Isola Nera 1/20
Casa di poesia e letteratura. La prima in Sardegna, in Italia,
aperta alla creazione letteraria degli autori italiani e di autori
in lingua italiana. Isola Nera è uno spazio di libertà e di
bellezza per un mondo di libertà e bellezza che si costruisce in
una cultura di pace.
Direzione Giovanna Mulas. Coordinazione Gabriel Impaglione.
[email protected] - ottobre 05 - Lanusei, Sardegna
“Eljia Baley combatteva con ostinazione il panico. Era due settimane che montava. Forse
anche di più. Aveva incominciato a montare fin da quando lo avevano chiamato a
Washington per dirgli tranquillamente che i suoi compiti erano cambiati”
Isaac Asimov
“Non so se il
cielo badi alla
terra.
Pur se ci ha
qualche volta
badato…”
Ugo Foscolo
nacque a Zante, una delle
isole jonie dipendenti dalla repubblica veneta, il 6 febbraio 1778. Il
padre fu Andrea, medico in quella città: la madre, la bella e dolce
Diamantina Spathis, già vedova di Giovanni Aquila Serra
genovese. Ugo era il maggiore di parecchi fratelli: Rubina, Gian
Dionisio, Costantino, Angelo, Giulio: che egli amò tutti
paternamente, come teneramente adorò la madre. Morto Nicolò, il
nonno di Ugo, medico anch'esso e direttore dell'ospedale di
Spalato, Andrea gli succedette in quell'ufficio. E della fanciullezza
di Ugo, questi di Spalato furono gli anni più felici. Ma nel 1781 Andrea morì. La vedova Foscolo
dovette spogliarsi d'ogni suo bene dotale, per soddisfare i creditori del marito. Quindi si recò a
Venezia, dove il marito aveva lasciato in sospeso alcuni affari. Ugo e gli altri fratelli ve la
raggiunsero verso il 1792. Si stabilirono in una povera casa del sestiere di Castello. A Spalato
aveva frequentato le scuole del Seminario. A Venezia fu posto alle scuole di S. Cipriano, di cui era
provveditore Gaspare Gozzi. È probabile che fosse introdotto assai presto nel salotto della
bellissima Isabella Teotochi Albrizzi, che forse il giovinetto amò. Colà conobbe i letterati più insigni
che a quel tempo convenivano in Venezia: tra gli altri Ippolito Pindemonte e Melchiorre Cesarotti,
che udì, per quanto saltuariamente, anche dalla sua cattedra di Padova. Ugo - che credeva più nel
genio che nelle regole - dovette aver cari gli arditi concetti critici e linguistici del Cesarotti: benchè
egli simpatizzasse con l'accademia dei Granelleschi, conservatrice della tradizione letteraria, e si
dichiarasse obbligato al Dalmistro, uno dei più autorevoli fra quegli accademici. Ma del Cesarotti
il malinconico e fantastico giovinetto lesse avidamente l'Ossian. Non però meno lo sedusse l'Alfieri.
E una tragedia alla maniera alfieriana, il Tieste, rappresentò il 4 gennaio 1797 al teatro S. Angelo.
Piacque tanto, che fu ripetuta per nove sere consecutive. E il giovanissimo autore - che fin allora
si era provato in liriche passionali e filosofiche di assai scarso valore - divenne celebre.
Ma Ugo credette di ritrovare se stesso, quando gli eserciti del Buonaparte proclamarono la libertà
d'Italia e minacciarono di invadere l'antica repubblica. Democratico convinto, il Foscolo, sin
dall'anno precedente, aveva scritto un fiero sonetto contro la neutralità di Venezia: e quindi (a
scampare da possibili persecuzioni) si era rifugiato a Bologna nella Cispadana, arruolandosi
volontario dei cacciatori a cavallo. A Bologna, nel '97, scrisse la sua sonante ode Bonaparte
liberatore, offrendola ai cittadini di Reggio, che, primi in Italia, avevano accolto la rivoluzione.
Quando, abolito il governo della Serenissima, si fondò in Venezia una municipalità provvisoria, il
Foscolo credette suo dovere di ritornare subitamente nella sua patria di elezione. E nei pochi mesi
di vita che ebbe la costituzione repubblicana, egli militò costantemente nel partito più avanzato e
più puritano e più ingenuo. Fu dei quattro secretari della municipalità, con incarico di redigere i
verbali: ma più pienamente espose e difese il suo catechismo di libertà nella Società della pubblica
istruzione, ove una volta biasimò come nemico della rivoluzione persino l'Alfieri. Ma spesso anche
parlò contro i demagoghi e gli "ipocriti della libertà", peggiori dei tiranni, e ne proponeva lo
sterminio, non senza meraviglia del presidente, che non li credeva così terribili. In una delle
ultime adunanze caldeggiò una milizia nazionale, con implicita riprovazione delle milizie francesi,
spadroneggianti in Venezia. E con l'animo forse già dubitante dei sentimenti liberali del
Buonaparte, scrisse l'Ode ai Repubblicani: che è un invito ai cittadini veri a cercare - se la patria
sarà oppressa - la libertà nella morte.
Il trattato di Campoformio, onde Venezia era ceduta all'Austria, fu per il Foscolo, anche più che
una delusione, una lezione: di quelle che insegnano molte cose e capitali. Di lì nacque in lui quella
diffidenza, se non pur quell'odio, verso il Buonaparte e la democrazia francese, che non lo
abbandonò mai più; di lì sgorgò, o trovò conferma, il suo desolato credo pessimistico: che il
mondo è dei forti e degli astuti. Di lì sorse il concetto che l'Italia non deve attendere la sua
risurrezione che da sè e dalle sue energie: e si iniziò il culto appassionato per le tradizioni della
patria, violate tutte nel dispregio che il Bonaparte mostrava per la più antica delle nostre
repubbliche.
Ceduta Venezia all'Austria, pare che il Foscolo fosse di quelli che proponevano di dare il fuoco alla
città, prima che lasciarla invadere dallo straniero. Certo uno spirito libero come il suo non poteva
rimanere sotto il nuovo governo. Che se il governo francese aveva così oltraggiata la sua Venezia,
la Francia significava pur sempre la libertà, e l'avvenire. Ugo venne a Milano, ove chiese ed
ottenne la cittadinanza nella repubblica Cisalpina. Divenne redattore del Monitore italiano, col
Custodi e col Gioia: specialmente doveva compilare le relazioni delle sedute del corpo legislativo e
quelle del Consiglio dei Seniori, e soggiungervi le sue osservazioni: ufficio da censore più che da
pubblicista. Non tacque dei soprusi delle soldatesche repubblicane: non delle pertinaci prepotenze
del patriziato: come in una lettera al cittadino Soprausi ministro di polizia, ove deferisce un
cocchiere che era per stritolare un vecchio e un bambino, e propone rigide pene, e contro i
cocchieri protervi, e contro i padroni delle carrozze. Rivide a Milano il Monti, già conosciuto da lui
a Bologna, e poi presentato a Venezia alla Società per l'istruzione pubblica. È probabile
s'invaghisse della moglie del Monti, la bella Teresa Pickler. Comunque sia di ciò, al Monti si legò di
viva amicizia. E perché il poeta era attaccato dai suoi nemici, che gli ricantavano l'accusa di aver
lodato i vecchi governi, Ugo sorse coraggiosamente a difenderlo, nello Esame su l'accuse contro
Vincenzo Monti. E da quella demagogia, che il Monti avrebbe poi flagellato nella Mascheroniana, il
Foscolo si staccava violento. Né sopportava la mentalità tutta borghese dei nuovi legislatori
francesizzanti: onde il magnanimo e italianissimo sonetto contro la soppressione nelle scuole della
lingua latina, proposta dal gran Consiglio Cisalpino nel 1798. Il Foscolo era coi pochi, insigni per
virtù propria, non per riflesso altrui: coi pochi, già liberi nell'animo, assai prima che la li bertà
fosse proclamata nelle assemblee. Tipo di questi pochi solitari il vecchio Parini, che il giovine
scrittore del Monitore conobbe alla vigilia della morte e venerò; e ne fece l'apoteosi nell'Ortis e nei
Sepolcri e nelle lezioni di eloquenza a Pavia.
Nell'aprile del 1798 il Monitore, troppo libero e troppo italiano, fu soppresso: incarcerato il
Custodi, perseguiti e vigilati il Gioia e il Foscolo: i quali fondarono un giornale anche più
arditamente italiano, l'Italico: che il governo lasciò vivere soltanto pochi mesi.
Necessità di pane trassero allora il Foscolo a
Bologna, ove ebbe un modesto impiego
cancelleresco alla sezione criminale del
Dipartimento del Reno
E a Bologna, dal Marsigli, fece
stampare - senza però pubblicarla –
la prima parte delle Lettere di Jacopo
Ortis: molto diverse dalla edizione definitiva: ove protagonisti sono una vedova, Teresa, una sua
figliuoletta, Giovannina, Odoardo, promesso sposo di Teresa, e Jacopo Ortis. Ma, alla notizia che
gli Austro-russi invadevano l'Italia, il Foscolo riprese servizio come luogotenente della guardia
nazionale di Bologna, che dava la caccia ai contadini insorti; si trovò alla ripresa di Cento, le cui
mura scalò per primo, e fu ferito d'un colpo di baionetta in una coscia. Intanto il Marsigli - che
aveva fretta di terminare e pubblicare il romanzo - con una leggerezza forse unica nella storia
degli editori - almeno degli editori di autori viventi — affidò la prosecuzione del romanzo a un
Angelo Sassoli bolognese, dottore di leggi e giornalista, che continuò sguajatamente e secondo un
piano suo l'Ortis. Così terminato, anzi deformato, il romanzo uscì, nei primi di giugno del '99, con
il ti tolo Ultime lettere di Iacopo Ortis MDCCXCVIII, anno VII. - (Era il titolo che il Foscolo aveva
dato alla prima parte). - Ma come, il 30 giugno, gli eserciti austro-russi entrarono in Bologna, le
copie già in vendita del libro furono ritirate; e dopo lievi modificazioni, perchè l'opera non avesse a
incorrere nella censura della nuova polizia, il romanzo fu rimesso in vendita in due volumetti, col
titolo Vera storia di due amanti infelici, ossia ultime lettere di Iacopo Ortis, 1799. E riapparve, nel
1801, al ritorno dei Francesi, nella forma e col semplice titolo primitivo. Ma il Foscolo non
pensava allora più a continuare l'Ortis: pensava a combattere. Al seguito del generale Macdonald
fu alla Trebbia. Negli ultimi del giugno 1799, con le milizie Cisalpine e Francesi, fu a Firenze: e vi
conobbe il Niccolini. Forse partecipò alla battaglia di Novi, del 15 agosto. Finalmente riparò in
Genova, stretta d'assedio dagli Austro-russi padroni di tutta l'Italia settentrionale, e difesa dal
generale Massena. In Genova pubblicò l'ardito Discorso sull'Italia al generale Championnet, pieno
di idee che noi diremmo socialistiche: ristampò l'ode al Buonaparte, con una lettera, ove
rimprovera all'eroe il traffico di Venezia, e l'ammonisce a non cedere alla tentazione di farsi
tiranno. Corteggiò la marchesa Luisa Pallavicino, e scrisse un'ode famosa, quand'ella fu gettata da
cavallo, in una sua passeggiata verso Sestri. Nel dicembre gli fu imposto di partir per la Francia:
giunse a Nizza, e doveva proseguire per Dijon: ma preferì ed ottenne di ritornare a Genova, dove
pure l'epidemia e la fame facevano strage. Fu aggregato al generale Fantuzzi. Si segnalò alla
ripresa del forte dei Due fratelli: fu ferito al piede nel vano tentativo di riconquistar la Coronata:
quando perì il generale Fantuzzi, nel quale il Foscolo vedeva raffigurato tutto il valore italiano; e
ne fece poi eloquente ricordo nella orazione per i Comizii di Lione.
Arresosi, il 4 giugno, l'eroico presidio, i vinti, com'era nei patti, furono, su navi inglesi, sbarcati ad
Antibo. Ma la vittoria di Marengo aveva riaperto loro l'Italia. Il Foscolo corse a Nizza di Monferrato,
dov'era il quartiere generale: di lì a Milano: dove venne aggiunto allo stato maggiore del generale
Pino. Fu in questi tempi, per ragioni del suo ufficio, in più luoghi: a Lugo, per esterminarvi i
briganti: più volte a Bologna, nel novembre 1800 a Firenze. Quivi rivide il Niccolini: e conobbe la
giovinetta Isabella Roncioni, destinata sposa ad un marchese Pietro Bartolomei fiorentino, che
essa non amava. Era forse la prima volta che si presentava al Foscolo una bellezza pura e
verginale. L'adorò. Sentì allora il bisogno di continuare l'Ortis, di trasformarlo. Gli venne alle mani
la Vera istoria dei due amanti infelici metà sua, metà del Sassoli, anonima, ma col suo ritratto.
Indignato dello strazio fatto dell'opera sua, pubblicò nella Gazzetta di Firenze del 3 gennaio 1801 e
nel Monitore Bolognese del 4 un rifiuto di riconoscere per sue le tre edizioni da lui vedute
dell'Ortis, "apocrife e adulterate da lla viltà e dalla fame": le aggiunte del Sassoli, che passava per il
raccoglitore delle lettere, proclamò un "centone di follie romanzesche, di frasi adulterate e di
annotazioni vigliacche". Riprese il romanzo. La Teresa, la vedova Teresa, che forse in origine era
stata delineata col pensiero alla Monti o alla Isabella Albrizzi, diventò una giovinetta, che adombrò
la Isabella Roncioni. La prima parte del romanzo, così rifatta, comparve con la indicazione Italia,
1801 (rarissima: se ne conserva un esemplare a Weimar, mandato dal Foscolo al Goethe, il cui
Werther tanto influì sull'Ortis). Nell'ottobre del 1802 il romanzo fu pubblicato intiero a Milano, dal
Genio tipografico: e fu dei più notevoli avvenimenti letterari dei primi anni dell'800.
Due anni prima della pubblicazione del romanzo,
il Foscolo era ritornato a Milano.
Ma le ostilità, in alto, contro il poeta,
che non aveva cantato Marengo,
incominciarono. Non gli fu conceduto il brevetto di capitano. Non era pagato dei suoi stipendi, o
solo in parte e a fatica. In una lettera nobilmente sdegnosa, egli domandò le sue dimissioni. Il
Monti e altri amici si interposero. Gli fu concessa la paga di capitano aggiunto, ed affidatagli la
compilazione di una parte del codice militare.
Ma si era fatto troppo mondano. E gli bisognavano danari molti. Giuocava, perdeva. Un amore
malefico e reale contrastava in lui l'amore, fatto di fantasia e di memoria, per la Roncioni. Mentre
scriveva il romanzo così appassionato e così puro, una donna milanese, famosa per bellezze e per
licenza, traduceva per lui in italiano il Werther del Goethe: la contessa Antonietta Fagnani, moglie
dei conte Marco Arese, figlia di una marchesa Fagnani, già fatta conoscere al mondo dall'amabile
mordacità dello Sterne. Documento del violento amore del Foscolo, c'è tutto un epistolario. Egli,
come sempre gli accadde, amò quella donna con serietà, con intensità. Ma la donna era infedele e
raggiratrice. I rivali parecchi e indegni. Dopo due anni di passione esaltata, di rancori, di sospetti,
di umiliazioni, Ugo si liberò da quella catena.
