A Massimo e al piccolo Marcello,
con me durante questo lungo viaggio.
Progetto promosso e finanziato dal Ministero della Salute
Centro Controllo Malattie
Mirella Taranto
Domenica Taruscio
Centro Nazionale per la Prevenzione
e il Controllo delle Malattie
Progetto a cura di
Controvento
I malati rari raccontano solitudine e coraggio
Si ringrazia il MIUR per la puntuale e preziosa collaborazione nella
diffusione del progetto nelle scuole e in particolare la Direzione Generale
per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione,
per la disponibilità e la sensibilità con cui hanno sostenuto e seguito
l’iniziativa per promuovere l’informazione sulle malattie rare.
Con le testimonianza di Erri De Luca e
Tommaso Schwarz
Prefazione di Enrico Garaci
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Con il sostegno di
Edizioni
Progetto grafico: Health Communication
Immagine di copertina: e-mago
© Istituto Superiore di Sanità
I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale
o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.
Roma, febbraio 2011
Stampa
Str press, Pomezia
Racconti: Mirella Taranto con
Andrea Mei, Rosaria Vavassori, Beatrice Venturi, Daniela Mazzi,
Domenico Posterino, Stefania Riccio, Paolo Cianciulli,
Yaser El Ganzory, Tommaso Schwarz
Schede scientifiche: Domenica Taruscio
e Agata Rita Maria Polizzi
Glossario a cura di Elena Mancini
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
Indice
Ringraziamenti
Mirella Taranto, Domenica Taruscio
9
Prefazione
Enrico Garaci
13
In una guerra ho conosciuto un poeta
Erri De Luca
15
La mia barca rema oggi, come allora, controvento
di Tommaso Schwarz
16
Racconti
Beatrice La felicità è un giro di giostra
Giulia
Elisa
21
Sindrome di Crigler-Najjar
26
Ciak si gira
29
Atassia di Friedreich
34
L’altalena
37
Sindrome di Prader-Willi
46
Andrea Io e mio padre
La distrofia muscolare di Duchenne
Marina Domani in sala giochi
49
55
59
Sindromi di Klippel-Trenaunay, Parkes Weber e Sturge-Weber 64
7
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
Ringraziamenti
Indice
Alberto La fotografia
Emiplegia alternante
Daniela Ti amerò per tutti e due
Yaser
Paolo
69
75
78
Sindrome di Moebius
84
Un cuoco
87
Sindrome da aumentata permeabilità capillare idiopatica
92
Pentole rotte
95
Le sindromi talassemiche
99
Glossario
a cura di Elena Mancini
103
Associazioni
123
“Il destino non è una catena ma un volo e da giornalista ho iniziato
a volare”. Sono le parole di Alessandra Bisceglia che aveva iniziato
a scrivere un libro di racconti, mai finito perché colpita da una malattia rara, se ne è andata a soli ventotto anni. Ci piace pensare che
queste storie siano un po’ anche le sue e che ci abbia in qualche
modo aiutati a tracciare proprio con le parole, che l’avevano aiutata
a volare, qualche segno di speranza. Che abbia incoraggiato la voce
di chi raccontava e reso più sensibile l’orecchio di chi ascoltava in
modo che la pagina rispecchiasse soprattutto il coraggio di queste
esistenze straordinarie, come la sua, costrette a marciare controvento. Il primo grazie, quindi va ad Alessandra, che ci ha lasciato
la sua testimonianza, bella e intensa, riuscendo, nei pochi anni che
ha vissuto, a incrociare i suoi sogni.
L’intero progetto, il libro, ma anche lo spettacolo teatrale, non sarebbero mai esistiti se il Presidente di questo Istituto, Enrico Garaci, non avesse dato coraggio a questa prospettiva da cui guardare
un problema medico e sanitario. Un invito chiarissimo, per un uomo
di scienza, a non dimenticare che è intorno all’essere umano che
deve ruotare la ricerca, la medicina e l’assistenza. Mostrando di saper
andare anche controvento. I racconti, in particolare, invece, non sarebbero stati scritti, forse, se non ci fossero stati Paola Porry Pastorel
e Paolo Triestino che, per diverse ragioni, hanno costretto le parole
ad uscire dall’apparente neutralità della descrizione scientifica per
andare a descrivere le emozioni umane, e a entrare nella fragilità e
nello straordinario disordine del linguaggio ordinario. A farle viaggiare controvento. Laura Novelli. Un grazie infinito per il dono prezioso della sua amicizia, per tutte le revisioni ai racconti, per l’apporto umano e professionale, di cui si è arricchita ogni storia narrata e per l’incoraggiamento, linguistico, a continuare.
Un ringraziamento speciale va anche a Romano Ciriaci, una professionalità straordinaria coniugata a una bellissima umanità, che
9
10
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
gli ha fatto spendere in questo progetto energie, idee, ma anche affetto e sincera partecipazione, sempre pronto a immaginare soluzioni e a offrire sostegno a qualsiasi ora del giorno (e della tarda
sera) con una generosità “rara”.
Grazie anche a Cesare Fassari per aver incoraggiato tutto il progetto
ed aver fatto da prezioso consulente per gli aspetti organizzativi in
ogni fase progettuale, seguita puntualmente, da quando racconti e
spettacolo erano un’idea confusa, larvale e forse un po’ naïve.
Un grazie sincero va anche a chi da questo progetto è stato involontariamente travolto. A Francesca Scapinelli che poi ha amato i
protagonisti di queste storie fino a ricordarne interi pezzi a memoria.
E a tutte le mie colleghe dell’Ufficio Stampa: Franca Romani, Gerolmina Ciancio, Daniela De Vecchis e Cinzia Bisegna per aver accettato questo carico “speciale” di lavoro. Grazie soprattutto per
l’ironia e l’affetto con cui hanno affrontato la prova.
Un ringraziamento va anche alla Consulta Nazionale delle Malattie
Rare e a UNIAMO che uniscono i malati di malattie rare in Italia
e portano avanti la difficile battaglia sulla visibilità e sui diritti, ai
quali con questo libro si vuol dare il nostro piccolo contributo. Le
schede scientifiche delle patologie raccontate hanno ricevuto il prezioso contributo scientifico di Agata Polizzi. A tutta l’organizzazione dell’intero progetto hanno poi contribuito Stefania Razeto
insieme alle colleghe del Telefono Verde Malattie Rare: Amalia Egle
Gentile, Marta De Santis, Ilaria Luzi, Antonella Sanseverino. Antonino Michienzi si è sforzato di coniugare il linguaggio rigoroso
del Centro Nazionale Malattie Rare alla semplicità necessaria perché
le schede potessero essere leggibili per tutti. Grazie per averci aiutato nella sfida divulgativa.
Grazie anche a Fabiola Gnessi del Centro Nazionale Malattie Rare
per averci messo il cuore nel cercare di tradurre il sentire della poesia
di Tommaso nell’immagine di copertina. A Piergiorgio Zuccaro,
artefice involontario di quest’avventura di cui ha subito con pazienza, suo malgrado, gioie e preoccupazioni. E infine, ma non per
ultimo, un grazie a Cristina D’Addazio e a Rosa Martoccia per aver
curato con affetto e partecipazione il lato istituzionale di un progetto che nasceva poco ortodosso e per niente scontato da accogliere
nella missione dell’Istituto Superiore di Sanità.
Mirella Taranto e Domenica Taruscio
Prefazione
di Enrico Garaci
Le malattie rare scuotono la medicina moderna attraverso interrogativi radicali, profondissimi.
La interrogano sul senso della cura, mettono in discussione la nostra idea di equità in sanità e salute, sottolineano il valore della ricerca scientifica e il suo legame con la società civile.
Delle settemila malattie rare note fino ad oggi sono infatti colpiti
migliaia di malati ma di questo universo parcellizzato di patologie
diverse, uniche e il più delle volte senza una terapia specifica, sono
colpite anche le famiglie dei pazienti, costrette a cercare identità e
diritti nel nostro tessuto sociale.
Questo libro, ma l’intero progetto a cui questo volume è legato,
non nasce ovviamente per curare i malati ma per cercare di medicare un’altra ferita di cui soffrono le patologie rare e cioè l’incomunicabilità di questo mondo sommerso che stringe in un cerchio di
solitudine i malati e le loro famiglie. Perché raccontare le malattie
rare significa innanzitutto riconoscerle, riconoscere la loro peculiarità, accogliere la sofferenza che nasce dal sentirsi isolati e indirettamente indicare come esse debbano costituire una priorità nella ricerca e nel mondo sanitario.
È per questo che l’Istituto non ha considerato distante dalla sua attività nei confronti delle malattie rare che è soprattutto ricerca scientifica, sorveglianza epidemiologica e supervisione e coordinamento
di progetti scientifici internazionali, la medicina narrativa e la comunicazione delle malattie rare.
In medicina era l’anamnesi. Ormai sempre più spesso sostituita da
quelli che si chiamano “esami obiettivi”: radiografie, tac, risonanze,
pet e via via strumenti più sofisticati. Preziosi e irrinunciabili, attraverso i quali sono possibili oggi diagnosi tempestive e terapie più
mirate. Ma nel mondo delle malattie rare, dove mancano persino i
nomi per decifrare le malattie, dove si può vagare anche anni alla
ricerca di una diagnosi, il racconto del proprio vissuto di malattia
11
12
CONTROVENTO
può avere un valore enorme, unico, per ricostruire le caratteristiche
della patologia.
Ecco a cosa ci riportano le malattie rare. All’ascolto. A interpretare
il bisogno, a non schiodare gli occhi e soprattutto le orecchie dal
malato, dai suoi sintomi, a restituirgli centralità. Non sempre esiste
sufficiente la letteratura scientifica per giustificare il diritto a una
terapia che può essere salvavita, non sempre la statistica ci soccorre.
La medicina è ascoltare i malati perché è da loro che si impara a conoscere queste malattie, perché nessun medico si può aggirare in
quel labirinto senza l’aiuto dei malati. Lo raccontano queste storie
che sono il recto e il verso della malattia, corpo e anima o corpo e
psiche, come si preferisce ma che devono rimanere indissolubili
nella considerazione di chiunque voglia curare davvero.
È un libro dalla parte dei pazienti, non lo neghiamo. Racconta il
loro esilio, la loro solitudine, la difficoltà di lottare per i loro diritti,
della mancanza di umanità e dell’arroganza che spesso hanno incontrato, ma racconta anche di medici straordinari, di reparti di
ospedale dove il cappotto si infilava direttamente sul camice, di medici che raccontano con gli occhi umidi di lacrime le storie di pazienti che non ci sono più.
Abbiamo iniziato con il laboratorio di medicina narrativa, invitando
i pazienti a raccontare la propria esperienza, abbiamo proseguito
con il concorso nazionale “Il volo di Pegaso” con cui abbiamo invitato tutti a scrivere sulle malattie rare e che oggi è alla sua terza
edizione. Ci hanno aiutato attori, scrittori, con l’obiettivo di diffondere il più possibile e a tutti i livelli il concetto di malattia rara.
Oggi questo sforzo è diventato un progetto di Comunicazione di
cui questo libro è una parte e che continua con uno spettacolo teatrale a cui sei drammaturghi hanno regalato una storia perché possa
essere messa in scena e con la diffusione del libro e del cd nelle
scuole, una palestra unica per l’integrazione.
Questo volume separa le schede scientifiche, curate da Domenica
Taruscio e i suoi collaboratori, e il racconto delle storie di malattia,
raccolte da Mirella Taranto, proprio per sottolineare che la malattia
si scompone nel suo vissuto emozionale e psicologico e nella sua ricaduta biologica e organica per poi ricomporsi in un’unica ferita.
Con le storie abbiamo cercato un’empatia per avvicinare adulti e
ragazzi a un mondo che li riguarda perché riguarda tutti la convivenza civile e umana con chi è meno fortunato, con le schede scien-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
tifiche abbiamo indicato le caratteristiche delle malattie per suggerire la complessità della conoscenza di queste malattie e la fatica che
implica la ricerca.
Avremmo voluto raccontarle tutte, uniche e irripetibili in ogni vicenda umana.
Siamo stati cosrtetti a sceglierne alcune, raccogliendole attraverso
associazioni, o attraverso incontri personali, ma cercando di raccontare attraverso di esse non tanto “quella” malattia, quanto la condizione che ognuna di queste malattie rare genera, la solitudine e il
coraggio che si possono ritrovare nella fortissima ma fragile esistenza
dei malati e delle loro famiglie.
Controvento si chiama il libro, perché è difficile navigare in direzione contraria, come accade a chi soffre di malattie così complesse,
fingendo o subendo una normalità che si invoca e che non c’è.
Come spiega anche Tommaso, che a dieci anni, con la sua incerta
calligrafia, scrive la bellissima poesia ermetica riportata in copertina
e chiede di non essere lasciato solo.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
In una guerra
ho conosciuto un poeta...
di Erri De Luca
In una guerra ho conosciuto un poeta. Era rimasto nella sua città
circondata, durante l’assedio più lungo del 1900. Non si era permesso il lusso dell’esilio. Coi suoi versi di amore era stato responsabile della felicità. Le sue poesie avevano accompagnato molte
nozze. Perciò si sentì responsabile anche dell’infelicità.
Mentre la sua città si sbriciolava lui ne scriveva i pezzi. Un ponte,
un tram, un chiosco, una biblioteca e la quantità di amici scappati
lontano o morti di esplosioni e di stenti. Li seppellivano di notte
per non farsi sparare dai cecchini.
Dopo la guerra uscirono i suoi versi: “Il libro degli addii”. Là dentro
c’erano tutti, nessuno mancava. In una guerra un poeta diventa il
vice di Noè. Fa salire sulla sua barca di fogli di quaderno tutte le
vite che può per farle sbarcare all’asciutto di un dopoguerra, a diluvio finito.
So da lui il valore di una pagina che raccoglie una vita e le offre
voce. La pagina scritta è uno dei formati della salvezza. Una statua,
una lapide, il nome su una strada sono presto invisibili, la pagina
no. Non è in memoria di, non ha niente di questa muffa stanca, è
invece sbarco intatto in terraferma. La promessa dell’arca è di sbarcare in alto. Così fanno le pagine. Custodiscono il carico affidato
alla tempesta e gli danno la seconda vita.
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16
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
La mia barca rema oggi,
come allora, controvento
di Tommaso Schwarz
Non so se è più difficile combattere contro una malattia senza nome
– di cui impari a conoscere il volto a ogni nuovo sintomo, a ogni
ingresso all’ospedale, a ogni nuova puntata di questa storia che ha
tracciato tutta la tua vita – o contro l’ignoto.
La mia barca rema oggi, come allora, controvento. Studio storia, lavoro e dico grazie a chi mi sta vicino. A mia madre, a mio padre, ai
miei fratelli. Grazie per quell’amore che mi ha fatto sopravvivere e
spesso anche vivere. Grazie alla mia famiglia, alla quale faticosamente mi sforzo di assomigliare, di rincorrere e che temo ogni volta
di deludere.
In questo mare di fragilità che accompagna la mia malattia senza
nome di cui però conosco bene il significato tutto è fatica. Crescere
significa lottare per ciò che agli altri viene facile come respirare: parlare correttamente, usare le mani, le gambe, mangiare o alimentarsi.
Ed è difficile prima di tutto scegliere. Ho passato il tempo a rimettermi in piedi e non c’è stato tempo per diventare un uomo forte e
deciso, per fondare davvero le mie scelte.
Io non so come finirà, la mia è una malattia senza nome e quindi
l’ho adottata. Vive con me e insieme conosceremo il finale.
Per ora mi tocca vivere, a volte in un mondo immaginario dove ancora, come un bambino, mi scopro a sognare un’altra vita.
Ma poi ritorno qui e vado allo stadio. Una passione vera, senza condizioni. Dagli spalti guardo correre il pallone e mi confondo insieme a migliaia di persone, nello stesso entusiasmo, con le stesse
possibilità di gioire e di soffrire per le stesse ragioni. Ma è un amore
il rimpianto più grande, ed è dolce, a volte, l’illusione di una luce
che si accende al mio sguardo. Sarà per la prossima volta, mi dico,
e concedendomi il lusso del futuro, intanto la immagino là, la mia
storia d’amore, in quello spazio tutto mio che non mi lascia da
quando ero bambino, da quando i miei sogni diventavano l’acqua
del mare.
La solitudine
Nel sogno del mare c’è un’anima marina.
Il sogno diventa acqua e le barche vanno da sole
nel cuore dell’anima marina.
Nel sogno del mare c’è un’anima marina.
E te che sei da sola sulla riva del mare.
Nel sogno del mare c’è un sogno marino
e un uomo che va sulla barca da solo.
Nel sogno del mare non c’è nessuno
e i pesci nuotano da soli.
TOMMASO S CHWARZ
Tommaso aveva dieci anni quando ha scritto questa poesia ed era già ammalato.
Oggi ne ha 29 e, a differenza di quelle raccontate nel libro, la sua malattia non
ha ancora un nome. Dell’universo delle malattie rare, infatti, fanno parte anche
queste malattie che non godono neanche della possibilità di una diagnosi. A
queste abbiamo dedicato la copertina e abbiamo scelto di farcela raccontare dalle
parole di un bambino che più di tutto temeva la solitudine.
17
Racconti
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
B E AT R I C E
La felicità è un giro di giostra
“L
i curerò tutti, lo giuro, tutti quelli che verranno dopo di me,
glielo devo. Perché sono forte, perché ho resistito. Ho ventotto anni e sono l’ammalata più vecchia d’Italia”.
Beatrice soffre della sindrome di Crigler-Najjar, la malattia che fa
desiderare un po’ di buio, di oscurità, di notte, perché la sua cura è
la luce. Obbligatoria ogni giorno la fototerapia, per almeno otto
ore di fila. Chissà perché quel giorno che aveva invitato i genitori,
proprio quel giorno, a tavola, a casa sua, torna indietro nel tempo
e se lo ricorda quel giuramento. Lo ricorda alla madre, al padre, venuti a trovarla da Bologna a Modena, nella casa che ha appena acquistato con Paolo. È lì che vive vicino al Centro di medicina rigenerativa nel quale lavora ormai da tre anni. Beatrice oggi è un po’
stanca, la mamma si alza, l’aiuta a servire e lei la guarda. “Sì, mamma,
tu questo lo sai, sai che li curerò tutti quelli malati come me. Li salverò da questo eccesso di bilirubina che avvelena il sangue, minaccia
il cervello e colora la nostra pelle di giallo, come sono gialle le mimose che ti ha regalato papà il giorno che sono venuta al mondo.
Era l’8 marzo 1982 e lui, invece delle solite rose, ti ha portato quelle
mimose, che somigliavano sempre più a me, ogni ora sempre più
gialla. Ancora oggi, in quell’ospedale di Bologna dove ogni anno i
bambini nascono a frotte, non se lo ricorda nessuno un altro neonato così. Ma tutto questo lo sai”. Aveva tutto un discorso in testa
Beatrice, se lo era costruito la sera prima per bene. Era impeccabile.
Non ammetteva repliche. Con dolcezza, ma con fermezza, avrebbe
spiegato tutto. Avrebbe dimostrato, come in un teorema, che la sua
non era una scelta ma una realtà ormai. Che non avrebbe ammesso
alcun se e alcun ma. Beatrice aveva previsto tutto: le reazioni, le
paure, ma lei avrebbe giocato in difesa, il suo discorso era perfetto,
preveniva ogni osservazione, smontava ogni contromossa. Non ci
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CONTROVENTO
sarebbe stato bisogno di attaccare. E, invece, mentre sua madre le
serviva la minestra, mentre le accarezzava la testa, come quando era
piccina, continuavano ad assalirla i ricordi. “Scordatevi di avere una
bambina normale, ti avevano detto e, in fondo, avevano ragione”.
“Ma che ne sapevo io, figlia mia, avevo vent’anni e a vent’anni il
dolore ti sorprende come un ladro, e tu a quell’età non hai i catenacci alla porta, quello entra e prende tutto, senza rispetto. Io sono
rimasta lì, con il ventre vuoto e la porta spalancata, ad aspettare
mattina”.
“Ma non riesci a capire che la mattina è arrivata, non vedi i miei
capelli lunghi, la mia casa, non vedi la mia vita con Paolo, ancora
insieme, dal liceo, nonostante la paura”.
“La paura non è mai finita, Beatrice, e non finirà mai, finché dipendi da quella maledetta lampada, finché ogni giorno sei costretta
a combattere come un soldato, per tenere a bada quella maledetta
bilirubina, a furia di farmaci e di luce. E io da sempre, ormai, mi
sento come se un black out alle mie spalle tramasse ogni giorno
contro il tuo fegato, come se tutti i tuoi organi fossero minacciati
dall’esplosione del buio”.
“Te la sei presa tutta tu la paura, mamma, mi hai riportato nel tuo
ventre, hai trattenuto la mia angoscia, mi hai restituito il coraggio.
Per questo io sono così sfrontata. Incosciente. Dopo la laurea sono
andata persino in Europa a studiare. Avevano ragione i medici. Non
sono normale. Ci avevo creduto davvero. Ci potevo giurare che all’estero avrei trovato una cura per questa malattia. Fino a Edimburgo sono arrivata, ho scovato l’unico pezzo di mondo dove studiavano questa sindrome per imparare quanto è lunga una ricerca
e come è faticoso ottenere un risultato, piccolo così. E poi ho capito quanta strada serva per arrivare alla terapia, quante tappe siano
necessarie per arrivare alla stazione, quanta distanza ci possa essere
tra un laboratorio e il letto di un malato, e ancora più chiaro mi è
stato come corra veloce invece la nostra vita”.
“Sei tornata arrabbiata come una bambina, Beatrice, ferita, come
quando ti ferivano i tuoi compagni facendoti sentire diversa. Per
fortuna poi questa rabbia ti ha salvato. La tua malattia è stata più
un problema degli altri che tuo. Ti ricordi a Milano? Quando andammo a trovare Ginevra, malata come te, perché i genitori ti volevano conoscere? Trovasti una bambina sotto una lampada azzurra
che disegnava muta, chiusa in un dolore che non riusciva ad espri-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
mere. Aveva addosso le paure di tutti, oltre alle sue. E così rinunciò
al suo fegato, si liberò dalla schiavitù della luce e scelse il trapianto.
Mi ricordo che tu le parlavi, le parlavi, e il suo dolore non si scioglieva e non si scioglievano le parole, strette in un’angoscia troppo
difficile da raccontare. Poi abbiamo capito che era ossessionata dalla
terapia, dalla paura che gli altri avevano che non bastasse, che quella
luce non fosse mai abbastanza. E, infatti, lei faceva tutto sotto la
lampada. Non si fidava della notte. Stava alla luce anche di giorno.
Fino a non poterne più. E così anche questo è diventato il tuo pallino. Cercare di spiegare che la terapia deve far parte della vita, non
ossessionarla. Tu, infatti, ancora scommetti sul tuo fegato, per rabbia,
per amore”.
“Io scommetto sulla vita, mamma, perché l’unico sconforto vero è
stato quando ho capito che avrei curato topi per molti anni, e che
i malati non li avrei visti mai. E io l’ho aggredita la vita mamma,
l’ho presa a morsi, perché non mi divorasse prima lei, perché diventassimo alleate e non nemiche. E quando sono tornata, invece,
pensavo quasi di cedere le armi. Ma io sono dispettosa, lo sai, non
gliel’ho data vinta. E quel 28 ottobre 2008 ho ricominciato la mia
sfida”.
“Me lo ricordo Beatrice, stavamo in cucina, il Tg regionale parlava
del nuovo Centro di medicina rigenerativa di Modena. Hai fatto
un salto sulla sedia e sei tornata guerriera, combattente, in un lampo
ho riconosciuto la solita aria di sfida nei tuoi occhi. Non capivo
perché, ma ringraziavo il cielo che fossi tornata a sperare. Questo
l’avevo capito”.
“Sì, neanche io, veramente capivo bene come quel centro potesse
avere a che fare con me. Ma le mie armi non erano ancora arrugginite e se ero andata fino a Edimburgo, potevo esplorare anche qualcosa che stava dietro casa mia. Mamma, quelli come me si inventano la vita giorno per giorno, cosa vuoi che sia stato per me inventarmi come entrare là dentro. È creativa la malattia. Papà si è
inventato di tutto pur di invogliare qualcuno a dedicarsi alla Crigler Najjar. Nel tempo ha istituito diverse borse di studio. Mai nessuno però avrebbe pensato che una di queste me la sarei guadagnata
io. E invece io ci ho puntato. Mi sono laureata con la lode in biotecnologie mediche, ho fatto il dottorato e poi, senza più risorse,
ho proposto al centro di lavorare gratis per un anno per loro, ma
queste cose le conosci. E sai perché te le ripeto? Per dirti che io sono
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
anche la somma di noi tre. E te lo voglio dire oggi perché proprio
oggi devi sapere quanta forza mi ha dato la mia famiglia. Senza di
voi non ce l’avrei fatta. Siete stati la mia culla, il mio paracadute e
vi siete caricati in silenzio la paura per restituirmi libera al mondo.
Senza di voi non mi sarei neanche inventata una ricerca. Eh sì,
mamma, perché lo sai che la ricerca me la sono dovuta guadagnare.
In quel centro io passo la mattina a studiare le cellule staminali per
rigenerare la pelle. Ma io gliel’ho ricordato al Direttore che il fegato
ha un’origine epiteliale e così abbiamo fatto un patto. Lavoro di più
al mattino e nel pomeriggio coltivo il mio sogno, coltivo le cellule
staminali epiteliali per rigenerare il fegato, perché io correggerò il
difetto di quelle cellule, quell’anomalia che gli fa produrre questo
benedetto veleno, e vedrai che la sindrome di Crigler-Najjar, per
chi verrà dopo di me, sarà solo un brutto sogno. Al piano di sopra,
di questa enorme ragnatela che sembra il centro, il mio centro, ci
sono le stanze, mamma, per i pazienti, per i malati, per le persone”.
“Ti conosco e la tua rabbia mi ha sempre riempito d’orgoglio, ma
il coraggio è tutto tuo”.
“No mamma, no. Il coraggio è nostro, mio, tuo, di papà. Papà anche
a te lo voglio dire che cos’è l’Associazione che hai creato. È stato
non ridurre a lacrime e sangue questa nostra storia. È stata la tua
rabbia, la tua medicina, il tuo riorganizzare la vita non sulla malattia ma contro la malattia. E adesso è più importante che mai saperlo, forse è per questo che voglio ricordare tutto”.
“Tutto, figlia mia, è impossibile. Tutto è tanto, tutto è stato lungo,
ma anche breve, tutto è stato intenso”.
“E non è stato solo dolore, mamma. La mia lampada accesa l’ho
spenta dentro di me. Paolo dormiva al buio, completamente, e per
me ha sopportato la luce di notte. Non poterlo abbracciare tutte le
notti, quello sì che è stato dolore. Ma che felicità ogni volta che facevo il pieno di luce per regalarmi una notte intera stretta al buio
tra le sue braccia. Sono davvero tanti anni che stiamo insieme. Eravamo bambini e con la mia lampada sempre accesa siamo diventati
adulti. Nonostante le nostre paure oggi siamo a casa nostra e abbiamo già tanti album di foto sulla neve, al mare, fotogrammi di
una vita che abbiamo reso normale. Come quel viaggio in America,
il mio regalo di laurea. Ha fatto tutto lui. Ha parlato con un medico americano, conosciuto a un congresso sulla Crigler-Najjar, ha
organizzato per mesi quel viaggio che è durato ventitré giorni, e
così, sbarcata in America, ho trovato un letto portatile illuminato
e per ventitré giorni ho viaggiato, campeggiato, vissuto”.
“Non ci avrei creduto mai, quando eri tra le mie braccia ventotto
anni fa, che saresti andata così lontano. Mi proteggevo da una ferita, e poi sei stata la mia forza, mi hai regalato un angolo straordinario da cui guardare il mondo. I miei occhi, da soli, non ce l’avrebbero fatta”.
“Anche io, mamma, voglio guardare la vita da quella prospettiva,
anche io voglio replicare la forza del vostro amore e lo voglio moltiplicare. È per questo che oggi vi ho cercati. Per dirvi che è da quell’angolo che voglio vedere adesso la vita”.
“Non scherzare, Beatrice, io non voglio cominciare una paura nuova,
io non voglio soffrire di più, non ho la forza per due giri di giostra.
È un rischio gratuito”.
“Come la vita, mamma, come la felicità”.
“Ma tu sei felice. Me l’hai detto ieri per telefono. Che puoi scriverlo
a caratteri cubitali”.
“Sì. Perché so che la mia vita non finisce qui. Perché fino ad oggi
vivere è stata una sfida. Finalmente ho dato un senso a quella mia
sfida. Nascerà a febbraio”.
