da Portofino alla
Val d’Aveto
Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta
del Promontorio di Portofino
uffici in viale Rainusso, 1 - S. Margherita Ligure
portofino
Orario: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle ore 12,00
Tel. 0185 289649
Ente Parco Naturale Regionale di Portofino
uffici in viale Rainusso, 1 - S. Margherita Ligure
Orario: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,00 alle ore 12,30
Tel. 0185 289479 – laboratorio terr. Tel 0185 283480
Ente Parco Naturale Regionale dell’Aveto
uffici in via Marrè 75a - Borzonasca – tel. 0185 340311
Orario: dal lunedì al venerdì, dalle ore 8,30 alle ore 12,30
Info - sabato e festivi: 8,30 12,30
Info in via Roma 47 – Rezzoaglio – tel. 0185 870171
Orario: dal venerdì alla domenica, dalle ore 8,30 alle ore 12,30
AREA MARINA PROTETTA
Numeri utili
Carabinieri - tel. 112
Polizia di Stato - tel. 113
Corpo Forestale dello Stato - tel. 15 15
Guardia Costiera - tel. 15 30
Polizia Provinciale - tel. 010 399 32 23
Soccorso Medico - tel. 118
Corpo Vigili del Fuoco - tel. 115
Per segnalare inquinamenti chiama la Guardia Costiera.
Se avvisti un incendio chiama il Corpo Forestale o i vigili del fuoco
Uffici informazione e accoglienza turistica
S. Margherita Ligure - tel. 0185 287485
Portofino - tel. 0185 269024
S. Stefano d’Aveto - tel. 0185 88046
Pro Loco
Camogli - tel. 0185 771066
Ne Val Graveglia - tel. 0185 387022
Rezzoaglio (stagionale) - tel. 0185 870432
Autobus (ATP)
Biglietteria Santa Margherita Ligure - tel. 0185 288 834
Capolinea Chiavari - tel. 0185 373 233
Vaporetti
Società “Golfo Paradiso” (Camogli) – 0185 772091
Servizi Marittimi del Tigullio (S. Margherita L.) – 0185 284670
Società “Alimar” (Genova) – 010 256775
A sinistra dall’alto: neve sulle gemme di un faggio al Passo del Tomarlo (Val
d’Aveto); le cime dei carpini neri in un bosco misto sul Promontorio di Portofino;
la costa meridionale del Promontorio di Portofino sopra Cala degli Inglesi; veduta autunnale di un laghetto sotto il Monte Penna. A destra dall’alto: lo scoglio chiamato “Carega”; l’area marina protetta presso la “Foce” (Porto
Pidocchio); il monte campana sul Promontorio di Portofino; un gruppo di sarpe.
Una natura inaspettata
Questa piccola guida contiene brevi descrizioni degli
ambienti naturali presenti nelle Aree Protette di Portofino e nel Parco Naturale Regionale dell’Aveto.
Si è distinto il patrimonio naturalistico identificando e
definendo gli “ambienti” in modo molto semplice e comprensibile, evitando di descriverli, per quanto possibile,
usando il linguaggio scientifico. Si tratta quindi di un
approccio più “empirico”, basato su osservazioni che
tutti possono fare.
Inoltre, le poche pagine di questa pubblicazione non
sono ovviamente sufficienti a descrivere tutte le specie
viventi nei parchi, per cui si è dato spazio solo a quelle
più appariscenti ed interessanti. Alcune di esse hanno
inoltre areali ampi e, pertanto, la loro localizzazione in
un parco non ne esclude la presenza in un altro.
La natura italiana è tra le più varie e ricche e, se si ha la
pazienza di osservarla con attenzione, ha ben poco da
invidiare alle ben più rinomate “nature” tropicali od
equatoriali. È soprattutto diversa, ma necessita della
stessa tutela.
Gli organismi viventi, con le loro splendide varietà di colori e forme, sono uno dei grandi patrimoni dell’umanità
che va difeso e tutelato. Tuttavia la protezione che viene
assicurata dai parchi e dalle aree protette può non essere sufficiente se non vede la collaborazione e il rispetto di ogni visitatore. È per questo motivo che
ognuno di noi deve sentirsi coinvolto nella tutela della
natura allo scopo di preservarla da azioni scriteriate.
Oggi “biodiversità” è un termine molto usato. Nei tre parchi il concetto che esprime diviene tangibile, favorito
A sinistra dall’alto: airone cenerino (Ardea cinerea);Digitalis purpurea, una
pianta spontanea rara e localizzata nell’area intorno al Monte Penna; rinolofo
minore (Rhinolophus hipposideros); seppia (Sepia officinalis). A destra dall’alto:
lupinella (Onobrychis viciifolia) e farfalla argo (Plebejus argus); papavero rosso
dei campi (Papaver rhoeas); Viola arvensis; saltimpalo (Saxicola torquata).
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dalla varietà di ambienti che deriva da molti fattori
(clima, esposizione e substrato). Si va infatti dal clima
temperato caldo della costa del Promontorio di Portofino
a quello rigido invernale nella parte più interna della Val
d’Aveto. In ogni zona, poi, l’accidentata morfologia del
territorio crea ulteriori situazioni diverse, assolate o ombrose, umide o aride. Non meno importanti i terreni, acidi
o basici o addirittura tossici per molti organismi, come
quelli che derivano dalla degradazione delle serpentiniti.
Così anche le piante e gli animali, nel territorio su cui
ricadono il Parco Naturale Regionale di Portofino e
quello dell’Aveto, trovano ambienti o microambienti più
o meno favorevoli alla loro vita, che formano uno straordinario puzzle senza eguali in Italia e forse al mondo,
quando si sommano a quelli terrestri gli ambienti costieri e sommersi dell’Area Marina Protetta “Portofino”.
Questo opuscolo rappresenta un primo passo per far conoscere a tutti le ricchezze naturali di un territorio
estremamente ridotto ma straordinariamente affascinante, anche per i panorami mozzafiato che regala, diversi in tutti i periodi dell’anno.
Di tutto questo si sono già accorti i numerosi appassionati che hanno messo a disposizione le belle e spesso
rare immagini che si trovano in queste pagine. A tutti
loro va un sincero ringraziamento da parte degli enti
che gestiscono le aree protette.
Per facilitare la lettura, i testi sono stati volutamente
alleggeriti, per quanto possibile, dei nomi scientifici degli
organismi rappresentati nelle immagini, che sono invece
stati inseriti nelle didascalie.
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A sinistra dall’alto: ballerina bianca (Motacilla alba), che predilige stagni ruscelli e talvolta anche rive marine; Gladiolus segetum; il Monte Penna nel
Parco dell’Aveto; Amanita muscaria. A destra dall’alto:un anfratto sommerso;
panorama dal Monte Penna; la costa meridionale del Promontorio di Portofino sopra Cala dell’Oro; una parete sottomarina ricca di organismi, soprattutto gorgonie rosse (Paramuricea clavata).
La natura è sempre stupefacente e non la si può racchiudere in una fotografia né descrivere esaurientemente con una frase, perciò vi invitiamo a scoprire dal
vivo un territorio e un mare che, ve ne potrete rendere
conto, ha caratteristiche uniche e preziose.
Così nell’Area Marina Protetta “Portofino”, oggi riconosciuta a livello internazionale con il prestigioso riconoscimento ASPIM, oltre ad effettuare immersioni sempre
diverse per la presenza di grotte, relitti, reperti archeologici e una miriade di pesci, vi stupirete di fronte a pareti rocciose ricoperte di coralli e grandi gorgonie,
mentre nel Parco Naturale Regionale di Portofino, potrete godere di atmosfere calde e mediterranee, persino
in inverno, circondati da piante che si possono trovare
anche in Nord Africa. Ma il parco nasconde anche piccoli gioielli, grazie alla ricchezza di microambienti, come
avremo modo di vedere.
A pochi chilometri di distanza, il Parco Naturale Regionale dell’Aveto si mostrerà molto diverso. Percorrendo
suggestivi sentieri avrete l’occasione di raggiungere le
vette dei monti principali, passando per aree boscose o
ricche di laghetti glaciali. In alto l’impressione è quella
di trovarsi in un ambiente incontaminato, con la flora
ricca di specie particolari o alpine, in parte differente da
quella di altre zone appenniniche.
In un territorio come la Riviera Ligure di Levante, sono
certamente luoghi rinomati come Portofino ad attirare
la maggioranza dei turisti. La natura passa spesso inosservata anche se è incredibilmente varia e ricca.
Per questo vale la pena visitare i nostri parchi… non ve
ne pentirete!
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A sinistra dall’alto: corallo rosso (Corallium rubrum); crociere (Loxia curvirostra), uccello tipico dei boschi di conifere montani; Galactites tomentosa;
Serpula vermicularis. A destra dall’alto: Phyteuma scorzonerifolium; Lamium
maculatum; martin pescatore (Alcedo atthis); Geranium columbinum.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
L’Area Marina Protetta “Portofino”; la natura straordinaria del Mar Mediterraneo
Il mondo marino sa essere sorprendente. Per iniziare a
scoprirlo è sufficiente percorrere la costa dell’area marina protetta, dove si ha modo di osservare delicati microambienti dai fragili equilibri, ricchissimi di specie
viventi. Più in basso, nei fondali marini, che si possono
raggiungere in apnea o con l’ausilio di autorespiratore,
meglio se accompagnati da guide esperte messe a disposizione da centri subacquei, si rimane letteralmente
affascinati da ambienti popolati da una moltitudine di
organismi diversi e colorati. I pesci, tra questi, ci avvolgono sempre e in gran numero, soprattutto le cernie
sono sempre presenti durante ogni immersione.
I vegetali della costa
Sulle rocce costiere, poco sopra il livello del mare, le coperture di terra sono scarse o assenti; per questo motivo
i vegetali si sviluppano in condizioni estreme, dovendo
inoltre, per molti mesi all’anno, fare a meno degli apporti
idrici. Gli alberi, prevalentemente lecci e pini d’Aleppo,
possiedono adattamenti particolari: foglie con cuticola
impermeabile e stomi che vengono mantenuti chiusi nei
periodi sfavorevoli per ridurre la traspirazione. Queste
piante vivono solitamente fasi di quiescenza sino al sopraggiungere delle stagioni piovose.
Per far fronte alla mancanza d’acqua, alcune piante erbacee hanno foglie carnosette e ricche di liquidi, come
quelle del finocchio di mare, o glaucescenti (bianco verdastre), come quelle della cineraria marittima, che limitano l’assorbimento dei raggi solari da parte dei tessuti,
A sinistra dall’alto: un’immagine del fronte meridionale del Promontorio di
Portofino; un pino d’Aleppo (Pinus halepensis) cresciuto sulla roccia; finocchio di mare (Crithmum maritimum); cineraria marittima (Senecio bicolor).
A destra dall’alto: euforbia arborea (Euphorbia dendroides); fiordaliso tirreno
(Centaurea aplolepa); lino d’acqua (Samolus valerandi); statice ligure (Limonium cordatum).
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
anche grazie ad una fitta peluria biancastra isolante.
Altre piante, per ridurre la traspirazione, producono essenze volatili che, evaporando, creano uno strato di separazione tra le foglie e l’atmosfera o, ancora, come
l’euforbia arborea, sono soggette al fenomeno dell’estivazione, ossia perdono le foglie in estate, permanendo
sino all’autunno in uno stato di riposo.
Tra le piante più diffuse lungo la costa, il fiordaliso tirreno, il dauco marino, il teucrio giallo e il cappero (Capparis spinosa).
Particolari e poco comuni, il ginestrino delle scogliere e
il piccolo lino d’acqua, che predilige ambienti umidi e
salmastri dove sia sempre presente una percentuale di
sali nel terreno. Presso Punta Chiappa si trova una pianta
particolare, lo statice ligure, che, a tarda primavera, si
copre di piccoli fiori lilla. Questa specie presenta, sul Promontorio di Portofino, il limite orientale del suo areale.
A pochi metri dal mare, nelle fessure degli scogli non colpiti dalle onde, si insediano anche graminacee, come la
lisca (Ampelodesmos mauritanicus) e altre specie di taglia inferiore.
In alcune zone, come intorno alla spiaggia di Niasca, le
coperture di terra si trovano già a 150 cm sopra il livello
del mare. Su di esse si sviluppano erbe e specie arbustive
comuni nella macchia mediterranea. In questo luogo le
piante di leccio crescono vicino alla riva e sotto di esse
possono svilupparsi corpi fruttiferi di funghi che non risentono per nulla della vicinanza con il mare.
Anche i licheni sono ben rappresentati e colonizzano le
rocce con specie dei generi Xanthoria, Caloplaca e Lecanora, dai talli di colore vivace. Le specie del genere
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A sinistra dall’alto: ginestrino delle scogliere (Lotus cytisoides); l’insetto predatore Rhinocoris iracundus a caccia sopra un fiore di dauco marino (Daucus
gingidium); teucrio giallo (Teucrium flavum); borraccina bianca (Sedum
album). A destra dall’alto: valeriana rossa (Centranthus ruber); fiore di fico
d’India (Opuntia ficus-indica). Questa specie si è inselvatichita a Punta
Chiappa; il corpo fruttifero di un fungo (Russula sp.), cresciuto a due passi
dal mare in località Niasca; il lichene Verrucaria symbalana.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
Verrucaria, che si trovano nella zona del bagnasciuga,
formano patine nerastre sugli scogli ed hanno sviluppato
adattamenti per sopravvivere nelle aree bagnate dalle
acque marine.
Gli animali della costa
L’ambiente costiero, arido e assolato, favorisce la presenza di piccoli rettili, come i gechi e le lucertole muraiole, e, talvolta, di qualche biscia, come il biacco. Nelle
grotte e negli anfratti che si aprono dal livello del mare
sino a qualche metro di altezza, trovano rifugio, oltre che
diverse specie di insetti, anche alcuni pipistrelli. Lungo la
costa capita a volte di osservare qualche capra, ormai inselvatichita, muoversi sulle rocce alla ricerca di sale, concentrato in qualche pozza, da integrare alla dieta.
Gli uccelli marini sono rappresentati dal gabbiano comune,
presente dall’inverno sino alla primavera, dal gabbiano
reale mediterraneo, l’unico nidificante, dall’occasionale
gabbiano corallino e dal raro gabbiano corso.
Questi uccelli, per liberarsi del sale in eccesso assunto
con la loro dieta, possiedono una speciale ghiandola attraverso la quale possono espellerlo sotto forma di cristalli, talvolta visibili, a lato del becco.
In inverno sono diffusi i cormorani e i giovani marangoni
dal ciuffo, che si vedono spesso appollaiati sugli scogli costieri. Si osserva comunemente anche il beccapesci, capace
di tuffarsi a capofitto in acqua per catturare piccoli pesci.
Uccelli immaturi appartenenti alle prime due specie possono essere avvistati anche in estate.
Le ripide falesie del fronte meridionale del Promontorio di
Portofino ospitano alcune coppie di falco pellegrino, animale che riesce a predare gli uccelli in volo, favorito dalla
A sinistra dall’alto: licheni appartenenti ai generi Caloplaca (giallo aranciato)
e Lecanora (grigio); lucertola delle muraglie (Podarcis muralis); capre inselvatiche; gabbiani comuni (Larus ridibundus) fotografati in inverno. Il “cappuccio” è un residuo della livrea estiva. A destra dall’alto: gabbiano reale
mediterraneo (Larus michahellis); gabbiano corallino (Larus melanocephalus); gabbiano corso (Larus audouinii); cormorano (Phalacrocorax carbo).
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
sua velocità impressionante. In picchiata può raggiungere
i 350Km/h, giungendo sulle sue prede e uccidendole sul
colpo. Lungo le pareti rocciose si può osservare anche il
corvo imperiale (Corvus corax), un animale di medie dimensioni dal piumaggio completamente nero, che preda
uccelli, piccoli mammiferi e molluschi, non disdegnando
di cibarsi anche di carogne.
Tra gli uccelli che vivono in mare aperto, nelle acque costiere si incontra talvolta la berta minore (Puffinus yelkouan), mentre la berta maggiore compare
occasionalmente durante la sua migrazione. Altri piccoli
uccelli che trovano rifugio lungo la costa sono il passero
solitario, di colore grigio e azzurro, e il rondone pallido
(Apus pallidus), che si rifugia nelle spaccature delle alte
falesie. Curiosa la presenza del picchio muraiolo, che predilige le pareti di roccia, dove esplora ogni fessura alla
ricerca di uova e larve di insetti. Da citare ancora alcuni
uccelli che occasionalmente si osservano nelle acque
dell’area marina protetta; sono la gazza marina, il pulcinella di mare (Fratercula arctica), la sula (Morus bassanus) e l’orco marino (Melanitta fusca). Si tratta di specie
nordiche che nel periodo migratorio e in inverno possono
essere oggetto di inconsueti avvistamenti.
Lungo le scogliere svolazzano spesso molte farfalle, come
la cedronella (Gonepteryx cleopatra) e la vanessa del
cardo. Quest’ultima in primavera appare quasi improvvisamente con un numero elevatissimo di esemplari,
giunti dall’Africa dopo una lunga migrazione.
Soprattutto a Punta Chiappa sono diffusi anche piccoli
molluschi del genere Solatopupa, che si muovono sul conglomerato solo nelle giornate umide, rimanendo altrimenti
tra le spaccature della roccia, rinchiusi nel loro guscio.
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A sinistra dall’alto: giovane marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis);
beccapesci (Sterna sandvicensis); falco pellegrino (Falco peregrinus); picchio
muraiolo (Tichodroma muraria). A destra dall’alto: berta maggiore (Calonectris diomedea); passero solitario (Monticola solitarius); gazza marina (Alca
torda); una coppia di Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus). Questi uccelli giungono talvolta sulla costa dell’area protetta.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
Le pozze di scogliera
Negli incavi e nelle depressioni che si trovano sopra le
rocce lungo la costa si raccoglie l’acqua piovana e, vicino
al mare, nelle piccole cavità, si può accumulare anche
l’acqua degli spruzzi delle onde create dal mare agitato.
In questo secondo caso, talvolta, l’evaporazione continua fa concentrare i sali presenti nell’acqua, favorendo
il formarsi di cristalli cubici di cloruro di sodio.
Questi microambienti possono ospitare coleotteri appartenenti a specie del genere Ochthebius, molto piccoli (lunghezza circa 2 mm) e poco comuni, che vivono
sul fondo delle pozze nutrendosi di alghe microscopiche
e detriti e respirando grazie ad un “film” di aria, immagazzinato sul ventre dopo aver nuotato a “testa in su” a
pelo d’acqua. Quando le piccole depressioni tendono a
prosciugarsi, i coleotteri possono volare via alla ricerca
di nuovi siti.
Nell’acqua possono vivere anche piccolissimi copepodi,
crostacei che hanno anch’essi, come i coleotteri, cicli di
sviluppo legati alla permanenza dell’acqua nella pozza.
Prima della completa evaporazione dell’acqua, formano
delle cisti di color arancio sul fondo, per sopravvivere al
loro interno in una fase di quiescenza sino al sopraggiungere di nuove condizioni favorevoli.
Talvolta le pozze di acqua salmastra sono il luogo ideale
per lo sviluppo di alcune larve di zanzara, come quelle
della specie Aedes mariae, adattate a compiere parte
del loro ciclo vitale in questi microambienti.
Le pozze di marea
Vicino alla superficie marina, alcune pozze risentono
A sinistra dall’alto: vanessa del cardo (Vanessa carduii) posata sui fiori di
Senecio bicolor; una piccola lumaca (Solatopupa sp.) sulle rocce a Punta
Chiappa; cristalli di cloruro di sodio in una pozza di scogliera; Ochtebius sp.