Ma il Foscolo non aveva soltanto fatto all'amore in quei due anni. Alle censure contro il
Buonaparte, che si leggono nel romanzo, egli preparava gli Italiani con una Orazione a Bonaparte
pel Congresso di Lione, pubblicata nel gennaio 1802. A Lione il primo console aveva convocato
450 Italiani, perchè deliberassero intorno alle sorti della Repubblica Cisalpina: che fu poi
chiamata Italiana, ed ebbe presidente esso il Buonaparte, e vice -presidente il Melzi. Il governo
commise al Foscolo l'orazione: il quale, se, con molto impeto declamatorio, esalta il Buonaparte
come "liberatore di popoli" e "fondatore di repubblica", con molto calor di eloquenza accusa i
demagoghi, che in nome di lui e della libertà francese malversavano i popoli della Cisalpina. Dopo l'Ortis, nel 1803, il Foscolo raccoglieva, dedicandoli al Niccolini, i suoi versi, rifiutando tutti
gli altri divulgati innanzi, e segnatamente l'ode a Bonaparte liberatore (e probabilmente non per la
sola inferiorità artistica) e il Tieste; e ne faceva tre edizioni, l'ultima, la più ricca, comprendente 12
sonetti, l'ode alla Pallavicini, e l'altra all'Amica risanata. Nella quale ode, la deificazione che il
poeta fa della donna, la contessa Fagnani, ritornata gloriosamente e freddamente bella, non è
senza richiamo alle idee sulla poesia, svolte nella Chioma di Berenice (pubblicata nel luglio del
1803), anch'essa dedicata al Niccolini: traduzione del carme di Callimaco, già voltato in latino da
Catullo, accompagnata da un commento perpetuo e preceduta e seguita da considerazioni sulla
indole e gli uffici della poesia e, forse con allusione agli adulatori napoleonici, sulle apoteosi, che i
poeti sogliono fare dei principi e degli eroi. Opera scritta in meno di tre mesi, composta
specialmente contro i pedanti e gli accademici, a dimostrare quanta era dottrina nell'autore o
quanto gli era facile acquistarla; ma il pensatore rompe continuo di sotto l'erudito, come già negli
scritti dell'abate padovano Angelo Conti, che il Foscolo stimò gran demente, e i cui Saggi qui pare
tenesse a modello.
Continuando nelle strettezze, il Foscolo pensò di abbandonare
Chiese di esser mandato
la milizia.
segretario di legazione,
o a Parigi, o in Toscana. Da Parigi si rispose che il Foscolo era "testa assai calda": che il Console
voleva riservata a sé la nomina dei ministri e dei segretari di legazione. E il Foscolo, che si teneva
già sicuro di andare almeno in Toscana, non fu nominato: sgradito come pare che fosse al
generale Murat, comandante supremo dell'esercito franco-italiano.Domandò allora il poeta di
prender parte alla spedizione, che il Bonaparte preparava, o mostrava di preparare, contro
l'Inghilterra, radunando un esercito sulle coste della Piccardia e della Normandia, nel quale aveva
piacere di arruolare Italiani, per "donner de l'orgueil et de la fierté nationale à la jeunesse italienne
", come diceva in una lettera al vice -presidente Melzi; e l'unico merito, rispetto all'Italia, che il
Foscolo riconobbe in Napoleone fu appunto di aver data coscienza di sè e disciplina militare agli
Italiani, imbelli e fiaccati da secoli di servitù. Non senza difficoltà fu accolta la domanda del poeta.
La divisione italiana si mosse nel novembre del 1803. Ma solo nell'aprile del 1804 il Foscolo,
addetto allo stato maggiore del generale Pino, col grado di capitano, ebbe l'ordine di recarsi a
Valenciennes. Partì, molestato dalla indigenza, e col rammarico di sapersi alienato l'animo del
Melzi, presso cui, in una lunga lettera rimasta incompiuta, cercò di scolparsi. Confinato a
Valenciennes, al comando delle reclute e degli invalidi, chiese il posto di capo -battaglione, che non
gli fu conceduto nè allora nè più tardi: giacchè il Murat, divenuto governatore di Parigi, " cuore di
leone e testa d'asino", come il Foscolo l'ebbe più tardi a chiamare, non gli volle perdonare la
troppo franca italianità dell'orazione pei Comizii di Lione. Il Foscolo si discolpò al Murat per
lettera, e gli mandò l'orazione: nessuna risposta: bensì, dall'alto, l'ammonimento a non mandar
più lettere chiuse al governatore di Parigi. Ogni speranza di avanzamento era finita. Il Foscolo si
confortò come spesso, troppo spesso, nell'amore. Ammesso in una famiglia inglese prigioniera a
Valenciènnes, vi conobbe la signorina Sofia o forse Fanny Emeryth: dalla quale apprese gli
elementi della lingua inglese, e la lasciò con nel grembo una creatura sua, quella Floriana, che
apparirà, poi, inaspettata, a confortare, o forse a turbare di rimorsi, gli ultimi anni del poeta. Ma
tenuto basso dai superiori, il Foscolo tanto più si affezionava agli inferiori. Fu patrocinatore dei rei
nei tribunali di guerra; ed è a stampa la difesa che fece del sergente Armani; accusato di tentato
assassinio del suo capitano. Finalmente fu mandato a Calais, ispettore delle truppe imbarcate. Di
qui mandò al Monti la Epistola, commovente di nostalgia, amara di scetticismo. E quivi in quel
facile mondo di ufficiali francesi ed italiani - corteggiò più d'una donna, e più puramente e
lungamente delle altre la giovinetta figlia dell'intendente generale Claudio Pètiet. Ma l'imperatore
sospese l'impresa contro l'Inghilterra, volendo prepararsi alla campagna contro l'Austria, del
1805. Gran parte dell'esercito fu richiamato e il Foscolo fu destinato a Boulogne: ove ingannò
l'ozio dell'attesa e sfogò il malumore, traducendo il Viaggio sentimentale dello Sterne, e
riassumendo la sua vita, o meglio ritraendo il suo carattere e il suo credo filosofico e morale, nella
Notizia di Didimo Chierico.
Nel gennaio 1806, poichè la spedizione contro d'Inghilterra pareva aggiornata a maggio, il Foscolo
ottenne un permesso di quattro mesi, per ritornare a Venezia. Passando da Parigi, ebbe la
debolezza di pregare - naturalmente invano - per ottenere le decorazioni della Legion d'onore e
della Corona di ferro. Colà visitò anche il giovane Manzoni da lui conosciuto a Milano, e che tra
breve avrebbe ricordato, con tanta lode, in una nota dei Sepolcri: e da lui, e più dalla madre
contessa Beccaria, ebbe una accoglienza fredda, che lo amareggiò. Era a Milano nel marzo, donde
partì per Venezia. Vi rivide la madre, la sorella, l'Isabella Albrizzi Teotochi, più che mai letterata e
autorevole fra i belli ingegni letterati. Passati i quattro mesi, ritornò, renitente, a Milano. A
Padova visitò il Cesarotti, che tra qualche anno gli divenne nemico, quando il Foscolo fu
sospettato autore di un mordacissimo epigramma contro la Pronea, poema che e tutto un'apoteosi
di Napoleone. A Verona rivide il Pindemonte, che gli lesse saggi della versione dell'Odissea, e forse
anche il primo canto di un suo poema sui Cimiteri, rimasto incompiuto dopo la comparsa dei
Sepolcri: e potè essere eccitamento al carme foscoliano, se un poe ma, dove il Foscolo gittò tutto sè
stesso, aveva bisogno di eccitamenti od occasioni esteriori. A Milano era ministro della guerra il
generale Caffarelli, che molto amò il Foscolo e comprese che egli aveva più diritti ad affermarsi
come uomo di lettere che obblighi di mostrarsi ufficiale modello. Lo incaricò della traduzione dei
Commentarj della battaglia di Marengo del generale Alessandro Berthier, e lo volle a Milano a sua
disposizione, senza nessun obbligo di servizio militare.
La libertà, almeno parziale, di cui venne a godere, la vicinanza del Monti che gli aveva letto l'Iliade
e il Bardo (sul quale scrisse un articolo di molta lode), la oramai sicura coscienza delle proprie
energie nella pienezza dell'ingegno e dell'età, rianimarono il Foscolo alla produzione poetica,
oltrechè agli studi negli antichi: cose che in lui, il quale leggeva col cuore e trasferendo sempre sè
nel passato e il passato nel presente, andavano di pari passo. Meditò molti Inni (uno sui cavalli):
distese l'inno alla Nave delle Muse, che è frammento di un poema dal titolo Alceo: compose - ma
restò incompiuto - un Sermone, oscurissimo, non meno contro i suoi nemici letterari che contro la
strapotenza di Napoleone. Continuò la traduzione dell'Iliade, già incominciata in Francia. E
credette giovare agli Italiani col diffondere quella educazione e quegli spiriti militari, che più in
essi si desideravano. Onde imprese a illustrare le opere di un grande capitano italiano, Raimondo
Montecuccoli, non conosciuto sino allora che in una pessima versione francese: e letto poi nella
edizione del Grassi, assai migliore di quella del Foscolo.
Nel gennaio del 1807 si recò a Brescia, per intendersi col tipografo Bettoni; e a intervalli vi rimase
fino al settembre, attratto dall'amenità del luogo, dalla cortesia degli amici e dalla simpatia per la
contessa Maria Martinengo Cesaresco. Quivi pubblicò, nei primi d'aprile, coi tipi del Bettoni, i
Sepolcri; e negli ultimi l'Esperimento di traduzione dell'Iliade: contenente una lettera dedicatoria al
Monti, la versione letterale del primo libro fatta dal Cesarotti, la versione poetica sua, e di fronte
quella del Monti: oltre alcune considerazioni del Cesarotti, del Monti e sue sulla difficoltà di
tradurre alcuni singoli passi di Omero, come il cenno di Giove.
Specie tra i giovani, i Sepolcri destarono un'eco di universale ammirazione. Ma un Guillon, exprete francese, nel francesizzante Giornale italiano, del 22 gennaio 1807, si levò a deprezzare il
carme, di cui non aveva sentita l'alta poesia, ma solo intuito gli spiriti profondamente italiani. E il
Foscolo dette subito fuori, ex abundantia cordis una Lettera al Guillon su la sua incompetenza a
giudicare i poeti italiani: un colpo di scudiscio o di scopa che fece tacere per sempre i! critico; ma
altri, della stessa specie. avrebbero più tardi presa la rivincita.
E la grave e nobile fatica era giovata
Nel maggio del 1808 uscì il primo volume
non poco ad ottenere al Foscolo, in
del Montecuccoli.
quell'anno, la cattedra di eloquenza all'università di Pavia; per la quale il governo gli conservava
anche la metà dello stipendio di capitano: in tutto L. 6600: non poco per quei tempi, anche se
poco alle voglie da grande signore del Foscolo, che a Pavia volle mettere su una casa in tutto
punto. Vero è che egli sperava di rimanere sempre a Pavia, in un ufficio nel quale avrebbe potuto
finalmente affermare tutto se stesso. Poichè l'insegnamento di eloquenza non voleva per lui essere
precettistica pedantesca, ma una nuova revisione del prodotto letterario, ricondotto alla sua
origine psicologica, alla sua ragione di essere politica e sociale. Ciò che si scorge dalla prolusione,
detta il 22 gennaio 1809, Dell'origine e dell'uffizio della letteratura, davanti a un pubblico
numerosissimo, presente il Monti, che quattro anni innanzi aveva pur parlato eloquentemente da
quella cattedra.
Ma, prima ancora che il Foscolo pronunziasse quella prolusione, la cattedra, insieme con altre, fu
soppressa: conservato ai professori lo stipendio per quell'anno: liberi di fare o no le loro lezioni. Il
Foscolo fece le sue lezioni, che durarono fin al 6 di giugno; e molto si adoperò, forse sperò che la
cattedra gli fosse conservata. Ma come si sarebbe fatta una eccezione per lui, che non aveva
invitato alla prolusione i ministri, e si era rifiutato, nonostante le insistenze anche del Monti, di
fare in essa il solito encomio a Napoleone e quello al principe Vicerè?
Con questo atto il Foscolo rivendicava la libertà delle lettere proclamata dal suo Alfieri e alla quale
si mantenne fedele tutta la vita. Tanto più spiace che neppure in quegli anni il poeta sapesse
imporsi una condotta più rigidamente morale. Pare che troppo approfittasse della onerosità di
amici, come di Ugo Brunetti da Lodi ispettore nell'esercito, e di Paolo Montevecchi, marchigiano,
studente di matematica e suo coinquilino a Pavia. Anche, amico di Paolo Bignami, banchiere a
Milano, amò la moglie di lui Maddalena, che tentò di uccidersi. per salvarsi dai rimproveri del
marito, finalmente indignato. E insieme alla Bignami, o forse subito dopo, amoreggiò con la
Francesca Giovio, di Como, figlia del conte Gian Battista, un letterato e patrizio all'antica, che
voleva un gran bene al Foscolo. Nell'agosto del 1809 il Foscolo però scriveva alla contessina,
pregandola di dimenticarlo e di accettare il marito, che il padre le proponeva: un colonnello, il
barone Vautrè.
Ma, ridotto a vivere a Milano in due stanzucce, con un
assegno annuo di 1000 lire, che egli mandava in gran parte a
Domandò, invano, un
Venezia alla sua famigliuola, il Foscolo espiò duramente la
posto d'ispettore nella
vita spendereccia dell'anno precedente.
pubblica istruzione.
Domandò invano la cattedra - allora istituita a Milano - di eloquenza forense, data a un poetastro
nemico del Foscolo, Angelo Anelli. Ottenne l'umile ufficio di correttore delle traduzioni dei
componimenti teatrali per la compagnia dei commedianti italiani al servizio di S. M. il Re d'Italia. In
quella miseria, che troppo spesso lo metteva in contraddizione con i suoi principi d'indipendenza,
lo colpirono i suoi nemici: tanto più fieri contro di lui, quando alcuni uomini del governo, come il
ministro Vaccari, mostravano di proteggerlo. E gli aizzarono contro il Monti.
L'inimicizia dei due poeti era, in fondo, diversità di tempra morale: opposta concezione dell'ufficio
e della dignità delle lettere. Le occasioni al dissidio furono parecchie. Il Monti dette una volta al
Foscolo la Palingenesi, perchè leggesse, cioè lodasse: il Foscolo tacque. In un articolo pubblicato
nel più serio periodico italiano del tempo, gli Annali di scienze e lettere, il Foscolo disse male dei
versi dell'Arici in morte di Giuseppe Trento; e dell'Arici parlò poco favorevolmente anche in casa
del ministro Venèri, presente il Monti: protettore dell'Arici. Il Foscolo scrisse al Monti una
nobilissima lettera, per chiarire i malintesi. Forse non fu spedita. Ma nulla avrebbe impetrato dal
troppo vanitoso avversario, che del Foscolo parla in qualche lettera di quei tempi con un
linguaggio e in una maniera assolutamente indegna; e lanciò contro di lui un epigramma troppo
più cattivo, che non quello notissimo attribuito al Foscolo.
Ma, ad irritar più universalmente i letterati di mestiere, apparve, negli Annali, un articolo del
Foscolo, ove, riprendendo le mosse, o il pretesto, dalla traduzione pindemontiana dell'Odissea, egli
entrò in campo contro il Salvini, il Baccelli, il Soave, il Ceruti, vecchi traduttori di Omero, e contro
pedanti, e accademici, e ciarlatani. Il principe di quei ciarlatani, il pessimo Urbano Lampredi, nel
Corriere milanese del 15 maggio 1810, stampò una Varietà, canzonando e malignando il Foscolo: e
addosso al Foscolo si scagliarono, e allora e poi, parecchi, e oscuri e magnati delle lettere, e sin
l'editore dei Sepolcri, il Bettoni. E il Foscolo si difese ancor negli Annali, pubblicando il Ragguaglio
di un'adunanza dell'accademia dei Pitagorici, ove l'Araldo, che legge l'articolo del Lampredi, è
interrotto di continuo dagli accademici, che conciano l'autore dell'articolo come meglio o come
peggio non si potrebbe. E contro principalmente il Lampredi e il Monti il Foscolo componeva sin
d'allora la violenta satira dell'Ipercalissi, che avrebbe lanciata al pubblico qualche anno dopo.