Si ringrazia l’Associazione CIAMI Onlus per aver reso possibile l’incontro con
Beatrice.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
in età neonatale con un ittero precoce, in-
sono stati ottenuti con la terapia genica,
Sindrome di Crigler-Najjar
tenso e persistente e feci di colore giallo
mediante vettori virali e non-virali, in ratti
In breve
La sindrome di CriglerNajjar è una rara malattia
genetica dovuta al
malfunzionamento di un
gene che comporta, a valle,
un accumulo eccessivo
nell’organismo di bilirubina
non-coniugata, una
sostanza di scarto che, in
quantità eccessiva, è
particolarmente tossica per
il sistema nervoso.
Esistono due forme della
malattia (tipo I e tipo II):
generalmente la sindrome
di Crigler-Najjar di tipo I è
più grave.
Si manifesta già in età
neonatale e tra le
complicanze più gravi e
pericolose vi è l’accumulo
della bilirubina in alcune
aree del cervello (si tratta
del cosiddetto kernittero)
che può portare a morte
durante le prime settimane
di vita o a gravi
conseguenze neurologiche.
Il trattamento della
sindrome di Crigler-Najjar
prevede cicli di fototerapia
e di exanguinotrasfusione
(cioè una sostituzione
pressoché completa del
sangue). Benché il
trapianto di fegato sia
risolutivo non è scevro di
complicanze.
La ricerca sta lavorando su
altre possibilità
terapeutiche: la terapia
genica, il trapianto di
cellule epatiche e la terapia
con cellule staminali si
sono dimostrate strategie
promettenti. Occorrerà
ancora del tempo prima che
queste terapie possano
essere routinariamente
impiegate nella pratica
clinica.
pallido. I bambini affetti sono a rischio di
Gunn, in cui è stata ottenuta una notevole
manifestazioni neurologiche, a causa della
riduzione della bilirubina sierica a distanza
tossicità della bilirubina non coniugata nei
di un anno. Il trapianto di cellule epatiche
confronti del sistema nervoso. Il kernicterus
è una nuova terapia alternativa che consente
– tra le complicanze più gravi – può mani-
di ripristinare il metabolismo della biliru-
festarsi nel periodo neonatale e può portare
bina, riducendo in parte i rischi legati al tra-
a exitus durante le prime settimane di vita
pianto di un intero organo e migliorando la
o a importanti sequele neurologiche. La dia-
qualità di vita dei soggetti con Crigler-Najjar.
gnosi di sindrome di Crigler-Najjar si basa
Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per
sul riscontro, in epoca neonatale, di ittero
ottimizzare la qualità delle preparazioni cel-
ed iperbilirubinemia indiretta, in assenza di
lulari e controllare la risposta immunitaria
un quadro suggestivo di emolisi. Nella bile,
dell’organo ricevente. Altre aree di ricerca
la concentrazione della bilirubina è inferiore
in campo terapeutico riguardano la terapia
a 10 mg/dl rispetto ai valori normali di
con cellule staminali.
50/100 mg/dl, inoltre, non si riscontra bi-
La sindrome di Crigler-Najjar tipo II si tra-
lirubina glucuronata. La diagnosi biochi-
smette con modalità autosomica recessiva
mica si ottiene mediante il dosaggio del-
ed è causata da mutazioni del gene UGT1A1
l’attività enzimatica della glucuroniltran-
responsabili di una inattivazione parziale
sferasi in campioni di tessuto epatico. Il
dell’enzima bilirubina uridina-difosfato glu-
trattamento comporta cicli di fototerapia e
curonosiltransferasi. La malattia può pre-
di exanguinotrasfusione per mantenere la
sentarsi in maniera molto simile alla tipo I,
bilirubina sierica sotto i livelli di 20 mg/dl
o manifestarsi con un fenotipo meno grave.
durante le prime 2-4 settimane di vita.
Il quadro clinico e di laboratorio in età neo-
Poiché il rischio di kernicterus persiste sino
natale comprende ittero moderato, colore
■ La sindrome di Crigler-Najjar è una ma-
difosfato glucuronosiltransferasi, isoforma
all’età adulta, la fototerapia si continua, ge-
normale delle feci, iperbilirubinemia persi-
lattia genetica rara caratterizzata da iper-
1A1. Quest’enzima catalizza la glucuroni-
neralmente, in età successive, sebbene la
stente di grado variabile, con valori com-
bilirubinemia indiretta, di tipo non ostrut-
dazione della bilirubina, una fase essenziale
risposta a tale tipo di trattamento si riduca
presi tra 1.5 e 22 mg/dl anche dopo la terza
tivo e non emolitico. Esistono due forme
nell’escrezione biliare della bilirubina altri-
con l’età. Per prevenire il manifestarsi del
settimana di vita. La bile è pigmentata e
(tipo I e tipo II) geneticamente e funzio-
menti neurotossica. Gli eterozigoti presen-
kernicterus, particolare attenzione va posta
contiene bilirubina glucuronata. Non vi è
nalmente distinte, causate dal deficit com-
tano un difetto parziale della coniugazione
nei confronti di eventuali infezioni inter-
evidenza di emolisi. I bambini possono non
pleto o parziale dell’enzima epatico glucu-
della bilirubina, come riscontrato su cam-
correnti ed episodi febbrili. Il trapianto di
manifestare segni e sintomi della malattia
roniltransferasi.
pioni di tessuto epatico, ma la concentra-
fegato rappresenta una terapia risolutiva,
e generalmente sopravvivono sino all’età
La sindrome di Crigler-Najjar tipo I si tra-
zione di bilirubina sierica è normale. Con-
tuttavia medici e pazienti sono spesso ri-
adulta senza deficit neurologici o cognitivi.
smette con modalità autosomica recessiva
centrazioni elevate di bilirubina indiretta,
luttanti nell’intraprendere tale procedura
Il kernicterus è una rara complicanza. Per
ed è dovuta a mutazioni del gene UGT1A1,
con valori che oscillano tra 20 e 45mg/dl,
(necessità di un nuovo trapianto, fibrosi pro-
quanto riguarda il trattamento, la riduzione
responsabili della perdita completa dell’at-
si osservano negli omozigoti già durante il
gressiva) preferendo alternative meno inva-
a lungo termine dell’iperbilirubinemia, può
tività dell’enzima epatico bilirubina uridina-
primo mese di vita. La malattia si manifesta
sive. Incoraggianti risultati a lungo termine
ottenersi con la somministrazione continua
27
28
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
di fenobarbitale al dosaggio di 5mg/kg/24
Ther 2010 Oct 25. [Epub ahead of print]
h. La sindrome di Crigler-Najjar è presente
• Ghodsizadeh A, Taei A, Totonchi M, Sei-
all’interno dell’Allegato 1 del Decreto Mi-
finejad A, Gourabi H, Pournasr B,
nisteriale 279/01 “Regolamento di istitu-
Aghdami N, Malekzadeh R, Almadani N,
zione della Rete nazionale delle malattie
Salekdeh GH, Baharvand H. Generation
rare e di esenzione dalla partecipazione al
of liver disease-specific induced pluri-
costo delle relative prestazioni sanitarie”,
potent stem cells along with efficient dif-
con codice di esenzione RC0180. Pertanto,
ferentiation to functional hepatocyte-like
sono stati identificati, all’interno della Rete
cells. Stem Cell Rev 2010;6:622-32.
Nazionale per le malattie rare, dei presidi
• Lysy PA, Najimi M, Stephenne X, Bour-
clinici per la prevenzione, la sorveglianza,
gois A, Smets F, Sokal EM. Liver cell tran-
la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento
splantation for Crigler-Najjar syndrome
di tale patologia.
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L’elenco di tali presidi è disponibile online,
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Rare (www.iss.it/cnmr).
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Infine, si segnala che sul territorio nazionale
drome. Curr Gene Ther 2009;9:72-82.
è presente un’Associazione dedicata alla sin-
• Nguyen TH, Aubert D, Bellodi-Privato M,
drome di Crigler-Najjar: la Crigler-Najjar Italia
Flageul M, Pichard V, Jaidane-Abdelghani
Associazione Malati Iperbilirubinemici (CIAMI
Z, Myara A, Ferry N. Critical assessment
ONLUS), il cui sito web è consultabile al-
of lifelong phenotype correction in hy-
l’indirizzo www.ciami.it/. La CIAMI ONLUS
perbilirubinemic Gunn rats after retro-
è inoltre presente nella banca dati relativa
viral mediated gene transfer. Gene Ther
alle Associazioni di pazienti, sul sito web del
2007;14:1270-1277.
Centro Nazionale Malattie Rare.
• Servedio V, d’Apolito M, Maiorano N, Minuti B, Torricelli F, Ronchi F, Zancan L,
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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C, Nguyen TH, Chardot C. A step toward
Crigler-Najjar (CN) syndrome patients:
liver gene therapy: efficient correction of
identification of twelve novel alleles and
the genetic defect of hepatocytes iso-
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Mutat 2005;25:325.
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dhuri A, Roy-Chowdhury N, Kren BT, Roy-
D, Beaudet A, Ng P. Correction of hy-
Chowdhury J. Long-term reduction of
perbilirubinemia in Gunn rats using cli-
jaundice in Gunn rats by nonviral liver-
nically relevant low doses of helper-de-
targeted delivery of Sleeping Beauty tran-
pendent adenoviral vectors. Hum Gene
sposon. Hepatology 2009;50:815-24.
GIULIA
Ciak, si gira
“C
hi di voi due è l’invalida?”. Così mia figlia ha scoperto di essere malata. Glielo hanno urlato dalla cima di una delle solite file di gente in attesa di un prelievo e convinti di farle
un favore.
Avrei voluto dirle: “L’invalida sei tu, ma di cervello”, ma poi avrei
dovuto insultare il mondo intero, paradossale come quella scena,
sciatta come è sciatto il mondo, incapace di tendere una mano senza
colpire con l’altra. Così ci facemmo avanti, entrambe in silenzio, a
prenderci quell’inutile privilegio, pagato caro, questa volta ancora
più caro.
Giulia non parlò né prima né durante né dopo il prelievo. Lei mi difende con il suo silenzio, me lo ha spiegato lo psicologo. Non ha mai
chiesto nulla né quando aveva otto anni né oggi che ne ha quattordici. È il suo modo di proteggermi e di proteggersi, fare finta che
non sia vero.
E così ci credo anche io. Friedreich, infatti, non è il medico che ha
dato il nome alla sua malattia, è solo il suo orsacchiotto. L’ho sentita un giorno, mentre lo chiamava così, ci parlava e lo puniva come
si fa con un giocattolo. Una specie di recita, solo che in questa recita, a un certo punto, sono entrata anche io. Mi sono ritrovata a far
parte di una scena in cui Giulia è malata e io me ne accorgo, quasi
per caso, perché ha mal di testa. Ma sì, è solo finzione. Non è vero
che perde ogni giorno di più il suo baricentro, che si regge sempre
meno sulle sue gambe e che sempre meno vi si reggerà. Non è vero
che le manca quella maledetta proteina e che perciò le si ammalerà
il cuore, le si curverà la schiena e le andrà via progressivamente la
forza dai muscoli.
Non è vero. È la scena di un film che un regista ha deciso di girare
con una folla di malati veri, di famiglie malate tutte della stessa ma-
29
30
CONTROVENTO
lattia. Sono veri tutti questi genitori di bimbi e adolescenti che ormai
riempiono la mia vita e a cui ho imparato a volere bene come fossero figli miei. E a furia di recitare ho imparato a navigarci dentro a
questo dolore e voglio spiegarlo al mondo. Voglio raccontare cosa
significa essere ammalati di atassia, o forse essere ammalati e basta.
Cosa vuol dire te lo dice un medico dietro una scrivania, freddo come
un ghiacciolo, appena tornato dalle vacanze. Lui si era dimenticato
che tu aspettavi il test da più di sei mesi. Finché un giorno, abbronzato
com’era, lo hai svegliato dal suo torpore estivo e gli hai chiesto dove
diavolo fosse finito il sangue di tua figlia e l’esito del prelievo per il
quale ormai da oltre 180 giorni non eri riuscita a dormire una notte
di fila. E non dormivi perché mai ti abbandonava la paura che il verdetto di quel test potesse decretare proprio l’atassia di Friedreich, la
più temuta, la peggiore, la più invalidante.
Finché un giorno hai cominciato a seguire tu quel prelievo come un
segugio, scoprendo che era finito in tutt’altro ospedale, dove hai braccato il biologo di turno costringendolo a guardare tutti i referti possibili, per capire se sopra ci fosse scritto per caso il nome di tua figlia. Finché non hai scoperto che quel nome c’era e che il policlinico era stato già avvertito, che l’esito del test era quindi pronto ma
che non era stato richiesto perché al rientro delle vacanze il professore si era dimenticato di avere una diagnosi in sospeso. “Signora
mia – mi ha detto – cosa vuole, siamo tornati da poco, adesso chiamo
subito il laboratorio e vediamo di che si tratta”. E cosa vuol dire poi
la paura te lo spiega quella corsa forsennata al policlinico, dove quel
cattedratico mi aspettava distratto e neanche mi ha detto buongiorno
che si è messo a riempire di firme tutte le carte che poteva riempire
mentre io aspettavo, impietrita, con gli occhi sgranati, di sapere cosa
ci fosse sull’unica carta che mi interessava, quella che riportava l’esito
del test eseguito su mia figlia, dove c’era scritto quale sarebbe stato
il nostro futuro insieme.
Davanti a quel signore, che mi comunicava impassibile, dopo aver
messo, una per una, le sue improcrastinabili firme persino sulla fattura della cancelleria, che l’atassia di Friedreich, l’incubo che aveva
popolato le mie notti avrebbe popolato anche i miei giorni, che era
questa la malattia di mia figlia, presi a calci tutto quello che poteva
esserci davanti a me consumando tutto il fiato che avevo in gola per
dire che non era vero.
Poi, mi ha gentilmente fatto notare che era già tardi, che mi aveva
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
inserito tra gli appuntamenti e prima di terminare ha aggiunto: “Ovviamente non c’è alcuna terapia”. Lo so, idiota, che non c’è alcuna
terapia, credi che abbia visto i cartoni animati mentre aspettavo l’esito
del test. Per 180 lunghissimi giorni ho studiato medicina, ho studiato. Potrebbero darmi una laurea honoris causa. E mi sono pure
specializzata. Sulle atassie, ovviamente.
Ed è per questo che continuo a prendere a calci anche i sassi del selciato, che non voglio tornare a casa, che non ho il coraggio di guardare in faccia Giulia e che per questa sera cena dalla sua amica. Mi
serve il tempo per svegliarmi dall’incubo in cui sono cascata. Ho bisogno di una doccia fredda per ricominciare. Questa recita mi sta
prendendo troppo. Sarei morta quel giorno, il 22 settembre del 2006
se fosse stato vero. Se non avessi creduto che era un film.
Okay Giulia, si ricomincia, è solo un film. Lungo, però, da girare.
Ci sei cresciuta dentro questa sceneggiatura. Pian piano sei diventata adolescente. E intanto non danzi più, non corri e, se chiudi gli
occhi, perdi l’equilibrio. Con gli occhi cerchi di sostituire la forza
dei tuoi muscoli, laddove non ti reggono cerchi il tuo asse con lo
sguardo e con lo sguardo ti riprendi la forza che cede il tuo corpo.
Una bestia questa malattia. Ne ho visti in questo viaggio di ragazzi
ai quali gli occhi non bastavano più. Erano i malati veri, quelli di
cui sono diventata amica, consigliera, madrina. Quelli con cui ci
scambiamo le ultime novità sulle sperimentazioni. Poche, troppo
poche. Sono troppe anche le dita di una mano. E anche quando ne
inizia qualcuna sappiamo già che non sarà per noi. Voi lo sapete
quanto dura una sperimentazione? Lasciamo perdere, non basterà
che la mia testa diventi candida per vederne la fine. Per oggi posso
dire solo di aver visto avanzare questa bestia, in tutte le sue diverse
fasi, ho visto l’evoluzione delle sue ferite, le ho volute guardare da
vicino. Erano le stesse ferite che avevano negli occhi e nel cuore quelle
madri e quei padri mentre inseguivano la speranza per non cedere
all’impotenza che li avrebbe stretti in un dolore sovrumano.
Da quando è iniziato il film però nessuno viene più a casa di Giulia.
Dove sono finiti i pigiama party che organizzavo fino a quattro anni
fa? E le feste, i pomeriggi dedicati a lei, a organizzare giochi per le
amiche, le torte. Non squilla più neanche il telefono a casa mia. Ma
questi ci hanno creduto davvero che Giulia è malata. Il fatto è che
perde l’equilibrio davvero ormai. Saranno state quelle maledette infradito. Mi sa che le avevano rovinato il piede. E loro adesso hanno
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32
CONTROVENTO
paura di uscire con lei. Un po’ perché rallenta le passeggiate, un po’
perché ho saputo che le mamme hanno paura, pensano che mia figlia sia una responsabilità. Così hanno detto le signore, che cade e
si fa male, una rogna.
Come quella della gita scolastica. Pensavo fosse una scena del film e
invece quella era vera. Il preside non la voleva a Berlino con gli altri.
“La scuola – dicevano – non può pagare l’insegnante di sostegno.
Con questi chiari di luna”. La tigre di Corcolle mi hanno chiamato.
Ho mobilitato tutti, persino le televisioni, e Giulia è partita. Tutti i
forum di malati su Internet hanno esultato. E pensare che non sapevo neanche accendere un pc prima di questo film. E meno male
che ho il senso dell’umorismo perché sono riuscita a farmi anche
una risata a vedere il preside con il suo faccione di gomma recitare
sul TG Lazio che la sua era stata una battaglia di civiltà e che per
questo Giulia era partita. Neanche Pirandello avrebbe potuto scriverla questa storia. Sì, la scuola. Di un altro quartiere, di un altro
Paese, di un altro pianeta. Ho ottenuto i soldi dal Comune, perché
era un mio diritto. Ho rifiutato qualsiasi colletta, perché non si trattava di soldi, si trattava di esistere o no. Di esistere in piedi, claudicante, ma in piedi, sulle proprie fragili gambe e non su una sedia a
rotelle, come avrebbero voluto a scuola per facilitare a tutti la vita.
A tutti gli altri, non certo a mia figlia. Perché mia figlia guarirà e su
quella sedia non ci salirà mai e se ci dovesse salire sarà il più tardi
possibile. E mia figlia ci è salita sola sull’aereo lentamente, piena di
paura, ma in braccio a nessuno. Ho visto un giovane, un giorno, a
uno stadio avanzato della malattia che si appoggiava soltanto sulla
sedia e non me le scordo le sue parole: “Il giorno in cui mi ci siedo
sopra la userò per sempre”. Bravo. Ben fatto. Non c’è mica solo il
corpo, c’è anche la mente. E la mente può molto. Più di Padre Pio
forse. Me la ricordo la sua medaglietta che stringevo fra le mani davanti al medico abbronzato, il 22 settembre 2006. E va bene che i
Santi non si trattano così, che non servono a esaudire desideri e che
la fede è ben altro. Ma io non vedo altro, nulla. Nessun altro volto
di questa sofferenza cieca che non trova una ragione e che non svela
altri significati, non mostra nessun altro volto se non questo devastato dal dolore. Invano cerco un balsamo per alleviare la mia ferita
e niente riesce ad accarezzarmi l’anima, neanche per un attimo.
Sono tutte scene del film. Ma quel giorno, invece, al luna park eravamo noi. Noi, forse anche dentro il film. Quel giorno che quei due
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
ragazzi hanno rallentato il tagadà e Giulia c’è saltata sopra. Erano
due rom, bellissimi, biondi e abbronzati, ma mica come quel medico, erano belli come due statue greche. Nessuno gli aveva chiesto
niente, chissà come, ma tra la folla di gente hanno visto Giulia, hanno
visto le sue difficoltà e hanno cambiato il ritmo del movimento del
gioco. Lo hanno reso accessibile anche a lei e tanti saluti a tutti gli
altri. Chi non gradiva scendeva e pazienza se perdevano clienti per
i prossimi giri. Questi erano per Giulia, a sua misura. I ragazzi sorridevano, sono corsi ad aiutarla quando è caduta e lei, per la prima
volta, ha accettato che qualcuno le tendesse una mano. Quei sorrisi
mi accarezzavano l’anima, e mi sono ritrovata a saltare con lei sul tagadà e a ridere quasi fino alle lacrime. Poi i ragazzi sono partiti, la
piazza si è svuotata. È rimasta là invece la scuola e sono iniziate di
nuovo le riprese del film. Ciack si gira. È l’ora dell’educazione fisica.
La palestra è ai piani alti. Giulia non si muove. A lei toccano i bidelli che le tengono compagnia al piano terra. A proposito delle battaglie di civiltà condotte dal suo preside. Poi suona la campana e
Giulia esce sempre da sola, non fa parte di nessun gruppo di ragazze.
Non ci prova neanche ad avvicinarsi, non vuole elemosine mia figlia. Una volta ha trovato due amiche a casa nostra di pomeriggio e
subito mi ha gelato: “Le hai chiamate tu. Okay, grazie, non farlo
più”.
Io lo so che lei sogna un amore. Una volta ha invitato un ragazzo a
casa e stava sempre seduta. Quando si doveva spostare, per non mostrare il suo handicap, faceva finta di voler esser presa in braccio. E
il gioco è durato un pomeriggio.
Lei non è malata, è solo capricciosa.
E un giorno è accaduto. È stato un bacio a fermare quel gioco, il nostro film. Si sono baciati e lei ha capito che non poteva fuggire più.
“Io non posso piacerti davvero. Tu lo sai che io perdo l’equilibrio?”,
gli ha detto. Ci son voluti sei anni e un bacio perché lei usasse le parole per dirlo, per dire della sua malattia. Lui le ha risposto sulla sua
pagina su Facebook, in bacheca: “Ma tu sei così bella, anch’io perdo
l’equilibrio. Quando ti bacio”.
33
34
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
della sensibilità vibratoria, debolezza mu-
l’espansione delle triplette GAA in entrambe
Atassia di Friedreich
scolare e segno di Babinski positivo.
le copie del gene FXN (è diagnostica una
In breve
L’Atassia di Friedreich è
una malattia
neurodegenerativa che
comporta la progressiva
comparsa di diversi sintomi
a carico del sistema
nervoso. I principali sono
una progressiva perdita
della coordinazione motoria
fino all’incapacità di
camminare, la difficoltà di
articolare le parole e di
deglutire, la perdita dei
riflessi. A questi si
aggiungono anche gravi
disturbi a carico del cuore.
Si manifesta intorno alla
pubertà, ma alcuni segnali
di allarme come il piede
cavo e la scoliosi, emergono
con anni di anticipo.
La malattia comporta una
riduzione dell’aspettativa di
vita che, in genere, non
supera i 50 anni.
A causare l’Atassia di
Friedreich è un’anomalia
genetica che causa la
riduzione della frataxina,
una proteina coinvolta nel
trasporto del ferro nei
mitocondri.
Sono disponibili test per la
diagnosi genetica il cui
utilizzo, come esame di
screening nelle persone
asintomatiche, va prima
attentamente discusso con
il genetista medico
nell’ambito della
consulenza genetica. È
possibile eseguire la
diagnosi prenatale in una
coppia con un figlio affetto.
Attualmente sono
disponibili farmaci in grado
di alleviare alcuni dei
sintomi ma nessun
trattamento che consenta
di ottenere la guarigione
completa.
Le prime manifestazioni neurologiche com-
quantità di triplette > 66).
paiono in genere intorno alla pubertà, mentre
Il test presintomatico attualmente non è rac-
i primi segni secondari al coinvolgimento
comandato per l’assenza di un trattamento
del sistema nervoso, quali piede cavo e sco-
efficace per la prevenzione dello sviluppo
liosi, possono precedere di anni la comparsa
della malattia. La diagnosi prenatale può
dei primi segni/sintomi neurologici. A dif-
invece essere richiesta da una coppia che
ferenza dalle forme dominanti di atassia
abbia già un figlio affetto dalla patologia.
spino-cerebellare, nell’Atassia di Friedreich
La speranza di vita dei soggetti affetti da
l’atrofia del cervelletto è assente o minima.
Atassia di Friedreich è ridotta. Il decesso
L’atassia è il risultato della degenerazione
sopraggiunge, in media, intorno ai 40-50
dei neuroni delle radici dei gangli dorsali a
anni. L’insufficienza cardiaca e disturbi del
cui si devono anche la neuropatia periferica
ritmo cardiaco sono tra le cause di morte
e l’atrofia della colonna posteriore del mi-
più frequenti.
dollo spinale. L’atassia e i disturbi del-
Approcci di terapia patogenetica prevedono
l’equilibrio sono la causa principale dei di-
l’impiego di sostanze che aumentano la fun-
sturbi motori; la capacità di deambulare au-
zionalità mitocondriale, i radicali liberi e le
tonomamente è già compromessa dopo circa
sostanze ferro- chelanti.
15 anni dall’esordio della malattia.
La combinazione di coenzima Q e vitamina
Fanno inoltre parte del quadro clinico ma-
E ha evidenziato un miglioramento dei pa-
nifestazioni quali disartria, disfagia, ridu-
rametri bioenergetici cardiaci e muscolari
zione dell’udito, della capacità visiva e al-
in alcuni soggetti affetti dalla patologia.
terazione dei movimenti oculari.
L’efficacia clinica dell’idebenone, un ben-
Per monitorare la progressione della ma-
zochinone strutturalmente correlato al co-
lattia vengono oggi utilizzate due scale di
enzima Q, è stata valutata in diversi trials
■ L’Atassia di Friedreich è una malattia neu-
all’interno del primo introne del gene FXN
valutazione: la “International Cooperative
clinici: le evidenze degli effetti positivi sulle
rodegenerativa che colpisce principalmente
che codifica per la proteina mitocondriale
Ataxia Rating Scale” (ICARS) e la “Frie-
manifestazioni cardiache (indice di massa
il sistema nervoso e il cuore. Benché sia
frataxina. La funzione di questa proteina
dreich Ataxia Rating Scale” (FARS).
ventricolare sinistra) sono maggiori rispetto
una malattia rara, è la forma più comune di
non è perfettamente nota. Si ritiene, tut-
Le manifestazioni non-neurologiche inclu-
a quelle che riguardano le manifestazioni
atassia ereditaria in Europa: ha infatti una
tavia, che svolga un ruolo importante nella
dono la cardiomiopatia ipertrofica e il dia-
neurologiche. Diversi studi sono inoltre in
prevalenza stimata di circa 1 caso ogni
regolazione del trasporto mitocondriale del
bete mellito. Il coinvolgimento cardiaco può
corso.
30.000 individui. Medio Oriente, Nord Africa
ferro. Le mutazioni del gene FXN causano
essere così grave da contribuire in maniera
La terapia delle manifestazioni cardiache e
e India sono le aree geografiche dove la ma-
una marcata riduzione della frataxina e
sostanziale alla disabilità. Sono alquanto
del diabete mellito, la terapia riabilitativa
lattia ha una frequenza mediamente più
perciò una disfunzione mitocondriale che è
frequenti anche anomalie scheletriche quali
fisica e del linguaggio, il trattamento orto-
alta.
alla base della fisiopatologia della malattia.
deformità del piede (piede cavo), scoliosi e
pedico, la gestione della disfagia, della di-
L’Atassia di Friedreich si eredita con mo-
Il quadro clinico neurologico è caratteriz-
ipercifosi.
sfunzione vescicale e sessuale insieme con
dalità autosomica recessiva. A causarla è
zato principalmente da atassia degli arti e
La diagnosi genetica della malattia si ot-
una terapia occupazionale sottolineano la
l’espansione di una tripletta instabile GAA
dell’andatura, disartria, areflessia, riduzione
tiene mediante l’identificazione del-
necessità della presenza di un team multi-
35
36
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
ELISA
disciplinare per il follow-up dei soggetti con
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Atassia di Friedreich.
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L’Atassia di Friedreich è presente all’interno
Pianese L, Cossée M, Cavalcanti F,
dell’Allegato 1 del D.M. 279/2001 “Rego-
Monros E, Rodius F, Duclos F, Monticelli
lamento d’Istituzione della Rete Nazionale
A, Zara F, Cañizares J, Koutnikova H, Bi-
delle malattie rare e di esenzione dalla par-
dichandani SI, Gellera C, Brice A, Tro-
tecipazione al costo delle relative presta-
uillas P, De Michele G, Filla A, De Frutos
zioni sanitarie”, con codice di esenzione
R, Palau F, Patel PI, Di Donato S, Mandel
RFG040. Pertanto, sono stati identificati,
JL, Cocozza S, Koenig M, Pandolfo M.
all’interno della Rete Nazionale per le ma-
Friedreich’s ataxia: autosomal recessive
lattie rare, dei presidi clinici per la preven-
disease caused by intronic GAA repeat
zione, la sorveglianza, la diagnosi, il moni-
expansion. Science 1996;271:1423-
toraggio e il trattamento di tale patologia.
