Università degli studi di Padova
Corso di Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico tenuto dal
prof. Raffaele Fiengo
A.A. 2001/2002
Ritorno di uno
scrittore
di
Sara Zammarini
Introduzione
Venerdì 28 settembre 2001.
Il mondo è ancora sotto shock: in poche ore, circa due settimane prima, sono state
infrante tutte le sicurezze del mondo occidentale, tutte le sue supposte superiorità, un’egemonia
indiscussa e solida nel panorama mondiale. È avvenuto talmente in fretta che non si riesce
ancora a dare una spiegazione, un ordine alle cose...
Il pomeriggio dell’11 settembre radio e televisioni sbraitano qualcosa circa un attacco al
WTC e al Pentagono, mostrano le Torri gemelle bruciare e implodere, si stenta a credere che
quelle immagini non siano solo il lancio macabro di un film d’azione. Poi si capisce che si tratta
di attentati. Mentre ground zero diventa il funereo simbolo di una nuova incertezza, meta di un
pellegrinaggio senza sosta dei familiari delle vittime e dei potenti dell’ordine mondiale, agli
assassini viene dato il volto di un gruppo di fanatici islamici. La rabbia è tanta, forse più forte
del dolore. Si chiede vendetta. Dall’enorme fossa fumante del WTC sorge una promessa: le
vittime saranno vendicate non ha importanza quanto tempo ci vorrà, i colpevoli saranno puniti.
Così, mentre nei paesi islamici esultano nelle piazze alzando lodi ad Allah per la ferita inferta
agli odiati Stati Uniti, proprio negli Usa, con gli occhi pieni di distruzione, si guarda con un odio
a stento trattenuto verso i figli dell’Islam.
Ma ecco che si comprende la pericolosità dell’odio indiscriminato e i Potenti,
prontamente, abbracciano una visione manichea del mondo: la linea al di là della quale è
consentito odiare non risiede nelle differenti religioni, ma nell’eterna divisione tra buoni e
cattivi. Proteggiamo i buoni e ci scagliamo contro i cattivi, che hanno finalmente un nome, si
chiamano Estremisti Islamici e hanno un capo, Osama Bin Laden.
È facile lasciarsi travolgere dagli eventi, lo fa Bush per primo, di fronte ai luoghi della
strage, parlando della superiorità degli Stati Uniti, rettificando e prodigandosi in accorate
dichiarazioni, poi, nelle quali raccomanda di non demonizzare l’Islam e i suoi fedeli. Ancora più
ansiosi e sentiti sono gli appelli dell’Unione Europea: è assolutamente necessario evitare uno
scontro tra civiltà, si rischierebbe un inasprimento del conflitto che potrebbe assumere
proporzioni difficilmente controllabili. Dopo l’UE anche i capi dei governi europei, uno dopo
l’altro, si affidano ad altrettanto preoccupate raccomandazioni.
Anche il nostro Presidente del Consiglio ha voluto cimentarsi in dichiarazioni simili, ma
l’effetto è stato del tutto diverso: vuoi il lavorio incessante di una “demoniaca” sinistra, vuoi una
delle solite gaffe del Berlusconi nazionale, sta di fatto che il suo discorso è stato del tutto inverso
alle tendenze mondiali. Con scandalo di tutte le nazioni occidentali e non solo. Dopo le scuse del
Premier, che, informa, se si fosse ascoltato il discorso per intero, senza mettere alla gogna poche
e isolate parole, tutto si sarebbe chiarito senza questa gazzarra, siamo arrivati al 28 settembre
2001.
Nella routine post 11 settembre i TG, dopo i quotidiani, occupano un posto di primo
piano. Ci vorrà ancora tempo perché la gente smetta di guardare con apprensione quelle
immagini di gente che piange, quei muri di fotografie e fiori, il viso di Bush evidentemente
tirato. Ancora una volta si raccomanda un contegno politically correct, il velo che lega le nazioni
dell’Islam e quelle occidentali è sottile, è facile romperlo.
Dai telegiornali arriva un annuncio: l’indomani il Corriere della Sera pubblicherà un
lungo articolo di Oriana Fallaci. La scrittrice giornalista più famosa al mondo torna a scrivere
dopo un silenzio durato più di dieci anni, torna a scrivere di guerra, lei, che è stata in guerra per
tutta la vita. Le attese sono tante, in molti aspettavano un suo ritorno.
Il giorno dopo tutti si precipitano in edicola; La Rabbia e l’Orgoglio diventa un caso.
Irrisolto.
2
Oriana è tornata perché non riusciva più a tacere. Non poteva più guardare e imprecare
da sola contro quello che vedeva e che doveva sopportare. Il mondo era cambiato sotto casa sua,
la guerra era arrivata sulla soglia dell’uscio, poteva rifiutarsi di scrivere ora che la chiamava di
nuovo? Così scrisse di Osama Bin Laden e dei kamikaze.
C’era qualcos’altro, però che l’aveva costretta ad uscire da un irrequieto silenzio: la sua
Italia. L’Italia che aveva sognato da ragazzina, per la quale si era battuta come partigiana e che
non è mai nata. Il naufragio di un ideale chiamato Patria, vivo oggi, nei cuori di pochi. Il Paese
che ama ora assiste immobile ai teatrini politici, all’ignoranza dilagante, all’arroganza dei
potenti. Come poteva stare zitta? Così scrisse dell’Italia e della pochezza dei suoi concittadini.
La storia di uno scoop
Oriana Fallaci è sbarcata un sabato mattina sulla prima pagina del Corriere della sera, il
quotidiano per il quale aveva lavorato per anni prima di ritirarsi nella solitudine della sua casa
newyorkese. Ha sfruttato l’invito a parlare fattole dal direttore Ferruccio De Bortoli. La genesi
di La Rabbia e l’Orgoglio è singolare e viene riportata in più articoli e dalla stessa Fallaci nel
prologo al libro.
Silvia Grilli1 su Panorama racconta che il direttore del Corriere e la scrittrice si parlano
spesso per telefono, nonostante non sia un rapporto facile: è sempre lei a chiamare, non risponde
mai al telefono. Più volte ha rifiutato di tornare a scrivere pezzi per il quotidiano, ma la mattina
dell’11 settembre è cambiato tutto.
Subito dopo l’attacco alle Torri cerca più volte di mettersi in contatto con De Bortoli, ma
le linee sono interrotte e riesce a parlargli solo il giorno successivo. Prontamente, il direttore le
chiede di scrivere un articolo, ma lei rifiuta ed acconsente ad un’intervista, a patto che sia lo
stesso De Bortoli a volare a New York per farla. Per diversi giorni gli USA rimangono isolati,
gli aeroporti sono chiusi, così si attende pazientemente. “Domenica 16 settembre, alla ripresa dei
voli per gli Stati Uniti, il direttore prende il primo aereo e resta per due giorni in casa di Oriana
per intervistarla”. A questo punto Silvia Grilli aggiunge che “quando lei ha già scritto tutte le
risposte, De Bortoli le chiede di cambiare prospettiva e di firmare lei stessa in prima persona un
pamphlet”. La giornalista passa velocemente su un particolare interessante: sembrerebbe che
non il direttore, ma la stessa Fallaci abbia scritto la propria intervista. Quindi, nonostante tutto,
fin dall’inizio il pezzo era nelle mani di Oriana, scritto e ideato da lei. Se così fosse potrebbe
essere più che legittimo che De Bortoli, di fronte ad un pezzo non suo ma della giornalista più
schiva d’Italia, eccettuato forse per le domande, le abbia chiesto di ribaltare la prospettiva e di
volgerlo sotto le sembianze di una propria riflessione.
Lo stesso De Bortoli, in un articolo uscito in occasione della pubblicazione del libro,
spiega cosa successe:
All’inizio doveva essere un’intervista sull’11 settembre. Ma durante il colloquio
che ebbi con lei, pochi giorni dopo, nella sua casa di New York, le proposi di
farne un lungo articolo. Ogni mia domanda avrebbe colpevolmente spezzato la
tensione di quella straordinaria invettiva, di quell’appassionata difesa dei nostri
valori e della nostra identità.2
La Grilli prosegue raccontando che
1
2
Silvia Grilli, Così il Corriere ha fatto scoop, Panorama, 11/10/2001
Ferruccio De Bortoli, Quell’articolo, Corriere della Sera, 13/10/2001
3
Il direttore torna a Milano, manda a New York un suo giornalista, Alessandro
Cannavò. Aiuterà Oriana, che non lavora al computer ma alla macchina per
scrivere. Fallaci batte su fogli sparsi, Cannavò li invia al Corriere. Poi Oriana
cambia tutto, riscrive una seconda volta. Lei sceglie lo stile, il carattere, il corsivo,
la giustezza delle colonne sulle pagine, anche il titolo. Il primo era Il Massacro e
l’Orgoglio, poi è diventato La Rabbia e l’Orgoglio.3
Questo non è tuttavia quello che racconta il direttore, che ammettendo che “il Corriere osservò
poi scrupolosamente tutte le sue indicazioni”, “dai caratteri agli asterischi”, afferma anche
“scegliemmo insieme il titolo”.
Un racconto abbastanza chiaro, quindi, sulla nascita di uno scoop giornalistico che,
comre dice De Bortoli, “ha rappresentato l’evento giornalistico, e ora editoriale, più importante
delgi ultimi anni. Un sasso nello stagno del conformismo. Un pugno nello stomaco. Salutare”.
Quando l’articolo diventa “il piccolo libro”, è la stessa Oriana a spiegarne la genesi nel
prologo. Racconta che, subito dopo le stragi, di fronte al massacro di tanti innocenti e alla
mostruosità dell’accaduto, ha sentito il bisogno di rendersi utile nell’unico modo in cui è capace:
scrivere. Affannosamente, senza sosta, spontaneamente, ha cominciato a scrivere le sensazioni e
le riflessioni che l’assalivano, riversando sulla carta lettere e parole come lacrime che da tanto
tempo non è più capace di piangere.
“Poi”, scrive, “piangevo da una settimana, il direttore venne a New York. Ci venne per
convincermi a rompere il silenzio che avevo già rotto, e glielo dissi. Gli mostrai addirittura gli
appunti convulsi, disordinati, e lui s’infiammò (…) come se avesse visto il pubblico già in fila
per comprare il giornale”4 .
La protagonista ci racconta, dunque, una versione diversa da quella riportata da Silvia
Grilli: nessuna telefonata in Italia, nessun invito da parte dell’“antica signora”, ma un tentativo
da parte del direttore del Corriere per convincerla a parlare di nuovo. Troviamo, però, nelle
parole della Fallaci la conferma, in parte, di quanto sospettavamo: nessuna intervista da parte di
De Bortoli, che, a quanto sembra, si trovò di fronte a degli scritti già pronti, o per lo meno
abbozzati, e non sottoforma di intervista, ma di una vera e propria riflessione.
Infiammato mi chiese di continuare, cucire tutto con gli asterischi, farne una
specie di lettera rivolta a lui, mandargliela appena pronta.5
La Fallaci sapeva il clamore che avrebbe destato e intuiva la portata dello scoop che il
Corriere avrebbe fatto con il suo pezzo.
Tornai alla macchina da scrivere dove l’irrefrenabile pianto si trasformò in un urlo
di rabbia e d’orgoglio. Un J’accuse. (…) Lavorai un’altra settimana. O due? Senza
fermarmi cioè senza mangiare e senza dormire.6
Nessuna menzione sul giornalista del Corriere che venne ad aiutarla con il computer
dopo che lei aveva scritto a macchina. D’altra parte è naturale, la funzione dell’uomo era,
probabilmente analoga a quella di un segretario sottile e indiscreto che ubbidiva ciecamente agli
ordini impartiti dal “generale Fallaci”.
Alla fine del lavoro, però, sorge un problema:
3
Ibidem.
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Rizzoli, 2001. Pag. 17-18
5
Ibidem.
6
Ibidem.