Questa volta il Foscolo fu ancora salvato e consolato dall'arte sua. Smesso il pensiero di una
tragedia passionale - Bibli e Cauno -, forse perché seppe che la trattava l'amico suo Gasparinetti,
riprese una tragedia già tramata sin dal dicembre del 1809: l'Ajace. E negli Annali, durante la
composizione di essa, pubblicò un articolo su Gregorio VII, che parve la riabi litazione del
pontificato e fu proibito. Verseggiò la tragedia, con impeto, durante il 1811. Alla Scala (tanta fu
l'affluenza del pubblico, che non sarebbero bastati teatri minori) fu data il 9 dicembre di
quell'anno. Grande l'aspettazione degli amici e de i nemici. Il Foscolo, che assisteva, uscì dopo il
secondo atto. Il Lampredi, durante la rappresentazione, fece correre pel teatro un epigramma:
Qui estinto giace il furibondo Ajace,
Requiescat in pace.
All'atto quinto, il vocativo o Salamini, fece, si dice, nascere quel riso che uccide i drammi. In realtà
il dramma cadde per manco di forza intrinseca. E il poeta sperò indarno in una rivincita a
Venezia. Si videro allusioni a Napoleone. Il dramma fu proibito: i censori sospesi; benchè il
ministro Vaccari stesso avesse mandato la copia ai censori con la sua autorizzazione. Il Foscolo
scrisse al Vicerè una lettera molto remissiva, che in verità dice assai poco, anche più a scolpare i
commedianti, che se stesso. E fu punito blandamente, con un congedo di otto mesi, per ragioni di
salute e d'istruzione.
Fu per qualche mese a Venezia, poi a Belgioioso, ospite di quel principe. Nell'agosto si avviò a
Firenze. Si fermò prima alcuni giorni a Bologna, a visitarvi la contessa Cornelia Barbara
Martinetti, nota alla corte del Beauharnais a Milano, a quella di Napoleone a Parigi, e il cui salotto
vide i più celebri scrittori italiani e stranieri del tempo. Il Foscolo si accese anche di lei, e le
profferse un amore che ella non accettò, e rimase una tenera amicizia.
A Firenze - la città d'Italia che a lui pareva la più italiana - il poeta abitò, dai primi d'aprile del
1813, a Bellosguardo. La Isabella Albrizzi l'aveva presentato per lettera alla contessa d'Albany - la
donna amata dall'Alfieri, e non da lui solo -: e la contessa trattò con ogni cortesia il poeta, che
continuava gli spiriti antifrancesi dell'Alfieri, e suoi. Nel salotto dell'Albany il Foscolo rivide la
Isabella Roncioni, ora Bartolomei, corteggiata dal prefetto Strozzi: e parecchie donne anch'egli
corteggiò, come la Eleonora Nencini. Ma quella che amò non certo più caldamente, ma
nell'amicizia della quale trovò poi conforto nei momenti amarissimi, fu la sanese Quirina Mocenni,
moglie ad un Ferdinando Maggiotti, demente e infermo, da lei piamente vigilato. Il Foscolo, nelle
moltissime lettere che, anche nei più tardi anni, le scrisse, la chiamò costantemente la Donna
gentile, non senza, credo, allusione al nome che Dante dette alla donna, che apparve a confortarlo
dopo la morte di Beatrice. Il Foscolo conobbe la Quirina nell'agosto del 1812: prima trovò in lei
l'amante; assai presto 1'amica, che lo sovvenne, sin d'allora, nei suoi bisogni, e sin d'allora gli
perdonò, generosa, amori sempre più violenti, sempre meno degni, per altre donne.
Riprese e rielaborò il Viaggio
sentimentale dello Sterne,
pubblicandone la versione a Pisa,
Ma l'ambiente fiorentino fu favorevole quanto mai
altro alla produzione del poeta.
nel 1813, con la notizia intorno a Didimo Chierico. Lavorò alla Ricciarda, tragedia tra amorosa e
nazionale, che fu rappresentata a Bologna il 18 settembre 1813, con un esito che sare bbe stato
assai più favorevole, se l'autore, "che fa lo scrittore e non il ciarlatano", non si fosse rifiutato
d'apparire al proscenio: modestia che parve superbia. Forse dopo la Ricciarda attese subito
all'Edipo, di cui non si conosce che un abbozzo parziale in prosa. E a Firenze in gran parte
verseggiò il Carme alle Grazie. La rotta di Lipsia (1814) significava la dissoluzione di quel regno
d'Italia, che al Foscolo pareva ormai regno italiano. Anche, al Vicerè Beauharnais e ai suoi
ministri il Foscolo aveva troppi obblighi. Da Firenze ritornò dunque a Milano, fermo di combattere
per la patria. E al Vicerè chiese di essere riammesso nel servizio attivo dell'esercito. Fu nominato
capitano aggiunto di stato maggiore, al servizio del generale Fontanelli, ministro della guerra.
Dopo l'abdicazione dell'Imperatore, il Foscolo caldeggiò il partito che voleva l'indipendenza del
Regno e il Beauharnais re d'Italia: e sostenne queste idee in un indirizzo al congresso di Parigi,
disteso a nome dei comandanti della guardia civica. Vide e cercò d'impedire l'eccidio del ministro
Prina, con che la plebaglia e il vecchio austriacante patriziato intesero dimostrare la loro ostilità
allo stabilirsi della dinastia dei Beauharnais. Per l'energia spiegata in quei giorni, il Foscolo fu
nominato capobattaglione.
Ma gli Austriaci ritornarono. Il Foscolo, rappresentato come eccitatore della pubblica tranquillità,
si difese presso il Conte Verri, presidente della reggenza, e il maresciallo austriaco Bellegarde, che
mostrò per lui la più grande cortesia. Egli, del resto, s'era tutto raccolto nella lettura dei poeti suoi
e nella traduzione di Omero: convinto che l'Italia, inerme, non poteva più nulla e che non aveva
bisogno che di pace: e con in fondo all'animo, se non già il proposito dell'esilio volontario, almeno
il desiderio di rifugiarsi in una vita di raccoglimento e di studi, a Venezia, dove la madre e la
sorella avevano già affittata per lui una nuova casetta.
In quello stato di perplessità e di apatia, lo vennero a cercare le seduzioni del governo austriaco,
che sarebbe stato felice di trarre alla sua causa lo scrittore che, specie sulle nuove generazioni,
esercitava un fascino potente, e che notariamente aveva avversato il predominio francese. Il
Bellegarde gli propose l'idea di fondare e dirigere un periodico, che, naturalmente, avrebbe dovuto
diffondere fra le classi colte la simpatia per l'Austria. La tentazione era grande: grande il pericolo
di un rifiuto. Il poeta tergiversò; poi accettò di scrivere il disegno e il programma de l periodico.
Pareva che si fosse arreso. Aveva già fatto credere di essersi ordinata l'uniforme militare austriaca,
pel giuramento solenne che doveva darsi il 1 aprile. Ma il cantore dei Sepolcri, il discepolo del
Parini e dell'Alfieri, trovo finalmente la parte migliore di se stesso.
Rinunciava al benessere che
La sera del 30 marzo 1815 il Foscolo partiva
finalmente e stabilmente
nascostamente da Milano, per l'esilio, onde non
avrebbe trovato. Egli, amante del
sarebbe ritornato mai più.
lusso, affrontava, non più
giovanissimo, disagi, umiliazioni, miserie; ma la sua dignità di uomo, di italiano, di scrittore era
salva: la santità delle lettere era attestata col martirio. E pochi giorni dopo esponeva alla
famigliuola sua i motivi ideali di quello che non era affatto un gesto di orgoglio, ma una necessità
di coscienza squisita.
Ramingo per la Svizzera: fu a Lugano, a Roveredo nei Grigioni, a Coira, a San Gallo, a Zurigo.
Quivi conobbe il banchiere Pestalozzi, e amoreggiò con l'isterica moglie (di lui; ma quand'ella non
volle più saperne della corte del poeta, il Foscolo commise un'azione troppo indegna di ogni
galantuomo: rivelò al Pestalozzi la tresca di sua moglie con un Guido Sorelli, maestro d'italiano:
Provò poi un disperato rimorso, che confidò alla Donna gentile.
Più lungamente dimorò a Hottingen, villaggio presso Zurigo, in casa di un pastore protestante.
Conduceva una vita poverissima. Una volta andò attorno per quei villaggi, vendendo i suoi anelli e
cercando di vendere anche l'orologio. Era estremamente avvilito. Ma vegliava su quel vinto la
Donna gentile. Ella si offrì di fargli avere ogni tre mesi una somma, sino a che non potesse
provvedere a sè più largamente. Acquistò i suoi libri lasciati a Milano, e gli fece dal Pellico
mandare la somma, senza scoprire chi aveva comperato quei libri. Tremò di tutte le sofferenze
fisiche e morali dell'amico, compatì a tutte le sue debolezze: contenta, come di un premio
supremo, che il Foscolo le ottenesse, come fece, dall'Albany il suo ritratto dipinto dal Fabre, per
farne tirare una copia. L'Albany naturalmente non amava più il Foscolo. La sua fuga gli era parsa
un gesto di cattivo gusto.
Ma, in quei primi tempi dell'amarissimo esilio, l'anima del Foscolo s'inacerbì. Riprese e ampliò il
Didimi clerici prophetae minimi Hypercalypseos liber singularis: una satira, o libello, in versetti
biblici, sulla maniera dell'Apocalisse: divisa in diciannove capitoli: che sferzano il Lampredi
(Jeromomo) e gli amici suoi, il Paradisi, il Lamberti, il Bettoni, l'Anelli, il pittore Bossi, l'amica e la
protettrice di tutti costoro, la vecchia letterata Annetta Vadori. Anche il Monti vi è deprezzato
come poeta, oltraggiato come marito. Nè mancano giudizii sulla decadenza irrimediabile dell'Italia,
e su Parigi (Babilonia maxima) su Roma (Babilonia perpetua) su Milano (Babilonia minima). Il tutto
sotto nomi così strani, e così oscuri velami, che l'autore aggiunse all'opuscolo una chiave, a
spiegare le allusioni. L'Hypercalipsis fu stampata in pochissimi esemplari destinati agli amici. È
l'unico scritto men che nobile pubblicato dal Foscolo. Un'altra operetta, polemica - almeno nella
mossa iniziale - pensò il Foscolo, contro un libello sulla rivoluzione di Milano del 20 aprile 1814,
che accusava gli indipendenti alla maniera del poeta di essere stati la causa della rovina del regno
d'Italia. Il Foscolo, per risposta tracciò un Discorso sulla rovina del regno d'Italia, che poi trovò uno
sviluppo più adeguato in un Discorso proemiale e in tre Discorsi della servitù d'Italia, pubblicati
però dopo la sua morte. In essi è tutta la professione politica del Foscolo e il suo pessimismo,
saldamente radicato nella storia vecchia d'Italia e nella recente. Anche pubblicò il Foscolo a
Zurigo, il 1816, ma con la falsa data di Londra 1814, una nuova edizione dell'Ortis, con la lettera
contro il Buonaparte, soppressa in tutte le precedenti edizioni meno che nella prima: e nel 15
l'operetta Vestigio della Storia del Sonetto italiano dall'anno 1200 al 1800, che mandava in dono
alla Donna gentile, ultimo saluto a lei, prima di andare in Inghilterra.
Ella conosceva troppo
bene il poeta, per non
intendere che egli
domandava ad una
donna tutto ciò che ella,
non più giovane e non
bella, non poteva dare.
Lo amava troppo, per
imporgli una catena. E
non accettò.
Il Foscolo, per Basilea e Francoforte sul Meno, giunse il 7
settembre 1816 ad Ostenda: di dove si imbarcò per l'Inghilterra.
L'11 settembre era a Londra.
Grandi speranze, in principio; specie da poi che Giuseppe Binda,
un gentiluomo lucchese che dimorava colà, l'ebbe presentato nella
casa di Lord Holland, convegno dei più nobili spiriti. Ma i guai
incominciarono assai presto: cioè le strettezze economiche. Unica
via di guadagno - se non di fortuna - il lavoro letterario, che al
Foscolo pareva un delitto tradurre in industria, e pel quale
mancavano a lui le virtù del metodo e della costanza: per non dire
che, non abbastanza pratico di inglese, doveva prima scrivere in
italiano, né sempre era agevole trovar traduttori della sua difficile prosa. Comunque, tentò presso
editori. Ripubblicò, con poco o punto frutto, l'Ortis, dedicandolo al poeta Roger, che aveva
conosciuto in casa Holland. Incominciò, per l'editore Murray, una serie di lettere sugli Usi, la
letteratura e la storia politica dell'Inghilterra e dell'Italia: che furono poi i frammenti del Gazzettino
del bel mondo, pubblicato postumo. Ma aveva bisogno di danaro subito. I debiti si succedevano ai
debiti. I1 24 maggio 1817 moriva sua madre. L'abbattimento del poeta crebbe a dismisura. Gli
balenò l'idea di stabilirsi al Zante, per vigilare sui tenui interessi che erano già di competenza
della morta. Nel viaggio si sarebbe recato a Firenze. Avrebbe viaggiato coi deputati delle isole Ionie,
venuti a presentare al principe reggente la nuova costituzione. Ma non ne fece nulla, e
raccomandò i suoi affari a quei deputati, tra i quali era un suo cugino, Dionisio Bulzo, che lo
sovvenne con qualche larghezza. Si ritirò a Kensington, avendo a sua disposizione la biblioteca
dello Holland. Lavorò non più per editori, ma per periodici; il compenso poteva essere ben altro e
ben più pronto. Scriveva in francese articoli tradotti subito in inglese. Il primo, sopra Dante, fu
pubblicato nella Rivista di Edimburgo. Gli fu pagato 32 sterline per ogni foglio, invece delle 15
solite. Fu sollecitato a mandare altri articoli sulla letteratura italiana. Il Foscolo vide il benessere,
e lo annunziò con gioia alla Donna gentile. Conto di dare annualmente alle Riviste otto articoli, e
di guadagnare 400 lire sterline, quante gli bisognavano, per vivere in Londra tollerabilmente. Ma
in quell'accensione subita di grandi speranze, pensò ad un'opera gigantesca, a cui non sarebbe
bastata la vita di un uomo, sia pur dell'attività (intermittente, ma intensissima) del Foscolo:
pubblicare in 36 volumi i classici italiani, con biografia, introduzione sui tempi dell'autore ,
collezione dei testi, e tutto insomma quell'apparato storico e filologico che doveva illustrare
l'autore, collocandolo nella sua età: secondo la maniera generosa di critica, che il Foscolo voleva
appunto iniziare. Fra pochi anni si riprometteva un capitale di 10.000 lire sterline. Bastava
trovare 560 associati. Qui era appunto il difficile. Ma pieno di questa futura ricchezza, e persuaso
che in Inghilterra non merita nessuna fiducia il letterato che è - o apparisce - povero, il Foscolo
incominciò a sfoggiare. Affittò una villa a Mouisey, la montò riccamente, volle carrozza e cocchiere.
