotti” di Vigodarzere (2).
(2) La mezzadria era un tipo di contratto agricolo; il mezzadro doveva lavorare il terreno, pagare metà
delle spese per acquisto di sementi, ecc. e infine divideva al 50% i raccolti con il proprietario del
terreno. Tale tipo di contratto fu abolito dalla legge presentata al parlamento dal deputato padovano
Fernando De Marzi del partito della Democrazia Cristiana e dal deputato Cipolla del Partito Comunista
Italiano e fu resa esecutiva nel 1971.
(3) Coltivatori diretti proprietari di oltre cinque ettari di terreno agricolo e con un allevamento di oltre 10
capi bovini.
103
Da sin. Alberto Lollo (testimone dei fatti accaduti nella Certosa nel periodo dal 1940 sino al
1970) e Giulio Cesaro (foto del 05. 06. 2011).
104
LA CERTOSA NEL DOPOGUERRA
Nel 1955 la parrocchia di S. Martino di Vigodarzere era guidata da don Giulio
Rettore (1). Un giorno lui stesso mi confidò che aveva ricevuto dal vescovo di Padova
mons. Girolamo Bortignon l’incarico di contattare il proprietario della Certosa per
convincerlo a venderla alla Curia, in quanto il vescovo progettava di ristrutturare l’ex monastero per adibirlo a seminario minore. Successivamente il parroco, con una evidente
delusione, mi informò che non era riuscito ad ottenere dai proprietari la promessa della
vendita dell’immobile. Nel 1970 ero consigliere comunale di Vigodarzere e conoscevo da
anni l’assessore provinciale Dr. Luigi Corò a cui parlai della Certosa. Fu entusiasta e mi
propose di indagare, soggiungendo: “Se è in vendita, la Provincia di Padova la compra e
facciamo una scuola tecnica”. Passai la richiesta al castaldo Giorgio Pavanetto il quale mi
rispose secco che la Certosa non era in vendita. Nel corso di tanti decenni per la Certosa
di Vigodarzere non fu mai elaborato un progetto generale di restauro complessivo.
Fra tanti monasteri esistenti in Italia la “nostra” Certosa è l’unica che dalla fine della
guerra (se si eccettua il rifacimeno del tetto) non è mai stata stata restaurata. Se la
Certosa fosse appartenuta a qualche ordine religioso certamente sarebbe stata riportata
alla struttura originaria del monumento.
(1) Don Giulio Rettore fu un prete molto preparato, coraggioso e intraprendente che ha lasciato un
indelebile ricordo dei 30 anni di permanenza a Vigodarzere (vedere le pagine 42, 43, 50, 70,77,
100,124,136, 137, 147, 148, 153,148,159,160,166,168,170,174,184,203,214,215,218 e 220 del
libro “Vigodarzere sul filo della memoria” – La storia di Vigodarzere e Padova raccontata attraverso
300 fotografie, oltre 100 testimonianze e altrettanti documenti. Il libro è consultabile presso molte
biblioteche e integralmente inserita sul sito: www.giuliocesaro.It cliccando nel settore “ I MIEI
LIBRI”)
105
DOCUMENTI DELLA CERTOSA RELATVI AI VINCOLI DELL’ EDIFICIO
Qualcuno si ricordò della Certosa
Comunicazione con cui il messo comunale il 24 agosto 1923 notifica al proprietario
ingegner Passi che l’ex monastero è sotto controllo della Soprintendenza dei Beni Culturali.
106
Preoccupata lettera scritta dal Ministero dei Beni Culturali indirizzata all’Amministrazione
Comunale di Vigodarzere, il 10. 04. 1987 ( i documenti sopra riportati sono stati forniti dal geom.
Roberto Zanovello).
107
La Soprintendenza ai Beni Culturali il 10 aprile 1987 scrisse una lettera al
Comune di Vigodarzere (sopra riportata) che esprime un sollecito preoccupato per
l’edificio dell’ex monastero. A seguito gli amministratori comunali lanciarono l’idea della
costituzione di una società formata dalla proprietà della Certosa, dal Comune di
Vigodarzere, dalla Provincia di Padova, dalla Regione Veneto, dall’Università di Padova e
da Fondazioni bancarie. Il compito di questa società sarebbe stato di progettare un
restauro e di reperire i finanziamenti necessari. Purtroppo anche questa soluzione finì
soffocata in una palude burocratica.
In ogni caso tutto ciò si ripropone a ciclo alternato e ripetitivo e, dati gli altissimi e
proibitivi costi, impegna le istituzioni nella ricerca di una difficilissima soluzione del
problema.
Ed è proprio sul versante della valorizzazione e del restauro monumentale che il
comune di Vigodarzere mostra carenze preoccupanti e fino ad ora non ha dato buoni
esempi, infatti, da oltre un secolo è proprietario di un edificio nel centro di Saletto, in parte
restaurato, ma chiuso da oltre 50 anni . Nel 2003 con dei mutui furono ristrutturati i muri e
il tetto dell’edificio che, rimase da completare e resta inagibile. Nel 2010 l’Amministrazione
Comunale ha proposto la vendita dell’immobile. Questa iniziativa ha trovato una forte
contrarietà del Consiglio della frazione di Saletto.
.
108
L’EDIFICIO COMUNALE EX MUNICIPIO
Il Comune di Vigodarzere è proprietario della villa Trevisan, edificio ubicato
in via Leonardo da Vinci a Saletto di Vigodarzere, che sino al 1929 fu sede del municipio.
Successivamente fu adibito a scuola elementare, ufficio postale e poi, a rotazione, fu
l’abitazione per gli insegnanti della scuola, per dipendenti comunali e per i dirigenti
dell’ufficio postale. Dal 1947 al 1958 in quei locali si svolsero dei corsi serali triennali di
disegno tecnico professionale per giovani apprendisti, con studenti che provenivano anche
dai comuni limitrofi. Molti dei diplomati hanno avviato attività artigianali in proprio, ancora
oggi funzionanti. Promotori di questa iniziativa furono il geom. Domenico Silvestri con il
collaboratore Gino Pinato che operarono a titolo gratuito, entrambi sono di Saletto e
viventi.
Nella foto: Villa Trevisan edificio di proprietà del Comune di Vigodarzere, è ubicato in via
Leonardo da Vinci a Saletto di Vigodarzere. L’edificio è chiuso per inagibilità da oltre cinquanta
anni.
109
1984 - VISITA ALLA CERTOSA DA PARTE DEL MINISTRO GULLOTTI
ACCOMPAGNATO
DAGLI
AMMINISTRATORI,
POLITICI
E
APPASSIONATI.
Foto scattata nell’interno della Certosa di Vigodarzere datata 1984 (la foto è stata
conservata dal geom. Roberto Zanovello).
Una commissione eterogenea in visita alla Certosa in cui sono presenti: Lino
Ranzato, storico e strenuo difensore della Certosa di Vigodarzere, Roberto Zanovello
assessore alla Cultura, Gerardo Perin segretario comunale, l’architetto Ettore Bressan,
Antonio Gullotti ministro dei Beni Culturali, Gianfranco Beghin sindaco di Vigodarzere,
Enrico Passi proprietario della Certosa, Gianni Cavinato e Ivano Ranzato.
110
LA MIA PRIMA VISITA DENTRO LA CERTOSA
Nel 1946 frequentavo la quarta classe elementare e il mio compagno di banco era
Pier Giorgio Pavanetto (1) figlio dell’allora castaldo dell’azienda agricola della Certosa. La
cui famiglia proveniva da Treviso, si era a poco trasferita all’interno del complesso storico.
Un giorno Pier Giorgio mi invitò a fare i compiti a casa sua. Quel pomeriggio varcai
per la prima volta l’ingresso dell’ex monastero, dove viveva la sua famiglia e le quattro
famiglie a mezzadria dei fratelli Cattelan (2) che lavoravano parte del terreno agricolo
contermine alla Certosa. Ero molto emozionato anche perché l’ingresso era riservato solo
ai mezzadri. Varcata la soglia, notai che a sinistra era ubicato un grande letamaio formato
dalle deiezioni dei bovini e dalla paglia della lettiera dei ruminanti che
fermentando
emanava un intenso odore biologico di stallatico. Il mio compagno di scuola mi aspettava;
attraversammo un porticato e raggiungemmo la sua abitazione. La mamma di Piergiorgio,
una bella signora sempre molto gentile, ci fece accomodare nella grande cucina e con
delicatezza di modi mi mise subito a mio agio. Terminati i compiti scolastici, Pier Giorgio
mi accompagnò a visitare lo storico edificio.