1427
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"Carlo Besta", Via Celoria, 11– 20133 Mi-
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Sede operativa: Via Don Giuseppe Gervasini, 33 – 20153 Milano
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picture. J Neurol 2009;256 Suppl 1:3-8
• Schulz JB, Boesch S, Burk A et al. Dia-
E-mail [email protected]; segretario.nazio-
gnosis and treatment of Friedreich ataxia:
[email protected]
a European perspective. Nat Rev Neurol
Tel. 02 39410639, Fax 02 92879880
2009;5:222-234
L’altalena
P
rovo gioia perché la dispensa della nostra casa non è chiusa a chiave,
perché Elisa non è stata ancora divorata dalla fame, quella fame che
temo come un’apocalisse, come l’ultima promessa mantenuta da un
incubo.
L’incubo è iniziato a Scilla, dieci anni fa, quando, stretto fra le braccia
di mia moglie, ho cominciato a cercare un nome per la mia bambina. Tornavo da un Ospedale di Reggio Calabria, la bimba era stata
trasferita in terapia intensiva e non trovavo le parole per spiegare a
mia moglie, ancora debole per il cesareo, che la piccola era malata e
che quella malattia non aveva ancora un’identità. Cominciammo
così ad accoglierla, accettando una malattia senza nome, senza sapere che quel nome per molti mesi l’avremmo cercato dondolando
su un’altalena. Rimasi in attesa di un po’ di quiete intorno a noi.
Cercai un momento di solitudine per parlarle. In Calabria quando
nasce un bambino è difficile rimanere soli. Soprattutto in un piccolo centro, come quello di San Procopio, seicento anime arroccate
tra la montagna e il mare, un neonato nasce a tutta la Comunità.
Mia moglie ha tre fratelli, io ne ho sei e tutta la famiglia si era stretta
intorno a noi tre volte tanto per parare quell’urto della vita, una tempesta che dodici anni prima, quando era nato Rocco, ci aveva sfiorato ma non ci aveva travolti.
Ma per spiegare a mia moglie che le cose non andavano avevo bisogno di silenzio, di uscire da quell’abbraccio familiare che tante
volte in questi anni ci ha soccorso, scaldato, sorretto. Avevo bisogno
di rimanere con lei, faccia a faccia, di fronte a quella pena che dividevamo a metà, nel silenzio gelido del dolore. Per guardarlo in faccia
e misurare la forza, quella che sarebbe servita per affrontarlo e quella
di cui disponevamo nel cuore.
E così, smarriti in quello che sarebbe stato un lungo labirinto, deci-
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CONTROVENTO
demmo come chiamare la nostra bambina. Era il nostro modo di
dire sì alla vita, qualunque forma essa avesse assunto nel futuro. Insieme agli altri nostri figli iniziò così la lotteria dei nomi, come quasi
sempre accade quando nasce un fratello, per dare un calcio a quella
storia e costringerla nella normalità, come se scegliendo un nome si
potessero mettere confini al dolore; come se la normalità ne arginasse gli spazi e come se dentro quei confini tutto fosse più accettabile.
Oggi so che è così che gli uomini trovano la forza. Raccogliendo ciò
che hanno di fronte. Che sia poco o che sia molto. Noi avevamo un
nome e dentro quel nome stava scritta quella che sarebbe stata la nostra storia, il nostro viaggio con Elisa, la nostra quarta figlia.
E così, da soli, cominciammo a correre verso Reggio Calabria, dove
la piccola era ricoverata in un reparto di terapia intensiva, quasi immobile da una settimana, alimentata da un sondino gastrico e solo
dal suo respirare ti accorgevi che era viva. Quando arrivammo, Elisa
mosse quasi impercettibilmente gli occhi. Fu il suo primo debolissimo segno di reazione, il primo disperato tentativo di raggiungerci.
Lo fece quando toccò per la prima volta la madre e io pensai che
forse aveva riconosciuto il suo odore, che avesse risentito l’abbraccio
di quel ventre caldo che l’aveva custodita o che forse quella magia
antica che lega madre e figlio attraverso sangue e ormoni, che unisce
il loro battito cardiaco stringendoli in un unico respiro, avesse potuto risvegliare Elisa da quel torpore in cui navigava sin da quando
per la prima volta aveva visto il mondo. Quel segno fragile, a metà
tra la realtà e il desiderio, per noi fu una luce nel buio. Da allora,
nella speranza di un altro qualsiasi segno di vita, anche altrettanto
impercettibile, iniziammo a percorrere quasi 100 chilometri al giorno.
Quel primo movimento di Elisa fu solo un segno ma ci aveva resi
più forti. Si poteva ripetere e noi ce la potevamo fare. Ogni giorno
su e giù per l’autostrada, iniziava la marsupioterapia e, al termine di
ogni viaggio, giunti in ospedale, la domanda agli infermieri e ai familiari di bimbi ricoverati vicini ad Elisa era sempre la stessa: “Si è
mossa? Per caso l’avete vista muoversi?”.
Il miracolo poteva accadere. Rocco, in fondo, dodici anni prima, appena nato, anche lui era finito in terapia intensiva nello stesso ospedale a causa del forcipe con cui l’avevano estratto e che gli aveva causato un brutto trauma.
“Come sta mio figlio?” chiesi allora a un pediatra che gravitava in-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
torno al reparto in cui era ricoverato e la risposta fu una doccia fredda:
“Come può stare una persona che cade dal quinto piano e sbatte la
testa”, rispose seccamente. Tradussi che mio figlio sarebbe stato un
cerebroleso e avrebbe vissuto come un vegetale.
Si trattava invece di un trauma transitorio che si sarebbe riassorbito
con il tempo e infatti, dopo soltanto un mese, i medici capirono che
Rocco sarebbe stato un bambino come tutti gli altri, vivace e intelligente. Dimenticammo così quell’inutile ferita, quello scampolo
gratuito di dolore.
Con Elisa però non andò così. Quell’incertezza non si risolse, anzi
si aggravò con il passare dei giorni. L’ipotonia di Elisa non accennava a migliorare e i medici brancolavano nel buio. Questa volta fu
l’intera équipe del reparto di neonatologia, il primario in testa, a
starci vicini, insieme alla pediatra che già aveva accompagnato nella
crescita gli altri miei tre figli e proprio in lei si fece strada pian piano
l’idea che si potesse trattare della sindrome di Prader-Willi. Quella
stessa dottoressa che da allora non ci ha mai lasciato. Le passò per la
testa quasi per caso quella malattia che neanche lei conosceva bene.
Ci aveva pensato a causa di quell’ipotonia, quella mancanza totale
di forza e di reazione che aveva Elisa e decise perciò di inviare un test
a Catanzaro dove praticarono un metodo che rivela l’85% dei casi
di Prader-Willi. L’esito fu negativo. Era già tanto averci pensato. A
nessuno venne in mente che Elisa potesse far parte dell’altro 15 %
dei casi. La Prader-Willi era già una malattia rara, non poteva essere
più rara di così. La tempesta diventò un’alluvione. Portammo via
Elisa dall’ospedale in uno stato semivegetativo e da allora si aprì uno
scenario nuovo nella nostra vita, come se fossimo saltati su un’altalena a diverse velocità sulla quale la vita e i suoi eventi ci avrebbero
spinto con diverse forze, ognuna delle quali avrebbe causato un urto
differente, in diverse direzioni.
Mentre racconto questa storia mi rendo conto che posso descrivere
le tappe che abbiamo percorso, gli eventi che si sono susseguiti, le
persone che ne hanno fatto parte, ma ciò che non riesco a descrivere
è il grande labirinto in cui siamo precipitati e che è stato l’unico
luogo reale in cui abbiamo vissuto questa vicenda.
Dopo un mese Elisa arrivò a casa con una diagnosi che recitava: “Postumi d’asfissia perinatale e sospetto di danni cerebrali”. Da quel
giorno tutta la nostra vita fu sospettare: Elisa forse non sarebbe sopravvissuta, non avrebbe camminato, non avrebbe forse potuto né
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parlare né capire ma, per sopravvivere, sospettavamo anche che fosse
tutto un brutto sogno e che insieme ad Elisa da quell’incubo saremmo improvvisamente usciti così come improvvisamente vi eravamo precipitati.
Intanto la nostra famiglia si allargava. La pediatra che avevamo incontrato all’Ospedale di Reggio era in qualche modo entrata nella
nostra vita, così come ormai della famiglia faceva parte anche il parroco, Don Carmelo, entrambi uniti in una lotta per sconfiggere una
malattia senza ancora nome. Ognuno con le proprie armi: l’una con
la scienza, l’altro con la fede.
E devo dire che la fede fino ad oggi, in fondo, è stata l’arma più efficace. Venivo da una formazione cattolica ma non sapevo davvero
cosa significasse affidarsi a Dio.
Non sapevo cosa volesse dire spegnere la rabbia per accendere un
altro sguardo sulle cose che accadono.
Non voglio dire con questo che adesso conosco il senso della malattia di Elisa. Ancora oggi il dolore mi assale e mi chiedo perché lei
rischi la solitudine e l’emarginazione senza alcuna colpa se non quella
di avere un cromosoma in disordine. Ma ho imparato ad aspettare
quando l’altalena va verso l’alto, quando cambia la prospettiva,
quando spunta l’angolo dal quale intravvedo ancora la gioia. Da lì
riesco a vedere l’amore che provo per Elisa, per mia moglie, la forza
che ha unito tutta la nostra famiglia e il senso nuovo che hanno parole come solidarietà e coraggio.
Su quell’altalena eravamo saliti tutti insieme anche alla ricerca di un
nome per quella malattia.
Intanto due o tre mesi dopo Elisa riprendeva forza e ricominciava la
speranza. Solo più tardi avremmo capito che l’ipotonia, in realtà, si
riduceva per lasciare posto ad altri sintomi che più tardi sarebbero
stati preponderanti.
Si continuava, quindi a dondolare. Più lenti, a volte, più veloci, altre
ancora. Fino a quando, di notte, spesso, l’altalena si fermava. Io e
mia moglie rimanevamo allora abbracciati a indovinare il futuro. Le
emozioni, quelle vere, trattenute alla luce del sole, si frantumavano
nel silenzio e nella quiete della notte dove c’era posto per le lacrime,
le paure, le preghiere. E fino al giorno dopo il cuore poteva spezzarsi.
Al mattino, bisognava invece ricominciare: fare la colazione, vestire
i bambini, fare la spesa, preparare pranzo e cena, andare al lavoro,
percorrere quasi ogni giorno la strada fino a Reggio per tentare la
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
riabilitazione e andare avanti per noi, per gli altri figli, per Elisa.
Mia moglie è sempre stata in prima linea, più forte, già temprata
dalla difficile malattia della madre, e io apparentemente più fragile,
più esposto alle intemperie delle emozioni, delle lacrime. Entrambi,
però, stretti in unico abbraccio e nella determinazione di restare uniti
e salvare Elisa da quel mostro senza nome che era la sua malattia.
Elisa compiva sei mesi quando la portammo in un famoso Istituto
neurologico milanese. Ci andammo soprattutto per capire l’entità
di eventuali danni cerebrali che avesse potuto subire. Mi appoggiavo
a due delle mie sorelle che vivono là. Per quindici giorni Elisa fu rivoltata come un calzino e ogni esame risultava negativo fino all’ipotesi
finale di un danno muscolare da accertare con una biopsia specifica,
il cui esito sarebbe stato pronto dopo un mese. Questa volta, all’uscita
dall’Istituto, l’altalena ci aveva spinti verso l’alto. Una malattia muscolare si poteva affrontare. Si apriva lo scenario di una terapia riabilitativa. Elisa forse sarebbe stata più lenta, non sarebbe stata una
sportiva, avrebbe camminato forse male, ma il suo sviluppo psicosociale e affettivo era salvo. Il viaggio di ritorno in Calabria e i giorni
che seguirono furono segnati da una specie di pausa dal dolore. Nell’attesa di quel verdetto ci sentivamo più leggeri, come quando spunta
un raggio di sole alla fine di un lungo inverno. E oggi capisco che
anche quello è un modo di sopravvivere al dolore. Ci siamo aggrappati a quel tepore primaverile come fosse un solleone estivo, ma
intanto stavamo recuperando un po’ di forze che sarebbero servite
tutte per andare avanti.
E così fino all’esito del test. Telefonai a Milano e mi rispose la dottoressa che aveva seguito Elisa a Milano. Tre giorni dopo sarebbe
stata trasferita e, comunicandomi il risultato negativo, mi salutò e
mi augurò ancora buona fortuna.
Ma poco prima di chiudere, come per un improvviso ripensamento,
mi chiese se avevamo fatto il test per la Prader-Willi. Alla mia risposta affermativa mi chiese di inviarle per fax il risultato.
La dottoressa milanese ci spiegò che quel test era stato eseguito con
il metodo Fish, l’unico disponibile a Catanzaro, e che rilevava solo
l’ottantacinque per cento dei casi di Prader-Willi, e che quindi per
escludere totalmente la malattia sarebbe stato opportuno, per scrupolo, eseguire il test di metilazione. Ci consigliava di farlo e buona
fortuna, questa volta davvero.
Allora, sempre con la nostra pediatra accanto, eseguimmo un pre-
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CONTROVENTO
lievo e lo inviammo in un ospedale di Genova. Scoprimmo così,
poco prima che Elisa compisse un anno, che Prader-Willi era il nome
della sua malattia.
Ma Prader-Willi era solo un nome per me, senza significato, rimbalzato alle mie orecchie quasi come un caso durante tutta la disperata lotteria della ricerca del nome della malattia. Per caso fu pronunciato dalla dottoressa del Besta che per caso tre giorni dopo non
sarebbe stata più lì. Per caso lo aveva pronunciato la nostra pediatra
molti mesi prima, pochi giorni dopo la nascita di Elisa, e per caso
quel nome era stato escluso dal test di Catanzaro. Per caso, quindi,
scoprii il nome della malattia di mia figlia, che adesso risuonava come
la parola di un’altra lingua. Cominciai a cercarne il significato senza
sapere come, dove, quando e per che usi quel termine venisse impiegato. Senza capire come si sarebbe tradotto nella vita di Elisa.
Il nostro primo dizionario fu ovviamente la nostra pediatra. Nel salotto di casa sua, visibilmente provata, ci spiegò che era una malattia
rara, grave e inguaribile ma non ci disse molto di più. Preferì metterci in mano l’opuscolo di un convegno su quella malattia che si sarebbe tenuto ad Abano Terme qualche giorno dopo. Imparai il significato di quella malattia insieme a un’intera comunità, quella dei
medici e dei pazienti che avrebbero accompagnato tutta la mia vita
futura.
L’altalena intanto ci aveva spinti rasoterra. Chiesi a mio fratello medico di accompagnarmi ad Abano, ufficialmente per cercare di farmi
aiutare nella comprensione della terminologia medica. Quel nome
si era impossessato, ormai, della nostra mente e declinava il futuro
di nostra figlia attraverso scenari poco rassicuranti. Mio fratello mi
avrebbe aiutato anche ad affrontarli.
Quando arrivammo mi sentii piccolo piccolo e non solo perché non
sono particolarmente alto di statura ma forse perché qualcosa di più
grande di me mi stava travolgendo: la malattia di mia figlia che ora,
per fortuna o per disgrazia, aveva un nome, e poi tutti quei medici,
per la maggior parte ricercatori e professori universitari, riuniti a discutere di una sindrome ignota e a parlare un linguaggio complesso,
popolato da geni, alleli, e terminologie fino ad allora sconosciute. E
io ero là, arrivato dalla Calabria in quella Babele, a dipanare la matassa di un dolore troppo grande.
E così, fisso sull’altalena, questa volta vidi chiaramente anche il labirinto in cui ero entrato sin da quando Elisa era nata. Toccava tro-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
vare una via d’uscita, qualunque essa fosse. Non sapevo da dove iniziare, si parlava dell’ormone della crescita, le cui potenzialità terapeutiche dieci anni fa erano tutte da esplorare, un farmaco che da
allora fino ad oggi è rimasto l’unico ad essere utilizzato con qualche
risultato. Si parlava di geni e terapie, ma anche di associazioni, famiglie e pazienti.
Io non lo sapevo ancora ma quel giorno erano là, ad Abano Terme,
ai piedi dei colli Euganei, le persone più importanti con cui avrei diviso gli anni a venire. Gilberto con cui oggi conduco l’Associazione,
insieme a Silvano, e tanti altri che oggi arricchiscono la mia vita e,
ovviamente, il primario dell’Ospedale romano che oggi segue Elisa,
che avevo sentito parlare in tv e al quale mi avvicinai timidamente,
come ci si avvicina a un gigante, a una speranza, a una paura.
Mi diede ascolto come se ci conoscessimo da sempre e alla fine mi
mise in mano il biglietto da visita con tutti i suoi recapiti telefonici,
compreso il suo cellulare, per fissare, al mio ritorno a casa, il primo
ricovero. Ancora oggi posso chiamarlo quando e come voglio quest’uomo, con il quale ormai ci diamo del tu, che sta cercando di far
crescere Elisa e che conosce i suoi pazienti uno ad uno.
Poi vidi i pazienti, ragazzoni obesi, il più delle volte con i tratti somatici alterati, li sentii disorientati, persi, come sprofondati in una
notte scurissima, forse la stessa in cui mi trovavo io in quell’attimo
preciso, anzi forse quella era la mia notte.
Non mi restava che navigare quel labirinto. Cominciai a studiarne
la mappa, a impararne la lingua ufficiale. Il nemico si tratta così: si
osserva, si studia e poi si attacca. Cominciai a imparare un lessico
nuovo: “Disomia uniparentale materna” fu la prima parola. Era lei
la responsabile di tutto. Elisa aveva ereditato entrambe le copie del
cromosoma 15 dalla madre. Mancava a quel pezzetto di DNA il corredo paterno e perciò lei era ammalata.
Ma con i cromosomi in disordine cosa sarebbe successo davvero a
Elisa? Cosa le sarebbe accaduto quando la fame avrebbe preso il sopravvento, come sarebbe stata la sua vita senza le stesse capacità di
apprendere e di controllare le emozioni come gli altri bambini? Avevo
capito anche che, forse, tutto dipendeva da un danno all’ipotalamo,
ma mi chiedevo soprattutto: Elisa avrebbe giocato con gli altri bambini o sarebbe rimasta isolata per sempre?
Con queste domande in testa tornai a casa in uno dei viaggi più difficili della mia vita chiedendomi come spiegare a mia moglie ciò che
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avevo visto, come dirle che non avevo trovato risposte e che, anzi,
forse, non c’era rimedio a nulla.
Nell’attesa dell’appuntamento nell’ospedale romano la nostra pediatra ci ricordò, cosciente di ciò che avrebbe significato per noi quel
richiamo, di cominciare a fare le pratiche per l’invalidità. Cominciai
così a scorgere un altro angolo del labirinto. Chiedere quel certificato significava ammettere che Elisa era malata. Ma prima dello Stato
italiano quella malattia dovevamo riconoscerla noi. Dovevamo accettare davvero che il suo destino fosse segnato per sempre. Con il
primo assegno la ferita si riaprì violentemente. Non c’era risarcimento possibile a quel dolore. Ma queste sono emozioni, è la verità
del nostro cuore, perché la verità dei fatti è che quei soldi fanno parte
del suo futuro, soprattutto di quello che ci sarà dopo e senza di noi.
Saranno il sostegno di chi vorrà o potrà prendersi cura di lei, l’unico
rimedio per sopravvivere a una guarigione impossibile.
Ma oggi lei ha dieci anni. È bellissima la mia Elisa e, forse illudendomi, non scorgo ancora alcun tratto esterno che ricordi la sua malattia. Nessuno, forse, vedendola semplicemente immagina le sue
tensioni emotive, i suoi cambi d’umore repentini, il suo rifugiarsi in
un mondo tutto suo, la sua rabbia nel non riuscire a tenere il passo.
Noi sappiamo che è solo l’inizio, e più di tutto temiamo il giorno in
cui arriverà la fame.
Alla guarigione di Elisa ci crede ancora davvero Don Carmelo e mi
commuove. Non so se confidi in un miracolo, ma ci crede anche
con una forza tutta umana, come se impegnarsi a cambiare le cose
fosse solo una tappa per la vittoria e non soltanto una prova celeste.
Io non so se il miracolo accadrà. Ma dentro di me è già accaduto.
La fede ha riempito di luce le tenebre e guardo la sofferenza come
qualcosa che fa parte della vita e che, paradossalmente, ti può anche
dare felicità poiché attraverso la sofferenza entri in più stretto rapporto con Dio, che è amore e gioia infinita. Perché, per questo, nonostante io viva sull’altalena, ho imparato a rivoltare il dolore. A trovare un senso. Che non è solo quello del sacrificio offerto a Dio, ma
anche il senso di un’altra prospettiva da cui guardare il mondo, da
un altro angolo dello stesso labirinto.
Come posso spiegare che riesco ad essere felice solo perché Elisa a
volte gioca con me? Come posso raccontare la gioia di vederla camminare? Come spiegare che ogni piccolo traguardo adesso per me è
una vittoria?
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
È questo il miracolo che mi ha fatto Dio: poter guardare negli occhi
mia moglie e sentire che su quell’altalena abbiamo imparato ad amarci
di nuovo. E quando andiamo verso l’alto vedo che senza Elisa mai
avrei imparato che vuol dire la gioia di impegnarsi per cambiare il
mondo.
Oggi, grazie all’impegno dell’Associazione che ho istituito insieme
ad Angelo, Franca ed altri e ai medici che si son fatti carico del problema, all’Ospedale di Reggio in cui è stata Elisa, ogni bambino che
presenti segni di sofferenza per sospetta Prader-Willi viene sottoposto al test di metilazione. Una piccola conquista che consentirà,
a chi è arrivato dopo di noi, di non perdere le sue energie almeno
nella ricerca della diagnosi. Ma vorremmo ancora di più. Non servono soldi, per esempio, per creare un centro in cui prendersi cura
di questi bambini. Non servono macchinari, serve solo la formazione
su queste patologie.
Serve l’umiltà dei medici di base e degli ospedalieri di imparare, di
mettersi in discussione e di accettare nei propri ospedali, nelle proprie Regioni, che altri vengano a spiegarci cosa sono queste malattie
sconosciute. Su malattie come la Prader-Willi non ci sarebbe bisogno
di migrazioni. Non dovrei venire a Roma ogni mese e la mia Regione non dovrebbe pagarci quelle onerose trasferte per garantirci le
minime cure possibili.
Serve lavorare per una causa e con Elisa ho scoperto quanta vita c’è
in questa lotta. E quanta vita ci può essere in una dispensa ancora
aperta.
Si ringrazia Domenico Posterino, presidente dell’Associazione Prader-Willi, per
averci offerto la sua personale testimonianza.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
e disturbi compulsivi. Il deficit cognitivo è
neuroriabilitativi che supportino il bambino
Sindrome di Prader-Willi
molto variabile, molti individui con SPW
nello sviluppo psicomotorio e nell’intera-
hanno un ritardo mentale lieve (IQ: 60-70)
zione sociale. È inoltre indispensabile in età
in associazione a difficoltà di apprendimento
successive uno stretto monitoraggio del peso
In breve
La sindrome di Prader-Willi
è una rara malattia genetica
che colpisce mediamente
una persona ogni 15-30
mila. Si presenta fin dalla
nascita e i bambini che ne
sono affetti hanno un ridotto
tono muscolare e hanno
difficoltà a nutrirsi.
I sintomi cambiano con
l’avanzare dell’età. Tra 1 e 4
anni i bambini affetti da
sindrome di Prader-Willi
spesso sviluppano un
appetito insaziabile da cui
in genere consegue una
forte obesità.
Inoltre possono essere
presenti un lieve ritardo
mentale, bassa statura e
disturbi all’apparato
sessuale. L’ampia gamma di
sintomi fa sì che non esista
un solo intervento
■ La sindrome di Prader-Willi (SPW) è una
terapeutico per le persone
affette dalla malattia: per i
neonati è importante
assicurare una nutrizione
appropriata, mentre al
crescere del bambino una
delle priorità consiste nel
controllo dell’alimentazione
e del peso corporeo. Sono
impiegati inoltre diversi
farmaci, la chirurgia, e la
terapia riabilitativa.
e a uno sviluppo anomalo del linguaggio.
corporeo mediante opportuni schemi nutri-
Molte delle manifestazioni cliniche citate
zionali e adeguati programmi educativi sul
sono età-correlate, così, ad esempio, in
controllo dell’ingestione dei cibi. Sono ben
epoca neonatale prevale l’ipotonia e la le-
documentati i benefici della terapia sosti-
targia, mentre l’obesità e l’iperfagia esordi-
tutiva con ormone della crescita. Per quanto
scono rispettivamente tra gli 1 e 4 anni e
concerne l’ipogonadismo, la correzione del
nella tarda infanzia. La bassa statura si nota
criptorchidismo spesso richiede una terapia
intorno alla seconda decade di vita, l’ipo-
chirurgica, mentre il ritardo puberale può
gonadismo osservabile alla nascita come
essere trattato con una terapia ormonale so-
ipoplasia dei genitali, può manifestarsi come
stitutiva. Altre terapie da raccomandare al-
sviluppo puberale incompleto e infertilità
l’interno dei programmi riabilitativi sono
in età successive.
quelle fisiche, occupazionali, del linguaggio
La diagnosi di laboratorio si ottiene mediante
e quelle volte al controllo dei disturbi com-
l’analisi della metilazione del DNA. Tale test,
portamentali. Cause frequenti di morbidità
tuttavia, non consente di individuare il tipo
e mortalità sono le patologie cardiovasco-
di difetto molecolare alla base della sin-
lari e respiratorie specie correlate all’obe-
drome (delezione, disomia uniparentale ma-
sità. Per quanto riguarda il consiglio gene-
la regione del cromosoma 15q11.2-q13:
terna, difetto di imprinting, mutazioni) per
tico, il rischio di ricorrenza dipende dal mec-
malattia genetica multisistemica, general-
1) microdelezione paterna;
identificare i quali bisogna ricorrere ad altre
canismo genetico che sottende la malattia.
mente sporadica, descritta per la prima volta
2) disomia uniparentale materna;
tecniche (FISH, cariotipo, analisi polimor-
Generalmente, per la delezione 15q11.2-
nel 1956 dai due medici di cui porta il
3) difetto di imprinting nel cromosoma di
fismi DNA, etc.). La diagnosi differenziale
q13 (sporadica), la disomia uniparentale
include tra le diverse malattie con ipotonia
materna del cromosoma 15 (de novo) e di-
nome. È caratterizzata da un quadro di-
origine paterna.
smorfico alquanto distintivo, cui si asso-
Il quadro clinico comprende ipotonia gene-
neonatale anche la sindrome di Angelman
fetto di imprinting (mutazione epigenetica)
ciano disturbi neurologici, psichiatrici, en-
ralizzata a esordio prenatale, letargia, pianto
e altre sindromi malformative con obesità
si stima una ricorrenza inferiore all’1%. Per
docrini e cognitivo/comportamentali. En-
debole, suzione non valida con disturbi della
e iperfagia.
la diagnosi prenatale, si ricorre allo studio
trambi i sessi sembrano essere colpiti in
nutrizione/alimentazione e deficit di accre-
È importante una diagnosi precoce per far
dei polimorfismi, metilazione del DNA e
egual misura, con una prevalenza che oscilla
scimento, ritardo psicomotorio, ipogona-
sì che i programmi riabilitativi possano es-
FISH su aminociti e villociti.
tra 1/15.000 e 1/30.000 nati vivi.
dismo, ipopigmentazione, iperfagia e obe-
sere avviati il più presto possibile. La presa
La sindrome di Prader-Willi è presente al-
La SPW è la prima malattia per cui è stato
sità. Si osservano caratteristiche facciali pe-
in carico deve essere globale e multidisci-
l’interno dell’Allegato 1 del Decreto Mini-
identificato il fenomeno dell’imprinting ge-
culiari (fronte stretta, occhi a mandorla,
plinare ed è anch’essa correlata all’età del
steriale 279/01 “Regolamento di istituzione
nomico e riconosciuto il meccanismo pato-
labbro superiore sottile, commissure labiali
soggetto. In epoca neonatale, l’attenzione
della Rete nazionale delle malattie rare e di
genetico della disomia uniparentale. La sin-
rivolte in basso) e mani e piedi molto pic-
va posta ad assicurare una nutrizione (spesso
esenzione dalla partecipazione al costo delle
drome riconosce tre meccanismi patogene-
coli. Inoltre, possono essere presenti disturbi
mediante gavage e tettarelle speciali) e un
relative prestazioni sanitarie”, con codice
tici che conducono all’assenza dell’espres-
del sonno e un fenotipo comportamentale
accrescimento adeguati. In tale epoca di
di esenzione RN1310. Pertanto, sono stati
sione dei geni di origine paterna, riguardante
caratterizzato da temperamento capriccioso
vita, sono, inoltre, raccomandati programmi
identificati, all’interno della Rete Nazionale
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
per le malattie rare, dei presidi clinici per
• Carrel AL, Myers SE, Whitman BY, Eic-
il monitoraggio e il trattamento di tale pa-
khoff J, Allen DB. Long-term growth hor-
tologia. L’elenco di tali presidi è disponibile
mone therapy changes the natural history
online, sul sito web del Centro Nazionale
of body composition and motor function
Malattie Rare (www.iss.it/cnmr).
in children with prader-willi syndrome. J
Sul territorio nazionale è presente una Fe-
Clin Endocrinol Metab. 2010 95:1131-
derazione di Associazioni dedicate alla sin-
1136.
drome di Prader-Willi: Federazione fra le As-
• Cassidy S B and Driscoll DJ. Prader-Willi
sociazioni per l’aiuto ai soggetti con la Sin-
syndrome. Eur J Hum Genet 2009;17:3-
drome di Prader- Willi e le loro famiglie -
13.