Iohn Cam Hobhouse, uomo di stato, amico del Byron, volendo, a commento del canto quarto del
Giovane Aroldo, dare un brevissimo saggio della letteratura italiana contemporanea, si rivolse al
Foscolo, che aveva conosciuto nel principio del 1818. Comparve il Saggio sulla letteratura italiana
piena di aneddoti irriverenti e di notizie inesatte su scrittori italiani del tempo; ma grandi lodi
erano fatte al Foscolo. Lo scandalo in Italia fu grande.
L'Hobhouse ammise, a sua discolpa, che il saggio era del Foscolo. Il Foscolo negò recisamente,
segnatamente in una lettera del 30 settembre 1818 al Pellico. E davvero pare impossibile sia cosa
di lui, anche se è probabile che egli abbia dato all'Hobhouse notizie e materiale. Così egli si ruppe
con l'amico; perdendo le 50 sterline al mese da lui promessegli, a patto di preparare i documenti
sulle ultime rivoluzioni italiane. E intanto il Foscolo aveva trascurato di scrivere altri articoli per le
riviste, interrotta, appena sul principio, la sua edizione dei classici: e ripiombava nella temuta
povertà; anzi, non ne usciva affatto. E tuttavia continuava, come poteva, a pagare la casa in
campagna, e anche aveva un appartamento in città; come Leopoldo Cicognara, recatosi a Londra,
scriveva alla Donna gentile. Vero è che in città era ritornato, a causa dell'ultimo e più ardente
forse dei suoi amori. Intimo della famiglia Russell, si innamorò della giovinetta Carolina, a cui
parlava di lettere italiane e di preferenza commentava il Petrarca. Quando, con la famiglia, la
signorina si recò in Isvizzera e rimase lungamente a Losanna presso una sorella ammalata, il
Foscolo le scrisse lettere piene di passione. Ma la Carolina non potè mai offrire al poeta più che
dell'amicizia, né sempre calda. E nel principio del '20 la relazione, durata quasi due anni, si
troncò.
Rimasero, documento delle letture e conversazioni petrarchesche con la giovinetta indarno amata,
i Saggi sul Petrarca, composti già nel 20, pu bblicati nel 21, in una edizione di gran lusso in soli 12
esemplari. Su quello che ritenne per sè e su quello destinato a Carolina, il Foscolo scrisse l'ode in
inglese a Calliroe, con innanzi l'epigrafe miltoniana. "La sua forma era velata. Ma all'estatico mio
sguardo Amore, Dolcezza, Bontà splendevano nella sua persona. Ahimè! Mi svegliai"!
Si svegliò, nella prosa di una vita vuota oramai di ogni
lusinga. Si buttò al lavoro. Pubblico dal Murray la
Continuò nella versione di Omero,
Ricciarda, sperando in un guadagno che si tradusse in
e il terzo libro mandò a Gino
un debito.
Capponi, che lo pubblicò nella
Antologia di Firenze. Scrisse - e talvolta tirò giù - molti articoli letterari e storici per periodici
inglesi. Dai quali lavori ingrati e non tutti da lui, si ritraeva a comporre un'opera di più solidità, di
più eloquenza, di più nobiltà: la storia degli eventi riguardanti la cessione di Parga ai Turchi, che
voleva esse re una apologia di quel piccolo ed eroico popolo tradito, e un atto di accusa contro il
governo britannico, che aveva sopportato la iniquità. Annunziato già nel 20, dall'editore Murray,
come di prossima pubblicazione, il libro non comparve poi più, e uscì solo molti anni dopo la
morte del poeta, tradotto in italiano da Scipione Emiliani Giudici. Corse, in Italia, la voce
calunniosa che il Foscolo si fosse fatto pagare dal governo inglese il suo silenzio. Egli affermò che
non volle pubblicare il libro, per non comprometter gli amici, che gli avevano comunicati i
documenti. Forse, depresso più che mai dal lavoro ingrato e dalle angustie economiche, non trovò
più il coraggio di affrontar le ire del Governo (che già contro il breve saggio foscoliano su Parga
pubblicato nella Edimburgh Review, faceva inserire, nella Quarterly, una diatriba minacciosa) e di
esulare anche da quella terra, che pur l'aveva sì generosamente accolto. Ma nel 1822 Ugo ritrovò
la sua figliuola naturale, natagli in Fiandra: la madre era passata a nozze: e la piccola affidata ad
una sua nonna, che ora, morendo, le lasciava in legato circa 3000 lire sterline, investite in terreni
e in tre villette. Si chiamava Floriana: aveva diciassette anni: era bella: mitissima. Il padre, che
forse appena sapeva della sua esistenza, dovette essere anche più esaltato che commosso. Sognò
un suo vecchio sogno e che questa volta pareva realtà: una vita serena, un tramonto sereno, da
artista e da studioso, in una casa propria. E subito si dette - sulla dote della figliuola - a costruire
una villa, cui pose nome Digamma-Cottage (dal titolo di un suo lunghissimo e travagliosissimo
saggio sul Digamma Eolico, che l'inglese Bentley aveva mostrato quanto importasse alla
ricostruzione della metrica del testo omerico). L'ammobiliò ed arredò signorilmente: volle uomini e
donne al suo servizio: e per cagione d'una di esse ebbe un duello alla pistola con un certo
Graham, traduttore dei suoi articoli. Ma i debiti erano cresciuti a dismisura nella fabbrica e
nell'arredamento de l Digamma-Cottage. Il Foscolo non si era ancora installato che già, in mezzo al
lusso apparente, si sentiva circondato e strozzato dalla miseria. S'affrettò a pubblicare, nel 1823,
dal Murray i Saggi sul Petrarca (in un'edizione più completa della precedente), con l'intento di
inserire poi su tutte le gazzette di Londra che l'autore di quei saggi era disposto a dar lezioni di
lingua e letteratura italiana, in casa di chiunque lo volesse chiamare.
Lady Dacre, a cui il poeta faceva
questa desolante confidenza, lo sovvenne,
facendogli tenere un
corso di letteratura italiana a
pagamento per sottoscrizione
Al Foscolo parve umiliazione
intollerabile quel parlare ad un
pubblico, che veniva a udire, o a
vedere l'uomo celebre ridotto alla
povertà, non già ad ascoltare la parola del pensatore. Pure accettò; e i sottoscrittori furono molti.
Ma il provento non bastò a nulla. Nuove angosce, nuovi tormenti. Nell'ottobre di quell'anno, 1823,
Ugo scriveva alla sorella Rubina di esser costretto a lavorare sino a quattordici ore al giorno, e a
nutrirsi di solo riso. Lady Dacre lo scongiurava alle economie. All'economia lo scongiurava il
generale Santorre Santarosa, che dimorava da più tempo esule in Londra. Quando egli, il 2 marzo
del 24, si reco per salutarlo l'ultima volta, trovò sua figlia; non lui. Egli si era nascosto; poichè i
creditori avevano fatto spiccar contro di lui un mandato d'arresto. La villa e i mobili furono messi
all'asta.
Il 24 novembre del 1824 il Foscolo fu, pare, arrestato. Da allora la sua vita fu tutta una lotta per
isfuggire ai creditori, o per calmarli in parte, e un lavoro disperato, in cui impiegava tutte le ore
del giorno; riservandosi la notte a scorrere i libri da consultare. Ruppe ogni legame cogli amici
inglesi e più cogli Italiani, anche più maligni che curiosi. Mutò nome; e perchè non si sapesse che
il miserabile randagio era Ugo Foscolo, e perchè bisognava sfuggire ai creditori, alle calcagna
sempre. Si fece chiamare prima Mr. Merriat; poi, facendo suo il cognome della figliuola tapinante
con lui, Mr. Emerith. Cambiò domicilio, spessissimo. Ora fu in campagna, a Totteridge Hertz; ora
di nuovo in Londra, d'uno in altro dei quartieri più poveri. Dette lezioni private a condizioni le più
modeste; e nei giorni più duri andò persino attorno vendendo ad uno ad uno i suoi libri, eccettuati
Dante ed Omero; e una volta fu preso per uno spacciatore di libri rubati. Eppure, in quelle
strettezze estreme, il Foscolo condusse avanti il più meraviglioso, per densità di pensiero, per
dovizia di dottrina, per originalità di vedute, dei suoi lavori critici: il Discorso sul testo della Divina
Commedia (1825), cioè il primo volume dei quattro, in cui 1'editore Pickering avrebbe pubblicato
Dante: compenso alla pubblicazione totale 1200 sterline, ipotecate senza più ai creditori: 4
sterline ogni settimana durante il lavoro. Il Pickering venne meno ai patti: e il Foscolo negò il
manoscritto degli altri volumi, anche perchè si lusingava di poter rifare tutto secondo il disegno
suo primitivo, molto più ampio; essendo suo ardente desiderio, come si esprimeva in una lettera
al Capponi del 26 settembre 1826, che gli Italiani vedessero finalmente quanto egli aveva sentito
addentro nel maggior loro poeta.
Nè le sventure fiaccarono l'uomo. Rari i lamenti nelle lettere di questi miserrimi anni; alta, virile
più che mai la filosofia, che pervade gli scritti letterari. Si direbbe che in quella durissima vita il
Foscolo provi come una gioia di espiazione. E in quella solitudine gli sovvenne più che mai
l'amicizia dei buoni. Se un esule come lui, Giovanni Berra, suo copista, rivelò per danaro il suo
domicilio, un altro esule, Fortunato Prandi, gli faceva da intermediario con editori e direttori di
periodici: Francesco Manni, già profugo in Francia e ora, a 66 anni, in Inghilterra, maestro di
lingue, gli offrì tutti i suoi servigi, in compenso dell'avergli il Foscolo, in tempi più lieti, trovate
delle lezioni. E molto si affezionò al poeta, in quegli anni, il gentiluomo Hudson Gurney, a cui il
Foscolo dedicò, grato, il discorso dantesco. A lui dovette, se potè abbandonare l'orrendo quartiere
di S. Giles e trasferirsi in Henriette Street, ottenendo, pel cambiamento d'aria, una qualche tregua
alla febbre biliosa, che lo travagliava da più tempo.
Pensò un'ultima volta di ritornare al Zante. Lì avrebbe tenuto
volentieri, perchè compreso ed amato, quelle lezioni di
letteratura, che in Inghilterra faceva suo malgrado.
Avrebbe condotto a fine i
suoi lavori, che poi in
Inghilterra gli sarebbero
stati pagati convenientemente. E già pregava il cugino Bulzo di fermargli una casa colà. Sarebbe
partito, appena avesse i danari. In realtà quella sete di riposo ultimo e di pace era stanchezza
estrema. Il Foscolo non poteva oramai lavorare più. E la infiammazione del fegato e degli intestini
incrudiva. Oramai non si sentiva in grado che di dar lezioni ai giovanetti: di greco, di latino, di
italiano. Ma anche questo umile lavoro mancava. Forse l'unico guadagno nell'ultimo anno della
sua vita gli venne dal Pickering, che, riaccordatosi con lui, ottenne i rimanenti volumi danteschi e
gli pagò lire sterline 167. Ma sin da l dicembre 1826, o per nascondersi o per riprender salute, il
Foscolo si era stabilito nel villaggio di Turnham Green, a Bohemian House: frequentatovi da
pochissimi, il Manni, il dottor Negri, Giulio Rossi, il canonico Miguel Riego. I suoi ammiratori, fra i
quali il poeta Campbell, si adoperarono, perché ottenesse in Londra una cattedra universitaria di
letteratura italiana. Ma il Foscolo rimaneva indifferente: e compilava, con l'amico Giulio Rossi,
una Antologia inglese dei poeti italiani. Nell'agosto del 1827, lord Hudson Gurney seppe della
abitazione del poeta e si recò a visitarlo. Lo trovò a letto, enfiato dall'idropisia, e stoicamente forte
contro il male. Altri amici inglesi accorsero, benefici: lord Russell fra gli altri. L'infermo fu operato
due volte. La seconda, la molta acqua levatagli lo prostrò talmente, che rimase senza coscienza, o
quasi: né potè riconoscere il Conte Capo d'Istria, che egli aveva desiderato di rivedere, per
raccomandargli forse i suoi tenui interessi al Zante. Morì la sera del 10 settembre 1827. Un
biglietto tracciato per la figlia mostra che, anche presso l'agonia, lo stringeva la preoccupazione
economica, ed era lieto (pare) di aver soddisfatto i suoi debiti. I1 18 settembre fu sepolto nel
cimitero di Chiswick: cinque soli amici ve l'accompagnarono: il Riego, il Manni, il Negri, il generale
Demuster, Edward Roscoe. Fu aperta, dalla Litterary Chronicle, una sottoscrizione per la tomba
del poeta; ma non fruttò molto. Il Gurney fece porre lui, più tardi, sulla fossa una lapide, con le
indicazioni del giorno di morte e del numero degli anni. E poi sostituì la lapide, con una piccola
tomba in forma di altare. Nel 1871 le reliquie del poeta furono trasferite a Firenze, nel tempio delle
glorie italiane, da lui esaltato con versi immortali: in Santa Croce. Floriana fu affidata alla tutela
del canonico Riego; sovvenuta dal Gurney e da altri. Morì di mal di petto, quando non si sa, ma
pochi anni dopo il padre. Ella lasciò tutti i manoscritti paterni al Riego, che li vendette nel 1835 al
Capponi, a Enrico Mayer e a Pietro Bastogi. Nel 1844 passarono alla biblioteca Labronica a
Livorno (1).
Le virtù erano
Il Foscolo fu uomo di "vizii ricco e di virtù", come si definì egli stesso.
nel suo profondo,
i vizii apparivano nella sua vita esteriore, agli occhi di tutti: e chi si fermò a questa deplorò e
detestò l'uomo, che destò invece indomiti e tenaci amori in chi visse vicino all'anima sua. - Il
Foscolo fu nel medesimo tempo: violento e tenerissimo: facile agli amori non tutti nobili, e pur
cultore e ammiratore della verecondia; pronto alla collera, ma anche più pronto a dimenticare e a
disprezzare; e professò che la pietà è la più umana e più sociale delle virtù.
Certo, noi vorremmo che alcune macchie non apparissero nella storia di quell'uomo. Amò troppe
donne, anche se nell'amore egli cercava l'esaltazione dello spi rito, assai più e meglio che
l'appagamento dei sensi. Fu dedito al giuoco. Contrasse debiti molti. Piatì troppo spesso per
aumenti di paghe. Fece spese troppo superiori alle entrate. Ma egli, come tanti poeti moderni,
come il Byron, il Lamartine, il Chateaubriand e qualche famoso contemporaneo, provò forse
quell'invincibile bisogno della ricchezza e dello splendore, senza di che può apparire inanimata la
stessa bellezza. E bisogna infine collocare il poeta nell'età sua, per intenderne, cioè per valutarne
anche la figura morale. Ogni individuo volle vivere ed affermarsi negli anni della Rivoluzione e
dell'Impero. L'adattamento alla mediocrità della vita e alla necessità delle cose sarebbe venuta poi.
