MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
ANNO XLV
- N. 2
FEBBRAIO 1997
dal quartiere alla regione per uiia
Uriione
europea federale
Alle radici
dell'int egrazione
di Maria Paola Colombo Svevo *
i
Diego Rivera, Realizzazione di un afiesco che rappresenta la costruzione di una cittìì (1931), San Francisco
t: Art Institute.
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Rivera, come tutti i muralisti, aveva l'idea di un'arte collettiva, alla portata di tutti, che trovasse la sua sede naturale all'esterno degli edifici, sulle strade e nelle
e piazze. Qui il tema e quello della progettazione e realizzazione di una moderna
città e si fonda sulla filosofia positivista del progresso.
Con questa idea di comunità integrata si apre questo numero di "Comuni d'Eu6 ropa", che tratta nelle sue prime pagine del voto amministrativo dei cittadini comunitari residenti in altri paesi dell'unione. E sempre dello stesso filone statunitense dell'artista sono le due immagini
- che illustrano il si~ccessivoarticolo sul.Z la coesione economica europea: con la rappresentazione dell'origine della vita,
un bimbo in ~osizionefetale all'interno del bulbo di una pianta, affiancato da
.due riquadri con i frutti dell'agricoltura, una delle prima attività dell'uomo, e
$ con l'affresco sull'industria pesante.
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C
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I1 voto agli immigrati previsto nel disegno
di legge del Governo ha suscitato, com'era
prevedibile, posizioni di forte contrapposizione.
Alcune osservazioni sono condivisibili. È
giusto, ad esempio, chiedere che insieme al voto degli immigrati si risolva anche l'annosa
questione del voto agli emigrati italiani all'estero. Senza metterli in contrapposizione. È
un tema ormai maturo, maturato in interminabili dibattiti e speranze deluse. È sbagliato invece estrapolare il tema del voto dal contesto
generale della legge sull'immigrazione, perché
si rischia di dargli un significato diverso da
quello che ha.
Diciamo subito che è stato un atto di coraggio da parte del Governo italiano prendere la
via maestra di una legge organica, anziché percorrere la via politicamente più comoda dei
mille aggiustamenti.
Questo consente un dibattito politico che
sarà aspro ma non potrà non toccare il tema
vero del provvedimento: quale politica dell'immigrazione vogliamo per l'Italia?
È questo il cotifronto vero, ineludibile, che
sta attraversando del resto tutti i paesi europei. Vogliamo privilegiare l'integrazione? E
quale integrazione, con quali strumenti?
I1 voto alle elezioni comunali si colloca dunque in questa prospettiva, è conseguenza di
una scelta politica: cercare gli strumenti più
opportuni per un'integrazione intelligente
partendo dalle responsabilità a livello locale.
Ricordo che l'Unione Europea sta costruendo accanto alla cittadinanza nazionale
una cittadinanza "europea". che già vede il diritto dei cittadini comunitari nelle elezioni comunali ed europee.
I1 concetto di cittadinanza si va così ampliando, e diventa sempre più fondamentale
nel processo di democratizzazione l'importanza del cittadino come membro di una collettività che partecipa alla vita sociale di una comunità, che gode di diritti e doveri.
Ora, di fronte alla situazione mutata dei nostri paesi che sono divenuti paesi di immigrazione (e sempre più lo saranno), porre in discussione questo tema significa andare alle radici stesse del processo di integrazione.
" Vicepresidente della commissione libertà piibbliche e
affari interni del Parlamento europeo.
E non si tratta di dare il diritto di voto all'immigrato di passaggio, come talvolta con un
po' di demagogia si tenta di far credere, ma di
consentire a persone che risiedono nel nostro
Paese ormai da tempo, vi lavorano, vi pagano
le tasse. frequentano le scuole, utilizzano i servizi pubblici, di esprimere il loro voto e quindi il loro giudizio sulla gestione del Comune
dove abitano.
È ragionevole chiedere un tempo congruo
per capire se l'immigrazione è stabile e se si
desidera dawero mettere le radici in un comune, ma dopo questo periodo perché privare una persona del diritto di sentirsi partecipe
a pieno titolo di una comunità? e di negarlo a
livello del Comune nel quale le conseguenze
delle scelte degli amministratori ricadono su
tutti i cittadini (e quindi anche sugli immigrati) e dove il rapporto tra amministratori e votanti è più stretto?
Ma concedere il voto non significa solo dare la possibilità di partecipare alla vita di una
comunità. È anche un'assunzione di precise
responsabilità; è quindi un carico di doveri.
Questo è un aspetto che spesso non sottolineiamo abbastanza. Far parte di una comunità
a pieno titolo significa sentirsi dentro, eliminare quelle barriere di indifferenza, di negligenza, di rivolta che spesso troviamo nei ghetti
che si sono creati intorno agli immigrati e che
hanno portato molti di essi alla clandestinità e
talora a comportamenti criminali.
Avere degli immigrati cittadini significa
portare dentro alla comunità i loro problemi,
ma anche l'interesse che loro hanno a salvaguardare il bene della città in cui abitano e in
cui sono accolti, l'interesse che loro hanno ad
essere considerati per quello che sono e per
quello che fanno e non per la categoria indistinta che noi attribuiamo loro.
È nell'interesse degli stessi immigrati quindi una politica seria, non debole nei confronti
dell'immigrazione clandestina e illegale. Per
questo l'impegno del Governo per misure forti contro l'ingresso illegale è la condizione necessaria per poter dare il via ad una politica di
vera integrazione, che favorisca chi vuole costruirsi in Italia un'esistenza serena portando il
suo lavoro, il suo impegno, la sua onestà.
Noi sappiamo che integrazione è una parola complessa, rimanda ad un incontro di culture diverse, religioni diverse e all'intreccio di
queste culture con le nostre leggi, le nostre
abitudini.
Chi ritiene di risolvere questi temi ignorandoli non fa i conti con la realtà dura della «di-
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som
ma
rio
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versità». Ci vogliono regole e ci vogliono
obiettivi comuni, condivisi. E sarà un processo faticoso che metterà a nudo le nostre debolezze, metterà in discussione le nostre certezze.
Ma è un processo che va affrontato.
I1 voto è solo una tappa, e personalmente ritengo che averlo posto in discussione e dibatterne consentirà di confrontarci seriamente e
di capire fino a che punto la nostra società è
pronta a diventare una società di immigrazione.
W
SCURO
Il federalismo e la nazione
Il pacifsmo non è suficiente, e il patriottismo neanche: cosi la fawzosa intitolazione di
un opuscolo (1935) di L,ord Lothian (Philip
Kerr), che si accingeva a definire il federalismo. Il federalismo non è un obiettivo da assumere una volta per tutte, ma è un processo
"mirato" o, forse meglio, un metodo di convivenza, che si ispira a una filosofia morale: una
filosofia che parte, kantzknamente, dall'assunzione del prossimo come ;unfine, non come un
ostacolo alla nostra vok~ntà.Una eccellente
pedagogista, che mi è assai cara, ha suggerito
ai suoi alunni (10-13 anni) di intitolare un'operina edita collettivamente "la libertà non è
solo mia". La vittoria in una guerra fra comunità umane non è un giudizio di Dio: la ragione è autonoma dal sztccesso. Il federalista non
ammette che esista un nemico, che "deve riconoscere come sz/a la nostra volontà".
Il federalismo si preoccupa del "dover essere" e praticamente programma una ascesa continua verso un assetto pattizio (foedus = patto, covenant) sempre più ampio tra comunità
umane dei varii livelli, assetto a base istituzionale: qz~est'ultimagarantisce la durata nel
tempo, e solo nel tempo una comunità umana
pluricomposita riesce (o tenta e ritenta di rìzscire) nel realizzare, secondo giustizia e solidarietà, l'equa distribuzione dei profitti e delle
perdite fra i conviuenti A l limite l'obiettivo è
il governo mondiale, ma a tutti i livelli si
avranno patti o assetti federativi e ci si garantìsce, nell'ampliamento sempre maggìore del
territorio "federato", che non si passi a liuelli
maggiori quando si è già a zrn livello ottimale,
e soprattutto che nell'ascesa non si pewenga a
forme di governo oligarc/7ico e autoritario, ma
si rispetti l'autonomia delle comunità o degli
enti szrbordinat< secondo il principio di sussidiarietà.
Le autonomie territoriali funzionano, tutte,
da contropoteri di garanzia nella piramide federale, ma il loro valore non si ferma qui. Il
prossimo, a cui si è fatto riferimento all'inizio,
è una persona umana, che creatkamente vuole partecipare all'organizzazione del mondo, e
ciò cominciando dal livello più vicino (la prossimità): ma - e qui è il fondamento delle autonomie federaliste - con uno spirito cosmopolitico e una propensione intercztlturale, per
cui si dice che si è "cittadini del mondo" già all'ombra del proprio campanile. Si arriva al governo mondiale e, per cosi dire, alla "paceperpetua" raggiungendo l'unità col contributo
creativo delle diversità. Se le autonomie territoriali non si limitassero ad essere un contropotere di garanzia, ma si chiudessero egoisticamente in se stesse - se, in altri termini, il
principio di sussidiarietà si ritenesse, erroneamente ed esasperatamente, il fulcro del federalismo -, si finirebbe poi per giustficare ogni
genere di secessione (pomposamente e scorrettamente chiamata autodeterminazione) e, secondo i canoni dell'etologia di Lorenz, i leghisti fedeli della cosiddetta Padania (per fare un
esempio qualsiasi) potrebbero considerarsi le
oche selvatiche di Bossi
Se questo è, sinteticamente, il federalismo,
si può chiarire agevolmente il signzficato che
ha nei suoi riguardi la nazione - e ci riferiamo storicamente all'esperienza europea, che ci
travaglia attualmente -. Ma prima ci si lasci
accennare al rapporto col federalismo della
globalizzazione e mondializzazione dell'economia (e, con una sua stravagante autonomia,
della finanza) e dei sistemi di comunicazione
umana: ebbene, è chiaro che più che condannare la crescita esponenziale della tecnologia
occorre anzitutto che constatiamo, con lucida
autocritica, la non-crescita adeguata delle irtituzioni politiche e - ci siamo - del regime
(segue
a pag.
IS)
- Voto locale, cittadino europeo
3 - Le risposte di Rutelli
4 - Le risposte di Formentini
5 - Intervista all'Ambasciatore britannico
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- Opportunità e limiti, di hTicola Zingaretti
- Rassegnazione o adesione?, di Maria Speroni
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Progressi sì, ma c'è chi è ancora in ritardo, di Silvana Paruolo
Comunicazione, cultura, informazione, di Roberto Di Giovan Paolo
La via europea, di Renata Landotti
Dalle parole ai fatti, di R. D. G . P.
Vienna città-capitale, di Laura D'Alessandro
Alessandro Schiavi, i Comuni e l'Europa, di Oscar Gaspari
I nuovi scenari europei, di Massimo Balducci
Gli insegnanti europei a congresso
FEBBRAIO 1997
Voto locale, cittadino europeo
Questo 1997 è per l'Italia anno di generali elezioni amministrative locali, nelle d ~ tornate
~ e
di aprile e novembre. Verrà quindi messa definitivamente alla prova, dopo il ridotto debutto
della scorsa primavera, la direttiva sul voto ai cittadini comunitari. Sull'argomento abbiamo raccolto
le opinioni dei Sindaci di Roma, Francesco Rutelli, e di Milano, Marco Formentini
Le domande
I1 7 febbraio 1992 viene firmato a Maastricht, nella sua versione definitiva, il "Trattato
sull'unione europea" che, istituendo una cittadinanza dell'unione, riconosce ai cittadini
degli Stati membri un complesso di diritti tra cui quello di votare e candidarsi alle elezioni
comunali nello Stato membro di residenza. Tale diritto è contemplato nell' art. 8b par. 1 del
Trattato di Maastricht:
"Ogni cittadiizo dell'unione residente in uno Stato rnembro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato rnernbro in cui risiede, alle stesse
condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà esercitato con rzierva delle nzodalità che
il Consiglio, deiiberando ull'unanimità su proposta della Commic-sione e previa consultazione
del Parlamento europeo, dovrà adottare entro il 31 dicembre 1994; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorz'e ove problemi speczfzci di uno Stuto nzembro lo giustifichino".
1) Con una direttiva europea ed una conseguente legge attuativa nazionale, alle prossime
elezioni amministrative locali, qualsiasi cittad i o di uno Stato membro deli'unione EuroDea., che abbia stabilito la residenza nel Suo
Comune, godrà del diritto di voto e di eleggibilità. Tale diritto scatta, però, se lo stesso cittadino si iscrive alle liste elettorali aggiunte
-con apposita domanda e vari documenti aliegati. I1 Parlamento Europeo aveva espresso
una preferenza per l'iscrizione d'ufficio dei
cittadini comunitari residenti nelie liste elettorali.
Non pensa anche Lei che queste formalità
burocratiche rappresentino un ostacolo ali'effettivo diritto di cittadinanza europea?
.
- -
I1 28 febbraio 1994 la Commissione si pronuncia sulla materia con una proposta di direttiva (G.U. CE C 105 del 13.4.94). Tale proposta, sottoposta al parere del Parlamento
che ne suggerisce alcuni emendamenti (G.U. CE C 323 del 21.11.94) viene successivamente adottata dal Consiglio.
I1 19 dicembre 1994 il Consiglio adotta la Direttiva 94/80 che stabilisce le modalità di
2) Quali azioni metterà in campo la Sua amministrazione per garantire a tutti i cittadini
comunitari l'informazione sui loro diritti? Ed
inoltre, non crede utile un'indagine suli'effettiva consistenza dei cittadini di altri paesi comunitari residenti nel Suo Comune?
esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza (G.U. CE
L 368 del 31.12.94).
In Italia, con gli artt. 1 e 11 della legge 6 febbraio 1996 il governo viene delegato a dare
attuazione alla Direttiva 94/80/CE, che viene recepita con decreto legislativo del 12 aprile 1996 n. 197 (G.U. n. 88 del 15.4.96).