4
4
Quando mi fermai e fui pronta a spedire il testo, m’accorsi che anziché un articolo
avevo partorito un piccolo libro. Per darlo al giornale dovevo tagliarlo, ridurlo ad
una lunghezza accettabile. Lo ridussi quasi a metà. Il rimanente lo misi in una
cartelletta rossa, lo misi a dormire (…).7
Ecco, dunque, il cambiamento improvviso di cui parla la giornalista di Panorama:
Oriana cambia tutto, ma non nei contenuti, semplicemente, per necessità editoriali è costretta a
tagliare. Ed è lei stessa a tagliare, e non, come alcuni credettero, qualche redattore, se non lo
stesso direttore del Corriere della Sera: su Panorama del 25/10/2001, infatti, uscì un trafiletto
dal titolo Oriana non si taglia, nel quale si legge:
Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere, sorride di fronte alla leggenda
metropolitana secondo cui il famoso articolo di Oriana Fallaci, (…), avrebbe
subito un taglio di 48 righe.
Nessuna autorità giornalistica al mondo potrebbe permettersi di tagliare Oriana.
Vero è, invece, che Oriana, per il libro ricavato dal suo articolo e prossimamente
pubblicato da Rizzoli, ha preparato alcune aggiunte.8
Nonostante i tagli e le mutilazioni che infligge al suo sfogo, l’articolo rimane
“tremendamente lungo”. Così interviene di nuovo De Bortoli:
Il direttore infiammato cercò di aiutarmi. Le due pagine intere che m’aveva
riservato diventarono tre poi quattro poi quattro e un quarto. Misura mai
raggiunta, credo, per un singolo articolo. Nella speranza che glielo dessi
completo, suppongo, mi offrì perfino di pubblicarlo in due puntate. Due tempi.
Cosa che rifiutati, perché un urlo non si può pubblicare in due tempi. 9
Gli addetti al lavoro non sospettano il taglio operato a monte dalla scrittrice, tutti sono
convinti che il suo sfogo sia stato pubblicato per intero e che l’omonimo libretto conterrà delle
aggiunte, probabilmente scritte dopo il suo ritorno sul Corriere. In realtà la Fallaci stessa ci dice
che i tagli sono stati ben più di quanto lei stessa avesse deciso in un primo momento, poiché
Prima di darglielo, (lui non lo sa e non lo m
i magina neanche), tagliai ancora.
Accantonai i paragrafi più violenti. Sveltii i passaggi più complicati. Sintetizzai
alcuni brani, cancellai molte righe connesse alle parti tolte.10
Che siano queste le famose 48 righe attorno alle quali sono sorte le “leggende
metropolitane” di cui parla Lanza nella sua rubrica? Non si può escludere, poiché il primo taglio
raccontato dalla Grilli era ben più consistente di qualche decina di righe. Forse, essendo stato
compiuto poco prima della consegna del pezzo al quotidiano, può aver fatto sorgere qualche
dubbio sulla vera paternità dell’intervento. Tuttavia, se così fosse, non si spiega come si sia
diffusa la notizia, visto che la Fallaci esclude che lo stesso De Bortoli ne sia a conoscenza. Una
soluzione potrebbe nascondersi in Alessandro Cannavò, inesistente per la scrittrice, ma presente
di fatto alla battitura del testo su computer secondo Panorama.
Cos’è La Rabbia e l’Orgoglio? Questa stessa domanda, secondo quanto ci racconta la
Fallaci nel prologo al suo “piccolo libro”, le è stata posta dal prof. Howard Gotlieb, della Boston
University, dove da decenni sono raccolti e custoditi tutti i suoi lavori. Secondo le parole di
7
Idem, pag. 20-21
Cesare Lanza, Oriana non si taglia, Panorama, rubrica Veline & Veleni, 25/10/2001.
9
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Rizzoli, 2001. pag. 21
10
Idem.
8
5
Silvia Grilli, avrebbe dovuto essere una lettera indirizzata a De Bortoli. Tuttavia, se il
riferimento continuo ad un “tu” assente, che presumibilmente sta leggendo, richiama lo stile
della lettera, è fuori discussione che il vero destinatario non sia il direttore del Corriere, ma un
pubblico ben più vasto. Questa è la risposta che Oriana diede al professore, a sé stessa e, forse,
anche a noi:
<<Call it a sermon, lo definisca una predica>>. (Vocabolo giusto, credo, perché
in realtà questo piccolo libro è una predica agli italiani. Doveva essere una lettera
sulla guerra che i figli di Allah hanno dic hiarato all’Occidente, e mentre scrivevo
divenne a poco a poco una predica agli italiani).11
Siamo arrivati al momento in cui il famoso articolo arriva alla redazione del Corriere
della Sera e da lì, dopo un gran clamore, sulla famosa prima pagina del 29 settembre 2001.
Come venne accolto?
So che quando l’articolo uscì sul giornale, il giornale andò esaurito ed avvennero
episodi commoventi. Ad esempio quello del signore che a Roma comprò tutte le
copie di un’edicola, trentasei copie, e si mise a distribuirle per strada ai passanti.
Oppure quello della signora che a Milano fece dozzine di fotocopie e le distribuì
nel medesimo modo. So anche che migliaia di italiani scrissero al direttore per
ringraziarmi. (E io ringrazio loro più il signore di Roma e la signora di Milano).
So che il centralino telefonico e la posta elettronica del giornale rimasero intasati
per moltissime ore e che solo una minoranza di lettori dissentì. Cosa che non
risulta dalla scelta dei pareri che il giornale pubblicò. 12
Già, la scelta dei pareri. Se furono molti gli italiani che concordarono con le parole di
Oriana e lo dimostrarono in vario modo, numerosi intellettuali, invece, si scagliarono contro di
lei. Questo avvenne in Italia, ma anche in Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Polonia e altri Paesi
ancora.
L’accoglienza della stampa
Come è già stato detto, i primi a parlare del ritorno della Fallaci furono i telegiornali che
raccontarono increduli che il Corriere della Sera era riuscito a svegliare dal suo meditabondo
letargo la giornalista italiana più famosa del mondo. Già dal 30 settembre (il primo intervento
critico è stato pubblicato in quella data) la stampa si scatena in tutto il Paese con reazioni
contrastanti.
Accanto ai pezzi che annunciano il ritorno della scrittrice in modo più o meno incolore,
se ne affiancano altri di chiara condanna, nei quali si contesta il fatto che una scrittrice, con un
simile peso internazionale, si sia permessa uno sfogo “incosciente” e incontrollato, mentre
avrebbe dovuto essere in prima file a difendere il clima politically correct che, soprattutto in quei
giorni, si doveva rispettare. Anche coloro che approvano la sfuriata della scrittrice cominciano a
parlare; il risultato? Una quantità impressionante d’interventi e di voci che si mescolano e si
confondono.
11
12
Idem, pag. 36
Idem, pag. 37
6
L’accoglienza dei colleghi
Come viene accolta Oriana Fallaci al suo “rientro” in Italia?
Beh, di “Bentornata!” ce ne sono stati tanti, non sempre, però, ciò che accompagnava il
saluto era del tutto amichevole. A cominciare da Dacia Maraini, che dopo un “Cara Oriana”,
seguito da qualche parola melensa di circostanza e accompagnato dal saluto sopra citato, ha
sparato a zero sull’“amica”, preoccupandosi della sua “incoscienza” e dipingendola come una
reclusa che non ha la percezione del mondo nel quale si trova, dal momento che “proprio New
York in cui hai scelto di vivere, è la città più multietnica che esista al mondo”, quindi, Oriana si
trova nel luogo meno adatto per scagliarsi contro l’Islam.
Tiziano Terzani ha l’impressione “di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo”,
“pur vivendo sullo stesso pianeta”; anche lui esordisce in maniera molto pacata e amichevole,
ricordando una passeggiata fatta insieme sui “colli argentati” delle loro zone. Continua facendo
“amichevolmente” notare che mentre “là [sotto le due Torri] morivano migliaia di persone e con
loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana - la
ragione; il meglio del cuore - la compassione”. Non solo, ma quello “sfogo mi ha colpito, ferito e
mi ha fatto pensare a Karl Kraus”, il quale diceva: “«Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e
taccia». Tacere per Kraus”, continua Terzani, “significava riprendere fiato, cercare le parole
giuste, riflettere prima di esprimersi. Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il
problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora
anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta”13 .
La preoccupazione dei giovani tocca anche Umberto Eco, che dalle pagine de La
Repubblica, “ignora” il ritorno della Fallaci, ma si preoccupa che “certe espressioni, o addirittura
interi e appassionati articoli che in qualche modo le hanno legittimate, diventino materia di
discussione generale, occupino la mente dei giovani, e magari li inducano a conclusioni
passionali dettate dall'emozione del momento. Mi preoccupo dei giovani perché tanto, ai vecchi,
la testa non la si cambia più”14 .
Molto bilanciato l’intervento di Gian Antonio Stella sul Corriere: “non solo mi inchino
alla bravura professionale della Fallaci (bentornata) ma riconosco perfino che l’invettiva è un
genere letterario molto simile alla guerra: può scapparti qualche cannonata di troppo e
sballata”15 .
C’è anche chi La Rabbia e l’Orgoglio proprio non lo digerisce, come un anonimo (il
pezzo non è firmato), sul sito www.diario.it, che arrabbiatissimo, esprime i suoi furori
chiamando la Fallaci “Oriana Bin Laden” e scrivendo
A Firenze tira calci nelle palle ai "figli di Allah" che le fischiano dietro, a Roma
minaccia di evirare ambasciatori iraniani che pretendono di costringerla a passare
l'acetone sulle unghie oscenamente laccate di rosso, a Beirut litiga con Arafat che
"bercia e sputa", a Teheran accetta di coprirsi il capo per affrontare quel
"rimbambito" dell'ayatollah Khomeini, a New York il suo elefantiaco
"subconscio" avverte inquietudini e presagi, la mattina dell'11 settembre. Oriana
Fallaci è tornata, sabato 29 settembre, sul Corriere della sera, come in un sequel
da film de paura: "Non aprite quel giornale 2, la vendetta". Nelle quattro pagine
dell'articolo è un gran fiorir di palle, gente che le ha e gente che non le ha più, si
insultano gli islamici, ce n'è per i comunisti piagnoni e per gli ipocriti di tutto il
mondo, Oriana scarta stizzita l'ipotesi del "becero con la camicia verde" e
finalmente si permette qualche consiglio anche al "signor Cavaliere" e al Papa.
13
Tiziano Terzani, Il Sultano e San Francesco, Corriere della Sera, 08/10/2001
Umberto Eco, Le guerre sante passione e ragione, La Repubblica, 5/10/2001
15
Gian Antonio Stella, L’arabo e la casalinga di Torino, Corriere della Sera, 4/10/2001
14
7
Ma questo probabilmente lo sapete già, da tre giorni non si parla d'altro in
Italia.16
Dall’altra parte della barricata Lucia Annunziata, dopo l’esordio classico “Bentornata,
Oriana”, apprezza la lucida e motivata analisi fatta nell’articolo-bomba, mentre Giovanni Sartori,
saltando ogni preambolo e saluto, si scaglia direttamente contro chi ha criticato la Fallaci
giungendo alla conclusione che “Oriana Fallaci deve aver ragione, visto che i suoi assaltanti
hanno abbondantemente torto”.
Gli italiani, però, sono anche e soprattutto gente comune, che ha ampiamente manifestato
il proprio appoggio o il proprio dissenso alla Fallaci (soprattutto il primo). Il Corriere della Sera,
oberato da miriadi di lettere e telefonate di lettori che volevano dire la loro, dedica all’argomento
una pagina del sito, nella quale apre un forum, subito frequentatissimo, e colloca, oltre al primo
incendiario articolo, tutti gli interventi e le repliche pubblicate sul quotidiano in risposta.
Il ritorno degli intellettuali
L’elemento più singolare a cui La Rabbia e l’Orgoglio dà vita è il ritorno degli
intellettuali italiani. La stampa del nostro paese è stata da tempo abbandonata dall’intellighenzia
sempre più autocostretta al silenzio o all’ipocrisia. Dopo lo scoppio della bomba Fallaci, tuttavia,
fa a gara per esporre le proprie opinioni sui quotidiani che di volta in volta accettano di ospitarle,
dando sfoggio, oltre che di pensieri, anche di capacità umane e, naturalmente, letterarie.
Considerando solo i due maggiori giornali italiani, il Corriere della Sera e La
Repubblica, e ignorando Internet, rispondono all’articolo, in ordine sparso, Umberto Eco, Dacia
Mariani, Tiziano Terzani, Giuliano Zincone, Giovanni Sartori, Sergio Romano, Gian Antonio
Stella. Non tutti si schierano contro, ma i più controbattono tentando di arginare le barriere del
politicamente scorretto che il primo famigerato pezzo aveva infranto.