E il Foscolo fu un prepotente individuo, che volle vivere sino al punto culminante la sua vita, anzi
le sue molte vite. Il giovinetto tribuno, che a Venezia declamava i suoi versi rivoluzionarj avvolto in
un mantello logoro e stinto, sarebbe stato l'ufficiale che in Genova, durante l'assedio, si nutriva di
pane nero e dormiva sulla paglia, come i suoi soldati. Ma anche sarebbe stato l'ufficiale elegante e
mondano, che faceva all'amore colle più belle donne, anche se mogli de' suoi superiori: e il
professore di eloquenza, che credeva giusto che anche gli uomini della cattedra avessero una bella
e comoda casa, da quanto i negozianti e i proprietari: e lo scrittore, credeva diritto e dovere di
essere ricco anche lui, o almeno di apparirlo. L'intemperanza è perciò la caratteristica del Foscolo:
un Foscolo senza quella intemperanza non sarebbe più lui. Era la caratteristica anche del suo
Alfieri, né gli sarebbe rimproverata, se avesse goduto le rendite dell'Alfieri. Del quale egli serbò
intatto, con eroicità di sacrificio l'alto concetto della indipendenza delle lettere e dello scrittore: sia
dall'impero della folla rivoluzionaria, come dal cenno di Napoleone e dalle insidie dell'Austria. Il
Foscolo non scrisse forse mai una sola pagina, di cui avesse ad arrossire o a pentirsi poi: non una
sola pagina sacrificò al suo convincimento, alla sua coscienza. Dissimulare dovette qualche volta,
simulare non volle mai.
Perciò il Foscolo vero è tutto nel Foscolo scrittore. E la grandezza e l'austerità dello scrittore è
tanta, da far dimenticare le debolezze dell'uomo.
I dati di fatto sulla vita del Foscolo ho preso in piccola parte dalla vecchia vita del Foscolo, che il CARRER
premise all'edizione delle opere foscoliane, di Venezia, del 1842, e in parte assai maggiore dalla diligentissima
vita, che del Foscolo scrisse G. CHIARINI (F irenze, Barbera, 1910). Non però condivido sempre i giudizii che
dell'uomo recano questi due biografi, l'uno troppo facile panegirista, l'altro troppo rigido censore. Molto utilmente
è stata ristampata da P. Tommasini-Mattiucci (Città di Castello, 1915) la più vecchia delle vite del Foscolo,
quella scritta il 1830 da Giuseppe Pecchio, che conobbe il poeta, qua e là ostile; ma, negli spiriti dello scrittore, il
Pecchio penetra molto bene talvolta, e molto bene rappresenta il mondo ideale e reale, in cui il poeta si mosse.
in: L'Opera di Ugo Foscolo, esposta ai giovani da Eugenio Donadoni, Napoli, Francesco
Perrella società anonima editrice. Edizione elettronica di Giuseppe Bonghi del 20/04/1999
Consigliamo vivamente ai lettori il sito http://www.classicitaliani.it
FRAMMENTI DELLE GRAZIE, IN UN SOLO INNO
Dal ms. di Valenciennes p. 19
Cantando, o Grazie, degli eterei pregi
Di che il cielo v'adorna, o della gioja
Che vereconde voi date alla terra,
Volan temprati armonïosi i versi
Del peregrino suono uno e diverso
Di tre favelle. Al nome vostro, o Dive,
Io mi veggio d'intorno errar l'incenso
Qual si spandea su l'are agl'inni arcani
D'Anfïone: presente odo il nitrito
De' destrieri dircei; benchè Ippocrene
Li dissetasse, e li pascea dell'aure
Eolo, e prenunzia un'aquila volava
E de' suoi freni li adornava il Sole.
Pur que' vaganti Pindaro contenne
Presso Orcomeno, ed adorò le Grazie;
E delle Grazie al nome, un lazio carme
Vien sonando imenei dall'isoletta
Di Sirmione per l'argenteo Garda
Fremente con l'altera onda marina,
Da che lo nozze di Peleo cantate
Nella reggia del mar, l'aureo Catullo
Al suo Garda cantò. Sacri poeti,
A me date voi l'arte, a me de' vostri
Idiomi gli spirti, e con gli etruschi
Modi seguaci adornerò più ardito
Le note istorie, e quelle onde a me Clio
Dal santuario suo fassi cortese.
E tuo, Canova, è l'inno: al cor men fece
Dono la bella Dea che in riva d'Arno
Sacrasti alle tranquillo arti custode:
Ed ella d'immortal lume e d'ambrosia
La santa immago sua tutta precinse.
Forse (o ch'io spero), o artefice di Numi,
Nuovo meco darai spirto allo Grazie
Che di tua man sorgon dal marmo: anch'io
Pingo e di vita i simulacri adorno;
Sdegno il verso che suona e che non crea;
Perchè Febo mi disse: Io Fidia primo
Ed Apelle guidai con la mia lira.
Eran l'Olimpo, e il Fulminante e i Fati
E del tridente enosigeo tremava
La genitrice terra; Amor dagli astri
Pluto feria: nè ancor v'eran le Grazie.
Una Diva correa lungo il creato
Ad agitarlo, e di Natura avea
L'austero nome: fra' celesti or gode
Di cento troni, e con più nomi ed are
Le dan rito i mortali; e più le giova
L'inno che bella Citerea la invoca.
Perchè clemente a noi che mirò afflitti
Travagliarci e adirati, un dì la santa
Diva, all'uscir de' flutti ove s'immerse
A fecondar le gregge di Nereo,
Apparì con le Grazie; e le raccolse
L'onda jonia primiera, onda che amica
Del lito ameno e dell'ospite musco
Da Citera ogni dì vien desiosa
A' materni miei colli: ivi fanciullo
La Deità dì Venere adorai.
Salve Zacinto! all'antenoreo prode,
De' santi Lari Idei ultimo albergo
E de' miei padri, darò i carmi e l'ossa,
E a te il pensier, chè piamente a queste
Dee non favella chi la patria obblia.
Tacea, splendido il mar poi che sostenne
Su la conchiglia assise e vezzeggiate
Dalla Diva le Grazie; e a sommo il flutto,
Quante alla prima prima aura di Zefiro
Le frotte delle vaghe api prorompono,
E più e più succedenti invide ronzano
A far lunghi di sè aerei grappoli,
Van aliando su' nettarei calici,
E del mèle futuro in cor s'allegrano,
Tante a fior de l'immensa onda beata
Ardian mostrarsi a mezzo il petto ignude
Le amabili Nereidi oceanine;
E a drappelli agilissime seguendo
La Gioja, alata degli Dei foriera,
Gittavan perle, delle rosee Grazie
Il bacio le Nereidi sospirando.
Tosto che l'orme della Diva e il riso
Delle vergini sue fer di Citera
Sacro il lito, un'ignota violetta
Spuntò a' pie' de' cipressi; e d'improvviso
Molte purpuree rose amabilmente
Si conversero in candide. Fu quindi
Religione di libar col latte
Cinto di bianche rose, e cantar gl'inni
Sotto a' cipressi, e d'offerire all'ara
Il bel fioretto messagger d'Aprile.
Già bello è Aprile. Or negli aerei poggi
Di Bellosguardo, ov'io cinta d'un fonte
Limpido alle tranquille ombre di mille
Giovinetti cipressi alle tre Dive
L'ara inalzo, e un fatidico laureto
In cui men verde serpeggia la vite
La protegge di tempio, e coronato
Canto, venite a me d'intorno, o sacri
Nel penetrale della Dea pensosa
Giovinetti d'Esperia. Era più lieta
Uranìa un dì quando le Grazie a lei
L'azzurro peplo ornavano. Con elle
Qui Galileo sedeva a spiar l'astro
Della loro regina; e il disviava
Col notturno rumor l'acqua remota
Che sotto i pioppi, amiche ombre dell'Arno,
Furtiva e argentea gli volava al guardo.
Qui a lui l'alba la luna e il sol mostrava
Gareggiando dal cielo, or le severe
Nubi su la cerulea alpe sedenti,
Or il piano che fugge alle tirrene
Nereidi, immensa di città e di vigne
Scena e di templi e d'arator beati,
Or cento colli onde Apennin corona
D'ulivi e d'antri e di marmoree ville
L'elegante città, dove con Flora
Le Grazie han serti e amabile idioma
Tre vaghissime donne a cui le trecce
Infiora di perenni itale rose
Giovinezza, e per cui splende più bello
Sul lor sembiante il giorno, all'ara vostra
Sacerdotesse, o care Grazie, io guido.
Leggiadramente d'un ornato ostello,
Che a lei d'Arno futura abitatrice
I pennelli posando edificava
Il bel fabbro d'Urbino, esce la prima
Vaga mortale, e siede all'ara, e il bisso
Liberale acconse nte ogni contorno
Di sue membra eleganti e fra il candore
Delle dita s'avvivano le rose,
Mentre accanto al suo petto agita l'arpa.
Scoppian dall'inquiete aeree fila,
Come raggio di sol rotti dal nembo,
Gioja insieme e pietà, poi che sonanti
Rimembran come il ciel l'uomo concesse
Al diletto e agli affanni, onde gli sia
Temprato e vario di sua vita il volo,
E come alla virtù guidi il dolore,
E il sorriso o il sospiro errin sul labbro
Delle Grazie, e a chi son fauste e presenti
Dolce in core ei s'allegri, e dolce gema.
Pari un concento, se pur vera è fama,
Un dì Aspasia tessea lungo l'Ilisso:
Era allor delle Dee sacerdotessa,
E intento al suono Socrate libava
Sorridente a quell'ara, e col pensiero
Quasi al sereno dell'Olimpo alzossi.
Quinci il veglio mirò correre obbliquo
....................
Daranno a voi dolor novello i fitti
E gioja eterna. E sparve, e trasvolava
Due primi cieli, e si cingea del puro
Lume dell'astro suo. L'udì Armonia
E giubilando l'etere commosse.
Chè quando Citerea torna a' beati
Cori, Armonia su per le vie stellate
Move plauso alla Dea pel cui favore
Temprò un dì l'universo . . . . .
Non rende suono che tant'alto arrivi;
Ben tu, donna dell'arpa, oggi potrai
. . . . l'inno. Udite or coli divoto
Silenzio, o alunni di quest'ara, udite.
Già del piè delle dita e dell'errante
Estro, e degli occhi vigili alle corde
Ispirata sollecita le note
Che pingon come l'Armonia diè moto
Agli astri all'onda eterea e alla natante
Terra per l'oceàno e come franse
L'uniforme creato in mille volti
Coi raggi e l'ombre e il ricongiunse in uno,
E i suoni all'aere, e diè i colori al Sole,
E l'alterno continuo tenore
Alla Fortuna agitatrice e al Tempo,
Sì che le cose dissonando insieme
Rendean concento all'armonia del mondo.
Come quando più gaio Euro provoca
Su l'alba il queto Lario, e a quel susurro
Canta il nocchiero, e allegransi i propinqui
Liuti, e molle il flauto si duole
D'innamorati giovani e di ninfe
Su le gondole erranti; e dalle sponde,
Lietissimo specchiandosi nell'onde,
Risponde il pastorel con la sua piva;
Per entro i colli rintronano i corni
Terror del cavriol, mentre in cadenza
Di Lecco il malleo domator del bronzo
Tuona dagli antri ardenti; stupefatto
Perde le reti il pescatore, ed ode:
Tal diffuso dell'arpa erra il concento
Per la nostra convalle; e mentre posa
La sonatrice, ancora odono i colli.
Or le recate, o vergini, i canestri
E le rose e gli allori, a cui paterni
Nell'ombrifero Pitti irrigatori
Son gli etruschi Silvani, a far più vago
Il giovin seno alle mortali etrusche,
Emule d'avvenenza e di ghirlande
Soave danno al pellegrin se innoltra
Improvviso ne' lucidi teatri,
E quell'intenta voluttà del canto
Ed errare un desio dolce d'amore
Mira ne' volti femminili, e l'aura
Piena di fiori gli confonde il core.
Re cate insieme, o vergini, le conche
De l'alabastro provvide di fresca
Linfa e di vita ahi breve! ai montanini
Gelsomini, e alla mammola dogliosa
Di non morir sul crine alle fuggiasche
Oreadi di Fiesole, e compianta
Dal solitario venticel notturno.
Dato il rustico giglio, e se men alte
Ha le forme fraterne, il manto veste
Degli amaranti inviolato; unite
Aurei giacinti e azzurri alle giunchiglie
Di Bellosguardo, che all'amante suo
Coglie Pomona, e a' garofani arditi
Delle pompe diverse e del legnaggio
E i mille fior che a' . . . . dell'Aurora
Novella preda a’ nostri liti addussero
Vittorïosi i Zefiri su l'ale,
E or fra' cedri al suo talamo imminenti
D'ospite amore e di tepori industri
Questa gentil sacerdotessa allegra.
...................
Come se a' raggi d'Espero amorosi
Fuor d'una mirtea macchia escon secrete
Due tortorelle mormorando a' baci,
Guata dall'ombra l'upupa e sen duole,
Fuggono quelle paurose al bosco;
Così le Grazie si fuggian tremando
Fu lor ventura che Minerva allora
Salia que' gioghi, e ritorceva i passi
Dagli stolti Lapiti, che di stragi
Profanavan le . . . . e i venerandi
Genii ospitali, e gl'imenei. S'accorse
Del terror delle Dive, e dietro a un'alta
Rupe il cocchio depose, e le sue quattro
Leonine polledre: a queste in guardia
Diè l'elmo orrendo e l'egida e lo scudo,
E inerme agli occhi delle Grazie apparve.
Narraron esse il lutto, ed a riparo
Delle vendette del fratello, e in merto
De' grazïosi cinti e de' monili
E de' be' nodi onde sovente il crine
Avean trecciato delle olimpie spose,
Chiesero a Palla che impetrasse in cielo
Di Citerea l'ajuto. Sorridendo
La Dea rispose: Al mar scendete e liete
Adorate la madre, e un dono mio
Poscia attendete. Così detto, al corso
Diè la quadriga, e la rattenne a un'alta
Reggia che al par d'Atene ebbe già cara:
Or questa sola alberga ora che i Fati
Non lasciano ad Atene altro che il nome.
...................
Attenuando gli apollinei rai
Volgeano i fusi lucidi le nude
Ore e del volo distendean l'ordito.
Venner le Parche di violacei pepli
Velate e il crin di quercia, e d'una trama
Raggiante adamantina al par dell'etere
Fluidissima docile al lavoro
...................
Belle vergini, addio. Se da' materni
Giardini achei vi manda esuli il fato,
Sievi dolce a membrar che un d'i per voi
Fu salva Italia, e vi fu ingrata e cara.
Sievi patria seconda. Io, finchè intatti
Verdeggieran di Bellosguardo i lauri,
Ne farò volta al mio tempietto, e offerta
Di quanti pomi educa l'anno, e quante
Fragranze ama destar l'alba d'aprile.
Qui il fonte e la secreta ara e i cipressi
E l'aure e l'ombre vi fien sacre e l'arti
Eternatrici l'armonia divina
Di che passando, o amabili n'empiete
Melodïosi i Zefiri; e di rosei
Lumi e al guardo soavi, e di contorni
Eleganti le forme, e di gentile
Foco gli atti, gli accenti e le pupille
Vi piaccia ornar dell'itale fanciulle.
lo fra’ lor coronato e fra' garzoni
All'Ausonia dirò come voi foste
Sue benefiche Dee, sì che più grata
In più splendida reggia e coli sole nni
Pompe alfine v'adori; e s'oggi apriste,
In chi l'udiva, grazïoso il core
Al vagante inno mio, non verrà solo.
Mira Canova, e la bellezza e il vivo
Spirar de' vezzi nelle tre ministre,
Che all'arpa io guido a' serti e alle carole,
Vedrai qui al certo; e tu potrai lasciarle
Immortali fra noi, pria che all'Eliso
Su l'ali occulte fuggano degli anni.
RATIO - di Luciano Nanni
“Se mai in questo libro può esserci una morale non può certo dare luogo ad alcuna messa
in pratica.”