F.A.P.W, il cui sito web è consultabile al-
• de Lind van Wijngaarden RF, Siemensma
l’indirizzo www.praderwilli.it. Tale Federa-
EP, Festen DA, Otten BJ, van Mil EG,
zione e le relative sezioni regionali sono pre-
Rotteveel J, Odink RJ, Bindels-de Heus
senti nella banca dati relativa alle Associa-
GC, van Leeuwen M, Haring DA, Bocca
zioni di pazienti, sul sito web del Centro Na-
G, Houdijk EC, Hoorweg-Nijman JJ,
zionale Malattie Rare (www.iss.it/cnmr). In-
Vreuls RC, Jira PE, van Trotsenburg AS,
fine, si segnala che il Centro Nazionale Ma-
Bakker B, Schroor EJ, Pilon JW, Wit JM,
lattie Rare ha organizzato in collaborazione
Drop SL, Hokken-Koelega AC. Efficacy
con la F.A.P.W un corso di formazione, ar-
and safety of long-term continuous growth
ticolato in più incontri, attraverso la meto-
hormone treatment in children with
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Io e mio padre
H
o conosciuto Andrea vestito da calciatore. Indossava la maglietta
azzurra dell’Italia. La sera prima della nostra eliminazione dai mondiali. Non avevamo cominciato bene, non avevamo ancora vinto
una partita e, fino ad allora, non avevamo certo sfidato campioni.
Andrea non aveva perso la fiducia. Teneva le dita incrociate con pazienza. Non troppo convinto, forse, ma con pazienza: “succedono
anche i miracoli. Basta che poi però, dopo, non salite sul carro dei
vincitori”, ci ammoniva. Noi, intanto, Lippi l’avevamo già bocciato
tutti, suo padre in primis, e via ai soliti battibecchi sul calcio.
Non ti annoi a casa di Andrea, è tutta una risata. Non diresti che
Andrea è malato se non lo vedessi in carrozzina, non diresti che non
sai come finisce. Perché nella famiglia di Andrea ha vinto la speranza. Perché suo padre ha paura di avere un altro figlio, ma è convinto davvero quando dice: “Adesso ho lui e me lo godo, attimo per
attimo, tutto il tempo che ci resta”.
È bellissima la famiglia di Andrea: suo padre è un turnista in una
clinica privata, sua mamma è una commessa. Il dolore non li ha divisi, li ha uniti. La tristezza passa come un’ombra ma il volto di
mamma Rossella è solare, il suo sorriso è più forte della paura. Capisci tutto di loro all’improvviso, lei sa cucinare, ti invita a cena e
capisci che è famiglia. Ti spiega le ricette che piacciono a suo figlio,
e senti che il nutrimento è un altro modo di accogliere, di trattenere, di innamorarsi della vita. La vedi, Rossella, al banco del mercato, mentre fa la spesa mentre sceglie gli ortaggi, la frutta e sai che
quei colori promettono sapori, atmosfere che testimoniano vita: “si
mangia la pizza stasera. Mia moglie l’ha già preparata. Rimani con
noi?”. Intanto, in questo strano e piovoso pomeriggio di giugno,
spunta dal freezer il gelato al cocco. È passata più di mezz’ora e ancora la storia di Andrea non è arrivata. Non una parola ancora su
49
50
CONTROVENTO
come si è ammalato, su cosa è successo, perché la malattia c’è, ma
ci sono anche tante altre cose. Perché lo senti nell’aria qual è stata
la lotta più grande, la prima vittoria: continuare a vivere, continuare
a provare il piacere della vita, del profumo della pizza in cucina, del
ridere di gusto, fino alle lacrime. E ancora ridono Giancarlo e Andrea, quando mi raccontano di Londra: “no smoking”, gli dice un
cameriere indicandogli la sala dove avrebbero pranzato.
Giancarlo guarda Andrea. Gli aveva promesso di fargli da traduttore. Ma il patto non ha funzionato: Giancarlo ha pensato di essere
abbigliato in modo inadeguato perché non indossava lo smoking,
non gli è passato minimamente per la testa che la sala era riservata
ai non fumatori. E al ricordo di quel soggiorno britannico, padre e
figlio non la smettono più di ridere. Si fanno da comico e da spalla,
difficile fermarli, non farsi coinvolgere. L’accento è romano, l’umorismo pure. Non ammette la replica al dolore. Irriverente. Lo insulta per non farsi spezzare. “Che ce famo co’ ‘ste gambe Andrè?”.
“Tagliamole papà…”
La commozione, poi, arriva in una foto. Andrea ha quattro anni, è
in piedi e vicino c’è la nonna, amatissima, che ha caricato su di sé
il dolore di tutti, che ha curato Andrea e tutta la famiglia. Quella
donna che ha messo garze sulle ferite di ognuno di loro da quando
Andrea cominciava a cadere sullo scivolo fino a quando, a undici
anni, si è seduto sulla carrozzina.
La diagnosi di Andrea non è arrivata neanche troppo tardi. Lui aveva
quattro anni e dopo circa un mese di ricerche il risultato della biopsia
muscolare ha decretato che era affetto dalla Distrofia di Duchenne.
Una comunicazione frettolosa, fatta in mezzo al corridoio mentre
la pediatra, imbarazzata, cercando di rimediare, li ha fatti entrare
in una stanza, per spiegare ciò che le parole, forse, non erano sufficienti a dire. Ecco, è arrivato il verdetto e in quel momento Rossella ha perso le coordinate del mondo. La dottoressa parlava, spiegava, chiariva, cercava di riparare a quella comunicazione maldestra di pochi minuti prima, ma all’orecchio le parole arrivavano dimezzate, perse nel labirinto della paura, arrivavano come staffilate,
mentre scalfivano la superficie del cervello, si arroccavano alle pareti e non entravano in testa. Si conficcavano nel cuore ma da lì passava solo dolore. Per Giancarlo è stato diverso. Quindici giorni prima
aveva immaginato qualcosa. Lui lavorava in una clinica e qualcuno
gliel’aveva detto. Forse male, forse poco, ma la catastrofe gliel’ave-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
vano già mostrata. E lui non l’aveva voluta vedere. L’aveva guardata
come si guarda una cartolina di un luogo che non si visiterà mai.
Non ci aveva creduto che quella malattia avrebbe tolto progressivamente la forza muscolare ad Andrea, che avrebbe limitato la funzionalità delle sue gambe, che avrebbe piegato la sua schiena, gli
avrebbe impedito di giocare a pallone, di correre, di mantenersi autonomo, che una crisi respiratoria, come una spada di Damocle, li
avrebbe perseguitati tutta la vita. Solo la comunicazione ufficiale
della diagnosi ha fatto capire a Giancarlo che sarebbe cominciata
ufficialmente una lotta. Che avrebbe dovuto impedire a se stesso di
arrendersi a chi gli diceva che era tutto inutile, che l’attesa era l’unica
speranza. Sperare nella sorte che la malattia tardasse a fare il suo
corso.
Non furono giorni quelli che seguirono, e neanche mesi. Fu tempo
che passava confusamente, alla ricerca di una ragione, di un metodo per sopravvivere. Furono corse da pazzi alla ricerca di una terapia, di un indirizzo, di un incontro che gli illuminasse l’esistenza.
Poi l’incontro è arrivato. Non ha guarito Andrea, ma almeno la vita
gliel’ha cambiata. Mentre Rossella assisteva la mamma in ospedale,
ha incontrato il tesoriere dell’Associazione Parent Project, l’Associazione che lotta contro la Distrofia di Duchenne e così Rossella
si è ritrovata un opuscolo in mano.
Giancarlo contatta Filippo, il Presidente, anche lui padre di un ragazzo ammalato e riparte.
Filippo ha carisma, parla bene, è un farmacista, gli spiega che c’è il
cortisone e la fisioterapia, gli parla di diritti e di lotte. Lui lì per lì
non capisce tutto. Lo raggiunge, corre come un matto dal lato opposto della città, convinto di avere in tasca la terapia per guarire suo
figlio. Si ritrova, il giorno dopo, in clinica a vendere cd per sostenere l’Associazione. “Mi sentivo ubriaco. Non sapevo cosa stessi facendo davvero, mi vergognavo a chiedere soldi per quei cd, ma intanto in mezz’ora erano già finiti. I miei colleghi li avevano comprati tutti. Ed io però ero ancora senza la terapia per mio figlio. Ma
qualcosa era cambiato. Fino a ieri bisognava solo aspettare. E invece adesso Filippo ci suggeriva di cominciare la fisioterapia, poneva il problema della postura corretta di Andrea nella notte. La
parola prevenzione, vietata per una patologia disperata come quella
che ci aveva colpito, cominciava ad avere un senso anche per noi.
Certo, a suo modo, ma era un modo per non rimanere inerti. Bi-
51
52
CONTROVENTO
sognava per esempio scongiurare, almeno fino a quando Andrea
avrebbe camminato, il pericolo del “piede equino”, e cioè la tendenza a camminare con la punta dei piedi e i talloni sollevati. E chi
ci aveva pensato finora? Per farlo si potevano usare gambaletti speciali che avrebbero tenuto di notte il piede a novanta gradi limitandone la perdita di funzionalità. Sulla malattia di Andrea pioveva
un universo di domande nuove. C’era ancora una montagna di cose
da capire e, per la prima volta, da decidere: operare o no Andrea ai
tendini? Utilizzare subito la statica? Ma che era la statica? Era una
sedia speciale, diceva Filippo, come la sedia su cui mio figlio, circa
sette anni dopo, sarebbe stato seduto definitivamente”. Era questa
la prevenzione che era toccata in sorte a Giancarlo e Rossella. L’unica
possibile, per giunta. Ma meglio che aspettare, dicevano a se stessi.
In fondo è così che gli uomini imparano a sopravvivere. Adattandosi. Imparano a farcela rovesciando le aspettative, cambiando il
senso delle parole, come lui aveva cambiato quello della parola prevenzione, che non era evitare la malattia ma farsi fare da lei meno
male possibile. Così la vita cambiava, si cominciava a pensare alla
qualità e si lottava su un altro versante ma invece di coltivare da soli
le paure si condividevano con qualcuno speranze e timori, si cercava un terreno comune su cui costruire un futuro possibile.
A undici anni, poi, la carrozzina è arrivata. Le gambe di Andrea si
sono sedute per sempre e la lotta è cambiata: è iniziata la strategia
di prevenzione rispetto a tutto ciò che avrebbe comportato stare seduti. Le carrozzelle sono diventate due: una era fatta per facilitare
i movimenti, per aumentare il più possibile l’autonomia, l’altra per
salvaguardare la postura. E anche la casa ha cambiato faccia: il salone è sparito, è diventato la stanza di Andrea, con un bagno a norma
e tutto lo spazio che gli serve per muoversi meglio e la cucina è diventata la sala, il salotto, l’anima della casa, perché il resto è spazio
vitale per Andrea che gli serve tutto. Ma sulla casa si poteva scegliere. Dipendeva da noi. La carrozzina, invece, no. Così, per garantirgli la possibilità di muoversi il meglio possibile, è iniziata una
lunga diatriba con la ASL. È finita così: seimila euro li abbiamo
messi noi e diecimila li ha messi il Servizio Sanitario Nazionale. Andrea, oltre alla carrozzella manuale, ha avuto così quella speciale,
più attrezzata, che serve anche a salvaguardare la sua postura e a sostenere il più possibile il tono muscolare.
Quello che Giancarlo ti racconta è una presa di coscienza lenta e
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
disperata del dolore ma anche delle risorse per affrontarlo, una grinta
“matta e disperatissima” per ottenere le cose più impossibili, che a
voltarsi indietro viene da chiedersi come abbia fatto: come ha fatto
Giancarlo a far partire Andrea e a farlo arrivare in Calabria insieme
agli altri compagni di classe se la pedana disponibile a Roma per far
salire la carrozzella speciale di Andrea sul treno non sarebbe poi più
stata disponibile in Calabria per farlo scendere?
Ha fatto finta. Dopo aver recriminato il diritto alla tessera blu, la
tessera che garantisce un’adeguata condizione di trasporto ai portatori di handicap, funzionasse per tutto il territorio nazionale, si è
dato pace e ha accettato che Cristo si fosse fermato ad Eboli. Si è
inventato un viaggio in Calabria con la moglie e, all’arrivo dei ragazzi alla stazione di Scalea, ha fatto una “sorpresa” ad Andrea, gli
ha sostituito la carrozzella e gli ha permesso di scendere dal treno
insieme agli altri suoi compagni. Poi si è scusato e ha proseguito il
viaggio, dopo aver detto a tutti che era stata proprio una fortuna
essere passato di là per caso, con la carrozzella manuale nel portabagagli.
Sì, una lotta. Spiegare ogni cosa di cui hai bisogno. Una lotta è raccontare al medico di turno che capisci la stretta della spesa, ma che
se la sedia non è adeguata la malattia peggiora, perché peggiorano
la postura e la respirazione e nascono complicanze gravi. Una lotta
far capire che tutto quello che chiedi serve a tenere Andrea in equilibrio, ad allontanare la prossima svolta della malattia e che, per
quanto poco se ne sappia, bisogna tentare di tutto. È un rosario
quello che recita Giancarlo ogni volta prima di una prescrizione.
Nella preghiera chiede aiuto e spiega: “la spesa sanitaria non si sana
sulle spalle di mio figlio, che sono fragili. Per lui ogni supporto è
prezioso, serve a ritardare altro dolore. E che spreco può essere il
sostegno. Non dissesterà né mai sanerà alcun bilancio e, se me lo
concedete, potete solo evitarmi un’ulteriore fatica per vivere. Io sono
un turnista, quindi, di notte posso lavorare e il giorno posso lottare” E così, a furia di preghiere, un’altra carrozzella l’ha pagata tutta
la ASL. Con questa Andrea, seppure legato con le cinture, si estende
fino a stare “in piedi”, e previene le conseguenze della grave scoliosi
che, procurata da una postura sbagliata, minaccia la sua respirazione.
E grazie a quella carrozzella per Andrea è arrivata un’emozione: “Che
bella sensazione parlare con qualcuno dalla stessa altezza – ha detto
53
54
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
– Non l’avevo mai più provata”. Era un ancora bambino, infatti,
quando si è seduto e, forse, bastava questo perché ne avesse diritto.
È stata una lotta anche assicurare il campo estivo, l’assistente domiciliare, le medicine e i presidi sanitari di ogni genere. Non c’è la
forza per un altro figlio. È tutta occupata. Te lo spiega Giancarlo:
“Le energie non sono infinite e io le uso tutte e spesso le moltiplico
solo per cercare di garantire ad Andrea una vita dignitosa, e non
posso permettermi di smettere di lottare”. E grazie a queste energie
sono arrivati a casa di Andrea due assistenti domiciliari. Con uno
ci studia anche la matematica, un amico ormai, per entrambi la tavola è spesso apparecchiata e la cura è adesso anche sconfiggere la
solitudine. Perché quasi tutti – ti spiegano con un sorriso rassegnato
– hanno paura del dolore, si allontanano, a volte è una forma di pudore, a volte è una forma di fuga, come se evitandolo potessero scongiurarlo per sempre”.
Solo a scuola Andrea ha viaggiato nella giusta direzione. L’Istituto
Tecnico Commerciale che frequenta è un’isola felice, con insegnanti
che si spendono personalmente e professionalmente per farsi carico
dell’integrazione. Hanno comprato un montascale per Luca, un disabile che impiegava almeno mezzora a fare le scale con la sua
mamma. Ne è nato uno spettacolo teatrale recitato al teatro comunale di Formello, dove ragazzi sani e ragazzi con disabilità hanno
recitato insieme. Lo spettacolo si chiamava “La scala di Luca”e ci
recitava pure Andrea.
È salito sul palco, ha fatto le prove, e si è pure divertito. A volte è
stato anche faticoso, ma ne valeva la pena. Andrea parla dello spettacolo e gli si illuminano gli occhi. È salito sul palcoscenico come
gli altri. È stato un attore come gli altri. Non sa se reciterà ancora
ma ci spera. Forse è solo un’illusione. D’altronde il teatro è sempre
un’illusione e lui lo sapeva che stava recitando.
Si ringrazia l’Associazione Parent Project per aver reso possibile l’incontro con
Andrea e la sua famiglia.
L A M A L AT T I A
La distrofia muscolare
di Duchenne
In breve
È la mutazione di un gene
– quello della distrofina – a
dare origine alla distrofia
muscolare di Duchenne,
una grave malattia che
porta a un progressivo
indebolimento e danno dei
muscoli.
Colpisce circa un bambino
ogni 3.500 nati. Salvo
eccezioni, si manifesta
soltanto nei maschi.
I primi sintomi della
malattia compaiono già
nella prima infanzia: il
bambino ha difficoltà a
camminare, a correre o a
saltare. Cade
frequentemente.
Crescendo, la debolezza
muscolare aumenta e tra i
7 e i 13 anni non è più in
grado di camminare. Nel
tempo compaiono inoltre
danni a carico del cuore e
dell’apparato respiratorio,
rappresentando la
principale causa di morte
che sopraggiunge intorno
ai 30 anni.
A oggi, non esiste alcuna
cura risolutiva per la
distrofia muscolare di
Duchenne. Sono tuttavia
disponibili farmaci in
grado di contrastare,
almeno in parte, i sintomi.
Promettenti i risultati
conseguiti negli ultimi
anni dalla ricerca: la
correzione attraverso
farmaci innovativi del gene
mutato sembra la strada
più vicina a produrre
risultati.
■ La distrofia muscolare di Duchenne (DMD)
intra ed extracitoplasmatiche conferendo
è la forma più comune e una delle più gravi
particolare stabilità alla fibrocellula durante
distrofie muscolari, termine che descrive un
la contrazione muscolare. L’incidenza della
gruppo di malattie genetiche rare caratte-
malattia è stimata intorno a 1:3.500 nati
rizzate, principalmente, da un progressivo
di sesso maschile. Le femmine di solito sono
deterioramento della funzione muscolare
asintomatiche, anche se una piccola parte
scheletrica. La DMD si eredita con moda-
delle portatrici può presentare lievi mani-
lità X-linked recessiva ed è causata da mu-
festazioni della malattia. Si stima che in un
tazioni del gene (Xp21.2) della distrofina,
terzo circa dei casi, la DMD non sia tra-
una proteina che fa parte del gruppo di pro-
smessa dalla madre, ma sia il risultato di
teine del citoscheletro delle fibrocellule mu-
nuove mutazioni del gene originatesi nel-
scolari, ma è presente, seppur in quantità
l’individuo affetto. Mutazioni quali difetti
minori, nella fibrocellula muscolare liscia e
nel promotore, codoni di stop prematuri,
nel cervello. La distrofina forma un com-
mutazioni di senso portano all’assenza fun-
plesso sistema di rete con altre proteine
zionale della proteina distrofina. Delezioni,
55
56
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
rotture e sostituzioni, che mantengono la
l’interno delle fibrocellule, la necrosi, la ri-
smanti. Tutt’ora è in fase sperimentale la
scular dystrophy. Ann N Y Acad Sci.
cornice di lettura del DNA e permettono la
generazione e l’infiammazione nel tessuto
terapia genica finalizzata alla correzione del
2010;1214:199-212. Epub 2010 Dec 1.
sintesi della proteina, anche se alterata,
analizzato. All’immunoistochimica, si rileva
gene mutato.
causano generalmente un fenotipo clinico
l’assenza completa o quasi totale della di-
La DMD è presente all’interno del gruppo
LE, Clemens PR, Cripe L, Kaul A, Kin-
più lieve: la distrofia muscolare di Becker
strofina nel muscolo affetto. L’indagine ge-
delle Distrofie muscolari nell’Allegato 1 del
nett K, McDonald C, Pandya S, Poysky
(DMB).
netica permette, infine, di individuare il ge-
Decreto Ministeriale 279/01 “Regolamento
J, Shapiro F, Tomezsko J, Constantin C;
La DMD si manifesta nella prima infanzia,
notipo dell’eterozigote e dell’affetto per il
di istituzione della Rete nazionale delle ma-
DMD Care Considerations Working Group.
spesso in maniera anche insidiosa, con un
gene della distrofina. La diagnosi prenatale
lattie rare e di esenzione dalla partecipa-
Diagnosis and management of Duchenne
ritardo delle tappe dello sviluppo motorio o
è possibile nelle famiglie in cui la diagnosi
zione al costo delle relative prestazioni sa-
muscular dystrophy, part 1: diagnosis,
un ritardo globale; di solito, i bambini ini-
del proposito sia stata confermata con le
nitarie”, con codice di esenzione RFG080.
and pharmacological and psychosocial
ziano ad avere difficoltà a camminare, a cor-
analisi molecolari. La diagnosi differenziale,
Pertanto, sono stati identificati, all’interno
management. Lancet Neurol. 2010;9:77-
rere o a saltare, hanno frequenti cadute e
infine, si pone con la DMB e con le altre
della Rete Nazionale per le malattie rare,
93. Epub 2009 Nov 27.
lamentano difficoltà a salire le scale. La de-
forme di distrofie muscolari.
dei presidi clinici per la prevenzione, la sor-
• Bushby K, Finkel R, Birnkrant DJ, Case
bolezza muscolare progredisce in misura va-
Attualmente, non esiste una cura specifica
veglianza, la diagnosi, il monitoraggio e il
LE, Clemens PR, Cripe L, Kaul A, Kin-
• Bushby K, Finkel R, Birnkrant DJ, Case
riabile da individuo a individuo. La perdita
per la DMD, ma sintomatica. Un trattamento
trattamento di tale patologia.
nett K, McDonald C, Pandya S, Poysky
della deambulazione autonoma avviene – in
multidisciplinare, da parte di un’equipe mul-
L’elenco di tali presidi è disponibile online,
J, Shapiro F, Tomezsko J, Constantin C;
genere – tra i 7 e i 13 anni, in seguito si
tispecialistica che tra l’altro comprenda la
sul sito web del Centro Nazionale Malattie
DMD Care Considerations Working Group.
sviluppano contratture articolari e scoliosi.
fisiochinesiterapia generale e respiratoria,
Rare (www.iss.it/cnmr).
Diagnosis and management of Duchenne
In alcuni casi è presente un deficit cogni-
la chirurgia ortopedica selettiva, i controlli
Infine, si segnalano di seguito le diverse As-
muscular dystrophy, part 2: implemen-
tivo non-progressivo. L’insufficienza cardiaca
cardiologici, il supporto psicologico e, so-
sociazioni dedicate alla DMD, presenti nella
tation of multidisciplinary care. Lancet
e respiratoria sono la principale causa di
prattutto, l’assistenza respiratoria, permette
banca dati relativa alle Associazioni di pa-
Neurol. 2010;9:177-189. Epub 2009
morte, che sopraggiunge in genere intorno
di limitare le complicanze della malattia, di
zienti, sul sito web del Centro Nazionale
Nov 27.
alla II e III decade di vita.
prolungare la durata della vita e di miglio-
Malattie Rare:
All’esame obiettivo, le note cliniche più sa-
rare la qualità di vita delle persone affette.
PARENT PROJECT - Associazione Genitori
• Kirschner J, Schessl J, Schara U, Reitter
B, Stettner GM, Hobbiebrunken E, Wili-
lienti sono: la debolezza muscolare, l’as-
Gli steroidi sembrano efficaci nel rallentare
con figli affetti da Distrofia muscolare di Du-
chowski E, Bernert G, Weiss S, Stehling
senza dei riflessi osteo-tendinei e la pseu-
la progressione della debolezza muscolare,
chenne e Becker ONLUS:
F, Wiegand G, Müller-Felber W, Thiele S,
doipertrofia dei muscoli gastrocnemi.
in studi a breve termine, tuttavia, il loro im-
E-mail [email protected];
Grieben U, von der Hagen M, Lütschg J,
Tra le indagini di laboratorio che possono
piego è limitato, specie in età pediatrica,
[email protected];
Schmoor C, Ihorst G, Korinthenberg R.
indurre al sospetto diagnostico o confermare
per la comparsa degli effetti indesiderati.
[email protected];
Treatment of Duchenne muscular dy-
un sospetto clinico, vi è il dosaggio sierico
Recentemente è stato valutato l’uso della
sito web http://www.parentproject.org
strophy with ciclosporin A: a randomised,
del CPK: questo enzima, normalmente pre-
ciclosporina A, in monoterapia o in asso-
UILDM Unione Italiana
double-blind, placebo-controlled multi-
sente nel muscolo, raggiunge elevate con-
ciazione a una terapia intermittente con
Lotta alla Distrofia Muscolare;
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“T
u non ci crederai, ma la mia malattia ha avuto il suo nome
dopo venticinque anni. Solo dopo aver trascorso un quarto
di secolo in compagnia del mio dolore, ho scoperto come
si chiamava. A nove anni giravo per i congressi di tutta Italia a mostrare il mio braccio più lungo dell’altro, dentro il quale era evidente, a occhio nudo, un ingorgo venoso che ricordava il labirinto
costruito da Dedalo per confondere il Minotauro e imprigionarlo.
Peccato che in quel ginepraio, per lunghi anni, si siano confusi anche
i medici mentre cercavano di capire cosa vi si nascondesse, senza
mai trovare alcun filo che li conducesse verso una via d’uscita”.
E dire che Marina avrebbe potuto fare la modella. Ha bussato alla
mia porta d’estate, un sabato pomeriggio d’agosto in una Roma deserta e mi è apparsa bellissima. Quarantotto anni, di quelli che ne
leveresti almeno dieci a indovinarli. Lunghi capelli biondi e un sorriso aperto e deciso: non sembrava reduce da sette ore di viaggio dal
Piemonte. La pelle era fresca, il viso disteso. Che il suo braccio non
ci fosse più l’ho visto dopo: un pugno nello stomaco. Era venuta in
quell’afa estiva solo a raccontarmi la sua storia, perché si sapesse
cosa si prova a crescere con una malattia senza nome; a capire come
l’unica vera terapia, una volta ottenuta la diagnosi, sia stato incontrare altra gente con le vene che si complicano come le sue; poter
condividere questo buffo margine del mondo da cui la realtà si vede
davvero da un’altra prospettiva.
Questo perché quella malattia si cura in un solo ospedale del Nord.
E ci arrivi solamente quando qualcuno ha capito che hai l’Angiodisplasia. Così si aprono le porte di quel reparto, l’unico in tutta
Italia, per i centocinquanta pazienti malati di questa malattia. Un
reparto dove due medici si danno il turno e, quando se ne ammala
uno, si ritrovano quasi al 50 per cento delle forze. “A volte, la sera,
59
60
CONTROVENTO
si mettevano il cappotto direttamente sul camice perché era troppo
tardi anche solo per cambiarsi”.
Un reparto davvero affollato, per quei pazienti arrivati d’ogni dove.
Anche se, vista da un’altra prospettiva, un reparto intero potrebbe
persino sembrare troppo per poche centinaia di pazienti. I conti in
tasca si fanno presto: per ottimizzare è meglio smembrarlo, trovare
letti per quegli stessi pazienti in reparti affini, in modo che la spesa
sia più razionale e meglio distribuita.
“Eppure là dentro per la prima volta non mi sono sentita più sola.
Ho riso e ho giocato a carte durante i ricoveri – racconta Marina –
con persone che non avevo mai visto, come se le avessi conosciute
da sempre, sottintendendo un discorso mai scritto, mai pronunciato, con chi, come me, aveva vagato per districare quei grovigli
venosi che minacciavano cancrene, amputazioni, ischemie. E come
fai a spiegare a qualsiasi altro che tu, quando sei a rischio, quando
la malattia peggiora (e può succedere una volta l’anno come dieci
o venti), non puoi prendere un farmaco, perché non c’è; che la tua
unica medicina è la sala operatoria perché, ogni volta che i nostri
vasi si ammassano, si moltiplicano, si aggrovigliano troppo, senti
un dolore che può essere sedato solo con la morfina, più spesso con
il bisturi. E quel compagno di stanza, che magari si è operato una
safena, come fa a capire se gli dici che domani in sala giochi tocca
a te. Non lo capisce che stai parlando della sala operatoria; non la
coglie quest’ironia che sopravvive alla disperazione. Si tratta di una
sala giochi solo per noi che siamo abituati a quella roulette dove
vinci o perdi ogni volta che ci provi. Se ti va bene l’intervento (l’alcolizzazione, come la chiamano i medici) sei semplicemente a posto
fino alla prossima emorragia, al prossimo groviglio, alla prossima
ischemia. Le cellule che costituiscono quei maledetti vasi sono talmente delicate che, se invece l’operazione va male, i pazienti incorrono nello stesso rischio che comporta la malattia: necrosi, trombosi o embolia”.