Fui intimorito dai severi chiostri e dai lunghi porticati; fui incuriosito dalla sala d’armi
allestita dai signori che si passarono la proprietà nel corso dei secoli. I miei occhi di
bambino si illuminavano nel vedere le spade, gli scudi, le corazze e le alabarde che
vedevo a malapena nei libri di storia. E poi lo splendore dei lampadari in ferro battuto con
le loro lampadine mentre a casa mia ci si illuminava solo con la fioca luce del ciaro a
petrolio, dal lumino a olio o dal ciaro a carburo.
Piergiorgio proseguì gli studi tecnici e si diplomò, al servizio militare fu allievo
ufficiale e da sottotenente degli alpini prestò servizio nella caserma di Bassano del Grappa
(Vicenza). Rimanemmo sempre amici. Nel marzo del 1997 Pier Giorgio improvvisamente
morì ed ebbi il rimpianto di non essere stato presente al funerale perché mi trovavo in
America. Dal 1960 i mezzadri, spinti dalla fiorente industrializzazione, preferirono
cambiare lavoro e uno alla volta, passarono all’industria. Cattelan Tommaso chiamato
111
Angelo (3) da mezzadro divenne operaio alla Saimp, ma con la moglie Ranzato Maria,
chiamata Mariolina, rimase ad abitare dentro la Certosa con l’incarico di custode sino al
1994 quando si trasferirono nella loro nuova abitazione in via Cesare Battisti a
Vigodarzere. Nello stesso giorno che la famiglia Cattelan traslocò, dentro la Certosa vi
entrò, incaricato dalla proprietà come custode volontario, Piergiulio Marcato, che tuttora
svolge il suo compito con lodevole passione e professionalità.
(1) Piergiorgio Pavanetto fu l’unico, fra i 29 alunni della 5^ elementare dell’anno scolastico 1948/49 di
Vigodarzere, che consegui il diploma di scuola superiore mentre Gianfranco Zanin fu l’unico a conseguire
la licenza della media inferiore.
(2) Le famiglie Cattelan abitavano a Signoressa (Treviso); persone della massima fiducia dei Passi, si
trasferirono nella Certosa di Vigodarzere nel 1929.
(3) Madre natura aveva dotato Tommaso Angelo Cattelan di notevoli doti comico artistiche. Nell’atrio
della grande stalla dentro la Certosa, dopo cena, si radunavano per il filò le famiglie Cattelan e altri del
vicinato. Le donne rammendavano, gli uomini giocavano a carte, negli intervalli raccontavano le tristi
vicende della guerra, mentre il gruppo di ragazzi e ragazze si intrattenevano a parte. Ogni tanto si
formava un coro e cantavano le canzoni allora in voga. Angelo, invece, improvvisava delle scenette
comiche che facevano ridere a crepapelle. Questo suo talento artistico lo profuse anche nella
filodrammatica parrocchiale del dopo guerra, contribuendo anche così ad alleviare le sofferenze e i
dispiaceri del conflitto appena finito. Fece parte anche della corale parrocchiale. Ora grazie alla
testimonianza della moglie Maria (classe 1926) ho potuto prendere nota dei molti fatti riportati in questo
articolo. Grazie ancora a Marietta, perché ha conservato la foto della filodrammatica, quella della corale
del primo dopoguerra e una foto pianta assonometrica della Certosa datata 1861. Tommaso Angelo
Cattelan è “andato avanti” il 21 gennaio 2000 (I particolari sopra esposti sono stati forniti anche dalla
Dr.ssa Maddalena Passi).
112
Foto della filodrammatica di Vigodarzere del 1956 (il primo a sinistra è Tommaso Angelo
Cattelan). Foto conservata da Maria Ranzato Cattelan.
113
NOZZE D’ORO DI DUE “CERTOSINI”
La foto è stata scattata nel 1999 durante la cerimonia del cinquantesimo di matrimonio di
Cattelan Tommaso Angelo e Ranzato Maria (già abitanti di servizio in Certosa) nella chiesa
arcipretale di Vigodarzere. Al centro il parroco di allora don Franco Tescari.
114
Portico di uno dei quattro chiostri della Certosa.
115
GLI AFFRESCHI SULLA FACCIATA DELLA CHIESA CERTOSINA IN CUI
E’ RAFFIGURATA LA MADONNA PROSSIMA AL PARTO
Nel mese di agosto 2009 don Luigi Bonetto, parroco di Vigodarzere, mi incaricò di
fotografare i capitelli con le immagini della Madonna, quelle delle strade ma anche quelle
poste nei cortili delle abitazioni senza trascurare le riproduzioni poste sulle tombe del
cimitero di Vigodarzere, tutte le foto sono state esposte nella Mostra d’Arte Sacra durante
la sagra di Vigodarzere.
Un caldo pomeriggio il parroco mi accompagnò per l’insolito servizio fotografico
mariano che terminò proprio dentro la Certosa (1). Don Luigi, con molta attenzione, studiò
l’affresco ubicato nella nicchia a sinistra dell’ingresso della chiesa e affermò: “E’ la
Madonna annunciata prossima al parto”, poi esaminò l’altro affresco situato sopra il portale
e infine quello che rimane dell’affresco dell’angelo che si trova nella nicchia a destra
dell’ingresso “E’ un affresco di ottima fattura del 1500” disse “ed è stato eseguito, a mio
parere, contemporaneamente alla costruzione della Certosa (2), guarda com’è ridotto
questo capolavoro dall’abbandono e dagli agenti atmosferici! Vorrei commissionare a un
bravo pittore la riproduzione dell’affresco della Madonna e quello dell’arcangelo Gabriele.
Li potremmo mettere all’interno della nostra chiesa”. Da notare che l’affresco della
Madonna era noto alle famiglie dei mezzadri che nelle sere del mese di maggio si
riunivano per recitare una preghiera e forse davanti a quella Madonna hanno pregato
anche gli operai della filanda nel 1800. L’affresco fu completamente dimenticato dagli
studiosi della Certosa, non fu notato neppure da un noto critico d’arte che nell’aprile del
2001 visitò la Certosa (3). Di quelli affreschi non si trova traccia nei libri dedicati alla
Certosa, né su Internet, né dagli articoli relativi alla Certosa pubblicati dai giornali negli
ultimi 100 anni e purtroppo anche le centinaia di laureandi in architettura non si sono
accorti dei preziosi affreschi. Ora l’affresco della Madre di Dio prossima al parto (come
tutto l’ex monastero), appartiene alle sorelle Passi, al patrimonio artistico italiano, ma
soprattutto è la testimonianza delle nostre radici cristiane.
In data 29.01.2010 il Prof. Mons. Claudio Bellinati, il maggiore esperto del patrimonio
artistico della diocesi di Padova, esaminando le gigantografie degli affreschi ha dichiarato:
116
“E’ un’opera assai rara nell’ambito delle opere artistiche. Rappresenta, infatti, la Mater Dei
in epoca posteriore all’annuncio dell’Angelo. Il pittore, probabilmente un anonimo del 1500,
ha rappresentato la colomba con raggi, simbolo dello Spirito Santo, mentre sta uscendo
da
una
finestra
illuminata,
quasi
a
significare
un’epoca
posteriore
al
giorno
dell’Annunciazione della divina maternità di Maria. Interessanti i due colori fondamentali
della figura: il rosso della tunica e l’azzurro del manto che erano gli stessi colori usati dai
pittori per indicare con il rosso l’umanità di Cristo e con l’azzurro la divinità del Figlio di
Dio… (9) ”.
Il 25.10.2010 nel duomo di Padova ho incontrato il Prof. Mons. Claudio Bellinati il
quale precisò “che la divina maternità di Maria Santissima è stata già dichiarata nei primi
Concili Ecumenici “ soggiungendo: “E’ una devozione che affonda le radici nella più alta
teologia Mariana. L’affresco della Madonna della Certosa è una delle rare Madonne
dipinte con i segni di una prossima maternità; è un’opera del tardo ‘500 o al massimo nella
prima parte del ‘600 che si ispira ai modelli classici della devozione verso la Madre di Dio”.
(1) La notizia è riportata nel mese di agosto nel bollettino parrocchiale n. 28 del 2009.
(2) La prima intervista al Prof. mons. Claudio Bellinati è di Giovanna Dorio.
(3) Durante la mostra “Donatello e il suo tempo” (fu inaugurata l’otto aprile 2001 nel Salone di Padova), la
Certosa di Vigodarzere fu visitata da un noto critico d’arte accompagnato dall’allora dr. Francini
sindaco di Vigodarzere, da assessori comunali, da alcuni cittadini e dal custode della Certosa
Piergiulio Marcato. Entrarono nella chiesa della Certosa e anche loro non prestarono attenzione ai tre
affreschi della facciata della chiesa.