(adulto e larva) in una pozza di acqua salmastra. A destra dall’alto: una pozza
di marea; l’alga Champia parvula, un piccolo riccio e il minuscolo mollusco
prosobranco Elysia viridis, all’interno di una pozza di marea.
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
dell’influsso della marea che ritmicamente le collega al
mare. Questi ambienti divengono quindi, per ore, piccoli
“acquari” isolati dal mare, capaci di ospitare numerosissime specie viventi che si possono ritrovare anche sui
fondali circostanti, ma che qui crescono, spesso con dimensioni ridotte, ammassate le une alle altre. Tra le
alghe più comuni troviamo Corallina elongata, Dyctiota
dicotoma, Champia parvula, dai talli a ciuffo, e talvolta,
come a Punta Chiappa, anche Cystoseira compressa.
Oltre alle numerose specie di alghe, si trovano piccoli
ricci, molti molluschi, diverse specie di anemoni tra le
quali Cereus pedunculatus, che, se disturbato, ritira i
tentacoli, mostrando il mantello esterno dove sono inglobati piccoli granelli di roccia. Sono piuttosto comuni
anche pesciolini tipici di questi ambienti riparati, come
la bavosa galletto (Coryphoblennius galerita) ed una
specie simile: la bavosa dalmatina.
La bavosa galletto ha la capacità di muoversi persino
all’asciutto, spostandosi da una pozza all’altra grazie al
muco che ricopre la sua pelle e che le consente di trattenere l’acqua, evitando la disidratazione.
Nelle pozze vivono anche granchi e piccoli gamberi trasparenti. Questi ultimi sono in grado di resistere alle
temperature molto elevate che può raggiungere l’acqua
nei periodi estivi.
Le alghe lungo la costa
Sugli scogli bagnati dal mare vivono numerose alghe,
alcune delle quali adattate a condizioni di frequente
emersione. Il loro sviluppo è contenuto o quasi nullo durante l’inverno e maggiore nel periodo primaverile
estivo. Tra le alghe che si incontrano di frequente nella
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A sinistra dall’alto: l’anemone Cereus pedunculatus; l’anemone Aiptasia diaphana; bavosa dalmatina (Lipophrys dalmatinus); il gambero Palaemon elegans, un tipico abitante di pozze di marea e delle acque litorali. A destra
dall’alto: un mollusco vermetide in una pozza di marea; le alghe: Cystoseira
compressa, Rissoella verruculosa e Lithophyllum lichenoides.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
zona di marea vi sono Rissoella verruculosa, Ralfsia
verrucosa e Lithophyllum lichenoides, che produce talli
calcificati che possono formare estesi concrezionamenti
anche cospicui, simili a passerelle aderenti alla scogliera,
chiamati “trottoir” (marciapiedi). Lungo la costa del Promontorio di Portofino, tuttavia, non riescono a formarsi
vistose concrezioni.
Appena sotto, sono comuni alcune specie come Corallina elongata e Stypocaulon scoparium. Altre alghe diffuse sono Colpomenia sinuosa, chiamata alga a
palloncino, Jania rubens, dai talli morbidi che ondeggiano al moto ondoso, Valonia utricularis e Sargassum
vulgare, con le caratteristiche vescicole piene di gas che
permettono di galleggiare alla parte apicale dei talli.
La maggiore presenza di nutrienti nella bella stagione,
anche derivante da un lieve aumento della trofia delle
acque, favorisce la proliferazione delle alghe verdi, come
la “lattuga di mare” (Ulva rigida), che tendono a consumare i nutrienti in eccesso.
Lungo tutto il fronte sud del Promontorio di Portofino
si trovano inoltre ampie coperture di diverse specie di
alghe del genere Cystoseira, individuate come indicatori
ambientali in quanto molto sensibili all’inquinamento.
Sono anche definite “costruttrici di habitat” perché tra
le loro fronde esistono condizioni ottimali per la vita di
numerosi piccoli organismi.
Gli animali tra gli scogli
Sopra gli scogli emersi si possono osservare frequentemente piccoli crostacei della specie Ligia italica, che
fuggono rapidi o si “tuffano” in acqua al primo accenno
di pericolo.
Anche alcuni molluschi fanno la spola tra la parte
A sinistra dall’alto: Corallina elongata; Colpomenia sinuosa; Jania rubens;
Valonia utricularis. A destra dall’alto: Sargassum vulgare; Ulva sp.; il piccolo
crostaceo Ligia italica; una patella. A sinistra nella foto si nota una littorina
(Melaraphe neritoides).
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
emersa e quella sommersa, soprattutto gli esemplari di
littorina, che non superano il centimetro di lunghezza.
Quando sono fuori dall’acqua permangono nelle piccole
raccolte di liquido che si formano nelle fessure, per poi
spostarsi quando le condizioni più favorevoli consentono
loro di “brucare” i licheni presenti sulle rocce. Si tratta
in fondo di un comportamento eccezionale per un animale marino, abituato a cibarsi di organismi terrestri.
In modo simile, nella zona periodicamente bagnata dal
mare o poco più in basso, giungono alcune specie di patelle, come Patella coerulea e Patella ulyssiponensis e
altri molluschi, come Monodonta turbinata e Stramonita haemastoma che si ciba di cirripedi. Nella zona costantemente bagnata dalle acque marine sono talvolta
presenti mitili e chitoni, questi ultimi con la conchiglia
formata da una serie di placche.
I crostacei sono rappresenti da granchi e piccoli paguri,
capaci di muoversi anche fuori dall’acqua, da gamberi,
ma anche dai cirripedi, che rimangono aderenti alla roccia al sicuro nel loro guscio a forma di vulcano, estroflettendo i cirri per cibarsi solo quando il mare li
sommerge. Sott’acqua sono frequenti gli echinodermi,
con ricci e stelle marine. Una delle più diffuse è la stella
marina spinosa minore.
Gli anemoni sono rappresentati da diverse specie come
l’anemone gioiello (Corynactis viridis), che vive costantemente immerso, e il pomodoro di mare, così chiamato
per la forma assunta quando, durante l’emersione, ritrae
i tentacoli.
Tra i pesci che si nascondono e vivono in mezzo alle
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A sinistra dall’alto: il mollusco Monodonta turbinata; granchio corridore (Pachygrapsus marmoratus); crostacei cirripedi del genere Chthamalus. Questi
animali quando sono emersi si ritraggono nel “guscio” a forma di vulcano
che hanno prodotto; il piccolo paguro zamperosse (Clibanarius erythropus).
A destra dall’alto: pomodoro di mare (Actinia equina); stella marina spinosa
minore (Coscinasterias tenuispina); peperoncino rosso (Tripterygion melanurus); peperoncino giallo (Tripterygion delaisi) in livrea maschile, una specie
che vive solitamente più in profondità rispetto a quelli rossi.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
alghe sommerse ancorate agli scogli, o vi nuotano sopra,
possono trovarsi i peperoncini rossi (Tripterygion tripteronotus e Tripterygion melanurus), alcune specie di
blennidi, come la bavosa crestata, e di labridi, come il
tordo verde e le donzelle.
Nei fondali in riva al mare
Più in basso nei fondali di ciottoli, anche a pochi decimetri di profondità, si osservano pesci molto singolari:
sono i succiascoglio del genere Lepadogaster. Questi
piccoli organismi non sono più lunghi di 4-5 cm e vivono
nascosti sotto le pietre o negli interstizi dei ciottoli più
grandi, ai quali aderiscono grazie ad un disco che hanno
sul ventre.
Nella sabbia vivono invece vermi policheti come Sabellaria alveolata e Arenicola marina, che ingurgita di
continuo i granelli per assorbire i detriti di cui si ciba.
I fondali sabbiosi ospitano molluschi bivalvi, come arselle e vongole, e ancora pesci come le tracine, i dragoncelli, i ghiozzi e forme giovanili di rombo di rena
(Bothus podas).
I fondali ad alghe fotofile
Tra mezzo metro e dieci metri circa di profondità, sulle
scogliere sommerse e ben illuminate dai raggi solari che
penetrano nelle acque, si sviluppano numerose alghe.
Molto diffuse Dictyota dichotoma, Dictyopteris membranacea, Sargassum vulgare, Codium bursa, Ulva rigida, alcune specie di Cystoseira ed altre alghe
corallinacee erette come Amphiroa rigida. Talvolta si
può osservare anche Sphaerococcus coronopifolius,
un’alga dal bel colore rossastro. Nelle zone più riparate
dai moti del mare possono trovarsi Padina pavonica e
A sinistra dall’alto: bavosa crestata (Scartella cristata); un tordo verde (Symphodus roissali); i succiascoglio (Lepadogaster lepadogaster e Lepadogaster candolii); una tracina (Trachinus draco). A destra dall’alto: ghiozzo testone (Gobius
cobitis); Dictyota dichotoma; l’alga a palla (Codium bursa); Padina pavonica.
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
talvolta Acetabularia acetabulum.
Molte di queste alghe si ritrovano spesso, solitamente
con taglia ridotta, anche nelle pozze di marea. L’aspetto
di questi fondali è spesso uniforme, perché le alghe ricoprono le rocce di un manto verde brunastro piuttosto
omogeneo. Ciò però non deve far immaginare un luogo
dove la vita animale scarseggia. Al contrario essa viene
stimolata sia dalla ricchezza di cibo che di rifugi; un vero
e proprio paradiso per i pesci erbivori ed i piccoli di
molte specie.
Tra gli animali che vivono in questo ambiente si incontrano alcuni poriferi (spugne) come Spirastrella cunctatrix, Crambe crambe, Chondrosia reniformis, Chondrilla
nucula e Clathrina cerebrum.
Sono spesso presenti anche molluschi; dal bivalve Arca
noae al comunissimo polpo, ed echinodermi.
I più comuni sono le stelle marine della specie Echinaster sepositus, che si avventurano anche a bassissime
profondità, e i ricci di mare, che trovano in questo fondale, ricco di cibo vegetale, il luogo ideale in cui vivere.
In mezzo alle alghe spuntano spesso anche le appendici
multicolori degli anellidi policheti.
Tra i crostacei sono piuttosto diffusi i paguri dei generi
Pagurus e Dardanus, che proteggono le loro parti molli
all’interno dei gusci di vari molluschi, sui quali trasportano anemoni. Comuni anche granchi e altri decapodi,
come la grancevola piccola, che di solito ha il carapace
ricoperto di alghe e in questa maniera riesce a mimetizzarsi. Le alghe si insediano sul suo dorso come su di
un piccolo sasso, perchè l’animale rimane fermo a lungo
dando il tempo ai vegetali di germinare e proliferare.
Oltre a cnidari idroidi del genere Eudendrium, cibo prin-
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A sinistra dall’alto: alga ad ombrellino (Acetabularia acetabulum); poriferi.
A sinistra Chondrosia reniformis e a destra Chondrilla nucula; il mollusco bivalve Arca noae completamente ricoperto dal porifero Crambe crambe; stella
rossa (Echinaster sepositus). A destra dall’alto: il paguro (Dardanus calidus);
grancevola piccola (Maja crispata) su alghe della specie Padina pavonica;
Anemonia viridis; Eunicella singularis.
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portofino
cipale di molti variopinti nudibranchi, sui fondali sono
piuttosto comuni gli anemoni della specie Anemonia viridis, la piccola gorgonia Eunicella singularis e il madreporario Cladocora coespitosa. Vicino ad Anemonia
viridis si possono solitamente osservare i piccoli gamberetti della specie Leptomysis mediterranea, una delle
principali prede dei cavallucci marini. Talvolta gli anemoni ospitano i “gamberetti fantasma”, piccoli e quasi
invisibili, e i “granchi ragno”, che sembrano non risentire
affatto della vicinanza all’animale urticante. Sotto i tentacoli invece trova spesso rifugio un piccolo pesce: il
ghiozzo rasposo.
Nell’ambiente caratterizzato dalla preponderante presenza delle alghe, molti organismi contendono ad esse
lo spazio sul fondale in maniera più o meno accentuata.
Sono soprattutto poriferi e cnidari, come quelli citati.
Questi animali sessili, cioè fissi al substrato o, nel caso
degli anemoni, capaci soltanto di effettuare piccoli movimenti sul fondale, accolgono nei tessuti, in un tipico
esempio di simbiosi, dei cianobatteri, i primi, o microscopiche alghe unicellulari, i secondi; simbionti che conferiscono loro i caratteristici colori e cedono zuccheri in
cambio di protezione.
In questi fondali si muovono anche numerosi pesci di
piccola taglia o giovani, che utilizzano spesso l’ambiente
delle alghe fotofile per nascondersi. Tra essi soprattutto
alcune specie di labridi come la donzella, il tordo pavone
e il tordo comune (Labrus viridis). Comuni anche i serranidi con lo sciarrano e la perchia.
Altri pesci molto diffusi sono i saraghi delle quattro specie principali: sarago fasciato, sarago maggiore, sarago
puntazzo, sarago sparaglione (Diplodus annularis), le
A sinistra dall’alto: madreporario Cladocora coespitosa; gamberetto fantasma
freccia (Periclimenes aegylios); granchio ragno (Inachus phalangium); ghiozzo
rasposo (Gobius bucchichi). A destra dall’alto: donzella (Coris julis), livrea maschile; donzella pavonina (Thalassoma pavo), livrea femminile; tordo pavone
(Symphodus tinca), livrea di giovane maschio; sciarrano (Serranus scriba).
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occhiate, le sarpe, e numerose specie di bavose e ghiozzi.
Le sarpe sono pesci erbivori e pertanto strettamente legati a questo ambiente o a quello di prateria di fanerogame (Posidonia oceanica).
Particolari abitanti di questi fondali sono i “ragni di mare”,
chelicerati molto piccoli, parenti stretti degli scorpioni e
dei ragni, che hanno sembianze simili a questi ultimi. Alcuni vivono associati a colonie di idroidi del genere Eudendrium. Sono animali parassiti e si nutrono dei tessuti
dell’idroide, depositando le loro larve all’interno dei polipi
dove termineranno lo sviluppo a spese dell’ospite.
La prateria di posidonia
Posidonia oceanica, a differenza delle alghe, è una
pianta superiore (fanerogama) che possiede radici e foglie e produce fiori e frutti. Si sviluppa creando praterie
sottomarine in zone illuminate dai raggi solari, a profondità comprese tra pochi decimetri dalla superficie del
mare sino, in casi di elevata trasparenza delle acque,
a -40/-50 metri.
Si tratta di una pianta molto importante per la vita marina perché, oltre a produrre ossigeno, smorza l’azione
delle onde limitando l’erosione delle coste. Ospita inoltre
numerosi organismi ed in particolare molti giovani pesci
che, dopo la schiusa delle uova, trovano cibo e protezione
tra le sue foglie.
Lungo quasi tutto il fronte meridionale del Promontorio
di Portofino si trovano coste rocciose a picco sul mare,
che, anche nella loro parte sommersa, mantengono inclinazioni accentuate. Si tratta di condizioni limitanti
per la formazione di praterie, in grado di svilupparsi, invece, all’interno delle baie e lungo i versanti di ponente
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A sinistra dall’alto: un branco di saraghi fasciati (Diplodus vulgaris); sarago
maggiore (Diplodus sargus); sarago pizzuto (Diplodus puntazzo); occhiata
(Oblada melanura). A destra dall’alto: perchia (Serranus cabrilla); sarpe
(Sarpa salpa); il muso di una bavosa gattoruggine (Parablennius gattorugine);
Parablennius pilicornis.
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e levante, dove il pendio dei fondali risulta più dolce. In
queste zone comunque la prateria non raggiunge mai
estensioni rilevanti, spingendosi al massimo sino
a -30/-35 metri di profondità.
Alcune volte piccoli lembi di prateria si sviluppano anche
su roccia, ma solo dove questa si trova abbastanza vicino alla superficie ed ha limitata inclinazione.
In alcune zone le praterie hanno risentito dell’aumento
della torbidità delle acque e pertanto già a medie profondità sono divenute sofferenti o sono addirittura
scomparse, lasciando un tappeto di rizomi morti su cui
si sono insediati organismi come alghe e anemoni.
In situazioni ottimali, l’ambiente di prateria, come detto,
ospita numerosissime specie diverse di organismi, non
solo quelli tipicamente ubiquitari che si spostano sul
fondale. Ogni piccolo interstizio all’interno della biocenosi (comunità di organismi) viene colonizzato. Le foglie
nastriformi, lunghe talvolta oltre il metro, sono spesso
abitate da microscopici animali che trovano protezione
e nutrimento, riuscendo a mimetizzarsi abilmente con
il colore della lamina fogliare. Nei punti dove l’illuminazione è carente, per via della copertura fogliare, come
vicino ai rizomi della pianta, sono spesso presenti anche
specie che rifuggono la luce (sciafile).
Ai limiti della prateria esistono talvolta coperture algali. In
particolare in alcune zone è presente Caulerpa prolifera,
un’alga indigena “parente” delle specie alloctone o aliene
C. taxifolia e C. racemosa, che stanno invadendo vaste
aree del Mediterraneo.
Nella prateria i molluschi sono assai diffusi con specie
come il polpo, la polpessa, di colore rossastro e dimensioni
inferiori, la seppia (Sepia officinalis), e con numerose altre
A sinistra dall’alto: un piccolissimo picnogonide ingrandito; Caulerpa prolifera al margine di una prateria; ovari di Posidonia oceanica; un piccolo scorfano nero (Scorpaena porcus) sopra le foglie della pianta. A destra dall’alto:
il piccolo succiascoglio di prateria (Apletodon incognitus); un piccolo esemplare di Alicia mirabilis su una foglia; il crostaceo Idotea hectica; la stella
marina Asterina gibbosa.
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appartenenti alla classe dei gasteropodi. Infossato nel fondale tra i rizomi delle piante è abbastanza comune il grosso
bivalve Pinna nobilis, che raggiunge età e dimensioni ragguardevoli.
I pesci sfruttano la prateria in maniera diversa: ad esempio
la castagnola nel periodo riproduttivo costruisce dei “nidi”
nei fondi ghiaiosi o a livello dei rizomi delle piante, mentre
la sarpa si nutre dei tessuti vegetali; il suo morso semicircolare e molto preciso è riconoscibile sulle lamine fogliari.
I piccoli organismi epibionti, cioè quelli che vivono sopra
le foglie, ne colonizzano vaste aree. Alcune specie vi si insediano stabilmente, come gli idroidi, mentre altre sono
mobili, come anemoni, crostacei e piccolissimi pesci.
Anche le foglie della Posidonia oceanica, come quelle di
molte piante, in autunno-inverno appassiscono e si distaccano in gran numero, quasi strappate dalla violenza delle
numerose mareggiate stagionali. Le onde le trasportano
sulle spiagge, dove si accumulano insieme ai frammenti
dei rizomi. Alcune delle fibre vegetali vengono disgregate
in mare dal moto ondoso e riorganizzate in palline ovoidali
di tutte le dimensioni, chiamate egagropile, che si possono
trovare sulla battigia.
Sulle spiagge numerosi insetti si nutrono dei resti degli organismi animali (epibionti) che aderiscono ai detriti vegetali; tra essi il dittero Fucellia marittima.
Nell’Area Marina Protetta di Portofino è presente anche
un’altra fanerogama marina, Cymodocea nodosa, meno
diffusa rispetto a Posidonia oceanica, che forma praterie
in cui le piante sono più rade e più esili.