Le complicazioni, per Marina, cominciarono ad arrivare intorno ai
vent’anni, anche se le migrazioni, quelle, cominciarono subito. I
viaggi della speranza la portarono ovunque. Anche in Francia, a
Nizza e poi a Parigi. Conobbe pure una guaritrice, le si affezionò e
la seguì per molti anni, fin quando lei morì e Marina sentì di aver
perso una nonna, una specie di terapeuta dell’anima, una presenza
che, sebbene non guarisse il suo male, placava le sue paure. Intanto
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
il risultato più grosso fu conseguito in Liguria, dove un chirurgo
della mano riuscì a chiudere delle fistole e legare due arterie scongiurando un’ischemia. Dopo un anno si arrese anche lui e per Marina ricominciò il calvario. Era stato un atto d’onestà: “Ho fatto
quello che potevo, ciò che la mia scienza e la mia abilità mi consentivano, non ho più armi” – era quello che voleva dire quel chirurgo – ma lei visse quella resa come un abbandono perché il dolore, si sa, confonde spesso i piani delle emozioni.
“Ricominciai a sperare grazie a un chirurgo vascolare – ricorda ancora Marina – che si prese a cuore il mio caso e io, che in fondo
non avevo mai smesso di sperare, confidai di nuovo nella salvezza.
Lui avrebbe amputato la mia mano. In tutti quegli anni nessuno
aveva mai pronunciato quel verbo davanti a me: né i medici né i
miei genitori. Ma io lo sentivo che quel medico mi avrebbe salvato.
La sentivo a pelle che la mia sfida era la sua. Mesi e mesi in una
corsia preferenziale della sua mente, a occupare un posto speciale
tra i suoi pazienti. Fino all’operazione. Quella mattina lui aveva due
occhiaie profondissime. Quelle di chi non ha dormito tutta la notte.
Quelle di un uomo per cui l’oscurità non è finita perché ti deve dire
che non può, che ha passato ore e ore sugli atlanti di chirurgia a immaginare le mie vene in lungo e in largo, a disegnarle persino su un
pezzo di carta, per poi concludere che non ce la può fare, che potrebbe peggiorare la situazione. E così quella mattina si è fatta notte
anche per me”.
Ma il dolore, quello vero, quello che ti scaraventa in un tunnel senza
fine, in cui precipiti rotolando senza sapere dove vai, è arrivato più
tardi per Marina, proprio mentre giungeva anche la gioia più grande,
quella cioè di diventare madre, come se la vita potesse davvero continuare. Arrivò perché la gravidanza fece esplodere i problemi della
malattia, perché il dolore la costrinse a smettere di allattare e a vedere il suo bambino per due soli giorni al mese. I dolori divennero
costanti, la mano si era atrofizzata e si moltiplicarono gli interventi
chirurgici. Marina arrivò così a perdere le prime due dita della mano.
Però sapeva di cosa era ammalata: nel frattempo, le avevano diagnosticato l’angiodisplasia a Milano, in uno dei pochissimi reparti
d’Europa dove si conosca questa patologia.
“Si arrestò la mia vita, naufragò il mio matrimonio, andavo verso
una nuova esistenza. Io e mio marito ci siamo definitivamente persi,
forse in quelle piste dove sciavamo felici, nei viaggi e nei week-end
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62
CONTROVENTO
insieme, in quel mosaico di emozioni che non potevamo più condividere, in quell’energia che era l’amore e che adesso mi serviva
tutta per sopravvivere. Non soffrii neanche troppo per quella perdita, impegnata com’ero a non farmi schiacciare dal dolore fisico.
Prima ancora di lui, stavo perdendo me stessa, tra un antidolorifico
e un altro, impegnata a non esplodere di rabbia e di dolore”.
Poi una pausa. Il dolore fisico sembrava essersi placato e Marina
riuscì a guadagnare un po’ di tempo con suo figlio, permettendosi
l’illusione della normalità. Di nuovo, timidamente faceva capolino
il futuro, perfino un nuovo compagno, la quiete delle pareti domestiche per sei mesi di fila e di nuovo una gravidanza.
“Io volevo almeno tre figli. Immaginavo le pareti della mia casa –
dice sorridendo – imbrattate dai pennarelli colorati, stanze continuamente invase da giochi che nessuno sarebbe riuscito a mettere
a posto. Sognavo di desiderare il silenzio, di spegnere la luce solo
dopo aver recitato un numero infinito di filastrocche ogni sera, per
poi ricominciare la mattina a riempire gli zaini, a controllare i quaderni, fino a metterli in fila per la doccia i miei bambini, ubriacarmi
delle loro risate, e ridere io stessa del loro meraviglioso pasticcio di
parole che mai avrei avuto il cuore di correggere. Ma quel desiderio
a me non era concesso. Persi infatti il bambino e non potei neanche
soffrirne troppo; non ne ebbi il tempo perché pochi giorni dopo
già un’ischemia minacciava di nuovo la mia vita. Di quei giorni, di
quei dolori atroci che invasero il mio corpo, ricordo pochissimo.
Mi svegliai senza un braccio e la verità mi trafisse come una spada.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola vomitando tutti gli incubi
passati, che mai con le parole avevo osato nominare e che adesso
erano semplicemente cose. Accadevano. Erano accadute. Dosi massicce di sedativi riuscirono ad anestetizzare tutto, soprattutto la mia
mente e il mio cuore, ai quali, davvero, non sarei sopravvissuta”.
Marina parla di quei giorni terribili come ormai distanti. È uscita
di nuovo sola da quell’avventura perché è raro l’amore che non ha
paura delle malattie. Ma a sentirla parlare non è di un compagno
che ha più bisogno. Sembra più viva la ferita del tempo passato
senza suo figlio. Suo figlio che ha capito finalmente che lei allora
non poteva esserci per poterci essere oggi, e riparare a quel sanguinamento invisibile che è l’assenza di una madre. E oggi, finalmente,
può ammirare il coraggio di quella donna che continua a essere bella
e non si arrende.
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
Questo ragazzo, ormai adolescente, che un giorno, mentre lui e la
madre erano in partenza per Sanremo, assistette alla forza di una
donna che, di fronte a un’improvvisa e profonda emorragia, spiegava ai medici del 118, ignari dell’Angiodisplasia, che cosa dovessero fare, attaccandosi al cellulare con quel medico milanese che le
dava le istruzioni giuste da impartire per salvarle la vita. Sì, quel
medico a cui aveva ormai affidato anche l’anima, lo stesso che metteva il camice sul cappotto e che qualche volta rimaneva a chiacchierare con i pazienti dopo il lavoro, quello che confondeva spesso
il reparto con casa sua.
“Io lo so che la spesa sanitaria è molto complicata da gestire – dice
rassegnata Marina – So che laddove metti da una parte togli dall’altra, che noi siamo sempre troppo pochi per giustificare tante risorse. Ma come spiegarvi che in quel reparto abbiamo sorriso insieme perché insieme partivamo dalla stessa sofferenza, perché a
volte ci cinge un filo spinato, che pure voi, da fuori, se lo guardate,
vi fa paura toccarlo. Come dirvi che senza quella famiglia non riesco
ad avere forza per la mia di famiglia? Per guarire mio figlio da quei
tic nervosi che sono ormai l’unico segno visibile di anni di assenza
materna? Io però mio figlio non lo lascio andare”.
Ci sono voluti anni per sfidare la vita davvero. Per resistere al dolore, alle emorragie, ai tanti ingressi in sala operatoria. Eppure adesso,
anche grazie a quel cellulare sempre acceso, Marina ha trovato un’altra
forza ancora. Dopo essere salita sull’ambulanza quel giorno, scongiurato il peggio, contro ogni evidenza ha preso con sé i suoi cerotti
speciali e, invece di disfare le valigie, le ha chiuse definitivamente
e, insieme a suo figlio, è partita in vacanza per Sanremo.
Si ringrazia l’Associazione ILA Associazione Italiana Angiodisplasie ed emangiomi infantili per aver reso possibile l’incontro con Marina.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
gato, milza, rene e sistema nervoso centrale
formazioni vascolari), con un’ecografia degli
Sindromi di Klippel-Trenaunay,
Parkes Weber e Sturge-Weber
(assenza delle vene cerebrali profonde, di-
organi interni e con l’ecodoppler dei vasi
In breve
Le sindromi di KlippelTrenaunay, Parkes Weber e
Sturge-Weber sono un
gruppo di malattie rare
accomunate dalla presenza
di malformazioni a carico
dei vasi sanguigni di
piccolo calibro (capillari e
piccole vene)
della pelle e del cervello e
(nella sindrome di KlippelTrenaunay) da un
accrescimento anomalo di
alcuni segmenti del corpo
(es. arti).
Sono caratterizzate da
diversi altri disturbi:
disturbi visivi,
cardiovascolari e
polmonari, ritardo mentale
e altri problemi neurologici.
Le manifestazioni delle
sindromi compaiono in
genere molto
precocemente, già dalla
nascita o nel primo anno di
vita. Le ragioni che
sottendono lo sviluppo di
queste patologie non sono
ancora ben note, anche se
la ricerca sta concentrando
l’attenzione sulle mutazioni
di alcuni geni
responsabili di aumento di
accrescimento o di anomalo
sviluppo dei vasi sanguigni.
In tutte e tre le sindromi, la
diagnosi è clinica ma va
confermata con esami
strumentali, quali
radiografie, TAC, risonanza
magnetica, ecografia degli
organi interni ed
eco-color doppler dei vasi
delle regioni coinvolte.
latazione dei seni petroso e cavernoso o emi-
della regione interessata.
megalencefalia).
Alla diagnosi, è consigliabile richiedere una
Altre anomalie del sistema nervoso centrale
consulenza multispecialistica che coinvolga
sono la microcefalia, la macrocefalia, l’emi-
anche l’oculista, il chirurgo plastico, quello
pertrofia cerebellare, l’atrofia cerebrale e le
vascolare ed eventualmente l’ortopedico. È
calcificazioni cerebrali. Nei casi con segni
importante un controllo clinico periodico e,
cutanei al volto, vi può essere ritardo men-
in caso di fistola arterovenosa, un monito-
tale associato. Le complicanze sono corre-
raggio con esami color/doppler della regione
late all’anomala vascolarizzazione e inclu-
interessata. Vanno costantemente misurate
dono: trombosi, coagulopatie, embolia pol-
la lunghezza e la circonferenza dell’arto (o
monare (presente in più del 10% dei bam-
arti) interessato/i. Si può eseguire una laser-
bini e in percentuale ancora maggiore nel-
terapia per correggere la malformazione ca-
l’adulto) con ipertensione polmonare se-
pillare, si ricorre alla terapia medica e alla
condaria, insufficienza cardiaca (in presenza
fisioterapia con applicazione di guaine ela-
di malformazioni arterovenose importanti)
stiche in caso di varici superficiali o pro-
e sanguinamento nei vasi anomali all’in-
fonde.
terno dell’intestino, dei reni o dei genitali.
La sindrome di Parkes Weber è caratteriz-
Si possono anche avere emangiomi nodu-
zata da un aumento di dimensioni delle ar-
lari nel tronco associati a malformazioni va-
terie e da malformazioni combinate capil-
scolari degli organi interni. In soggetti con
lari e venose con iperaccrescimento di un
drenaggio linfatico anomalo è presente una
arto e presenza di fistole arterovenose. È
sintomatologia dolorosa, associata anche a
molto simile clinicamente alla sindrome di
La sindrome di Klippel-Trenaunay, la sin-
parsa delle prime manifestazioni è la na-
infezioni. Nelle donne le gravidanze pos-
Klippel-Trenaunay, ma nella sindrome di
drome di Parkes Weber e la sindrome di
scita o il primo anno di vita. Clinicamente
sono complicarsi a causa delle anomalie va-
Parkes Weber le malformazioni vascolari
Sturge-Weber sono sindromi neurocutanee
è caratterizzata dalla classica triade, pre-
scolari. Per quanto riguarda il decorso della
sono ad alto flusso, il colore tipico della mal-
che hanno in comune la presenza di vari tipi
sente in genere in un solo arto:
malattia, le lesioni vascolari non sono pro-
formazione cutanea è rosa e diffuso sulla
di malformazioni vascolari e di ipertrofia tis-
1) malformazioni vascolari combinate di tipo
gressive o proliferative. La prognosi è legata
pelle, vi sono molte fistole arterovenose
alla presenza di complicanze che sembrano
(mentre mancano le varici venose e le mal-
sutale che interessa gli arti (Klippel-Tre-
capillare, venoso e linfatico;
naunay e Parkes Weber) e il capo (ma anche
2) varici superficiali a distribuzione atipica
essere più comuni quando le anomalie va-
formazioni linfatiche) e l’arto interessato
altre regioni del corpo) (Sturge-Weber). Par-
(in particolare un’anomalia laterale ve-
scolari cutanee sono localizzate al tronco o
presenta un aumento del calore al tatto.
ticolarmente interessante è la scoperta di
mutazioni del gene RASA-1 in questo gruppo
nosa ad esordio neonatale o infantile);
3) iperaccrescimento di un arto per l’iper-
all’addome e hanno forma a carta geogra-
Inoltre, la prognosi nella sindrome di Parkes
fica.
Weber è più grave per le possibili compli-
La diagnosi è clinica ma va integrata con
canze cardiache.
La sindrome di Klippel-Trenaunay è di so-
Le anomalie vascolari possono interessare
esami radiografici (quale, per esempio, la
La sindrome di Sturge-Weber (nota anche
lito sporadica e colpisce ugualmente am-
anche altri organi, inclusa la camera ante-
radiografia del segmento interessato dalle
come angiomatosi encefalofacciale o ence-
bedue i sessi. Non vi sono dati epidemiolo-
riore dell’occhio (glaucoma), retina (varici
anomalie vascolari), con la risonanza ma-
falotrigeminale o angiomatosi meningofac-
gici sulla sua reale frequenza. L’età di com-
retiniche, angioma coroideo), intestino, fe-
gnetica (che è l’esame elettivo per le mal-
ciale) è clinicamente caratterizzata, nella
di patologie.
trofia dei tessuti molli/osso.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
forma classica, da:
pilla ottica e cataratta. L’angioma leptome-
Sturge-Weber al dermatologo o al chirurgo
di esenzione rispettivamente RN1510 e
a) malformazione capillare al volto (di co-
ningeo è presente nel 20%-85% dei sog-
plastico per un’eventuale laser terapia. Il
RN0770. Pertanto, sono stati identificati,
lore rosso-vinoso distribuita nel territorio
getti affetti. Le aree interessate sono, nella
glaucoma può spesso richiedere una terapia
all’interno della Rete Nazionale per le ma-
d’innervazione del V nervo cranico);
maggior parte dei casi e progressivamente
chirurgica. Quando le convulsioni non ri-
lattie rare, dei presidi clinici per la preven-
b) angioma leptomeningeo ipsilaterale;
con l’età, calcificate e le calcificazioni sono
spondono alla terapia medica, può essere
zione, la sorveglianza, la diagnosi, il moni-
c) anomalie vascolari oculari.
ben evidenziabili attraverso la radiografia
necessario prendere in considerazione il trat-
toraggio e il trattamento di tale patologia.
Il fenotipo è estremamente variabile e sono
del cranio o la TC dell’encefalo. Con il tempo
tamento neurochirurgico con l’emisferec-
L’elenco di tali presidi è disponibile online,
descritti casi solo con interessamento cu-
(a volte anche in epoca neonatale) si può
tomia.
sul sito web del Centro Nazionale Malattie
taneo senza anomalie del sistema nervoso
osservare atrofia o subatrofia cerebrale nella
Proprio per le caratteristiche cliniche co-
Rare (www.iss.it/cnmr).
e con o senza coinvolgimento oculare.
sede coinvolta (tale atrofia è direttamente
muni (tipo di manifestazioni vascolari e di
Infine, sul territorio nazionale sono presenti
È una malattia sporadica, solo alcune se-
correlata alle manifestazioni neurologiche
crescita tissutale), queste tre sindromi en-
alcune Associazioni dedicate alle sindromi
gnalazioni in letteratura riportano un’eredi-
per gravità).
trano spesso in diagnosi differenziale tra di
di Klippel-Trenaunay e alla sindrome di
tarietà autosomico dominante. L’incidenza
Le convulsioni si manifestano nel 75-90%
loro. Alcuni autori ritengono, peraltro, che
Sturge-Weber:
è di circa 1 su 50.000 individui nella po-
dei soggetti con esordio nei primi 2 anni di
si tratti di uno spettro fenotipico che può
a) Associazione Italiana Angiodisplasie ed
polazione generale. Si ritiene che questa
vita, sono di tipo parziale motorio, spesso
essere associato o no a coinvolgimento ce-
Emangiomi Infantili, Azienda Ospeda-
sindrome sia causata da mutazioni soma-
prolungate con stato epilettico, ma si hanno
rebrale o ad altre malformazioni a carico dei
liera “Guido Salvini”, e-mail:info@an-
tiche delle cellule presenti nelle aree col-
anche spasmi infantili, crisi miocloniche o
vasi arteriosi, venosi e linfatici o di altri tes-
giodisplasie.org, sito web: http://www.an-
pite dalle malformazioni vascolari.
assenze atipiche. La risposta alla terapia è
suti (tessuti molli, osso, ecc.): ad un estremo
giodisplasie.org
Dal punto di vista patogenetico è stato ipo-
inizialmente buona, ma con il tempo le crisi
del fenotipo ci sarebbe la sindrome di
tizzato che la malattia possa essere legata
possono presentarsi più frequentemente ed
Sturge-Weber con presenza di sole malfor-
Malformazioni
a una mancata regressione del plesso pri-
essere progressivamente più resistenti al
mazioni di tipo capillare confinate preva-
[email protected]
mitivo venoso cefalico durante il primo tri-
trattamento. In un terzo dei casi si ha emi-
lentemente al volto (faccia, occhio e SNC)
sito web: http://www.aisme.it
mestre di gravidanza.
plegia, controlaterale alla sede dell’angioma,
oppure (talora) anche agli arti o al tronco e
Clinicamente, la malformazione capillare al
da correlare a fenomeni di stroke cerebrale,
all’altro estremo la sindrome di Klippel-Tre-
b) AISME – Associazione Italiana Studio
Epilessia,
e-mail:
c) Fedra ONLUS, e-mail: [email protected]
sito web: http://www.fedra.org
volto è presente sin dalla nascita, progres-
per cui si ritiene utile la terapia preventiva
naunay con malformazioni di tipo capillare
sivamente il colore diviene più scuro con
anti-aggregante con aspirina. I deficit co-
e di tipo arterioso, venoso e dei vasi linfa-
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
sollevamento e ispessimento dei tessuti molli
gnitivi possono essere presenti nel 40% dei
tici con ipertrofia dei tessuti molli ed ossea.
• Alkonyi B, Chugani HT, Muzik O, Chu-
sottostanti (incluso il tessuto gengivale e
soggetti e con frequenza maggiore in coloro
Altri autori sostengono, invece, che queste
gani DC, Sundaram SK, Kupsky WJ, Ba-
quello scheletrico mascellare/mandibolare
che hanno convulsioni. La diagnosi è ba-
sindromi siano in realtà entità separate
tista CE, Juhász C. Increased L-[1-(11)
specie nel caso di malformazione della 2°
sata sull’osservazione clinica, la visita ocu-
(senza sovrapposizioni fenotipiche) che nella
C] Leucine Uptake in the Leptomenin-
e 3° branca trigeminale) per ipertrofia. La
listica è d’ausilio diagnostico solo nella metà
maggior parte dei casi si manifestano spo-
geal Angioma of Sturge-Weber Syndrome:
malformazione può anche estendersi ad altre
dei casi. L’esame elettivo, a qualsiasi età,
radicamente.
A PET Study. J Neuroimaging. 2011Jan
regioni corporee, uni- o bilateralmente. Nel
è la risonanza magnetica dell’encefalo con
La sindrome di Klippel-Trenaunay e la sin-
30-40% circa dei soggetti affetti è presente
gadolinio; questa può essere integrata da
drome di Sturge-Weber sono presenti al-
11. [Epub ahead of print]
• Di Rocco C, Tamburrini G. Sturge-Weber
il glaucoma secondario a malformazioni ca-
angio-risonanza o anche da studi PET e
l’interno dell’Allegato 1 del Decreto Mini-
syndrome.
pillari della coroide. Altre tipiche lesioni
SPECT.
steriale 279/01 “Regolamento di istituzione
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oculari sono le dilatazioni e la tortuosità dei
Il follow-up dipende dalla presenza o meno
della Rete nazionale delle malattie rare e di
• Onesti MG, Fioramonti P, Carella S, Spi-
vasi episclerali e congiuntivali, buftalmo,
delle manifestazioni extracutanee. È op-
esenzione dalla partecipazione al costo delle
nelli G, Scuderi N. Surgical and laser tre-
eterocromie dell’iride, coloboma della pa-
portuno riferire il soggetto con sindrome di
relative prestazioni sanitarie”, con codice
atment of Sturge-Weber syndrome. Ae-
Childs
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2010;21:427-441.
La fotografia
I
o sono un ingegnere elettronico. Ho sempre preferito dialogare con
i computer piuttosto che con gli uomini. Avere a che fare con le emozioni non è stato mai il mio forte. Non perché non le provassi. Diciamo che non le frequentavo volentieri: non amavo farci troppo
spesso i conti perché le emozioni sfuggono per loro natura a quelle
regole che hanno dettato la mia formazione e in base alle quali ho costruito la mia intera vita.
Per molti anni il mio è stato un mondo ordinato da principi, doveri
e ruoli più che dall’esplorazione intima delle relazioni umane. Poi è
nato Alberto. Quel giorno stesso l’ordine è crollato. Nessuna cosa
stava più al suo posto. Dentro i miei assi cartesiani i nuovi eventi non
trovavano più una collocazione. Quel bambino così tanto atteso,
amato, desiderato aveva cominciato a tremare nelle mie braccia il
giorno stesso in cui provai ad attaccarlo al seno; quello stesso giorno
in cui, secondo uno schema non previsto, stavano saltando tutti i tasselli con cui avevo composto il mosaico della mia esistenza.
Era solo l’inizio. L’alba di un viaggio lungo, complicato e doloroso
che mi avrebbe condotto, per prima cosa, alla ricerca del nome della
malattia di mio figlio. Sì, perché da quel giorno e per molti anni a
venire Alberto, secondo il Servizio sanitario nazionale, è stato semplicemente un epilettico.
Io giro sempre con le foto di Alberto. Alberto vestito da pirata, Alberto in tuta rossa, Alberto che gioca, Alberto piccolo, Alberto adolescente. E poi Alberto in preda a una crisi della malattia, accartocciato e immobile, prigioniero del suo corpo per un tempo sospeso di
cui non si sa mai la durata. Invece so bene quanto tempo ci è voluto
perché non ci prendessero per matti, perché capissero che quel bambino a cui serviva un appoggio per riuscire a giocare avesse una malattia specifica e che questa malattia avesse anche un nome. Ci sono
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CONTROVENTO
voluti quattro interminabili anni.
Non era semplicemente un epilettico mio figlio. In uno degli istituti
neurologici più famosi d’Italia mi dissero che non si trattava di epilessia. Sulla carta scrissero: “Crisi non epilettica, di natura sconosciuta”, mentre a voce mi licenziarono così: “E ben strano il suo bambino !”. La nostra via crucis alla ricerca di una diagnosi era appena
cominciata. Non li conto più i neurologi che abbiamo incontrato né
i centri che abbiamo visitato. Quelli specialistici, quelli d’eccellenza,
studi medici d’Italia e d’Oltralpe. Mancavano solo maghi e santoni
all’appello ma la mia natura razionale non mi ha mai fatto arrivare a
tanto. È strano pensare come a volte neppure la disperazione più assoluta riesca a violentare la ragionevolezza umana. Anche quando si
tratta di tragedie in cui di ragionevole non c’è proprio niente.
Dopo tante ricerche condotte ovunque, la diagnosi arrivò inaspettatamente vicino casa, nell’Istituto in cui portavamo abitualmente Alberto per dei controlli ordinari. Arrivò per caso il giorno in cui non
trovai il nostro solito medico ma un giovane dottore di turno che non
dette nulla per scontato, che non considerò quel controllo una visita
di routine. Lì per lì non fui felice di avere a che fare con un medico
nuovo. Cominciavo a essere stanca di dover iniziare ogni volta a raccontare quella malattia, a spiegare il dolore di Alberto e il mio. Doverne parlare mi faceva rendere conto che quel dolore era ormai una
condizione, un labirinto dove mi sentivo persa. Nessuno era riuscito
ad “ancorare” al mio racconto le parole giuste e d’altra parte questo
non si impara nei libri di medicina, ma solo attraverso quel desiderio
di curare che non sa prescindere dall’ascoltare davvero, senza pregiudizi, senza barriere. Eppure ricominciai. Dove non poté la speranza
riuscì l’inerzia. E così, alla fine di quella che i medici chiamano “anamnesi”, e cioè il riepilogo della storia del paziente, invece di trovare l’ennesimo sguardo distratto trovai domande. Un fuoco di fila di domande che mi obbligava a cercare nuovi particolari per fornire nuovi
elementi, costringendo così anche le mie parole a essere più precise,
a non lasciare spazio a interpretazioni ambigue. Insieme faticavamo
per spogliare il linguaggio dei suoi tanti sensi e indurlo a toccare un
oggetto e un oggetto solo, a imprigionarlo catturando per sempre il
nome della malattia di Alberto. Solo alla fine del nostro dialogo, il
giovane neurologo cominciò con l’escludere l’epilessia e ipotizzò che
stessimo parlando di “Emiplegia Alternante”.
Fu la prima volta che sentii quel nome. Una parola, un elemento les-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
sicale, che entrò nella nostra vita a dipanare una parte di quella matassa entro la quale siamo imbrigliati ancora oggi. Emiplegia Alternante. In effetti durante le crisi in cui Alberto rimaneva immobile si
paralizzava in una sola metà del corpo. Ma dietro quella definizione,
che pure non conteneva alcuna soluzione, ciò che era straordinario
davvero era che, dopo quattro anni, per la prima volta qualcuno provava a nominare quel mostro che si impossessava di lui e gli impediva di vivere. Era ancora solo un’ipotesi e doveva essere confermata.
Arrivammo così a Verona. Un altro viaggio. Ma in fondo non si trattava di andare troppo lontano e almeno questa volta avevamo un quesito specifico. La diagnosi di Emiplegia Alternante fu confermata:
non era certo una bella notizia ma era comunque una notizia, la prima
da quando era nato mio figlio.
Alberto aveva quattro anni e ancora non camminava. Aveva già subito diversi interventi che lo avevano costretto a essere quasi interamente ingessato e, per fare in modo che potesse reggersi faticosamente
sulle sue gambe, sarebbero dovuti passare ancora tre anni. A sette
anni, infatti, Alberto cominciò a camminare.
Ormai sapevo che mio figlio era malato di Emiplegia Alternante, una
malattia grave, per niente facile da gestire. Si trattava di una patologia
rara, talmente rara che non figurava neanche nella lista delle malattie
rare riconosciute. Eppure avevo finalmente una diagnosi. Fino ad allora la mia disperazione si era scontrata contro il nulla, contro l’indifferenza dei medici, l’arroganza di un sapere che non aveva mai
l’umiltà di denunciare i suoi limiti, la noia nello sguardo che accompagnava ogni anamnesi, la distrazione di fronte ai miei racconti.
Adesso, invece, ci si preparava a una fatica diversa. A quei medici avrei
dovuto spiegare di cosa era ammalato mio figlio. Prepararmi ogni
volta a recitare il rosario dell’Emiplegia Alternante, confortata da un
certificato medico che però valeva poco o nulla per il Servizio sanitario nazionale. Perché la malattia, appunto, non è riconosciuta e non
gode delle tutele di cui godono le altre malattie rare. E cioè quelle di
potersi affidare a un farmaco o a un supporto medico anche in assenza di prove scientifiche documentate. In pratica non ci era consentito disporre di quello che, in assenza di una terapia vera e propria, può attenuare i sintomi e garantire, per quanto possibile, una
qualità della vita più accettabile, un sollievo sia pure flebile al dolore.
Non è stato poco scontrarsi con la burocrazia. Capii subito che ci si
doveva organizzare. Ma prima ancora capii che più che organizzarmi
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CONTROVENTO
avrei dovuto ingaggiare ogni volta una lotta per difendere anche il
più elementare bisogno che nasceva da quella malattia.