117
La prima poesia dedicata alla Madonna della Certosa (dal settimanale diocesano “La
Difesa del Popolo” del 17 gennaio 2010).
118
Lettera sulla Certosa pubblicato dal quotidiano “Il Mattino di Padova” il 19 gennaio del
2010.
119
Bollettino della Parrocchia di S. Martino di Vigodarzere (N. 28 del 2009), che riporta la nota
dell’affresco della Madre di Dio a termine della gravidanza.
120
Facciata della chiesa della Certosa di Vigodarzere coperta dalla neve. Notare gli affreschi
del 1500: a sinistra la Madre di Dio, in centro gli angeli che depongono il corpo di Cristo, a destra
l’arcangelo Gabriele (foto G. Cesaro, gennaio 2010).
121
Facciata della chiesa della Certosa di Vigodarzere: affresco della MADRE DI DIO in
gravidanza (foto eseguita nel 1985 da Fernando Salmaso quando il dipinto non era ancora molto
deteriorato).
122
Mosaico posto nell’interno della Basilica Eufrasiana di Parenzo (Istria) risalente all’anno 600 D.C.
raffigurante la Madonna e la cugina Elisabetta entrambe nei primi mesi di gestazione (1).
(1) Fu il custode volontario della Certosa, Piergiulio Marcato, che in visita alla basilica Eufrasiana alcuni anni
fa confrontò l’affresco della basilica con quello della chiesa della Certosa di Vigodarzere accorgendosi
che anche la Madonna della Certosa è raffigurata prossima al parto e rese poi nota la scoperta.
123
Facciata della chiesa della Certosa di Vigodarzere: affresco dell’Arcangelo Gabriele (foto
del 1985 eseguita da Salmaso Fernando). Oggi l’affresco è ormai perduto a causa dagli agenti
atmosferici e dall’incuria della proprietà.
124
L’ANGELUS DELLA CERTOSA
Dittico che raffigura l’Annunciazione che si trova all’interno della chiesa arcipretale
di Vigodarzere (copia dei due affreschi che si trovano sulla facciata della chiesa dell’ex
monastero della Certosa di Vigodarzere riportati su tela grazie alle fotografie eseguite e
conservate da Salmaso Fernando nel 1985 quando gli affreschi erano in discreto stato di
conservazione).
125
L’Angelus della Certosa (dal libretto natalizio 2012 edito dalla parrocchia di
Vigodarzere)
Ci è stato fatto un regalo per questo Natale: ci siamo portati in chiesa un capolavoro del
'500 dalla Certosa di Vigodarzere. Nessun furto, beninteso. Ci mancherebbe! Solo il frutto di
una paziente ricerca iconografica e di tante provvidenziali coincidenze e collaborazioni.
Così ora, entrando in chiesa, si può ammirare un dittico che raffigura l'Annunciazione
dell'angelo a Maria.
I due affreschi decoravano (purtroppo adesso non più, perché deteriorati) la facciata
della Certosa di Padova ricostruita a Vigodarzere durante la dominazione veneziana che
aveva fatto piazza pulita attorno alle nuove mura cittadine.
Peccato perdere un dipinto così storicamente datato e prezioso. La nuova riproduzione
a olio su tela ha potuto mettere in luce in tutto il suo splendore il mistero rappresentato in
quelle due raffigurazioni. Non è semplicemente il tema dell'annunciazione così caro
all'iconografia cristiana fin dal medioevo; ma è ben di più. È la descrizione dei tre momenti
contenuti nell'antica preghiera dell'Angelus. Cerco di spiegarmi tenendo d'occhio l'immagine
che anche voi potete vedere nella pagina precedente.
Dice la prima parte della preghiera: "L'angelo del Signore portò l'annuncio a Maria, ed
ella concepì per opera dello Spirito Santo".
Possiamo osservare l'angelo che qualifica la sua provenienza mostrando le tre dita
della mano destra: "Vengo a nome della Santissima Trinità. Il candido giglio che porto in
mano manifesta che tu sei vergine e piena di grazia". Lo Spirito Santo risale verso il cielo in
una scia di luce: Colui che è concepito in Maria è opera sua, è opera divina.
Veniamo alla seconda parte che è magnificamente rappresentata dall'atteggiamento di
Maria: "Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la tua parola". La posizione delle
mani e le palpebre abbassate della Vergine esprimono il suo generoso assenso.
La parte conclusiva dell' Angelus costituisce un tocco d'arte che è di una commovente
sublimità: "E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi". Chi è il Verbo? E' la
seconda persona della Santissima Trinità, la Parola creatrice di Dio Padre, l'Architetto del
mondo. Questo Verbo si fa "carne" cioè umanità fragile. Questa "carnalità" è espressa dal
ventre gonfio di Maria cronologicamente posteriore all'episodio dell'annunciazione, ma
didatticamente esplicito per la comprensione popolare. "Abitò fra noi": è il grembo di Maria
che lo accoglie ma è anche la sua casa con quella elegante tenda verde scostata che
esprime ospitalità e accoglienza. Lo sfondo dell'angelo è il cielo infinito; lo sfondo del Verbo
fatto uomo è la quieta casa di Nazareth. Un'antica preghiera che viene recitata il primo
giorno dell'anno a Maria madre del Signore dice: "Colui che i cieli non possono contenere tu
lo hai portato in grembo, Maria".
Non ci è dato ancora di sapere chi sia l'autore dell'affresco cinquecentesco; chissà se lo
sapremo mai cercando fra gli artisti padovani dell'epoca. Certo che attraverso la
ricostruzione resa possibile con due foto di trent'anni fa (allora gli affreschi non erano
rovinati come oggi) siamo venuti a contatto con un pezzo di storia e di spiritualità che rischiavamo di perdere per sempre.
Un grazie sincero a tutti coloro che lo hanno reso possibile. Un bel regalo di Natale alla
propria comunità di Vigodarzere.
d. L.
126
MANOSCRITTO SULLA CERTOSA
Presso l’Archivio di Stato di Padova c’è un manoscritto scritto in latino composto di
457 pagine di pergamena, che riporta i documenti dal 1488 sino al 1600 della Certosa di
Padova e quella di Vigodarzere.
Ogni pagina è firmata a garanzia della corretta
trascrizione. Il manoscritto è stato esaminato dal Prof. Mons. Claudio Bellinati che non ha
trovato documentazione relativa al ciclo di affreschi della facciata della Chiesa della
Certosa di Vigodarzere né degli incarichi della progettazione del monastero certosino. Il
manoscritto riporta solo notizie di ordinaria amministrazione della vita della comunità.
Duomo di Padova: Il Prof. Mons. Claudio Bellinati a sinistra e Giulio Cesaro
(foto del 20. 12. 2010).
127
IL MANOSCRITTO
Manoscritto sulla Certosa che è composto di 457 pagine in pergamena; riportano, trascritti,
documenti della Certosa di Padova e quella di Vigodarzere dal 1488 sino al 1600. E’ conservato
presso l’Archivio di Stato; la sovra coperta è in legno (foto G. Cesaro).
128
Il manoscritto sulla Certosa è scritto in latino, nella foto è riportata la prima pagina.
129
SPECIALE SULLA CERTOSA DI VIGODARZERE PUBBLICATO DA UN
GIORNALE NELL’OTTOBRE DEL 1986
Giornale conservato da Ivano Pasquetto
130
IL RIFACIMENTO DEL TETTO DELLA CERTOSA EFFETTUATO
NEL 1993
Nel 1991 il proprietario della Certosa Conte Dr Enrico Passi inoltrò all’Istituto
Regionale Ville Venete una richiesta di contributo e di un mutuo per il rifacimento del tetto
della Certosa ed effettuare altri lavori di risanamento.
Con l’atto notarile di contratto di mutuo redatto dal notaio di Venezia Dr. Giovanni
Candiani datato 23 maggio 1993 n. 93411 di repertorio, contraenti: L’Istituto Regionale per
le Ville Venete e il Conte Dr. Enrico Passi, firmarono un contratto di un mutuo di lire 350
milioni a tasso agevolato al 3,75 della durata di 15 anni a favore del proprietario della
Certosa che aveva presentato una elenco di lavori di restauro e di risanamento per un
totale di spesa di lire 800 milioni .
L’Istituto Regionale Ville Venete elargì contemporaneamente al mutuo sopra citato
un contributo straordinario a fondo perduto di lire 15 milioni di lire (1).
La proprietà pagando lire 212 milioni svincolò il mutuo ipotecario concesso
estinguendolo anticipatamente nel 1999 (2).
I lavori eseguiti sono confermati dalle fatture per somma di lire 432.578.320
(comprensiva di IVA
agevolata del 10%) (3) e dalle fotografie allegati alla pratica. Il
direttore dei lavori è stato l’Ing. Fabio Zecchin della M.A.G. Costruzioni.