Il coralligeno
Nelle pareti sommerse, scarsamente illuminate, al di
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A sinistra dall’alto: l’idroide Sertularia perpusilla sopra una foglia di Posidonia
oceanica; Pinna nobilis; particolare del muso di castagnola bruna (Chromis
chromis); un ippocampo (Hippocampus guttulatus). A destra dall’alto:
un’egagropila; il piccolo dittero Fucellia maritima; piante di Cymodocea nodosa; le alghe Lithophyllum strictaeforme (rosa) e Peyssonnelia rubra (rossa).
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sotto dei 20-30 metri di profondità, si sviluppa una biocenosi (insieme di organismi viventi) molto particolare,
chiamata coralligeno. In essa si trovano organismi che
“costruiscono” ed altri che “demoliscono”. I costruttori
producono scheletri calcarei che si sovrappongono alla
roccia o ad altri scheletri preesistenti, creando così condizioni favorevoli per la vita di una fauna sessile (che si
fissa ad un substrato).
Il bioconcrezionamento creato dai costruttori può arrivare, con il tempo, a raggiungere spessori di oltre un
metro e si origina dagli scheletri di alcune specie di alghe
rosse calcaree della famiglia delle Corallinacee, come Lithophyllum strictaeforme, e delle Peyssonelliacee, come
Peyssonnelia squamaria, che crescono con il tallo aderente al substrato e le fronde sovrapposte le une alle
altre. Queste alghe colonizzano le rocce creando la situazione ideale per la vita degli organismi biodemolitori
e per quella dei costruttori secondari.
Gli animali biocostruttori contribuiscono anch’essi all’accrescimento degli strati calcarei e sono soprattutto briozoi
e cnidari scleractinari. Specie relativamente diffuse sono
Leptopsammia pruvoti, Caryophillia smithii e Balanophyllia europaea, ma soprattutto la prima specie produce
scheletri sviluppati in altezza e molto robusti.
Tra i responsabili della costruzione del coralligeno vi è
anche il corallo rosso, che si sviluppa in zone poco illuminate. Si può trovare a grandi profondità, dove la quantità di luce che penetra è decisamente scarsa, oppure non
lontano dalla superficie, ma solo in grotte ed anfratti poco
illuminati. Il corallo è un organismo coloniale. Ogni colonia è ramificata e costituita da un insieme di polipi, inA sinistra dall’alto: gorgonia rossa (Paramuricea clavata); polipi di Leptopsammia pruvoti cresciuti insieme a corallo rosso (Corallium rubrum); il briozoo Reteporella septentrionalis; il mollusco chiamato “vacchetta di mare”
(Discodoris atromaculata) intenta a cibarsi di un porifero (Petrosia ficiformis).
A destra dall’alto: un piccolo “re di triglie” (Apogon imberbis) vicino alla
gorgonia gialla (Eunicella cavolinii); i molluschi opistobranchi: Hypselodoris
tricolor, Hypselodoris picta e Chromodoris luteorosea.
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portofino
terconnessi tra loro all’interno dello scheletro. I polipi,
grazie ai loro tentacoli, riescono a catturare gli organismi
planctonici. Nel coralligeno che si è sviluppato lungo le
falesie sommerse del Promontorio di Portofino, sono diffuse anche numerose gorgonie gialle e rosse, due specie
che possono arrivare a ricoprire interi costoni di roccia.
Come il corallo, anche le gorgonie vivono fissandosi alla
roccia, e formano grandi ventagli disposti perpendicolarmente alla corrente dominante. Gli scheletri di questi animali non sono costituiti da calcare bensì da una sostanza
proteica, detta gorgonina, che li rende flessibili.
È piuttosto comune che i loro “rami” vengano colonizzati
da diversi organismi, come vermi, idroidi e molluschi. Tra
i molluschi, alcuni si nutrono dei tessuti e dei polipi delle
gorgonie.
Altri animali poi, come piccoli squali chiamati gattucci
(Scyliorhynus stellaris e S. canicula), depongono le uova
attaccandole ai rami delle gorgonie, forse affinché gli embrioni si possano sviluppare in condizioni di ossigenazione
ottimale. L’attività dei costruttori è contrastata dai distruttori o demolitori. La loro azione garantisce la presenza di un elevato numero di esseri viventi nella
biocenosi, in quanto genera nuove cavità e superfici di
impianto, adatte a particolari specie, nonché microhabitat, presto occupati da molti piccoli organismi che vivono
nascosti, cercando di passare inosservati (criptici).
Gli organismi biodemolitori sono rappresentati da animali
detti macroperforatori, come ricci, molluschi, spugne e
alcuni pesci, ma anche da alghe, funghi e batteri, detti
microperforatori.
I ricci e i molluschi chitoni sono erbivori ed hanno apparati boccali in grado di “grattare” anche le alghe
molto dure. Le spugne invece corrodono il substrato,
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A sinistra dall’alto: il mollusco Janolus cristatus; un chitone (Chiton olivaceus); il porifero Dysidea avara; cernia bruna (Epinephelus marginatus). A
destra dall’alto: alcune castagnole rosse (Anthias anthias); mostella (Phycis
phycis); aragosta (Palinurus elephas); magnosa (Scyllarides latus).
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infossandosi all’interno di esso. Altri molluschi si insinuano nel substrato scavando gallerie negli scheletri
di altri organismi o nella roccia stessa; è il caso di Gastrochaena dubia.
In questo ambiente, come tra le alghe fotofile, vivono
anche piccoli nudibranchi, molluschi senza conchiglia,
dalle livree sgargianti, che si cibano di idroidi. Sono capaci
di immagazzinare nei loro tessuti le sostanze urticanti
degli idroidi stessi, divenendo immangiabili per i loro potenziali predatori.
Il coralligeno, grazie alla presenza di numerosi anfratti,
ospita inoltre molti pesci e crostacei di grandi dimensioni, come cernie, murene, corvine, aragoste, magnose
ed astici (Homarus gammarus). Non mancano i piccoli
pesci, rappresentati soprattutto da castagnole rosse e
dal “re di triglie”.
Ancora, tra i molluschi, va ricordato il polpo, animale straordinariamente intelligente che si trova in tutti gli ambienti marini, ma che, in questi fondali, appare con
esemplari di dimensioni ragguardevoli. Il polpo ha grandi
capacità mimetiche ed è in grado di imitare il colore del
fondo marino su cui si trova, spesso però non sfugge ai
suoi peggiori predatori: la cernia e la murena. Quest’ultima solitamente si accontenta di qualche tentacolo, che
distacca al mollusco, dopo averlo azzannato, compiendo
veloci giravolte su se stessa. Non è raro infatti incontrare
polpi con tentacoli amputati che con il tempo possono
poi ricrescere.
I fondali profondi
In corrispondenza ad alcuni limiti esterni dell’Area Marina Protetta di Portofino (Punta del Faro), si trovano fonA sinistra dall’alto: riccio diadema (Centrostephanus longispinus); stella marina spinosa maggiore (Marthasterias glacialis); il mollusco Pteria hirundo
sopra rami di gorgonia rossa; il mollusco Neosimnia spelta, intento a cibarsi
dei tessuti e dei polipi di una gorgonia gialla. A destra dall’alto: murena (Muraena helena); polpo (Octopus vulgaris); particolare di un alcionaceo (Alcyonum coralloides); il pennatulaceo Ptereoides spinosum.
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
dali che raggiungono la profondità di -70/-80 metri.
Si tratta di ampie zone pianeggianti, in cui si trovano
aree rocciose ricchissime di gorgonie gialle e rosse, dai
colori più vivaci rispetto a quelli degli esemplari che vivono a minor profondità.
La drastica diminuzione della vita vegetale viene evidenziata dalla visione del fondale, nel quale le rocce si alternano a tratti sabbioso-melmosi caratterizzati dalla
presenza di numerose oloturie.
Dove il fondale è prevalentemente detritico, anche la vita
animale è piuttosto diradata. Gli cnidari sono rappresentati da alcionacei e pennatulacei, i crostacei da granchi
o gamberi, come il parapandalo o le mazzancolle (Peneus
kerathurus), che vivono generalmente su fondale sabbioso o fangoso, i pesci da numerose specie.
Normalmente molti pesci che vivono più in superficie,
come il grongo, si possono trovare anche a queste profondità, ma più tipici sono il pesce S. Pietro e alcuni altri
molto caratteristici, come il cappone e il pesce serpente.
Tra gli organismi più interessanti, degno di nota il corallo
nero, che necessita di tutela vista l’esigua quantità di colonie presenti sul fondo marino. Questo corallo, a differenza di quello rosso, ha uno scheletro corneo e cavo.
Esemplari di specie simili vengono pescate in maniera
selettiva in America per ottenere gioielli e ornamenti.
Visite dal mare aperto
Alcuni organismi che vivono normalmente al largo entrano nell’area marina protetta spinti dalle correnti,
come le meduse, o seguendo rotte migratorie, o per cercare fonti di cibo.
Le specie di meduse che si incontrano, possono avere
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A sinistra dall’alto: un gamberetto della specie Plesionika narval, chiamato
comunemente parapandalo; pesce San Pietro (Zeus faber); cappone (Chelidonichthys lucernus); pesce serpente (Ophisurus serpens). A destra dall’alto:
corallo nero (Antipathella subpinnata); l’idrozoo Aequorea forskalea; vespa
di mare (Pelagia noctiluca); polmone di mare (Rhizostoma pulmo).
AREA MARINA PROTETTA
portofino
diverso potere urticante. Tra quelle più pericolose certamente la “vespa di mare”, che può provocare gravi
traumi ai malcapitati. Ben poco o quasi per nulla urticante il “polmone di mare”, una medusa compatta e
biancastra che si osserva spesso lungo la costa. Molto
appariscente, la cassiopea (Cotylorhiza tuberculata)
ospita spesso tra i suoi tentacoli giovani sugarelli.
Talvolta giungono in massa vicino alla costa anche le piccole velelle (Velella velella), idrozoi che presentano una
forma medusoide, con l’apice dell’ombrella a forma di vela.
Anche molluschi come i calamari (Loligo vulgaris) si avvicinano alla costa, soprattutto per deporre le uova durante il periodo riproduttivo. Tra i gasteropodi si osserva
talvolta nuotare Carinaria mediterranea, una specie
dalla conchiglia estremamente ridotta.
Numerosi pesci si avvicinano alla costa, come acciughe,
aguglie (Belone belone) e cefali (Mugil sp. e Liza sp),
spesso inseguiti da pesci più grossi come sgombri
(Scomber scombrus), palamite (Sarda sarda), leccie (Lichia amia), ricciole e tonni (Thunnus thynnus). Particolari sono i pesci luna che si osservano in gran numero
nel periodo primaverile. Non mancano pesci cartilaginei
come la verdesca (Prionace glauca), il trigone pelagico
(Dasyatis violacea), l’aquila di mare (Myliobatis aquila)
e, occasionalmente, anche la mobula (Mobula mobular),
simile alla manta.
Sono più frequenti, per fortuna, gli avvistamenti di tartarughe caretta, mentre sono sempre rari quelli della
grossa tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Questi
rettili, che nuotano spesso in superficie, rischiano incidenti con imbarcazioni e traumi causati da attrezzi di
pesca. Cibandosi di meduse come i pesci luna, possono
A sinistra dall’alto: un banco di acciughe (Engraulis encrasicolus); barracuda
mediterranei (Sphyraena viridensis); ricciole (Seriola dumerili); un pesce luna
(Mola mola). A destra dall’alto: tartaruga caretta (Caretta caretta); alcune
stenelle (Stenella coeruleoalba); una famiglia di tursiopi (Tursiops truncatus);
balenottera comune (Balaenoptera physalus).
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
addentare per errore i sacchetti di plastica galleggianti
con gravi conseguenze.
L’Area Marina Protetta di Portofino si trova all’interno
del “Santuario dei cetacei”, una zona particolarmente
ricca di delfini e balene. Non è raro infatti osservare tursiopi, stenelle e delfini comuni (Delphinus delphis) nuotare nelle acque costiere. Altri cetacei come la
balenottera comune e il capodoglio (Physeter macrocephalus) sono più rari ma talvolta si avvicinano alla costa.
La visita dell’Area Marina Protetta
L’Area Marina Protetta “Portofino” ha una costa varia e
ricca di microambienti molto interessanti.
Partendo da terra, tuttavia, l’accesso alla costa e quindi
al mare non è sempre facile.
I punti che consentono di accedere abbastanza facilmente alle acque marine, dove si possono fare osservazioni naturalistiche interessanti, sono la spiaggetta di
“Niasca”, che si trova sotto la strada statale che collega
Santa Margherita Ligure a Portofino, poco dopo l’abitato
di Paraggi, e “Punta Chiappa”, che si può raggiungere
facilmente tramite un sentiero a scalini partendo da San
Rocco di Camogli, o in battello da Camogli stesso.
Lungo la strada statale che conduce a Portofino esistono
inoltre numerosi accessi al mare che consentono di
scendere in acqua per effettuare osservazioni dell’ambiente costiero.
Nelle zone citate si trovano sia pozze di marea che pozze
di scogliera, ambienti estremamente sensibili ai quali
occorre avvicinarsi con attenzione per non alterarne i
delicati equilibri. Nelle piccole pozze di marea riescono
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A sinistra dall’alto: spirografo (Sabella spallanzani); uno scorcio del mare dell’area marina protetta presso Niasca; il granchio peloso (Eriphia verrucosa);
gamberetto fantasma cuore (Periclimenes amethysteus) tra i tentacoli dell’anemone grosso (Cribrinopsis crassa). A destra dall’alto: la costa nella baia
di S. Fruttuoso di Camogli; riccio di prateria (Sphaerechinus granularis); cromatismo variabile in una rana pescatrice (Lophius piscatorius); Punta Chiappa.
AREA MARINA PROTETTA
portofino
a convivere decine di specie animali e vegetali molto
particolari, che possono facilmente soccombere anche
a piccole alterazioni non naturali delle condizioni ambientali. Lo snorkeling rappresenta uno dei modi più diretti per osservare gli ambienti marini. Nell’area marina
protetta può essere effettuato un po’ ovunque. La ricchezza di specie consente sempre osservazioni interessanti. Vicino alla costa tra gli scogli si possono
incontrare coperture algali dove sono comuni molluschi
anemoni e pesci, soprattutto blennidi e gobidi, ma anche
labridi, serranidi e sparidi. Ai lati del Promontorio di Portofino, nelle zone C, si trovano più o meno estese praterie di Posidonia oceanica ricche di vita. Presso “Niasca”
la prateria si trova già a bassissime profondità, così da
consentire osservazioni anche ai meno esperti.
A “Punta Chiappa”, quando lo stato del mare consente
l’esplorazione subacquea, è facile imbattersi in banchi
di grandi nuotatori pelagici (pesci che vivono in mare
aperto), come ricciole e aguglie, o in pesci luna, o ancora, ma più raramente, in cetacei, talvolta anche di
grosse dimensioni.
Le immersioni subacquee
Le immersioni in apnea danno l’occasione di osservare
gli organismi marini e contemporaneamente di sentirsi
in armonia con l’ambiente circostante. Tuttavia se si
vuole scoprire al meglio il mondo sottomarino si ha bisogno dell’ausilio dell’autorespiratore in quanto gli ambienti più interessanti si trovano a profondità rilevanti
(-20/-30 metri).
Sotto lo sperone roccioso dove si erge la villa chiamata
“Castello di Paraggi” è tuttavia possibile immergersi e
A sinistra dall’alto: la costa di levante dell’area marina protetta; cassiopea
(Cotylorhiza tuberculata); anemone gioiello (Corynactis viridis); corvina
(Sciaena umbra). A destra dall’alto: margherite di mare (Parazoanthus axinellae); il paguro (Pagurus anachoretus); muso di un pesce balestra (Balistes
carolinensis); alcune triglie di scoglio (Mullus surmuletus).
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AREA MARINA PROTETTA
portofino
osservare qualche gorgonia gialla già a bassa profondità.
L’esplorazione delle acque marine del fronte meridionale
del Promontorio di Portofino (zona B dell’area marina
protetta), soprattutto le prime volte, deve essere effettuata accompagnati da guide esperte, in quanto alcune
immersioni sono abbastanza impegnative anche per la
presenza di forti correnti sottomarine.
In ogni caso i siti di immersione offrono l’occasione di
godere di paesaggi sottomarini che non hanno nulla da
invidiare a quelli tropicali, dove esistono anfratti, grotte
e grandi pareti rocciose strapiombanti, ma anche relitti
e reperti archeologici. Tra i siti di maggior interesse naturalistico vi è quello denominato “Altare”, che deve il
nome ad un grande masso squadrato che si può osservare alla base della costa rocciosa. Durante l’immersione
si raggiunge prima un area ricca di alghe e poi una piccola prateria di Posidonia oceanica su roccia, dove l’inclinazione del fondale non è elevata. La roccia continua
poi con maggiore pendenza fino a oltre – 40 metri. Già
a – 20 metri si trovano anfratti ricchi di rami di corallo
rosso e si possono vedere grosse spugne a imbuto, briozoi, cernie, saraghi e branchi di corvine. Lungo le pareti
scoscese sono presenti grandi gorgonie rosse e gialle e
gli organismi animali che danno origine alla biocenosi
del coralligeno.
Un’immersione particolare è quella che si può effettuare
presso il sito nel quale è collocata la statua del “Cristo
degli Abissi”. La visita non ha infatti solo un valore religioso, ma consente di esplorare il fondale ai piedi della
statua (profondità intorno ai -20 metri), colonizzato da
alghe e ricco di pesci anche singolari, come il raro pesce
balestra.
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A sinistra dall’alto: la punta del “Castello di Paraggi”; polpessa (Octopus macropus); particolare di una stella gorgone (Astrospartus mediterraneus); il tunicato Clavelina lepadiformis; A destra dall’alto: la “stella serpente”
(Ophidiaster ophidianus); un riccio del genere Stylocidaris; la “patata di mare”
(Halocinta papillosa); cernia rossa (Mycteroperca rubra), specie più meridionale,
presente nell’area marina protetta con qualche coppia sporadica.
Il Parco Naturale Regionale di Portofino;
un paradiso tra cielo e mare
Chi si trova a percorrere i sentieri assolati del Promontorio di Portofino, nella bella stagione viene avvolto dai
profumi intensi delle essenze mediterranee, su cui prevalgono quelli degli oli essenziali emessi dall’inula viscosa
e dalla resina dei pini. I rumori del bosco tradiscono la
presenza di numerosi uccelli e nelle aree prative sono
spesso coperti dall’assordante frinire delle cicale.
In questo frammento di Liguria si alternano ambienti
molto vari: da quelli esposti al sole e piuttosto aridi ad
altri umidi e freschi dove prosperano felci e muschi. La
mano dell’uomo ha comunque inciso sul paesaggio, creando aree coltivabili e modificando il patrimonio boschivo; in quest’ultimo caso, utilizzando il legno delle
leccete e piantando nuove essenze come il castagno.
Oggi la tutela ha sensibilmente migliorato lo stato dei
boschi e contribuito al controllo del territorio anche alla
luce dell’abbandono di molte aree agricole che sono state
gradualmente invase da rovi e sterpaglie e in parte anche
da piante della macchia.
I prati e i coltivi
Le zone prative sul Promontorio di Portofino sono state
create dall’uomo, che, dopo aver disboscato, ha creato
muretti a secco, per trattenere la terra e disporre di aree
coltivabili pianeggianti. Oggi si sta assistendo ad un parziale recupero di queste aree da parte di alcuni soggetti
che hanno ripristinato i tradizionali oliveti.