Ai Comuni italiani, in vista delle elezioni, il compito di promuovere le opportune iniziative al fine cli informare con ogni mezzo possibile i cittadini comunitari residenti negli stessi del nuovo diritto acquisito, il cui esercizio può essere un primo passo per realizzare, nella sostanza, il principio di integrazione. (1.c.)
3) La direttiva europea afferma un principio importante: che si appartiene ad una municipalità, non già perché si è nati in una determinata città, ma perché vi si abita, vi si lavora, se ne usufruiscono i servizi. In quest'ottica, non pensa che anche i residenti provenienti da paesi extracomunitari abbiano gli
stessi diritti?
4) Ormai tutte le grandi città hanno respiro
sovranazionale. Quali politiche sta facendo
concretamente la Sua amministrazione verso
la dimensione europea ed internazionale?
Città ambasciatrici internazionali
1) Non so se un cittadino francese o tedesco, o di uno degli altri 14 stati dell'unione
europea, siederà nel prossimo Consiglio comunale di Roma: decideranno gli elettori.
Ma il fatto stesso che questa possibilità esista
non è solo il giusto riconoscimento dei diritti di migliaia di appartenenti alla nostra comunità, è anche una delle immagini più concrete e positive dei passi avanti compiuti sulla via dell'integazione europea.
È vero, l'obbligo di iscriversi a liste elettorali "aggiunte" rischia di indebolire la portata di questa novità. Spero che molti si iscriveranno entro il termine dei cinque giorni
successivi alla convocazione delle elezioni,
ma è evidente che l'iscrizione d'ufficio
avrebbe favorito la partecipazione al voto e
soprattutto avrebbe espresso meglio il concetto di "cittadinanza europea" cui la Direttiva si ispira.
È stato applicato un principio formale: il
voto amministrativo in Italia sarebbe obbligatorio e quindi l'iscrizione d'ufficio com-
FEBBRAIO 1997
porterebbe un obbligo illegittimo a votare
per i residenti europei. Ma questo principio
formale mi pare in contrasto con l'effettivo
esercizio del diritto di voto e mi auguro che
il Parlamento risolva il problema nella direzione già indicata dall'Assemblea di Strasburgo.
2) I 9800 cittadini dell'unione ufficialmente residenti, e iscritti all'ilnagrafe, riceveranno nel mese di marzo una prima lettera del Comune che illustra le modalità di
partecipazione alle prossime elezioni J i novembre. Assieme ai Consolati dei paesi dell'Unione e con la collaborazione di Accademie e Istituti di c~ilturaabbiamo preparato
un piano di sensibilizzazione sia per i residenti ufficiali, sia per i numerosi cittadini
europei che abitano a Roma ma risultar-io solo "domiciliati".
Obiettivo del piano è innanzitutto individuare la consistenza di questa popolazione e
quindi facilitarne il diritto di voto. Tra l'al-
tro, nei nostri Uffici elettorali di Via dei Cerchi daremo la possibilità di inoltrare contestualmente le domande di residenza e di
iscrizione alle liste elettorali "aggiunte".
3) Condivido l'impostazione del disegno
3
di legge del ministro Napolitano, che del resto il Consiglio comunale di Roma aveva in
un certo senso "anticipato" con la proposta
dei consiglieri comunali "aggiunti". Tuttavia
non sottovaluto la delicatezza del problema:
mentre sul voto ai residenti Ue abbiamo a
che fare soprattutto con complicazioni burocratiche, per i residenti extracomunitari dovremo fare uno sforzo per spiegare l'importanza d i un'innovazione che arricchisce la
città e per combattere pregiudizi e strumentalizzazioni politiche. Comunque sono ottimista: Roma è sempre stata una città tollerante e aperta al mondo.
4 ) Accanto alla diplomazia ufficiale dei
governi si va affermando un ruolo internazionale di istituzioni locali e cittadine. E Roma è il luogo naturale per svolgere questo
nuovo ruolo, forte della presenza della diplomazia universale della Santa Sede e di organismi sovranazionali importantissimi per
il dialogo Nord-Sud.
La nostra è una politica attiva, capace di
produrre risultati e ispirata a tre direttrici
fondamentali. La prima, i rapporti di collaborazione con le altre grandi capitali: dal ge-
mellaggio "esclusivo" con Parigi ai rapporti
ufficiali di amicizia con New York, Tokio,
Mosca, abbiamo creato una rete di relazioni
in grado di promuovere non solo i rapporti
culturali ma anche le opportunità economiche per i "sistemi" cittadini che i municipi
rappresentano.
La seconda direttrice riguarda l'Europa,
con la partecipazione diretta agli organismi
dell'unione, a partire dal. Comitato delle Regioni, e con l'utilizzo dei finanziamenti comunitari, troppo a lungo sottovalutati nella
nostra città. Infine, la cooperazione decentrata che fornisce occasioni di solidarietà e
soprattutto di aiuto concreto allo sviluppo
di città più povere da parte di Roma e del
suo sistema economico.
I n questo quadro, d u e temi meritano
un'attenzione particolare: il ruolo di Roma
in una strategia mondiale in difesa dell'ambiente, con l'impegno a far ripartire dalle
città l'attuazione di quella Agenda 2 1 decisa
nell'Earth Summit d i Rio d e Janeiro; e la
preparazione del Giubileo che fornirà innumerevoli occasioni per esaltare il ruolo della
nostra città come sede di dialogo tra i popoW
li e le fedi religiose.
Integrazione, ma senza forzature
1) L e modalità indicate dalla Direttiva
Europea per iscriversi alle liste elettorali
prevedono una apposita domanda. con una
documentazione allegata. C r e d o sia una
normale procedura che tutela l'insieme dei
cittadini e fa risaltare l'acquisizione di u n
diritto importante sollecitando - con l'inoltro delle domande - la partecipazione
diretta e responsabile del cittadino comunitario residente.
Se questo diventa un fatto burocratico o
no, dipende dall'organizzazione di ogni singolo cqmune. Per quanto riguarda Milano
posso assicurare che verrà applicata ogni attenzione e sollecitudine perché questo diritt o non venga svilito da lungaggini o distrazioni burocratiche, bensì tutelato e valorizzato, come è giusto che sia.
2 ) Penso che i cittadini europei conoscan o più di quanto pensiamo i loro diritti e i
loro doveri.
Naturalmente non mancheremo di far conoscere leggi, regolamenti, opportunità che
consentano ai membri.della comunità di godere dei loro diritti. La stessa Unione Europea, attraverso le sue pubblicazioni, filmati,
opuscoli, contribuisce all'informazione.
Quanto alle indagini sul loro numero, è
da tempo che l'Amministrazione Comunale
fa puntuali rilevazioni.
I1 dato totale per la presenza di cittadini
comunitari a Milano è di 12.784, di cui
6.800 femmine e 5.984 maschi. D a tener
presente in ogni caso che il totale complessivo degli stranieri a Milano è di 68.164.
3 ) Le direttive europee valgono per i cittadini europei, che lavorano, che pagano
tasse. Non si tratta di discriminare nessuno.
Ci sono accordi tra Stati, che rappresentano
storia, cultura, che è giusto rispettare, senza
forzature populiste.
Peraltro questi diritti vengono riconosciuti anche a cittadini extracomunitari, ma
dopo anni e anni di permanenza in un paese della Comunità, nel quale si è cittadino, si
h a u n lavoro, si pagano le tasse. Anche
l'amministrazione di Milano segue questa
impostazione, e spesso, anzi, abbiamo avviato iniziative di accoglienza e di assistenza
seguendo una nostra politica di solidarietà.
Detto questo, però, non bisogna trarre
conclusioni affrettate.
Una indiscriminata apertura agli extra-
comunitari p u ò essere politicamente strumentalizzata, come appare chiaro da alcune
forzature in corso, per creare nuovi bacini
elettorali, da usare contro quelle forze con
un profondo radicamento territoriale come
la Lega. Se analizziamo le cose da questo
p u n t o di vista, la recente legge sull'immigrazione p u ò essere vista come un tentativo
d i fare affluire quanti più extracomunitari
possibili in Padania. Anche per scongiurare
la crisi dello Stato Nazionale da tempo in att o in Italia e in Europa. Infatti se potranno
votare, il milione e passa di extracomunitari
in arrivo di cui si parla, verrebbe risolto a
favore dello Stato centralista anche un eventuale referendum per l'autodeterminazione
in Padania. Con il paradosso che proprio gli
stranieri sarebbero i patrioti di u n o Stato
sempre più virtuale. Sarebbe la prova che in
realtà questa legge è stata veramente pensata per far fallire il progetto della Padania.
Ma come Sindaco di Milano posso comunq u e assicurare che gli extra-comunitari in
regola avranno ogni riconoscimento previsto, senza quelle forzature che poi vengono
pagate dai cittadini milanesi e padani in termini di crisi e di disoccupazione, come è il
caso di tante attività «abusive», fatte da immigrati abusivi e clandestini; basti pensare
ai 197 mila negozianti su strada dei quartieri rionali.
4 ) Spesso si dice che Milano ha una votazione europea. Oggi possiamo dire di più.
Possiamo dire che Milano è, nei fatti, una
città europea. L o posso dire in prima persona, avendolo sperimentato come Sindaco in
questi quattro anni e come Parlamentare
europeo. L e grandi decisioni, dalle infrastrutture alla cultura, alle attività economiche e finanziarie, hanno ormai come contesto l'Unione Europea.
Basti citare l'opera d i realizzazione di
Malpensa 2000 o il Piccolo Teatro per la cui
Direzione abbiamo chiamato Jacques Lang,
e poi la Scala e i nuovi straordinari impianti
della Fiera: Milano è in Europa.
Cosa è allora il disagio che spesso si avverte?
L'insofferenza che tanti denunciano h a
certamente come causa finale i ritardi, le
sordità, la lontananza dello Stato centralista, che porta ogni grande decisione, ogni
progetto allo svilimento e al degrado di tante pastoie burocratiche romane.
La città è stanca di pietire interventi dai
tanti funzionari ministeriali, che alla fine
hanno potere di vita o di morte sui g a n d i
progetti. L'unica sola politica che garantisce
la dimensione europea e d internazionale,
l'unico m o d o p e r assicurare il respiro sovranazionale d i Milano, è d i allineare, d i
adeguare il suo Statuto a quello delle altre
Città europee, dandole piena autonomia sia
politica che amministrativa, e trasformandola in una vera e propria città-Stato, come
è già per Amburgo, Basilea, e la stessa
Bruxelles.
L e città in Italia sono state per troppo
tempo mortificate. Oggi c'è bisogno di forte
autonomia e un'affermazione delle città-Stato è conforme alla storia delle città dell'alta
Italia, fatta di libertà civiche e di autonomia.
1
FEBBRAIO 1997
Verso obiettivi ed identità comuni
Intervista all'Ambasciatore britannico Thomas Richardson
L'Ambasciatore britannico presso lo Stato italiano ci ha gentilmente concesso la
seguente intervista.
Grazie a una direttiva del Consiglio
Europeo e alle leggi attuative nazionali, nella prossima tornata elettorale amministrativa i cittadini dell'unione Europea residenti in paesi dell'Unione avranno il diritto di voto e di
eleggibilitu qualunque sia il paese di
residenza. Come giudica questa possibilità, potrà essere davvero un passo in avanti verso una più solida cittadinanza europea?
Ritengo che la possibilità di votare nelle
elezioni an-iininistrative locali sia un importante passo avanti nello sviluppo dell'unione Europea e dei suoi popoli. Ciò permette
a chi ha la cittadinanza di altri Paesi dell'Ue
di sentirsi maggiormente integrato nel proprio Paese di residenza. È più diftiicile dire
se ciò equivale ad iina «cittadinanza europea più compatta». I1 concetto di cittadinanza europea non è così forte come quello
di cittadinanza nazionale, che ancora costituisce il principale punto di identità all'interno dell'Europa.
Detto questo, la possibilità di risiedere,
votare o lavorare ovunque all'interno dell'unione Europea può solo portare a legami
più forti fra i popoli d'Europa e ad un senso più profondo degli obiettivi ed identità
comuni.
La direttiva è chiara su un punto: il
diritto di scelta. I cittadini che infatti
vorrannno avvalersi di questo diritto
dovranno richiedere l'iscrizione alle
liste elettorali. Leipensa che i cittadini inglesi residenti in Italia siano a
conoscenza di questa opportunità? E
pensa che se ne vorranno avvalere?
So che diversi residenti britannici sono
molto desiderosi di avvalersi del diritto di
voto in elezioni locali ed europee in Italia.
Purtroppo, alcuni di loro hanno avuto dei
problemi a registrarsi per il voto per le ultime elezioni europee. Ma ciò va solo a dimostrare quanto ci tengano a farsi coinvolgere
dalla passione italiana per il voto! Ed io credo che per le elezioni locali le regole siano
state semplificate.
Lei pensa che, in generale, il processo
di costruzione dellYUnioneEuropea
stia aiutando concretamente quei cittadini che vivono all'estero ma in un
Paese dell'Unione, e se si (o no) per
quale motivo? Inoltre, cosa chiedere
ai sindaci italiani per aiutare questi
cittadini europei a sentirsipienamente cittadini anche del comune in cui
vivono?
FEBBRAIO 1997
Certamente. Scopo del Mercato Unico è
rendere più facile ai cittadini vivere e
lavorare in altri paesi dell'Ue mediante una
serie di misure. I titoli di studio e le qualifiche protessionali sono ora accettati in tutta
1'Ue oltre al proprio Paese d'origine. I cittadini hanno diritto ;dle cure sanitarie nel proprio Paese di residenza. È sempre più facile
trasferire denaro per uso personale da Paese a Paese. Nessuna di queste conquiste
avrebbe potuto verificarsi senza il «processo
di costruzione dell'Ue».