E comunque decisi: basta lacrime. Alberto ne aveva avuto già abbastanza dalla vita e non meritava una madre con gli occhi perennemente umidi. Inoltre bisognava risparmiare energia da destinare a
quelle battaglie necessarie per ottenere qualsiasi cosa potesse sollevare
Alberto. Ad ogni domanda che facevo relativamente alla sua patologia la risposta era tutt’altro che automatica. Era già un terno al lotto
ogni volta che non dovevo spiegare cosa fosse l’Emiplegia Alternante.
Poi dovevano crederci, dovevano fidarsi, quel nome non era in nessun
prontuario e in pochissimi libri di medicina. Sembrava di essere entrati nel Castello di Kafka. In fondo, alla fine, non era colpa di nessuno. L’Emiplegia Alternante in Italia riguarda quaranta famiglie e si
contano sulle dita di una mano i medici che la conoscono; ancora di
meno sono quelli che la sanno diagnosticare. E se è sconosciuta al
Servizio sanitario nazionale, come si può chiedere a un medico di
questo stesso Servizio la prescrizione di un farmaco per curarla? Per
lui significherebbe trasgredire le regole dettate dal suo datore di lavoro, visto che nessun prontuario medico include la parola “Emiplegia Alternante”. E così ogni volta che chiedo la prescrizione della
flunarizina o una carrozzina più adatta a gestire la postura di Alberto,
il medico che ho di fronte deve fare un atto di fede. Ma il più delle
volte questo atto di fede non lo fa. Ne ho avuto la riprova quando,
sprovvisti della definizione di “Emiplegia Alternante” necessaria alla
prescrizione, mi hanno risposto: “ D’altra parte, signora, è un disabile come un altro e a noi chi ce lo dice che lui ha davvero quelle
crisi?”. E già chi ve lo dice? Ve lo dico io che non sto certo a fare il
tour delle ASL per divertimento, che mi piacerebbe essere in una qualsiasi località di mare o di montagna, a sciare o a nuotare con mio figlio invece che vederlo accartocciato e immobile per non si sa quanto
tempo. Ed è per questo che ho deciso di girare con le foto di Alberto.
Mentre mi chiedevo cosa fosse “un disabile come un altro”, quali fossero i disabili tutti uguali, ho fotografato Alberto in preda a una crisi,
bloccato e accartocciato come un gomitolo. Incapace di muoversi, di
mangiare, di andare al bagno, chissà per quante ore o giorni, chissà
come rimane dopo. Chissà. E ancora chissà.
Mentre tutte le mamme del mondo girano con i più smaglianti sorrisi dei loro pargoli, che ti sciogli solo a guardarli, io andavo in giro
con le foto del mio ragazzino piegato da una crisi, per spiegare che
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
era malato davvero e di una malattia specifica che aveva bisogno di
questo e quello. Era arrivata l’ora di asciugare le lacrime. Era arrivato
il tempo di rimettere in piedi la nostra vita, di rincollare ciò che restava, di restituire ad Alberto almeno una famiglia. E di questa ristrutturazione entrò a far parte anche il rapporto con mio marito.
Chissà dove era finito lui in quegli anni, dove era scomparso il nostro matrimonio. Forse era sempre stato là e io non me ne ero accorta,
persa nel labirinto di una corsa folle a cercare lo specialista di turno:
oggi un pediatra, domani l’ortopedico, dopodomani il neurologo. E
nella mia ricerca avevo smarrito il padre di Alberto, lo avevo sentito
spingersi sempre più verso i margini della mia, della nostra vita. Avevamo imparato a convivere con quel dolore su due strade parallele.
Le nostre emozioni sembravano essersi definitivamente separate,
ognuna alla ricerca di un diverso riparo. La barriera che sentivo tra
me e lui era per me un distacco ma, forse, oggi so che era solo un altro
modo di non farsi invadere da quella ferita, di fare in modo che non
infettasse la vita intera. Ormai però era ora di procedere insieme, di
medicare le ferite e di ricominciare.
Sono una donna schiva e riservata, non ho mai amato troppo le parole e ho preferito i numeri, ma per Alberto sono cambiata. Ho tirato fuori una seconda natura, ho fondato un’Associazione per combattere prima ancora che l’Emiplegia Alternante l’ignoranza sull’Emiplegia Alternante. Ho cercato tutte le persone di buona volontà
disposte ad aiutarmi per favorire un qualsiasi progresso nella ricerca
e nella cura. E così, insieme al Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo scritto le Linee Guida per
l’Emiplegia Alternante. Come andare sulla luna rispetto a dieci anni
prima. Un riconoscimento pubblico, uno sforzo scientifico, ma soprattutto un’affermazione di esistenza. Ho cercato di stringere in un
cerchio tutte le persone ammalate, di capire chi fossero, di imparare
dalla loro malattia qualcosa sulla malattia di Alberto. Dal lago di
Como, dove viviamo, sono scesa in Calabria per conoscere due gemelle ammalate; insieme a loro ho festeggiato i compleanni, sperando
ogni volta di poterlo fare ancora. Ho attraversato il mio dolore dentro
quello degli altri. Ho visto Miriam, bloccata per sempre da una paralisi più grave delle altre, che vive con il corpo completamente ripiegato; ho visto altri ragazzi stare meglio, altri andare via per sempre.
E tutto questo ancora senza una spiegazione. Senza un’idea di come
una tale violenza possa abbattersi sul corpo e nel cuore di tante per-
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
sone. Sì, anche nel cuore. Perché Alberto, seppure rallentato nell’apprendimento, seppure pieno di difficoltà, oggi che ha diciassette anni
chiede: “Mamma perché a me”? Ed è un’altra risposta che non ho.
Anche se non è la più grave ed è forse l’unica che, paradossalmente,
lo accomuna al resto dell’umanità. Pensare a mio figlio mi ha tenuta
in vita. Ho passato anni a cercare di capire il suo mondo lento, le sue
emozioni, a cercare di imparare il suo linguaggio, la sua intelligenza
emotiva; a cercare di interpretare il suo sguardo ogni volta che si accende. Perché si accende eccome. Ricordo ancora un giorno in cui,
insieme con mia sorella, avevo cominciato a giocare sul tappeto disegnando un bambino. Lui, nella felicità di riconoscersi in quella figura, di vedersi nell’affettuosa dolcezza di quei tratti infantili, si era
sforzato di pronunciare la parola “mamma”, finalmente certo di esistere. Come se quel disegno fosse una cartina al tornasole del nostro
legame e come se lui lo sentisse talmente suo da voler rispondere tentando di disegnare a sua volta il mio volto. Forse per restituirmi l’amore
di quel gesto. Ma oggi che Alberto soffre di quella dolorosa fragilità
che chiamiamo adolescenza è difficile parlare di amore. Alberto ormai
sopporta molto meno le sue crisi e ne ha terrore. Talvolta, è inutile
qualsiasi replica di fronte alla sua voglia di farla finita. Di fronte al
terrore di una paralisi a tempo indefinito o di essere colto dall’immobilità a scuola, mentre passeggia, come è accaduto l’unica volta
che si era cercato di portarlo a teatro e siamo stati costretti a tornare
indietro. Tutte le volte è un tornare indietro. Sempre. Da una gita,
dalle vacanze, dalla vita. Quando succede a me di passeggiare per la
strada, di respirare il vento di primavera o di incantarmi di fronte a
un tramonto mi sembra di rubarla questa vita; di rubarla a lui che
non può sentire la dolcezza di un attimo né guardare con speranza al
futuro. Eppure, mio Alberto, bisogna andare avanti, e farsi forza. Ti
sarebbe piaciuta la tecnologia. Se avessi potuto, saresti diventato un
ingegnere come tua madre. Anche tuo padre è sempre stato portato
per le discipline scientifiche. E pure a te piace vedere ciò che si costruisce, intuirne i meccanismi.
Oppure chissà: forse saresti diventato un creativo, un artista. Perché
in fondo dimostri ogni giorno di avere tanta fantasia, quella che serve
a trovare ragioni per vivere, per andare avanti.
L A M A L AT T I A
Emiplegia alternante
In breve
L’emiplegia alternante è
una rara malattia
neurologica di cui sono
stati finora descritti circa
500 casi nel mondo e circa
40 in Italia.
È caratterizzata da attacchi
transitori di emiparesi o
emiplegia, cioè di perdita
parziale o completa della
capacità di movimento di
un singolo arto o di metà
del corpo, accompagnati
da diversi altri sintomi
neurologici.
La malattia compare in
tenera età: prima dei 18
mesi e a volte anche nel
periodo neonatale.
Gli attacchi emiplegici
caratteristici possono
durare da pochi minuti a
diversi giorni, ma
scompaiono con il sonno.
In rari casi gli attacchi
possono presentarsi in
maniera particolarmente
grave e associarsi a
insufficienza
cardiorespiratoria.
A oggi non esistono
marcatori biologici che
consentano di identificare
univocamente la patologia,
pertanto la diagnosi di
emiplegia alternante è
prevalentemente clinica.
Il trattamento della
malattia è sintomatico.
■ L’emiplegia alternante è una malattia neu-
volte anche nel periodo neonatale) con epi-
rologica caratterizzata da episodi transitori
sodi di emiplegia associati a eventi paros-
di emiplegia/emiparesi, associati a diverse
sistici ricorrenti, quali: crisi toniche e di-
manifestazioni parossistiche non-epilettiche
stoniche, nistagmo, disturbi del sistema ner-
e a un deficit neurologico globale. Si tratta
voso autonomo e crisi epilettiche. Queste
di una condizione molto rara, descritta per
ultime si presentano in circa la metà dei pa-
la prima volta nel 1971 da Verret e Steel,
zienti (con una frequenza correlata all’età),
a tutt’oggi si conoscono circa 500 casi nel
sono spesso parziali e solo raramente si os-
mondo e circa 40 casi in Italia.
serva uno stato epilettico. All’emiplegia si
La causa della malattia non è nota, tuttavia,
associa una paralisi di grado variabile che
sono state formulate diverse ipotesi ezio-
può interessare, bilateralmente, differenti
patogenetiche di tipo genetico, vascolare e
segmenti corporei. Gli episodi emiplegici
mitocondriale anche in considerazione della
possono durare da pochi minuti a diversi
sovrapposizione di alcuni aspetti clinici con
giorni, la coscienza è preservata. Anche altre
altre malattie neurologiche (emicrania, di-
manifestazioni, come il nistagmo monocu-
Si ringrazia la presidente dell’AISEA Onlus per averci raccontato la storia del
sturbi del movimento ed epilessia). La ma-
lare e lo strabismo parossistico sono consi-
suo Alberto.
lattia esordisce prima dei 18 mesi di vita (a
derati caratteristici della sindrome. Tipica-
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
mente, i disturbi parossistici si risolvono im-
i punti 1), 2), 3), e 7) per fare diagnosi di
ternante e ai loro familiari”. Il documento,
ting hemiplegia of childhood successfully
mediatamente con il sonno. Nei periodi in-
emiplegia alternante tipica.
disponibile online, sul sito web del Centro
treated with topiramate: 18 months of
terictali, all’esame obiettivo neurologico, è
Le indagini di laboratorio, neurofisiologiche
Nazionale Malattie Rare (www.iss.it/cnmr),
follow-up. Neurology. 2006;66:146.
possibile evidenziare atassia e disturbi del
e di imaging eseguite non hanno dato ri-
include raccomandazioni inerenti non solo
• Mikati MA, Kramer U, Zupanc ML, Sha-
movimento (atetosi, corea, mioclono, tre-
sultati consistenti. Lo screening genetico
gli aspetti strettamente clinici della ma-
nahan RJ. Alternating hemiplegia of chil-
mori), in un certo numero di soggetti si ri-
per la ricerca di mutazioni di geni che co-
lattia, ma anche quelli riguardanti la riabi-
dhood: clinical manifestations and long-
levano, inoltre, disturbi del linguaggio e un
dificano per le proteine coinvolte nella fun-
litazione, il sostegno psicologico, l’integra-
term
deficit cognitivo di grado moderato.
zione dei canali ionici (CACNA1A e SCN1A)
zione scolastica e lavorativa, i sostegni eco-
2000;23:134-141.
outcome.
Pediatr
Neurol.
Poiché non sono stati ancora identificati dei
è risultato negativo, a eccezione della mu-
nomi ed i servizi sociosanitari in genere.
marcatori biologici della malattia, la dia-
tazione del gene ATP1A2, codificante per
L’A.I.S.E.A. - Associazione Italiana per la
gnosi di emiplegia alternante rimane pre-
la pompa ionica Na+ -K+ , identificata in
Sindrome da Emiplegia Alternante ONLUS
of childhood. Dev Med Child Neurol.
valentemente clinica. A tal proposito, il net-
quattro soggetti affetti ed appartenenti alla
- Sede legale/operativa Lombardia Verderio
2007;49:777-780.
work europeo per la ricerca sull’Emiplegia
stessa famiglia.
Superiore (LC), e-mail [email protected];
• Panagiotakaki E, Gobbi G, Neville B,
alternante (ENRAH) ha recentemente vali-
La malattia non sembra avere segni di pro-
sito web http://www.aiseaonlus.org/ è pre-
Ebinger F, Campistol J, Nevsímalová S,
dato dei criteri diagnostici riassunti in 7
gressività o di degenerazione, le manife-
sente nella banca dati relativa alle Asso-
Laan L, Casaer P, Spiel G, Giannotta M,
punti:
stazioni cliniche presenti all’esordio e la di-
ciazioni di pazienti, sul sito web del Centro
Fons C, Ninan M, Sange G, Schyns T, Va-
sabilità neurologica hanno, nell’insieme, un
Nazionale Malattie Rare (www.iss.it/cnmr).
vassori R, Poncelin D; ENRAH Consortium,
1) esordio degli eventi parossistici prima
dei 18 mesi di vita;
• Neville BG, Ninan M. The treatment and
management of alternating hemiplegia
Arzimanoglou A. Evidence of a non-pro-
decorso alquanto constante; alcuni autori
2) episodi ricorrenti di emiplegia, che coin-
riportano al follow-up una riduzione della
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
gressive course of alternating hemiplegia
volgono in alcuni casi anche il lato de-
frequenza, ma non la scomparsa, di parti-
• de Vries B, Stam AH, Beker F, van den
of childhood: study of a large cohort of chil-
stro e sinistro del corpo;
colari episodi parossistici (nistagmo e at-
Maagdenberg AM, Vanmolkot KR, Laan
dren and adults. Brain. 2010;133:3598-
tacchi tonici). In alcuni soggetti con attacchi
L, Ginjaar IB, Frants RR, Lauffer H, Haan
610. Epub 2010 Oct 24.
plegia che possono iniziare come gene-
plegici gravi e crisi epilettiche, è descritta
J, Haas JP, Terwindt GM, Ferrari MD.
• Sweney MT, Silver K, Gerard-Blanluet M,
ralizzazione di un episodio emiplegico o
l’insorgenza di una sindrome della morte
CACNA1A mutation linking hemiplegic
Pedespan JM, Renault F, Arzimanoglou
3) episodi di emiplegia bilaterale o quadri-
presentarsi bilateralmente sin dall’inizio;
improvvisa per insufficienza cardiorespira-
migraine and alternating hemiplegia of
A, Schlesinger-Massart M, Lewelt AJ,
4) altri disturbi parossistici quali attacchi
toria acuta. Tra le diverse terapie utilizzate
childhood. Cephalalgia. 2008;28:887-
Reyna SP, Swoboda KJ. Alternating he-
891. Epub 2008 May 21.
miplegia of childhood: early characteri-
tonico-clonici, nistagmo, strabismo, di-
per il trattamento sintomatico delle mani-
spnea, etc. che possono presentarsi in
festazioni neurologiche, la flunarizina si è
associazione o meno agli episodi emi-
dimostrata efficace in un buon numero di
rari MD, Stam AH, Sgrò DL, Mannarino
mental
plegici;
soggetti affetti. Il topiramato è stato di re-
E, Bonsignore M, Tortorella G. Alterna-
2009;123:e534-41.
5) risoluzione della sintomatologica con il
cente proposto come alternativa alla fluna-
sonno, probabili ricadute alcuni minuti
rizina.
dopo il risveglio;
Con il coordinamento del Centro Nazionale
6) ritardo nell’acquisizione delle tappe psi-
Malattie Rare e in collaborazione con l’As-
comotorie, deficit cognitivo, anomalie
sociazione Italiana per la Sindrome da Emi-
neurologiche varie;
plegia Alternante (A.I.S.E.A.) ed il Sistema
7) quadro clinico non attribuibile ad altre
condizioni morbose.
In particolare, l’ENRAH ritiene obbligatori
Nazionale per le Linee guida, nel 2009 è
stata realizzata in Italia una linea guida per
l’“Assistenza alle persone con emiplegia al-
• Di Rosa G, Spanò M, Pustorino G, Fer-
stics and evolution of a neurodevelopsyndrome.
Pediatrics.
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CONTROVENTO
DANIELA
Ti amerò per tutti e due
V
orrei inondare il mondo di parole.
Che queste parole fossero forti, potenti, capaci di arrivare dritte al
cuore, alla mente, che bastassero a se stesse. Vorrei che si avverasse
quel sogno antico, in cui i nomi sono le cose, anzi, di più, la loro
essenza.
Tutta la vita ho sperato di riuscire a fare a meno del sorriso, dello
sguardo, di un volto capace di distendersi, di corrugarsi, di meravigliarsi. E invece no. La mia faccia è immobile, incapace di generare da sola quei moti spontanei del cuore. Ho la Sindrome di Moebius e per comunicare le mie emozioni mi restano soprattutto le
parole. La luce degli occhi, forse, ma solo per chi la sa leggere o per
chi ha imparato a farlo.
E mi sono nauseata a volte di parole, perché queste lettere evanescenti, smarrite spesso prima ancora di essere pronunciate, non bastano mai a spiegare chi sei e ce ne ho messo di tempo a farmi amare.
Persino da mia madre, di cui a un certo punto non sopportavo più
la tristezza. “Sto così male da quando il Padreterno ti ha mandata
qui” ha detto un giorno scaraventandomi addosso una sveglia mentre
parlavo, parlavo, spiegavo con insistenza le mie ragioni, cercando
di scuoterla da quel suo malessere senza fine, che faceva da specchio
al mio volto incapace di sorridere.
Ero sola, in colpa per essere diversa, per averla resa infelice, perché
mettevo in imbarazzo i miei fratelli. Eppure non mi sono mai arresa. Non ho mai sopportato le premure eccessive con cui le mie
compagne mi accoglievano in classe ogni mattina, che sottolineavano la mia diversità e insieme la loro incapacità di considerarmi
una ragazzina normale.
Quante volte ho desiderato di farla finita. Quante volte, sui banchi
di scuola, non riuscivo a imparare nulla, imprigionata nel mio volto
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
incapace di esprimersi, nelle mie gambe ingessate per lunghi anni,
in una malattia che non sapevo neanche fosse una malattia.
Ho solo pensato di essere nata male, strana, di essere condannata
ai bordi dell’esistenza altrui per caso e per disgrazia e che il mio destino sarebbe stato quello di arrampicarmi sulla montagna della mia
esistenza dalla quale per più di una volta sono stata tentata di precipitarmi giù, per sempre.
Per almeno due volte, poi, ho cercato di farlo davvero. Da quelle
pareti così dure da scalare ho tentato di saltare nel vuoto, finalmente
alleggerita dall’esistere.
La prima volta è stata quella della sveglia in faccia, sono ritornata
da mia nonna e sono andata a letto che non volevo più svegliarmi,
ma lasciai abbastanza segnali perché la mia vita continuasse.
La seconda, invece, no. Con quella facevo sul serio. Perché le sberle
in faccia che ti dà l’amore sono più dolorose ancora del tuo volto
senza sorriso, dei tuoi nervi facciali che non funzionano e trasformano il tuo volto in una maschera per tutta la vita.
“Ti amerò per tutti e due”, gli avevo detto. Come dice qualunque
donna che ama e basta. Senza sconti e senza ritorni. E quante sono
le donne che amano per due. Ne ho conosciute tante. Mogli coscienti di avere un uomo a metà oppure amanti sempre consapevoli del prossimo abbandono, più spesso donne semplicemente fragili, incapaci di ricominciare.
Avevo cominciato tardi a pensare all’amore. La prima volta fu ai
tempi dei training di psicoterapia.
La mia vita allora era davvero una scommessa. Se mi guardo indietro ancora non ci credo. Dopo la scuola lasciai Orvieto e arrivai
a Roma, mascheravo la mia fuga dalla provincia con l’iscrizione all’Università. Per tirare avanti facevo di tutto. Le mie ventiquattrore
erano costruite ad incastro con il principale obiettivo di saldare i
conti a fine mese: la notte ad assistere i vecchi all’ospedale, il giorno
a fare da baby sitter e l’Università come resistenza umana. In tutti
i sensi.
La montagna da scalare era cambiata. Accettarsi e farsi accettare in
quella minuscola provincia non era più il mio goal. Ero fuggita dalla
calma apparente che ispirano le cose note, da una dimensione in
cui il mio dolore era nato, cresciuto, esplorato, come fosse un dolore domestico, anche se mai addomesticato, per portarmi il mio
fardello da un’altra parte, a cercargli un’altra collocazione, dentro e
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CONTROVENTO
fuori me stessa. In quelle nuove dimensioni, dove un quartiere era
grande quanto tutta la città che avevo lasciato, tra mille volti sconosciuti, la mia maschera attraeva solo fuggevoli sguardi. La solitudine era adesso un fatto più intimo ma, paradossalmente, più universale, perdeva la sua stessa identità nelle folle che ogni giorno incontravo nelle metropolitane sfiorando altre solitudini, forse, in incognito come la mia. Essere abbandonati non era più un fatto personale, non aveva nome e cognome. Era il mondo intero a non esserci e questo, in fondo, era più sopportabile.
Ed è stato in questo intrico, forte e fragile come la tela di un ragno,
che ho incontrato Carlo. Lui aveva rinunciato a una vita consacrata
e doveva fare i conti con il mondo proprio mentre io il mondo lo
stavo sfidando. Eravamo troppo impegnati a resistere alla vita per
innamorarci davvero. Ma incrociare i nostri destini è stato un passaggio essenziale, uno snodo che forse ha permesso a entrambi di
attraversare il resto dell’esistenza. Fare l’amore, poi, tra noi due è
stata quasi una verifica. Una cartina al tornasole, per capire se mettendo insieme le nostre fragilità potevamo arginare quel fiume disastroso che a volte è la vita. Così, come due profughi, ma in trincea,
iniziammo a resistere. Non era amore, oggi lo so, era l’esplorazione
di una dimensione difficile, del corpo, di quel corpo che per me era
stato solo un intralcio, dell’accesso a quel desiderio a cui non avevo
mai creduto di aver diritto. La fine, dentro di me, la conoscevo già.
Lui sarebbe guarito e io sarei rimasta sola. Ma fu una solitudine più
adulta, contrastata da una voglia di vivere che non accettava più
compromessi.
Ero certa, allora, che nessuno avrebbe potuto amarmi davvero. Neanche con quel figlio in grembo che non ho avuto il coraggio di
avere, perché non amavo abbastanza me stessa, ma anche perché
non immaginavo ancora che solo sei mesi dopo avrei trovato un lavoro più stabile e, in fondo, perché avevo paura che non avrebbe
sorriso, come me, per tutta la vita.
E ancora oggi quando incontro Carlo, mentre porta suo figlio al
parco a giocare, non riesco a non provare tenerezza. La vita è una
buffa cosa. Siamo passati dallo stesso sentiero d’incertezze, di paura,
stringendoci la mano per non cadere. Eppure io non ho avuto sconti,
mai. Da lui, invece, la vita è tornata a bussare di nuovo.
Ricominciai piano piano. Arrivò il lavoro e si aprì un altro capitolo.
Cominciai a fare la maestra e la mia vittoria più grande fu quando
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
un bimbo che ogni mattina, prima di entrare, aveva paura di me,
diventò il mio allievo più affezionato, più fedele. Un giorno lui entrando in classe smise di piangere, mi abbracciò forte e da allora diventammo inseparabili. Recuperai tutte le mie parole per spiegargli
che gli volevo bene, ma capii che lui intanto aveva già carpito i miei
sguardi. Grazie al mio piccolo allievo per avermi spiegato che si può
andare oltre e grazie anche alla sua mamma, per non avergli cambiato classe, regalando a me e a suo figlio un affetto indelebile.
E così, come un’equilibrista, avevo imparato a dominare il mio filo.
Un filo tutto sommato robusto sul quale mi presi una laurea in psicologia, terminai la mia analisi e mi specializzai in psicoterapia. E,
d’altra parte, quale miglior terapia se non quella di dominare il dolore attraverso le parole, di usare il linguaggio per addomesticarlo,
per costringerlo in un angolo a ripiegarsi su se stesso, messo in condizione di non nuocere più.
Fu l’amore, poi, a farmi cadere da quel filo, molti anni dopo. Lui
era un giocatore d’azzardo, bello come il sole e decise, un giorno,
chissà perché, di giocare anche con la mia vita. Io non mi spaventai
all’inizio. Sul filo pensavo di averci piantato le radici. Non avevo
dubbi sul mio equilibrio, credevo di avere subìto tutto, tutta la solitudine del mondo, tutte le possibili sottrazioni.
All’inizio lo presi come un gioco. Pensavo che scherzasse, quei continui inviti, quel cercarmi costantemente, quasi ogni sera. Pensavo
si divertisse a parlare con me, a chiacchierare e a sfidarmi su un
piano intellettuale. Fino al primo bacio. Io mi illudevo di avere tanti
di quegli scudi intorno al mio cuore che pensavo di poter reggere
il gioco. E invece non capivo che nella mia vita arrivava primavera.
Ma che non sarebbe stata affatto una stagione dolce, che quel venticello sottile al quale mi rinfrescavo, certa di condurre il gioco, mi
avrebbe invece travolto come un maestrale, che sarebbe arrivata la
pioggia e che sarebbe diventata un uragano.
Fu la sua voce che oscurò il ricordo del mio volto, che mi portò lontano, dimenticai che era quella di un giocatore e, quando qualcuno
me lo ricordò, non pensai che con quella voce lui potesse bleffare.
Smisi di guardarmi allo specchio. Nel suono della sua voce, in fondo
al suo sguardo, adesso potevo perdermi. Ma quella, in fondo, era la
vita e scesi dal filo.
Se feci bene a scendere ancora oggi non lo so. So che imparai il desiderio, l’amore e la follia, capii davvero che anima e corpo sono
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
una cosa sola e imparai come può far male all’anima il bisogno di
un corpo e come può far male al corpo sentir distante l’anima dell’altro.
Due mesi dopo, improvvisamente, dopo una sera passata in silenzio,
mi comunicò che era ora di pensare al suo futuro e che forse avrebbe
dovuto pensare ad avere una compagna vera.
Capii allora che forse non sarei mai più guarita. Non mi importava
della nostra asimmetria. Avevo bisogno di amarlo, prima ancora che
di essere amata: “Ti amerò per tutti e due”, gli dissi correndo una
sera sotto il suo portone ma capii che non era solo. Non so se odiai
più me stessa o la mia malattia, ciò che so e che non sopportavo era
l’inverno che mi stava arrivando addosso.
Quell’abbandono fu peggio di ogni cosa, fui salvata dai miei amici
che sfondarono la porta e mi portarono in ospedale. Dopo, giurai
a me stessa che non sarebbe mai più accaduto.
Ricomposi il mio filo vi risalii sopra e ricominciai a camminare.
Ubriaca, claudicante, ma con la memoria di chi aveva vinto almeno
una volta.
Cominciai a fare la conta delle cose che avevo. Non erano poche.
Gli amici, per esempio, gli affetti che avevo costruito nei tanti anni
passati a inventarmi un’esistenza e che erano diventati forti come
rocce e che come rocce avevano fatto da barriera alla mia distruzione.
Poi mia madre, che oggi ha soprattutto me, mentre i miei fratelli,
più belli e più sani, sono occupati a raccogliere i cocci delle loro esistenze, tra matrimoni andati male e professionalità agonizzanti. E
l’Associazione dei malati della mia sindrome, conosciuti tardi, ma
che oggi sono gran parte della mia famiglia del cuore e grazie ai
quali ho scoperto l’Ospedale di Parma l’unico, forse, in tutta Europa, che fa interventi ricostruttivi per quelli come noi, e là mi sono
ripresa qualche frammento di quello che doveva essere il mio sorriso. Ho i miei allievi, dei quali mi sforzo sempre di cogliere quello
che c’è dietro il sorriso o dietro un’espressione tesa, corrucciata, e
questo sforzo è la più grande eredità di questa malattia. E ho i bambini ammalati di questa maledetta sindrome, di cui cerco di incontrare soprattutto i genitori, di spiegargli come la prima cura per
i loro bimbi sia essere accettati, per evitare che la paralisi dei nervi
facciali non paralizzi anche le loro emozioni, la loro creatività.