E’ da rilevare che il Conte Dr. Enrico Passi per ottenere il prestito dovette ipotecare
la Certosa, ciò evidenzia il legame affettivo che aveva dell’ edificio ex residenza estiva di
campagna dei suoi avi.
(1) Articolo 14 dell’atto notarile sopra citato: “Ad operazione di restauro ultimata e comunque alla
ultimazione dei lavori per i quali viene concesso il mutuo, la ditta mutuaria e proprietaria consentirà
la visita della villa veneta la De Zigno Passi Certosa nel giorno di lunedì dalle ore 10 (dieci) alle ore
15 (quindici) secondo lo specifico impegno assunto con l’Istituto Regionale mutuante”.
(2) La documentazione relativa alla pratica del mutuo e la documentazione dell’esecuzione dei lavori di
ripristino dell’edificio della Certosa sono stati visionati presso la sede dell’Istituto delle Ville Venete
a Venezia il 23 giugno 2011 da: Luciano Francato e Giulio Cesaro con l’assistenza del
responsabile dell’Ente Architetto Claudio Albanese.
(3) Notare che l’IVA è a carico del commitente
131
SINGOLARE MATRIMONIO IN CERTOSA
Cronaca del pranzo nuziale del 12 maggio 1991 due coppie di novelli sposi:
Giandomenico Bellomo e Chiara Benciolini – Stefano Spreafichi e Monica Stortolani
Il sabato 12 maggio 1991 fu una data memorabile per gli annali della storia
parrocchiale di S. Martino di Vigodarzere. Quel giorno, dopo un aprile particolarmente
piovoso, uno splendido sole fece da cornice a due coppie di fidanzati che salirono all’altare
contemporaneamente, in un’unica celebrazione. La chiesa era piena all’inverosimile
particolarmente di giovani giunti anche da lontano, dato che tutti i nubendi provenivano
dalle file diocesane dell’Azione Cattolica di Padova dove avevano ricoperto incarichi di
rilievo.
Dopo il rito religioso le due coppie di sposi, ripresi i tandem con i quali erano giunti
sul sagrato, si avviarono festosamente verso la Certosa trascinandosi dietro l’allegra
brigata di parenti e amici. Qui, all’interno degli austeri chiostri cinquecenteschi, si svolse il
pranzo di nozze aperto praticamente a tutti con il sistema che oggi va sotto il nome di
catering.
Al complesso monumentale aveva fatto esplicito riferimento nell’omelia anche il
parroco don Franco Tescari che presiedette la concelebrazione nella chiesa arcipretale di
S. Martino: “Ecco, noi siamo tutti testimoni ora di due matrimoni: attorno a noi molto
folklore, un po’ di confusione, un po’ di sacra demagogia (per questo intersecarsi di
parrocchie, di cori e di preti), qualche lacrima nelle prime file, molti sorrisi, tantissima gioia,
un sacco di applausi e di evviva e un picnic in una vecchia Certosa mezza abbandonata
…”
E la severa Certosa, in quel pomeriggio primaverile, circondata dagli imponenti
alberi secolari, sembrava meno vecchia e meno abbandonata, anzi parve rivivere grazie a
132
quella festosa gioventù accorsa da ogni dove, che riscopriva una tale meraviglia a due
passi dalla città lungo il corso del Brenta.
A vent’anni di distanza lo ricorda molto bene l’attuale parroco di Vigodarzere don
Luigi Bonetto che, dal centro cittadino, giunse in auto presso l’antico complesso
monumentale per salutare i novelli sposi. A quell’epoca egli, che lavorava in un ufficio di
Curia (dirigendo fra l’altro la radio diocesana), prestava servizio come cappellano festivo
ad Altichiero, proprio al di là del fiume. Più volte i giovani della parrocchia, abituati a
sconfinamenti sul territorio circostante, complice il ponte ferroviario lì vicino, gli avevano
parlato di questo vecchio monastero – a lui allora sconosciuto – che era in mano a privati e
che era una meraviglia. Peccato, dicevamo, fosse alquanto trascurato.
Nella foto: i due tandem dei novelli sposi, appoggiati alle vecchie mura presso una delle
entrate del complesso monastico.
133
In secondo piano, da sinistra: Stefano Spreafichi, Giandomenico Bellomo, Chiara Benciolini
(vestita di celeste) e Monica Stortolani (vestita di bianco), accolgono gli ospiti in un corridoio
interno della Certosa.
134
I numerosissimi giovani amici sotto il portico di uno dei chiostri.
135
ALTRE MANIFESTAZIONI DENTRO LA CERTOSA
Ho un vivo ricordo delle rogazioni (1) alle quali qualche volta ho partecipato. La
processione iniziava dalla chiesa parrocchiale di Vigodarzere alle cinque del mattino e,
dopo un lungo percorso a piedi per le stradine di campagna, terminava con la
celebrazione della messa dentro la chiesa della Certosa.
Inoltre da 20 anni, il Centro Sociale Caritas di Vigodarzere, organizza una
camminata per i “diversamente giovani” (modo simpatico per definire gli anziani) e
diversamente abili (altro modo gentile per indicare i portatori di handicap) che si svolge la
terza domenica di settembre. Si parte dal sagrato della chiesa di Vigodarzere e,
percorrendo l’argine sinistro del fiume Brenta, si raggiunge la Certosa; le proprietarie la
mettono a disposizione a titolo completamente gratuito. Nella chiesa di quel luogo carico
ancora di fascino si celebra la S. Messa seguita da un pranzo sociale. Il pomeriggio è
riempito da spettacoli e giochi.
L’Associazione Uniti per l’Ambiente di Vigodarzere, in collaborazione con il Comune
di Vigodarzere, ha spesso organizzato delle visite guidate al complesso monumentale.
L’ultima visita alla Certosa è stata fatta per ricordare la Giornata Mondiale dell’Acqua e si è
svolta domenica 19 aprile 2009.
Ricordo che la domenica del 1 giugno 1997, a causa del recupero di una bomba
d’aereo, la chiesa di Vigodarzere fu inagibile. La festa del Corpus Domini, si svolse nella
Certosa con la celebrazione della messa solenne nella chiesa e la processione si snodò
attorno all’edificio dell’ex monastero.
Per visitare la Certosa è necessario il permesso della proprietà ed è consigliabile
munirsi di una assicurazione per coprire eventuali danni causati ai visitatori dalla caduta di
intonaci, tegole, cornicioni e da altri elementi.
(1) Processione per le strade del paese con la recita di preghiere per intercedere grazie spirituali per i
lavoratori dei campi e di tutte le altre categorie. A Vigodarzere si effettua ogni anno il sabato mattina
che precede la festa dell’Ascensione al Cielo di Gesù Cristo.
136
Il quotidiano “Il Gazzettino” del 31 maggio del 1997, informa, che a causa del disinnesco di
una bomba lanciata nel 1944/45 da un aereo anglo-americano, nei pressi
del Deposito
dell’Aereonautica Militare a Vigodarzere, tutto il centro di Vigodarzere sarebbe stato evacuato il
giorno successivo domenica 1° giugno 1997 festa del Corpus DominI per questo motivo la
celebrazionI della festa furono celebrate nella Certosa .
137
Celebrazione della festa del Corpus Domini della parrocchia di S.Martino di Vigodarzere,
dentro la Certosa, la domenica 1 giugno 1997.
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Inizio della processione con don Luca Facco. Il Santissimo è portato dal parroco don
Franco Tescari.
139
La processione ha percorso il viale dei tigli.
140
Una delle rare visite guidate alla Certosa di Vigodarzere con la presenza della locale
Protezione Civile.
141
Gli anziani di Vigodarzere guidati dal “Centro Sociale Caritas” posano per la foto ricordo
davanti la Certosa con i ragazzi della Grestband (settembre 2009) nel corso dell’annuale
“Camminata in Certosa”.
142
NAPOLEONE E UN VECCHIO FUCILE DA CACCIA
Oltre trent’anni fa mi recai per una visita di cortesia ad una famiglia di Vigodarzere
che da tante generazioni abitano nel territorio comunale. Ci accomodammo nella cucina
e, dopo i consueti convenevoli, feci notare che il fucile appeso alla parete, in base ad una
nuova legge, costituiva un grave reato. Sentendomi parlare così il capo famiglia sobbalzò
sulla sedia precisando: “Quel fucile fu regalato ad un mio trisnonno nientemeno che da
Napoleone perché il mio antenato batté il generale in una gara di caccia alla lepre, svoltasi
nel bosco della Certosa”. Anche se molto sorpreso per quella notizia, convinsi il mio
amico a denunciare l’arma e ci recammo con il fucile alla Caserma dei Carabinieri di
Vigodarzere, per vedere di sistemare la cosa. Il Comandante della stazione ascoltò la
versione del mio amico, esaminò accuratamente l’arma e al termine consigliò l’anziano di
riporre il vecchio fucile nel granaio, al sicuro da sguardi indiscreti.