Non è certo n-iia intenzione dire ai Sindaci
italiani come dovrebbero amministrare i loro
Con~iini.Ma mi rendo conto che meno burocrazia renderebbe più facile per i cittadini
comunitari non italiani registrarsi per votare
e quindi li farebbe sentire «cittadini a pieno
titolo del comune italiano in cui vivono».
Nel prossimo Consiglio comunale di
Roma o Milano, o di qualsiasi altra
città, potrebbero esserci dei cittadini
britannici: che effetto Le fa? E quale
augurio si sente di fare a questi suoi
concittadini?
Mi sentirei orgoglioso del fatto che dei cittadini britannici svolgono in pieno il loro
ruolo nella democrazia locale. Chiederei loro
di compiere il loro dovere con dignità, nel rispetto delle tradizioni e delle regole locali.
(a cura di Nicola Zingaretti)
Opportunità e limiti
Il decreto 17. 197 ,del 12 aprile 1996 ha reso attuativa lir direttiva della CE concernente le
modalità d'esercizio di voto e di eleggibilitu nlle elezioni comunali per i cittadini dell'Ut7ione
Europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadit7atz;n.
In pratica grazie a questa legge i cittadini di paesi delllUnione che risiedono in un altro Paese
dell'unione potranno votare o essere eletti nei consigli comunali già durante la prossima
tornata di elezioni nmministrative, che nel 97 vedrà al voto migliaia di Comuni tra cui tutte le
principali cittrj italiane. L'elezione è possibile per i consigli mn non per la carica di Sindaco e
I,'ice Sindaco.
È sicuramente un fatto storico. Il diritto di voto dei cittadini europei si esercita non più per
eleggere Istituzioni europee, mtl questa volta il diritto di cittadinanza si esercita per eleggere i
propri nmministraiori locali. Cittadino di una comuniti è colui che vive in quella comunità e
non solo più chi vi è nato. E si riconosce una forma di parità di cittadinanza per chi è nato in
uno dei Paesi dell'lJnione.
L'nrticolo uno del decreto chiarisce subito la libertà di scelta che il legislatore europeo hn
voluto introdurre. Esso infatti afferma che "i cittadini di uno stato membro dell'unione
europea che intendono partecipare alle elezioni devono presentare al Sindaco dornanda di
iscrizione nella lista elettorale aggiunta, istituita presso lo stesso comune". In pratica potranno
esercitare il diritto di voto o candidarsi solo quei cittadini delllUnione che lo richiederanno.
Queste iscrizioniformano una lista elettorale aggiunta che completerà la lista degli elettori.
Purtroppo questo riconoscimento del diritto di scelta è insieme una opportunità e un lir~zite:
una opportunità perché pone il cittadino di fronte alla necessità di scegliere, rnisura il
di
con.rapevolezza di essere «cittadino europeo», nello stesso tempo i problemi burocratici, la
scarsità di informnzioni, la latitanza di molti Enti Locali rischiano di ridurre e di molto
l'impatto innovrztit~odi questa norma. Una circolare della Prefettura dì Roma inoltre chiarirce
che «.. . la domanda di ircrizione nelle liste elettorali aggiunte ilrr parte dei cittadini dell'Unione
può essere presentata i17 ogni tempo e in occasione del rinnovo del consiglio comunale, non
oltre il quinto giorno successivo all'affissione del manifrsto di convocazione dei comizi
elettorali». Come si può facilmente immaginare quindi i terrtpi sono alquanto ristretti e questo
creerà sicuramente problemi.
Si potrebbe dire a questo punto che molto del successo o meno di questa innovazione C nelle
mani dei Sindaci e della loro capacitrì e volontà di informare e promuovere queste novitrj.
Proprio per questo motivo sempre la stessa circolare della prefettura di Rorrta invita e sollecita i
Comuni a promuovere "ogni opportuna iniziativrr, a livello locale, al fine di pubblicizzare al
massimo detta rzuova facoltà e nzettano a disposizione delle persone interessate gli uffici
comunali per forn~reogni informazione utile sulla modalità di cofizpilazione e di presentazione
dell'istanza stessa".
I Comuni prenderat7no in considerazione questa raccomandazione? Questa è un po' la vera
questione che a questo punto si pone. La tzormativa è chiara e le novità introdotte anche, la loro
portata e valore politico sono indiscutibili ma gli effetti concreti rirchiano di essere vanifcati.
Anche per questo rnotivo è utile inforfiznre.
Nicola Zingaretti
5
Rassegnazione o adesione?
Far crescere l'Europa dei cittadini
di Maria Speroni
I1 concetto di cittadinanza europea viene
generalmente usato per designare dei diritti,
delle facilitazioni, delle garanzie accordate
da istanze esterne ma, mentre la crisi dello
Stato-nazione nell'Europa comunitaria continua ad approfondirsi, non è ancora stata
'concertata' una nuova forma di essere cittadini, anzi sono state compromesse quelle già
esistenti diminuendo, presso ciascuna di esse, la sensazione di aver potere sulla propria
sorte e sul mondo. Una cittadinanza europea
accettata per rassegnazione più che per adesione comporta una perdita di coinvolgirnento politico, una crisi degli strumenti di adesione a un progetto collettivo, un contrasto
sempre più forte tra una reclamata sempre
più stretta Unione dei cittadini europei d a un
lato, ed i mezzi impiegati per ottenerla, diplomazia e mercato, dall'altro.
Nel quadro di ipertrofia galoppante dello
spazio politico europeo e d i quasi inesistenza
dello spazio pubblico, non si p u ò non essere
allarmati di fronte al deficit democratico che
caratterizza la UE, per l'attuazione effettiva
del principio di sussidiarietà e della cittadinanza europea, d i fronte a governi europei
sempre più lontani dalle esigenze dei loro cittadini, ad una informazione generalmente arbitraria e carente. O comunque ignava, come
in occasione dell'attuazione da parte dello
Stato italiano. nello scorso aprile, della direttiva europea concernente le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle
elezioni comunali, per i cittadini dell'unione
Europea che risiedono in uno Stato membro
di cui non hanno la cittadinanza.
Chi informa chi?
A qualche mese di distanza. la mia curiosità è nata per caso durante una chiacchierata con un funzionario del mio Comune di residenza, limitrofo alla capitale: tra lo stupito
e lo sconsolato, l'addetto all'LTfficio elettorale sottolineava come, nonostante fossero stati fatti tutti i passi necessari nei tempi e modi
dovuti, nessun cittadino straniero residente
nell'area (ce ne sono tanti: basta andare all'ufficio postale) abbia a tutt'oggi chiesto di
essere iscritto alle lis'te elettorali aggiunte.
Eppure quando devono protestare o criticare sono ben visibili e insistenti, questi cittadini europei sparsi nelle campagne romane. E
anch'io, non esente dal difetto nazionale di
autoflagellazione, ero convinta che i cittadini
delle altre nazioni dell'Europa Unita fossero
comunque più attivi e informati di noi.
I consolati dei paesi dell'lJnione non sembrano aver preso iniziative particolari per
informare in modo capillare i concittadini
della nuova opportunità di partecipazione alla vita amministrativa in un Paese diverso dal
loro e delle modalità per superare eventuali
complicazioni burocratiche, ritenendo che
tale compito spetti allo Stato, anzi alla stam-
6
pa italiana. E nemmeno lo Stato francese,
giustamente così sollecito e generoso in fatto
di documentazione inviata direttamente a d
ognuno dei propri cittadini residenti all'estero, in occasione delle elezioni presidenziali,
sembra aver fatto sforzi degni di nota per
informare i cittadini francesi residenti in Italia del diritto acquisito.
La stessa eurocrazia non ha brillato in fatt o di comunicazione 'amichevole' ai propri
cittadini, se non in ambiti ristretti e non alla
portata di tutti.
Dz'ritti e burocrazia
E i cittadini? I singoli cittadini intervistati,
indipendentemente dalla nazionalità, hanno
offerto un panorama quanto mai vario dello
stato di informazione, reazione, partecipazion e al diritto di voto. In questi tempi in cui si
parla tanto di immigrati clandestini extra-comunitari, ho scoperto che esistono anche cittadini comunitari che hanno scelto di lavorare e vivere 'clandestinamente' sul territorio
italiano, in un atteggiamento quindi assolutamente passivo e privo d i interesse verso una
partecipazione sia alla vita civile dell'unione
che del Paese che li ospita. In questi casi infatti, non h o avuto l'opportunità di parlare
direttamente con loro, nemmeno per telefono, ma h o avuto la ;isposta ai miei quesiti tramite amici e conoscenti!
Tra il pubblico delle librerie, dei cinema
e dei centri culturali stranieri presenti a Roma h o raccolto sì delle testimonianze confortanti, ma h o anche potuto constatare che
l'appartenenza alla comunità di connazionali genera una (quasi) omogeneità di vedute
non precisamente aperta e progressista, basata sulle più varie motivazioni, non esclusi
rancori storico-generazionali e pregiudizi
ben radicati. Inoltre, l'affermazione che l'attuazione dell' Articolo 8 possa essere comunque una nuova, possibile fonte di complicazioni burocratiche sembra una convinzione
diffusa e costante. Certamente le contraddizioni create dal mancato adeguamento delle
normative italiane (a cominciare dal permesso di soggiorno) ai diritti recentemente acquisiti, non aiutano nè invogliano gli indecisi ad una cittadinanza europea attiva.
A fronte di uffici comunali e circoscrizionali dove il personale è informato, le formalità veloci, le affissioni comunali puntuali, in
altri, a tutt'oggi, i cittadini dell'unione che
chiedono informazioni sulle modalità d i
iscrizione nelle liste elettorali aggiuntive si
trovano di fronte a personale 'ignorante' non
solo della direttiva 94/80 ma persino del decreto legislativo dello stato italiano! Presso
l'ufficio Elettorale del C o m u n e di Roma,
contattato telefonicamente - ma ad un numero 'non in elenco' fornitorni da uno zelant e impiegato dell'ufficio (lei Diritti del Cittadino, visto che il numero 'in elenco' ha squil-
lato invano a più riprese, per più giorni -un
funzionario molto cortese ha risposto ai miei
quesiti sul diritto di voto dei cittadini comunitari. Le domande mi sembravano poste in
modo semplice e chiaro, le risposte molto
pronte ma u n p ò evasive: soprattutto lo
scambio continuo tra 'comunitario' e d 'extra-comunitario' mi ha lasciato assai perplessa ...
Dal canto loro, i cittadini dell'unione che
hanno una più sviluppata coscienza civile e
una maggiore integrazione nella comunità locale hanno salutato questa opportunità d a
tempo auspicata come un 'atto dovuto' ai diritti del cittadino, ovunque esso si trovi. Anzi, coloro che risiedono in Italia da tempo,
avendo scelto di non esercitare il proprio diritto di voto nel comune dello Stato di origine, vista l'estraneità agli sviluppi locali, naturalmente hanno accolto con maggiore soddisfazione il decreto legislativo dello Stato italiano in merito.
I casi pratici
Nel caso di Andrew van der Esch, un cittadino olandese attivo nella vita sociale del
comune di residenza e vissuto lontano dal
suo Paese per periodi così lunghi da non aver
mai avuto l'opportunità di votare, questa, in
Italia, è stata la prima occasione per poter
esercitare il diritto di voto! Spesso comunque, anche i più coinvolti sono venuti a conoscenza delle nuove disposizioni per caso,
in ritardo o in modo impreciso. Così è stato
per Priscille Barès, cittadina francese residente in Italia da anni, sposata con un italiano, quasi mamma di un futuro cittadino europeo, coinvolta nella vita culturale della comunità locale e con una grande esperienza di
pastoie burocratiche franco-italiane: con mia
grande sorpresa, ha saputo da me della possibilità di partecipare attivamente alla vita
amministrativa locale. È stata molto contenta
della notizia, ha chiesto d i avere una copia
della legge italiana, abbiamo scambiato opinioni sui problemi burocratici, ancora troppi, per il cittadino europeo che scelga di vivere in un Paese diverso dal proprio, abbiam o rinsaldato un rapporto di euro-vicinato.
Insomma, per essere insieme e non semplicemente uno accanto all'altro, p e r approfondire l'unità e la coesione della Comunità, per una cittadinanza dell'unione, è indispensabile ricercare una più diretta partecipazione dei cittadini europei all'impresa
comune e il diritto/dovere di voto ne è l'espressione per eccellenza.
Sarà comunque interessante e istruttivo
conoscere la relazione sull'applicazione della
direttiva, che la Commissione presenterà al
Parlamento europeo e al Consiglio, entro il
termine di un anno. Sempre che qualcuno si
premuri di farlo sapere ai diretti interessati,
H
cioè i cittadini.
FEBBRAIO 1997
Progressi sì, ma c'è chi è ancora in ritardo
Analisi della p ,rima relazione sulla coesione econonzica nell'Unione
di Silvana Paruolo
I1 messaggio principale della Priina reluzione sulla coesione (relazione triennale
obbligatoria in base al Trattato di Maastricht) è che sono stati compiuti dei progressi. Dal 1983 al 1993, il reddito medio procapite nei quattro paesi piu poveri dell'Unione (Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo) è passato dal 66 al 74% della media comunitaria; splendida la performance dell'Irlanda. Le politiche strutturali dell'Ue vi
hanno contribuito in larga misura. Invece,
"in Italia - ha sottolineato E. Landaburu
(Direttore generale della politica regionale
e di coesione della Commissione Ue) alla
presentazione del rapporto - almeno in
termini di disoccupazione, i dati sono negativi: un giovane su tre non ha lavoro
(contro una media europea di 1 a 5), e i disoccupati di lunga durata (da più di due
anni senza lavoro) rappresentano il 64%
del totale (contro il 49% della media europea). In altri termini, l'Italia non ha approfittato dell'occasione fornita dalla politica
di coesione per Paesi più poveri". C'è da
dire comunque che - a prescindere dalle
cause nazionali di inefficienza - la situazione italiana, e in particolare del mezzogiorno, sarebbe probabilmente diversa, se
la politica regionale della Comunità non si
fosse concretizzata solo negli interventi dei
Fondi strutturali.