Pialuisa Bianco firma un articolo su Sette intitolato significativamente Intellettuali,
svegliatevi!, ispirandosi a un’espressione usata dalla stessa Fallaci. In esso, dopo aver
puntualizzato che a lei Oriana Fallaci non è mai piaciuta, dice
Ma quanto sono veri La Rabbia e l’Orgoglio di Oriana Fallaci al cospetto dei
tanti manieristi del nostro giornalismo, degli improvvisati filosofi della relatività
che confondono il ragionare pacato con la propria albagia, il rispetto
multiculturale con la propria sonnacchiosa ipocrisia. Oriana gliel’ha sbattuta in
faccia la loro doppiezza damerina, (…) forse era il solo modo per farsi sentire. E
infatti l’hanno sentita. (…) È singolare che (…) nessuno si sia azzardato a
lamentare il “niente” o il “troppo poco” detto dai nostri intellettuali, costretti al
silenzio per non apparire politicamente scorretti, spinti a parlare solo se restano
subalterni all’opinione “corretta”. (...) Oriana Fallaci ha rotto questo bigottismo
ricattatorio e ha strillato, rompendo l’assordante silenzio italiano, le nostre
responsabilità.17
La giornalista di Sette non è l’unica a lamentare il silenzio degli intellettuali italiani,
infatti, sul sito www.opinione.it anche Carlo Panella lamenta ironicamente la medesima triste
situazione:
Solo una come lei, con la sua vita, la sua professionalità, il suo stile, il suo perfido- carattere, il suo coraggio, la sua popolarità può permettersi di scrivere
quel che ha scritto. Il disastro è che non c’è reazione: solo Eugenio Scalfari è
16
17
Oriana Bin Laden, sul sito www.diario.it, 02/10/2001
Pialuisa Bianco, Intellettuali, svegliatevi! , Sette n. 41 - 2001
8
entrato in polemica diretta con lei e l’ha liquidata, al solito, come un caso umano;
gli altri tacciono: da quattro giorni il paludatissimo Ferruccio De Bortoli prova a
scatenare reazioni e polemiche attorno alla “bomba-Fallaci”, ma non ci riesce. Al
solito la cultura italiana, i nostri miseri maitres à penser, adottano la politica del
muro di gomma e si danno.
Così il compassato De Bortoli rimane col cerino in mano: lui l’ha fatta grossa con
le quattro pagine al fiele dell’Oriana, ma ora nessuno se lo fila. Tutti impegnati a
soffiare i flauti del “come-siamo-buoni-come-siamo-uguali”, tutti tesi a dire che
“figurarsi, io ci ho anche un amico musulmano” e uguali di qui, uguali di là.18
Come diceva Pialuisa Bianco, Fallaci si è fatta sentire; e qualcuno l’ha sentita o per lo
meno, ha sentito gli effetti della sua sfuriata, perché, parola di Giuliano Zincone,
Con il suo inaudito pamphlet, Oriana Fallaci ha resuscitato una funzione
fondamentale della scrittura che, nella marea delle informazioni che ci assediano,
è utile soprattutto quando sollecita emozioni. Io, per esempio, non condivido
affatto l’orgoglio culturale di Oriana, né approvo le sue contumelie contro gli
immigrati musulmani. Ma reagisco, protesto, mi sento chiamato in causa. E alla
fine mi accorgo che non conta la correttezza dei suoi argomenti, ma la forza con
la quale mi costringe a riflettere e a schierarmi. (…) Qualcuno s’è scandalizzato,
davanti all’aggressività rovente di Oriana Fallaci: l’hanno perfino chiamata
razzista. Ma non si può rispondere sottovoce a chi stermina i tuoi amici e sfregia
la tua città. Molti intellettuali del nostro tempo sono abituati a guardare il mondo
dall’alto di freschi palmizi, distribuendo imparzialmente torti e ragioni, come se
nulla li riguardasse. Però, quando la casa brucia, è necessario chiamare i
pompieri, è giusto detestare l’incendiario, ed è sano, nei momenti critici,
recuperare le emozioni basilari. 19
Dopo tutti gli inviti a parlare, dopo l’appassionato urlo di Oriana carico di malcelato odio
per le “cicale” o “cicale di lusso”, come le chiama, dietro le quali presumibilmente si celano
proprio gli intellettuali asserviti alla logica così ben espressa dalla Bianco e da Panella, i giornali
si riempiono di interventi, tanto che nel numero di Panorama del 25 ottobre, Lucia Annunziata
scrive un pezzo dal titolo
Scontro di cervelli Battaglia tra le grandi firme
I TROMBONI DELL’APOCALISSE
Tiziano Terzani che cita San Francesco. Umberto Eco che scomoda i “valori della scienza
e della cultura occidentali”. Le ragioni del cuore di Dacia Maraini. Dopo l’articolo di Oriana
Fallaci il dibattito sulla guerra si è trasformato in un bombardamento. Assordante.20
Dopo aver fatto un’analisi – incompleta: il numero dei pezzi era, forse troppo elevato per
esaurirli in poche battute - degli interventi a proposito di La Rabbia e l’Orgoglio, giunge ad un
primo bilancio, “in attesa di prossimi sviluppi”:
1. L’intensità dei bombardamenti delle parole tiene il passo bene con le bombe
che colpiscono Kabul;
2. L’intervento su Oriana Fallaci è divenuta una splendida passerella per sapere
chi conta e chi no (…).21
18
Carlo Panella, Siamo uomini o averroismi, sul sito www.l’opinione.it, 02/10/2001
Giuliano Zincone, I coltivatori di dubbi e la spada di Oriana, Corriere della Sera,
20
Lucia Annunziata, I tromboni dell’Apocalisse, Panorama 25/10/2001
21
Idem
19
9
La stampa internazionale
La Rabbia e l’Orgoglio, com’era facile immaginare, viene tradotto in altre lingue e
provoca forti polemiche anche in altri Paesi.
L’esempio più calzante a questo proposito, è forse la Spagna, dove, con il titolo La Rabia
y el Orgullo, è pubblicato da El Mundo. Anche in questo caso le repliche delle varie personalità
del Paese sono raccolte in una pagina apposita del sito del quotidiano. Riportiamo l’introduzione
fatta ai link dei vari articoli, perché piuttosto illuminate sul tipo di reazioni scatenate:
La serie de articulos de la escritora italiana Oriana Fallaci publicada por EL
MUNDO bajo el tìtulo de “La rabia y el Orgullo” ha provocado una apasionada
polémica en España. La escritora Cristina Peri Rossi se identifica con el discurso
de Oriana Fallaci y compara el 'purismo islámico' con la Revolución Cultural
china. El diplomático y diputado del Partido Popular por Guipúzcoa Gustavo de
Arístegui califica la serie de Oriana Fallaci de «desgarradora y brillante». En el
campo opuesto, Javier García Sánchez critica duramente a la escritora italiana,
mientras que Fernando Sánchez-Dragó sostiene que lo escrito por Oriana Fallaci
«es fascismo, racismo, militarismo e imperialismo».
The Guardian pubblica un pezzo di commento su quanto si è scatenato in Italia, firmato
da Philip Willian, nel quale si legge:
Strident and excessive, the article makes no attempt to distinguish between the
various currents of Islam. But being written by someone who has travelled
widely in the Muslim world - Ms Fallaci famously cast off her chador as a
"stupid medieval rag" during an interview with Ayatollah Ruhollah Khomeini its criticisms, however shrill, cannot simply be dismissed. 22
Inoltre si premura di riportare interventi di persone comuni e di importanti personaggi
italiani:
Harsh and prejudiced, the article is also about what patriotism means to Italians
today and appears to have struck a chord with many readers.
"I bought 65 copies of the paper at two news stands (all that were available) and
distributed them to passers by: I did it for my Motherland," one enthusiast wrote
to the paper the following day.
"I read and re-read the letter from Oriana Fallaci: just two words of comment: I
cried," said another, while other readers suggested the text should be studied in
schools. Not everyone was delighted.
"Couldn't Signora Fallaci's decade-long silence have been continued?" wondered
Franco Cosi from Trento. Commentators have complimented Ms Fallaci on her
courage, without necessarily agreeing with her views.
"She is not a hypocrite and she takes sides," said the journalist Gad Lerner, but he
dismissed the text as "a devastating invective where, affirmation by affirmation,
there is almost nothing with which one can agree."
The writer Vincenzo Consolo described the piece as "violent, unjust and
partisan" and said reading it had made him profoundly depressed. 23
Si parla di La Rabbia e l’Orgoglio anche negli Stati Uniti, apparso a pochi giorni di
distanza dalla pubblicazione in Italia. Il New York Times pubblicherà, dopo quasi un mese, la
22
23
Philip Willian , Writer ignites italian pride and prejudice, The Guardian, 3/10/2001.
Idem.
10
notizia di una lettera inviata al quotidiano da Isabella Rossellini in difesa della scrittrice italiana
e sua amica.
Per motivi pratici, legati all’ignoranza di altre lingue, è stato difficile trovare traccia di
pubblicazioni e dibattiti sull’articolo anche in altri Paesi. Tuttavia, provando ad inserire i dati
che lo riguardano nei motori di ricerca interni a quotidiani come Le Monde e DerSpiegel,
sembrerebbe non esservi traccia. Si può, assicurare la presenza di La rabbia e l’Orgoglio in
Polonia grazie alla testimonianza diretta di un cittadino di quel Paese, che assicura che anche lì
lo scalpore destato fu notevole.
I contenuti del pezzo
La Rabbia e l’Orgoglio ha avuto una diffusione tanto vasta e capillare per diversi motivi:
in primo luogo per l’indiscussa autorevolezza della sua autrice, scrittrice stimata a livello
internazionale e giornalista agguerrita e capace; poi, perché tocca argomenti cruciali e
particolarmente delicati per il periodo storico; inoltre, la sua irruzione, urlata, dopo anni di
silenzio ha reso il fenomeno ancora più importante. Non ultimo, nel suo “sermone” riporta in
vita sentimenti che da molto tempo erano sopiti nei cuori degli italiani, dà voce
all’insoddisfazione che serpeggia tra la gente da anni e in ciò molti si sono riconosciuti,
contribuendo a diffonderne il messaggio.
Nel suo pezzo Fallaci fa spesso riferimento alla propria esperienza, alla propria vita
eccezionale, costellata da persone fuori dal comune, “ma non per questo più intelligenti o
migliori di noi”, come lei stessa scrisse nel prologo di Intervista con la storia. I riferimenti al
suo passato sono importanti perché ricordano una volta di più che quello che afferma lo abbia
vissuto, lo conosca perché visto e provato. Di fronte a ciò alcune delle “lettere” in risposta
appaiono quasi ipocrite, voci di illustri personaggi che, nella loro pur grande conoscenza,
cercano di giustificare o spiegare un fenomeno che non conoscono o di cui conoscono solo
l’apice più evidente.
L’articolo è stato diviso in aree tematiche, analizzate accostandole alle reazioni degli
intellettuali e ai brani delle interviste condotte in passato dalla Fallaci.
Gli Stati Uniti: l’invulnerabilità e il patriottismo
Ne La Rabbia e L’Orgoglio, Oriana Fallaci scrive lunghe righe appassionate sugli Stati
Uniti; a loro invidia il patriottismo, l’orgoglio nazionale che li unisce in situazioni disperate come quelle vissute l’11 settembre - l’idea dalla quale solo due secoli sono nati, la libertà, e la
capacità degli uomini che li hanno guidati e che li guidano tutt’ora.
Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di
cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza
eccetera. Lo è perché è nato da un bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una
patria, e dall'idea più sublime che l'Uomo abbia mai concepito: l'idea della
Libertà, anzi della libertà sposata all'idea di uguaglianza. Lo è anche perché a
quel tempo l'idea di libertà non era di moda. L'idea di uguaglianza, nemmeno.
(…) Quell'idea venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque
ineducati. I contadini delle colonie americane. E venne materializzata da un
piccolo gruppo di leader straordinari: da uomini di grande cultura, di gran qualità.