Ma Napoleone (1) c’entra realmente in questa storia? Non c’è comunque traccia di
documentazione della presenza del generale francese nella Certosa di Vigodarzere.
(1) Napoleone Bonaparte, proveniente da Treviso, nel pomeriggio del 2 maggio 1797 pranzò, con tutto il
suo seguito, ospite del conte Girolamo Polcastro nell’attuale palazzo sito in via S. Sofia, n. 67 a
Padova. La serata si concluse al Teatro Nuovo di Padova con il canto del musico Pacchierotti, poi,
non pernottò e riprese il viaggio diretto a Milano (dal diario del conte Girolamo Polcastro pubblicato
nella rivista “Padova e il suo territorio” nel 1980).
Il 28 settembre 1807 in incognito Napoleone, diretto a Venezia, transitò per Padova senza fermarsi
perché la cittadinanza patavina era fortemente contrariata per i decreti legislativi relativi alle nuove
tasse sul macinato, sulle finestre e sui dipinti delle ville, la leva militare obbligatoria e per il furto di
tante opere d’arte. Inoltre, la popolazione subiva ogni sorta di ruberie ad opera dei soldati
dell’esercito francese (documentazione rilevata nella Biblioteca Civica di Padova).
143
IL DEPOSITO DEGLI ESPLOSIVI
Alla metà di ottobre 1944 i soldati tedeschi ordinarono a 300 operai della Todt(1) di
Vigodarzere e di Cadoneghe di lavorare per nascondere un grande quantitativo di
esplosivi. Dai testimoni oculari tuttora viventi risulta che il luogo scelto per occultare gli
esplosivi fu l’argine sinistro del fiume Brenta vicino alla Certosa, prima tolsero il terreno
dell’argine sino al piano campagna, quindi depositarono il tritolo a forma di mattone e di
colore dello zolfo. Il tutto fu ricoperto con la terra e sopra stesero un telo mimetico. Nel
terreno vicino, nel piano della campagna, vi erano dei grandi platani; negli spazi tra le
piante scavarono delle profonde buche circolari e le riempirono di granate per cannoni;
anche queste furono ricoperte con del terreno e sopra vi stesero dei teli mimetici. Tutta
quella zona fu recintata ed era vigilata da alcuni soldati tedeschi che dormivano dentro la
Certosa in una stanzetta accanto alla cucina del castaldo.
La cosa è confermata anche dal parroco di allora don Giulio Rettore che, nella
cronistoria della parrocchia, lasciò scritto: “Il giorno tre gennaio 1945 alle ore 10,15 un
aereo caccia bombardiere sganciò nei pressi della Certosa 20 bombe a farfalla. Questo
evento creò panico nella popolazione perché nei paraggi si trovava un grande deposito di
esplosivi”.
Che gli esplosivi non fossero dentro l’edificio della Certosa ma interrati
nell’argine destro del fiume Brenta lo testimoniano alcune persone di Vigodarzere tuttora
viventi (2).
A metà aprile 1945 prima del passaggio delle truppe tedesche in precipitosa ritirata,
quegli esplosivi furono trasferiti dagli agricoltori con i carri agricoli. Una prima parte fu
accumulata nell’attuale via don Giulio Rettore, una seconda parte fu trasferita vicino alla
attuale via Tito Livio, la terza parte fu gettata dentro l’acqua del fiume Brenta. Terminata la
guerra una parte del tritolo fu portato e bruciato nel cortile del Deposito dell’Aereonautica
Militare situato in via Roma a Vigodarzere, il rimanente fu venduto per uso civile al
mercato nero, anzi rosso.
(1) Todt: Lavoratori italiani e di tutti i paesi occupati dalla Germania, costretti dai soldati tedeschi a
compiere dei lavori forzati dediti alla costruzione di fortificazioni e alle riparazioni dei danni causati
144
dagli avvenimenti bellici. Tale organizzazione fu creata dall’ingegnere tedesco e uomo politico “Fritz
Todt”
(2) Le testimonianze sono riportate nel libro: “ Vigodarzere sul filo della memoria nelle pagine 170 e 171
DANNI CONSEGUENTI LA DISFATTA DI CAPORETTO
Un’anziana zia delle sorelle Passi ricorda che dopo la rotta di Caporetto nel 1917, di
notte, la Certosa fu occupata da una compagnia di soldati italiani in ritirata dal fronte di
guerra. Costoro provocarono parecchi danni all’ambiente perché sondarono pavimenti e
muri: dove sentivano dei vuoti praticavano degli scavi alla ricerca dei presunti tesori
nascosti dai monaci. Questo mi confidava la Dott.ssa Maddalena Passi.
QUEL TUNNEL SOTTERRANEO, LEGGENDA O REALTA’?
Frequentemente mi fu chiesto, anche da persone laureate, dell’esistenza di
una presunta galleria che, nei secoli scorsi, avrebbe collegato la Villa Giacomelli, ubicata a
Saletto di Vigodarzere con la Certosa. Quindi il tunnel avrebbe proseguito sotto il letto del
fiume Brenta sino a sbucare sotto la Basilica di S. Giustina a Padova. Il Dr. Enrico Passi,
da me interpellato, mi rispose sorridendo: “Trattasi di una leggenda frutto di abuso di vino
corbineo” (1).
Data l’autorevolezza di chi poteva saperne qualcosa la leggenda popolare è
definitivamente chiarita.
(1) Varietà di vite esistente durante la guerra, ora estinta.
145
IL BOSCO DELLA CERTOSA
Mio padre Vincenzo Cesaro (classe 1891), spesso raccontava che, in
antecedenza della 1^ guerra mondiale, un fortunale colpì la zona della Certosa. Il mio
amico Gino Pasquetto, alcuni giorni fa mi informò che suo padre Pasquetto Francesco
(classe 1896 e deceduto nel 1971) gli raccontò che, due anni prima dell’inizio della guerra
1914/1918, il bosco della Certosa, fu colpito da una tromba d’aria che, sradicò molti alberi.
In un colloquio che ho avuto con il Conte Dr. Enrico Passi mi disse: “Durante la prima
guerra mondiale, nel bosco della Certosa furono tagliati tanti alberi per fare legname per le
esigenze del Regio Esercito Italiano e mi fece notare anche che il danno non fu mai
pagato.
Le persone della mia età, per indicare la zona della Certosa, allora dicevano: “Vado
nel bosco della Certosa”.
LE TANTE CERTOSE D’ITALIA
E’ sufficiente una ricerca in Internet per scoprire i 26 monasteri Certosini italiani. La
Certosa di Serra S. Bruno (Vibo Valentia) e quella di Farneta - Lucca sono tutt’ora abitate
da monaci certosini, invece, quella di Vedana (Belluno) ci sono le suore certosine. Tante
Certose italiane sono state adibite a musei civici o centri culturali, altre ancora, sono state
trasformate in alberghi (vedasi l’Hotel Luna a Capri con vista sui Faraglioni). E’ una
sorpresa costatare che tutte le Certose italiane dal 1950 sono state oggetto di importanti
restauri. Solo la Certosa di Vigodarzere attende di risorgere e venire riutilizzata.
Considerando i cinque secoli di vita i muri e la struttura dell’ex monastero sono ancora
saldi, anche se mostrano le rughe del tempo. Il tetto è stato ripassato nel 1993;
attualmente, a causa di eventi atmosferici è in condizioni precarie.
146
RIDIAMO VITA ALLA CERTOSA
Morto nel 2004 il padre, le eredi della Certosa, le sorelle Dr.sse Ludovica Passi e
Maddalena Passi, nel 2008 misero in vendita l’ex monastero (1). La notizia fu fonte di
preoccupazione per i consiglieri comunali e per la cittadinanza. L’amministrazione
comunale organizzò una serie di incontri per approfondire lo spinoso problema. Vi
parteciparono storici delle Certosa di Vigodarzere, direttori di musei e quelli di altre
Certose italiane. Le proprietarie furono rappresentate da un loro avvocato. Le conferenze
si svolsero nel piano nobile di Villa Zusto, sede comunale. La Certosa, che dal 1923 è
vincolata dalla Sovrintendenza delle Belle Arti, non ebbe acquirenti affidabili. I tecnici
hanno calcolato che un completo restauro del complesso monumentale comporterebbe
una spesa superiore ai 20 milioni di euro e la proprietà non dispone di questa cifra. Alla
notizia tirai un sospiro di sollievo: temevo che fosse venduta e pagata con petrodollari per
poi istituire, magari, un centro di scuola coranica, oppure, qualche magnate russo avrebbe
potuto comperarla e non rispettare la vocazione mistica dell’ex monastero. L’11 novembre
2009, le eredi della Certosa e il sindaco di Vigodarzere convocarono una conferenza
stampa, dentro la Certosa. Furono presenti numerosi giornalisti e cittadini interessati alla
sorte del monumento. Le proprietarie e il Sindaco di Vigodarzere firmarono un protocollo
d’intenti per realizzare un progetto per la riqualificazione della Certosa di Vigodarzere.