Ma procediamo con ordine. Cosa si intende per coesione? «L'approccio metodologico dalla coesione economica e sociale di questo rapporto si ispira all'art.
130 a) del Trattato dell'unione, in cui essa
è definita in termini di "sviluppo armonioso", il cui scopo è "ridurre il divario tra i
livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, comprese le zone ruralix». Com'è strutturato questo rapporto? 11 capitolo 2 si sofferma sui
divari riscontrabili. I1 capitolo 3 analizza il
contributo alla coesione da parte delle politiche economiche nazionali. I1 capitolo 4
considera il contributo alla realizzazione
della coesione da parte delle politiche comunitarie non strutturali (politica per l'agricoltura e settore della pesca); mercato
unico e politiche per la competitività (industria, concorrenza, aiuti nazionali allo
sviluppo regionale, aiuti orizzontali e settoriali, ricerca e sviluppo tecnologico, piccole e medie imprese, politica commerciale), politica per le reti (trasporto, energia,
telecomunicazioni), politiche per la qualità della vita (politica sociale, ambiente,
istruzione e formazione professionale). 11
capitolo 5 esamina il contributo delle politiche strutturali della Comunità (i Fondi
strutturali, il Fondo di coesione, la Banca
europea per gli investimenti). I1 capitolo 6
e 7 avanzano proposte sul da farsi. Quin-
FEBBRAIO 1997
di, a prescindere dal suo significato politico (su cui mi soffermerò qui di seguito), il
rapporto è particolarmente utile anche per
chi voglia capire cosa si sta facendo (e come lo si sta facendo) a livello nazionale e
comunitario.
Benché siano constatabili progressi, fra
gli Stati membri E: loro interno (in particolare, in Italia e in Germania), sono tuttora
riscontrabili differenze e divari, che si tratti di reddito, disoccupazione, dotazione di
fattori (manodopera qualificata, e infrastrutture), ritmo del (accesso al) progresso
tecnico o quello della diffusione dei nuovi
prodotti e processi, effetti delle economie
di scala e effetti esterni (concentrazione di
attività nello stesso luogo), costi dei trasporti, processo concorrenziale ecc.
Una riduzione dei divari?
Il reddito pro capite è molto al di sopra
della media in uni gruppo di regioni comprese fra Italia settentrionale, Germania
meridionale e Austria, con un secondo nucleo nei paesi del Benelux e in Germania
settentrionale. Un confronto fra le dieci regioni più ricche E: le dieci più povere mostra che, nel 1993, le prime avevano un Pil
pro capite medici circa 3,3 volte più alto
della media delle seconde, per quanto leggermente inferiore rispetto a dieci anni prima, quando la cifra corrispondente era 3,5.
In Italia, il reddito pro capite al Nord si
situa tipicamente tra il 120% e il 130%
della media dell'unione, rispetto alla percentuale compresa tra il 60% e il 90'X delle regioni del sud. Dal 1983 al 1993, le 25
regioni più prospere (vi si ritrovano Lombardia, Valle d'Aosta, Emilia Romagna,
Trentino-Alto-Adige) hanno migliorato di
poco la loro ricchezza, passando dal 149%
al 142% della media dell'unione. Vi è stato un miglioramento contemporaneo per
le 25 regioni più povere in assoluto (la Calabria è la regione più povera dell'unione),
passate dal 53 al 55%. Le regioni dell'obiettivo 1 hanno migliorato nell'insieme il
loro livello medio di reddito pro capite di
quasi 3 punti percentuali, passando dal
64,6% a1 67,2%.
Nelle regioni maggiormente "agricolex
- situate in Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Finlandia - il Pil pro capite è
considerevolmente più basso, e ha sperimentato una crescita piu lenta della media
comunitaria. "I1 che - constata il rapporto - riflette il declino tendenziale in questo settore nel lungo periodo e le difficoltà
di diversificare l'attività economica in un
contesto rurale". Le regioni più industriali
- la metà delle quali si trova in Germania
e le rimanenti in Spagna nord-orientale, in
Francia settentrionale, nel Nord Italia, in
Austria e nella parte centrale del Regno
Unito - presentano un Pii pro capite superiore alla media e sono cresciute a un
tasso solo marginalmente al di sotto della
media Ue. Le regioni dotate di un solido
Diego Rivera, Detroit Iizdmtry (1932),The Detroit Institute of Arts
settore dei servizi - si pensi alle capitali di
tutti gli Stati membri eccetto Lisbona (Portogallo) e ad alcune regioni del Belgio, dei
Paesi Bassi e della Germania settentrionale
- registrano, in media, il livello più elevato di Pil pro capite e hanno sperimentato
un tasso di crescita prossimo alla media
dell'unione.
Quali evoluzioni
occupazionali?
I1 problema della disoccupazione nell'Unione è molto grave a livello regionale e locale. I maggiormente colpiti sono i giovani
con meno di 25 anni (equivalenti a 5 milioni di persone, in media un tasso di disoccupazione del 21 %) le donne (con una tasso medio di disoccupazione del 12,5% nel
1996 rispetto al 9,5% degli uomini), e coloro che lavorano in settori in declino e/o
in occupazioni a bassa specializzazione.
Come per il pil pro capite regionale, le disparità nei tassi di disoccupazione all'interno della maggior parte degli Stati membri
hanno teso ad ampliarsi nel tempo. Nelle
dieci regioni più colpite, il tasso medio di
disoccupazione è stato pari al 26,3% nel
1995, ovvero quasi sette volte il tasso medio (poco meno del 4 % ) nelle regioni meno colpite.
Quali le future evoluzioni dei modelli
occupazionali?
A lungo termine - per la Commissione
europea - gli sviluppi più owi "sono rappresentati da un'espansione dell'occupazione nei servizi associata a un calo di quella nell'agricoltura e nell'industria, da un
aumento degli impieghi a tempo parziale,
occupati prevalentemente da donne, e da
un mutamento della struttura occupazionale delle forze di lavoro a favore degli in-
dividui in possesso di elevate qualifiche
scolastiche e tecniche di capacità professionali basate sulla conoscenza".
Tasse e trasferimenti sociali continuano
ad essere gli strumenti più usati nell'impegno europeo di lotta alla povertà e alla correzione di ampie diseguaglianze di reddito.
Nella sua essenza, lo sviluppo sostenibile
pone l'accento sull'esigenza di orientarsi
verso modelli di crescita che abbassano il
consumo di risorse non rinnovabili e che
sono, quindi, riproducibili nel tempo. La
sfida resta quella di rendere positivo il rapporto tra economia ed ecologia. Intanto
l'Unione ha cercato di incorporare i temi
ambientali nei programmi di sviluppo regionale. Come? Con investimenti nell'approvigionamento di acqua corrente, nella
gestione dei rifiuti, nella bonifica dei terreni, nei trasporti e nelle politiche ambientali. Sempre più si promuoverà, inoltre,
un'attuazione delle politiche dell'lJe fortemente decentrata, con responsabilità devoluta quanto più possibile vicino alla base,
per promuovere partnership tra Stati
membri e regioni. Importante anche l'istituzionalizzazione del dialogo sociale e del
dialogo tra rappresentanti della società civile.
Chefare?
Quale prima attuazione della strategia
delineata dallo stesso articolo 13Ob del
Trattato, e cioè quale primo tentativo di
presa in considerazione dell'insieme delle
politiche (economiche nazionali, coinunitarie non strutturali, e strutturali) che dovrebbero tutte concorrere - in modo coerente - alla coesione, questo Primo rapporto è un risultato. Certo, l'analisi dell'impatto (regionale e settoriale) delle poli-
Diego Rivera, Detroit Indmtry (1932), The Detroit Institute of Arts
tiche non strutturali (Pac, ecc.) sulla coesione, avrebbe meritato (e meriterebbe anche a livello nazionale) un approfondimento. Ma almeno si è partiti nella direzione
giusta. Del resto, tale quale lo si legge, il
Primo rapporto sulla coesione oltre che
frutto di compromessi, è una sintesi di ricerche voluminose (l'Italia è stata presa in
esame negli studi concernenti Pac, piccole
e medie imprese, reti infrastrutturali, educazione e formazione professionale, politiche strutturali).
Quali sono le sue proposte? Innanzitutto si propone un incremento dell'efficacia
(anche gestionale) degli interventi strutturali. Come? Tramite concentrazione geografica e finanziaria, ma anche ricerca di
coerenze, chiarezza di obiettivi, capacità di
assorbimento delle risorse impegnate, revisione del principio di addizionalità, una
migliore ingegneria finanziaria (per un miglior equilibrio tra sowenzioni, contributi
e prestiti, e un coinvolgimento di capitali
privati), migliori sinergie con le altre politiche non strutturali, semplificazione delle
procedure, sussidiarietà, un partneriato
non ridotto alle istituzioni ma esteso a parti sociali e gruppi, un partneriato per cui i
Patti territoriali sono presi quale modello
di riferimento. In prospettiva (e in ogni caso dopo l'allargamento) resterà quindi un
nucleo duro di regioni cui saranno destinati interventi pesanti. Con la probabile revisione al ribasso dell'attuale soglia di eleggibilità, molte delle regioni italiane oggi beneficiarie degli interventi strutturali smetteranno di esserlo. E - avendo il trattato
di Maastricht scelto di parlare di Stati piuttosto che di regioni - il nostro Mezzogiorno non beneficierà del Fondo di coesione.
Sono elementi di cui si deve tener conto
nel corso del negoziato di definizione dell'Agenda 2000 (il programma politico dell'Unione dal 2000 al 2005, con relativa copertura finanziaria). Già ora, sulla spesa
globale, l'Italia è in passivo e ha tutto interesse a limitarlo.
Ma torniamo alle linee di azione delineate dal Primo rapporto sulla coesione. A
quanto già detto, seguono cinque grosse
priorità tematiche: occupazione (cui possono concorrere fondi strutturali, le decisioni di Essen, i Patti territoriali);una competitività non ridotta a una questione di
costi (reti infrastrutturali, R-ST, trasferimenti tecnologici, pmi e formazione); protezione dell'ambiente; parità uomo donna;
pertinenza delle questioni alla situazione
del momento (nuovi problemi di ristrutturazione), dipendenza dell'attività economica da investimenti imrnateriali e attività
qualificate, quali ricerca e tecnologia dell'informazione, pianificazione del territorio (questioni urbane, problemi rurali
ecc.).
Quali prossimi appuntamenti vengono
indicati, oltre che Agenda 2000, un Forum
sulla coesione (primavera 1997), e una valutazione entro il 1997 dei risultati dal
1994 per obiettivi.
¤
FEBBRAIO 1997
Lomunicazione, cultura, intormazione
Un ruolo per gli Enti locali e regionali
di Roberto Di Giovan Paolo
"Quello che voi chiamate un "valore aggiunto" della società dell'informazione, per
noi è già oggi la sopravvivenza". Parola di
Lappone.
E parola pesante, per certi versi sconvolgente, nell'ambito di un placido convegno
della Commissione Europea sul ruolo delle
Regioni e degli Enti locali nella futura società dell'informazione.
Non che il tema non fosse di per sè capace di dare inedite riflessioni sullo stato dell'uso dei fondi europei in proposito, ma il
recente Libro Verde della Commissione Ue
"Vivere e lavorare nella società dell'informazione" ha messo il pepe nelle pietanze
un po' soporifere delle diatribe interne ad
ogni Stato membro sul tema della cablatura
o dei canali via satellite. Nello stesso tempo.
ha anche messo il dito nella piaga tuttora
aperta della competizione reale tra Europa
e Usa e Giappone, in un campo, quello dei
vari aspetti dell'informazione, della formazione e della comunicazione telematica, in
cui le varie "eccezioni culturali" tra Paesi
europei hanno solo garantito finora una sicura ascesa degli standards d'oltre Oceano
(si pensi solo allo standard unico, quello
giapponese, nel campo dei videoregistratori, per esempio).
Non che costruire l'Europa debba necessariamente significare fare la guerra commerciale a chicchessia, però latita un pò, nel
Vecchio Continente, l'idea che la cultura
vince se cammina sulle gambe dell'industria, se crea occupazione, se fà formazione
delle generazioni future.
In una parola se esiste davvero un pensiero europeo che sia superiore, per qualità,
al semplice assemblaggio delle politiche
dell'informazione, quando esistono, dei
Paesi membri dell'UE.
Ora, costruire l'Europa vuol dire certamente occuparsi dei contenuti dei canali tv,
radio, di una rete telematica europea, di
quello che si vuole. Ma per parlare dei contenuti bisogna quantomeno avere costruito
una rete reale di collegamenti.
Ora, certamente il primo passo può essere quello di costruire i piani nazionali di sviluppo delle Tlc in ogni Paese membro sulla
base di questo Libro Verde, che ha ricevuto
entro dicembre i contributi scritti da ogni
Paese e da ogni associazione (quindi anche
dal Ccre dove l'Aiccre è stata in prima fila
insieme a danesi ed olandesi) e sarà reso definitivo a breve.
Laddove una unitarietà di visione non
esista. come è il caso del nostro Paese, sospeso tra Disegno Maccanico sulle tv; ipotesi di privatizzazioni e scarsa attenzione al
fenomeno Internet e banche dati (non a caso non siamo stati in grado di entrare ancora una volta tra le nazioni che hanno rispettato gli accordi di Schengen per via dei ri-
FEBBRAIO 1997
tardi nel nostro sitema telematico . . ...), si
tratta di creare le condizioni culturali e politiche perché questo awenga.
I1 secondo passo è il rafforzamento in sede Ue dei programmi di azione che si rifanno all'incentivazione economica di enti locali, privati, settore pubblico, per investire
in questo settore ma anche in quello della
formazione, sia :jcolastica che ricorrente,
perché l'altro grande rischio nella futura società dell'informazione sarà quello di un
grande analfabetismo di ritorno, che colpirà tutti coloro che avranno avuto una formazione scolastica desueta o un lavoro senza possibilità di sviluppo. Questo è un tema, insomma, su cui la scuola italiana e il
mondo del lavoro, sindacati, imprenditori,
professionisti, dovranno interrogarsi prima
che la storia interroghi loro. E duramente.