E fu con questi leader straordinari, (…) che nel 1776 i contadini (…) fecero la
Rivoluzione Americana. (…) La fecero con un foglio che insieme al bisogno
dell'anima, il bisogno d'avere una patria, concretizzava la sublime idea della
11
libertà anzi della
d'Indipendenza.24
libertà
sposata
all'uguaglianza.
La
Dichiarazione
Su questo punto, in effetti, nessuno tra coloro che hanno risposto all’articolo ha trovato
da ridire. Complice di ciò, probabilmente, anche i fatti storici appena avvenuti, dopo i quali,
nonostante anche in Italia gli Usa non godano sempre di una spontanea simpatia, risulta difficile
scagliarsi contro un Paese che ha sofferto e che continua a soffrire senza una ragione
chiaramente evidente, anche se, di fondo presente.
Fallaci è conscia degli errori americani, lei stessa ricorda come anni fa, per contrastare
l’avanzata dei sovietici in Afghanistan, si siano premurati di riempire i mujhaidin di armi di ogni
tipo, le stesse armi che oggi i talebani usano contro di loro. Allo stesso tempo sostiene che le
colpe dell’Europa e dell’Italia siano, comunque, più gravi.
Nel 1972 intervistò Golda Meir, primo ministro israeliano. In una risposta essa manifestò
la propria ammirazione per gli Stati Uniti, che per il capo di stato e la sua famiglia erano stati un
luogo di salvezza tanti anni prima. Di fronte a queste affermazioni fu la stessa Fallaci a
puntualizzare che “Non è esattamente così, signora Meir, comunque…”, ma non fece in tempo a
terminare la frase perche la ministra la interruppe:
Oh, senta! L’America è un grande paese. Ha tante colpe, tante ineguaglianze
sociali, (…) però resta un grande paese, un paese pieno di opportunità, di libertà!
Ma le par niente poter dire quel che si vuole , scrivere quel che si vuole anche
contro l’establishment? 25
Coloro che intervengono nel dibattito hanno ben presente gli errori degli Stati Uniti,
conoscono le loro strategie politiche e spesso non le approvano. Tuttavia alcuni di loro, di fronte
a quanto è successo gli sono vicini. Tra questi Zincone, che parla di “Un nostro fratello
prepotente, a lungo invidiato e disprezzato”, il quale “ha subìto l’estremo affronto, l’estrema
umiliazione”, infatti, “al lutto atroce e simbolico delle Twin Towers, s’è aggiunto l’insulto che
ha dissacrato la fierezza del Pentagono”. Zincone non dimentica che “il fratello americano”
aveva “tante colpe antiche e recenti, dall’eccidio dei pellerossa alle stragi di Hiroshima e
Nagasaki, dagli arroganti embarghi alla crudele sbadataggine del Cermis”, tuttavia, “adesso che
l’hanno ferito, scopriamo che è pur sempre un fratello e, come s’usa in famiglia, stiamo accanto
a lui”. Non solo, ma nonostante “la pena per le vittime civili afgane” ammette che “la rabbia
americana appartiene anche a noi, e che il dolore di New York fa parte della nostra vita”.
La Maraini parla degli States in modo molto cauto, con parole che contengono un
ammonimento implicito verso coloro che, ricchi, possono permettersi molti lussi, tra i quali la
libertà nelle sue varie forme e l’ospitalità verso i più deboli. E proprio perché sono uno stato
prospero hanno delle responsabilità, ricorda, che si traducono nel cercare di evitare una guerra
(che poi è, in effetti, scoppiata) che porterebbe a delle popolazioni già disperate ancora più
disperazione.
Accanto alle espressioni moderate di Zincone e della Maraini, sfilano i pensieri di chi ha
preferito seguire la linea con la quale è tornata la Fallaci: parole forti, ma parole sentite. Tra
questi, favorevole alla guerra e vicino all’urlo della nostra scrittrice in America, c’è Carlo
Panella, che su Internet scrive:
Sono esattamente 51 anni che i marines crepano per garantirci la libertà e che gli
italiani li disprezzano perché sono un po’ volgari, ma continuerà così, Oriana o
non Oriana.26
24
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli, 1974, pag. 115
26
Carlo Panella, Siamo uomini o averroismi, sul sito www.l’opinione.it, 2/10/2001
25
12
In questa affermazione riecheggiano un po’ le parole di Oriana, quando ricorda e “non
dimenticherà mai” che se non ci fossero stati gli Usa forse ora parlerebbe tedesco o russo, mentre
grazie a loro è ancora in grado di esprimere le proprie idee e di credere in quel che dice.
L’intervento che più di ogni altro va contro la logica corrente, secondo la quale è
necessario sentirsi vicini agli Usa e smettere di attaccarli per non essere accostati in modo
imbarazzante a Bin Laden, è quello di Tiziano Terzani. Esprimendo liberamente il proprio
pensiero dimostra di non rientrare nel novero degli intellettuali timorosi di essere criticati perché
esprimono un’opinione contraria a quella dei più, come ricordavano Pialuisa Bianco e altri. Nel
pezzo della Maraini, ad esempio, si respira, in alcune parti, un certo sentimento no-global e
anticapitalistico, che mai, però, la scrittrice si permette di esplicitare. Sembra rispondere
all’esigenza, implicitamente e profondamente italiana, secondo la quale le affermazioni degli
intellettuali devono rafforzare l’idea corrente e non rompere quel muro uniforme che si è
costruito. Terzani, forse anche per la sua lontananza dal Belpaese, non accetta di uniformarsi a
chi è pronto a nascondere il proprio pensiero pur di non essere additato come “diverso”, perché,
in questo caso, essere diverso significa utilizzare lo strumento della democrazia, mai come in
questi giorni al centro dell’attenzione.
È profondamente contrario alla logica espressa dalla Fallaci, secondo la quale l’attacco
agli americani è un’azione gratuita. Partendo dal presupposto che l’azione dei kamikaze non
debba essere né giustificata né perdonata, ma solo capita, cerca le ragioni che possono aver
mosso l’attacco alle Torri, escludendo da subito la tesi, adottata dalla scrittrice, secondo la quale
sarebbe il frutto di una guerra di religione o un’aggressione alla libertà e alla democrazia
occidentale. Secondo il suo punto di vista “ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di
migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti”, collegati a loro
volta ad altri effetti ancora. È impensabile che un evento complesso come l’attacco alle Torri e al
Pentagono non sia “il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti”. Per rafforzare la sua tesi
cita uno scrittore americano, Chalmers Johnson:
«Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno
attaccato la politica estera americana», (…) per lui, (…) si tratterebbe di un
ennesimo «contraccolpo» al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo
sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro
rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. (…) Fa l’elenco di
tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e
degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti
sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa,
in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.
Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana «a convincere tanta
brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile
nemico». Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo
musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. 27
La diffusione dell’antiamericanismo è nota anche alla Fallaci, che con una nota di forte
biasimo mista a rabbia per questo sentimento dilagante, inizia la sua “predica” al mondo:
Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio
che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo
faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla
Tv gioivano i palestinesi di Gaza. «Vittoria! Vittoria!». Uomini, donne, bambini.
27
Tiziano Terzani, Il sultano e San Francesco, Corriere della Sera, 08/10/2001
13
Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna,
bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici,
intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la
qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono:
«Bene. Agli americani gli sta bene». E sono molto molto, molto arrabbiata.28
Dacia Maraini, quasi preoccupata da queste parole, come se fosse stata accusata lei
stessa, si affretta a chiarire che è “stata male informata” e si fa garante del fatto che “nessuno in
Italia si è rallegrato per l’orribile scempio. Non si è vista una sola immagine di festa o di
compiacimento, né in televisione né per strada né altrove”. Tenta di dare una ragione alle
affermazioni che Oriana ha sentito e spiega che “quello che si è visto è stato solo stupore, paura,
indignazione, orrore”. Come la Fallaci in Usa, anche noi qui “abbiamo fissato lo sguardo su
quell’obbrobrio”, “abbiamo osservato impotenti, con le lagrime agli occhi, quei corpi che si
sporgevano disperati lungo le pareti dei grattacieli, incerti se gettarsi di sotto o affrontare una
morte per fuoco: bruciati vivi, innocenti e giovani”.
Continua inoltre, sottolineando che quella “morte di massa” vista sugli schermi, di fronte
alla quale non era possibile chiudere gli occhi e far finta di niente, “ha sconvolto le nostre
immaginazioni e le nostre aspettative per il futuro”. Prima di concludere, ripete che “nessuno in
Italia ha esultato” e prova a dare forza alle sue argomentazioni ricordando che “d’altronde in
quelle torri c’erano centinaia di italiani”.
Ma torniamo alla tesi di Terzani. Il giornalista sostiene, sostanzialmente, che la colpa
dell’attacco sia da gettare sugli stessi Stati Uniti e, in particolare, sulla loro politica imperialista.
Se gli americani si fossero comportati diversamente tutto questo non sarebbe successo. Le loro
mosse sono sempre interessate al mantenimento dell’egemonia e per mantenerla sono disposti a
scendere a patti con chiunque, non importa se nemici o amici. Queste in breve le sue posizioni. A
riprova di ciò, cita le nuove alleanze che si stanno creando per far fronte all’allarme terroristico.
La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi,
rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano
stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ennesimo
esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del
mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi.
Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra
contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le
Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a
pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro (…).
L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per
questo ora Washington riscopre l’utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per
il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi
esperimenti nucleari. 29
Le posizioni di Terzani non sono condivise da Sartori, che si schiera decisamente e
vigorosamente contro. Infatti, pur concordando sul fatto che il terrorismo debba essere spiegato
partendo dalle ragioni che lo motivano, rifiuta categoricamente di credere che
28
29
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
Tiziano Terzani, Il sultano e San Francesco, Corriere della Sera, 08/10/2001
14
L’attacco alle Torri Gemelle «certo non è l’atto di una guerra di religione degli
estremisti musulmani». (…) Questa asserzione è stonata. Ed è anche infondata.
Perché Terzani la sostiene citando un collega americano di nessuna particolare
eminenza (uno tra centomila) per il quale gli «assassini suicidi dell’11 settembre
non hanno attaccato l’America ma la politica estera americana», (…). Dopodiché
passo a dichiarare che questa è una spiegazione risibile. Come ho già spiegato su
questo giornale, chi capisce così non capisce nulla. Terzani osserva che «se alla
violenza dell’attacco alle Torri Gemelle noi rispondiamo con ancora più terribile
violenza... alla nostra ne seguirà una loro ancora più orribile e così via». Certo, la
violenza chiama violenza. Ma, intanto, non è lecito equiparare la violenza di chi
la inizia con la violenza di chi si difende. (…) Ciò fermato, qual è l’alternativa?
Subire la violenza, farsi violentare senza reagire, ferma la violenza?
Non è mai successo. Né succederà, questo è sicuro, con il terrorismo islamico. 30
Si entra, a questo punto, nella delicata questione che è stata definita la crociata di Oriana,
nata dal fatto che la scrittrice ha denunciato gli attacchi dell’11 settembre come il passo di una
guerra santa al contrario, fatta cioè non dai cristiani, ma dai mussulmani. Come abbiamo visto
Terzani ha violentemente negato questo significato agli avvenimenti in questione, ma in molti
hanno ammesso e visto la forza di una religione distorta nel gesto dei kamikaze.
Oriana, come poi Panella, vede negli Stati Uniti un baluardo contro l’avanzata di chi
vuole “conquistare la nostra anima”:
Se crolla l'America, crolla l'Europa. Crolla l'Occidente, crolliamo noi. E non solo
in senso finanziario cioè nel senso che, mi pare, vi preoccupa di più. (…) In tutti i
sensi crolliamo, caro mio. E al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin, al
posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il latte di
cammella. Neanche questo capite, neanche questo volete capire?!? 31
L’avanzata dell’Islam
Sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente
(…) non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia.
(…), Non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione.
Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una
guerra di religione. (...) Una guerra che non mira alla conquista del nostro
territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla
scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro
modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro
modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci… Non capite o non
volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la
Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire,
a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o
addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte,
la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo! Non vi
rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i
vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga
o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica (…)?
Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare
perché lo sono. 32
30
Giovanni Sartori, Uditi i critici ha ragione Oriana, Corriere della Sera, 15/10/2001
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
32
Idem.