Sul promontorio era coltivata anche la vite, ormai praticamente scomparsa ad eccezione di pochi vigneti reA sinistra dall’alto: una veduta dal Promontorio di Portofino; gli alberi di
olivo (Olea europea) sono diffusi ovunque nelle aree agricole; uno dei tanti
rilievi sul Promontorio di Portofino; farfaraccio (Petasites hybridus). A destra
dall’alto: la Penisola di San Giorgio, sopra il porticciolo di Portofino; favagello
(Ranunculus ficaria); Muscari atlanticum; aglio trigono (Allium triquetrum).
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sidui irregolarmente diffusi, che consentiva di realizzare
piccole produzioni vinicole note con i nomi di “Bianco
di Portofino”, “Bianco di S. Nicolò di Capodimonte” e
“Bianco Riviera Ligure”.
Nei prati crescono piante di vario genere. Tra le specie
precoci, il farfaraccio e il favagello, seguite da altre specie di ranuncoli, dall’aglio trigono, dai muscari e dalla
scilla della riviera. Precoce è anche l’anemone degli orti,
poco comune ma molto appariscente.
A segnare il passaggio tra l’inverno e la primavera, la
fioritura del profumatissimo narciso tazetta e di viole di
diverse specie.
In primavera sbocciano i fiori cremisi del gladiolo selvatico (Gladiolus segetum) e poi quelli della particolarissima fanciullaccia, circondati da bratte finemente
suddivise ad ornare il fiore azzurrognolo. Frequenti
anche gli agli, con il diffuso Allium roseum ed il meno
comune Allium neapolitanum.
Le euforbie sono ben rappresentate dalla piccola Euphorbia peplus, dalla comunissima Euphorbia helioscopia, dalla meno diffusa Euphorbia cyparissias e dalla
cespugliosa Euphorbia characias. Le foglie di quest’ultima specie, che cresce spesso sui bordi dei terreni, rappresentavano un insidia per il bestiame dei contadini
quando venivano mescolate accidentalmente al fieno.
Tra le specie a fioritura tardo primaverile sono molto diffuse le leguminose, tra le quali piselli selvatici, trifogli e
vicie, le ombrellifere, come la carota selvatica, e le composite, come il diffusissimo coleostepo (Coleostephus
myconis) e la cicoria matta.
Anche le orchidee dei generi Orchis e Ophrys, quest’ul-
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A sinistra dall’alto: scilla della riviera (Hyacinthoides italica), che a dispetto
del nome in Italia cresce solo nella riviera ligure sino a Portofino e nel basso
Piemonte; anemone degli orti (Anemone hortensis); narciso (Narcissus tazetta; Allium roseum. A destra dall’alto: Allium neapolitanum; Euphobia helioscopia; fanciullaccia (Nigella damascena), una pianta comune anche in
Nordafrica; cicoria selvatica (Cichorium intybus), specie comune che si osserva fiorita anche in tarda estate.
time chiamate volgarmente “scarpette”, si osservano nei
prati. Si tratta di piante talvolta estremamente rare,
altre volte più comuni, ma sempre molto localizzate.
In particolare alcune ofridi, come l’ofride verde-bruna e
la rara ofride tirrena, si sviluppano in prati aridi o asciutti
già a partire da fine inverno. Sono seguite da altre splendide specie, delle quali la più tardiva è l’ofride “pseudo
cornuta”, i cui fiori sbocciano sino ad inizio estate.
I prati asciutti, ma anche i sentieri erbosi, sono i luoghi
in cui compaiono le orchidee del genere Serapias. Tra
esse, la minuta serapide a fiore piccolo (Serapias parviflora), la serapide lingua, dal labello rossastro o giallino,
e la vistosa serapide negletta.
Precoce e appariscente, Barlia robertiana è una delle più
grosse orchidee italiane e compare qua e la con esemplari singoli o in piccoli gruppi già alla fine di gennaio.
Molto comuni nei prati asciutti, l’orchidea cimicina, il
giglio caprino e Anacamptis pyramidalis, dalle infiorescenze vistose che spiccano tra le erbe dei prati.
Sul Promontorio di Portofino è presente anche l’orchidea
patente. Questa specie si trova solo nella Liguria orientale, nelle Baleari in Spagna e nella catena montuosa
dell’Atlante, in Algeria e Tunisia. Si tratta quindi di una
vera rarità, sebbene non sia difficile osservarla.
Nei prati più umidi e meno esposti al sole, si sviluppano
orchidee come Gymnadenia conopsea, l’orchidea provenzale e la rara Neotinea maculata, una specie amante
delle aree costiere, che può passare inosservata perché
piccola e delicata. In questi luoghi talvolta sono piuttosto comuni orchidee tipiche di ambiente boschivo, come
Dactylorhiza maculata e Cephalanthera longifolia.
In autunno nei prati asciutti compare infine la piccola
A sinistra dall’alto: ofride tirrena (Ophrys exaltata subsp. montis-leonis);
ofride dei fuchi (Ophrys holosericea subsp. holosericea); ofride “pseudo cornuta” (Ophrys holosericea subsp. linearis); ofride delle api (Ophrys apifera).
A destra dall’alto: serapide lingua (Serapias lingua); serapide negletta (Serapias neglecta); orchidea cimicina (Anacamptis coriophora subsp. fragrans);
giglio caprino (Anacamptis morio).
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Spiranthes spiralis, un’orchidea molto bella che non si
fa notare solo per via delle sue piccole dimensioni.
Nei coltivi abbandonati prendono il sopravvento il rovo
(Rubus ulmifolius) e la Clematis vitalba, nonché l’Hedera elix che avvolgendo i tronchi degli alberi ne causa
talvolta la rottura.
Nei terreni che si trovano ai margini dei boschi si osserva
invece l’espansione delle specie naturali come l’Erica arborea e il corbezzolo (Arbutus unedo).
Tra le specie che si trovano solitamente ad altitudini più
elevate, sul Promontorio di Portofino è segnalata la genzianella campestre (Gentianella campestris).
Le piante dei muretti “a secco”
I muretti “a secco” fanno parte della storia contadina
della Liguria ed ospitano una flora non sempre specifica,
con piante che si possono ritrovare quindi anche in altri
ambienti e che sfruttano per sopravvivere la terra che
fuoriesce dagli interstizi tra una pietra e l’altra.
Tra le specie che si possono incontrare anche nei prati o
nei boschi, il trifoglio bituminoso, il prezioso origano
(Origanum vulgare), la falsa liquirizia (Polipodium cambricum) e l’arisaro (Arisarum vulgare). Tra le pietre
spuntano spesso i tralci dell’asparago selvatico (Asparagus acutifolius).
Specie più caratteristiche sono invece le felci Asplenium
trichomanes e Ceterach officinarum, alcuni sedum,
come Sedum dasyphyllum e Sedum reflexum, la Cymbalaria muralis e l’ombelico di venere (Umbilicus rupestris), le cui foglie sono impiegate fresche in erboristeria
per impacchi depurativi.
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A sinistra dall’alto: orchidea patente (Orchis patens); Gymnadenia conopsea;
Neotinea maculata; Spiranthes spiralis. A destra dall’alto: trifoglio bituminoso
(Psoralea bituminosa); Asplenium trichomanes; Ceterach officinarum; Cymbalaria muralis.
Il Castagneto e il bosco misto
Nelle zone a bassa quota, in cui il declivio ha pendenza
minore, l’uomo in tempi ormai remoti ha sostituito l’originario bosco di leccio con piante di castagno. I frutti di
questa essenza arborea sono stati utilizzati per secoli
dalle genti contadine come importante fonte di cibo.
Ciò è avvenuto anche in aree più elevate, dove esisteva
originariamente il bosco mesofilo e dove oggi il castagneto si confonde a formare lembi di bosco misto in cui
si trovano soprattutto carpino nero (Ostrya carpinifolia),
qualche orniello (Fraxinus ornus), rari esemplari di agrifoglio (Ilex aquifolium) e frangola (Rhamnus frangula).
Ogni tanto, tra gli alberi, sono presenti anche esemplari
di maggiociondolo (Laburnum anagyroides). In ogni
caso, solitamente oltre i trecento metri di quota, sono
ancora presenti ampi lembi di bosco misto, dove predomina il carpino nero, seppur con esemplari relativamente giovani,
Nel sottobosco è comune il brugo, mentre è piuttosto
rara l’Erica carnea. In primavera si assiste a diffuse fioriture di piante di elleboro (Helleborus viridis ed Helleborus foetidus), di anemoni di varie specie, del dente di
cane, di scilla della riviera, delle aquilegie (Aquilegia
atrata e Aquilegia vulgaris), dei sigilli di Salomone (Polygonatum multiflorum e Polygonatum odoratum),
dell’orchidacea Dactylorhiza maculata e di Allium pendulinum. Comuni anche viole di specie diverse, Primula
vulgaris e a quote più elevate anche Primula veris.
A metà giugno, sbocciano le vistose corolle del giglio
di S. Giovanni insieme all’elleborina (Epipactis helleborine) ed alla digitale gialla minore (Digitalis lutea).
Tra le piante che si trovano ancora nelle zone ombrose,
oltre alle onnipresenti felci Asplenium onopteris, e PoA sinistra dall’alto: tronchi di castagno (Castanea sativa); brugo (Calluna
vulgaris); fronde di carpino nero (Ostrya carpinifolia) in un bosco misto; elleboro verde Helleborus viridis. A destra dall’alto: Primula vulgaris; Anemone nemorosa; Anemone trifolia; Hepatica nobilis.
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lipodium cambricum, ed a Geranium nodosum, si possono incontrare la bella labiata Melittis melissophyllum
e anche la velenosa Daphne laureola, che forma piccoli
e graziosi cespugli sempreverdi di foglie lucide, la pervinca (Vinca minor), dai bei fiori azzurri, che, come
pianta strisciante, ricopre ampie aree di terreno, e la
mercorella (Mercurialis perennis).
Talvolta nel sottobosco si osservano ampie coperture di
edera (Hedera helix), tra le cui foglie a tarda primavera
spuntano i fusti di Orobanche hederae, una pianta parassita senza clorofilla che trae le sostanze nutritive
dalla linfa che scorre nelle radici dell’edera.
La vegetazione riparia
Il Promontorio di Portofino è ricco di corsi d’acqua che
talvolta restano in secca durante la stagione estiva o, viceversa, possono mantenere una portata ridotta.
Uno dei torrenti di maggior importanza è quello denominato “Acquaviva”, che per secoli ha alimentato numerosi mulini e frantoi lungo il suo corso, stimolando un
economia legata alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura locale, ma anche di quelli trasportati via
mare, che giungevano attraverso imbarcazioni nella vicina insenatura di Paraggi.
Talvolta i corsi d’acqua scorrono attraverso lembi di
bosco misto o di lecceta, o ancora tra i campi e spesso
ospitano sulle sponde una vegetazione costituita da ontani neri (Alnus glutinosa), sambuco nero (Sambucus
nigra), qualche alloro (Laurus nobilis), olmo campestre
(Ulmus minor) o nocciolo (Corylus avellana), alcune borraginacee, tra cui Pulmonaria officinalis, l’ombrellifera
smirnio (Smyrnium olusatrum), felci, muschi, epatiche
ed equiseti.
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A sinistra dall’alto: dente di cane (Erythronium dens-canis); aquilegia nerastra
(Aquilegia atrata); sigillo di Salomone (Polygonatum odoratum); giglio di S.
Giovanni (Lilium bulbiferum subsp. croceum). A destra dall’alto: Melittis melissophyllum; Daphne laureola; lingua di cervo (Phyllitis scolopendrium); Pulmonaria officinalis.
Tra le felci si possono osservare la diffusa lingua di cervo,
la felce maschio (Dryopteris filix-mas), Dryopteris affinis con diverse sottospecie, la meno comune Dryopteris dilatata, la felce femmina, Polistichum setiferum
ed il raro Polistichum aculeatum, il capelvenere (Adiantum capillus-veneris), la pteride di creta e Blechnum
spicant. Molto rara ma presente la felce florida, dalle
fronde particolarmente belle ma caduche, che compaiono ogni primavera.
Anche le aracee prediligono i luoghi umidi, ombrosi e ricchi di humus, come i prati prossimi ai torrenti. Le specie
selvatiche di questa famiglia presenti sul Promontorio di
Portofino sono l’aro (Arum italicum), l’arisaro (Arisarum
vulgare) e la serpentaria, specie capaci di crescere anche
in ambienti asciutti. L’ultima specie citata produce un
fiore vistoso maleodorante che attira le mosche.
La lecceta
La lecceta è un ambiente tipicamente mediterraneo. È
ampiamente diffusa sul Promontorio di Portofino, soprattutto nelle aree meno elevate, ma i frequenti tagli
e l’uso della legna del bosco da parte dei contadini, fino
all’ultimo periodo bellico, hanno fatto sì che gli esemplari arborei di leccio che si possono vedere oggi, pur
essendo di rilevanti dimensioni, non abbiano l’aspetto
degli alberi imponenti dall’ampia chioma che si osservano nelle leccete “mature” (climax).
Solo in alcune zone molto ridotte, come ad esempio nei
pressi di Portofino Vetta, si possono osservare esemplari
di leccio centenari.
Tipiche essenze arboree che si trovano nei boschi, mescolate alle piante di leccio, sono la roverella, che si diA sinistra dall’alto: Dryopteris affinis; pteride di Creta (Pteris cretica); Dryopteris
dilatata; felce femmina (Athyrium filix-foemina). A destra dall’alto: Blechnum
spicant; felce florida (Osmunda regalis); serpentaria (Dracunculus vulgaris),
così chiamata perché si pensava fosse in grado di guarire dal veleno dei serpenti; un esemplare secolare di leccio (Quercus ilex).
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stingue dalle altre querce perché mantiene sui rami gran
parte delle foglie rinsecchite anche durante l’inverno, e
l’orniello (Fraxinus ornus), che si riconosce per la corteccia liscia, grigio chiaro, dalla cui linfa si ricava un tipo
di manna.
Nel sottobosco, molto ombroso e ampiamente ricoperto
da foglie secche, si trovano piante ben adattate alla scarsità di luce, come il pungitopo e il viburno tino, che in
primavera produce infiorescenze di piccoli fiori bianchi
e in autunno minuscoli frutti neri dai riflessi metallici.
Dove la luce riesce a penetrare o lungo i margini del
bosco, crescono erica arborea e corbezzolo (Arbutus
unedo), ma anche piante lianose che si ritrovano pure in
ambienti soleggiati, come la salsapariglia, la robbia
(Rubia peregrina), il caprifoglio mediterraneo e Clematis
flammula. È frequente anche l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius), dai turioni esili che danno origine a
fronde vaporose, ornate in autunno di bacche nerastre.
Da segnalare, come specie che si sviluppano nel sottobosco, anche l’orchidea Cephalanthera longifolia, con
fiori bianchi che rimangono semichiusi, e la meno comune Cephalanthera damasonium, dai fiori color panna.
Tra i funghi tipici della lecceta si possono ricordare Hygrophorus russula e il leccino che spuntano in autunno.
La pineta
In particolare nelle aree esposte a meridione, dove la copertura di terra è ridotta e l’assorbimento di acqua piovana da parte del terreno piuttosto scarso, sopravvivono
specie arboree molto ben adattate a resistere alla siccità
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A sinistra dall’alto: roverella (Quercus pubescens) con i frutti; pungitopo (Ruscus aculeatus). Le foglie di questa specie, chiamate cladodi, derivano da
una trasformazione del fusto e portano i piccoli fiori; viburno tino (Viburnum
tinus); Clematis flammula. A destra dall’alto: caprifoglio mediterraneo (Lonicera implexa); due orchidee che crescono in zone ombrose come le leccete:
Cephalanthera longifolia e Cephalanthera damasonium; il corpo fruttifero di
un leccino (Leccinum lepidum), fungo che cresce solo nei boschi di leccio.
estiva. Sono soprattutto pini di due specie principali, che
originano pinete di limitata estensione: pino marittimo,
riconoscibile per gli aghi molto lunghi e pino d’Aleppo
(Pinus halepensis), più costiero e con aghi molto corti.
Il pino da pinoli o pino domestico (Pinus pinea) è diffuso
qua e là con imponenti esemplari, facilmente riconoscibili per la chioma ad ombrello. Più raramente si confonde all’interno di altri boschi, formando gruppi di
piante dalle chiome ammassate.
Il terreno sotto gli alberi è solitamente a reazione acida,
perché si forma dalla disgregazione degli aghi. Ciò limita
lo sviluppo di molte specie vegetali che quindi, tra i fusti,
sono piuttosto rare.
In ogni caso nel tardo inverno tra i pini compaiono anemoni, crochi e denti di cane, ed in alcuni luoghi fioriscono i bassi cespugli di erica erbacea (Erica carnea) o,
in autunno, il brugo. Piccolo e poco visibile, il “tè svizzero” cresce talvolta tra gli aghi che ricoprono la terra.
Piuttosto presente nel sottobosco, la diffusa salsapariglia, con le foglie sagittate e le belle bacche rosse, una
specie che si adatta a vivere in ambienti molto diversi,
variando l’aspetto delle foglie in funzione della maggiore
o minore aridità ed insolazione.
Anche sotto le pinete crescono specie fungine caratteristiche. Tra i funghi commestibili i lattari deliziosi (Lactarius deliciosus), dal lattice aranciato, e quelli
sanguigni, dal lattice rosso sangue. Soprattutto nella seconda specie, le lamelle e il gambo, se danneggiate, virano al verde.
A sinistra dall’alto: le fronde di alcuni pini marittimi (Pinus pinaster); Veronica
officinalis, chiamata volgarmente tè svizzero; perlina gialla (Odontites lutea),
che predilige luoghi asciutti o aridi. Si tratta di una pianta emiparassita, cioè
capace di fissarsi a radici di altre piante. È comunque in grado, come si vede
dalle sue foglie verdi, di effettuare la fotosintesi; la poco comune Iberis umbellata, che predilige i luoghi aridi. A destra dall’alto: Lactarius sanguifluus;
frutti di salsapariglia (Smilax aspera); un garofanino (Dianthus balbisii); ginestra di Spagna (Spartium junceum).
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La macchia mediterranea
Le formazioni che costituiscono la macchia mediterranea sono diffuse nelle zone più assolate e spesso tra esse
si osservano piccoli lecci o pini, o altri esemplari più
grandi, cresciuti isolati o in gruppi di pochi individui.
Le principali specie arbustive che compongono questa
vegetazione sono l’erica arborea, il corbezzolo (Arbutus unedo), l’alaterno o legno puzzo, il mirto, le filliree
e due anacardiacee usate come portainnesti per il pistacchio, ossia il lentisco, dalle foglie sempreverdi, ed
il terebinto, dalle foglie caduche.
Il lentisco è una pianta sfruttata già nell’antichità: da
esso si ricavava il mastice di Chio o Scio (nome di
un’isola greca per lungo tempo colonia della Repubblica di Genova), utilizzato ancor oggi in odontotecnica
e nella produzione di chewing gum.
Ancora tra le specie più rappresentative vi sono altre
piante caratteristiche, tra cui la ginestra di Spagna, la
ginestra spinosa, il cisto femmina, l’euforbia arborea
(Euphorbia dendroides) e l’inula viscosa, dalle foglie
appiccicaticce.
Lungo le alte falesie costiere del fronte meridionale del
Promontorio di Portofino, in luoghi difficilmente accessibili, si possono osservare anche alcuni esemplari
di palma nana, che tuttavia potrebbero non essere autoctoni, vista la presenza in alcuni giardini di Portofino
di numerose palme di questa specie, in grado di produrre semi.