Perché a nulla serviranno le giaculatorie
da comizio sul "telelavoro" se non ci sono
le strutture telefoniche, di cablatura, gli impianti di ricezione, una vera diffusione a
basso costo di apparecchiature informatiche ed ovviamente la capacità di utilizzarle.
E gli enti tervitorìali.?
In tutto ciò quale é il ruolo degli enti locali e regionali?
Alla domanda, potremmo dire, ha già risposto con estrema sintesi il Comitato delle
Regioni con due documenti, uno dopo il
Summit di Corfu del 24/25 giugno del 1994
ed uno in risposta al Libro Verde, entro la
data fatidica dello scorso 3 1 dicembre 1996.
È evidente che le Regioni e gli Enti locali non possono solo stare a guardare, accettare che la cablatura, per esempio, awenga
secondo stime decise nella capitale italiana,
europea e, talvolta usando ditte statunitensi
o a partecipazione Usa, addirittura secondo
i dettami del mercato d'oltre Oceano. Non
è certo un fatto di pedanteria europeista: attraverso le infrastrutture telematiche e della
comunicazione in genere passano i possibili contatti futuri tra popolazione e sua rappresentanza politica.
Non è solo la gustosa scenetta del televoto sui referendum che il Sindaco propone al
suo piccolo Comune (immagine stucchevolmente oleografica del futuro prossimo venturo.. . .), quanto la possibilità di controllare
in tempo reale l'amministrazione da parte
di cittadini-padroni di casa e non sudditi,
oppure quella di ridurre il traffico nelle metropoli evitando <:odeinutili quando è possibile inviare via videoterminale certificati
anagrafici o moduli di richiesta varii ed altro.
Ma chi garantirà che i cittadini di un piccolo comune della Va1 d'Aosta o della Provincia di Ragusa abbiano gli stessi diritti, le
stesse possibilità, le stesse capacità di interlocuzione di quelli di Milano e Roma, rispetto ai loro amministratori?
E di un Comune della ex Germania Est
rispetto ad uno della Germania Ovest? E di
una regione montuosa della Grecia rispetto
alla pianeggiante cittadina del Surrey?
Qui diventa chiaro che il tema della democrazia si tocca con mano.
E in questo senso il "Libro Verde" parla
molto di mercato, spesso anche un pò a
sproposito e in forma miracolistica mentre,
credo giustamente, noi del Ccre abbiamo
messo in guardia dal fatto che finora, per
quanto riguarda il lavorare (dunque anche
il vivere) nella società dell'informazione, e
soprattutto nelle realtà locali, conosciamo
solo la perdita di posti di lavoro conseguente all'automazione del lavoro stesso.. ..
Ciò rischierebbe di portarci al vecchio,
talvolta sterile, specie se i d e ~ l o ~ i z z a t dio,
battito su ciò che deve essere pubblico e ciò
che deve essere mercato e privato.
Se però apriamo la riflessione sui rischi
ma anche sui benefici possibili, che la società dell'informazione porta alla democrazia così come la conosciamo, si potrà ben
vedere come le Regioni e gli Enti locali possano svolgere un ruolo di avanguardia culturale in una nuova riflessione che si occupi
di ciò che è servizio pubblico ai cittadini,
nelle forme che si vorranno: interamente
pubblica, a partecipazione pubblica o privata (e con un mercato vero, che spesso in
Italia non esiste).
Ecco, dunque dove misurarci con la politica della comunicazione nei prossimi mesi
ed anni, altro che (solo...) sul numero delle
reti televisive e sui minuti di apparizione tv:
queste ultime, come diceva giustamente E.
Bennato (la buona musica unisce i popoli,
quindi anche gli europei, spero.. .) "sono
so10 canzonette.. . ."
W
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l'agenzia settimanale
che da 18 anni dice tutto l'occorrente
sullJintegrazioneeuropea
agli amministratori locali e regionali
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Tel. 6994046 1 - fax 6793275
dal 15 gennaio 1993 viene inviata gratis a tutti
i Soci, nella convinzione che gli Enti medi e
grandi appoggeranno questo grande impegno
finanziario dell'AICCRE abbonandosi. I Soci
che non la ricevessero sono pregati di reclamare
La via europea
Vivere e lavorare nella società dell'informazione
di Renata Landotti
Una beffarda corrispondenza di amorosi
sensi ha fatto sì che mi ritrovassi contemporaneamente a leggere, per dovere, il "Libro
Verde: Vivere e lavorare nella società dell'informazione. Priorità alla dimensione
umana» (1) e, per curiosità, "Sfida alla disoccupazione" (2); a consultare, per necessità, la pagina Web di TELELAVORO (3), a
dover scambiare, per lavoro, una serie di urgenti messaggi via posta elettronica. Questo
da una parte; dall'altra la dimensione umana di telelavoro e tecnologie informatiche
veniva messa a dura prova dalla dimensione
disumana insita nelle stesse, con caratteristiche tali da costituire un interessante case
study hands on per uno dei tanti stage sulle
TIC (Tecnologie dell'Informazione e della
Comunicazione). Ma cosa accomuna (e cosa
distingue) gli elementi testè citati? Senz'altro si tratta di manifestazioni diverse di uno
stesso evento, quello della società dell'informazione, nei suoi aspetti teorici e pratici, di
modi diversi (ma interdipendenti) di andare
incontro e non contro il cambiamento.
Nell'Unione Europea, la più ampia entità
economica del mondo, basata su una forte
tradizione di diversità culturale, democrazia
politica ed economia di mercato, la società
dell'informazione rappresenta un formidabile impulso al cambiamento, con enormi
possibilità per la società nel suo insieme, ma
anche rischi per gruppi e regioni. In questo
contesto, il Libro Verde costituisce il complemento di un'ampia gamma di attività già
awiate in questi ultimi anni in vari settori di
attività della Commissione, come la messa in
comunicazione di elementi di forza ed esperienze, la ricerca e lo sviluppo, i progetti pilota comuni ed il sostegno dei fondi strutturali. L'attenzione e le risorse dedicate dall'Unione europea alla società dell'informazione si sono consolidate, ma non sono an-
I1 nuovo paesaggio nella società dell'informazione
cora sufficienti in termini assoluti poichè, rispetto a Giappone e Stati Uniti, come si legge nel libro a cura di C. ,4. Ciampi, 1'Europa trova maggiore difficoltà a modificare atteggiamenti e abitudini e non è in grado di
utilizzare appieno il proprio potenziale, con
conséguente logoramento della competitività e approfondimento delle differenze regionali.
I dati economici
Di fronte a una forza lavoro che sta invecchiando mentre la tecnologia è sempre
più giovane, di fronte ad un potenziale di
forza lavoro giovane che fatica ad inserirsi in
un ciclo produttivo invecchiato, il ruolo dei
governi e delle istituzioni europee deve essere quello di catalizzatori delle nuove iniziative, mentre il ruolo delle autorità pubbliche richiede un forte impegno di azione a
vari livelli. È urgente comprendere le nuove
forme di organizzazione del lavoro, le loro
implicazioni per le politiche pubbliche e per
le imprese, l'integrazione con i valori della
parità delle opportunità e degli accessi. Bisogna mettere a punto un adeguato quadro
di riferimento giuridico e contrattuale, per
migliorare la flessibilità delle imprese e degli
individui (4)e attuare strategie integrate che
colleghino l'introduzione delle TIC con l'istruzione, la formazione e con trasformazioni a livello organizzativo. Bisogna imparare
a gestire in modo corretto lo scarto temporale tra le modalità lavorative sin qui conosciute e quelle che si stanno prospettando. I1
"Libro Verde" vuole essere un invito al dialogo politico, sociale, ecoiiomico per una via
europea alla società dell'informazione, che
includa una azione per la disoccupazione in
Europa; "Sfida alla diso<:cupazione" espri-
me i pareri del Gruppo consultivo per la
competitività (presieduto da C. A. Ciampi
dal febbraio 1995 al maggio 1996) sulle
priorità di politica economica e sugli orientamenti atti a stimolare la competitività e a
generare benefiche ripercussioni in termini
di crescita e occupazione.
In quest'ottica, società dell'inforii-iazione
e società dell'apprendimento devono essere
complementari: una formazione aperta e
multimediale che sia più ricca, flessibile e
più orientata all'individuo rispetto a quanto
awiene oggi, favorirà certamente il nascere
di una società dell'apprendimento. Flessibilità e decentramento dei processi di istruzione e di formazione (ad es. l'azione Ue per
I'Open dtj-tance learning) forniranno all'Europa uno strumento valido, oltre che per
migliorare la competitività, per ridurre fenomeni di estraneità e di emarginazione sociale. Un miglioramento della qualità dell'istruzione dell'obbligo offrirebbe un'opportunità unica per inserire i giovani nella società dell'apprendimento. Anche se sono
sempre più frequenti i corsi di avanguardia
pedagogica basati sull'impiego preponderante delle tecnologie multimediali, essi rimangono comunque, ancora, delle eccezioni messe in pratica laddove lo sviluppo economico preesistente fa pensare ad un più rapido e immediato ritorno economico.
Le soluzioni innovative nel settore dell'istruzione e della formazione sono tanto più
auspicabili per quanti sono più esposti al rischio di restare indietro (disoccupati di lunga durata, persone con scarso livello di
istruzione, immigrati, persone che hanno
abbandonato la scuola, ecc.), per evitare che
le caratteristiche positive di flessibilità e sviluppo proprie del telelavoro vengano realizzate solo nelle aree di più diffuso benessere
e, di conseguenza, finiscano per ridurre indirettamente l'occupazione e le possibilità
di sviluppo nelle zone economicamente più
arretrate. Non bisogna dimenticare, inoltre,
che anche le scuole devono imparare: migliorando le loro capacità di apprendimento
miglioreranno la loro capacità di insegnamento. Gli insegnanti, che tradizionalmente
operano isolati gli uni dagli altri, anche per
la difficoltà di accesso alle sorgenti di informazione. dovranno imparare a cooperare e
a sviluppare la consapevolezza della possibilità di accesso alle competenze e all'informazione disponibile, ed i corsi di formazione per formatori dovranno prevedere estesi
momenti di interazione ( 5 ) .
I settori connessi con la società dell'informazione (servizi audiovisivi, teleservizi bancari, servizi di formazione, ecc.) sono in crescita nonostante le difficoltà e le disparità
normative, di servizi ed infrastrutture. i ritardi a livello politico. I1 telelavoro è un
aspetto delle tecnologie dell'informazione
di cui è al tempo stesso generante e generato. Ad oggi, la mancanza di un assetto di re-
FEBBRAIO 1997
gole, contrattuali e giuridiche, che regolamentino il telelavoro, fà sì che si corra il rischio di trasformarlo in una forma moderna
di sfruttamento del lavoro a domicilio, come
subdolamente sta già avvenendo, sia da parte dei privati che delle amministrazioni pubbliche: telelavorare da casa è quasi un lusso,
poichè nella maggior parte dei casi bisogna
disporre autonomamente dell'attrezzatura
necessaria e sopportarne i costi di esercizio.
Inoltre, le infrastrutture esistenti sono spesso causa di difficoltà: dalle linee telefoniche
pagate a caro prezzo (soprattutto in Italia) e
disturbate quel tanto che basta per dare un
tocco di imponderabilità ai collegamenti via
cavo (anima del telelavoro), magari proprio
nelle zone rurali che più dovrebbero usufruire di un servizio trasparente e affidabile,
alle linee elettriche sovraccariche, con interruzioni così imprevedibili e frequenti in certe zone, da causare "malattie gravi" e "morti repentine" degli strumenti del telelavoro
con conseguente aggravio, anche notevole,
dei costi di esercizio.
Sono ben d'accordo con quanto sostenuto in entrambe le pubblicazioni, e cioè che
per il lavoratore la migliore garanzia di fronte all'incertezza del futuro, la migliore difesa del posto di lavoro, in un contesto di mobilità, sta nel continuo arricchimento del
suo bagaglio professionale: ma, al di là delle
belle parole e delle proclamate nobili intenzioni, la realtà, fatte le solite inevitabili eccezioni, offre ancora ben poco in termini di un
aggiornamento continuo e di qualità; soprattutto rimango convinta che senza curiosità ed impegno personali si rimane al traino, agiti e non attori.
I compiti da fare
Gli esperti sostengono che la formazione
deve diventare un processo continuativo,
durare per tutto l'arco della vita lavorativa?
Bene. Ma la formazione costa, la speculazione è ancora tanta, il contenuto ancora scadente. Investire in modo più intenso, sistematico, nelle risorse umane, nelle infrastrutture immateriali (ricerca, formazione, informatica) è il solo modo possibile per creare
un circolo virtuoso per la competitività. C'è
bisogno di uno sforzo collettivo che investa
le amministrazioni pubbliche, il governo, i
sindacati, gli imprenditori, di maggior coordinamento da parte dei governi. Lo Stato
deve assicurare lo zoccolo di protezione sociale; sta poi ad altri soggetti, in particolare
a quelli del "terzo settore", partecipare ad
una nuova impostazione dello stato sociale,
apportando una sensibilità più viva alle variegate esigenze della domanda, una maggiore capacità nell'utilizzo più efficiente ed
economico delle risorse. La società dell'informazione deve essere integrata nelle
politiche di sviluppo regionale con applicazioni destinate a specifici gruppi sociali, ai
servizi per l'occupazione, alle strutture per
la formazione, ai servizi sanitari.
Allora forza: dopo tutte queste belle parole, mettetevi all'opera nella società dell'informazione. Se possedete tutto il necessario (non escluso l'abbonamento a un "server"), il Libro Verde, la relazione del Grup-
FEBBRAIO 1997
Dalle parole ai fatti
Scandalo? Sì scandalo.