31
15
Questa è la dichiarazione di guerra di Oriana Fallaci. Una guerra dichiarata a chi pretende di
portarle via il suo mondo, ciò in cui crede o non crede, la sua libertà. È violenta, rabbiosa,
dirompente. Il brano in questione è uno degli esempi che ci permettono di dire che La Rabbia e
l’Orgoglio non è una lettera indirizzata a De Bortoli, ma agli italiani. È a loro infatti che si
rivolge, sono gli italiani e gli europei in genere che devono svegliarsi, che devono aprire gli
occhi e destarsi da un lungo sonno nel quale, nei momenti di necessità, c’era sempre qualcuno
pronto a tirarli fuori dai guai. Oriana non nega “a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha
paura della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra, l’ho scritto
mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo. Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui
non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile.”
L’attacco alle Torri è opera d’integralisti islamici, cioè fanatici religiosi che non vedono
altra legge che il Corano. Ma la cosa più sconvolgente è che alle soglie del terzo millennio
interpretano il libro sacro alla lettera, incuranti del fatto che il momento storico nel quale venne
scritto ormai è lontanissimo dalle innovazioni tecnologiche e sociali sopravanzate. La cosa più
sconvolgente è che coloro che, per necessità o per fede, aderiscono alle leggi degli integralisti
sono pronti a lanciarsi nella guerra santa, ad immolarsi, come già alcuni hanno fatto, per la gloria
di Allah.
L’integralismo islamico non è una realtà lontana dall’Europa: in Algeria le lotte interne e
i massacri agghiaccianti di cui arrivavano notizie sino a poco tempo fa, sono opera degli
integralisti. E l’Algeria è dall’altra parte del Mediterraneo. L’Iran è tutt’oggi guidato dagli
Ajatollah, anche se le condizioni di vita sono un po’ migliorate rispetto ad alcuni anni fa. In
Europa sono ospitati milioni di mussulmani. È lecito pensare che una parte di essi siano
integralisti o vicini a quella corrente.
Fino alla distruzione delle Torri, i mussulmani erano tollerati, ci si era abituati alla loro
presenza. Dopo l’11 settembre si è insinuata una nuova inquietudine. Sarà stata colpa
dell’articolo della Fallaci? Probabilmente no, o, comunque, non solo. Certo è che con il suo urlo
ha detto quello che tanti pensano degli Altri ma che non vogliono dire per paura di essere
chiamati razzisti. Ma non sempre è una cosa buona.
Troppe reazioni entusiastiche tipo “posso finalmente dire d’essere razzista”
dicono però che quel suo articolo gonfio di passione e di odio ha tirato fuori tutto
il meglio e tutto il peggio dei sentimenti che brontolavano nella nostra società.
Del meglio siamo tutti felici, del peggio io provo imbarazzo e vergogna. Forse è
un bene che venga a galla tutto, ma non è uno spettacolo consolante.33
Quest’affermazione di Stella sintetizza bene la situazione creatasi nel post bomba-Fallaci:
tutto è stato rimesso in discussione, tutto è “venuto a galla”. Per un po’ di tempo chi temeva di
esprimere la propria opinione “razzista”, protetto dalle parole infuocate della Fallaci ha parlato.
Tuttavia, quello della scrittrice è razzismo?
Lei stessa dice di no, poiché “il discorso non è su una razza, è su una religione”. Anche
Zincone, dal canto suo, afferma che “il razzismo non c’entra. Parlerei, semmai, di un’esplosione
di sincerità”. Cosa intende per sincerità, lo spiega subito dopo istituendo un parallelo tra la
Fallaci e i bambini che di fronte ad un nuovo venuto che si distingue dagli altri, “chi parla un
dialetto esotico, chi è troppo grasso, chi è troppo alto o balbuziente”, provano “un’istintiva
diffidenza”. Sarà compito della maestra, allora, “spiegare che ciò non è giusto e, a poco a poco,
convincerà gli alunni a reprimere i loro impulsi cattivi”. Tuttavia, “l’ostilità rinasce, violenta,
quando in classe (nel paese o nel mondo) un «diverso» minaccia la comunità: a questo punto lui
e tutti i suoi simili precipitano nel ghetto del disprezzo”, “l’istinto cancella l’educazione”. La
medesima cosa sarebbe accaduta a “Oriana Fallaci, una che ha visto tanti Paesi e tante battaglie:
ha scovato dalle sue viscere una vitalità elementare e ce l’ha gettata in faccia”.
33
Gian Antonio Stella, L’arabo e la casalinga di Torino, Corriere della Sera, 04/10/2001
16
Dacia Maraini, sconcertata, sembra, dal clamore e dall’adesione di massa che le persone
hanno dimostrato nei confronti de La Rabbia e l’Orgoglio, spiega la ragione di un tale successo
sostenendo che “certamente molti hanno risposto alle tue veementi parole, perché con la tua
passione hai toccato un punto nevralgico, una memoria dolorosa: la paura dell’Islam ha radici
lontane. C’è ancora un’eco in noi che suona con voce infantile: mamma li turchi!” Inoltre, di
fronte agli appelli alla salvaguardia dell’occidente della giornalista, la rimprovera di allarmismo
“che capisco provenga da dolorose esperienze di inviata di guerra, ma finisce per resuscitare
antichi odii e ancora più antiche paure assolutamente fuorvianti per riconoscere e colpire i reali
colpevoli di questa strage”.
Piuttosto di una crociata la Maraini invoca un intervento di polizia internazionale,
ricordando che non sono stati gli islamici a causare gli attentati, ma persone ben definite, “con
nome cognome”, e che gli stessi mussulmani subiscono le più terribili sofferenze da questi
integralisti.
La Maraini non è la sola a rimproverare alla scrittrice toscana il suo grido per svegliare
gli italiani ad una crociata contro l’islam. Anche Terzani ricorda che “è un momento di enorme
responsabilità” e che “certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a
risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a
provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai
nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere”.
Terzani pone una domanda alla Fallaci, ma anche a tutti coloro che hanno applaudito alle
sue parole: “E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non
sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza?” “La salvezza” secondo
lui “non è nella tua rabbia accalorata” né in una campagna militare, perché “tu pensi davvero che
la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza?”. Il giornalista non si fa illusioni, “da
che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo
sarà nemmen questa”. Tuttavia, da una situazione totalmente nuova come quella dentro la quale
involontariamente ci siamo trovati, potrebbe nascere una soluzione nuova. Così anche Terzani
lancia un appello, ad Oriana e a tutti gli italiani: “Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo
allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non
perdiamola: rimettiamo in discussione tutto”.
Non ci sono prove, al contrario di quanto è successo per l’articolo della Fallaci, che
questo appello sia stato colto da una larga parte della popolazione. Tuttavia, sono a conoscenza
del fatto che in molti corsi universitari, oltre a quelli specificamente dedicati al giornalismo, è
stato richiesto di leggere il pezzo di Terzani. Ciò indica, che ha fatto breccia in almeno una parte
della popolazione, forse con meno intensità di quanto non abbia fatto li primo da New York, ma
anche in questo caso la pubblicità è importante…
Questo articolo, insieme a quello della Maraini, è stato ampiamente contestato da Sartori,
che conclude il suo pezzo affermando pensosamente: “Per Oriana Fallaci, «se crolla l’America
crolla l’Europa. Crolla l’Occidente, crolliamo noi. Blair l’ha capito...». Evidentemente Terzani e
la Maraini no. Perciò sono davvero spaventato”.
È intervenuto sulla questione della crociata di Oriana anche un’illustre accademico e
scrittore, che di crociate, quelle vere, se ne intende. Si tratta di Umberto Eco, che dalle colonne
de La Repubblica afferma:
Tutte le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo per secoli sono nate
da adesioni passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e gli Altri,
buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura occidentale si è dimostrata feconda
(…) è anche perché si è sforzata di "sciogliere", alla luce dell'indagine e dello
spirito critico, le semplificazioni dannose. Naturalmente non lo ha fatto sempre,
(…). Ma sono gli aspetti migliori della nostra cultura quelli che dobbiamo
discutere coi giovani, e di ogni colore, se non vogliamo che crollino nuove torri
anche nei giorni che essi vivranno dopo di noi.
17
Un elemento di confusione è che spesso non si riesce a cogliere la differenza tra
l'identificazione con le proprie radici, il capire chi ha altre radici e il giudicare ciò
che è bene o male.34
I martiri e i Kamikaze
Che cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun rispetto. Nessuna
pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco sempre col cedere alla pietà.
A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre
stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra
Mondiale. Non li ho mai considerati Pietri Micca che per bloccar l'arrivo delle
truppe nemiche danno fuoco alle polveri e saltano in aria con la cittadella, a
Torino. Non li ho mai considerati soldati. E tantomeno li considero martiri o eroi,
come berciando e sputando saliva il signor Arafat me li definì nel 1972. (…) Li
considero vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la gloria attraverso il cinema
o la politica o lo sport la cercano nella morte propria e altrui. Una morte che
invece del Premio Oscar o della poltrona ministeriale o dello scudetto gli
procurerà (credono) ammirazione. E, nel caso di quelli che pregano Allah, un
posto nel Paradiso di cui parla il Corano (…).35
Questo è il pensiero di Oriana riguardo a Mohamed Attah e i suoi compagni. Cita il
colloquio avuto con Yassir Arafat nel ’72. L’intervista pubblicata da Rizzoli, nel libro Intervista
con la storia, tuttavia, non contiene riferimenti espliciti ai Kamikaze; solamente, il capo di Al
Fatah insistette molto sul fatto che i palestinesi non avessero alcuna paura di morire.
Probabilmente il pezzo in questione è stato tagliato.
Nell’intervista fatta a Golda Meir nel 1972, chiese cosa pensasse del nuovo volto che la
guerra aveva preso dopo il cessate-il-fuoco del 1967, il terrorismo, e degli uomini che lo
conducevano. La risposta della Meir fu senza appello e molto simile al giudizio che oggi,
trent’anni dopo, dà chi quel giorno pose la domanda:
Penso semplicemente che non siano uomini. Io non li considero neppure esseri
umani, e la peggior cosa che si possa dire di un uomo è che non è un essere
umano. È come dire che è un animale, no? Ma come fa a definire ciò che fanno
“una guerra”? Non ricorda la frase di Habash quando fece saltare un autobus
carico di bambini israeliani? “La cosa migliore è uccidere gli israeliani quando
sono ancora bambini.” Suvvia, la loro non è una guerra. Non è nemmeno un
movimento rivoluzionario perché un movimento che vuole solo uccidere non può
definirsi rivoluzionario. 36
Poco tempo dopo ebbe la possibilità di chiedere a George Habash, cosa vi fosse di eroico
nel terrorismo. La risposta può essere estesa alla situazione odierna. Le cose non sono cambiate.
È guerriglia, un certo tipo di guerriglia. E cos’è la guerriglia se non la scelta di un
obiettivo che offra successo al cento per cento? Cos’è la guerriglia se non
tormento, disturbo, logorio di nervi, piccolo danno? In guerriglia non si usa la
forza bruta, si usa il cervello. Specialmente se siamo poveri come noi del Fronte.
Pensare a una guerra normale sarebbe troppo stupido da parte nostra.
L’Imperialismo è troppo potente e Israele è troppo forte. Ha generali di prima
classe e Phantom, e Mirage, e soldati addestrati egregiamente, e un sistema che
può mobilitare trecentomila soldati.
34
Umberto Eco, Le guerre sante passione e ragione, La Repubblica, 05/10/2001
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
36
Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli, 1974, pag. 104-105
35
18
Combatter loro è come combatter l’America: un popolo debole e sottosviluppato
come il nostro non può affrontarli a faccia a faccia. Siamo seri! Per distruggerli
bisogna dare un colpetto qui, un colpetto là, avanzare passo per passo, millimetro
per millimetro, per anni, decine di anni, determinati, ostinati, pazienti.37
Oriana Fallaci aveva già parlato altre volte dei Kamikaze; il suo ultimo libro, Insciallah,
inizia proprio con la descrizione degli attentati avvenuti presso la base americana e francese a
Beirut diversi anni fa. Anche in quel caso si trattò di “eroi suicidi” islamici, palestinesi.