Francesco Mondrino. ( Panda Edizioni, 2005)
L.Nanni, scrittore e critico letterario (Bologna, 1937).Coordina la redazione del trimestrale Punto di Vista
([email protected] /WWW.LITERARY.IT) per il quale tiene rubriche di metrica e linguistica. Ha pubblicato: La
città profonda (racconti), Abaddon (racconti), Musica strumentale da camera / da Stradella a Stockhausen,
Glossario di metrica italiana, Corpus e altri racconti. I suoi racconti fanno parte di un progetto
complessivo la cui dimensione onirica entra in luoghi reali (Bologna, Padova, l’Appennino toscoemiliano).
Alda Merini
Italia
Sete perenne
Vino, gagliardo come la dea ragione.
In te l’idea si fa suono e
si colora il Mito.
Appaiono vestali tinte di giada,
il periplo del canto si snoda in
veli che ricordano l’anima.
O vino che canti il mio dolore,
vino che sei il precipizio estremo,
vino che dai l’illusione della morte e
fai solo dormire
fino al nuovo dolore.
Gladys Sica
Argentina
C’è
C’è un osceno bagliore
Dentro questi illusori mesi.
Aggiunge mistero al mistero
Un eco d’inaccessibili mari.
E’ il maggior dovere vivere.
C’è una zona di luce nel dolore,
nella notte delle nostre notti.
Ritornano alla mia anima
Le acque rosse del quadro
Con una forza che non è solo mia.
C’è una domanda che domanda sempre
In quest’errante universo
Fatto di dei e d’astri,
di cuori, mani ed uccelli.
C’è un’attesa che ci aspetta
E c’è una possibilità impossibile.
C’è una zona d’ombra nell’allegria,
nella mattina delle nostre mattine.
C’è.
Consigliamo vivamente ai le ttori il MENsile saTIRico umoRIStico
Brontolo
e cultURALe
FONdato e DIRetto da Nello Tortora
Red. Via Margotta, 18 – 84127 Salerno- [email protected]
Nello Tortora
Italia
Ammore mio Busciardo
Canta si vuò cantà,
ma cagna ‘stu mutivo!…
se po’ sentì ‘sta lagna
che cante ogne matina:
“T’ho giuro, ammore mio,
t’ho giuro, maje nisciuno
c’è stato primma ‘e te!”?
Consigliamo vivamente ai lettori
LA COLPA DI SCRIVERE
trimestrale di letteratura de Il Musagete diretto da Bonifacio Vincenzi
Red. Via Manzoni, 6 –87072 Francavilla Marittima (CS)
[email protected]
Da
SARDEGNA NEL CUORE
Maria Luisa Congiu, Giuliano Marongiu, Teresa Fantasia e Tiziana Treppo in diretta
Estratto dall’ ultimo programma
Teresa Fantasia
“A parlarci con entusiasmo della bellezza delle canzoni di Maria Luisa é stato proprio il direttore di
Radio Planargia Don Paolino Fancello, durante la sua ultima visita alla nostra trasmisione radio.
Oggi, grazie ai contatti via mail con Pasqualino Puligheddu; abbiamo il piacere di avere come
ospite Maria Luisa Congiu, giovane cantautrice sarda di talento, nata a Roma da genitori originari
di Oliena, bel luogo sardo. Da bambina Maria vi trascorreva le vacanze; lì s’ é innamorata
dell'Isola e della musica sarda.
TF. I nostri ascoltatori hanno potuto apprezzare la tua voce alla messa in onda di “Abbagiara” del
Duo di Oliena, che ci ha inviato Lucio Mura, l’amico sassarese collaboratore della nostra
trasmissione. E di altri tuoi brani tratti dal CD che ci ha inviato Radio Planargia . Le tue canzoni
sono piaciute molto; ciò che piú mi ha colpito è che i testi sono stati scritti da te.
MLC.Si, la maggior parte di testi e anche delle musiche. Cerco di mettere in carta e musica ció che
succede ogni giorno, gli avvenimenti che possono capitare a tutti; piú o meno belli.
TF. traspare un grande amore per la Sardegna, anche se sei nata a Roma.
MLC. Sono nata a Roma da babbo emigrato; é chiaro che ho particolarmente a cuore la situazione di
tutti i sardi che vivono fuori dell’isola .
TF.Dopo il successo del Duo di Oliena ci arriva questa nuova sfida; il tuo album da solista
Arveschida, in collaborazione con Franceschino Demuru.
MLC.Ho sempre sostenuto che l’unione fa la forza e che gli artisti dovrebbero collaborare uniti al fine
d’ accontentare di piú le persone che li seguono e li ascoltano. La collaborazione con il Duo di Oliena
si é chiusa per darne vita a nuove con Francesco Demuru, seguita da quella con Giuliano
Marongiu,con Antonio Porcu,con il coro Orolache e altre formazioni.
TF. Tiziana Treppo, che non é sarda ma di Udine; vuole farti qualche domanda
TT. Cosa hai in preparazione adesso, Maria Luisa?
MLC. Entro un mese saranno pronti altri lavori.Sto preparando il volume 2 di Sardinia Remix ,un
disco di musica sarda in versione dance di Gianluca Solinas.Questa volta in collaborazione con
validi artisti quali sicuramente Giuliano Marongiu e Massimo Pitzalis,Antonio Porcu e Luciano
Pigliar; persone molto conosciute ed apprezzate in Sardegna. Dopo ci sarà un altro album come
solista che porterá il mio nome; con nuovamente la collaborazione di Giuliano Marongiu
T.T. E fuori dell’Italia?
MLC. Abbiamo già fatto diversi concerti: in Francia, Belgio, Olanda, Spagna.E’ importante portare
una ventata d’ allegria ai nostri sardi che vivono fuori dell’isola .
T.T. Non dimenticatevi che in Argentina esiste ed opera una comunitá sarda che ha assoluto
bisogno di ascoltare le vostre canzoni.
TF Vorrei fare un appello alla Regione Sarda… i sardi d’ oltre mare hanno bisogno d’interagire
con la propria arte, le tradizioni. Allora Maria… con te c’è anche Pasqualino Puligheddu ?
MLC. Ci sono sia Pasqualino che Giuliano Marongiu
TF Personalmente mi fa piacere i l rifiorimento della musica sarda con gente molto giovane,
quando si riferiva questa musica solo agli anziani sardi.
MLC. E’ con noi Giuliano Marongiu, conduttore della trasmissione televisiva “Buonasera Sardegna”.
GM. Buonasera Sardegna é una trasmissione che ovviamente da spazio a tutte le espressioni
artistiche, che consente ai gruppi Folck, al canto a Tenores,ai cori polifonici, alle belle voci che, come
quella di Maria Luisa, portano avanti una nuova Sardegna ricalcante le radici che ci rappresentano;(
la nostra storia che credo unica in tutto il mondo) a esibirsi in televisione. Noi ogni settimana
proponiamo un doppio appuntamento: martedí alle ore 21 ora locale e venerdí sempre alle 21.
Appuntamenti che possono essere visti in tutto il mondo via satellite.
TF. So che anche tu sarai presente nel nuovo CD Sardinia Remix volume 2.
GM . E’ una bella esperienza, anche perché il primo volume ha avuto un successo incredibile.
L’operazione di Pasqualino e Gianluca era sperimentale; ha dato la possibilitá anche ad un pubblico
giovanissimo e magari meno attento alla musica tradizionale sarda, di avvicinarsi alla nostra
lingua. Tutto questo con un linguaggio particolarmente vicino al loro modo di sentire e amare la
musica. La musica che si puó ballare in discoteca ,che si puó ascoltare in macchina la musica che
da anche allegria e che fá cantare insieme.
Teresa Fantasia
conduce, in Buenos Aires, il programma radiofonico
“Sardegna nel Cuore”,
dedicato a tutti
i sardi in Argentina
[email protected]
www.estirpenacional.com.ar
in diretta ogni domenica, h 8.00 (Buenos Aires) h 13.00 (Italia)
GSA ITALIA : La Giornalisti specializzati Associati
Il giornalismo tecnico e specializzato, troppo spesso dimenticato dai riflettori di pubblico e critica, rappresenta ormai un elemento portante del
settore editoriale e informativo italiano. Nel nostro Paese, infatti, si contano centinaia di testate specializzate che coprono i più svariati settori, da
quelli informatici a quelli industriali, da quelli produttivi a quelli ludici ed hobbistici, che impiegano migliaia tra giornalisti, pubblicisti e collaboratori. È
fuori discussione che negli anni, l’editoria di settore ha assunto un ruolo di primo piano nell’industria informativa e comunicativa nazionale,
meritando quindi una maggiore attenzione e una più alta considerazione non solo da parte di tutti gli addetti ai lavori ma anche da parte del grande
pubblico che associa l’idea di giornalismo esclusivamente alle più note testate nazionali e alle firme di maggior prestigio. L’associazione GSA GIORNALISTI SPECIALIZZATI ASSOCIATI, presieduta da Roberto Bonin ( [email protected], [email protected]), nasce con lo
scopo di dare finalmente visibilità, e voce, a tutto quel mondo del giornalismo, tecnico e specializzato, che finora è rimasto in ombra
all’interno del sistema informativo italiano, ma del quale rappresenta una parte assai significativa. In particolare, GSA si rivolge a tutti quei settori
dell’informazione tecnico-specializzata, quali ad esempio information & communication technology, economia e finanza, industria e artigianato,
marketing e comunicazione integrata, che finora non hanno goduto di una specifica rappresentanza a livello associativo. GSA si ripropone quindi di
rappresentare e riunire attorno a sé tutti i professionisti della comunicazione che operano in questi settori, attraverso la promozione di tutte quelle
attività finalizzate all'informazione, all'aggiornamento professionale e allo scambio culturale, rappresentando allo stesso tempo un valido ed efficace
punto di riferimento per tutti i giornalisti, editori, addetti stampa, e comunicatori d'impresa che si identificano nelle finalità di GSA e che necessitano
di un’adeguata rappresentanza e riqualificazione professionale. L’Associazione dispone di due importanti strumenti di comunicazione; il sito
Internet, www.gsaitalia.org, di recente sottoposto a restyling, e GSA-MASTER NEWS, storico mensile di giornalismo, editoria e comunicazione,
fondato dal Presidente Onorario di GSA, Ing. Domenico Fiordelisi, e attualmente house organ dell’Associazione. Scopo di questi due mezzi è
quello di informare e aggiornare cos tantemente gli associati circa le novità e i cambiamenti all’interno dei settori di riferimento, al fine di favorire lo
scambio di know-how e il passaggio generazionale delle esperienze professionali. Nell’ottica di una più precisa e capillare informazione e crescita
professionale, inoltre, GSA organizza convegni, seminari e workshop a tema con la presenza di importanti personalità del mondo del giornalismo e
della comunicazione, aperti a tutti gli associati e non. [email protected] Segnaliamo vivamente ai lettori il sito
Arte…non tutto ma quasi
http://groups.msn.com/Artenontuttomaquasi
di Vincenzo Conciatori [email protected]
V. Conciatori, Pittore, muralista. Suoi lavori su tela e le opere murarie si trovano in diversi paesi della Sardegna, enti
pubblici e privati. Art Director dell’Università degli Studi di Cagliari, promuove iniziative tendenti alla divulgazione dell’arte
e coinvolge strutture già esistenti per manifestazioni regionali, nazionali, progetti per l’autogestione dell’Arte direttamente
curati dagli artisti, organizza annualmente mostra nazionale nella Cittadella dei Musei dell'Università di Cagliari.
[email protected]
Traduzioni
Correzione di testi
Información / info
[email protected]
m
IL POET’S CORNER DI ANNY BELLARDINI
http://www.fieralingue.it
Pensieri liberi
Il Poets’ Corner
è nato nel settembre 2003 grazie all’interessamento attivo di Maria Cristina Petruzzino che ne ha permesso la
realizzazione. Pagina del sito Fieralingue gestito dall’Istituto Pedagogico diretto da Giuseppe Perna con l’aiuto tecnico di
Vanni Barone, raccoglie le testimonianze poetiche ed artistiche in senso lato del nostro contemporaneo. Molti sono i poeti
mancanti e di grande valore, come molti sono coloro che reputo tali e si susseguono sulle pagine schermate del Poets’
Corner. Come ho spiegato nel mio _statement_ iniziale, sono l’unica responsabile delle scelte effettuate, scelte basate sui
limiti che la mia condizione umana mi impone, dovute quindi al caso o alla fortuna di incontrare un/a poeta invece di un
altro/a, di entrare in corrispondenza e di trovare materiale sufficiente per la mia consultazione online o su materiale
cartaceo per poterlo/a invitare. Un’impresa che si sta rivelando gargantuesca vista la quantità e qualità delle persone
presenti e che va al di là di qualsiasi mia aspettativa. Il Poets’ Corner nell’arco di due anni ha ricevuto plausi di rilievo,
dall’Italia, Inghilterra, Stati Uniti e Sud America, come dagli ex -Stati dell’Est. Quest’anno abbiamo aperto le sezioni: Poets
on Poets che raccoglie le traduzioni di poeti effettuate da poeti e/o lavori critici; e Reviews che dovrebbe in teoria
funzionare da collettore dei miei lavori critici, ma pure aperto alle revisioni letterarie di altri. Il lavoro si appropria del mio
tempo libero, o meglio il mio interesse si fa tempo libero guadagnato e ritagliato dagli altri numerosi impegni che porto
avanti. Trovo che la mia dedizione al sito conserva una certa sacralità che garantisce e nutre l’autostima. Non ho mai
inserito mie composizioni poetiche sul sito per non peccare di divismo. Gestisco un blog: Narcissus Works e lì posso
riportare qualsiasi pensiero personale, annotazione, cancellarla o rivederla a mio piacimento. Del Poets’ Corner sono
l’editore e valuto che tale distanza dal mio comporre non possa che garantire maggiore obiettività nelle scelte che effettuo.
Come già dal mio accenno alla dichiarazione di apertura al sito, l’intero Poets’ Corner dipende da ciò che valuto debba
essere preso in considerazione. Sono cosciente che qualsiasi preferenza porta ad un tipo di esclusione. A mio sostegn o
posso parlare delle mie letture infinite e del mio tentativo di comprendere e di includere chi ha maggiore merito. Esiste un
merito poetico? Sicuro. Cos’è la poesia?. Perché la Poesia Esiste. Domande che trovano risposte, spiegazioni che richiedono
di apparire. Non sono che un filtro, interprete di ciò che mi si richiede sopravviva. Ringrazio in questa sede i numerosi
poeti che hanno accettato il mio invito e cheanno portato i lettori del Poets’ Corner ad una delle numerosissime vie
poetiche in distinti linguaggi, lingue, tecniche, metafore - la loro. Ringrazio pure Giovanna Mulas per la sua incredibile
generosità e amabilità, tratti fondamentali che contraddistinguono il lato sensibile del vero poeta.
ai cani sciolti della letteratura consigliamo vivamente
www.villanovastrisaili.com
www.villanovastrisaili.com
www.villanovastrisaili.com
di Rina Brundu. Salotto letterario, Narrativa, Poesia
L’Editorial Poeti Antiimperialisti d’America: www.poetas.com/libreria - segnala:
Canto a un Prisionero
Antologia di poeti Americani, omaggio ai prigionieri politici in Turchia. Ottawa: Ed. Poetas Antiimperialistas de América, 2005.