Perchè Euronews, che dovrebbe essere l'orgoglio delle tv europee, il meglio del servizio
pubblico, l'espressione concreta del contrasto culturale tra la produzione europea e quella d'
oltreoceano. invece. vivacchia.
Tira avanii nel disinteresse generale, con rappresentanti delle tv pubbliche (la Rai, per esempio) che considerano Lione un "cimitero degli elefanti", come tutte le grandi istituzioni europee dove i soldi vanno investiti e non rastrellati .
Non solo. Invece di utilizzare al meglio nella programmazione normale, quanto va per intero sul satellite (e la qualità di certo non manca.. .) lo si propone in orari assurdi, di primissima
mattina in Italia, oppure nei quasi "fuoriprogramma" in altri Paesi europei.
Eppure Euronews, se solo avesse un pochino di mezzi e uomini in più potrebbe competere
alla pari con reti ormai famose come Bskyb o Rtl e Satl tedesche; già adesso, è meglio della
"finta" o propagandistica rete "Arte", tanto citata dai salotti buoni, dove la citazione è inversamente pro~orzionalealla reale volontà di vedere o aver visto qualcosa di cui si parla.
Voi direte : "ma come si fa a dare altri soldi per l'Europa quando ci tocca pagare anche 1'Eurotassa? ".
Ris~osta:la Rai esborsa solo 6 miliardi di lire d'anno.
Considerate quanto sono stati pagati per un solo ciclo di trasmissione Mara Venier o Mike
Bongiorno o Frizzi, e scoprirete che con la metà dei soldi la Kai potrebbe addirittura comprarsela Eurone~vs!
Sono inoltre convinto che Euronews con un semplice "favore" di maggiore inserimento nei
palinsesti televisivi delle tv gemelle europee, come la Rai, potrebbe pagarsi da sola le proprie
spese ed anche guadagnarci: basta far sapere ai pubblicitari il numero totale di telespettatori
raggiunti con una migliore "esposizione", per far arrivare un minimo di pubblicità stabile anche a quello che dovrebbe essere il "nostro" canale europeo.
Per intanto 1' ,4iccre ha deciso di saperne di più incontrando i dirigenti di Euronews e proponendogli di dare maggiore spazio alle Regioni, Comuni e Provincie italiane; e sarebbe una
ghiotta collaborazione anche per il Ccre, che rappresenta più di centomila poteri locali dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa.
Un modo concreto per passare, nel confronto culturale Europa -Usa, dalle parole nei convegni ai fatti concreti.
A
A
R.D.G.P.
po di esperti di alto livello e la relazione del
Forum sulla società dell'informazione sono
facilmente consultabili al server ISPO:
http//w7vw.ispo.ccc.be. Se volete contribuire con i vostri suggerimenti, l'indirizzo è
[email protected]>.cec.be. Per chi volesse
documentarsi a livello professionale sulle
istituzioni regionali e sugli enti locali, sulle
associazioni e sugli organismi pubblici che
operano in ambito regionale, ecco il Cd Rom
sulle Regioni d'Italia (lire 400.000 circa) (6).
Chi voglia partecipare a giornate di studio e convegni, non avrà che l'imbarazzo
della scelta: dalla European I T Conference
'96 (EITC '96). organizzata da D G XIII sul
tema «Doing business in the Information
Society» (progranima ESPRIT); alle giornate di lavoro dedicate all'impatto della società dell'informazione sulle condizioni di
vita e di lavoro, nell'ambito del Quarto Programma di Azione sulla salute e la sicurezza
(1996 - 2000); ai dibattiti sul lifelong learning in cui ricercatori, scienziati, produttori
di software, pedagoghi, discutono sulle nuove opportunità telematiche e la loro integrazione nella vita quotidiana.
A proposito. Terminate queste opinabilissime considerazioni, ho rimandato le fasi di
stampa su carta, copia su dischetto e trasmissione via posta elettronica al giorno dopo, per concedermi una cautelativa pausa di
riflessione (dimensione umana del telelavoro). I1 giorno dopo di buon mattino (si sa, il
telelavoro ha orari molto personali), all'atto
di dare energia alle mie macchine protette
-
da un sovradimensionato gruppo di continuità contro i malefici effetti di una rete
elettrica obsoleta e sovraccarica, il mio fido
strumento di lavoro ... dette un lampo e
giacque, inerte (dimensione disumana del
telelavoro!. Mi sono preparata con calma un
caffè (dimensione umana del telelavoro) ho
messo mano al computer di scorta e ho ricominciato da capo (dimensione disumana
del telelavoro).
NOTE
(1) Commissione delle Comunità Europee, Libro
Verde. Vivere e lavorare nella società delì'Informazione. Priorità alla dit~zerzsioneumana, Bruxelles. 24 Luglio 1996, COM(96)389 def.
(2) Carlo Azeglio Ciampi (a cura di), Sftda alla dzsoccupazione. Rafforzare la competitività europea, Ed.
~ a t e i z a1996
,
13) htto://www.mcIink.it/TELELAVORO/.
un sito a cura di P. di Nicola, Facoltà di Sociologia dell'università La Sapienza di Roma, nell'ambito di
E T O (European Telework Online) dove si può eonsultare "Telework job bank" o "Telework Italy'', il
primo sito italiano dedicato al lavoro a distanza e all'ufficio virtuale.
(4) Vedasi ad esempio: P. di Nicola, Telelavoro: lo
stato delì'arte e le prospettive, Nuova Rassegna Sindacale, n. 42 del 27/11/1995, pp. 27-28, S. Cofferati,
Anche il sindacato è pronto: oggi accetta il lavoro a distanza, Telèma - Attualità e futuro della società
multimediale, n. 3 , 1995, p. 64-65.
( 5 ) Vedasi ad esempio: T D tecnologie didattiche,
Ed. Menabò Chieti, Commissione delle Comunità
Europee Libro Bianco sull'i~zsegnamentoe sull'apprendimento (COM (95) 590), che si concentra sulle
competenze e sulle conoscenze che saranno necessarie per garantire una piena partecipazione alla società dell'informazione.
(6) Guida alle Regioni d'Italia 1995, Sispr, Roma.
.
.s
Vienna città-capitale
La Vpuntata della nostra inchiesta sul decentramento amministratiiw
di Laura D'Alessandro
I1 Parlamento di Vienna
L'Austria è uno stato federale composto di
Laender autonomi. Vienna è uno di questi.
La stessa Costituzione austriaca mostra il rilievo che, nella fondazione dell'ordinamento
repubblicano, attribuisce a Vienna, città considerata ora sotto questa veste, ora, invece, come
unità elementare costituente lo Stato Federale.
Divenuta capitale dello stato nazionale sorto
in seguito al crollo ed alla spartizione dell'lmpero Austro-ungarico, Vienna già capitale "di
un impero multietnico e plurinazionale che
contava più di cinquanta milioni di abitanti. si
trovò improvvisamente al centro di uno Stato,
creato per I'occasz'one, di dimensioni estremamente ridotte, la cui popolazione, di ceppo
quasi esclusivamente tedesco, era circa per un
terzo costituita dai due milioni di abitanti che
formavano allora la popolazione cittadina della
Capitale". 1)
Con la data del 1" gennaio 1922 Vienna diveniva la Capitale dell'Austria e contestualmente veniva sancita la separazione della città dal
Land nel quale era stata inizialmente ricompresa, cioè la Bassa Austria.
Tale separazione si era resa necessaria per
evitare "che all'interno della Repubblica esistesse una sorta di Prussia, cioè un Paese che
avrebbe contato da solo circa la metà della popolazione dello Stato, col rischio alternativo o
di un suo schiacciante predominio, o di una sua
artificiosa sotto-rappresentazione in una Camera dei Paesi, la cui autorità sarebbe stata per ciò
stesso menomata". 2)
L'elemento "che più fortemente condizionò
la dinamica del federalismo austriaco nel periodo di cui si parla, fu peraltro il contrasto fra lacapitale "rossa" e la provincia "nera" ... al contrasto fra città e compagna si sovrapponeva il
contrasto fra socialismo e conservatorismo,
12
quello fra cosmopolitismo aperto agli apporti
slavi ed ebraici e germanisrno antisemita ed arcaico". 3)
Sulla base della struttura federale che il Paese si era dato, Vienna il più popoloso, ricco e
progredito dei Laender coiitrollato dai socialisti, si contrapponeva al resto dei Laender della
Federazione di gran lunga più arretrati e ad indirizzo conservatore.
Tale contrapposizione finiva per creare tensioni fra la Capitale e la Federazione a secondo
di quale dei due partiti coritrollava il Governo
federale.
È questo il contesto stor~co-politiconel quale veniva a configurarsi Viei~naquale città-stato
della Federazione.
Diversamente da quanto accaduto in altri
Stati federali, il regime della capitale austriaca
non dipese in realtà dall'esigenza della stessa di
difendersi da un contraddittorio stato di subalternità nei confronti di uno Stato membro,
piuttosto scaturiva dall'esigenza difendere uno
di questi ultimi dall'inevitabile predominio della capitale federale.
Contestualmente, la stessa organizzazione
federale austriaca era fortemente condizionata
dalla spinta di alcuni Laeuder che attuavano
una politica di tutela, per sottrarsi alla logica di
rafforzamento dell'influenza di Vienna su di essi.
Con la Costituzione corporativa del 1934
Vienna non veniva riconosciuta come Land,
pur rimanendo pressoché inalterate le proprie
competenze.
Del resto, la dominazione tedesca delllAustria contribuì in maniera considerevole alla
modernizzazione dell'eco~iomiadelle regioni
più arretrate del Paese, specie quelle occidentali.
Nel 1945 rientrando in vigore la Costituzione precedente Vienna riacquistò il suo "status"
di città-capitale della Federazione, di Comune
e di Land.
Tale è ancor oggi la posizione di Vienna nello Stato federale d'Austria, una posizione consacrata dalla stessa Costituzione. Sostanzialmente Vienna non è un Comune ed un Lantl allo stesso tempo, bensì un Comune dalle connotazioni decisamente cittadine, "successivamente ed artificiosamente considerato alla stregua
di un Land. 1)
Tale inquadramento ha delle conseguenze
sul piano sia organizzativo che giuridico della
città. Infatti, ad essa viene applicata la normativa costituzionale dell'ordinamento comunale.
Tuttavia, le competenze di Vienna come
Land non subiscono, per tale particolarità, delle modifiche sostanziali.
La particolarità è data dalla sovrapposizione
di due diversi modelli organizzativi: si tratta di
una città, alle cui competenze come Comune si
sono sommate quelle tipiche di un Land.
Tale sovrapposizione non ha, tuttavia, delle conseguenze particolarmente significative sulle dimensioni della città, in quanto la stessa non viene considerata nella sua area metropolitana cioè comprensiva di comuni che data
la vicinanza sono comuni satelliti della capitale.
Vienna, infatti, è considerata nei suoi tradizionali confini comunali.
11 Land di Vienna, diversamente da quanto
accade per gli altri, non è suddiviso in comuni
poiché il suo territorio coincide perfettamente
con quello del Comune di Vienna stessa.
Un'unica amministrazione cittadina beneficia delle competenze previste dalla Costituzione federale per due diversi enti territoriali godendo di poteri del tutto speciali ed intensi.
Curata direttamente da organi propri del governo federale, l'amministrazione si limiterebbe ad alcuni settori limitati seppur rilevanti
quali: ferrovie, tèlecomunicazioni, poste, polizia ed assicurazioni sociali.
Per quanto riguarda le altre materie, o si
tratta di amministrazione federale indiretta, in
cui l'amministrazione centrale si serve di uffici
propri dei Laen~ier,per l'occasione posti in uno
speciale rapporto di subordinazione con quelli
federali, ovvero si tratta di settori istituzionalmente propri dei Laender, o dei Comuni, o di
attività delegata a questi ultimi.
Tale configurazione di rapporti tra la capitale e i Laender accentua notevolmente il peso e
l'autonomia di Vienna come specialissima amministrazione locale.
Lo stesso Sindaco della capitale gode di una
particolare posizione di supremazia tanto da
far scrivere che "la pienezza delle funzioni del
Sindaco apre a quest'ultimo nel processo di
formazione della volontà della città-capitale più
possibiliti che al Presidente della Federazione,
al Cancelliere federale e ai singoli ministri". 5)
Sulla base di una posizione giuridicamente
peculiare, Vienna gioca un ruolo di primo pia-
FEBBRAIO 1997
Alessandro schiavi.,i Comuni e l'Europa
A propos ito di due libri sul pritno presidente del1>
di Oscar Gaspari
Maurizio RidoWi (a cura di)
1994, Alessandro Schiavi. Indagine
sociale, culture politiche e tradizione
socialista nel primo 900, Cesena, Società editrice «I1ponte vecchio., pp.
220, lit.28.000.
Patrizia Dogliani (a cura di)
1996,Europeismo e municipalismo.
Alessandro Schiavi nel secondo dopoguerra, Istituto autonomo case popolari di Forìì, Cesena, Società editrice
<<Ii
ponte vecchio., pp.118.
Alessandro Schiavi (Cesenatico 1872;
Forlì 1965) è uno dei personaggi più interessanti della storia contemporanea del nostro paese ed una delle figure fondamentali
del movimento comunale italiano ed internazionale, intendendo per movimento comunale il complesso di amministratori, politici e tecnici che, a partire dalla fine
de11n800,si mobilitavano per porre al centro
dell'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni le sempre più importanti funzioni ed i crescenti problemi dei comuni,
protagonisti dell'eccezionale sviluppo economico, sociale e politico che investiva 1'Ttalia e l'Europa, tra la fine del XIX e l'inizio
del XX secolo.