<<Ma chi è stato?!? Si può sapere chi è stato?>>
<<(…) Hanno detto che aveva intorno alla testa il nastro nero dei Figli di Dio,
insomma dei Khomeinisti, che era giovane e barbuto, sui trent’anni e sorrideva di
felicità.>>
<<Di felicità!>>
<<Sissignori, di felicità! (…) È saltato in aria alla Pietro Micca.>>
(…) Alla Pietro Micca? Ma Pietro Micca non era né un delinquente né uno
psicopatico (…). Era un eroe. Te lo insegnavano alle elementari che era un eroe,
(…) senza una parola di pietà o di rispetto pei granatieri francesi che Pietro Micca
aveva smembrato, schiacciato, carbonizzato, ridotto a tronchi privi degli arti, a
mostri coi volti in poltiglia. E se un giorno i bambini mussulmani di Beirut si
fossero imparata a memoria la stessa filastrocca [come quella sull’eroismo di
Pietro Micca] per il Figlio di Dio che aveva massacrato i trecento Marines (…)? 38
Già in Insciallah è presente l’analogia con l’eroe piemontese: forse, raccontando un fatto
tanto atroce, la Fallaci cerca di dargli una spiegazione, di ridurlo ad una dimensione
comprensibile per lei, per noi. Tenta di mettersi nei panni degli Altri, perché se qualcuno ha
accettato di morire in quel modo, deve esserci una ragione che deve essere compresa. Tuttavia,
nel ’90, la conclusione del ragionamento rimane dubbiosa e, anche se le attenuanti che potevano
essere date dalle circostanze vengono meno, la condanna non è totale e senza appello, c’è ancora
lo spazio per qualche dubbio:
Uguale sacrificio, uguali circostanze. No, le circostanze no. Perché i trecento
Marines non stavano stringendo la città d’assedio: cercavano di portarle un po’ di
pace. Non cercavano di penetrare in una galleria: dormivano nelle loro camerate.
A Beirut erano venuti, anzi erano stati chiamati per placare i cani che si sbranavan
tra loro e… E con ciò? Al figlio di Dio avevan raccontato che si trattava di
nemici, quindi per lui erano nemici quanto i granatieri francesi per Pietro Micca…
(…) Sorrideva-di-felicità-, avevano detto. È dunque possibile sorridere di felicità
mentre ci si accinge a morire e ad ammazzare trecento creature? Forse sì. 39
Dopo l’11 settembre non è più possibile un simile ragionamento: senza alcuna guerra in
corso, i kamikaze si sono buttati sulle due Torri dove “lavoravano quasi cinquantamila persone”.
Terzani scrive che, a differenza di quanto avviene per la Fallaci, i kamikaze “gli
interessano molto”, soprattutto dopo aver passato alcuni giorni con “le tigri Tamil, votate al
suicidio” e dopo aver “letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente” dei
kamikaze giapponesi prima di andare, riluttanti, ad immolarsi per l’imperatore. Vuole capire
cosa rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio, incomprensibile per noi. Forse
comprendendoli possono essere fermati e si può impedire che nel futuro altri compiano il
medesimo gesto.
37
Idem, pag. 150
Oriana Fallaci, Insciallah, Rizzoli, 1990, pag. 28
39
Idem, pag. 29
38
19
“Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto
che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi”, anche la Fallaci lo ha
scritto, “ma eliminando le ragioni che li rendono tali”.
Contro Terzani si schiera apertamente Giovanni Sartori, che afferma, sarcasticamente,
che “i kamikaze di New York sono animali del tutto diversi da quelli che lui [Terzani] sta ancora
studiando”. Esiste, infatti una grossa differenza tra i due fenomeni:
I kamikaze all’antica - diciamo - si immolano per una loro patria, sono «locali».
La loro causa è concreta e circoscritta. I suicidi di New York e del Pentagono, e
quelli che verranno nella loro scia, sono «globali» e la loro patria è il Corano, è
una fede religiosa. Non si battono per una loro madrepatria, per la patria nella
quale sono nati, ma per un mondo islamizzato che combatte e punisce gli
infedeli. 40
Terzani non è l’unico che vuole cercare di comprendere le ragioni che stanno a monte di
questi gesti. Anche Dacia Maraini, al contrario della Fallaci, prova pietà per i suicidi e incolpa
dei loro atti a chi li ha guidati fino a quel punto. Per lei “spregevole e indegno di pietà” è “chi li
indottrina, chi li manda a morire, chi arriva a fargli credere che il loro corpo vale meno di una
mina”. Il suo “disprezzo ed esecrazione” va, quindi, non ai suicidi, ma a “un gruppo di fanatici
che trasforma degli esseri umani, dei ragazzini spesso adolescenti, in oggetti di morte e tutto per
dimostrare il loro potere, la loro ideologia, la loro fede, il loro fanatismo”.
Giuliano Zincone non interviene esplicitamente sugli “eroi suicidi”, ma spiega la nascita
degli estremismi e dei kamikaze ricollegandola alla trasformazione che, nel tempo, le religioni
subiscono, considerando come esse, legate per nascita ad un’epoca arcaica, debbano per forza di
cose secolarizzarsi nell’adeguarsi al mondo moderno.
I fanatici non ammetteranno mai che la vera religione (così come loro la leggono)
è inadeguata al mondo: urleranno che è inadeguato alla loro fede il mondo d’oggi,
corrotto e blasfemo. Questa visione è una minaccia micidiale per i Paesi islamici
«moderati», perché in molti di loro il terreno è fertile per la propaganda estrema,
perché lì sono disponibili masse di manovra fameliche e disperate, tra le quali si
possono reclutare «uomini che amano la morte come gli americani amano la vita»,
garantendo loro un premio che non è di questo mondo. Questa è la forza nera
dell’estremismo religioso: contrariamente alla politica, esso non ha bisogno di
promettere vantaggi materiali, né teme di subire verifiche a breve scadenza. 41
Inutile dire chi sono i martiri e gli eroi per Oriana Fallaci: i martiri sono tutti coloro che
sono morti senza sapere perché nelle Torri e al Pentagono; gli eroi sono i passeggeri del volo che
si è schiantato in Pennsylvania e i pompieri che sono morti tentando di aiutare chi era rimasto
intrappolato nelle Torri.
Le due culture
L’elemento che, probabilmente, ha contribuito a creare un vasto dibattito, è stata la difesa
strenua della propria cultura e della propria civiltà contro quella islamica, dietro la quale
parrebbe non esserci gran che (almeno secondo la Fallaci).
40
41
Giovanni Sartori, Uditi i critici ha ragione Oriana, Corriere della Sera, 15/10/2001
Giuliano Zincone, I coltivatori di dubbi e la spada di Oriana, Corriere della Sera
20
Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami Contrasto-fra-le-DueCulture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà fastidio perfino parlare di due
culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale
peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è
Platone, c'è Aristotele, c'è Fidia, perdio. C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la
sua scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua grandezza, il suo
concetto della Legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. (…)
C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza
se non lo abbiamo imparato) il concetto dell'amore e della giustizia. C'è anche
una Chiesa che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e
bruciato mille volte sul rogo, d'accordo. Che mi ha oppresso per secoli (…). Però
ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la
nostra civiltà c'è il Rinascimento (…), c’è la musica senza la quale noi non
sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita. (…) E
infine c'è la Scienza, perdio. (…)
Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è? Boh! Cerca cerca,
io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di
studioso. (…) Arafat ci trova anche i numeri e la matematica. (…) Ma Arafat ha
la memoria corta. (…) I suoi nonni (…) hanno inventato la grafia dei numeri che
anche noi infedeli adopriamo, e la matematica è stata concepita quasi
contemporaneamente da tutte le antiche civiltà. (…) I suoi nonni, Illustre Signor
Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da
millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le
rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah. 42
Come era facile immaginare simili dichiarazioni, dopo il putiferio suscitato da
affermazioni, ben più blande, uscite dalla bocca di un Primo Ministro, hanno sguinzagliato
politologi, giornalisti e intellettuali, come abbiamo visto. Il fulcro delle risposte a La Rabbia e
l’Orgoglio è proprio imperniato sulle parole appena citate.
Così, ecco che arriva la risposta ironica di Scalfari che liquida il suo caso in meno di dieci
righe, bollandolo come un ennesimo esempio della confusione che in quei giorni campeggia
nelle teste della gente.
Le tesi sono esattamente le stesse di quelle di Le Pen il quale tuttavia, con
qualche maggiore consapevolezza dell'opportunità politica, si è chiuso in totale
silenzio. Ma Oriana no: col piglio della Pulzella è partita per la controguerra
santa non solo contro il terrorismo ma contro gli ambulanti che impestano la sua
Firenze di finte borse di Vuitton, contro l'Islam, contro il Corano, contro lo
chador, alla testa d'un immaginario ed immenso corteo dove campeggiano le
pitture di Raffaello, le statue di Michelangelo, i versi della Commedia, le
musiche di Bach e le scoperte di Enrico Fermi. Ci fanno ridere gli Averroè e la
cultura islamica, non è vero Oriana? Lasceremmo spazi agli altri? Neanche un
pollice risponde la Pulzella, non gli regalo niente, se ne stiano a casa loro questi
fottuti emigranti. 43
Questa è solo la prima, in ordine di tempo, di un numero vastissimo di repliche, più o
meno concordi, più o meno ironiche. Il 2 ottobre arriva su Internet, a dare man forte alla Fallaci,
Carlo Panella, che si stupisce del fatto che “nessuno si sia accorto, come dice con felicissima
sintesi la Fallaci, che “la crociata la stanno combattendo loro contro di noi” ed è quindi
semplicemente cretino questo piagnisteo continuo sul “non combatteremo nessuna crociata””.
Panella, presente in Iran al momento dello scoppio della rivoluzione khomeinista, ha visto
trasformarsi quello che sembrava un futuro di speranza, in “una nuova forma di “Fuehrerprinzip”
42
43
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
Eugenio Scalfari, Perché l’Occidente non fa le crociate, La Repubblica, 30/09/2001
21
anche se temperata da un’effettiva democrazia per la gestione amministrativa”. Così, dopo aver
invitato tutti, e in primis gli stessi mussulmani, a riconoscere nell’integralismo una nuova forma
di fascismo e a combatterlo, ha concluso sostenendo che “Il nostro sistema di valori è superiore a
quello dei fascisti e dei nazisti, in qualsiasi ideologia, religione o alveo culturale si sviluppino.
Tutto qui. Ditelo, urlatelo, smettete di fare gli ipocriti”.
In molti hanno affermato di nutrire vari dubbi sulla possibilità di definire una cultura
superiore ad un’altra. Tra di essi possiamo annoverare Zincone, il quale sostiene che “sulla
superiorità del nostro mondo c’è molto da discutere: non tanto per negarla, ma per tentare di
comprendere in che cosa consista e fino a che punto ci riguardi”. Fa considerazioni molteplici
riguardo al fatto che le culture non nascano, si sviluppino e appassiscano negli stessi tempi e
luoghi e ciò renda ancora più improbabile un confronto. “Ogni civiltà, del resto, esprime una
vocazione speciale, in un periodo più o meno circoscritto” continua il giornalista. Egli ricorda
che, “non misuriamo su monumenti, quadri, libri, musiche degli antenati la nostra supremazia”,
ma sulla conquista “per le moltitudini di livelli notevoli di giustizia e di benessere”. Ben consci
che non sono equamente distribuite, dobbiamo lottare perché vengano ulteriormente estesi,
“senza superbia, ma con legittimo orgoglio, specialmente quando sono esplicitamente minacciati
da avversari superstiziosi”, anche se “la democrazia, per definizione, non si può imporre con la
forza a chi non la desidera”.