[email protected]
Riceviamo e pubblichiamo:
Alla mezzanotte del 15 ottobre scade il bando del concorso letterario a partecipazione gratuita
RACCONTINIGIRO organizzato dalla Associazione Culturale BIDONVILLE di Napoli. Le sezioni sono:
racconto breve (3600 battute spazi inclusi)- aforisma- Il tema è il viaggio- Il racconto vincitore
sarà pubblicato NON nella "solita" antologia in cinquecento copie MA sulle decine di migliaia di
supporti promozionali
della Fiera del Baratto e dell'Usato in programma per 19 e 20 novembre a Napoli. IL vincitore di
ciascuna categoria riceverà anche un viaggio per due persone. Il concorso è concepito in sintonia
con il circuito di bookcrossing GIRALIBRO. Per chi volesse informazioni più precise, il bando
completo è sul sito www.bidonville.org o www.fieradelbarattoedellusato.it. Buona scrittura a
tutti!
È in libreria: LA STRETTA DEL PITONE. di Franco Forte- (Mursia) Le vittime calzano sandali e un
costume da bagno, la scena del delitto si ripete tragicamente uguale, oscuri pittogrammi straziano
la pelle delle vittime del Pitone, un assassino che uccide stritolando. Il commissario di Polizia
Ivan Durante, costretto su una sedia a rotelle da un incidente d’auto, deve svolgere la più
difficile delle sue indagini per affrontare l’ossessione di una mente che ha passato la linea di
confine che divide la fantasia erotica dalla psicosi. Franco Forte è nato nel 1962. È giornalista e
vive nel lodigiano. Ha pubblicato i romanzi storici e Il figlio del cielo e L’orda d’oro (2000, da
cui è stato tratto uno sceneggiato TV su Gengis Khan prodotto da Mediaset), il thriller China Killer
(2000) e i romanzi di fantascienza Ombre nel silenzio (2001, con Luigi Pachì) e Gli eretici di
Zlatos (1990). Ha curato i volumi Fantasia, Horror Erotico, Cyberpunk, Terzo Millennio e Strani
giorni. Per informazioni: Mursia comunicazione – 02 67378502
da Gabriella d’acquisto, presidente Anffas Onlus Palermo, riceviamo e pubblichiamo:
1°Premio letterario internazionale “ Visioni d’autore per la Rosa blu dell’Anffas ” -Palermo
2005.
Organizzato da Anffas Onlus Palermo: Disabilità come valore
La Rosa blu è il logo rappresentativo dell’Associazione Anffas Onlus che, per statuto, è rivolta ai
familiari dei Disabili Intellettivi e Relazionali; logo che ben si coniuga con la rivoluzione culturale
operata dalla OMS (organizzazione Mondiale della Sanità), la quale ha stabilito un nuovo modello
valutativo delle inabilità: ”Le persone con disabi lità non saranno più valutate solo in base allo
stato di salute e alle cose che non sono in grado di fare, ma per le loro capacità e potenzialità, in
relazione alle condizioni ambientali e sociali favorevoli e sfavorevoli.”
L’idea che “disabilità” è comunque un “valore umano”, una ricchezza, una risorsa all’interno della
società, è l’imput di base che ispira l’istituzione del 1° Premio Letterario Internazionale“ Visioni
d’autore per la Rosa blu dell’Anffas ”
Regolamento/Bando : La partecipazione al Premio è aperta a tutti i poeti e gli scrittori italiani e
stranieri dei paesi del Mediterraneo. Il concorso di articola in tre sezioni: poesie e racconti brevi in
lingua italiana,poesie in tutti i dialetti italiani, poesie in Arabo e/o Francese e/o Inglese.- Per la
sezione in lingua italiana ogni autore potrà partecipare con 1 racconto a tema “la disabilità come
valore”, un solo testo di non più di sei cartelle, in quattro copie dattiloscritte, di cui una corredata
di firma e recapito telefonico ed eventuale e -mail,oppure con poesie a tema “la disabilità come
valore”, non più di tre testi in sei copie dattiloscritte di cui una corredata di firma e recapito
telefonico ed eventuale e -mail; Per la sezione in dialetto ogni autore potrà partecipare con poesie a
tema “la disabilità come valore”, non più di tre testi in sei copie dattiloscritte di cui una corredata
di firma e recapito telefonico ed eventuale e -mail, accompagnate da una fedele traduzione letterale
in lingua italiana a pena di esclusione. Per la sezione in lingua straniera ogni autore potrà
partecipare con poesie a tema “la disabilità come valore”, non più di tre testi in sei copie
dattiloscritte di cui una corredata di firma e recapito telefonico ed eventuale e -mail, accompagnate
da una fedele traduzione letterale in lingua italiana a pena di esclusione. Gli autori dovranno far
pervenire le opere a mezzo plico entro il 30-10-05 alla Segreteria del Premio presso la Associazione
Anffas Onlus Palermo, Via A. Narbone 71- 90138 Palermo. La partecipazione è gratuita. Sarà
istituita una apposita giuria i cui componenti, che verranno resi noti all’atto della premiazione,
esamineranno tutte le poesie concorrenti al premio e tutti i racconti. L’operato della giuria è
insindacabile e inappellabile. Gli elaborati non si restituiscono. Premi: ad ogni primo classificato
delle tre sezioni sarà assegnato un premio artistico ispirato alla “Rosa blu”; ai secondi classificati
saranno assegnate delle targhe artistiche; ai terzi classificati saranno assegnati dei diplomi d’arte.
A tutti i concorrenti premiati saranno consegnati prodotti enogastronomici tipici siciliani. Altri
premi offerti da enti pubblici e privati saranno assegnati agli autori dei testi concorrenti, giudicati
meritevoli di menzione o di segnalazione di merito. A tutti i concorrenti partecipanti sarà rilasciato
un artistico diploma riproducente la “Rosa Blu”. Il partecipante al concorso autorizza, senza
alcuna rivendicazione economica, l’Anffas Onlus Palermo alla diffusione e alla riproduzione delle
composizioni , senza fini di lucro, con tutti i mezzi. La premiazione avverrà in Palermo in data che
sarà resa nota tempestivamente. Tutti i testi premiati saranno inclusi in un numero della rivista
“La Rosa blu”, edita dall’Anffas Nazionale. E’ prevista anche la pubblicazione di una “antologia
informatica” sui siti Anffas. Le composizioni premiate verranno presentate e distribuite in
occasione della manifestazione nazionale “Festival Anffas” che Anffas Onlus Nazionale organizzerà
a Roma nell’anno 2006, con le modalità riproduttive prescelte da Anffas Onlus palermo.
Partecipando al Premio letterario internazionale “Visioni d’autore per la Rosa blu dell’Anffas” ogni
autore accetta tutte le norme del presente regolamento/bando. I dati degli autori sono tutelati ai
sensi della Legge 675/96 e verranno utilizzati esclusivamente per le necessità organizzative del
presente premio. Per informazioni: Anffas Onlus Palermo, Via A. Narbone 71- 90138 Palermo, 091
6529302 – 3286495041 – [email protected] copia del presente bando e il progetto integrale ai
www.anffaspalermo.it e www.anffasicilia.net
PaginaZero – Letterature di frontiera
Riflessioni sul settimo numero della rivista di cultura e letteratura- “PaginaZero-Letterature di
frontiera”
Martedì 4 ottobre - ore 21 - Enoteca – Via Cividale 38 – Buttrio (UD)- Intervengono : Mauro Daltin ,
Alessandra Kersevan, Maurizio Mattiuzza, Angelo Floramo- Presentazione di PaginaZero all’interno della
manifestazione “Le Nuvole”, una miscela di incontri e eventi a cavallo fra musica, prosa e poesia organizzata
dall’Associazione Musicisti Tre Venezie e curata da Rocco Burtone. Sarà presentato il progetto della rivista e
in particolare il numero 7. Di seguito la scheda relativa al numero e alle tematiche che verranno affrontate
durante la serata. L'Editoriale di Mauro Daltin inoltra nella realtà del numero: i luoghi e non luoghi della
nostra società e il ruolo della letteratura e della poesia come attività di resistenza. Nella sezione Saggi Angela
Barlotti ci parla dal carcere attraverso le parole dei detenuti che raccontano i loro viaggi oltre il limite fisico
del luogo. Melita Richter conversa con la scrittrice del Marocco Toni Maraini lungo le suggestioni di una
cultura e di un luogo di frontiera. Nella rubrica Storie le testimonianze del brasiliano Alberto Chicayban e di
Monica Berno ci parlano delle loro esperienze dirette nei campi profughi della ex-Jugoslavia con gli aiuti
umanitari. Paolo Fichera nelle pagine di Poesia introduce la voce di uno dei più grandi poeti americani, Jack
Hirschman e del suo Arcano, un grido contro la guerra devastante nel non luogo del Kosovo. Maurizio
Mattiuzza, che cura il Forum, mette a confronto due importanti scrittori, Bozidar Stanisic´ e Josip Osti, sui
non luoghi della nostra società e del nostro vivere quotidiano. Nei Dialoghi Mauro Daltin intervista lo scrittore
iracheno Jabbar Yassin Hussin esiliato quasi trent'anni fa in Francia che racconta il suo esilio e il suo
pensiero sull'attuale situazione mondiale. Infine la rubrica Letture è dedicata alle recensioni di Matteo
Fantuzzi, Massimo Sannelli, Maurizio Mattiuzza e Tiziana Cera Rosco. www.rivistapaginazero.net [email protected]
Dalla Redazione amica de Il Dialogo, Periodico di Monteforte Irpino -Via Nazionale, 51- 83024 :
4ta Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 28-10-05: Auguri ai musulmani per l'inizio
del Ramadân
A TUTTI I MUSULMANI D'ITALIA
Cari Amici, Care Amiche, il 5 ottobre prossimo inizierà il mese di Ramadân. Vogliamo augurare di vero cuore
che questo mese possa essere pe r voi ricco di benedizioni. Viviamo un momento particolarmente difficile della
vita sociale e politica italiana ed internazionale. La comunità islamica, in particolare, vive un momento di
grave difficoltà. Numerosi e preoccupanti sono gli episodi di intolleranza razziale, soprattutto nei confronti di
immigrati musulmani. Scrittori, giornalisti, filosofi, capi di stato, stanno facendo a gara nel diffondere paura
e violenza, razzismo e xenofobia, odio del diverso, di chi ha un diverso colore della pelle o una diversa
religione o cultura. Le azioni terroristiche sono servite e servono tuttora a rafforzare tale orientamento e non
certo a fermarlo. E' particolarmente difficile, in queste condizioni, riuscire a pensare a qualcosa di positivo e
a formulare auguri che riescano a dare la speranza di un cambiamento di una realtà intrisa di odio e
violenza. Ma ci viene in aiuto la nostra comune fede nel Dio unico, nel Dio di Abramo, di Gesù, di
Muhammad. Quel Dio che ci invita a non avere paura. «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza
che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più!» (Esodo
14,13), disse Mose agli israeliti appena uscita dall'Egitto mentre erano inseguiti dal potentissimo esercito
egiziano che finì miseramente sconfitto. "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno
potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella
Geenna" (Matteo 10,28), disse Gesù ai suoi disce poli inviandoli in missione. "Certo è Satana che cerca di
spaventarvi con i suoi alleati . Non abbiate paura di loro, ma temete Me se siete credenti", è scritto nella Sura
3,175 del Corano. Siamo fiduciosi così che i fomentatori di odio e divisone ed i profeti di sventura
rimarranno, ancora una volta, con un pugno di mosche in mano. Che il vostro Ramadân possa essere di
stimolo alla ricerca della pace e a rafforzare la convinzione che al male si deve e si può rispondere con il
bene, con la nonviolenza, bandendo dalla storia dell'umanità definitivamente la guerra, gli omicidi e la
violenza che genera solo altra violenza. Che il vostro Ramadân possa essere un momento per far si che gli
uomini e le donne di Dio costruiscano alleanze e dialogo fra le civiltà e le religioni, togliendo qualsiasi alibi o
appoggio a chiunque usi la violenza terroristica o militare per risolvere i conflitti internazionali. Dobbiamo
«vincere la paura per costruire la pace»: questo lo slogan, drammaticamente attuale, che abbiamo lanciato
quest'anno per la celebrazione della quarta edizione della giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico,
che, come negli anni scorsi, si terrà nell'ultimo venerdì di Ramadan che quest'anno cade il prossimo 28
ottobre 2005. Ci auguriamo che, come negli altri anni, le moschee d'Italia possano essere luoghi aperti
all'incontro fra credenti di fede diversa ed in particolare fra cristiani e musulmani, che non hanno alcun
motivo per odiarsi ma che hanno anzi molti motivi per essere uniti contro chi strumentalizza le rispettive
religioni a fini politici e di potere.
Buon Ramadan. Shalom - Salaam – Pace
Il comitato organizzatore
Sottoscrivono e promuovono l'appello le seguenti riviste e associazioni a cui ci si può rivolgere e per adesioni o segnalazione di iniziative ADISTA Via Acciaioli n.7 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24; Fax +39 06 686.58.98 [email protected] http://www.adista.it Confronti, Roma, 06 4820503; 06 48903241;
fax 06 4827901; [email protected] http://www.confronti.net/ CEM - Mondialità, Via Piamarta 9 - Brescia 25121; 030-3772780; fax 030-3772781
[email protected] http://www.saveriani.bs.it/cem Cipax - Centro interconfessionale per la pace, Via Ostiense 152, 00154 Roma; tel./fax 06.57287347;
cipax [email protected] ; www.romacivica.netcipax . EMI - EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA Via di Corticella 181 - 40128 Bologna 051326027 - fax 051327552 Ufficio
Stampa: [email protected] www.emi.it "Forum Internazionale Civiltà dell'Amore" Via Roma, 36 02100 RIETI 0746. 750127 fax: 0746. 751776 [email protected] il
dialogo - Periodico di Monteforte Irpino, Via Nazionale, 51 83024 Monteforte Irpino (Avellino)3337043384 http://www.ildialogo.org/ [email protected] La
nonviolenza è in cammino Foglio quotidiano del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, Direttore responsabile: Peppe Sini.Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, [email protected] Missione Oggi Via Piamarta 9 - Brescia 25121- 030-3772780; fax 030-3772781 [email protected]
http://www.saveriani.bs.it/Missioneoggi Mosaico di Pace, Via Petronelli n.6 70052 Bisceglie (Bari),080/3953507 fax: 080/3953450, [email protected],
http://www.mosaicodipace.it Notam, Lettera agli Amici del Gruppo del Gallo di Milano Corrispondenza: Giorgio Chiaffarino - Via Alciati, 11 - 20146 MILANO
[email protected] - www.ildialogo.org/notam QOL, una voce per il dialogo tra le religioni e le culture, Piazza Unità d'Italia 8 42017 NOVELLARA (RE),.0522-654251;
fax 059-650073; [email protected] http://www.qolrivista.it Tempi di Fraternità, Torino, c/o Centro Studi "Domenico Sereno Regis" - Via Garibaldi 13,10122 Torino 0141- 218291- 011 - 9573272 ; fax 02700519846, http://www.tempidifraternita.it/ [email protected] Volontari per lo Sviluppo Corso Chieri, 121/6,
10132 - Torino: 0118993823; Fax : 0118994700 [email protected] http://www.volontariperlosviluppo.it/ Per l'elenco completo dei firmatari
dell'Appello, per tutti i materiali ad esso relativi e per le iniziative in corso si può visitare il sito: http://www.ildialogo.org/ [email protected]
dal 12 al 23 ottobre 2005 al MUSEO DELLA PERMANENTE ( via Filippo Turati 34- Milano)
PREMIO ARTE MONDADORI 2005- MOSTRA DEI FINALISTI
Mario Loprete è in mostra con MI DIFENDO DALL'ACCUSA DI ESSERE L'UOMO PIU' MALEDUCATO DEL
MONDO
olio su tela 100 x 100 2005- www.marioloprete.com - [email protected]
Ivan Jiutzi
Italia
Il dittatore
Camerati è l’alba di un nuovo giorno
lo so: non vi sarà mai più ritorno,
vive quel regno che abbiamo sognato
gravato negli occhi di ogni soldato.