Dal 1952 al 1956 Schiavi era il primo presidente dell'Associazione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa (AICCE, poi
AICCRE con l'ingresso delle Regioni nell'Associazione), ma pure negli anni seguenti
- anche dopo le dimissioni dagli incarichi
che ricopriva nelle istituzioni internazionali
-, come presidente onorario dell'AICCE,
rimaneva un instancabile protagonista delle
attività dell'Associazione, in Italia ed in Europa. Tra le sue iniziative più interessanti deve essere ricordata quella dell'Istituto europeo di credito comunale, una proposta che
presentava nei primi Stati Generali del CCE
svoltisi a Parigi e Versailles nel 1953, ed alla
quale lavorava con Mossé, ex rappresentante del governo francese alla Conferenza monetaria di Bretton Woods (luglio 1944).
Schiavi era il primo presidente di questo organismo, costituito ufficialmente a Ginevra
nel 1954 con il nome di Comunità europea
di credito comunale, che avrebbe dovuto
raccogliere e gestire i fondi necessari alla
concessione di mutui ai comuni d'Europa.
L'occasione per discutere di questa figura, fino ad ora trascurata dalla storiografia,
viene dalla pubblicazione di due volumi a
cura il primo di Maurizio Ridolfi ed il secondo di Patrizia Dogliani. Bisogna subito
dire che la lettura di Schiavi come esponente del movimento comunale non è quella
privilegiata dai saggi raccolti, che preferiscono utilizzare come chiave interpretativa
della vasta attività di questo personaggio, ri-
FEBBRAIO 1997
spettivamente, la corrente riformista del socialismo e la sua esperienza in materia di case popolari, ma, nonostante questo, a chi
voglia cercare il senso dell'impegno di questo personaggio non può non apparire un
unico disegno che comprende i vari ambiti
della sua attività.
Lo Schiavi che appare da questi volumi, è
un personaggio straordinario, che ha cercato di coniugare in tutta la sua vita conoscenza tecnica e lavoro concreto in favore delle
classi subalterne, in una dimensione che
molti contemporanei giudicavano utopica,
ma che egli, con il suo impegno, tentava di
concretizzare. In questo senso non c'era soluzione di continuità tra impegno nei comuni ed impegno in Europa, prima nel nome
del socialismo e quindi sotto le insegne dell'Europa.
Come ha bene osservato Dogliani, ai termini di socialismo e di riformismo ai quali si
è fino ad oggi collegata la figura di Schiavi
possono esserne aggiunti altri due che «ancor meglio identificano Schiavi e il suo ambiente, nelle continuità, nelle discontinuità,
nelle contraddizioni di questo secolo: Municipalismo . . . (intendendo) il comune
o la rete di comuni come cellule operanti di
un Welfave state che partiva dal territorio;
un autogoverno municipale, che non contraddiceva lo Stato, anzi lo decentrava nei
compiti, nel quale i compagni e gli ispiratori di Schiavi prima della grande guerra credevano . . . - Europeismo che prese forme
diverse a seconda dei tempi e sostituì in
Schiavi e in altri 1'Internazionalismo naufragato nel 1914, e soprattutto si caricò dell'enorme compito di ricostruire un continente
due volte, dopo le distruzioni delle guerre
mondiali».
Nell'introduzione al volume da lui curato, Ridolfi descrive Alessandro Schiavi come
una figura-tipo «e probabilmente . . . la più
significativa nel panorama del socialismo
italiano del primo Novecento»; era un
«riformatore di sinistra: organizzatore e militante socialista, operatore nelle istituzioni
sociali ed economiche del movimento operaio, giornalista, lettore assiduo della stampa internazionale e "divulgatore" di testi ed
esperienze pratiche, sperimentatore delle
nuove scienze sociali a vantaggio dei ceti
sulbalternb.
I numerosi saggi del volume sono divisi in
5 grandi settori; i primi due, "Nel solco dei
socialismi europei" e "Nel socialismo italiano", inquadrano l'attività di Schiavi nell'elaborazione del socialismo riformista - europeo ed italiano -, la più attenta, tra le correnti del movimento operaio, alle esperienze
del municipalismo, che venivano studiate e
comunicate attraverso una rete di riviste,
convegni, contatti personali. "L'indagine
statistica e il riformismo sociale" prende in
considerazione l'impegno di Schiavi come
tecnico, nell'ambito della ricerca statistica,
sociale ed elettorale, inteso come strumento
di conoscenza della realtà, presupposto essenziale per un corretto intervento nella
realtà civile; ed era con questi strumenti che
egli operava prima nell'ufficio del lavoro
della Società Umanitaria di Milano e quindi
come direttore dell'Istituto case popolari
(IACP) di Milano.
"La tradizione socialista" esamina il ruolo
di Schiavi storico del movimento socialista,
in particolare come custode del carteggio di
Filippo Turati che egli nascondeva durante il
periodo fascista e di cui curava la pubblicazione con Einaudi; gli ultimi saggi sono dedicati alla sua cultura ed alla sua terra d'origine, "In Romagna: la formazione e l'impegno educativo", una cultura socialista alla
quale non era però estranea l'esperienza cattolica, che gli giungeva attraverso la moglie.
l1 secondo volume privilegia dell'impegno di Schiavi quello in materia di case popolari. Ripercorrere la vita di questa figura
significa infatti analizzare quasi un secolo di
progettazione e di realizzazione nell'edilizia
residenziale ~ u b b l i c ae l'ambiente che la sosteneva e l'indirizzava - nelle difficoltà $0litiche ed economiche del nostro paese da una prima ricostruzione post-bellica ad
una seconda, che coincideva con la nascita
della Repubblica italiana; l'europeismo di
Schiavi è considerato quindi da questo particolare punto di vista.
I1 saggio della curatrice del volume propone, in forma approfondita, il tema dell'attività del riformista Schiavi nel panorama
del socialismo italiano ed internazionale,
quello di Enzo Collio, "Alessandro Schiavi
direttore dell'Tstituto Case Popolari di Mila-
13
no i 1910-1923I " , esaiilin,~brC\renlenteil priino, diretto impegno di Schia\ri nell'edilizin
popolare, dove portava la conoscenza teorica delle esperienze internazionali.
I1 saggio di Davide Bevoni - nonostante
il titolo, "Schiavi e l'edilizia pubblica in Romagna e in Italia" - è senz'altro il più interessante per un approccio all'europeismo
del personaggio. In esso si sottolinea la continuità dell'impegno di Schiavi nell'edilizia:
nel secondo dopoguerra infatti egli proseguiva l'opera intrapresa ad inizio secolo - e
interrotta dal fascismo - come studioso e
come esperto organizzatore sia in ambito
nazionale, come presidente dell'IACP forlivese (1945-541, fondatore e presidente dell'Associazione Nazionale fra gli Istituti Case
Popolari (1950-53), sia in ambito europeo.
La sua attività, infatti, si svolgeva anche
presso la Comunità Europea del Carbone e
dell'Acciaio (CECA), nella quale si impegnava fin dalla sua nascita - awenuta nel
1954 - e partecipando ai lavori dell'istituzione come membro della delegazione italiana nell'Assemblea parlamentare della CECA, dai cui banchi patrocinava l'idea di costruire case per i minatori immigrati.
Chiudono il volume un breve scritto di
Giorgio Ruffilli, sul ruolo di Alessandro
Schiavi, Presidente dell'lACP di Forlì e provincia, ed una nota bio-bibliografica, 194365, particolarinente utile per avere un'idea
dell'instancabile impegno di Schiavi negli
anni della ricostruzione.
¤
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della nostra rivista
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<<Comunid'Europa ,,
14
I nuovi scenari europei
Christiane Colinet,
L'ente locale e l'integrazione europea:
una rizioluzione silenziosa,
Gorle, ANCI-CEL, 19968
pp. 183, L. 46.000
Come giustamente evidenzia il titolo di
questo volumetto, l'integrazione europea
avanza concretamente in maniera silenziosa,
ben al di là di quanto quotidianamente viene
discusso sulla CtampaAdidiffusione. I1 processo di integrazione, di cui la creazione della moneta unica è solo un aspetto e non necessariamente il più rilevante, è oramai molto avanti e impatta sulle ;autonomie locali in
maniera pesante. I1 fatto ì: che l'operatore locale non è consapevole dei nuovi vincoli e
delle nuove opportunità che il processo di
integrazione europea gli sta creando.
I1 volumetto della Colinet rappresenta
uno strumento in grado di aiutare l'operatore dell'ente locale ad orientarsi nel nuovo
scenario in cui si trova, spesso senza rendersene conto, profondamente immerso. Dopo
aver presentato rapidamente le istituzioni euroDee (non solo dell'unione E u r o ~ e ama anche del Consiglio d'Europa), vengono individuati tre filoni di riflessione per l'operatore
dell'ente locale: (a) l'impatto del diritto comunitario sull'o~eratodegli enti locali e le
obbligazioni che ne derivano; (b) le opportunità di natura economico-finanziaria che le
varie istanze europee mettono a disposizione
delle autonomie locali; (C) le opportunità di
natura istituzionale che si offrono alle autonomie a tutela dei loro diritti.
Per quanto riguarda l'impatto del diritto
comunitario, valga qui riammentare che gli
attuali albi sono oramai tutti fuori norma,
che la prassi vigente in materia di residenza e
carta di identità è illegittima come pure è illegittima la prassi delle Llsl che non riconoscono al cittadino comunitario gli stessi diritti del cittadino nazionale; lo stesso dicasi per
1
I
Aiccre
DELLE REGIONI :DIEUROPA
I
I
l'accesso ai concorsi. Né valga illudersi sulla
possibilità di fare melina: il diritto comunitario è di diretta applicazione ed è possibile richiedere (è già stato fatto con successo) il risarcimento del danno causato dalla non applicazione o dalla ritardata applicazione direttamente al funzionario che sia responsabile del fatto.
Per quanto riguarda le opportunità di natura economica. il volume della Colinet Dassa in rassegna tutti i programmi dell'unione
Europea e del Consiglio d'Europa, indicando gli indirizzi cui rivolgersi per essere tenuti aggiornati sugli sviluppi di tali programmi.
Ma non solo: il volume offre una descrizione
molto precisa del funzionamento dei meccanismi di finanziamento, in maniera particolare dei fondi strutturali. Alcuni suggerimenti
appaiono, nella loro semplicità, veramente
importanti: per superare certe barriere informative (l'informazione è potere) al livello
delle nostre regioni, i comuni dovrebbero richiedere i piani comunitari di sostegno relativi alla propria regione direttamente alla
DG XVI a Bruxelles.
Per quanto riguarda le opportunità di natura istituzionale ampio spazio viene dedicato alla Cavta euvoDea dell'autonomia locale,
una convenzione internazionale sottoscritta
e ratificata dall'Italia (con la legge 439 del
1989). Tale convenzione è Darte dell'ordinamento italiano e, nella gerarchia delle fonti,
in quanto trattasi di legge ancorata ad un
trattato internazionale viene prima della legge ordinaria (legge rinforzata). Il rispetto dei
vincoli derivanti da tale Carta s u ~ e r e r e b b e
molti dei problemi che vengono oggi dibattuti in Italia: in maniera particolare supererebbe il problema dei così detti inquadramenti ndpevsonnm, in quanto agli enti autonomi deve venir riconosciuta la più ampia
autonomia nella gestione del proprio personale.
-
Massimo Balducci
I l volume si può acquistare, al prezzo
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FEBBRAIO 1997
Ch'iaroscuro
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21
pattizio, federale, adeguato. Se ci aduggianzo
nella constatazione del "tranzonto delle istituzioni" e accettiamo, senza ribellarci, la concezione nietzscheana dell'assenza d i razionalità
nello sviluppo della storia, meritiamo la fine
della democrazia, la perdita della libertà, la caduta della civiltà umana a u n livello preistorico. Q u i vale la pena d i vicollegarci al problema
della nazione e alla necessaria critica della
nzorfologia spengleriana (ricordate il successo
del "Tramonto dell'occidente" del prenazisla
Spenglev, quando Hitler stava andando al potere?): la Kultur nazionale spengleriana non
conosce la sovranazionalità e i suoi sviluppc si
presenta come u n organisnzo biologico. Ma già
prima, in pieno secolo XIX, Constantin Franz
(181 7-189 l), federalista cristiano tedesco, aueva avuto occasione d i opporsi a Bismarck, non
aveva accettato il suo "nazional-liberalismo",
aveva combattuto lucidanzente statalismo e
nazionalismo: "tutto si riduce al fatto che ci si
conzporta come se le diverse nazionalità attualmente esistenti fossero dei tipi fissi e stabiliti dalla natura, come le diverse fanziglie
animali". E' la condanna definitiva e generalizzata del momento nazionale? No.
Il Risorgimento italiano e la relativa nascita dello Stato nazionale, invece, segnano i l
rientro dell'ltalia i n Europa - non c'è bisogno di richiamare gli illuministi di Milano e d i
Napoli o la Repubblica Pavtenopea - e i l superamento di localismi misoneisti. Certamente la crescita dello Stato nazionale mostra un
continuo conflitto tra una Italia europeista
prefederale e le tentazioni della ragion d i Stato: da Mazzinz; Cattaneo, Giuseppe Fevravi già
nellJOttocento si perviene a Crispi; la cosiddetta emergenza - dopo una unificazione politica più rapida del previsto - f a bocciare i
progetti d i legge per u n ordinamento anzministrativo comunale d i tipo inglese (il progettista, 1'1 bolognese Marco Minghetti, ha studiato
Kant e Rosminz; seguito le lezioni parigine d i
Sismond( conosce bene l'Inghilterra ma anche
tutto il resto d'Europa) mentre prevale per tutt o il regno novello l'ordinamento francese
(prefettizio) del Piemonte; ma soprattutto, a
partire dalla spedizione dei Mille, la monarchia piemontese e anche alcuni errori d i Cavour dànno origine a quel problema meridionale, a quella sopraffazione - diciamolo del Nord sul Sud, la quale ha determinato una
crisi, che fa intitolare u n libro (il libro comincia emblematicamente dalla brutalità d i Nino
Bixio a Bronte) "Risovgimento perduto" a u n
siciliano, Antonino Radice, che è stato tra i
protagonisti, dopo 1'8 settembre '43, della Resistenza trentina anti-nazista e a cui è divenutu poi familiare la Mittel Europa. Del resto
sarà bene, a questo punto, chiarire -se pur ce
ne fosse bisogno - I'origine d i una Roma (capitale) che sarebbe divenuta ladrona: non è u n
fatto territoriale (un indiscutibile danno secco
l'hanno proprio subito i ronzani d i Roma), ma
è ilfrutto, semplificando, dell'alleanza dell'industria protetta del Nord con una pavte della
borghesia parassitaria d i u n Sud entrato i n crisi (che ha fornito quadri politici e burocratici):
il dettaglio sintomatico della prevaricazione
del Novd a cominciare da Roma lo possono offrire le rapine dell'afirismo lombardo e pie-
FEBBRAIO 1997
montese (con l'aggiunta d i qualche toscano)
sulla verde Roma papalina, ricordando le tre
famose cooperativt~edilizie Macao, Esquilino,
Prati (cfr. il c h s i c o "Roma capitale" d i Albert o Caracciolo) e gli inzmensi guadagni fatti da
lorsignori.