Zincone entra anche nel merito della “superiorità della religione”, definendola “un
paradosso”. Infatti, “il confronto occupa un livello alto e drastico: «La mia fede è vera, la tua è
falsa»”. Nonostante queste affermazioni, non condanna Oriana Fallaci, come fanno, ad esempio,
Terzani e la Maraini, comprende le sue ragioni:
Qualcuno s’è scandalizzato, davanti all’aggressività rovente di Oriana Fallaci:
l’hanno perfino chiamata razzista. Ma non si può rispondere sottovoce a chi
stermina i tuoi amici e sfregia la tua città. Molti intellettuali del nostro tempo
sono abituati a guardare il mondo dall’alto di freschi palmizi, distribuendo
imparzialmente torti e ragioni, come se nulla li riguardasse. Però, quando la casa
brucia, è necessario chiamare i pompieri, è giusto detestare l’incendiario, ed è
sano, nei momenti critici, recuperare le emozioni basilari. 44
Come Zincone, anche Dacia Maraini ricorda che “è impossibile fare una comparazione
tra civiltà”, anche lei ricorda che “le civiltà salgono e scendono, hanno momenti di prosperità e
momenti di stasi e di povertà”, ma aggiunge che “la civiltà oggi è fatta di un crogiolo di culture
diverse” e sono “proprio le torri di Manhattan” a dircelo, perché in esse “convivevano civilmente
persone di quaranta nazionalità”. Continua affermando che “l’America non sarebbe quella che è
se non avesse accolto nel suo seno” popolazioni provenienti da ogni parte del mondo, accettando
“di perdere la sua identità”. Questione, questa dell’identità, che la Fallaci aveva toccato, e risolto,
nel suo articolo e forse alla Maraini è sfuggita (“L’America è un paese assai giovane. (…) Ha
appena duecento anni e capisci perché la sua identità culturale non è ancora ben definita. L’Italia,
al contrario, è un paese molto vecchio.”)
Contro la Maraini scende in campo Sartori che la accusa con tanto di prove tratte dal suo
stesso intervento, di confondere i due concetti di “cultura” e “civiltà”, creando alla fine un gran
pasticcio, o meglio, affermando che l’argomentazione sulle civiltà della scrittrice sia del tutto
sconnessa. Inoltre, il giornalista chiede alla Maraini, che si scaglia contro le generalizzazioni
fatte da Oriana a proposito dei mussulmani, in cosa la Fallaci abbia sbagliato, dal momento che
anche lei ha concesso che la guerra santa, forse, è voluta da una frangia di quella religione.
Secondo Sartori lo sbaglio sarebbe dunque in quel “forse”, che per la Maraini avrebbe dovuto
essere un sicuro “anche se”.
44
Giuliano Zincone, I coltivatori di dubbi e la spada di Oriana, Corriere della Sera
22
Umberto Eco, appellatosi alla razionalità scientifica, chiarisce che “per dire se una
cultura è superiore ad un'altra, bisogna fissare dei parametri. Un conto è dire che cosa sia una
cultura e un conto dire in base a quali parametri la giudichiamo”. Secondo Eco i parametri non
vanno cercati in chiave storica (chi ha fatto per primo una cosa o da più tempo utilizza un
determinato oggetto o principio), ma in chiave contemporanea. “Una delle cose lodevoli delle
culture occidentali (libere e pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo irrinunciabili)”
è che hanno “elaborato la capacità di mettere liberamente a nudo le proprie contraddizioni.
Magari non le risolvono, ma sanno che ci sono, e lo dicono”. Tuttavia, questi parametri
contengono in sé stessi una contraddizione forte: “Riflettere sui nostri parametri significa anche
decidere che siamo pronti a tollerare tutto, ma che certe cose sono per noi intollerabili”. Eco
spiega cosa per noi deve essere tollerabile: “Noi siamo una civiltà pluralistica perché
consentiamo che a casa nostra vengano erette delle moschee, e non possiamo rinunciarvi solo
perché a Kabul mettono in prigione i propagandisti cristiani. Se lo facessimo diventeremmo
talebani anche noi”.
Sempre dalle pagine de La Repubblica, Eugenio Scalfari dà la sua interpretazione dei
valori e della cultura dell’occidente, in modo molto simile a quanto affermato da Eco.
Noi nati, cresciuti e vissuti in Occidente sentiamo l'appartenenza alla nostra
cultura, alla nostra identità e al nostro sistema di valori. (…) Questa appartenenza
è la nostra ricchezza ma essa ha un senso se ci serve per renderne partecipi le
persone con appartenenze diverse incoraggiandole a fruirne dandoci in cambio la
loro esperienza, mettendo in comune il loro deposito conoscitivo, etico, culturale.
Noi occidentali coltiviamo il dubbio, tuteliamo il dissenso, apprezziamo la
diversità. Senza questi valori ci sentiremmo persi, spaesati, stranieri in patria
perché l'Occidente non è una civiltà geograficamente delimitata: è un'area
morale, un metodo di convivenza politica. (…) L'Occidente è pacifista ma non
disarmato. (…) I valori dell'Occidente sono universalmente condivisi da tutti
coloro che abitano nelle regioni occidentali del globo? A me non pare. Mi pare
anzi che siano condivisi soltanto da una (rilevante) minoranza. Ma sono presenti
anche in culture e luoghi lontani da noi, così come anche noi siamo portatori di
depositi conoscitivi che vengono da altre esperienze.45
Oriana Fallaci scrive che il terrorismo, la guerra santa che gli islamici hanno dichiarato,
non si esaurisce con la morte di Osama Bin Laden,
Perché gli Usama Bin Laden sono decine di migliaia, ormai, e non stanno
soltanto in Afghanistan o negli altri paesi arabi. Stanno dappertutto, e i più
agguerriti stanno proprio in Occidente. Nelle nostre città, nelle nostre strade,
nelle nostre università, nei gangli della tecnologia. Quella tecnologia che
qualsiasi ottuso può maneggiare. La Crociata è in atto da tempo. E funziona
come un orologio svizzero, sostenuta da una fede e da una perfidia paragonabile
soltanto alla fede e alla perfidia di Torquemada quando gestiva l'Inquisizione.46
Vede negli immigrati che sono in Italia una minaccia costante alla mostra cultura, fatta da
patrimoni artistici e architettonici, ma anche religiosi. Racconta di episodi in cui, in Italia, è
rimasta vittima di atti vandalici da parte di extracomunitari e teme che la loro presenza
lentamente giunga a cancellare o ad offuscare il patrimonio che da millenni si è accumulato nel
nostro paese.
45
46
Eugenio Scalfari, Perché l’Occidente non fa le crociate, La Repubblica, 30/09/2001
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Corriere della Sera, 29/09/2001
23
Di fronte a questi timori, in molti si sono mossi. Gian Antonio Stella, dopo aver letto le
dissertazioni della Fallaci a proposito della “gittata” dei figli d’Allah sui muri delle chiese di
Firenze, ha raccontato un episodio avvenuto a Torino in cui una casalinga, esasperata da un
extracomunitario che regolarmente urinava contro il muro di casa sua, dopo aver lanciato già una
volta una secchiata d’acqua in testa al vandalo, gli ha sparato un colpo di pistola ad aria
compressa. Spontaneo gli è venuto il paragone tra l’atto di vandalismo di cui l’immigrato si è
macchiato e un colpo di pistola, sia pure ad aria compressa.
Dacia Maraini, dal canto suo si sorprende del fatto che la collega oltreoceano criminalizzi
“tante persone che lavorano, pregano e portano avanti con dignità una difficile vita di esilio” e,
dopo aver fatto notare che l’America che Oriana tanto difende è costituita da persone di ogni
razza e provenienza, afferma, che con il passare degli anni “È la migliore America quella che ha
vinto, l’America dell’accoglienza e della solidarietà”.
Questa citazione all’America della solidarietà, fa tornare brutalmente alla mente un altro
passaggio de La Rabbia e l’Orgoglio, in cui l’autrice si ribella all’idea secondo la quale gli
immigrati di oggi sono come gli italiani che un secolo fa si recavano in Usa a far fortuna. La
situazione è totalmente diversa, urla stizzita, per due motivi: innanzi tutto la corsa all’America è
stata sollecitata dallo stesso governo statunitense; in secondo luogo l’identità americana non era
ancora ben formata, poiché la nascita degli Stati Uniti datava solo un secolo.
Forse quello che sostiene è vero, ma l’emigrazione dell’inizio del secolo aveva anche
risvolti molto simili a quelli che viviamo noi oggi, da paese ricco, con gli extracomunitari. Stella
ha trovato testimonianza della scarsa pulizia ed igiene dei nostri emigranti in diversi opuscoli
stampati all’inizio del ‘900, tanto che ha potuto concludere la sua lettera con: “Qualche volta, a
questi nostri nonni straccioni, unti e inurbani, tiravano una secchiata d’acqua. Qualche volta
sparavano. Come fosse la loro “gittata” quando urinavano per strada, non lo so.”
Quella che segue, comunque, è la conclusione del discorso sugli emigrati/immigrati della
Fallaci. Forse, un fondo di verità possiamo coglierlo; quello che sicuramente cogliamo è l’amore
e la gelosia nei confronti di una Patria tanto lontana e tanto idealizzata, che si è rivelata diversa
da quello che si sognava.
Sto dicendoti che noi italiani non siamo nelle condizioni degli americani:
mosaico di gruppi etnici e religiosi, guazzabuglio di mille culture, nel medesimo
tempo aperti ad ogni invasione e capaci di respingerla. Sto dicendoti che, proprio
perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non
può sopportare un'ondata migratoria composta da persone che in un modo o
nell'altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti
che da noi non c'è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il
loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei.
Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci,
Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo
bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l'Italia. E io
l'Italia non gliela regalo. 47
Oriana e la Patria
In Italia Oriana Fallaci non c’è più. È scappata, se n’è andata quando si è accorta che
“vivere gomito a gomito con un’Italia i cui ideali giacevano nella spazzatura era diventato troppo
difficile, troppo doloroso e delusa offesa ferita” tagliò i ponti con la gran maggioranza dei suoi
connazionali. Questo lo ha scritto nella prima pagina del suo “piccolo libro”.
47
Idem.
24
In Italia Oriana Fallaci non c’è più, ma l’Italia è sempre dentro di lei, rappresenta un
ideale altissimo e non è l’Italia nella quale viviamo ora, ma l’Italia immaginata e sognata alla
fine della guerra da lei e da tanti altri, che con il tempo si sono rassegnati a vederla così. Lei no,
non si è rassegnata, se n’è andata e dal suo esilio ha lanciato un grido, ha chiesto di essere
ascoltata. Tutto ciò che ha scritto ne La Rabbia e l’Orgoglio era diretto agli italiani, era per gli
italiani, affinché si scuotessero e si guardassero intorno e vedessero quello che vede lei:
Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l'Italia d'oggi. L'Italia godereccia,
furbetta, volgare degli italiani che pensano solo ad andare in pensione prima dei
cinquant'anni e che si appassionano solo per le vacanze all'estero o le partite di
calcio. L'Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la
mano a un divo o una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di
Beirut (…). L'Italia squallida, imbelle, senz'anima, dei partiti presuntuosi e
incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi
posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di
sindaco. L'Italia ancora mussolinesca dei fascisti neri e rossi che ti inducono a
ricordare la terribile battuta di Ennio Flaiano: «In Italia i fascisti si dividono in
due categorie: i fascisti e gli antifascisti». Non è nemmeno l'Italia dei magistrati e
dei politici che ignorando la consecutio-temporum (…) pontificano dagli schermi
televisivi con mostruosi errori di sintassi. Non è nemmeno l'Italia dei giovani che
avendo simili maestri affogano nell'ignoranza più scandalosa, nella superficialità
più straziante, nel vuoto. (…) Non sanno nulla al massimo sanno recitare la
comoda parte degli aspiranti terroristi in tempo di pace e di democrazia,
sventolare le bandiere nere, nasconder la faccia dietro i passamontagna, i piccoli
sciocchi. Gli inetti. E tantomeno è l’Italia delle cicale che dopo aver letto questi
appunti mi odieranno per aver scritto la verità.48
Non risparmia nulla a nessuno.
Lucia Annunziata vede in quest’articolo un insulto. “Ma non all’Islam”, bensì all’Italia.
Queste “generalizzazioni così appositamente indurite”, indiscriminate, sono la chiave per
superare l’indifferenza di “un paese che si ama, ma alla cui passività non ci si rassegna”. L’Italia
dei codardi, del moralismo, della vuota retorica, non ha colore politico. “i politici che chiama
gelosi, biliosi, vanitosi sono tali senza distinzione tra destra e sinistra”.