Si staglia nero di fronte al Nemico
lui ci ha umiliato ed io ti maledico,
ché noi cambieremo la storia umana
lei sarà l’ombra e la nostra puttana.
Resterà solo la razza più pura
Dea dei morti che la luce procura,
e questo dichiaro ai popoli ostili
voi fuggirete come bestie vili.
Un volto inquieto silente ascoltava
nell’altro mondo rifugio trovava,
armò la penna con lampi di pace
che poi sparò in faccia al folle Rapace.
Le liriche sono tratte dall’opera inedita Il volto della morte. consigliamo ai lettori www.nucleoculturale.org -
[email protected]
________________________________________________________________________________
_______
Rossella Messina
Italia
Se resti in equilibrio per tutto il tragitto
Salgono una dietro l'altra. Le guardo un momento. Hanno tutte i capelli lunghi e lisci, le cosce
strizzate dentro jeans scoloriti di varechina e zaini enormi. Si fermano alle mie spalle. Io guardo
fuori da un lato dell'autobus, loro dall'altro. Profumano di vaniglia, squittiscono e gracchiano allo
stesso tempo. I timbri aciduli delle voci acute si ammassano uno sopra all'altro sovrastando il
fruscio delle pagine dei quotidiani, le buste di plastica strusciate verso i posti a sedere, qualche
ovvia riflessione sul traffico. Gli altri passeggeri le osservano di sottecchi. Sono tre e tutte parlano
gridando. Si pigliano in giro toccandosi i capelli, le mani, le spalle. Si muovono goffe. Urtano la
gente intorno senza farci caso né chiedere scusa. Ogni frenata è una botta sullo sterno. Una
spinta mi strattona la giacca di pelle nera. Sia il maglione scuro che la camicia bianca mi si
attorcigliano in vita. Scostandomi guardo verso il basso. Ho nere anche le scarpe. Quand’è che ho
smesso di indossare i vestiti scelti da mia madre? Guardo l'ora. L'una. Sento la punta dei loro
gomiti irrequieti sui fianchi. Mi stanno addosso. Le loro borse enormi sono ricoperte di scritte. Mi
scosto. Ho la mano destra stretta all'apposito sostegno e i piedi saldamente piantati giù. Qualche
anno fa sull'autobus facevo un gioco, una specie di passatempo per tragitti solitari. Divaricavo un
poco le gambe, liberavo le mani da qualsiasi appiglio e lasciavo che l'autobus andasse per la sua
strada scommettendo con me stessa che avrei retto in equilibrio fino al limite della caduta. E così
era. Certe volte riuscivo a surfare per tutto il percorso da scuola a casa. Scommettevo spesso con
me stessa. Lo facevo per le imprese più disparate: scommetti che se riesci ad attraversare la strada
prima che il semaforo diventi rosso pigli sei al compito di latino? Scommetti che se arrivi alla
cornetta del telefono prima del secondo squillo domani la prof di matematica non ti interroga?
Scommetti che se resti in equilibrio per tutto il tragitto ti fidanzi?
Quand'è che ho smesso? Il loro chiacchiericcio è intermittente e acuto. Le loro voci stridono sulla
mia giornata opaca come un’unghia sulla lavagna. Non conoscono toni medi, gracidano. Mi urtano
e sbuffo girando la testa. La mia vicina ha i capelli crespi tinti di rosso e con la mano destra tiene
stretta la borsa appesa alla spalla, sbuffa anche lei. Intorno tutti hanno l'aria infastidita. Si
lanciano sguardi seccati d’intesa e io faccio parte dei loro scambi. Non hanno dubbi in proposito.
Un ragazzo ammicca scuotendo la testa. Ha una venti quattrore anche lui e mocassini intonsi. Si
scimmiottano l’un l’altra e scimmiottano gli altri. Parlano. Parlano. Parlano e le loro parole sono
onde sonore e nient’altro. Onde sonore che si spezzano e cadono. Pasta friabile da mandare giù in
tre bocconi. Bolo alimentare. Viaggio nell’intestino e poi residui da gettare via. Momenti
biodegradabili per cui non serve memoria e non c'è senso di colpa. Io so di aver fatto un brutto
sogno anche quando non ho ricordi precisi. E’ un peso sulla nuca che dura tutto il giorno. Ho
memoria persino degli incubi senza immagini. Le mie colleghe la chiamano cervicale e risolvono
con foulard al collo. Quando arriva il senso di colpa? Ciarlano. Parlano dei loro compagni di classe
tutti irrimediabilmente brutti. Di uno dicono "E’ povero! È povero!" ma poi la voce acre spiega "di
genio!", "è povero di genio!". Povero di genio. non è fantastico? Povero di genio. Delicato e atroce
insieme. Povero di genio rotola via come una palla giù per la discesa. La raccolgo io, me la rigiro
tra le mani. Potrei restituirla, invece la tengo. Non si sa mai. Potrebbe servire. Avvicinandosi
all’uscita il ragazzo con la ventiquattrore mi sorride. Non mi chiede il numero di telefono, né di
uscire. Sta solo cercandosi sulla mia faccia. convinto che sia il posto giusto. Mi passa accanto,
prenota la fermata e, quando l’autobus si ferma, scende facendosi spazio prepotente tra le
ragazzine davanti alle porte. Nel frattempo mi sposto anch'io, ci siamo quasi. Fra poco arriva casa.
Non manca molto, due fermate. Non è tanto due fermate no? Si può fare. Per due fermate si può
fare. Certo, non sarà come da scuola a casa, però… Scommetti che se resti in equilibrio per tutto il
tragitto... -Scusi ? - Una delle tre ragazzine mi interrompe - scusi signora, deve scendere anche lei?
Luu Trong Lu
Vietnam
Fine dell’autunno
a volte
senti
l’aria
che sentivi
quando eri
giovane…
a volte…
quando l’autunno
rilascia
le sue foglie
nel mio cortile vuoto…
e il fiato del flauto
tuba dolce attraverso
le tende lontane
per l’aria libera…
a volte
mi pensi
ancora…
a volte…
quando liberi
le foglie rosse
dai loro rami…
a volte
mi pensi
ancora…
quando il passero
canta e il vento
sibila
e non riconosce
il mio cuore,
freddo
come un lago d’autunno,
ricoperto
dalla notte
e nulla…
io attendo
i giorni: ma
tu li fai correre…
l’autunno finisce,
l’inverno corre
giù sulla fredda
riva del fiume
e lì si riuniscono…
a volte
si respira
l’aria di quando
eravamo giovani….
e mi pensi
ancora
a volte…
con quella estate
e il suo verde
amore
che ronza ora
nel cortile verde
del mio cuore.
Giancarlo Micheli
Italia
Prima che la memoria intrecciasse
La sua fitta selva di riflessi
Sapevamo
Tra la vocale delle alpi e la consonante del mare
Quando da un grumo di sale e di vento
Qualcuno ci condusse alla sua casa
All’imbrunire lungo i fianchi della collina
Dove il sole posava la sua polvere triste
Sopra i lauri e gli ulivi e dormiva
La vite sulle pergole di prossimi sogni
E salperemo ancora verso l’origine chiara
Verso una terra oltremarina che riscalda
Il nostro fuoco e là consisteremo
Nella fine e nel principio
Meng Haoran
Cina
Sul breve sonno primaverile
Sul breve sonno primaverile
sorge furtiva e splendida l'aurora.
D'ogni dove gli uccelli
a risvegliarci trillano.
Stanotte
brontolò il tuono lungamente.Penso:
quanti saranno i petali caduti?
K.Nakagawa
Giappone
Una mano sulla porta
Quando sto zitto
arriva mia madre.
Sta sola mia madre nella stanza di là.
e io solo e zitto nella stanza di qua.
Mia madre si alza e arriva di quando in quando.
Con una mano sulla porta
cerca di leggere il mio cuore:
io zitto mi lascio leggere:
Intanto mi nascono affetti
e le sorrido:"Che sei venuta a fare?".
Ma so bene perchè viene da me.
Dopo aver scambiato con me due,tre parole, mia madre se ne va.
E io penso a tutti gli uomini:
Noi viviamo sostenandoci l'un l'altro.
E' come reggersi colle mani sulle spalle di chi è accanto.
Si ha bisogno perfino delle persone che danno fastidio.
Chi sa se mia madre non pensa a questo
quando viene e mi guarda
con la mano appoggiata sulla porta?
CANTOS DE GIACOMO LEOPARDI
Italia- 1798 - 1837
Publicados por primera vez en Florencia, Italia en 1831
traducción libre del italiano por Adriana Alarco de Zadra
CANTO XXV - EL SABADO DEL VILLORRIO
La doncella llega de la campiña
a la caída del sol
con su haz de hierbas; y lleva en la mano
un ramillete de rosas y violetas,
se prepara a adornar como es costumbre,
mañana, día de la fiesta,
el pecho y el cabello.
Se sienta con las vecinas
en la escalera a hilar la viejecita
mirando hacia donde se pierde el día;
y va contando de sus buenos tiempos
cuando ella se adornaba para el día de la fiesta
y cuando aún sana y esbelta
solía danzar en la tarde con aquellos
compañeros de su edad más bella.
Ya todo el aire se oscurece
se vuelve azul el sereno, y regresan las sombras
de las colinas y los techos,
mientras blanquea la reciente luna.
Ahora el tañido señala
el principio de la fiesta
y a este sonido, pareciera
que el corazón se reconforta.
Los niños gritando en el poblado en grupos
y aquí y allá saltando hacen alegre barullo;
y mientras tanto regresa a su parca mesa
silbando el campesino
pensando para sí en su día de descanso.
Luego, cuando alrededor se apagan todas las antorchas
y todo el resto calla,
se escucha el martillo que golpea, se oye la sierra
del leñador que vela
en la cerrada bodega a la luz de la linterna
y se apura y se esmera
para entregar su obra antes de que claree el alba.
Este, de los siete, es más placentero día,
lleno de esperanzas y alegría:
Mañana, tedio y tristeza
traerán las horas y al trabajo de siempre
cada uno retornará su pensamiento.
Muchachito travieso,
ésta floreciente edad
es como un día lleno de alegría
día claro, sereno,
que antecede a la fiesta de tu vida.
Goza, muchachito mío; que es suave el momento
y es feliz la estación aquesta;
no deseo decirte nada más;
sólo que si tarda en venir
aquella fiesta tuya, no te resientas.
C.XXV - IL SABATO DEL VILLAGGIO
La donzelleta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro lá dove si perde il giorno;
e novellando bien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed dancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe compagni dell’etá piú bella.
Giá tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno., e tornan l’ombre
giú da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squillad’a segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e lá saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno é spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Questo di sette é il piú gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore,ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier fará ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta etá fiorita
é come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro,sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta é cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
c’anco tardi a venir non ti sia grave.
Michele Marra
Italia
Primavera
Un ambulante
espone la merce lungo viuzze di periferie
e zefiro,
appena nato di Marzo,
gli fa compagnia .
Una rondine veleggia
Tra gli alberi ancora spogli
Che
stropicciano gli occhi
nel nuovo risveglio.
LUNARIONUOVO - RASSEGNA DI LETTERATURA CONTEMPORANEA
REDAZIONE: Via G.Leopardi 53 - 95127 CATANIA telfax 095/ [email protected]
CONCORSO LETTERARIO NAZIONALE PER UN BREVE RACCONTO INEDITO- REGOLAMENTO
Racconto inedito scritto in lingua italiana e a tema libero. Per la partecipazione non è richiesto alcun pagamento per
lettura, iscrizione o alcun altro cavillo. Il Concorso è articolato in due sezioni: Alla prima possono partecipare quanti alla
data di scadenza del presente bando (5 novembre 2005) NON ABBIANO compiuto trenta anni di età; alla seconda sezione
gli autori che alla medesima data abbiano compiuto i 30 anni.- Ciascun autore concorrente è tenuto a specificare a quale
sezione partecipa onde agevolare il lavoro dell’ufficio di segreteria al momento di assegnare il materiale pervenuto, infatti la
caratterizzazione del Concorso è quella di mettere in evidenza un confronto di ricerche creative generazionali, come
risulterà dal fascicolo edito con le opere scelte, che sarà diviso, appunto, in due sezioni di quindici racconti ciascuno.
Ciascun concorrente dovrà accludere al materiale inviato in cartaceo o, preferibilmente, floppy o CD, alla segreteria del
concorso, (Lunarionuovo, via Leopardi, 53 – 95127Catania), uno stringato curriculum personale con indicazione dei dati
anagrafici, nonché indirizzo di posta ordinari a (e, ove sia possibile, di posta elettronica e telefono). Sia alla prima come alla
seconda Sezione del Concorso ciascun concorrente potrà presentare un solo racconto la cui ampiezza non superi le 15
mila battute (spazi compresi); tale misura corrisponde a circa otto cartelle composte da 30 righi con 60 battute per rigo.
Tutti i racconti pervenuti, spediti entro il 5 novembre 2005, saranno letti e giudicati da una Commissione composta dai
cinque componenti del Comitato di redazione, i quali redigeranno un verbale dei propri lavori e opereranno una scelta dei
quindici racconti per ciascuna sezione destinati alla pubblicazione, dando immediata comunicazione dell’esito a tutti i
concorrenti, tramite posta elettronica o posta prioritaria ordinaria per quanti non abbiano indicato e-mail. I trenta racconti
scelti saranno tutti pubblicati, preceduti da un resoconto critico particolareggiato e dalle notizie bio-bibliografiche
riguardanti l’autore, sul numero speciale di Lunarionuovo che sarà distribuito entro il 20-12-05. A ciascun autore di
racconto pubblicato verranno inviate 10 copie della rivista e al domicilio che avrà indicato, sempre senza alcun aggravio di
spese postali. Gli autori dei racconti editi resteranno proprietari dei diritti sulle loro opere, che non potranno essere
ripubblicate né dalla stessa Lunarionuovo né da altre iniziative editoriali senza autorizzazione scritta rilasciata da ciascun
autore. Tutti i concorrenti non inclusi nella classifica dei trenta pubblicati riceveranno, anche loro a domicilio e senza
alcun aggravio di spese postali, una copia del Lunarionuovo con la edizione delle opere prescelte e potranno ottenere gratis
un parere scritto sul racconto presentato facendone richiesta alla segreteria. [email protected]
Isola Nera
Casa di Poesia e Lettere
Per l’invio di materiale letterario:
Via Caprera 6 – 08045- Lanusei. Italia
Casa di poesia e letteratura. La prima in Sardegna; in Italia, aperta alla
creazione letteraria degli autori italiani e di autori in lingua italiana. Il
progetto Isola Nera riguarda la prossima pubblicazione in formato cartaceo.
Isola Nera merita degli sponsors in grado di valorizzare l’iniziativa e dalla
quale vengano valorizzati. Si accettano e vagliano proposte.
Aviso para ama nte s de poesía
Ponemos a vuestra disposición
Isla Negra
revista en español de poesía y narrativa breve
Más de 1800 suscriptores acompañan nuestra tarea de difusión literaria
El blog de Isla negra
http://isla_negra.zoomblog.com
AmiGos, eScritOres, dOceNtes, estais
invitados- Escribid a [email protected] - Su distribucion
es gratuita.
20
hasta la pròxima…
al prossimo numero
Scarica

Isola Nera 1/20 Ottobre 2005