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A sinistra dall’alto: Erica arborea; alaterno (Rhamnus alaternus); mirto (Myrtus communis); lentisco (Pistacia lentiscus). A destra dall’alto: terebinto (Pistacia terebinthus); ginestra spinosa (Calycotome spinosa); cisto femmina
(Cistus salvifolius); palma nana (Chamaerops humilis).
La gariga
Nella macchia bassa mediterranea sono presenti anche
specie a portamento strisciante, suffrutici o piccoli arbusti che non raggiungono mai altezze rilevanti.
Quando queste predominano ci si trova di fronte un’altra associazione di piante denominata gariga.
La gariga, sul Promontorio di Portofino, si sviluppa prevalentemente su versanti esposti, soleggiati ed aridi,
con ridotte o quasi nulle coperture di terra. Le piante
che la compongono crescono molto rade e tra di esse
affiora spesso la roccia, costituita dal conglomerato di
Portofino.
Tipiche di questo ambiente sono le piante aromatiche
e appiccicaticce, ricche di oli essenziali e di resine,
quelle glaucescenti, con foglie tendenti al grigio argenteo, e le piante spinose, che hanno ridotto in tal
modo le foglie e quindi le superfici traspiranti.
Nella gariga si incontrano prevalentemente specie
come il timo, le rute (Ruta chalepensis e Ruta angustifolia), l’elicriso, l’euforbia spinosa, l’erba viperina e
le zampe di gatto.
Tra le piante di minori dimensioni, molte specie di garofanini, Helianthemum nummularium, varie specie
del genere Fumana, Silene gallica e la scilla autunnale,
una bulbosa dalla fioritura tardiva.
A sinistra dall’alto: Thymus vulgaris; Ruta chalepensis; Helichrysum italicum;
Euphorbia spinosa. A destra dall’alto: Echium vulgare; zampe di gatto (Phagnalon saxatile); Silene gallica; inula viscosa (Dittrichia viscosa).
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L’Ampelodesmeto
Il Promontorio di Portofino rappresenta il limite settentrionale di espansione dell’areale di una graminacea
che forma grossi cespi di foglie taglienti al tocco, chiamata volgarmente lisca. Come si intuisce facilmente
dal nome scientifico, Ampelodesmos mauritanicus, si
tratta di una specie presente lungo le coste meridionali
del Mediterraneo.
Per secoli le foglie della lisca hanno rappresentato per
le popolazioni locali un’importante materia prima, utilizzata nella produzione di cordami.
Fino al secolo scorso (anni’60), alcune corde venivano
ancora realizzate a San Fruttuoso di Camogli e utilizzate anche per tessere le reti della tonnarella di Camogli. L’uso venne abbandonato perché le reti,
divenendo maleodoranti e fragili, dovevano essere sostituite più volte all’anno, e per rispettare le norme che
prevedono la tutela delle piante all’interno del Parco
di Portofino.
Generalmente la lisca cresce su rupi o lungo i sentieri,
in gruppi formati da qualche decina di esemplari. Talvolta crea piccole praterie, spesso in luoghi piuttosto
impervi. In estate si osservano spighe dorate, portate da
fusti di media lunghezza, spuntare dal centro dei cespi.
La vegetazione rupestre
Sul Promontorio di Portofino sono frequenti grosse
rocce affioranti e rupi, sia all’interno dei boschi che in
aree assolate a picco sul mare. Sopra di esse, nei punti
in cui si creano condizioni particolari, sopravvivono
spesso specie vegetali. In questi microambienti difficili,
nei punti in cui si accumula detrito, o dove, soprattutto
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A sinistra dall’alto: un cespo di lisca (Ampelodesmos mauritanicus); fiori di
lisca; felcetta annuale (Anogramma leptophylla); Aplenium ruta-muraria. A
destra dall’alto: asplenio dei fontanili (Asplenium fontanum); asplenio di Petrarca (Asplenium petrarchae); sassifraga spatolata (Saxifraga cochlearis);
scilla autunnale (Scilla autumnalis).
nelle aree più umide, licheni prima e muschi poi, concorrono a creare un substrato ottimale, germogliano
semi o spore dai quali si sviluppano vegetali molto rustici e quindi con poche esigenze.
Dove permane abbondante umidità si sviluppano piccole felci. Le più interessanti sono la felcetta annuale,
l’asplenio ruta muraria, l’asplenio dei fontanili, la felcetta odorosa (Cheilanthes acrostica) e l’asplenio di
Petrarca, specie molto rara.
Capita inoltre che le rocce esposte a nord siano ampiamente ricoperte da muschi e tra questi ospitino felci
e bulbose come scille e anemoni.
In alcune zone, le rupi ospitano una vera rarità per una
zona costiera: la sassifraga spatolata, specie che si ritrova in Liguria soltanto sul Promontorio di Portofino
e sulle Alpi Marittime.
Sopra le rocce e le rupi esposte al sole si trovano invece
lisca ed altre graminacee, euforbia spinosa, diverse
borraccine come Sedum album, Sedum sexangulare,
Sedum cepaea e Sedum acre, valeriana rossa (Centranthus ruber), asterisco spinoso (Pallenis spinosa),
riconoscibile per le foglie superiori acuminate che abbracciano i fiori giallo oro, nonché il cavolo di Robert.
Anche le specie aromatiche, come timo, ruta ed elicriso, compaiono spesso sulle rocce affioranti e sono
spesso accompagnate da Sideritis romana, pianta che
in punti molto aridi appare spinescente, Antirrhinum
orontium, Convolvulus cantabricus, Euphorbia segetalis, Euphorbia exigua ed Ononis minutissima.
Accade talvolta che specie arboree, come il carpino
nero, crescano sulle rocce, sviluppandosi con forme
nane simili ai bonsai, a causa delle condizioni estreme
che riserva loro l’ambiente di crescita.
A sinistra dall’alto: Sedum acre; Sedum cepaea; Brassica oleracea subsp. robertiana; Euphorbia segetalis. A destra dall’alto: Sideritis romana; Convolvulus cantabrica; Helianthemum nummularium; Fumana procumbens.
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I Siti di Interesse Comunitario
All’Ente Gestore del Parco di Portofino è stata affidata
la salvaguardia di alcune interessanti aree che per le
loro caratteristiche naturali sono state inserite nella
lista europea dei siti di interesse comunitario (SIC),
come lo stesso Promontorio di Portofino.
La pineta delle Grazie, che fa parte territorialmente del
comune di Chiavari, è situata intorno ad un antico monastero. Al suo interno si possono osservare pini
d’Aleppo e qualche esemplare di pino domestico che
si trova a crescere in mezzo agli altri.
Il sottobosco è ricoperto dagli aghi dei pini e nei punti
dove riescono a svilupparsi altri vegetali, come ai margini della pineta, si trovano lecci e roverelle nonché arbusti e liane tipici della macchia mediterranea.
Tra le piante presenti, degna di nota l’euforbia a doppia
ombrella, che in Italia ha una distribuzione estremamente ridotta.
Un altro SIC si sviluppa intorno al santuario di N.S. di
Montallegro nel comune di Rapallo ed è costituito da
un bosco di leccio con esemplari molto grandi che ai
suoi estremi sfuma in boschi misti dove si trovano altre
essenze selvatiche e castagni.
Nelle radure o nelle zone aperte, dove esistono coperture erbacee, in primavera si può osservare la fioritura
del narciso dei poeti e dell’asfodelo o porraccio, liliacea
dai grossi cespi di foglie allungate, da cui si sviluppano
lunghi steli che portano molti fiori bianchi, con petali
a venatura mediana più scura.
Dall’inizio dell’estate, nel bosco compaiono inoltre numerose orchidee appartenenti a diverse specie del genere Epipactis.
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A sinistra dall’alto: Ononis minutissima; Antirrhinum orontium; uno scorcio
della “Pineta delle Grazie”. Verso l’orizzonte il Promontorio di Portofino;
euforbia a doppia ombrella (Euphorbia biumbellata). A destra dall’alto: la
basilica di Montallegro, avvolta da una lecceta con esemplari secolari; Narcissus poeticus; asfodelo montano (Asphodelus macrocarpus); Anthericum
liliago, pianta che fiorisce a tarda primavera.
Le grotte
Sul Promontorio di Portofino, anche lungo le alte falesie
del suo fronte meridionale, si trovano grotte naturali; in
realtà piccoli antri di limitata estensione.
La loro origine è legata alla presenza di fratture nel conglomerato di Portofino che, per l’effetto di agenti meteorici e in alcuni casi del moto ondoso, sono state
ampliate sino a raggiungere l’aspetto attuale.
La vita degli organismi che sopravvivono in questi ambienti è legata alle condizioni particolari che vi si vengono a creare. Queste sono influenzate dall’oscurità, che
in molte grotte del promontorio è quasi assoluta, dalla
temperatura, che normalmente corrisponde alla media
annua di quella esterna e può variare in punti diversi
della grotta, così come dall’umidità, normalmente elevata ed importante per la vita di alcuni organismi, destinati a soccombere anche per brevi variazioni di essa.
Nella grotte la presenza di esseri viventi può essere occasionale, quando gli animali sono alla ricerca di rifugio
temporaneo o sfuggono alla luce; periodica, quando animali come tassi o topi o, soprattutto, pipistrelli, utilizzano il rifugio per lunghi periodi o per il letargo;
continua, nel caso di animali che sopravvivono prevalentemente in questi ambienti particolari, come aracnidi, chilopodi e insetti. Tra le specie di ragni che vivono
nelle grotte si possono citare Metellina merianae, Tegenaria parietina e Tegenaria tyrrhenica, quest’ultima
osservata altrove solo in alcuni siti del ponente ligure.
Gli insetti sono rappresentati da alcuni coleotteri, come
i carabidi Cychrus italicus e Abax ater contractus e
dall’ortottero Gryllomorpha dalmatina. Tra i mammiferi,
certamente particolari sono i pipistrelli, che trovano
A sinistra dall’alto: Epipactis helleborine; il mare visto dall’ingresso di una
grotta costiera; concrezioni sulla volta e le pareti di una grotta; geotritone
di Strinati (Speleomantes Strinatii). A destra dall’alto: un chirottero della specie Hypsugo savii; il piccolo topolino della specie Mus musculus; tasso (Meles
meles); uno scorpione della specie Euscorpius flavicaudis.
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nelle grotte rifugi ideali. Le due specie più comuni sono
il ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) e quello minore (Rhinolophus hipposideros), oggi
comunque considerate vulnerabili per via di una loro rarefazione dovuta alla diminuzione di aree di rifugio, riproduzione e svernamento.
La fauna selvatica
Tra i numerosi insetti e gli aracnidi che si possono osservare negli ambienti presenti nel Parco di Portofino,
vale la pena ricordare lo pseudoscorpione Chtonius caprai e la specie Petaloptila andreinii, un piccolo grillo
cavernicolo. Si tratta di due specie che si ritrovano solo
in poche altre località liguri.
Di estrema rilevanza scientifica, perché segnalato per la
prima volta sul Promontorio di Portofino, il coleottero
scarabeide Chaetonyx robustus ligusticus.
Anche scolopendre e piccoli scorpioni sono piuttosto
diffusi, questi ultimi soprattutto in zone aride, nascosti
sotto le pietre. Gli insetti più appariscenti sono certamente i lepidotteri, rappresentati da molte specie, e da
una farfalla piuttosto appariscente, la ninfa del corbezzolo, unico esponente europeo del suo genere. La ninfa,
che può avere un’apertura alare di 8 cm, trova sul promontorio una delle aree più settentrionali del suo areale.
Questa farfalla è oggi a rischio di estinzione nel bacino
del Mediterraneo, perché risente della diminuzione delle
aree coperte dalla macchia mediterranea. Il bruco, verde
e macchiettato di bianco, si sviluppa a spese delle foglie
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A sinistra dall’alto: ninfa del corbezzolo (Charaxes jasus); due licenidi in accoppiamento della specie bellargo (Lysandra bellargus), sopra l’infiorescenza
di Sanguisorba minor; femmina di cedronella (Gonepteryx cleopatra); vanessa
c-bianco (Polygonia c-album). A destra dall’alto: Zygaena transalpina; femmina di Caloperyx virgo; maschio di Oedemera nobilis sull’infiorescenza
dell’orchidea Anacamptis pyramidalis;; femmina del ragno Misumena vatia,
sopra l’infiorescenza di Inula salicina. Le femmine di questa specie possono
mutare colore nel tempo di qualche giorno per mimetizzarsi tra i fiori. Si
tratta di ragni predatori di piccoli imenotteri.
del corbezzolo. Tra le altre specie, sono comuni soprattutto i piccoli licenidi, le vanesse e le cedronelle.
Nei ruscelli sparsi sul promontorio può trovarsi anche
qualche anguilla risalita dal mare. Ciò era cosa nota ai
contadini del luogo, che catturavano questi pesci tra i detriti del fondale delle piccole pozze presenti lungo i corsi
d’acqua. Nei torrenti a maggiore portata vivono anche i
vaironi, piccoli pesci predati dalla natrice viperina.
In alcuni tratti di un torrente è presente il gambero di
fiume (Austropotamobius pallipes), crostaceo raro e
sensibile agli inquinamenti.
Numerose le specie di molluschi e degna di nota la piccola Retinella olivetorum, un animale non comune, diffuso nelle aree prative e negli oliveti.
Gli anfibi sono rappresentati da rospi e da alcune specie
di rane e precisamente, dalla rana rossa appenninica,
dalla rana agile e dalla raganella mediterranea. Le salamandre sono presenti con la salamandra macchiata (Salamandra salamandra) e con la salamandrina dagli
occhiali, mentre i “tritoni” hanno come unico rappresentante il geotritone di Strinati.
I rettili frequentano prevalentemente le zone assolate e
rocciose e sono rappresentati dalle comuni lucertole, dai
ramarri e da alcune specie di serpenti. In tempi non recenti era segnalata sul Promontorio di Portofino anche
la lucertola ocellata, molto grossa e riconoscibile per alcuni ocelli bluastri sui fianchi, ma tuttavia, pur non potendo escluderne completamente la presenza, non si ha
notizia di osservazioni recenti. Tra i serpenti sono comuni i biacchi, dalla colorazione del dorso variabile, dal
nero grigio al giallo e verde, capaci arrampicatori e nuotatori. Abbastanza diffuso anche il colubro di Esculapio
A sinistra dall’alto: falena dell’edera (Callimorpha quadripunctaria); rana
agile (Rana dalmatina); rospo (Bufo bufo); raganella (Hyla meridionalis). A
destra dall’alto: salamandrina degli occhiali (Salamandrina perspicillata);
biacco (Hierophis viridiflavus); natrice viperina (Natrix maura) in un ruscello;
biscia dal collare (Natrix natrix).
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o saettone (Elaphe longissima), una specie che si muove
molto bene sugli alberi, dove trova nidiacei da predare,
o a terra, dove cattura topi ed altri roditori. Poco comuni,
la natrice viperina, al limite del suo areale, e la biscia
dal collare. Molto raro il colubro di Riccioli (Coronella
girondica). Altri rettili presenti sul Promontorio di Portofino sono la luscengola (Chalcides chalcides) e l’orbettino, una specie ad abitudini notturne che cattura
vermi lumache e larve. L’orbettino è anche molto longevo e può vivere oltre cinquanta anni.
Tra gli uccelli sono comuni merli (Turdus merula) e passere d’Italia (Passer italiae), ma anche tordi, pettirossi,
fringuelli e capinere. Variopinti ma difficili da osservare,
i fiorrancini (Regulus ignicapillus), dalla cresta arancione, le cince di diverse specie, i verdoni e i verzellini,
dalla brillante colorazione giallo verdastra. Nella boscaglia più alta si osservano spesso le ghiandaie, mentre la
sterpazzola e l’occhiocotto sono piccoli uccelli che prediligono la macchia mediterranea. All’inizio della primavera, nei boschi, tra i canti dei diversi uccelli è
riconoscibile quello dell’upupa, mentre il picchio rosso
maggiore si fa localizzare per il picchiettio caratteristico
che produce battendo con il becco sui tronchi quando è
alla ricerca di larve. Presenti sul Promontorio di Portofino anche il picchio muratore ed il picchio verde. Molto
bello il gruccione, uccello migratore che sverna in Africa
ed ha l’abitudine, durante il periodo di accoppiamento,
di “regalare” insetti alla compagna. Tra gli altri uccelli, i
luì piccolo e grosso (Phylloscopus trochilus), quello
verde e quello bianco (Phylloscopus bonelli), difficili da
distinguere se non per il canto, il comune codirosso
spazzacamino, il variopinto cardellino e i piccoli regolo
e scricciolo. Vicino ai corsi d’acqua e nei prati si incontra
46
A sinistra dall’alto: orbettino (Anguis fragilis); pettirosso (Erithacus rubecula);
cinciarella (Parus caeruleus); fringuello (Fringilla coelebs), maschio. A destra
dall’alto: capinera (Sylvia atricapilla), maschio; un piccolo scricciolo (Troglodytes troglodytes)); verdone (Carduelis chloris); verzellino (Serinus serinus).
anche la ballerina bianca.
I rapaci non difficili da scorgere, quantomeno in volo,
sono la poiana e il gheppio. Altre specie meno comuni
sono il lodolaio, il falco pecchiaiolo e lo sparviere.
Sul promontorio sono presenti anche rapaci notturni,
come l’allocco (Strix aluco), il poco comune barbagianni
e la civetta, dal cupo verso notturno.
Tra gli uccelli ormai ampiamente diffusi, la cornacchia
grigia (Corvus corone cornix), un corvide onnivoro che
si osserva sia sulla costa che nelle aree boschive.
In un luogo dove non mancano ghiande, castagne,
pigne e bacche sono molto diffusi i roditori come topi,
moscardini, ghiri e scoiattoli rossi. Questi ultimi hanno
spesso dieta onnivora, divenendo talvolta predatori. Tra
i piccoli mammiferi, anche il mustiolo etrusco (Suncus
etruscus), specie protetta dalla Convenzione di Berna.
Nei boschi vivono faine e donnole, ma anche tassi e
volpi che possono insidiare gli allevamenti di pollame.
Tra i mammiferi che si incontrano frequentemente vi
è il riccio. Come i precedenti è un mammifero ad abitudini notturne, che per la sua tendenza ad attraversare le strade con estrema lentezza, finisce spesso
vittima di qualche automobilista.
Grazie alla presenza di grotte e rifugi artificiali, sono
diffusi anche i chirotteri, chiamati comunemente pipistrelli, che spesso, durante le sere d’estate, si vedono
volare vicino alle fonti luminose a caccia di insetti.
Da qualche anno a questa parte il generale incremento
del numero dei cinghiali sul territorio italiano ne ha
favorito l’espansione anche in aree dove non erano
presenti, come il Promontorio di Portofino. Oggi il numero di questi suidi viene mantenuto sotto controllo.
Resta tuttavia in primis il problema dei danni che queA sinistra dall’alto: sterpazzola (Sylvia communis); occhiocotto (Sylvia melanocephala); picchio rosso maggiore (Dendrocopos major); upupa (Upupa epops).
A destra dall’alto: codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros); gheppio
(Falco tinnunculus); barbagianni (Tyto alba); volpe rossa (Vulpes vulpes).
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sti animali possono arrecare ad altre specie animali o
vegetali, ed in seconda battuta la valutazione degli attuali problemi che i cinghiali creano alla popolazione
locale, demolendo con il loro passaggio i muretti a
“secco” o danneggiando le colture. Anche alcune capre
sfuggite all’allevamento si sono inselvatichite, ma il
loro numero è ancora abbastanza contenuto.