L’assoluta mediocrità e indifferenza tra destra e sinistra sarà esplicitata in maniera, se
possibile, ancor più dura, nel libro, dove per ognuna delle due parti si esprimerà in termini ben
poco lusinghieri. In quella sede rimpiangerà la mancanza di grandi statisti, di politici come
Cavour o Metternich, mentre, guardandosi intorno vedrà solo “cicale di lusso” a sinistra o un
omino buffo che insiste nel farsi chiamare “Cavaliere”, titolo che lei stessa ha sdegnosamente
rifiutato, e che ha ignobilmente usato il nome e la bandiera della sua Patria in quel guazzabuglio
degradato che è diventata la politica.
L’Annunziata scrive che nella nostra nazione si vive ormai da mezzo secolo continuando
a inserire ostinatamente i cittadini in liste nelle quali si divide “fra chi è di sinistra e chi è di
destra, e poi fra chi, dentro a ciascun settore è ancora più a sinistra o più a destra”. Tutto questo
inutilmente, perché le antiche ideologie ormai non hanno più alcun valore, se non quello di
“essere bastoni di controlli del pensiero, proprio e altrui”.
Sulla bandiera e la Patria Oriana Fallaci scrive parole eccezionali. Lo stesso De Bortoli,
presentando il pezzo, non potrà astenersi dal commentare “sorprendente quel che dice sulla
Patria”. Come ha giustamente notato Sergio Romano,
48
Idem.
25
A giudicare dalle lettere che il Corriere ha ricevuto negli scorsi giorni, ciò che è
maggiormente piaciuto nel grande articolo di Oriana Fallaci sugli attacchi
terroristici dell’11 settembre è l’orgoglio nazionale. E’ piaciuto a tutti: sia a
coloro che sottoscrivono le dure critiche della Fallaci al mondo musulmano, sia a
coloro che non le approvano o le condividono soltanto in parte.49
Da quelle righe emerge un doloroso affetto per il suo Paese, un doloroso contrasto tra
l’Italia sognata dopo la guerra e l’Italia di oggi. Grida a tutti che il paese per cui tanti sono morti,
sono stati torturati o affamati non è quello che tutti noi abbiamo sotto gli occhi. Il Paese che
avrebbe dovuto sorgere era “un'Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole
di rispetto”.
Romano si dice non sorpreso di queste approvazioni, perché conosce bene questa sorta di
“malessere nazionale”, generato dal non riuscire a riconoscerci in una Patria. Le colpe vanno alla
storia del nostro, al fascismo che ha trasformato i simboli patriottici in addobbi futili di festa
paesana, alle sinistre che negli anni successivi alla guerra li hanno rifiutati.
C’è un contrasto stridente tra la bandiera di cui parla la Fallaci, antica e venerata, con
ancora lo stemma dei Savoia nel centro, e quelle scolorite e rovinate menzionate da Romano che
sono appese fuori dai municipi e dai seggi elettorali.
Anche Romano è rimasto incantato di fronte al patriottismo statunitense e il mare di
bandiere esibito alla TV, simbolo nel quale tutti gli americani si sono riconosciuti, lo ha
inevitabilmente mandato col pensiero alla nostra Italia e gli ha fatto sperare che, dopo aver visto
un simile spettacolo, anche gli italiani siano diventati un po’ più patriottici.
Per la Fallaci questa speranza è molto tenue. Nel prologo al libro racconta che il prof.
Gotlieb a distanza di qualche giorno dalla pubblicazione dell’articolo, le chiese se la suo predica
aveva fatto effetto.
“I don’t know, non lo so” gli ho risposto “Una predica la si giudica dai risultati,
non dagli applausi o dai fischi. E prima di vedere i risultati della mia ci vorrà
qualche tempo. Non si può pretendere di svegliare all’improvviso, e solo con un
piccolo libro scoppiato in due o tre settimane un paese che dorme. I don’t really
know, professor Gotlieb, non lo so proprio…” 50
Romano afferma che La Rabbia e l’Orgoglio è stato per molti la scintilla del corto
circuito. Se giudichiamo dalla tiratura del Corriere del 29 settembre 2001 e la vendita
vertiginosa del “piccolo libro”, potrebbe avere ragione. Per vedere questi sentimenti in opera,
forse ha ragione la Fallaci: ci vorrà ancora del tempo…
E dopo?
Dopo un paio di settimane la sfilata di intellettuali e scrittori sulle pagine dei giornali,
smaniosi di replicare alla dinamitarda scrittrice, finiscono. Tuttavia, nel frattempo, la guerra al
terrorismo è cominciata e i timori contro gli islamici vanno sempre più prendendo corpo quando
cominciano i primi arresti, anche in Italia, di presunti affiliati al clan di Bin Laden. La vita dei
mussulmani in Italia si fa sempre più difficile. Due giornalisti tentano di capire cosa significhi
essere islamici al tempo di Enduring freedom, così si travestono e si mescolano alla gente
comune.
49
50
Sergio Romano, La bandiera italiana, Corriere della sera, 07/10/2001
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Rizzoli, 2001. Pag. 36-37
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Il primo è un inviato di Panorama, Carmelo Abbate, che per tre giorni ha girato per
Milano e per l’Italia travestito da Mussulmano. Ha girato per le strade, in aereo e nel metrò, per
saggiare i suoi concittadini e sentire su di sé le sensazioni che un arabo suscita. L’esperimento ha
portato a questa conclusione: “non abbiamo riscontrato alcuna intolleranza, atteggiamento di
ostilità o alzata di scudi razziale. Ma solo silenzio, imbarazzo, paura. Assolutamente legittimi” 51 .
Il secondo tentativo è stato fatto da una donna: una giornalista de Il Foglio, che, solo per
una giornata, ha passeggiato per Milano con addosso un burqa. L’epilogo è stato piuttosto
diverso dal primo caso: oltre ad occhiate ostili, a parole cattive lanciate da chi le stava intorno,
anche da persone rispettabilissime, si aggiunta l’umiliazione che quella “trappola” provoca.
Le reazioni degli italiani sono state in qualche modo provocate dal pezzo della Fallaci?
Sembrerebbe di no, perché l’esperimento che più ha destato l’intolleranza delle persone è
stato quello condotto da Il Foglio, fatto in dicembre, molto dopo l’uscita e l’effetto delle parole
della scrittrice. Tuttavia, si tratta di supposizioni poco indicative, poiché non abbiamo riscontri di
eventi analoghi precedenti.
Il 12 dicembre in libreria approda il “piccolo libro” della Fallaci, preceduto, nuovamente
da annunci televisivi e seguito da critiche o applausi di giornalisti e non.
Rispetto all’articolo è circa raddoppiato, le aggiunte sono date sia dalle parti che, come
lei stessa afferma, sono state tagliate due mesi prima per permetterne la pubblicazione sul
Corriere, sia dagli avvenimenti recenti che hanno chiarito alcuni fatti che al momento della
prima stesura erano ancora oscuri.
La parte totalmente nuova, nella quale l’“antica signora” si permette di aggiungere e
punzecchiare nuovamente “cicale” e “cicale di lusso”, è, però, il prologo, al quale tutti i giornali
dedicano la loro attenzione. In esso la Fallaci rivela di trovarsi a New York come fuoriuscita,
troppo stanca di sopportare il marciume che si respirava in Italia. Ringrazia poi tutti gli italiani
che le hanno dimostrato solidarietà e comprensione, mentre si prende qualche rivincita su chi
l’ha insultata. Precisa di non aver letto le “maratone scrittorie che almeno nella lunghezza
tentavano di uguagliare la mia”, né intende leggerle. Tuttavia alcune di esse, ed una in
particolare, sono talmente offensive da richiedere una risposta. Quella in cui si dice “La Fallaci
recita la parte della coraggiosa perché ha un piede nella fossa”. Questa non la perdona, sia perché
lei è coraggiosa (e in effetti l’ha dimostrato per tutta la vita), sia perché “i malaticci del mio tipo
finiscono spesso per sotterrare gli altri”.
Infine, precisa che per il suo articolo non accettò alcun compenso, a differenza delle
“cicale” che l’hanno seguita. Fa notare che non scrive, non ha mai scritto per soldi, anche se
pretende i diritti d’autori dei suoi libri, senza i quali finirebbe per strada “a vendere le matite”. A
questo proposito una giornalista de La Repubblica ha ironicamente scritto che, seppure non ha
voluto una lira, da quel pezzo ha ricavato un libro (campione di vendite, tra l’altro) dal quale,
però, denaro ne ricaverà di certo. “Contraddizioni di un’esule”, conclude.
Nello svolgimento del libro, al corpus già pubblicato aggiunge nuovi racconti, della sua
vita e non solo, ma soprattutto amplia lo sfogo contro l’“Italietta” d’oggi, aggiungendo alla lista
dei criticati il “Cavaliere” Berlusconi.
Come nell’articolo termina:
Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato.
La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ora basta. Punto e basta.52
51
52
Carmelo Abbate, Viaggio (provocatorio) nelle paure inconfessabili degli italiani, Panorama, 25/10/2001
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Rizzoli, 2001, pag. 163
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Bibliografia
Nel lavoro svolto sono stati utilizzati solo alcuni degli innumerevoli articoli scritti sul ritorno di
Oriana Fallaci. i pezzi citati sono stati scelti per la l’importanza dell’autore intervenuto o per la
rappresentatività dei contenuti. Ho ritenuto opportuno inserire molti brani originali, poiché ritengo più
corretto “dare la parola” agli interessati piuttosto che riassumerne le opinioni rischiando di travisarne le
intenzioni.
Oriana Fallaci, Intervista con la Storia, Rizzoli, 1974
Oriana Fallaci, Insciallah, Rizzoli, 1990
Oriana Fallaci, La Rabbia e l’Orgoglio, Rizzoli, 2001.
Dal Corriere della Sera:
Oriana Fallaci, La rabbia e l’Orgoglio, 29 settembre 2001.
Gian Antonio Stella, L’arabo e la casalinga di Torino, 04 ottobre 2001.
Dacia Maraini, Ma il cuore non ha una bandiera, 5 ottobre 2001.
Tiziano Terzani, Il sultano e San Francesco, 8 ottobre 2001.
Giuliano Zincone, I coltivatori di dubbi e la spada di Oriana, 13 ottobre 2001.
Sergio Romano, La bandiera italiana, Corriere della sera, 07 ottobre 2001.
Ferruccio De Bortoli, Quell’articolo, Corriere della Sera, 13 dicembre 2001.
Pialuisa Bianco, Intellettuali, svegliatevi!, Sette, supplemento del Corriere della Sera, n°
41 del 2001.
Da La Repubblica:
Eugenio Scalfari, Perché l’occidente non fa le crociate, 30 settembre 2001.
Umberto Eco, Le guerre sante passione ragione, 5 ottobre 2001.
Da Panorama:
Lucia Annunziata, Il tabù infranto, 11 ottobre 2001.
Cesare Lanza, Oriana non si taglia, 25 ottobre 2001.
Lucia Annunziata, I tromboni dell’apocalisse, 25 ottobre 2001.
Carmelo Abbate, Viaggio (provocatorio) nelle paure inconfessabili degli italiani,
Panorama, 25 ottobre 2001.
Dal Web:
Carlo Panella, Siamo uomini o averroismi, sul sito www.opinione.it, 2 ottobre 2001.
Oriana Bin Laden, sul sito www.diario.it, 2 ottobre 2001.
La Rabia y el Orgullo, sul sito www.elmundo.es
Philip Willian, Writers ignites italian pride and prejudice, The Guardian, 3 ottobre 2001.
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Sommario
Introduzione ................................................................................................................................... 2
La storia di uno scoop ................................................................................................................... 3
L’accoglienza della stampa ........................................................................................................... 6
L’accoglienza dei colleghi .......................................................................................................... 7
Il ritorno degli intellettuali .......................................................................................................... 8
La stampa internazionale........................................................................................................... 10
I contenuti del pezzo .................................................................................................................... 11
Gli Stati Uniti: l’invulnerabilità e il patriottismo ...................................................................... 11
L’avanzata dell’Islam................................................................................................................ 15
I martiri e i Kamikaze ................................................................................................................ 18
Le due culture............................................................................................................................ 20
Oriana e la Patria ....................................................................................................................... 24
E dopo?......................................................................................................................................... 26
Bibliografia .................................................................................................................................. 28
Sommario ..................................................................................................................................... 29
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Ritorno di uno scrittore - Ebla - Università degli Studi di Padova