Eppure, malgra~iocontraddizioni ed errori,
malgrado i l rrzfiuio dell'ltalia autonomista
proposta da Minghetti - e regioni non separatiste, ma da secoli del tutto "separate" -,
malgrado la difficoltà d i comporre dljrferenze
d i ogni genere, il "partito dell'unione': a prima vista nzinoritario, crea (come vuole la filosofia del federalisrno) gente diversa capace di
vivere sotto una legge comune, e svelando nei
momenti critici u n sentimento comune, u n
"patriottisnzo nazionale" forse poco vistoso
(diverso da quello reton'co, epidermico, d i facciata del periodo Jgscista), ma che affonda i n
una storia italiana ritenuta comune. Il poligrafo Sergio Romano ("La storia nazionale e
la Banca d'Italian, i n "La Banca d'Italia 100 anni. 1893-1!'93", Roma 1993) si sente
costretto a scrivere: <<Larotta d i Capovetto rivelò vecchi dzfetti delle forze armate..., ma la
tenuta morale del ,Paese e lo sforzo organizzativo dei mesi seguenti dimostrarono che il lavoro fatto dalla classe dirigente unitaria nelle
due generazioni precedenti aueva dato compless*vamente risultati straordinari>>.I "vecchi
difetti'' delle forze armate furono tra l'altro la
terribile guerra d i logoramento del Generale
Cadorna - le 12 battaglie sull'lsonzo, con
migliaia e mig1iaic.1 d i morti - e lo sfondamento d i Caporetto dovuto a gravi e colpevoli
imprevidenze degli alti conzandi. viceversa, i n
quel mediocre volume, che è Y l secolo breve"
di Eric J. Hobsbazom, si legge che, nell'ambit o dell'lntesa, l'apertura d i u n altro fronte
contro l'Austria-Ungheria "fallz'piincipalvzente perchè molti soldati italiani non erano motivati a combattere per uno stato che non consideravano il loro, la cui stessa lingua era parlata da pochi d i loro" ("nel frattempo la Francia, la Gran Bretagna e la Gervzania si dissanguavano sul fronte occidentale"). S i pensi a
quante ~nigliaiad i mortz; con larghissivzo contributo d i cafoni meridionali, si deve l'integrazione alla Padarzia d i Trento e Trieste. Nella bibliografia d i Hobsbawm compare - e com e non poteva? -- Hemingruay ("Addio alle
armi") ma viene naturalnzente ignorato "Trincee" d i Carlo Salsa. Se poi ci caliamo dalla
"classe dirigente unitarian all'Italia popolare
- del popolo minuto - ci si avvede che, fatta I'Italia, migliaia d i maestri elementari e d i
medici condotti avcvano falto anche molti italiani (col contvibuto d i socialziti rifornzisti e d i
cattolici nazionali). In parte questo non avevano capito neanche, allo scoppio della grande guerra", i neutralisti come Giolitti e il "giovane" Benedetto Cvoce: schivando le dispute
d i vertice tra interventisti nazionalisti, futuristi, soreliani e hterventisti democratici, molti
piccoli borghesi, operai, contadini d i famiglie
dz emigranti cominciavano ad avere u n vivo
sentimento nazionale (la parola "orgoglio"
può risultare ambigua), che non aveva niente
a che fare con la cinica Italia della pugnalata
alle spalle della Francia morente del 1940.
C'era molto d i più d i Gavibaldi (e d i De Amic i ~ che
) d i Sovel, d i d'Annunzio e d i Mussolin i (e magari d i Oriani).
Il Fascismo ha vappresentato il tentato ca-
pouolgimento del senso risorgimentale della
nazione (ricordate? "schiavi li spinge per tenerci schiavi/ li spinge di Croazia e d i Boemme/ come mandre a svernar nelle MaremmeJ'):
falso i l Risorgimento "prefascista" costruito da
Gentile e da Gioaccl~inoVolpe. La guerra d i
Mussolini del 1940 cacciò .poi gli
- italiani tanti italiani - i n u n vicolo cieco morale, la
canzpagna razzisla, I'Anschluss e la strafottenza (ma è u n eufemismo) dei nazisti non piacevano a una larga maggioranza, il "consenso" al
Fascismo era precipitato, e ciò malgrado nzolti
caddero "per dignità", i n condizioni impossibil i O si è ciechi o la caduta del Fascisnzo, come
u n castello di carte, dopo il 25 luglio, non è la
nzanzfestazione di u n popolo che sz cala le bvache, ma d i u n popolo che ritrova se stesso. E'
ora d i finirla d i parlave di una guerra civile, d i
paragonare i "partigiani" ai combattenti d i
Salò, e basta. ScrLvendo una storia Seria", i
conzbattenti d i Salò vanno capiti e giudicati d i
volta i n volta, caso per caso (come ipartigiani.
non pochi hanno scoperto all'ultimo momento
non proprio la liberti, ma "dove girava la ruota della storia"): è l'intera nazione, uiceuersa,
che si è complessivamente sentita "liberata))e
ha potuto riprendere la strada del Risorgimento. Il Risorgimento ben rappresentato dal Giusti del Sant'Ambrogio - liberlà e fratellanza
umana -, non solo elitario nza sovente popolare - Milano, Venezia, Bvescia, Roma, Napoli, Palermo, eccetera -; il nostro Risorgimento che fu u n mito dei liberali d i tutta Europa, nel secolo della Restaurazione reazionaria; i l Risorginzento ammirato e soprattutto
amato da chi lottava contro la sopraffazione
stranieva ma anche indigena, e d i cui pare necessario iicordare ora che Mazzini e Garibaldi
furono una bandiera non solo in Europa e in
America, ma fino in India e i n Cina: e i nostri
nonni lo sapevano. Il 25 luglio non ci siamo
calate le brache: quel galantuomo d i Alessandro Natta ha ricordato ("L'altva ResistenzaJ')ai
dislvatti che dopo 1'8 settembre 600 vzila militari italiani sono stati catturati e internati in
duri e vendicativi campi d i concentramento
dai tedeschi: d i questi poco pizì d i diecimila
hanno ceduto alla seduzione nazzita - collaborazione contro oualcosa da mettere sotto i
denti e qualche indumento per coprirsi meglio
-; diciamo che 580 mila reszitettero, con corriposto eroirmo, alle lusinghe. Erano italiani d i
tutti i colori (Natta si trovava insieme a Lazzati, futuro Rettore dell'Uniuersità Cattolica
di Adilano, e a Guareschi, il padre d i Don Camillo) o d i nessun colore: sono stati un campione d i quegli altri italiani, d i tutte le classi
sociali, che tenevano da anni nascosti i n soffitta Ebrei giovani e vecchz; e d i coloro che ora
ospitavano con rischio della vita prigionieri
evasi del "fronte alleato".
Fine della guerra, Assemblea Costituente,
Costituzione repubblicana: I'articolo 1 1 della
Costituzione sarebbe stato firnzato con gioia
dai rappresentanti autentici del Risorginzento.
Naturalmente, passato il nzomento magico, si
è potuto verifcire che non solo il federalismo,
ma anche la "nazione aperta" è u n pvocesso u n difficile processo, a rischio d i continue deviazioni -: e qui non tocca alla sociologia o alla politologia indicare ciò che si può (e si deve?) fare o che presumibilnzente si farà, tocca a
noi decidere e farlo. Hic et nunc.
Umberto Serafini
Vienna città-capitale
Gegue du pag 121
n o nella vita pubblica della Federazione austriaca. Tuttavia, anche le vicende storiche legate a questa città hanno contribuito all'impianto
di una configurazione speciale che ha consentito l'evoluzione e l'ammodernamento deila Capitale così come oggi noi la conosciamo.
W
NOTE
1) F. Bertolini, Wentza, in Roma Capitale deG
la nuova Repubblica (AA.VV.), Maggioli Editore, 1996, cit. p. 279-280.
2) P. Petta, Il sistema federale austriaco,
1980, cit. p. 85-87.
3 ) Ivi, cit. p. 280.
4 ) F. Bertolini, op. cit. p. 283.
5 ) Ivi, cit. 289.
Gli insegnamenti europei a Congresso
Dal 17 al 19 gennaio si è svolto a Riccione il Congresso nazionale dell'AEDE (Association
Européenne des enseignants), con l'intervento del presidente europeo. Al Congresso è stato
letto un saluto augurale dell'AICCRE, che ha messo in luce l'esigenza che, in nome della
cosiddetta forza federalista, siano molto più intensi e continuativi, regionalmente e
localmente, i rapporti fra 1'AEDE e 1'AICCRE e anche gli altri movimenti federalisti (MFE,
ME, CIFE). I1 Congresso dell'AEDE si è concluso con una risoluzione, che riportiamo di
seguito, che ha stigmatizzato severamente il pseudo-federalismo senza solidarietà, il
minacciato separatismo, il razzismo del nord verso il sud.
Il XII Congresso delia Sezione italiana dell'A.E.D.E. celebvato a Riccione (Rimini) nei
giovni 17, 18 e 19 Gennaio 1997;
ha rilanciato
la stvategiu di un fedt:ralismo coeventemente ortodosso, nel pieno vispetto del vapporto di
solidavietà con tutte le altre componenti della Forza federalista e del Movimento europeo;
ha auspicato
BIBLIOGRAFIA
- F. Bertolini, Vienna, in Roma Capitale della nrroua Repubblica (AA.W.),Maggioli Edito-
la convocazione di un'Assernblea costituente, d'intesa con il Parlamento euvopeo ed i
Pavlamenti dei singoli stati membvi dellJUnione,per la redazione di un Tvattato-Costituzione e
la conseguente cveazione di zrno Stato fedevale europeo;
ha pertanto ribadito
re, 1996.
- K. Heller, Outline ofaustvian costitutional
law, Boston, 1989.
- P. Petta, Il sistema federale azrstviaco, 1980.
- F. Koya, Das Verfasszmgsrechtder Oesterreichischen Bundeslaendev, Wien-NewYork.
- R. Walter - H. Mayer, Gvundiss des oesterreichischen Bundesverfassungsrcchts, Wien
1992.
Dal l o gennaio 1997 tutti i
movimenti bancari a favore
dell'Associazione italiana per
il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE) dovranno essere effettuati unicamente presso: Banca di Roma, Dipendenza 88,
Piazza SS. Apostoli, Roma
(CAB: 03379.1; ABI: 3002),
sul Conto Corrente 274/72,
intestato al19AICCRE.
la necessiti di pvocedeve in tempi brevi nella messa a punto dell'Unione politica euvopea
come necessità indevogabile pev la gestione covretta e lz~ngimirantedella stessa Unione
cconomicu e monetaria, altrimenti destinata a pvocedere in manievu appvossimatiz:a e
disorganica;
ha sottolineato
il compito pvimario della scuola nella formazione del cittadino europeo e della società
.fedevale come suppovto tzecessario ad rrna rifovma integvale delle stvuttuve, dei contenuti; dei
metodi e degli obiettivi resi all'armonizzazione dei vavi sistemi scolastici europei decisumente
sbuvocratizzati e finalizzati sopvattutto all'omogeneizzazione dci pvofili pvofessionali ed ai
vapporti di intevazione trd scuola e mondo del lavoro;
ha denunziato altresì
il pericolo di una cultuva appiattita su schemi estrinsecamente e vigida7rzente tecnocratici,
ubendicando il pvimato dell'uomo come fulcro dello stesso progresso scientifico e tecnologico,
ai fini pvecipui del superamento dei vazzlj-mi, dei nazionalismi e degli integvalismi, preclusivi
sevzpve del vinvigovimento di spivitualità e d i solidavietà della società multicultuvale che è
.fenomeno pvimavio e cav~zttevizzantedell'Europa e del mondo alle soglie del Dzremila;
ha deciso infine
che la presente mozione venga inviata, come invito ad operare nel senso indicato, ai
responsabili delle varie Istituzioni europee nazionali e locali, ai ruppvesentanti delle forze
politiche e specificatamente al Minhtevo della Pubblica Istruzione pcv quanto ad esso compete,
nonché a tutte le componenti del mondo associativo attestato su posizioni comuni di decisa
condanna di uno pseudo-fedevalismo sostenitove di contvapposizioni assurde miranti alla
legittimazione pvovocatoria di un frazionismo e d i un secessionismo che suonano come
attentato palese all'unitù del nostro Paese e dell'Europa.
mensile dell'AICCRE
Direttore: Goffredo Bcttini
Direttore responsabile: Umberto Senlfini
In redazione: Mario Marsala (resporisabile), Lucia Corrius, Giuseppe D'Andrea
Segreteria: Tiziuna Accascio, Anna Pennestri
Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma - tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275
e-mail: [email protected]
Questo numero è stato finito di stampare nel mese di marzo 1997
ISSN 0010-4973
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L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000
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