La visita del Parco regionale di Portofino
Il Parco di Portofino è percorso da sentieri ben segnalati
che rendono molto semplici e sicure quasi tutte le escursioni. La visita quindi può essere effettuata in completa
tranquillità. Inoltre i sentieri vicini alle diverse frazioni
sono illuminati anche la notte, facilitando il ritorno a
chiunque dovesse attardarsi.
Alcuni sentieri secondari si snodano all’interno di aree
boschive e possono presentare tratti non particolarmente
definiti. In ogni caso è quasi impossibile perdersi, data la
limitata estensione del Promontorio di Portofino e la presenza di frequenti punti di riferimento. Tra questi anche
numerosi cartelli e pali indicatori numerati, distribuiti in
tutta l’area parco. A volte ci si può imbattere in boschi,
prati o ambienti tipicamente mediterranei (macchia e
gariga), a volte in radure, dove si sviluppano un gran numero di felci aquiline (Pteridium aquilinum), piante che
crescono in zone aperte o che sono state interessate in
passato da incendi.
Il Promontorio di Portofino, come abbiamo visto, offre
un’ampia gamma di ambienti diversi che si scoprono,
spesso improvvisamente, esplorando il territorio. Quanto
ai panorami, sarebbe difficile descriverli perché certa-
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A sinistra dall’alto: la chiesa di S. Nicolò di Capodimonte; l’orchidea Barlia
robertiana; Anagallis foemina, pianta che produce piccoli ma vistosi fiori,
che sbocciano nei prati e lungo i sentieri del Promontorio di Portofino; cardellino (Carduelis carduelis). A destra dall’alto: il tardivo Allium carinatum
subsp. pulchellum; Aristolochia rotunda; cinciallegra (Parus major); l’orchidea
Orchis anthropophora.
mente, senza esagerazioni, sono tra i più belli al mondo.
Per chi poi volesse conoscere il territorio del parco lasciandosi guidare da naturalisti esperti è sufficiente contattare l’ente che gestisce l’area protetta terrestre.
Si potrà scegliere tra un’ampia gamma di escursioni,
anche notturne, da vivere in piena sicurezza, insieme a
persone appassionate di natura; la situazione ideale per
conoscere al meglio tutti i segreti del Parco di Portofino.
Le soluzioni per visitare il parco sono innumerevoli e comunque consentono, anche in una sola, ma intensa giornata, di scoprire quanto di particolare offre un territorio
piuttosto ridotto ma ricchissimo dal punto di vista naturalistico. Si può infatti passare quasi improvvisamente
da luoghi umidi e freschi, ricchi di felci, ad altri assolati
e torridi, dove si sviluppa una vegetazione altamente
specializzata, capace di sopravvivere ad un’aridità quasi
desertica. E poi con un po’ di fortuna ci si può imbattere
in piante o animali particolari. Meglio quindi portare
sempre con se una buona macchina fotografica.
Le escursioni
Il Parco Regionale di Portofino si può visitare facilmente
percorrendo i molti sentieri che partono da S. Margherita Ligure o Camogli. È possibile iniziare l’escursione
anche partendo da Portofino, ma in questo caso si consiglia di raggiungere il borgo con uno degli autobus che
partono di frequente da Santa Margherita Ligure.
Non esiste una stagione migliore per la visita, perché il
promontorio gode di inverni eccezionalmente miti. Ovviamente può essere importante evitare giornate piovose, anche se la lecceta, diffusa all’interno del parco,
A sinistra dall’alto: il borgo di San Fruttuoso di Camogli visto dall’alto; Lavatera
cretica; la criocera dai dodici punti (Crioceris duodecimpunctata) sopra l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius) di cui si nutre; un’ofride del gruppo delle
Opryis sphegodes. A destra dall’alto: un gruccione (Merops apiaster) con in
bocca un piccolo insetto. I maschi sono soliti regalare insetti alle femmine; Cerinthe major; luì verde (Phylloscopus sibilatrix); Campanula medium.
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con le sue fronde molto fitte, offre un’ottimo riparo dai
brevi acquazzoni. Nelle giornate particolarmente calde
sono sconsigliati i sentieri con pendio relativamente elevato, come quello che dalla località “Pietre strette” porta
a San Fruttuoso di Camogli, perché in salita diverrebbe
abbastanza duro per le persone non allenate. Se si vuole
evitare la sfacchinata rimane comunque l’ottima opportunità, certamente più riposante, di fare ritorno utilizzando un battello turistico.
Se la natura di questi luoghi è estremamente affascinante, tanto da aver ispirato scrittori e poeti come George Byron, non lo è meno l’architettura di opere di
grande valore artistico, come l’abbazia di San Fruttuoso
di Camogli, la chiesa di San Nicolò di Capodimonte e
l’abbazia di San Girolamo della Cervara. Queste antiche
costruzioni sono veri e propri “gioielli” in armonia con la
natura: “incontrarle” dopo un tracciato percorso all’ombra della lecceta o tra la macchia mediterranea rende
certamente unica l’escursione.
Per chi non vuole affaticarsi troppo è possibile raggiungere con l’auto la località “Portofino Vetta”, dove esiste
un ampio parcheggio. A pochi metri da esso inizia un comodo percorso in piano che attraversa un ombroso bosco
misto a prevalenza di carpino nero. In ogni caso, lungo
molti dei sentieri del parco sono spesso collocate panche
e tavole a disposizione degli escursionisti.
Per visitare i SIC, si può raggiungere il santuario di Montallegro partendo da Rapallo con l’auto o in funivia, mentre la pineta delle Grazie si può raggiungere percorrendo
la strada che collega Rapallo a Chiavari.
Il Parco di Portofino ed i SIC si possono quindi visitare
tutto l’anno, godendo di sensazioni sempre diverse e particolari.
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A sinistra dall’alto: geranio sanguigno (Geranium sanguineum); orchidea
provenzale (Orchis provincialis); regolo (Regulus regulus); acetosella (Oxalis
acetosella), una pianta che si incontra talvolta vicino ai ruscelli. A destra
dall’alto: la baia di Paraggi; zigolo nero (Emberiza cirlus); Papaver setigerum;
Geum urbanum.
Il Parco Naturale Regionale dell’Aveto; il
fascino e la serenità dell’Appennino ligure
Quel che offre il Parco dell’Aveto sono panorami di alta
montagna a due passi dal mare, con laghi, fiumi e, soprattutto, meravigliosi boschi, che invitano a rilassanti
passeggiate nel verde. Da fine aprile è il luogo ideale per
un picnic all’aperto in uno dei tanti bellissimi prati e
offre l’occasione per scoprire una flora molto particolare.
Una gita nei paesi caratteristici della valle dell’Aveto può
essere l’occasione per gustare piatti tipici e genuini prodotti locali. Anche d’inverno è possibile godere di particolari sensazioni, magari sui pendii innevati della Rocca
d’Aveto o lungo la pista da sci di fondo presso il passo
del Tomarlo, che corre in mezzo alla faggeta del monte
Penna e lungo il tragitto offre scorci sulle cime innevate
dello stesso Penna e del vicino Pennino.
I pascoli appenninici
I prati di alta quota, oltre gli 800 metri di altezza, ospitano una flora molto varia, costituita da piante bulbose
che garantiscono copiose fioriture. Si va da quelle precoci dei crochi, a quelle primaverili del narciso dei poeti,
della Dactylorhiza sambucina, dai fiori color giallo pallido o porpora, e di numerose altre orchidiacee, come la
comune Orchis mascula, l’orchidea provenzale e il giglio
caprino, sino a quelle autunnali dei velenosi colchici.
In primavera fioriscono le viole e Primula veris, dai fiori
gialli portati in cima ad un unico stelo, il geranio sanguigno (Geranium sanguineum) e la graziosa Veronica
chamaedrys, che si fa notare perché forma macchie di
A sinistra dall’alto: uno scorcio delle montagne della Val d’Aveto; il croco
primaverile (Crocus napolitanus); due immagini dell’orchidea Dactylorhiza
sambucina. Si tratta di una specie le cui piante producono fiori di due colori
distinti. A destra dall’alto: Orchis mascula, un’orchidea, come la precedente,
molto comune nei prati della Val d’Aveto; colchico (Colchicum autumnale),
specie che in autunno fiorisce profusamente nei prati; Veronica chamaedrys;
Centaurea triumfetti.
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colore azzurro intenso tra l’erba. Particolare e appariscente anche la Centaurea triumfetti, un vistoso fiordaliso montano.
Nello stesso periodo sbocciano i fiori della Gentiana
kochiana e più tardi, in piena estate, quelli della Gentiana cruciata, pianta molto vistosa, con steli lunghi
fino a 50 cm.
Fra le specie rare, vanno segnalate presso il Passo del
Biscia, lo zafferano ligure (Crocus ligusticus), dallo
stimma di un vivace color arancio, e il fiordaliso di Luni
(Centaurea aplolepa subsp. lunensis).
I prati maggiormente utilizzati per il pascolo del bestiame possono ospitare anche radi alberi, o meglio arbusti, che crescono a grande distanza l’uno dall’altro. Si
tratta di solito di biancospino (Crataegus oxyacantha)
o prugnolo (Prunus spinosa), che grazie ai rami spinescenti sono in grado di “resistere” a bovini ed ovini.
Nei pascoli assolati e soprattutto ai bordi dei campi o
tra questi e le strade, si incontrano altre piante spinose
che non sono appetite dagli animali e che pertanto vengono risparmiate. Sono la carlina, il cardo dei lanaioli,
lo spinosissimo cardo canuto e altre specie di dimensioni
inferiori, come la papilionacea Ononis spinosa, che si
sviluppa soprattutto in larghezza, fiorendo profusamente da inizio estate sino all’autunno. Sui bordi delle
strade si osserva talvolta anche la saponaria, dalle radici
della quale si estraeva una sostanza detersiva.
Altre specie tipiche dei pascoli, dalla fioritura prolungata, sono le onnipresenti carota e cicoria selvatica (Cichorium intybus), il millefoglio, l’iperico perforato, dalle
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A sinistra dall’alto: Gentiana kochiana; Gentiana cruciata; carlina (Carlina
acaulis); cardo canuto (Cirsium eriophorum), come la carlina pianta molto
spinosa. A destra dall’alto: cardo dei lanaioli (Dipsacus sylvestris), una specie
che si osserva talvolta anche lungo i greti dei fiumi; un piccolo ramo fiorito
di Ononis spinosa; i piccoli fiori che compongono le infiorescenze del millefoglio (Achillea millefolium) sono normalmente bianchi. La pianta è comune
nei prati; una coccinella (Coccinella septempunctata) sopra un’infiorescenza
di carota selvatica (Daucus carota).
foglie che sembrano traforate per via della presenza di
ghiandole oleose, e la salvia dei prati, con i suoi appariscenti fiori viola.
Nella Val d’Aveto è stata selezionata da secoli una particolare razza bovina che prende il nome da una località
del fondovalle chiamata “Cabanne”. La “cabannina” è
una vacca molto piccola, ma piuttosto resistente e ben
adattata a sopravvivere nell’entroterra del levante ligure,
dove i terreni sono spesso impervi e scoscesi. Il latte di
questa razza bovina ha favorito la realizzazione di ottimi
formaggi, come il rinomato “San Ste”, prodotto in alcuni
caseifici sparsi nella valle.
Le foreste di faggio e abete bianco
In Val d’Aveto esistono faggete che costituiscono estese
foreste. La più famosa di esse è certamente quella che
si sviluppa intorno al Monte Penna.
La composizione di queste foreste è mutata nel corso
dei millenni in risposta a variazioni climatiche rilevanti
(alternanza di periodi umidi con altri più asciutti). Anche
se oggi è prevalente il faggio, si sono avuti periodi in cui
vi era abbondanza di abeti bianchi,
In tempi storici, però, il cambiamento delle essenze forestali a favore del faggio è stato parzialmente influenzato anche dall’intervento umano.
Infatti, sebbene le condizioni climatiche di quest’ultimo
periodo, clima più secco, possono aver influito negativamente sullo sviluppo degli abeti bianchi, anche l’intervento dell’uomo, che ha utilizzato il legname degli
alberi, ha creato ulteriori scompensi
Così, se intorno al XVI secolo, gli alberi della foresta furono tagliati per produrre soprattutto remi per galee,
A sinistra dall’alto: Pian d’Oneto in alta Val Graveglia; saponaria (Saponaria
officinalis); iperico (Hypericum perforatum); Malva moschata. A destra dall’alto: la salvia dei prati (Salvia pratensis); un esemplare di vacca “cabannina”; genzianella campestre (Gentianella campestris); l’orchidea dei pascoli
montani Traunsteinera globosa.
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pare tuttavia con interventi in grado di poter salvaguardare il bosco, agli albori del XVIII secolo lo sviluppo di
vetrerie e fornaci richiese grandi quantitativi di legname,
così da spingere la popolazione a tagli indiscriminati. Gli
abeti, meno competitivi, furono sostituiti dalle piante di
faggio, che una volta tagliate ricacciavano dalle ceppaie,
espandendosi nelle aree occupate dalle conifere.
Nel secolo scorso, inoltre, furono introdotte conifere di
specie diverse, che hanno finito per integrarsi con le essenze forestali originarie. L’abete bianco resta comunque diffuso in alcune aree o compare qua e la con
individui isolati.
Testimonianze di un passato in cui l’abete bianco era
molto più diffuso si hanno all’interno del lago degli
abeti, dove si trovano alcuni tronchi e altre parti legnose
risalenti a circa 5000 anni fa.
Oltre a faggi ed abeti bianchi, che si distinguono dagli
abeti rossi per avere le foglie (aghi) disposte su di uno
stesso piano e due linee bianche sulla loro pagina inferiore, nelle foreste si trovano qua e là alberi, come
l’acero di monte e il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia).
Le faggete costituiscono spesso un complesso ordinato,
dove si osservano svettare i fusti diritti degli alberi e
dove il terreno nel sottobosco è completamente coperto
da foglie secche, ben stratificate, che sembrano soffocare ogni tentativo di sviluppo di altri vegetali.
Tra le specie del sottobosco della faggeta si trovano arbusti come il maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum)
e il sambuco rosso. Nelle radure sono comuni piante di
lampone e del velenoso ebbio (Sambucus ebulus).
Le fioriture precoci di piante bulbose, come crochi (Cro-
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A sinistra dall’alto: nelle foreste montane di faggio (Fagus sylvatica) la neve
persiste fino a maggio/giugno; gli aghi dell’abete bianco (Abies alba) visti
dorsalmente; foglia di acero di monte (Acer pseudoplatanus); frutti del sambuco rosso (Sambucus racemosa). A destra dall’alto: mirtillo nero (Vaccinium
myrtillus); croco bianco (Crocus albiflorus); bucaneve (Galanthus nivalis); mughetto (Convallaria majalis).
cus albiflorus e Crocus napolitanus), bucaneve e campanellini (Leucojum vernum), sono seguite da quelle dei
sigilli di Salomone (Polygonatum verticillatum e Polygonatum multiflorum), della rara digitale purpurea (Digitalis purpurea), della digitale gialla maggiore e della
comune digitale gialla minore.
Nel sottobosco si possono trovare ancora i mirtilli, la Luzula nivea e il caprifoglio alpino (Lonicera alpigena).
In estate, ai bordi del bosco è comune la verga d’oro e
nei punti più ombrosi l’eupatorio e l’epilobio irsuto, i seneci di bosco, tra i quali Senecio fuchsii, e anche la lattuga di monte, dalle infiorescenze composte da
due/cinque fiorellini ligulati.
Tra le piante curiose vi è l’uva di volpe (Paris quadrifolia), che forma gruppi di piante basse con quattro foglie,
al centro delle quali si sviluppa una bacca nerastra.
Una curiosità: talvolta nelle zone di discreto pendio,
dove comunque riesce a svilupparsi la faggeta, si può
notare che i tronchi degli alberi hanno quasi tutti una
curvatura alla base. Il fenomeno è causato dalla neve,
che durante le stagioni invernali, quando le piante erano
ancora giovani, ha piegato i fusticini con il peso e lo scivolamento della coltre a terra, sin quando questi, crescendo, non sono divenuti robusti e in grado di opporsi
alla pressione.
Il castagneto
la vita contadina in Liguria, durante le stagioni sfavorevoli,
soprattutto nelle zone lontane dal mare dove non si poteva attingere ai prodotti della pesca, si basava sull’acA sinistra dall’alto: tra le numerose felci che si trovano nel sottobosco delle
faggete vi è anche la particolare Gymnocarpium dryopteris; lampone (Rubus
idaeus); verga d’oro (Solidago virgaurea); lattuga di monte (Prenanthes purpurea). A destra dall’alto: digitale gialla maggiore (Digitalis grandiflora); Luzula nivea; l’orchidea Goodyera repens, che cresce soprattutto sotto gli abeti,
in luoghi umidi e ombrosi. Si tratta di una specie molto rara, ma probabilmente arrivata sull’Appennino insieme a conifere da rimboschimento; l’orchidea Corallorhiza trifida.
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cumulo di provviste, derivate da una agricoltura povera e
da un allevamento di montagna, che potessero garantire
la sopravvivenza delle famiglie, spesso numerose.
Da tempi remoti, in aree relativamente poco scoscese e
occupate da boschi di vario genere, venne impiantato il
castagno, che ha sostituito le originarie coperture boschive. I frutti del castagno venivano raccolti in autunno
e posti in essiccatoi per circa 30/40 giorni. Portati ai mulini, producevano una farina adatta ad essere conservata, che costituiva un’importante fonte di cibo.
Oggi i boschi di castagno sembrano integrati perfettamente nell’ambiente naturale e le caratteristiche di questa pianta, associate al particolare substrato umico che
si forma sotto gli alberi, la rendono addirittura più
adatta delle specie autocnone, come le querce e i faggi,
allo sviluppo delle micorrize fungine.
Tra gli alberi del castagneto si possono trovare anche le
essenze arboree che caratterizzano il bosco misto, come
individui isolati cresciuti soprattutto al limitare del
bosco.
Nel sottobosco crescono erica erbacea, brugo (Calluna
vulgaris), mirtilli, alcune graminacee e composite, labiate come Salvia glutinosa, geraniacee come Geranium nodosum, e, in alcune zone, la barba di capra,
una pianta che produce pennacchi ramosi di fiori biancastri, e Daphne laureola, pianta velenosa dalle belle
foglie lucide.
Le fioriture più precoci sono quelle dei bucaneve, delle
scille a due foglie e dei denti di cane, piante bulbose che
spariscono precocemente.
Le fioriture primaverili delle piante erbacee sono quelle
di viole, Primula veris, Hepatica nobilis e Aquilegia
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A sinistra dall’alto: frutti di castagno; digitale gialla minore (Digitalis lutea);
erica erbacea (Erica carnea); il diffuso Geranium nodosum. A destra dall’alto:
Salvia glutinosa; la barba di capra (Aruncus dioicus) dalle vaporose infiorescenze; l’orchidea Dactylorhiza maculata, molto comune nei boschi dalla
costa all’Appennino; la rara orchidea Orchis pallens.
atrata. Molto bella la fioritura di Omphalodes verna,
che mostra corolle piccole ma di un celeste molto intenso. Ciò le è valso il nome volgare di “occhi della Madonna”. Piuttosto diffuse anche Cardamine heptaphylla,
i melampiri e Teucrium scorodonia.