Confido che la proprietà quanto prima faccia eseguire un progetto di restauro,
permettendo alle Fondazioni delle banche del territorio, agli enti locali, al Ministero dei
Beni Culturali e alla Unione Europea di finanziare alcuni stralci del progetto generale di
restauro del ex - monastero della Certosa. Nei miei sogni vedo sempre il verde attorno alla
Certosa, come l’ho visto molti anni fa dal campanile di Vigodarzere, poi dal deltaplano,
dall’ultraleggero e dall’elicottero.
(1) L’avvocato che rappresentava le sorelle Passi, in una delle conferenze fatte nel piano nobile della
sede comunale di Vigodarzere, affermò che la Certosa era in vendita. Nell’ultima conferenza poi
dichiarò pure che le offerte degli aspiranti acquirenti della Certosa: “Non erano state ritenute
credibili”.
147
11 novembre 2009. Conferenza stampa in Certosa presenti il sindaco di Vigodarzere, le
eredi del complesso monumentale e le autorità provinciali. Nella stessa circostanza è stato firmato
un accordo di intenzioni di collaborazione tra l’amministrazione comunale e le proprietarie della
Certosa “aperto a tutte le proposte che arriveranno”.
148
Concerto dentro la Certosa dell’Orchestra Delle Venezie del 5 giugno 2010.
Nella circostanza si incontrarono le Dr.sse Madalena Passi e Ludovica Passi proprietarie
della Certosa, con i rappresentanti del Comune di Vigodarzere, della Provincia di Padova, della
Regione Veneto e delle Fondazioni delle banche del territorio (su www.giulio cesaro.it - documenti
video - vedere “La Certosa di Vigodarzere in concerto).
149
Dal quotidiano “Il Mattino di Padova del 5 marzo 2011.
150
IL MONASTERO BENEDETTINO DI PRAGLIA TEOLO (PD)
Cenni storici e la documentazione riguardante gli ebrei ricercati dai
nazifascisti e nasconti all’interno del monastero
Il monastero benedettino di Praglia, situato nel comune di Teolo (PD), dista dalla
Certosa di Vigodarzere in linea d’aria circa 20 chilometri. La costruzione attuale risale al
XV - XVI secolo, sul sito della precedente del XII secolo. Fu soppresso e la proprietà fu
incamerata dal regime napoleonico nel 1810 e solo nel 1834 la comunità monastica rientrò
in possesso del monastero. Nel 1867 fu nuovamente requisito, ad opera dal Regno d’Italia
(legge Siccardi N. 1013 del 9 aprile 1850) che si appropriò di tutto il complesso
monumentale e i monaci furono costretti a trasferirsi a Daila, in Istria. Nei quasi 40 anni di
chiusura il monastero fu depredato di tutto ciò che conteneva.
La legge del tempo vietava alle comunità monastiche l’acquisto di immobili e fu lo
scrittore senatore Antonio Fogazzaro che acquistò a suo nome il trenta per cento del
monastero di Praglia, al costo di 30.000 lire, somma messa a disposizione dalla comunità
benedettina. I monaci rientrarono a Praglia il 26 aprile 1904.
Dal 1910 la parrocchia di Praglia, nella Diocesi di Padova, è affidata alla comunità
monastica dell’Abbazia; inoltre i monaci possiedono e officiano il santuario del Monte della
Madonna sui Colli Euganei.
I Benedettini, presenti a Praglia da 900 anni, vivono con il ricavato dalla vendita di
erbe medicinali, cosmetica naturale, miele, vino, e il restauro di manoscritti, codici e
stampe antiche.
Il monastero di Praglia è per due terzi di proprietà del demanio e per un terzo della
comunità benedettina. Dal dopo guerra la comunità monastica si è attivamente impegnata
nel restauro e alla manutenzione degli edifici, come attestano anche i due cartelloni posti
151
all’ingresso del monastero. Sempre con uno sguardo rivolto al rispetto ambientale, i
monaci si prodigano nella progettazione di restauri, nonché delle migliorie e di ottenere i
contributi per la loro realizzazione che avviene attraverso asta pubblica, nella massima
trasparenza e nei termini concordati.
E’ sufficiente entrare per “perdersi” nei corridoi o nelle sale, ammirando le opere
d’arte e constatare che tutto è in perfetto ordine; notevole la manutenzione dei ben 14.500
mq del tetto.
Durante l’ultima guerra mondiale (1940 – 1945) furono trasferiti da Venezia e portati
dentro il monastero di Praglia: i quattro cavalli di bronzo della Basilica di S. Marco, cinque
tele del Tintoretto e ciò che contenevano diversi camion con rimorchio carichi di dipinti e
opere d’arte (1). Inoltre furono trasferiti nel monastero di Praglia tutti i documenti degli
archivi di Stato delle città di Padova, Zara, Trieste e Fiume.
Dopo l’otto settembre 1943 trovarono assistenza e consigli molti prigionieri inglesi
che furono nascosti presso le famiglie del territorio della parrocchia di Praglia. Quindici
ebrei padovani (4) furono nascosti dentro il monastero di Praglia da una data non precisata
del mese settembre 1943 e vi rimasero fino al 18 gennaio 1944, fortunatamente non
furono trovati nella perquisizione del monastero(5) effettuato dai nazifascisti il 14 ottobre
1943.
Dopo il primo bombardamento aereo(2) della città di Padova avvenuto il 16
dicembre 1943 molti cittadini si trasferirono dentro il monastero e nelle abitazioni dei
parrocchiani di Praglia (3).
152
Documentazione - Dall’agenda del priore del monastero di Praglia don
Adalberto Salvatori
(1) Documenti e opere d’arte portate a Praglia:
17 novembre 1942: “ Oggi alle 15 è arrivato un grosso camion col rimorchio carico di opere d’arte
pitture e sculture da Venezia, ne verranno ancora tante altre per portarle via dal pericolo degli
incendi e dai bombardamenti. Tutti ci siamo prestati per scaricarle”.
23 novembre 1942: “Oggi è arrivato un camion col rimorchio da Venezia carico di opere d’arte; e
questo è il secondo viaggio”.
25 novembre 1942: “Oggi alle 15 è arrivato un camion col rimorchio da Venezia carico di mobilia
di grande valore per essere messo in salvo, è il terzo viaggio”.
4 febbraio 1943: “Oggi alle 14 è arrivato un camion con rimorchio da Venezia carico di 200
quadri e di altre casse”.
27 febbraio 1943: “Oggi è venuto da Venezia un carico camion e rimorchio di casse e rotoli dalla
Sopraintendenza”.
15 aprile 1943: “Oggi è arrivato un carro da Padova ed ha portato il grande quadro di S. Giustina
del Veronese e altri due colli”.
21 maggio 1943: “Quest’oggi alle 13.30 è arrivato un grosso camion col rimorchio da Trieste
carico di casse contenenti l’Archivio di Stato di Trieste portato in rifugio a Praglia deposte già in uno
dei cameroni del Probandato e per questo è stata murata una porta di accesso diretto nell’antica
abitazione di Bovo nel cortile del Molino”.
18 agosto 1943: “Oggi alle ore 10 è arrivato da Fiume un grosso camion con rimorchio
contenente…: casse piene di documenti dell’Archivio di Stato di Fiume e l’ho fatto mettere nel
camerone primo del Probandato, vicino a quello dell’Archivio di Stato di Venezia di Trieste e di Zara.
Io ho firmato un triplice elenco delle casse uno per Fiume uno per Venezia e uno lasciato a Praglia
allo scrivente”.
23 agosto 1943: “Oggi in chiesa all’altare della Madonna. Abbiamo tolto il piccolo arazzo della
Madonna di Guadalupe donato dall’Arcivescovo e poi Cardinale D. Domenico Serafini che aveva
riportato dal Messico, e l’abbiamo messo nell’altarino della Cappella interna dell’appartamento
153
abbaziale, mentre in chiesa abbiamo ricollocata la pala già ivi esistente del pittore Luca Longhi e
portata al Museo di Padova e ora dal Museo riportata a Praglia con tutte le opere sfollate.