Ancora oggi ventiquattrore non mi bastano e questa volta non per
sopravvivere, ma per viverla tutta questa vita. E così la guardo ancora la mia vita da quel filo, che ho rivestito d’acciaio, sul quale,
poi, dopo molti anni ancora ho fatto lentamente salire Matteo. Ci
camminiamo insieme ormai da tempo, rincorrendoci da due città
diverse per ora, e, per ora, va bene così.
Si ringrazia l’Associazione italiana Sindrome di Moebius per aver reso possibile l’incontro con Daniela.
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84
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
clei tronco-encefalici dei nervi cranici,
nativi.
Sindrome di Moebius
l’ischemia del tronco-encefalo in epoca pre-
Strategie terapeutiche recenti riguardano la
In breve
È la paralisi facciale
permanente la principale
caratteristica della
sindrome di Moebius.
Un’anomalia congenita,
che coinvolge
principalmente i nervi
cranici 6 e 7, e che
impedisce alle persone che
ne sono affette di sorridere,
fare smorfie a volte anche
di muovere gli occhi
lateralmente.
La malattia comporta
anche difficoltà a parlare e
ad alimentarsi, problemi
d’udito e alla vista e
numerosi altri disturbi.
La sindrome di Moebius si
presenta dalla nascita e
colpisce equamente
maschi e femmine. Sulla
sua origine sono
attualmente al vaglio
diverse ipotesi.
Negli ultimi anni, grazie
all’avvento di innovative
tecniche di microchirurgia,
è possibile correggere
almeno in parte la paralisi
facciale, attraverso
l’innervazione dei muscoli
facciali.
natale con necrosi e calcificazione dei nu-
correzione della diplegia facciale con rein-
clei del nervo facciale sono i meccanismi
nervazione dei muscoli masseteri da im-
patogenetici più frequentemente chiamati
pianti di tessuti muscolari mediante tec-
in causa nella letteratura scientifica meno
niche di microchirurgia.
recente. Alcuni autori hanno ipotizzato che
In relazione alla variabilità fenotipica che
la sindrome di Moebius e altre malforma-
caratterizza il quadro clinico, è senza dubbio
zioni localizzate a uno specifico distretto
richiesto un approccio multidisciplinare e
corporeo come la sindrome di Poland e la
multispecialistico per il follow-up della ma-
sindrome di Klippel-Feil possono essere la
lattia.
conseguenza di una interruzione della va-
La sindrome di Moebius è presente all’in-
scolarizzazione nel territorio della arteria
terno dell’Allegato 1 del Decreto Ministe-
succlavia. Studi molecolari hanno escluso
riale 279/01 “Regolamento di istituzione
il coinvolgimento di alcuni geni (FGF9,
della Rete nazionale delle malattie rare e di
GSH1, CDX2, BASP1, TPPsig- BASP1,
esenzione dalla partecipazione al costo delle
HOXA1) nella patogenesi della malattia. Re-
relative prestazioni sanitarie”, con codice
centemente è stato descritto un caso di sin-
di esenzione RN0990. Pertanto, sono stati
drome di Moebius associata a oloprosence-
identificati, all’interno della Rete Nazionale
falia a seguito dell’esposizione intrauterina
per le malattie rare, dei presidi clinici per
■ La sindrome di Moebius è una rara ma-
le deformità articolari e un deficit staturo-
di misoprostolo.
la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi,
lattia congenita caratterizzata – secondo dei
ponderale secondario verosimilmente ai pro-
I bambini con sindrome Moebius sono in-
il monitoraggio e il trattamento di tale pa-
criteri diagnostici minimi – da diplegia fac-
blemi di deglutizione e di aspirazione di cui
capaci di sorridere, accigliarsi, succhiare,
tologia. L’elenco di tali presidi è disponibile
ciale non progressiva e paralisi bilaterale
questi pazienti soffrono. In una piccola per-
aspirare, fare smorfie e ammiccare, il loro
online, sul sito web del Centro Nazionale
del nervo abducente (VI e VII nervi cranici
centuale di soggetti, è presente un deficit
linguaggio è spesso poco comprensibile.
Malattie Rare (www.iss.it/cnmr).
rispettivamente). Possono essere coinvolti
cognitivo, che è spesso sovrastimato a causa
Tutto ciò incide notevolmente sulla loro qua-
Infine, si segnala che sul territorio nazio-
altri nervi cranici specie l’XI e il XII. Il coin-
dell’aspetto privo di espressione che la ma-
lità di vita, poiché comporta importanti dif-
nale è presente un’Associazione dedicata
volgimento del III nervo cranico non è fre-
lattia comporta. Altre anomalie congenite
ficoltà nell’ambito dell’interazione sociale.
alla sindrome di Moebius: l’Associazione
quente. Raramente è riportato un interes-
che possono essere associate alla sindrome
La fascia d’età più colpita sembra essere
Italiana Sindrome di Moebius (A.I.S.Mo.
samento unilaterale. Il quadro clinico è fe-
di Moebius sono la brevità degli arti, la sin-
quella compresa tra i 4 e i 18 anni. Recenti
ONLUS), il cui sito web è consultabile al-
notipicamente eterogeneo, sebbene carat-
dattilia, la sindrome di Poland e occasio-
studi hanno evidenziato che persone con
l’indirizzo www.moebius-italia.it/. L’A.I.S.Mo.
terizzato principalmente da difficoltà nel
nalmente la sindrome di Klippel-Feil. In al-
Sindrome di Moebius mostrano ridotte com-
ONLUS è inoltre presente nella banca dati
linguaggio espressivo e nell’alimentazione.
cuni casi, è descritta un’associazione con i
petenze sociali, ma – contrariamente a
relativa alle Associazioni di pazienti, sul sito
La facies è amimica, possono inoltre essere
disturbi dello spettro autistico.
quanto ritenuto – i disturbi d’ansia, la de-
web del Centro Nazionale Malattie Rare.
presenti strabismo, ptosi palpebrale, sor-
La malattia di Moebius è sporadica, solo ra-
pressione e sentimenti d’insoddisfazione
dità, anomalie della lingua, ipersalivazione
ramente sono stati descritti dei casi fami-
per la vita non sono più frequenti rispetto
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
ed ipoventilazione. Tra le altre manifesta-
liari. La patogenesi riconosce probabilmente
a soggetti non affetti. L’assenza di un’espres-
• Briegel W, Schimek M, Kamp-Becker I.
zioni cliniche della malattia vi sono la mi-
diverse cause. L’aplasia congenita dei mu-
sione facciale è dunque compensata dal-
Moebius sequence and autism spectrum
crognatia, il padiglione auricolare sporgente,
scoli o miopatie congenite, l’assenza dei nu-
l’attivazione di altri canali espressivi alter-
disorders – less frequently associated
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86
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
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2010;
P
ancetta, olio e pomodoro. Questa è la ricetta dell’amatriciana. La
sa fare bene Yaser El Ganzory, cuoco di un ristorante romano. Lui
la pancetta non l’ha mai nemmeno assaggiata perché è musulmano
e osservante, obbedisce al Corano e non trasgredisce. Eppure gli italiani che mangiano la sua amatriciana fanno il bis e poi passano parola. Tanto che il ristorante si riempie. Attori, avvocati, impiegati
Rai e dirigenti: ci vanno tutti ad assaggiarla nel quartiere Prati dove
Yaser è ormai famoso. E lo conoscono personalmente, perché lui è
un amico per i clienti, che lo adorano. Amano la sua riservatezza,
il suo sorriso dolce e accogliente, la sua pazienza, la sua educazione.
È arrivato dall’Egitto più di venti anni fa. Oggi è cittadino italiano
a tutti gli effetti, nel suo Paese sarebbe stato un commercialista. Nel
nostro, invece, ci è venuto a ricominciare, a lavare i piatti e a imparare come si fa: carbonara, amatriciana, porchetta e dolci.
I dolci adesso non li può più fare perché ha perso l’uso parziale di
una mano e gli arti non li muove bene. E lui che aveva imparato ad
amalgamare così bene uova, farina e zucchero adesso non ce la fa
più a fare le crostate, che quelle sì che bisogna ammassarle bene, lavorare il burro e farlo aderire all’impasto.
Un giorno è finito all’ospedale, gonfio come un palloncino, con un
blocco renale, una disfunzione al fegato, disidratato e in coma. E
in rianimazione ci è rimasto quasi venti giorni. Medici e infermieri
ci avrebbero giurato che da lì non l’avrebbero tirato fuori vivo.
Fortunatamente, però, fuori da lì, a un certo punto, è arrivata Ada,
la dottoressa che teneva le mani strette alla moglie, che era diventata il filo tra l’ospedale e i parenti di Yaser e che faceva la spola tra
le speranze della sua famiglia e i dubbi dei medici. Ada, medico anestesista incontrata per caso, perché un amico egiziano di Yaser gestisce il garage nel quale lei parcheggia la macchina. E così lei si è
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CONTROVENTO
innamorata di questa storia, di questa patologia impossibile, di
questa famiglia italo/egiziana con un padre in difficoltà: “Ho imparato ad amare anche tutta la loro comunità, così educata, così silenziosa, così presente. Li ho visti pregare guardando lontano, attendere il destino o la volontà di Dio senza cercare capri espiatori,
senza rabbia; li ho visti chiedere permesso a Dio”.
E così Ada è diventata il tramite della ricerca di Yaser: quando è
uscito dalla rianimazione ha scommesso che avrebbero trovato insieme un nome alla sua malattia.
“Non è stato facile – dice ancora Ada mentre ricorda la storia di
Yaser – la medicina non è mai facile ma in questi casi è ancora più
difficile. Lo impari dallo sguardo doloroso dei pazienti, che non
sanno come chiamare il male che li affligge. Lo impari dallo sconcerto dei medici che vedono un uomo che si riempie di acqua mentre
la sua emoglobina sale alle stelle e assistono impotenti al disordine
impazzito di un corpo che fino a ieri si alzava la mattina, andava a
lavorare fino a notte, manteneva una famiglia, e guardava al futuro.
E dopo la crisi i giorni passano ma neanche tu, che hai il camice
bianco, sai davvero perché è passata, e allora te ne aspetti un’altra,
ma non sai quando né dove capiterà. E intanto ti accorgi che ormai
Yaser è entrato nella tua vita: lui, sua moglie a cui si spegne pian
piano il sorriso, i suoi figli travolti dalla malattia del padre. Quell’uomo che è diventato amico di tutti in corsia, sempre pronto ad
aiutare gli anziani, a chiudergli le finestre per ripararli dagli odiati
spifferi, a chiamargli l’infermiere in caso di bisogno, ad assisterli nei
pasti, quando il vassoio resta sul carrello vicino al letto”.
Un cuoco. La cucina non è preparare da mangiare. La cucina è accudire, nutrire, accogliere. È occuparsi di qualcuno. Con il cibo, i
suoi odori, mescolando i sapori si attraversano i sensi ed è vita. E
Yaser continua ad occuparsi di tutti, ad attraversare la vita per se
stesso, per la sua famiglia, per chiunque là dentro sia ancora fragile
e solo.
Ormai però cucinare diventa sempre più difficile. La crisi gli ha distrutto gli arti, riesce a muovere solo due dita. Uscito dall’ospedale
ha dovuto cominciare una riabilitazione lunga tre mesi; una riabilitazione che si sarebbe poi rivelata sbagliata, completamente inutile ma che intanto gli sarà costata tre mesi in ospedale con la famiglia in ginocchio.
C’è ancora Ada, però, che non si è dimenticata di lui e fuori dal-
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
l’ospedale ha continuato a cercare un nome alla sua malattia. Quello
che ha imparato sui libri non serve a risolvere il rebus che è diventata questa vicenda. Per Ada i giorni trascorrono passando in rassegna i sintomi di Yaser, a cercare di capire a quale nome possano
rispondere e cercare di identificare ciò che minaccia quello che ormai
è un suo amico. Giorni passati a ricostruire la crisi di Yaser, fino alla
seconda, da cui esce sempre più malconcio, con le mani quasi inutili, un mago senza bacchetta magica nel suo ristorante, tornato indietro mille anni e con il futuro dei suoi figli in testa: una spada di
Damocle per lui, l’unica vera minaccia della sua vita.
“Poi un giorno, uno dei tanti passati a cercare di capire mi è tornato in mente un esame – ricorda Ada – e un capitoletto sulla Sindrome da aumentata permeabilità capillare idiopatica o malattia di
Clarkson buttato là, quasi per caso, dentro centinaia di pagine. Tre
righe soltanto. Appena tre righe per spiegare forse tutto quello che
era successo a Yaser. Vuoi vedere che… No, non è possibile, ma la
vita è così, fa giri strani. Finisci per trovare le risposte in un ricordo
confuso, lontano, dopo che hai passato in rassegna sistematica e
metodica, come ti hanno insegnato a fare, tutto ciò di cui hai bisogno per formulare un’ipotesi corretta. E invece forse la soluzione
è là, nella memoria un po’ sbiadita di quel pomeriggio d’inverno
passato a studiare patologia medica. Così ho provato a ritornare sui
binari giusti e, abbandonati i ricordi, sono andata alla ricerca di
qualche pubblicazione scientifica su quella strana sindrome, sperando di essere salita sul treno giusto. Ho trovato un solo studio
con informazioni che coincidevano con quello che era accaduto a
Yaser. Mi si è chiarito pienamente il senso della parola “investigare”
e ho capito perché la medicina è sempre in un certo senso un’indagine. Procediamo per somiglianze, per confronti, cerchiamo la
diagnosi, la malattia e la malattia non è mai uguale ovunque. Vive
in organismi diversi, si adatta, ti sfugge e tu devi imparare a riconoscerla anche quando assume connotati diversi, quando si intreccia
e si fonde con le condizioni uniche che crea ogni essere umano.
Adesso stavo cercando quei sintomi nella storia clinica di Yaser, senza
cambiare binario, anche se sapevo che il mio compito sarebbe finito là. Se quella era la diagnosi, come mi andavo sempre più convincendo, adesso toccava trovare un centro per curarlo e quindi la
mia ricerca doveva continuare sulla rete. Viaggiando in Internet
sono arrivata fino al Minnesota, da un professore americano spe-
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CONTROVENTO
cialista di questa patologia. Per andare da lui ci volevano quindicimila dollari, la sanità americana è così. Se non hai soldi, non ti curi.
Ma lui è stato più generoso e quando lo abbiamo contattato ci ha
indicato un centro di riferimento europeo a Parigi. A quel punto
serviva comunque un sostegno economico. È arrivato da Londra,
dal fratello di Yaser, ma tutta la comunità araba romana era pronta
a sostenere le spese”.
Sindrome da aumentata permeabilità capillare. In Francia viene confermata la diagnosi che Ada ha rintracciato nei suoi ricordi: un’infezione scatena la crisi, il sangue praticamente impazzisce, aumenta
la permeabilità capillare. Quei vasi, che nel corso della circolazione
sanguigna cercano di restare impermeabili, si aprono e fuoriescono
i liquidi. Per questo Yaser si gonfiava a dismisura durante gli attacchi. La parte corpuscolare del sangue, i globuli, staccandosi si
concentravano, l’emoglobina saliva e il corpo si scompensava. Ecco
finalmente svelato ciò che gli accadeva. Perché possa accadere, però,
ancora non lo sa davvero nessuno.
“E noi che lo idratavamo continuamente – racconta Ada – Sbagliando, sì, sbagliando. È vivo per miracolo. Grazie a Dio. Come
diceva lui. Aveva ragione. Noi gli davamo sempre acqua e invece
abbiamo imparato, dopo la diagnosi, che avremmo dovuto dargliene al massimo due litri al giorno. Perché altrimenti avremmo
aumentato il suo gonfiore. Ma chi poteva capire allora che quella
non era acqua ma plasma, liquidi ematici che andavano per conto
loro mentre i corpuscoli del sangue, globuli rossi e bianchi, si concentravano producendo valori di emoglobina altissimi? Sia fatta la
volontà di Dio, auspicava Yaser, del suo Dio, del mio Dio anche,
ed è stata fatta. Perché Yaser si è salvato nonostante l’errore. Si è salvato nonostante gli scompensi. Ed ora tocca a noi uomini salvarlo.
Perché adesso sappiamo. In Francia ci hanno detto che le immunoglobuline possono curarlo. Gliele abbiamo date e le crisi sono
scomparse. Ma questa malattia è fuori scheda e il numero esiguo di
malati che ci sono al mondo non fornisce letteratura scientifica adeguata, non costituisce un’evidenza scientifica, il criterio necessario
a giustificare la spesa per le immunoglobuline. Ma questo medicinale è salvavita. Lo ha riconosciuto anche un professore in Italia.
Questo ormai non è più un affare di Dio, ma degli uomini. In Italia
l’emoglobina si può prescrivere solo per immunodeficienza primaria,
ma Yaser non soffre di deficienza al sistema immunitario, soffre di
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
un’altra cosa. Questo però non può significare che non ne abbia diritto”.
Yaser soffre di una malattia rara. Ma ne soffre tutta la famiglia. Sua
moglie è in cura da uno psicologo perché non ha retto del tutto il
peso di una malattia così difficile. Sua figlia aiuta il padre come può.
Aiuta quel padre sfortunato che continua a andare su e giù da Modena, dove un chirurgo strepitoso lo sta aiutando a recuperare l’uso
degli arti. Perché comunque l’Italia non è l’America e quello che la
Sanità offre, lo offre a tutti. E di questo Yaser ringrazia il nostro
Paese, che è ormai il suo Paese, che è il Paese dove è nata sua moglie. Lei, come il suo Yaser, cerca di sopravvivere a questo tornado.
Usando le mani come può, lui continua a cucinare. Con utensili
modificati, coltelli dalle impugnature adattate. Senza più ammassare le crostate, dal suo forno non esce più il profumo dei biscotti.
Ma continua a lavorare. Solo la sera. Orario ridotto. Paga ridotta.
Con lo psicologo da pagare e i figli che crescono, che vanno a scuola
e che studiano l’arabo, perché le radici sono le radici ed è giusto
così.
Ada è appena tornata a Roma dalla Sardegna. Ha passato le vacanze
di Natale con la sua famiglia. Il giorno dopo avrebbe avuto un turno
in sala operatoria. All’aeroporto ha trovato Yaser ad aspettarla, perché
lui non lascia solo nessuno e ti cerca sempre per sapere come stai.
“E tu come stai Yaser? Sai, In questi giorni ho letto un po’ il Corano che mi hai regalato. Hai ragione tu: tra il tuo Dio e il mio non
c’è molta differenza, la differenza sta in quello che di Dio ne fanno
gli uomini”.
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
L A M A L AT T I A
esprimenti il recettore 2 per l’interleuchina,
mero di pazienti.
Sindrome da aumentata
permeabilità capillare idiopatica
linfociti CD8+, interleuchina 6, interleu-
La diagnosi differenziale include le forme
(Capillary leak syndrome)
In breve
La sindrome di Clarkson è
una malattia rara
caratterizzata
principalmente dalla
fuoriuscita temporanea di
una cospicua quantità di
plasma dai vasi sanguigni.
Ciò comporta, oltre a una
brusca riduzione della
pressione arteriosa (la
“massima” raggiunge a
malapena i 60 mmHg), a
un’alterazione nei rapporti
tra le diverse sostanze che
costituiscono il sangue e
che regolano l’equilibrio dei
liquidi nel corpo.
I sintomi includono inoltre
danni a carico dei reni, del
cuore, dei polmoni e del
cervello.
Si manifesta in genere tra i
30 e i 40 anni, in media
con un episodio ogni anno e
mezzo.
Nella maggior parte dei
casi, se trattato in maniera
appropriata, il paziente
recupera a pieno dopo un
episodio. È inoltre possibile
assumere farmaci che
prevengano il ripetersi degli
attacchi.
La causa di questa
malattia, di cui sono stati
finora segnalati 150 casi,
non è ancora nota anche se
è probabile che vada
ricercata in una
temporanea anomalia nel
rilascio delle sostanze
chimiche che rendono
impermeabile al passaggio
del sangue le pareti dei vasi
sanguigni.
china 8, G-CSF, proteina chemiotattica mo-
secondarie di aumentata permeabilità ca-
nocitaria. È stato anche rilevato un processo
pillare, quali: infezioni, angioedema eredi-
di apoptosi delle cellule endoteliali a se-
tario, mastocitosi sistemica, linfomi, sin-
guito dell’esposizione a proteine monoclo-
drome di Sezary, emofagocitosi, chemiote-
nali purificate in vitro. Recentemente, è
rapie, terapie con interferon. Alcune con-
stato descritto un aumento del fattore di
dizioni cliniche sono caratterizzate da epi-
crescita vascolare endoteliale.
sodi ipovolemici senza aumento della per-
La malattia esordisce in media intorno alla
meabilità capillare come ad esempio le val-
terza – quarta decade di vita e il sesso ma-
vulopatie e il feocromocitoma. In bambini,
schile sembra essere appena più colpito. A
è stata descritta una sindrome da aumento
oggi, sono stati descritti in letteratura circa
della permeabilità capillare a seguito di by-
150 soggetti affetti, si tratta di serie di pa-
pass cardiopolmonari.
zienti o di singoli casi provenienti da diverse
Il decorso della malattia è caratterizzato
regioni europee, Stati Uniti e Giappone. La
dalla ricorrenza degli episodi ipovolemici,
manifestazione clinica principale è lo shock
in media 3 episodi in 5 anni, come ripor-
che è ricorrente in circa la metà dei casi. Vi
tato in una recente revisione della lettera-
può essere anche una sintomatologia pro-
tura, la prognosi è buona nel 70% circa degli
dromica caratterizzata da una sindrome in-
affetti osservati durante un follow-up a medio
fluenzale, mialgie, nausea, vomito e confu-
termine. È interessante notare che in casi
sione.
sporadici la malattia è progredita verso il
I valori di pressione arteriosa sistolica du-
mieloma multiplo.
rante l’episodio ipovolemico sono in media
La terapia della fase acuta consiste nella
intorno ai 60 mmHg. L’edema generalizzato
somministrazione di fluidi (colloidi, cristal-
può comportare un aumento del peso cor-
loidi) endovena, complicata a volte da un
■ La sindrome da “aumentata permeabilità
bene il meccanismo patogenetico più plau-
poreo anche di 20-30 kg. Altre manifesta-
edema polmonare acuto per la rapida mo-
capillare” (Capillary Leak Syndrome) idio-
sibile sembra essere quello del rilascio di
zioni cliniche possono essere l’oligo/anuria,
bilizzazione di fluidi. Il trattamento della
patica o sindrome di Clarkson è una rara
mediatori chimici responsabili di una di-
alterazioni della funzionalità renale, versa-
fase cronica, atto a prevenire ulteriori rica-
malattia sistemica descritta per la prima
sfunzione transitoria dell’endotelio capil-
menti pleurici, pericardici, edema dell’epi-
volta negli anni Sessanta da B. Clarkson.
lare. Analisi di campioni autoptici o biop-
glottide, edema cerebrale con edema ma-
È caratterizzata da episodi reversibili di
tici di tessuto muscolare, anche alla mi-
culare. Meno frequentemente si osservano
efficaci sono il cortisone, il verapamil, le
maci β2 agonisti. Altri trattamenti ritenuti
dute, si basa soprattutto sull’impiego di far-
shock ipovolemico, a seguito della perdita
croscopia elettronica, non hanno eviden-
rabdomiolisi, edema polmonare e versamenti
immunoglobuline e.v., la plasmaferesi e i
continua di plasma nello spazio extrava-
ziato un vero e proprio difetto della parete
in cavità cardiaca. I dati di laboratorio evi-
modificatori dei leucotrieni.
scolare (si stima una perdita di circa il 70
dei capillari, né sono emersi risultati uni-
denziano un aumento dell’ematocrito con
% del volume intravascolare), con conse-
voci dallo studio di specifiche sostanze o
ipoproteinemia e ipoalbuminemia. Un picco
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
guente emoconcentrazione, ipoalbuminemia
popolazioni cellulari che potrebbero alte-
proteico monoclonale – riferito soprattutto
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rare la permeabilità della parete vascolare
alle catene leggere kappa delle IgG – si evi-
R, Abid L, Haddar S, Chelly H, Ayoub A,
cesso patologico non è ancora nota, seb-
quali ad esempio: leucotriene E4, cellule
denzia all’elettroforesi in un discreto nu-
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93
94
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
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E
ra il 1976.
“È qui che si cura la Talassemia?”
Si presentò così in una fredda mattina di dicembre una donna piccola, con i capelli grigi, accompagnata da due bambine.
“Sa – continuò – vengo da Grosseto o meglio da Nomadelfia. Lì
siamo tutti una famiglia e io ho adottato 15 ragazzi, sono la loro
mamma: mi chiamano mamma Rosa. Queste due bambine sono
state abbandonate e io sono diventata la loro mamma. Sono malate di talassemia, si chiamano Antonietta di nove anni e Palma di
11 anni. Siamo molto stanche, per arrivare questa mattina in Ospedale, siamo partite ieri sera”.
Le bambine furono fatte entrare in Reparto e fu data loro una abbondante colazione, mangiavano con voracità ma allo stesso tempo
con timore e compostezza. Mamma Rosa non volle nulla “io mi
sazio a vedere loro che mangiano” disse. Si sedette su una sedia, le
gambe erano gonfie, si passò una mano sulla fronte e pianse. “Finalmente sono tranquilla, le bambine hanno trovato una seconda
casa”. Nessuno contò i viaggi che mamma Rosa fece assieme ad Antonietta e Palma da e per Grosseto. Era sempre sorridente e soleva
dire “queste due bambine sono le mie figlie preferite perché conoscono la sofferenza come nostro Signore”. Un giorno Antonietta
volò in cielo, aveva solo 14 anni. Mamma Rosa era come svuotata
ma continuò ad accompagnare Palma, si accontentava di una sedia
dove sedersi in silenzio, assorta nella preoccupazione dei suoi figli,
come tutte le mamme del mondo.
Palma oggi vive e lavora a Grosseto ed è un’apprezzata infermiera.
Sono passati molti anni, mamma Rosa è sempre con noi. Oggi parla
filippino, pakistano o albanese. C’è sempre una sedia vuota, dietro
la porta, che aspetta lei, mamma Rosa, nel nostro reparto.
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CONTROVENTO
“Talassemia. Era la parente povera delle leucemie quando ho iniziato. Ero un giovane specializzando e mi ostinavo a girare tra quelle
culle per capire quale segreto uccidesse quei bambini, perché non
riuscivo a fare in tempo neanche a salutarli che se ne andavano via.
Non li ho lasciati più da allora i miei piccoli talassemici e pian piano
poi li ho visti crescere, con il passare del tempo siamo riusciti a festeggiare le loro prime comunioni fino a vederli arrossire al pensiero
di un amore, sfidare la malattia e osare il sogno di una vita normale.
E così ci sono cresciuto dentro la storia della talassemia, oggi che
presiedo la sua Società Scientifica e penso a ieri, a quando eravamo
“figli di un Dio minore”, noi che ci siamo confusi in quei reparti
come fossimo padri e figli, zii e cugini, noi che ci siamo mischiati
nei loro battesimi e nelle loro comunioni fino a permetterci persino
di festeggiare qualche matrimonio. E infatti ce li ho davanti Mirko
e Marta. Si sono detti sì per sempre, fedeli a una promessa breve, il
tempo di una luna di miele e poi un addio, dolce e lungo, un istante
infinito in cui lei ha attraversato il suo futuro allo specchio, con il
coraggio di chi sa che il per sempre è un’illusione”.
Paolo l’ho conosciuto così. Mentre raccontava queste storie a un
convegno di medicina narrativa. Mamma Rosa, infatti, l’ha scritta
lui, per non dimenticarla mai.
Non una parola, nel suo intervento, sul futuro della terapia, non
un accenno al lustro della Società Scientifica di Talassemia e Emoglobinopatie che presiede. Solo storie, frammenti di vita. Ha semplicemente prestato voce e volto ai malati, come un attore sul palcoscenico.
Ha raccontato di quel bambino che di nascosto buttava i farmaci
nella spazzatura, e del panico della madre convinta che invece i farmaci lo stessero uccidendo, perché il fegato gli stava andando in
pezzi. E di un occhiolino, che lui lanciava al bimbo, improvvisamente rosso in viso, per suggellare un patto, un silenzio complice
in cambio della tacita promessa di non farlo più.
Raccontava poi di un ago, levato e inserito tante volte in un comico
andirivieni tra il salotto e la toilette nell’attesa di un bacio. Accadrà,
non accadrà. È accaduto, poi, mentre il microinfusore era inserito
nella vena, ma quel bacio aveva il sapore unico, indimenticabile di
tutti i baci attesi, desiderati, immaginati in quello slancio vitale che
si chiama desiderio.