Tra le bulbose si trovano ancora orchidee, come Dactylorhiza maculata, comune anche in spazi erbosi, e Orchis pallens, mentre tra le rizomatose, i sigilli di
Salomone (Polygonatum multiflorum e Polygonatum
odoratum).
In estate si assiste anche alla fioritura della digitale gialla
e, soprattutto al limitare dei boschi, della verga d’oro, dai
fusti diritti che si coprono di fiori giallo oro. Talvolta nel
sottobosco dei boschi sofferenti o ceduati si sviluppano
piante di felce aquilina. Cespugli di rose canine, rovi ed
altri arbusti spinosi crescono invece nelle aree maggiormente illuminate, formando piccole siepi sfruttate dagli
uccelli per nidificare. Queste formazioni si trovano anche
in altri boschi e negli incolti lungo i prati.
Il querceto e Il bosco misto
Una delle querce più diffuse nei boschi del Parco dell’Aveto è il cerro, che talvolta forma coperture boschive
quasi pure. Si tratta di una pianta molto bella, che produce ghiande dal cappuccio o cupola ricoperto da
squame allungate e arricciate. La roverella (Quercus pubescens) è meno diffusa e sporadica e talvolta si rinviene qualche rovere (Quercus petraea), solitamente
isolato o in gruppi di pochi esemplari.
I boschi misti sono formati in prevalenza da una particolare essenza arborea (castagno, quercia) e di frequente ospitano altre specie, come l’acero di monte
A sinistra dall’alto: scilla a due foglie (Scilla bifolia); Primula veris; Cardamine
heptaphylla; Teucrium scorodonia. A destra dall’alto: la splendida Omphalodes verna. La fioritura di questa specie in primavera crea un meraviglioso
colpo d’occhio nei boschi, prima che si sviluppi la nuova vegetazione; alcune
viole di bosco: Viola riviniana; Viola reichenbachiana e Viola alba.
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(Acer pseudoplatanus), dalle foglie con lamina palmata,
il sorbo montano (Sorbus aria), il sorbo degli uccellatori
(Sorbus aucuparia), l’olmo montano (Ulmus glabra) e,
più raramente, il nespolo (Mespilus germanica), dai
frutti commestibili.
Ai margini dei boschi e vicino alle strade non è difficile
che si sviluppi il salicone (Salix caprea), che ad inizio
primavera si copre di morbidi “piumini”, contenenti i
fiori immaturi. Sono diffusi anche esemplari di pioppo
tremulo (Populus tremula).
In questi boschi si può trovare biancospino, qualche cespuglio di rosa canina, pruni selvatici e sanguinella. La
flora del sottobosco può essere simile a quella del castagneto. Nei boschi più umidi o vicino a corsi d’acqua
si possono osservare in primavera estese fioriture di
aglio orsino, una specie facilmente riconoscibile per il
forte odore aromatico. Le robinie (Robinia pseudoacacia), utilizzate in alcune aree per consolidare le scarpate,
sono diventate infestanti e spesso possono crescere
anche all’interno del bosco misto, dove l’eterogeneità
delle piante favorisce la loro espansione.
La vegetazione lacustre
I numerosi laghi presenti in Val d’Aveto ospitano, soprattutto sulle sponde, animali e piante rari, oltre ad una flora
legata in maniera specifica alle aree lacustri.
Una parte di laghi, cinque per l’esattezza, sono all’interno
di riserve integrali, mentre il lago delle Lame, di origine
glaciale come i precedenti, il grande lago artificiale di
Giacopiane ed alcuni altri, sono situati in aree a tutela
meno rigida. In alcuni casi si tratta di raccolte di acqua
piuttosto ridotte, che nel periodo estivo si trasformano
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A sinistra dall’alto: una ghianda di cerro (Quercus cerris); biancospino (Crataegus monogyna). Nella flora avetana si trova anche Crataegus oxyacantha;
pruno selvatico (Prunus spinosa); sanguinella (Cornus sanguinea). A destra
dall’alto: aglio orsino (Allium ursinum); il Lago delle Lame; ontano nero
(Alnus glutinosa); le foglie di Potamogeton natans.
in acquitrini o si disseccano completamente.
Talvolta, come nel caso del lago delle Lame, si osservano
su parte dell’area costiera, molti grandi massi che pare
costituissero l’anfiteatro morenico spinto dalla lingua di
un antico ghiacciaio.
Teorie recenti affermano al contrario che la genesi di
quelle che sembrano morene sia di tipo periglaciale, ossia
dovuta a spaccature e scivolamenti delle rocce, a causa
di cicli di formazione e scioglimento del ghiaccio.
Le caratteristiche climatiche della Val d’Aveto, che ricordiamo è una della valli liguri più fredde, hanno fatto sì
che nella zona dove sono situati i laghi e in alcuni microambienti di alta quota, dopo le ultime glaciazioni, si
mantenessero condizioni climatiche tali da consentire la
sopravvivenza di specie che si trovano esclusivamente a
latitudini più elevate e in paesi nordici.
Inoltre, tra le piante arboree che vivono intorno ad alcuni
laghetti, si trovano esemplari di ontano bianco (Alnus incana), che tra le sue fronde fornisce rifugio a molti uccelli.
Sembra che questa pianta sia stata diffusa dalle pratiche
messe atto dai contadini, la diminuzione dei quali ha ridotto sensibilmente anche il numero di questi ontani.
Soprattutto nei laghi delle riserve integrali si possono osservare i Potamogeton, dalle foglie che galleggiano sull’acqua. Nel terreno paludoso e inondato, intorno agli
specchi acquei, crescono la farferugine, con i sui bei fiori
gialli, la tifa (Typha latifolia) e i giunchi, con il raro Juncus
filiformis.
Nelle aree acquitrinose vicino ai laghi si possono osservare
sfagni e piante abituate a sopravvivere in questi ambienti
A sinistra dall’alto: veduta del “Lago degli Abeti”, nella riserva delle Agoraie;
genzianella stellata (Swertia perennis); il pennacchio a foglie strette (Eriophorum angustifolium); elleborina di palude (Epipactis palustris), visitata
dalla farfalla Melitaea athalia. A destra in alto: panorama autunnale del lago
artificiale di Giacopiane; la rosolida (Drosera rotundifolia), piccolissima pianta
carnivora; l’orchidea Listera cordata che predilige suoli molto umidi, anche
all’interno di foreste di montagna. Si tratta di una specie poco comune; farferugine (Caltha palustris).
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estremi, come la bella genzianella stellata e il pennacchio
a foglie strette (Eriophorum angustifolium), che produce
ad inizio estate inconfondibili spighe, bianche e cotonose.
Ancora tra le piante particolari vanno ricordate, Viola palustris e Trichophorum caespitosum, specie che sull’Appennino si ritrova solo in queste zone.
Comuni anche due specie di piante carnivore: la piccolissima rosolida e l’erba unta (Pinguicola vulgaris), che non
trovando azoto disponibile in questi terreni asfittici, lo ricavano dai tessuti di piccoli insetti, catturati grazie alle
sostanze appiccicose prodotte e presenti sulle loro foglie.
I prati umidi
All’interno del Parco dell’Aveto, oltre agli splendidi laghetti
che conservano una natura quasi incontaminata, si trovano zone umide, come quella di Pian d’Oneto in alta Val
Graveglia. Si tratta di una vasta depressione, formatasi per
dissoluzione della roccia calcarea del sottosuolo, dovuta
all’azione delle acque superficiali.
Questi fenomeni carsici hanno dato origine ad inghiottitoi,
attraverso i quali l’acqua piovana scende in profondità per
riemergere in risorgive a quote più basse.
Nelle stagioni secche, il piano ha l’aspetto di un grande
prato, anche se può presentare alcune piccole aree in cui
ristagna l’acqua piovana. Nei periodi piovosi si trasforma
in un acquitrino in cui l’acqua piovana percola lentamente
negli inghiottitoi. La vegetazione di queste zone è rappresentata da erbe, giunchi ed equiseti, ma anche da specie
piuttosto rare come l’orchidea acquatica e l’elleborina di
palude, o ancora il pennacchio a foglie strette e la parnassia di palude.
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A sinistra dall’alto: orchidea acquatica (Anacamptis laxiflora); Parnassia palustris; felce maschio (Dryopteris filix-mas); menta d’acqua (Mentha aquatica). A destra dall’alto: non ti scordar di me palustre (Myosotis palustris);
geranio lucido (Geranium lucidum); dulcamara (Solanum dulcamara), una
solanacea che si sviluppa lungo i torrenti; l’infiorescenza di Sanguisorba officinalis, pianta poco comune sull’Appennino, che cresce nei prati umidi.
Lungo i fiumi ed i torrenti
Il parco dell’Aveto è ricco di corsi d’acqua. Lungo di essi
si sviluppa una folta vegetazione, che nei torrenti più
piccoli è soprattutto costituita da felci. Quelle più diffuse sono la felce maschio e la felce femmina (Athyrium
filix-foemina). Ad esse si aggiungono alcune specie
piuttosto rare. Le altre piante che si sviluppano in questi
ambienti umidi, spesso poco luminosi, sono la menta
d’acqua, il non ti scordar di me palustre e alcuni gerani.
Tra questi è diffuso il geranio lucido, capace di formare
gruppi anche estesi di piante che tappezzano il terreno.
Qua e la si trova anche la vistosa genziana di Esculapio
(Gentiana asclepiadea), che inizia a fiorire a tarda
estate.
Gli alberi presenti lungo le sponde sono ontani neri
(Alnus glutinosa), qualche nocciolo (Corylus avellana)
e sambuco nero, e comunque gli alberi del bosco in cui
scorre il torrente. Dove i corsi d’acqua sono più ampi, la
radiazione luminosa che raggiunge le piante è solitamente maggiore. In questi casi, sulle rive si sviluppano
piante erbacee, con steli che spesso superano il metro
di lunghezza e che producono fiori visitati da un gran
numero di farfalle. Sono la canapa acquatica e alcune
specie di epilobio; principalmente Epilobium angustifolium ed Epilobium hirsutum.
Nel terreno lungo i fiumi crescono anche Lysimachia
punctata, Lunaria rediviva, dai fiori profumati, e la bella
Oenothera biennis. Oltre a quelle già citate, altre specie
arboree si sviluppano lungo i greti illuminati dal sole e
tra queste alcune specie di salici, come il salice bianco
(Salix alba) ed il salice da vimini (Salix viminalis).
A sinistra dall’alto: Adenostyles australis, una pianta che cresce nei boschi
lungo i torrenti, soprattutto in montagna; sambuco nero (Sambucus nigra);
Eupatorium cannabinum. I fiori di questa pianta sono frequentemente visitati
da farfalle. In questo caso si tratta di una femmina della specie chiamata
volgarmente “tabacco di Spagna” (Argynnis paphia); fiore dell’infiorescenza
di Epilobium angustifolium. A destra dall’alto: Epilobium hirsutum; Epilobium
parviflorum; Lysimachia punctata; Lunaria rediviva.
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La vegetazione delle vette
Le vette delle principali montagne che delimitano la Val
d’Aveto sono facilmente accessibili e ricoperte da manti
erbosi, interrotti qua e là da rocce affioranti. Le graminacee sono quindi prevalenti ma non crescono mai eccessivamente.
La flora che costituisce questi manti è costituita da specie a crescita ridotta o che si sviluppano in modo stentato, da piante con foglie carnosette, capaci di
trattenere acqua nei tessuti, o ancora da specie bulbose
o rizomatose, che superano i periodi sfavorevoli sottoterra, viste le condizioni limitanti che si trovano in questi
luoghi: scarsità di terreno con conseguente aridità (l’acqua piovana non viene trattenuta), unite a freddo, neve
e forte vento per gran parte dell’anno.
Le specie che si sviluppano maggiormente in altezza
sono piccoli arbusti che crescono lentamente, come il
ginepro e, sul Monte Nero, anche il pino mugo (Pinus
mugo pumilio). Nei punti di maggiore persistenza del
vento, queste piante possono assumere una forma a
bandiera (chioma sviluppata su un lato del tronco).
Comune anche il ginepro nano (Juniperus nana), particolarmente adatto a sopravvivere ad alta quota.
A quote rilevanti si incontrano il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea), Vaccinium uliginosus e talvolta il
mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), che formano piccole
estensioni di bassi suffrutici.
Le piante erbacee, che si possono trovare se non proprio
in vetta nelle vicinanze, sono il garofano a pennacchio
(Dianthus superbus), profumato e dai petali sfrangiati,
il tulipano dei monti, una bulbosa dal fiore giallognolo,
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A sinistra dall’alto: frutti e foglie di un ginepro comune (Juniperus communis); la profumata Daphne cneorum; il fior di stecco (Daphne mezereum);
Aquilegia alpina. A destra dall’alto: primula impolverata (Primula marginata);
tulipano dei monti (Tulipa australis); l’orchidea Coeloglossum viride, che cresce anche ad altitudini rilevanti; botton d’oro (Trollius europaeus), una vistosa
ranuncolacea di montagna.
Arnica montana, la bella viola calcarata, quella di Cavillier, la gialla Viola biflora e Primula marginata.
Sono poi presenti piante striscianti o suffrutici, come
Poligala chamaebuxus, Silene acaulis, Daphne cneorum e Daphne mezereum, entrambe dai bei fiori rosa
profumati, e in aree ristrette anche Daphne alpina, piccola pianta dai fiori bianchi.
Sulle rocce sono invece comuni sassifraghe, come Saxifraga moschata, Saxifraga paniculata, e semprevivi.
Non mancano le genziane, e quella che meglio si adatta
a questi ambienti è la genzianella di primavera, con le
sue piccole ma vivaci corolle.
Una delle fioriture più appariscenti di tutta la Val
d’Aveto è certamente quella dello splendido giglio martagone, che sviluppa infiorescenze che superano il metro
di altezza, con numerosi e vistosi fiori di colore rosa
scuro. Si tratta quindi di una specie vulnerabile e ambita
dai raccoglitori di fiori, ma fortunatamente protetta.
In prossimità delle vette si trovano piante poco diffuse
nell’Appennino: tra le tante, Aquilegia alpina, Alchemilla alpina, Soldanella alpina, Aster alpinus e il bell’anemone Pulsatilla alpina, specie che, come tradiscono
i nomi scientifici, sono tipiche delle Alpi .
Vanno ancora ricordate alcune piante caratteristiche di
ambiente montano, che si incontrano soprattutto lungo
sentieri e strade. Sono la costolina appenninica (Robertia taraxacoides), che ama vivere nelle spaccature delle
rocce, il doronico di Colonna (Doronicum columnae), il
senecio delle rupi (Senecio rupestris) e il fiordaliso vedovino (Centaurea scabiosa), che prediligono gli ambienti pietrosi e le rupi.
A sinistra dall’alto: Viola calcarata; Saxifraga paniculata; genzianella di primavera (Gentiana verna); fiore dell’infiorescenza del giglio martagone (Lilium
martagon). A destra dall’alto: semprevivo (Sempervivum tectorum); Soldanella alpina; astro delle alpi (Aster alpinus); anemone pulsatilla (Pulsatilla
alpina).
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Lecceta, macchia mediterranea e gariga in
Val Graveglia
Il territorio più vicino alla costa, compreso nel Parco regonale dell’Aveto, si trova all’interno della Val Graveglia.
In esso si possono osservare lembi di lecceta, dove sono
presenti orniello e roverella, mescolati ad elementi della
macchia mediterranea, come corbezzolo, erica arborea
e ginestra spinosa.
La flora è in parte condizionata dalle caratteristiche
delle rocce affioranti, costituite da strati di diaspro rosso,
originatosi in fondali marini profondi soprattutto per la
deposizione di scheletri silicei di radiolari, da serpentiniti, ricche di magnesio e metalli pesanti che originano
un substrato tossico per molte specie vegetali, e da basalti, cioè da lava fuoriuscita da dorsali presenti nei fondali marini che si è solidificata in ambiente subacqueo.
Quasi uniche al mondo, le strutture basaltiche “pillows
lavas”, che si possono osservare lungo la statale che
scorre nella valle. Si tratta di formazioni a “cipolla” rovesciata che si sono originate a causa del veloce raffreddamento della lava fuoriuscita dalle dorsali.
Il torrente Graveglia, che scorre verso la confluenza con
il fiume Entella, forma orridi piuttosto profondi, visibili
percorrendo il bel ponte ottocentesco in località Pian
del Fieno, costruito per garantire il collegamento dei
paesi dell’entroterra con la costa.
Significativa la presenza, presso l’abitato di Gosita, di
un’esemplare imponente e millenario di roverella. La
pianta ha dimensioni ragguardevoli. Purtroppo nel luogo
ne esisteva un’altra, di dimensioni simili, abbattuta per
ottenere legname durante l’ultimo conflitto mondiale.
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A sinistra dall’alto: asplenio del serpentino (Asplenium cuneifolium); felcetta
lanosa (Notholaena marantae); bosso (Buxus sempervirens); ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus). A destra dall’alto: Cephalanthera rubra, un’orchidea rara, segnalata in Val Graveglia; un bombo (Bombus terrestris), sopra
l’infiorescenza di Sedum telephium; Minuartia laricifolia subsp. ophiolitica,
diffusa sulle rocce assolate; santoreggia (Satureja montana).
Tra le piante che crescono su terreni derivati dalla disgregazione delle serpentiniti, ne esistono alcune che
possono vivere solo su questi substrati, come l’asplenio
del serpentino, ed altre che oggi sopravvivono in queste
aree come specie relitte. Queste specie sono invece
scomparse in zone limitrofe, dove hanno subito la forte
concorrenza di piante più efficienti. È il caso del bosso
e di altre specie come la felcetta lanosa.
Nella macchia è quindi molto diffuso il bosso, pianta
utilizzata da tempi remoti per la realizzazioni di siepi
nei giardini all’italiana, e il ginepro rosso, e, nella gariga,
la ginestra di salzmann, endemismo della Liguria orientale, l’euforbia spinosa ligure (Euphorbia spinosa subsp.
ligustica), l’iberide umbellata (Iberis umbellata), crucifera dai fiori rosa che cresce anche nelle spaccature
delle rocce, la vistosa crassulacea Sedum telephium
subsp. maximum e la Minuartia laricifolia subsp.
ophiolitica, dai piccoli fiori bianchi, che cresce esclusivamente su substrato serpentinicolo, così come il già citato asplenio del serpentino.
Ancora nella gariga sono diffuse molte piante aromatiche, come il timo, l’elicriso, la ruta e la santoreggia.
Lungo il corso del torrente Graveglia o di alcuni dei suoi
affluenti si trovano piante che amano l’umidità e felci, e
nelle rocce presenti sulle sponde, spesso ricoperte di muschi, si possono osservare sassifraghe di diverse specie.
Particolarmente significativa la presenza, in una zona
ombrosa di macchia rada di erica arborea nei pressi di
un piccolo rivo, poco distante dai confini del Parco Regionale dell’Aveto, di alcuni esemplari del raro ciclamino
a foglie d’edera (Cyclamen hederifolium).
A sinistra dall’alto: corbezzolo (Arbutus unedo); Ruscus hypoglossum, una
pianta che sembra un pungitopo, ma che fiorisce e fruttifica sulla pagina superiore dei cladodi; ginestra di salzmann (Genista salzmannii); Pararge aegeria, una delle più diffuse farfalle di bosco. A destra dall’alto: galatea
(Melanargia galathea); vanessa io (Nymphalis io); macaone (Papilio machaon); apollo (Parnassius apollo).