La stessa operazione abbiamo fatta negli altri due altaroni della Crocera colla pala di S. Pietro del
Veronese(?) e con quella di S. Giovanni Battista del Badiale .
Vedremo se alla fine della guerra ce le lasceranno”.
(2) Bombardamenti anglo-americani - Sempre dall’agenda del priore in data 16 dicembre 1943: “Oggi
alle ore 13 c’è stata per la prima volta l’incursione forte di aeroplani nemici che hanno bombardato la
città specialmente tutta la parte della stazione ferroviaria. Dalle prime notizie giunte si è appreso che
ci sono stati gravi danni con molte vittime. Noi a Praglia abbiamo sentito e visto ripassare una
cinquantina di apparecchi aerei. Era veramente spaventoso ed impressionante. Dio ci aiuti!!
18 dicembre 1943: “L’incursione di Padova fatta l’altro ieri dagli aeroplani è stata disastrosa.
Fra le vittime vi è anche un ragazzo di Praglia, Fasolo Francesco, che trovandosi vicino alla stazione
è stato ucciso dallo spostamento d’aria. Lunedì la salma sarà portata a Praglia ove si farà il
funerale”.
29 dicembre 1943: “Oggi grande incursione di aeroplani sopra Padova alle ore 13 con molti
danni a fabbricati e non si sa quante vittime, però sono meno del giorno 16 corr. Perché tutti sono
fuggiti in tempo”.
17 agosto 1944: “… sono arrivati 5 caccia bombardieri e hanno bombardato un treno di
munizioni nella stazione di Abano: dallo scoppio a Montecchia si sono rotti molti vetri e anche a
Praglia se ne sono rotti diversi. Pare che i danni siano gravi con morti e feriti”.
6 novembre 1944: “Questa mattina alle ore 9 causa un forte scoppio provocato da
bombardamento aereo nella polveriera oltre Abano si sono rotti molti vetri nel Monastero e anche in
chiesa causando un danno non indifferente: Che Dio ce la mandi buona e purtroppo non saranno gli
ultimi”.
21 aprile 1945: “Ieri mattina alle otto e quindici contemporaneamente a Luvigliano
a
Montemerlo e a Villa c’è stata un’incursione aerea con mitragliamenti e bombardamenti che hanno
causato diverse vittime e molti danni (a Montemerlo ci sono 8 morti e 22 feriti a Luvigliano forse un
numero maggiore e a Villa si crede due morti sul monte”.
154
(3) Padovani sfollati - In data 5 marzo 1944 il priore ha scritto: “ …in questi giorni passati ho fatto il giro
della Parrocchia per fare il censimento degli sfollati; ho incominciato lunedi 28. Ho trovato 107
famiglie composto da 378 persone”.
In data 27 aprile 1945 ha scritto: “Oggi le richieste delle famiglie, di essere alloggiate a
Praglia per paura della guerra, o dal passaggio imminente di truppe sono aumentate tanto che ho
fatto chiudere il corridoio che dal Chiostro Botanico esce nel brolo che si riempito subito.
Credo che questa sera dormano a Praglia circa 400 persone, non compresi i monaci e i
salesiani”.
(4)Testimonianza
del monaco priore di Praglia Don Callisto Carpanese
scritta al termine della guerra:
I primi a chiedere ospitalità al nostro monastero furono gli ebrei, da qualche anno praticamente messi fuori
legge. Il decreto, infatti, del 17 novembre 1938 recitava:
“L’appartenenza alla razza ebraica deve essere denunciata ed annotata nei registri dello stato civile della
popolazione. Tutti gli estratti dei predetti registri e i certificati relativi, che riguardano appartenenti alla razza
ebraica, devono fare espressa menzione di tale annotazione. Eguale memoria deve farsi dei singoli atti
relativi a concessioni o autorizzazioni della pubblica autorità.
La situazione degli ebrei divenne tragica dopo l’armistizio dell’otto settembre e con la susseguente
occupazione tedesca. Il 30 dello stesso mese, poi, il ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi emanò una
circolare che praticamente diede il via libera alla caccia degli ebrei, e nello stesso tempo comminava
severissime pene per chi si fosse prestato a nascondere o in qualche modo aiutare gli stessi.
A Praglia trovarono rifugio, anche dopo la circolare del Buffarini Guidi, una ventina di ebrei. Vennero
sistemati nel corridoio detto del padre priore o della foresteria, che si trovava nel braccio nord del chiostro
rustico, al primo piano.
Un monaco, fr. Pierdamiano, accudiva alle loro necessità. Ogni mattina portava loro la colazione che
consumavano nelle loro celle, mentre per il pranzo e la cena si recavano nel refettorio comune dove
mangiavano, in silenzio come i monaci.
155
Le giornate le trascorrevano nel grande corridoio messo a loro disposizione, o passeggiavano nel serraglio
che poteva essere raggiunto attraverso una piccola porta, nascosta, ricavata abbassando il bancale di una
finestra, all’estremità occidentale del corridoio.
Naturalmente non potevano azzardarsi ad uscire nello stradone del monastero, per il pericolo
d’essere riconosciuti ed arrestati. Passavano il tempo leggendo giornali, ascoltando, mediante radio, le
trasmissioni straniere, sempre nella speranza che le truppe alleate raggiungessero il Veneto.
Attesa lunga, snervante, deludente, preoccupante, anche perché tedeschi più volte vennero a
Praglia, per vari motivi.
Grave, sopra tutte, la perquisizione del 14 ottobre 1943, fatta proprio per ricercare ex soldati inglesi
ed ebrei.
Alle ore quattro del pomeriggio arrivò alla porta del monastero una camionetta militare con fascisti e
tedeschi. Radunati e rinchiusi tutti i monaci in un salone, un ufficiale tedesco prese con sé un giovane
monaco, che conosceva bene quella lingua e gli ordinò di fargli da guida per tutti gli ambienti del monastero.
Nello stesso tempo altri soldati erano saliti sui tetti, servendosi delle passerelle postevi dalla Soprintendenza
ai Monumenti, con il fucile spianato, pronti a sparare se avessero visto qualcuno fuggire per la campagna.
Una seconda camionetta di fascisti poi teneva sotto controllo la strada che circonda la mura della clausura.
L’accurata perlustrazione, tra i diversi ambienti del monastero, si concluse con un nulla di fatto; inglesi non
ne trovarono, in effetti non c’è n’erano. Non furono trovati neppure gli ebrei, ma questi c’erano! Fu possibile
sfuggire alla ricerca dei tedeschi e dei fascisti perché un certo numero delle celle del chiostro doppio hanno
delle sottostanze, alle quali si accede mediante una botola, aperta in un angolo delle stesse, botola che può
essere facilmente occultata stendendovi sopra un tappeto e ponendo sullo stesso un tavolo con una sedia,
come è avvenuto proprio in questa circostanza.
Il pericolo, però, di cadere nelle mani dei tedeschi o dei fascisti, era facile! Il 1° gennaio 1944
l’economo annota nel diario: “Presenze nel monastero: 17 monaci sacerdoti, 5 studenti chierici, 2 oblati di
Finalfia 14 probandi o alunni, 11 fratelli conversi, il familiare Vincenzo Pedata, 2 custodi della
Soprintendenza ai Monumenti, 4 ex soldati siciliani rifugiatisi in monastero dopo l’otto settembre 1943,
l’eremita del Monte della Madonna Rodolfo Marigo e 15 ebrei”. Il personale, rifugiato in monastero, senza
contare l’intero Istituto S. Marco dei pp. Salesiani di Monteortone, cresceva di giorno in giorno. Il predetto p.
economo nella data 17 gennaio 1944, segnava, come commensali, al pranzo 103 persone!
156
Gli stessi ebrei si resero conto che Praglia non poteva più rappresentare un rifugio sicuro: Il 18
immediatamente seguente lasciarono, dispiacenti, il monastero. Vi rimase solo uno, l’anziano Armando Levi
Cases, già docente all’università di Padova.
Lasciata la foresteria egli si trasferì nella clausura del monastero, nel reparto riservato ai monaci ed ivi
trascorse, nello studio e nella lettura assidua, tutto il periodo della guerra, senza sperimentare mai noia
alcuna”.