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La fauna
Il Parco Regionale dell’Aveto racchiude nel suo territorio
gli ambienti naturali descritti in precedenza. Si trovano
infatti quelli a clima invernale temperato, quelli umidi,
acquitrinosi o lacustri, o ancora quelli a clima invernale
rigido delle montagne appenniniche. Questa situazione
particolare garantisce, in uno spazio piuttosto ristretto,
la presenza di un gran numero di specie animali diverse.
Gli insetti, i ragni e gli scorpioni sono diffusi un po’
ovunque. In primavera ed estate si assiste all’esplosione
di colori che regalano le farfalle, instancabili visitatrici
di fiori. Non sono meno vistose le libellule, maggiormente distribuite vicino ai corsi d’acqua.
Nelle montagne della Val d’Aveto si possono trovare alcune specie interessanti. Due di esse sono la farfalla
apollo, rara nell’Appennino, e il coleottero Rosalia alpina. Si tratta, come per le piante, di relitti glaciali, che
riescono a sopravvivere per la presenza di ambienti che
si mantengono freschi anche in estate.
Tra gli insetti particolari, che si incontrano abbastanza
facilmente nella fascia di parco che ricade nella Val Graveglia, l’Ameles spallanzania, una mantide nana di colore variabile tra il verde e il bruno, che può essere
osservata su piccoli arbusti o in aree pietrose.
Più comuni invece alcune farfalle, come la galatea,
bianca e nera e dal volo piuttosto lento, e il grosso e
bellissimo podalirio, di colore giallo pallido con fasce
trasversali scure. Le ali posteriori di questa farfalla
hanno due code appuntite che la fanno apparire simile
alle specie tropicali.
Tra le farfalle più appariscenti che si incontrano facil-
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A sinistra dall’alto: podalirio (Iphiclides podalirius); Anax imperator; Libellula
depressa; Orthetrum brunneum. A destra dall’alto: femmina del ragno tigre
o epeira fasciata (Argiope bruennichi); un ragno granchio (Thomisus onustus)
ha appena catturato un imenottero; maschio di cervo volante (Lucanus cervus); i gerridi, come Gerris lacustris, si muovono veloci sull’acqua sfruttando
la tensione superficiale.
mente, soprattutto al limitare dei boschi o su piante
come epilobio ed eupatorio, la vanessa atalanta (Vanessa atalanta), la vanessa io, il macaone e la comunissima pafia (Argynnis paphia), chiamata anche
“tabacco di Spagna”.
Nelle giornate soleggiate non è difficile vedere svolazzare
libellule all’interno di aree umide o nelle vicinanze di torrenti. Specie piuttosto comuni sono la tozza Libellula depressa e il vistoso Anax imperator, insieme ad altre più
esili ed eleganti, dai colori metallici verdi e azzurri.
Molto appariscenti i grossi cervi volanti, che mantengono il corpo quasi verticale durante il loro volo.
I prati assolati nelle stagioni calde sono l’ambiente
ideale per grilli e piccoli insetti, come le coccinelle che
visitano i fiori di carota selvatica. Sono diffuse anche
api ed altri imenotteri e tra essi i bombi di diverse specie.
Nei corsi d’acqua, nelle pozze stagnanti e nei laghetti,
oltre a larve di libellule ed effimere, si possono osservare
veloci insetti (gerridi) muoversi rapidamente sulla superficie dell’acqua, galleggiando con le loro zampette.
Sott’acqua, si muovono invece i grossi ditiscidi, insetti
predatori dalle potenti mandibole, che respirano grazie
ad una bolla d’aria che mantengono aderente al corpo.
Altri insetti molto facili da incontrare nella lettiera dei
boschi sono i coleotteri carabidi, tra i più comuni i maggiolini (Melolonta melolonta) e gli scarabei stercorari.
I crostacei sono rappresentati dal gambero di fiume che
si rinviene lungo l’Aveto in numerosi punti.
Nelle acque dei fiumi e dei laghi principali sono inoltre
diffusi pesci come trote, temoli e vaironi e in determinati
periodi dell’anno anche anguille.
Gli anfibi sono presenti con specie diverse di rospi e
A sinistra dall’alto: gambero di fiume (Austropotamobius pallipes); trota di
torrente (Salmo trutta morpha fario); temolo (Thymallus thymallus); vairone
(Leiciscus souffia). A destra dall’alto: rana rossa appenninica (Rana italica);
tritone alpino (Triturus alpestris); tritone crestato (Triturus cristatus); salamandra (Salamandra salamandra).
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rane, tra cui la rana rossa appenninica e la rana montana (Rana temporaria). Alcuni stagni, anche stagionali,
della riserva delle Agoraie rappresentano importanti siti
di riproduzione di quest’ultima specie.
Tritoni e salamandre sono diffusi anch’essi all’interno o
in prossimità di numerosi corsi d’acqua, pozze, zone
umide e laghetti. Specie particolarmente appariscente
è il tritone alpino. Il maschio di questa specie ha infatti
il dorso bluastro e i fianchi bianchi a pois neri, con due
linee longitudinali, azzurra e rossa, tra le zampe.
Nel territorio del parco sono inoltre presenti anche il tritone crestato e il geotritone appenninico (Speleomantes
ambrosii), che vive in cavità sotterranee.
Anche le salamandre hanno colori piuttosto vivaci e
sono la grossa salamandra gialla e nera, anche con la
varietà appenninica, e la salamandrina dagli occhiali
(Salamandrina perspicillata).
Nelle aree sassose e più soleggiate, o più raramente in
zone boscose, si possono talvolta osservare l’insidiosa
Vipera aspis, così come il biacco o il più raro colubro di
Esculapio. Talvolta, sulle rocce assolate vicino all’acqua,
può crogiolarsi la biscia dal collare (Natrix natrix), abile
nuotatrice che, se attaccata, è capace di secernere una
sostanza dall’odore disgustoso.
Nei punti ben illuminati dai raggi solari sono piuttosto
comuni ramarri e lucertole, con la diffusissima lucertola
muraiola (Podarcis muralis). Gli uccelli che si trovano a
quote basse e che sono presenti anche d’inverno sono
passeriformi, come il pettirosso, la passera d’Italia, il codirosso spazzacamino e il cardellino.
All’interno dei boschi, in special modo dove sono presenti conifere, si possono osservare capinere, cince, tra
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A sinistra dall’alto: maschio di ramarro (Lacerta viridis); saettone o colubro
di Esculapio (Elaphe longissima); vipera (Vipera aspis); cincia dal ciuffo (Parus
cristatus). A destra dall’alto: maschio di averla piccola (Lanius collurio); luì
piccolo (Phylloscopus collybita); picchio verde (Picus viridis); ghiandaia (Garrulus glandarius).
cui la cincia bigia (Parus palustris), quella dal ciuffo e
la cincia mora (Parus ater), ciuffolotti (Pyrrhula pyrrhula) e crocieri.
Altri piccoli uccelli piuttosto diffusi sono l’averla piccola,
il culbianco, il luì piccolo e il bianco (Phylloscopus bonelli), il saltimpalo e il prispolone (Anthus trivialis).
Tipici “abitanti” delle aree prative o dei margini dei boschi, dal piumaggio mimetico, sono invece la pernice
rossa, la tordela (Turdus viscivorus), e le più piccole allodola (Alauda arvensis) e tottavilla.
Uccelli di media grandezza che vivono nei boschi sono il
cuculo e l’upupa, il picchio rosso maggiore, soprattutto
nelle zone più assolate e calde, il picchio verde e la
ghiandaia, dalle penne molto colorate. Di minori dimensioni, il torcicollo e il picchio rosso minore (Dendrocopos
minor).
Tra i migratori sono relativamente comuni le tortore.
Lungo i corsi d’acqua si trovano uccelli come l’airone
cenerino e la garzetta (Egretta garzetta), il merlo acquaiolo, unico passeriforme capace di nuotare sott’acqua per catturare piccoli crostacei, larve e insetti
acquatici, e il martin pescatore, un agile tuffatore che
cattura piccoli pesci. Sui greti compare anche la ballerina gialla (Motacilla cinerea), che cammina muovendo
ritmicamente la coda.
Anche i rapaci sono numerosi. Oltre al diffuso gheppio,
si possono osservare in volo l’astore, lo sparviere, il falco
pecchiaiolo e la poiana (Buteo buteo). Soprattutto nelle
zone prossime alla costa (Val Graveglia), può fare la sua
comparsa il biancone (Circaetus gallicus), che si ciba
tra l’altro esclusivamente di rettili.
Uccelli particolari sono i succiacapre, insettivori ad abitudini crepuscolari.
A sinistra dall’alto: culbianco (Oenanthe oenanthe); cuculo (Cuculus canorus);
torcicollo (Jynx torquilla); succiacapre (Caprimulgus europaeus). A destra
dall’alto: sparviere (Accipiter nisus); falco pecchiaiolo (Pernis apivorus); gufo
comune (Asio otus); aquila reale (Aquila chrysaetos).
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È presente, annidata nelle vette più alte, anche l’aquila
reale, grande rapace tornato sull’Appennino Ligure dopo
essere stato sterminato anni or sono.
Gli uccelli notturni sono esclusivamente rapaci, come
la civetta, l’allocco (Strix aluco) e il gufo comune. Nel
parco è segnalato anche il raro gufo reale (Bubo bubo),
uccello inconfondibile, molto grande rispetto ai precedenti, alto fino a 70 cm.
Tra i mammiferi si possono osservare lepri e piccoli roditori. Tra questi, topi di campagna, moscardini, scoiattoli rossi e ghiri. Sono inoltre segnalate l’arvicola delle
nevi (Chionomys nivalis) e quella campestre (Microtus
arvalis). Anche i pipistrelli sono comuni nelle notti
d’estate e nella brutta stagione svernano in piccole
grotte e in cavità artificiali come i cunicoli delle miniere.
Un mammifero particolare è il toporagno d’acqua, che
predilige le aree ricche di laghetti, ad esempio la zona
delle Agoraie, e deve il suo nome alla saliva velenosa
che, in caso di morso, può causare reazioni allergiche.
I principali predatori sono la volpe rossa, il tasso, la faina,
la donnola e la puzzola, piuttosto rara e predatrice della
rana rossa, difficili da vedere per via delle loro abitudini
notturne. Il cinghiale è molto diffuso e per le sue abitudini può creare qualche danno ad alberi e flora erbacea.
Questo animale infatti tende a danneggiare le cortecce
e a scavare nel terreno quando è alla ricerca di radici,
bulbi e tuberi.
Nella Val d’Aveto sono ricomparsi i caprioli, per espansione naturale e ripopolamenti effettuati ad opera dell’uomo, che si stanno ambientando nel territorio
tutelato.
Dalla fine degli anno ’80 si registrano nella zona del
parco avvistamenti del lupo appenninico, che dall’Ap-
70
A sinistra dall’alto: toporagno d’acqua (Neomys fodiens); ghiro (Glis glis);
riccio europeo (Erinaceus europaeus); donnola (Mustela nivalis). A destra
dall’alto: faina (Martes foina); lepre europea (Lepus europaeus); capriolo (Capreolus capreolus); lupo (Canis lupus italicus).
pennino Toscano ha ormai raggiunto e colonizzato le
Alpi. È evidente quindi il ruolo importante che ha avuto
l’Appennino Ligure ed il sistema dei parchi nel favorire
l’espansione degli animali selvatici. Forse questo schivo
animale potrà riuscire a contenere le popolazioni di ungulati, ripristinando equilibri naturali e favorendo indirettamente la diminuzione dei danni all’ambiente.
La visita del Parco regionale dell’Aveto
La variabilità di ambienti del Parco dell’Aveto è molto
spiccata. Ciò non solo garantisce la presenza e la sopravvivenza di specie animali e vegetali dalle esigenze
molto diverse, ma anche, per il visitatore, l’opportunità
di effettuare escursioni suggestive e mai monotone.
Nel parco si trovano foreste molto belle, come quella
demaniale delle Lame e del Monte Penna, o quella del
Monte Zatta dove le faggete presentano esemplari vetusti ed imponenti.
Lungo il percorso che costeggia la riserva integrale delle
Agoraie è possibile osservare un faggio molto grande,
chiamato simpaticamente “re della foresta”. Un altro albero monumentale si trova presso Gosita, nella Val Graveglia. Il luogo in cui è cresciuta questa roverella e la sua
mole fuori dell’ordinario stupiscono sempre i visitatori.
I prati della Val d’Aveto sono talvolta attraversati da
corsi d’acqua che scorrono lenti, intorno ai quali è presente una vegetazione igrofila (che ama l’umidità), con
qualche arbusto spinoso risparmiato dagli animali al pascolo. A maggio le fioriture primaverili ornano queste
spianate verdissime e si ha l’impressione di trovarsi in
un giardino fiorito.
In un territorio come quello del parco è facile effettuare
A sinistra dall’alto: vanessa dell’ortica (Nymphalis urticae); picchio muratore
(Sitta europaea); Silene dioica; Potentilla fragariastrum subsp. Micrantha. A
destra dall’alto: Impatiens noli-tangere; scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris);
Iris graminea; moscardino (Muscardinus avellanarius), sopra una pianta di
“berretta da prete” (Euonymus europaeus).
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osservazioni naturalistiche se si sa dove si trovano i diversi ambienti. Ciò tuttavia non è scontato e quindi, per
chi volesse effettuare escursioni un po’ più “approfondite”, l’Ente che gestisce l’area tutelata organizza visite
con guide esperte, in grado di illustrare le peculiarità
degli ambienti.
Il parco riesce a stupire anche d’inverno. Il paesaggio si
trasforma, ma rimane comunque affascinante anche in
questa stagione, con la galaverna che orna gli alberi, il
ghiaccio dalle forme inconsuete che avvolge i ruscelli e
i ghiaccioli che pendono numerosi dalle sporgenze delle
rocce. Agli appassionati fotografi tutto questo permette
scatti certamente fuori dal comune.
Le escursioni
Per visitare il Parco Regionale dell’Aveto ci si può munire
di una buona cartina, come quelle distribuite dai centri
di accoglienza o dalle agenzie di promozione turistica, e
si ha solo l’imbarazzo della scelta. Questo se si vuole percorrere uno dei tanti sentieri che consentono lunghe passeggiate nel verde, con la sicurezza di giungere in punti
panoramici che ripagano ampiamente della fatica. Viceversa si può arrivare in Val d’Aveto o in Val Graveglia e
raggiungere, con brevi percorsi, aree di interesse naturalistico, in qualche bel bosco o su un prato pianeggiante.
Chi vuole invece godersi soltanto un attimo di relax e
tranquillità, nel territorio del parco può trovare numerosi
ristoranti tipici.
Per chi volesse provare qualcosa di originale, esiste la
72
A sinistra dall’alto: nelle montagne della Val d’Aveto la neve perdura sino a
primavera inoltrata, fornendo l’occasione per splendide escursioni, da effettuare sempre in sicurezza; Limenitis reducta, un bel lepidottero che frequenta
le aree boschive, muovendosi in prevalenza sulle fronde; astore (Accipiter
gentilis). A destra dall’alto: le “vedovelle celesti” (Jasone montana), una
campanulacea che non tollera i terreni calcarei; Saponaria ocymoides, una
pianta che nella bella stagione si copre di piccoli fiorellini rosa; il velenoso
veratro (Veratrum album) e l’insetto elateride (Ctenicera cuprea); civetta
(Athene noctua).
possibilità di visitare il sito minerario di “Gambatesa” in
Val Graveglia. Si tratta di un’esperienza interessante e
adatta sia ad adulti che a ragazzi, che consente di scendere nelle viscere della miniera di manganese più grande
d’Italia.
Le escursioni nei tanti sentieri del parco possono essere
effettuate a piedi, ma anche a cavallo e mountan bike e,
d’inverno, con gli sci o con le racchette.
Il parco quindi soddisfa le diverse esigenze di molti visitatori. Anche per questo motivo è stata creata in località
“Farfanosa” un’area attrezzata che consente a tutti di
poter passare qualche ora di rilassante tranquillità.
Per chi volesse protrarre per più giorni la sua permanenza
in Val d’Aveto, è disponibile un rifugio in località Ventarola, mentre presso il Passo del Bocco si può alloggiare in
un rifugio-albergo, ideale anche per gruppi e comitive,
nel quale è attivo un servizio ristorante. Si tratta di strutture date in gestione dall’Ente Parco e disponibili praticamente tutto l’anno.
Raggiungere la Val Graveglia è molto semplice partendo
da Lavagna. Molte strade consentono anche di arrivare
in Val d’Aveto. Dalla riviera occorre raggiungere Chiavari
e Carasco e prendere la strada per Piacenza, che conduce
a Borzonasca. Già in questa località, tra l’altro, esiste un
primo punto informativo del parco regionale per chiunque
desiderasse informazioni o carte dei luoghi e dei sentieri.
Nel territorio tutelato, o nelle immediate vicinanze, si
trovano inoltre alberghi, ma soprattutto agriturismo e
Bed & Breakfast, che offrono l’opportunità di una vacanza rilassante in mezzo al verde. Una bella occasione
per visitare accuratamente la natura di questi luoghi che
sicuramente non deluderà.
A sinistra dall’alto: le limpide acque di un torrente; tottavilla (Lullula arborea);
il sottobosco ombroso ospita spesso numerose felci; Maniola tithonus, una
farfalla comune nelle zone boschive a basse quote in Val Graveglia. A destra
dall’alto: merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), sulle rive di un torrente; Melitaea
phoebe; la bella orchidea bruciacchiata (Neotinea ustulata); pernice rossa
(Alectoris rufa).
AREA MARINA PROTETTA
portofino
Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta
del Promontorio di Portofino
Viale Rainusso, 1
16038 S. Margherita Ligure
Tel. 0185-289649 - Fax 0185-293002
[email protected] – www.portofinoamp.it
Ente Parco dell’Aveto
Via Marrè, 75
Borzonasca (GE)
Telefono e fax 0185-340311
[email protected]
www.parks.it/parco.aveto
Ente Parco dell’Aveto
Via Marrè, 75
Borzonasca (GE)
Telefono e fax 0185-340311
[email protected]
www.parks.it/parco.aveto
Realizzato da G. Massa. Hanno collaborato E. Monaci, G. Motta, L. Schenone e S. Venturini
Fotografie gentilmente concessa da:
G. Angelina; Baratta; S. Bava; M. Benvenuti; P. Bolla; M. Brunetti; J. Busekjst; R. Casale; L. Capurro; B. Caula; G. Coletta; G. De Angelis; F. D’Errico;
European Diving Center; A. Eusebio; G. Fanciulli; A. Ferrari; F. Ferracini; A. Ghisotti; A. Girani; I. Guazzotti; G. Liguori; R. Malacrida; L. Mangialajo;
R. Marchelli; G. Massa; A. Molinari; E. Monaci; L. Monego; M. Montefalcone; B. Mortola; G. Motta; C. Opinto; Paolillo-Vanzo; G.P. Pittaluga;
S. Pizzimbone; E. Razzetti; M. Rosso; E. Ruggeri; S. Schiaparelli; A. Serafini; P. Tessera; M. Trezzi; L. Tunesi; A. Viotto; T. e G. Zerbinati;
Archivio fotografico Parco dell’Aveto (foto di A. Calegari; M. Campora; R. Cottalasso; C. Galasso; M. Sciutto)
Carte, generale e della zona dell’Aveto, gentilmente concesse dal servizio Parchi della Regione Liguria
Elaborazione carte: M. de Barbieri, G. Massa
siti consultabili per approfondimenti
www.portofinoamp.it
www.parcoportofino.it
www.valdaveto.net
www.parks.it
www.liguriabirding.net
www.minambiente .it
Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare
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