(5) La
perquisizione nazifascista nella versione scritta il 14 ottobre 1943 nell’agenda del
priore Padre don Adalberto Salvatori (a b):
“Alle ore 16 è arrivato un camion con tedeschi e fascisti arditi italiani venuti a fare una perquisizione
al monastero per cercare prigionieri inglesi che naturalmente non hanno trovato perché non ci sono. Hanno
voluto vedere tutti i monaci hanno domandato anche l’elenco di tutti i religiosi e infine dopo avere bevuto un
bicchiere di vino che noi abbiamo offerto agli ufficiali un tenente tedesco e uno italiano sono ripartiti
dispiaciuti di avere preso un grosso granchio …”
(a)
Da notare la differente versione scritta dal Padre priore il 14 ottobre 1943 dovuta alla precauzione di
non lasciare ai tedeschi prove della presenza degli ebrei dentro il monastero.
(b)
Segue allegato della dichiarazione datata 13 dicembre 2012 dell’ebrea Alice Coen Massaggia
abitante a Padova nella zone del ghetto ebraico.
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158
La testimone Signora Alice Coen Massaggia della comunità ebraica di Padova.
159
Antonio Fogazzaro con gli abati di Praglia Beda Cardinale e Gregorio Grasso (1908)
160
Due recenti finanziamenti per opere di restauro a beneficio del monastero Benedettino di
Praglia:
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Progetto dettagliato per uno dei restauri nel complesso benedettino di Praglia.
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Monastero e abbazia benedettina di Praglia (Teolo – PD) nell’incantevole parco dei Colli
Euganei.
LA DIFFERENZA TRA IL MONASTERO DI PRAGLIA E QUELLO DELLA
EX CERTOSA DI VIGODARZERE
A questo punto è d’obbligo porsi questa domanda:
Se la Certosa di Vigodarzere fosse ancora abitata dai monaci come lo è oggi
l’Abbazia di Praglia, sarebbe conservata con la medesima cura e si presenterebbe come
oggi si presenta il monastero benedettino?
163
IL FUTURO DELLA CERTOSA
L’incantevole posizione della Certosa di Vigodarzere immersa nel verde lungo il fiume
Brenta, ovverossia, il mistico deserto caratteristico di tutte le Certose nel mondo. (foto G.C. –
maggio 2005).
Gli amanti dell’arte e della storia sono preoccupati della situazione precaria
dell’edificio della Certosa di Vigodarzere, altri invece vedono l’ampia zona che formano il
deserto che circonda il complesso come eventuale terreno edificabile.
Da tempo la proprietà ha inoltrato al Comune di Vigodarzere e successivamente alla
Commissione Regionale per l’Edilizia una proposta per trasformare circa 8 ettari di terreno
164
da verde in edificabile. La proprietà della Certosa con il ricavato si impegnerebbe a
“mettere in sicurezza” l’edificio dell’ex monastero, operazione peraltro prevista da una
legge regionale del 2004. La proposta è stata esaminata nel 2010 dal Consiglio Comunale
di Vigodarzere, che ha espresso parere negativo. La popolazione di Vigodarzere è
allarmata. I giornali quotidiani hanno giudicato l’operazione definendola delle “cento ville
con vista sulla Certosa ”.
La nostra società sempre più dominata dal materialismo e dall’ingordigia lascerà che
“il mistico deserto della Certosa di Vigodarzere” diventi in un’altra Milano due (2) e che la
Certosa degraderà rapidamente in maniera irreversibile?
Lo stilista italo-francese Pierre Cardin, nato a Treviso nel 1922, volendo lasciare un
segno tangibile nella sua terra di origine si appresta a costruire nelle vicinanze di Venezia
un avveniristico e costosissimo grattacielo alto 245 metri che donerà alla città, ma ci sarà
mai un simile mecenate per il salvataggio della Certosa di Vigodarzere?
II buon senso, l’amore per l’arte e la conservazione delle nostre radici cristiane
salverà la Certosa di Vigodarzere?
(1) Antonio Tolomei fu sindaco di Padova dal 1881 al 1985. Uomo di cultura, si battè per la
salvaguardia della cappella degli Scrovegni e degli affreschi di Giotto. La città di Padova
riconoscente nel 1891 gli intitolò una via del centro storico e gli costruì un monumento accanto alla
cappella degli Scrovegni.
165
Foto aerea giugno 2012
PROPOSTE PER IL RESTAURO E LA GESTIONE DELLA CERTOSA
Anzitutto è doveroso costatare che se la Certosa non è mai stato oggetto
dell’attenzione degli sbandati, questo lo si deve alla costante e appassionata vigilanza del
custode volontario Piergiulio Marcato, dai controlli dei Carabinieri della locale stazione e
della Polizia Locale.
Considerando che la proprietà di opere d’arte, come possono essere la Pietà di
Michelangelo o la Certosa di Pavia, anche se vincolate dal ministero dei Beni Culturali e
166
che l’attuale complesso monastico della Certosa è gravato dello stesso vincolo, solo la
proprietà potrebbe restaurare il monumento che costerebbe oltre 20 milioni di euro, cifra
alquanto consistente, ma cedendo la gestione ad un ente privato, come potrebbero essere
fondazioni bancarie o F.A.I., la proprietà potrebbe delegarne il restauro.
Inoltre ai sensi della legge art. 30, coma 5 del D.L. 185/2008 convertito nella legge
28 gennaio 2009
da la possibilità alle proprietarie della Certosa di costituire una
Fondazione Onlus con la finalità di promuovere, restaurare e valorizzare la Certosa di
Vigodarzere.
La creazione di una Fondazione Onlus permetterebbe di partecipare ai bandi di
concorso per la assegnazione dei fondi messi a disposizione dalla Fondazioni Bancarie e
dalla Comunità Europea, alle assegnazioni del 5% mille delle denuncia dei redditi e alle
donazioni detraibili.
Certamente i tre affreschi dalla facciata della chiesa andrebbero trasferiti dentro la
chiesa al riparo dalle piogge acide.
Ora l’affresco della Madre di Dio prossima al parto è fortemente deteriorato e ha gli
anni contati.
167
Foto di una pagina della Difesa del Popolo del 10 ottobre 2011 - Con la
costituzione di una apposita Onlus si potrebbero ottenere dei contributi per il restauro della
Certosa di Vigodarzere.
168
LA CERTOSA IN FOTOGRAFIA
L’ultimo sopravissuto dei tanti platani che esistevano nel bosco della Certosa (foto
dell’inverno 2010 di Fabio Zotti).
169
Uno dei camini della Certosa
170
“Il pettirosso della Certosa” fotografato ai piedi di un monumentale Platano di almeno tre
secoli, avente un diametro di 6 metri e una altezza di 25.
Foto artistica premiata alla Mostra fotografica di Vigodarzere nel settembre 2009 a cura del
Comitato Spontaneo per la Salvaguardia del Territorio di Vigodarzere. igo sul lato nord, si vede
in mezzo ad un campo uno splendido PLATANO di 300 anni circa, col tronco dalla
circonferenza di 6 metri ed un'altezza di circa 25. Da lì, sull'argine del Brenta si vede
un'altrettanto bella quercia FARNIA, col tronco dalla circonferenza di 4 metri ed
un'altezza di almeno 20.
171
Magico interno della Certosa dipinto di Giuseppe Siccardi (Vigodarzere 2006).
172
Un elegante comignolo della Certosa che richiama gli archetti del campanile ora
inesistente.
173
Un pozzo all’interno della Certosa.
174
Le celle dei monaci certosini collegate da eleganti porticati (lato ovest dell’edificio).
175
La pala dell’altare della chiesa della Certosa. Raffigura S. Brunone fondatore dei Certosini.
176
Facciata della chiesa della Certosa di Vigodarzere: affresco che rappresenta gli angeli che
depongono il corpo di Cristo dalla croce.
177
(La foto di G. Cesaro è del 2010).
178
Ranzato Maria Cattelan davanti alla sua abitazione in via C. Battisti a Vigodarzere, (ultima
dei mezzadri dell’azienda agricola della Certosa e sino al 1994 custode dell’ex complesso
monastico) è tra Pinato Stefano (storico appassionato della Certosa) e Cesaro Giulio -Vigodarzere,
16. 06. 2010.
179
L’ex monastero della Certosa di Vigodarzere immersa nel suo deserto certosino
(foto G. Cesaro del 21 giugno 2011).
180
Il campanile di Vigodarzere visto dall’interno della Certosa. (L. Francato 2011)
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Natale 2011. Artistico presepio della parrocchia di Vigodarzere pone la nascita di. Gesù
accanto alla Certosa.
Presepisti: Giampaolo Torresin, Pierino Ruffato, Daniele Peruzzo e Stefano Tolin.
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ASSOCIAZIONE CULTURALE - NON PROFIT
AMICI PER LA STORIA
C.F 92196590282
Via Vittorio Veneto, 17/A
35010 VIDODARZERE /PADOVA
ITALIA
Info @giuliocesaro.it
www.giuliocesaro.i
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