Alla fine li ha ringraziati tutti i protagonisti di queste storie, anche
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
quelli che non c’erano più e le lacrime hanno rigato il suo volto.
Perché lui qualcosa deve anche a loro, almeno una parte della passione con cui ha lavorato, l’umanità che si sono scambiati.
“Sì, in tutti questi anni ci siamo confusi e separati, ma la mia vita
non è stata mai altra davvero dalla loro – racconta Paolo – soprattutto quando anche io ho capito che significa essere vivi per miracolo. Quando stavo male e nessuno capiva perché. Anche perché
gli esami clinici non rivelavano nulla, ma qualcosa dentro di me
non si quietava e così, approfittando del privilegio che mi concedeva la mia professione, ho chiesto al collega di sottopormi a un’indagine. Gli chiesi un atto di fede, grazie al quale oggi sono vivo. Mi
ritrovai così a girare in pigiama per i corridoi dell’ospedale. Ero passato dall’altra parte davvero. E in quell’ospedale, che era anche il
mio ospedale, incontrai Giovanni, uno dei miei pazienti. In quei
giorni gli avevano amputato una gamba. Non aveva neanche quarant’anni. Giovanni quel giorno mi curò. Mi spiegò che “le pentole
rotte sono sempre per casa” e che quindi non correvamo alcun pericolo. Né io né lui. Oggi però sono l’unica pentola rotta a girare e
me ne ricordo e cerco di tenere la posizione, anche per rispetto a
Giovanni, per non smentirlo del tutto.
Perché quello che mi fa più star male ancora, di questo maledetto
mestiere, è non riuscire sempre a mantenere le promesse, perché
nessuna medicina le mantiene mai del tutto e perché a volte ti sembra
che la malattia sia come la salute, uno stato della vita.
E mentre pensi questo, però, non ti puoi arrendere soprattutto
quando una ragazza di vent’anni stringe la tua mano disperatamente,
prima di morire. Tu ne hai trenta e ancora non sai cosa dire e quel
che è peggio è che oggi sai che il tempo non basta a imparare le parole giuste, che probabilmente non arriveranno mai. Perché non ci
sono parole quando capisci, che quelle mani stringevano l’ultimo
dei suoi sogni e forse è meglio così, perché almeno io c’ero quel
giorno, laddove non c’era ancora la cura. È da quando ho iniziato
questo mestiere che contiamo decadi di sopravvivenza. Dalla prima
siamo arrivati alla quinta. Oggi la talassemia si cura di più e meglio, è una patologia più considerata e meno rara, ci sono i ferrochelanti, farmaci più facili da assumere, più efficaci, che una volta
neanche li potevi immaginare. Ma ci sono ancora microinfusori
nelle braccia, e non sempre i trapianti sono possibili. Eppure strada
ne è stata fatta, abbastanza da poter sperare ancora. Con i convegni
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
oggi giriamo il mondo intero e dedichiamo persino interi seminari
a discutere se sia giusto o no, se sia moralmente lecito, fare una diagnosi preimpianto sull’embrione per diagnosticare la talassemia.
Quello che so è che tanta vita mi è passata davanti e si è confusa
con la mia, con quella della mia famiglia, con la mia storia personale e quella professionale, con i miei umori e le mie giornate. E
adesso, che ho qualche anno in più, non guardo più alla talassemia
solo come a una sfida, la guardo come una cosa che può accadere
nella vita, la osservo come dall’interno del ring per conoscere i suoi
movimenti, per evitare il ko, per costringerla nell’angolo in cui fa
meno male.
Come se avessi imparato davvero soltanto una cosa e cioè che la
malattia fa male quanto la solitudine e che non è così scontato capire che cosa vuol dire che il corpo e l’anima non sono divisi.
E così non sai se quando scegli di capire prima ancora che di curare
stai abbassando il tiro o lo stai alzando fino alle stelle”.
L A M A L AT T I A
Le sindromi talassemiche
In breve
Le sindromi talassemiche
sono malattie ereditarie del
sangue. Ne esistono diverse
forme: in tutti i casi a
causarle è una produzione
insufficiente o nulla di
emoglobina, la proteina
responsabile del trasporto
dell’ossigeno nel sangue.
Le persone affette da una
forma di talassemia sono
anemiche, hanno difficoltà
di crescita, sviluppano
spesso serie complicanze
come il diabete o patologie
cardiache.
A oggi il trattamento
consiste in trasfusioni
periodiche, anche se in
alcuni pazienti si rende
necessario anche il ricorso
alla chirurgia.
È risolutivo della malattia il
trapianto di cellule
ematopoietiche (da midollo
osseo per esempio) da
■ Le sindromi talassemiche sono un gruppo
eterogeneo di emopatie ereditarie rare che
si trasmettono con modalità autosomica recessiva. Sono caratterizzate dalla ridotta o
donatore sano. Tuttavia, la
necessità di un donatore
compatibile e i rischi legati
all’intervento, rendono la
tecnica di non facile
approccio. Per il futuro, la
ricerca sta investendo
molto sulla terapia genica:
in particolare l’obiettivo è
correggere all’origine il
difetto genetico da cui ha
origine il deficit di
emoglobina.
La β-talassemia è causata da mutazioni ge-
sintesi delle catene emoglobiniche β. Sono
netiche che causano un’alterazione della
state identificate più di 200 mutazioni;
assente sintesi dell’emoglobina, una pro-
l’espressione clinica della malattia varia in
teina che si trova all’interno dell’eritrocita
parte in base al difetto genetico (talassemia
e a cui si lega l’ossigeno per il trasporto tis-
La β-talassemia major (β0) esordisce intorno
catene globiniche, due unità α, codificate
sutale. L’emoglobina è costituita da quattro
major, talassemia intermedia, eterozigote).
al secondo – sesto mese di vita e le mani-
due unità β, codificate da due geni localiz-
emolitica cronica con eritropoiesi midollare
zati sul cromosoma 11. In relazione ai geni
inefficace. Il pallore, l’emosiderosi e l’ittero
da 4 geni localizzati sul cromosoma 16, e
festazioni cliniche sono legate all’anemia
coinvolti, vi sono diversi tipi di talassemia:
contribuiscono all’aspetto brunastro della
in Africa è più diffusa l’α-talassemia, mentre
cute. La crescita è stentata, la pubertà può
la β-talassemia, nota, per questo, anche
essere ritardata o assente a causa di disturbi
nel bacino del Mediterraneo è più diffusa
come anemia "mediterranea”.
endocrini secondari. Si può osservare un
diabete mellito a causa dell’emosiderosi
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
pancreatica. Tra le complicanze cardiache
quente una diagnosi non corretta di anemia
tale, determinando una grave ipossia.
3. A.E.T.R. Associazione Emofilici e Ta-
gravi sono presenti le aritmie e le miocar-
ferro-carenziale. L’elettroforesi dell’emo-
Una grave manifestazione è l’idrope fe-
lassemici "Vincenzo Russo Serdoz": e-
diopatie congestizie. Le indagini di labora-
globina consente di identificare lo stato di
tale, spesso letale per il feto durante la
mail [email protected]; sito web:
torio evidenziano ipocromia e microcitosi
portatore.
gravidanza, o subito dopo la nascita. Co-
www.hemoex.it
con anisopoichilocitosi. Il valore della si-
L’α-talassemia è un’anemia microcitica ere-
loro che sopravvivono sono trasfusi fin
deremia è elevato con saturazione della tra-
della sintesi delle subunità α dell’emoglo-
dalla nascita in modo regolare, e hanno
sferrinemia, si osserva iperbilirubinemia indiretta. Ai fini diagnostici, è importante
l’elettroforesi dell’emoglobina che mette in
ditaria causata dal deficit parziale o totale
si ha un accumulo di catene β (l’altra su-
bina. Come conseguenza, nella vita adulta
fetti da β-talassemia major.
una sopravvivenza analoga a quelli af-
4. AMCS Associazione Microcitemici Siracusa.
5. Associazione Microcitemie ed Emopatie
di Lentini, Carlentini, Francofonte.
La prevenzione delle sindromi talassemiche
6. Associazione per il Bambino Thalasse-
evidenza la persistenza dell’emoglobina fe-
bunità che compone l’emoglobina). Nei neo-
si fonda sulla diagnosi prenatale e sul-
mico: e-mail [email protected]; sito web:
tale. Il trattamento consiste in trasfusioni
γ che porta alla formazione di emoglobine
l’identificazione degli eterozigoti mediante
periodiche di globuli rossi concentrati e farmaci ferrochelanti. Alcuni soggetti rispondono a terapie con farmaci che aumentano
nati si ha invece accumulo di catene di tipo
esami di screening.
www.bambinithalassemici.it
7. ALT Associazione per la Lotta alla Ta-
(un’emoglobina formata da 4 catene β) ed
Le sindromi talassemiche sono presenti al-
lassemia di Ferrara: e-mail altfer-
l’interno dell’Allegato 1 del Decreto Mini-
[email protected]; sito web www.altferrara.it/
emoglobina di Bart nel neonato (formata da
steriale 279/01 “Regolamento di istituzione
8. Associazione Pro Thalassemici: e-mail
patologiche: emoglobina H nell’adulto
[email protected]
esenzione dalla partecipazione al costo delle
[email protected]; sito web http://www.pro-
di segni di ipersplenismo. Nei soggetti non
Esistono 4 diverse forme di α-talassemia in
della Rete nazionale delle malattie rare e di
in caso di eccessivo consumo di sangue e/o
4 catene γ).
relazione al difetto genetico che può coin-
relative prestazioni sanitarie”, con codice
thalassemici.it
adeguatamente trasfusi, si hanno alterazioni
che codificano per le due subunità α:
di esenzione RDG010. Pertanto, sono stati
9. A.T.D.L. Associazione Talassemici e Dre-
identificati, all’interno della Rete Nazionale
panociti Lombardi: e-mail [email protected];
i livelli di emoglobina fetale e di eritropoietina. La splenectomia è in genere indicata
scheletriche e fisionomiche caratteristiche,
volgere uno, due, tre o tutti e quattro i geni
thalasse-
ambito midollare ed extramidollare. Il tra-
α-globinico conduce a uno stato di por-
tatore silente con una modesta microci-
il monitoraggio e il trattamento di tale pa-
dei Bambini di Palermo: e-mail ass.tha-
pianto allogenico di cellule ematopoietiche
tosi.
tologia.
[email protected]
α-globinici alterati e manifesta una lieve
L’elenco di tali presidi è disponibile online,
11. AVLT Associazione Veneta per la Lotta
sul sito web del Centro Nazionale Malattie
alla Talassemia:e-mail [email protected]; sito
epatosplenomegalia e cardiomegalia a causa
di un’ipertrofia del tessuto eritropoietico in
è una terapia definitiva ma limitata dalla disponibilità di un donatore compatibile e le-
1) L’alterazione in una sola copia del gene
2) Il portatore classico possiede due geni
per le malattie rare, dei presidi clinici per
la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi,
Rare (www.iss.it/cnmr).
sito web http://www.atdl.it/
10. Associazione Thalassemici Ospedale
gata a considerevoli rischi di morbilità e
anemia microcitica, alla nascita possono
mortalità. La terapia genica, in fase speri-
essere, inoltre, identificate quantità ele-
mentale, prevede l’espressione di un gene
sano per la globina, in cellule staminali ema-
3) L’alterazione di 3 copie di geni α-globinici si presenta con una sindrome simile
miche presenti nella banca dati relativa alle
semia: e-mail info@fondazionegiam-
intermedia (β+), i livelli di emoglobina si
alla talassemia intermedia con anemia
Associazioni di pazienti, sul sito web del
brone.it; sito web http://www.fondazio-
topoietiche autologhe. Nella β-talassemia
mantengono intorno ai valori di 6-8 mg/dl
senza trasfusione. Ciononostante, questi pazienti possono presentare emosiderosi per
l’aumentato assorbimento di ferro a livello
β-talassemia si associano a una lieve anemia
gastrointestinale. Molte forme di eterozigote
ipocromica microcitica. In tali soggetti è fre-
vate di emoglobina di Bart (γ4).
web http://www.avlt.it
12. C.F.T. Comitato Famiglie Talassemici
Infine, si segnalano di seguito le diverse As-
13. Fondazione Italiana "Leonardo Giam-
sociazioni dedicate alle sindromi talasse-
brone" per la guarigione dalla Thalas-
microcitica.
Centro Nazionale Malattie Rare.
4) L’assenza totale delle 4 copie del gene
α-globinico causa la forma più grave ca-
1. A.B.E. Associazione Bambino Emopatico – Caltanissetta: e-mail: abemopa-
lo Studio delle Emoglobinopatie e Ma-
bina di Bart con 4 catene γ. Questa emo-
[email protected]; sito web: http://www.abecl.it
lattie Rare Onlus: e-mail [email protected]
2. A.B.E. Associazione Bambino Emopa-
15. Lega Italiana per la Lotta contro le Emo-
ratterizzata dalla presenza dell’emoglo-
globina, avendo un’elevata affinità per
tico – Catania: e-mail [email protected]; sito
l’ossigeno, non lo rilascia a livello tissu-
web: www.abect.com
negiambrone.it
14. G.RI.S.E. Onlus Gruppo di Ricerca per
patie e i Tumori dell’Infanzia
16. Libera Associazione contro la Talassemia
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
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Glossario
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
GLOSSARIO
di Elena Mancini
Associazioni dei pazienti
Chi è malato spesso è solo. Sole, in particolare, sono le famiglie dei pazienti con malattie rare. Una malattia rara spesso è difficile da diagnosticare in quanto i sintomi appaiono incomprensibili o banali e così spesso
la diagnosi può esse confermata solo da un
test genetico, laddove ne esista uno specifico. Il percorso delle famiglie per dare un
nome alla malattia che ha colpito il loro figlio può essere lungo e sofferto. Una volta
capita la natura della patologia, ci si deve
confrontare con l’inadeguatezza delle terapie, i costi dei farmaci, la difficoltà di accesso ai servizi. L’esperienza degli altri può
aiutare molto, da tutti i punti di vista. Le associazioni dei familiari e dei volontari offrono
sostegno, orientamento, collaborazione, aiuto
pratico, ma anche confronto, ascolto. Nel
caso delle malattie rare, come accaduto per
altre patologie, le associazioni danno voce
ai bisogni dei pazienti presso le istituzioni,
ne difendono i diritti, operano per il riconoscimento di esigenze fondamentali quali la
disponibilità gratuita dei farmaci o di altri
presidi terapeutici o riabilitativi. Tali attività
sono dirette alla tutela dei diritti dei malati
in base ad un principio di giustizia che riguarda sia gli aspetti strettamente sanitari
che più in generale i diritti civili fondamentali delle persone. Le associazioni inoltre costituisco spesso un referente privilegiato
anche per quanto concerne l’espletazione di
servizi, tradizionalmente svolti da enti pubblici. Tale tendenza alla decentralizzazione
e alla delega a strutture private di prestazioni e servizi precedentemente erogati a livello centrale costituisce un fenomeno sociale in crescita. La sussidiarietà, letteralmente il sopperire in altro modo laddove al-
cune funzioni o servizi non sono stati realizzati, è così divenuta una prassi consolidata, recentemente riconosciuta anche sul
piano giuridico, all’interno del processo verso
il federalismo ed in funzione della maggior
efficienza e ottimizzazione delle risorse. Gli
operatori delle associazioni sono motivati
dalla solidarietà nei confronti dei malati e
delle loro famiglie che è spesso frutto della
capacità individuale di elaborazione del proprio vissuto di malattia (personale o di un
proprio caro), esperienza che diviene esempio
di positiva attivazione di risorse e di crescita
umana per gli altri. Le associazioni dei pazienti promuovono l’informazione e la diffusione di conoscenze scientifiche sulle malattie, favorendo il più possibile la sensibilizzazione nei confronti dei malati, delle loro
esigenze e difficoltà per il superamento di
atteggiamenti più o meno esplicitamente discriminatori all’interno di una prospettiva di
arricchimento civile e morale della società.
Autonomia
Il principio di autonomia impone il rispetto
delle scelte e decisioni individuali. L’autonomia individuale costituisce un principio
cardine dell’etica in quanto solo chi è in
grado di agire in modo libero, autodiretto e
consapevole può essere considerato un
agente morale in senso proprio. Inteso in
questo senso il principio di autonomia viene
solitamente considerato gerarchicamente superiore ad altri principi etici, quali ad
esempio il principio di beneficenza o il principio di responsabilità. È particolarmente
utilizzato in bioetica in difesa della libera
gestione del proprio corpo (in ambito sessuale e riproduttivo), delle scelte riguardo
alla salute (libertà di cura), dei limiti che
l’individuo può porre al trattamento sanitario
(rifiuto del trattamento, diritto alla sospensione delle cure, eutanasia). In questa pro-
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
spettiva, il medico è tenuto a favorire l’autonomia del paziente e a rispettarne le scelte
anche nel caso in cui le ritenga fortemente
dannose per la sua salute, non assumendosi
responsabilità ulteriori in merito al benessere del paziente. Il medico e il paziente
sono così soggetti del tutto paritari all’interno di una relazione regolata sulla base del
rispetto di norme condivise (contratto). In
un’ottica differente, l’autonomia individuale
può essere considerata invece solo parte del
più generale bene della persona, bene che
non può certamente prescindere dal mantenimento o recupero della salute fisica o
mentale. Il medico, di conseguenza, pur
avendo il dovere di rispettare le scelte del
paziente, ritiene che il proprio obiettivo e il
senso stesso della relazione con il paziente
sia più propriamente quello di agire per il
conseguimento del bene salute. La salute
infatti otre a costituire un bene di per sé è
essa stessa condizione concreta per la costruzione ed esercizio dell’autonomia individuale. Responsabilità del medico in questo
senso è piuttosto quella di creare un clima
di fiducia e di confidenzialità basata sulla
trasparenza e sul rispetto, in cui il paziente
possa trovare accoglienza anche nella manifestazione di elementi di dipendenza e vulnerabilità propri della condizione di malato
(modello della beneficialità nella fiducia).
Particolarmente controverso in questo senso
è definire il giusto grado di tutela per alcune
forme di disabilità mentali. Mentre per le
forme gravi il consenso informato al trattamento non può essere presupposto né richiesto, per altre forme pur non consentendo
una piena autonomia del soggetto, non escludono del tutto la capacità di giudizio. In
questo caso andrà operato un bilanciamento
tra tutela e autonomia, autonomia che va favorita il più possibile e che può essere positivamente sostenuta da un contesto rela-
zionale e comunicativo adeguato alla possibilità di comprensione del soggetto.
Nel caso particolare delle malattie rare una
relazione positiva con il medico è spesso lo
strumento attraverso cui è possibile recuperare uno spazio di controllo sulla propria
vita e sulla malattia, potenziando in modo
concreto ed efficace le proprie risorse interne e con esse l’esercizio effettivo della
propria autonomia.
Cellule staminali
La ricerca scientifica punta sempre più
spesso sullo sviluppo in laboratorio di cellule staminali. Le cellule staminali sono cellule che durante il processo di duplicazione
possono sia differenziarsi, cioè divenire la
cellula di uno specifico organo o tessuto,
sia dare luogo ad altre cellule staminali. Il
corpo umano ha una riserva di cellule staminali presenti ad esempio nel midollo osseo
che servono a rigenerare tessuti o a riparare
danni agli organi di limitata entità. Se
estratte dal corpo umano possono essere
mantenute in coltura e venir moltiplicate in
laboratorio ma non sono in grado di rinnovarsi in modo illimitato, possono cioè dare
luogo a diversi tessuti ma non a tutti (si definiscono infatti multipotenti). Un’altra fonte
di cellule staminali, eticamente più controversa, sono gli embrioni umani. Gli embrioni nella fase iniziale (zigoti) sono costituiti da cellule staminali non ancora differenziate: da esse avranno origine tutti i successivi tessuti ed organi del feto, le cellule
embrionali sono totipotenti possono cioè
specializzarsi per diventare una cellula qualsiasi del corpo umano (o possono dare origine ad un nuovo embrione come accade
nel caso in cui l’embrione originario si divida in due formando due gemelli omozigoti
identici). Nella fase immediatamente successiva dello sviluppo dell’embrione (bla-
stocisti) le cellule staminali possono differenziarsi in tutti i tipi di cellule necessarie
a costituire un organismo adulto, ma non
possono dare luogo ad un nuovo embrione
(plutipotenti). Le cellule staminali embrionarie in quanto totipotenti sono considerate
le più adatte ad essere utilizzate per la terapia di malattie in cui occorra rigenerare
organi o tessuti danneggiati (ad esempio il
tessuto cardiaco dopo un infarto) o sostituire cellule malate o geneticamente alterate (ad esempio nella cura della leucemia).
Sono inoltre facilmente disponibili dato l’elevato numero di embrioni prodotti con le tecniche di fecondazione assistita e non più
trasferiti in utero (cioè congelati e in stato
di abbandono) e facilmente utilizzabili in
laboratorio. La loro estrazione comporta tuttavia nella stragrande maggioranza dei casi
la distruzione dell’embrione o in ogni caso
danni irreparabili che non ne consentirebbero comunque la sopravvivenza e lo sviluppo in utero, il che suscita in molti serie
obiezioni etiche.
Le cellule staminali adulte, d’altra parte,
benché da alcuni studiosi siano ritenute di
buona utilizzabilità sotto il profilo terapeutico, sono presenti in numero limitato nell’organismo umano e spesso sono difficilmente isolabili e poco utilizzabili in laboratorio dopo l’estrazione. Queste difficoltà
hanno spinto diversi ricercatori a sviluppare
strategie alternative, quali ad esempio metodiche per l’induzione dello stato di staminalità in cellule umane adulte già differenziate (ad esempio per far differenziare
le cellule nervose in cellule del sangue).
Una linea di ricerca avanzata, in questo
senso si basa sul trasferimento nucleare
(TNSA): il nucleo di una cellula somatica
adulta viene trasferito in una cellula uovo
privata del suo nucleo e da questa si sviluppano linee cellulari, senza necessità di
creare embrioni. Le cellule staminali che
ne derivano, sono cellule staminali autologhe, conservano il patrimonio genetico del
paziente e quindi sono del tutto compatibili e tollerate e possono essere utilizzate
per forme di autotrapianto cellulare. Se confermata nella sua utilizzabilità terapeutica
la tecnica della TNSA si rivelerebbe una
fonte di cellule staminali sicura, in quanto
non comporta rischi di rigetto da parte dell’organismo, ed efficace in quanto la totale
compatibilità immunologica favorisce l’attecchimento delle nuove cellule nel tessuto
in cui vengono innestate.
In caso tuttavia di malattie di origine genetica, come accade per la maggior parte
delle malattie rare, la presenza di una mutazione genetica dannosa rende le cellule
del paziente non utilizzabili per la terapia
(una volta impiantate infatti riprodurrebbero
la malattia). Per ovviare a questa ulteriore
difficoltà viene proposta la terapia genetica
sulle cellule: si procede al prelievo di cellule, alla loro modifica genetica e successivamente all’innesto nel tessuto del paziente. La modifica genetica viene effettuata
introducendo nelle cellule geni sani in sostituzione di quelli malati. Per farlo si usano
costrutti genici costituiti da virus in quanto
dotati di forte capacità transfettante (cioè
di trasferimento di geni), depotenziati cioè
resi innocui per l’organismo umano, ma si
usano anche tecniche per l’inserimento di
solo materiale genetico (DNA nudo). È di
fondamentale importanza garantire la sicurezza dei vettori, poiché essi stessi possono
causare malattie come nel caso di virus, attivare tumori o causare danni alla cellula.
L’impiego di cellule staminali offre una prospettiva terapeutica con enormi potenzialità per molte malattie rare. Purtroppo l’efficacia terapeutica è ancora fortemente limitata dai meccanismi che regolano il fun-
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
zionamento dei geni (un maggior successo
ad esempio si ottiene nel caso di patologie
dovute a un singolo gene recessivo in quanto
le cellule modificate sono in grado di esprimere la copia sana). Limiti significativi sono
costituiti dal rischio di mutazioni dannose
o di attivazioni di geni che producono disordini proliferativi (tumori). Un ulteriore limite è infine rappresentato dal rischio di rigetto dovuto alla modifica di specificità antigeniche nelle cellule modificate. La ricerca
tuttavia va avanti sperimentando metodiche
e approcci innovativi. La tecnologia offre
strumenti avanzati sia per l’analisi del funzionamento genico che nella realizzazione
di metodiche biologicamente compatibili e
sicure per la terapia genica. Di grande interesse, infine, gli ultimi studi sulle cellule
staminali adulte “riprogrammate”, cioè fatte
regredire allo stadio staminale e successivamente indotte a differenziarsi in cellule
di specifici tessuti. Questa linea di ricerca
sembra rendere possibile la cura di molte
patologie che comportano degenerazione di
tessuti e di organi in modo sicuro, efficace
e privo di implicazioni etiche. Se i primi risultati ottenuti dovessero essere confermati
dalla sperimentazione sull’uomo, questo
aprirebbe una nuova prospettiva terapeutica anche per le malattie rare.
Consulenza genetica
La scoperta di avere una malattia può avere
un impatto devastante. La comunicazione
della diagnosi genetica è una responsabilità
difficile ed emotivamente impegnativa per
il medico. Occorre spiegare, con chiarezza
ed in modo non traumatico, la natura della
malattia, la sua trasmissione all’interno della
famiglia, le possibili modalità di gestione,
le scelte terapeutiche che restano da fare.
La consulenza genetica è nata per questo.
Il genetista che presta consulenza genetica,
oltre a possedere competenze tecnico-scientifiche, ha un atteggiamento psicologico di
accoglienza e accettazione delle difficoltà
del paziente e una comprensione profonda
delle implicazioni etiche relative alla comunicazione delle informazioni genetiche e alle
conseguenze psicologiche ed esistenziali che
la diagnosi genetica comporta. La consulenza genetica deve sempre essere offerta
prima di eseguire un test genetico, che soprattutto nel caso delle malattie rare è spesso
volto alla conferma di una diagnosi clinica.
La consulenza genetica deve avere carattere
non direttivo ovvero deve rendere possibile
favorire la capacità di scelta del paziente,
dei genitori o tutori, in merito ai trattamenti
suggeriti, alle misure riabilitative disponibili
ad eventuali interventi di maggior impegno
e rischiosità. A tal fine l’informazione deve
essere fornita in modo imparziale e adeguato
alle capacità di recepirla dell’interessato, e
deve essere comunicata con gradualità, adattandosi ai tempi di accettazione del paziente.
È di fondamentale importanza che l’informazione venga compresa nel suo reale significato scientifico e nella sua reale oggettività al fine di evitare nel paziente interpretazioni peggiorative o punitive della malattia, e in modo da non alimentare sensi di
colpa distruttivi, frequenti soprattutto nei
genitori di un bimbo malato. Per questo motivo è spesso necessario prevedere, dopo la
comunicazione della diagnosi, una serie di
consulenze di chiarificazione ed elaborazione
dell’informazione ricevuta.
Va infine ricordato che accanto al diritto di
sapere, cioè di conoscere il risultato di un
test diagnostico esiste il diritto di non sapere ovvero di non voler conoscere la diagnosi, la prognosi o qualsiasi altro elemento
connesso alla malattia. È un modo di rispettare la privacy e l’autonomia individuale
riguardo alle decisioni sul proprio corpo, com-
prese le procedure diagnostiche o terapeutiche e le informazioni che queste implicano.
Diagnosi preimpianto
Avere una malattia genetica, significa spesso
rinunciare alla genitorialità. Il rischio di trasmettere la patologia ad un figlio, infatti,
pone le coppie di fronte ad una responsabilità che non è possibile eludere. Se un figlio
già c’è ed è malato, la rinuncia ad una seconda gravidanza è quasi inevitabile. Un figlio però potrebbe aprire la prospettiva di
una vita diversa, quasi una affermazione di
se stessi nonostante le infinite limitazioni
della malattia. Per questo molte coppie con
patologie genetiche, comprese le malattie
rare, chiedono di poter utilizzare la diagnosi
reimpianto. Gli esami preconcezionali effettuati tramite test genetici eseguiti sulla
coppia infatti non sono sufficienti, poiché
tranne nei casi in cui la trasmissione della
patologia è pressoché certa, evidenziano solo
il margine di rischio di trasmissione dell’anomalia genetica ai figli ma non possono
prevedere nulla di preciso per la singola gravidanza. La diagnosi preimpianto viene effettuata sui gameti femminili (ovociti) prima
della fecondazione o sugli embrioni nelle primissime fasi di sviluppo. A differenza della
diagnosi prenatale che viene effettuata sul
feto tramite l’analisi dei villi coriali o l’amniocentesi diretta ad esaminare le cellule fetali presenti del liquido amniotico, che viene
praticata quasi di routine nelle gravidanze
naturali, la diagnosi reimpianto richiede il
ricorso alle tecniche di fecondazione assistita. È necessario infatti indurre l’ovulazione
nella donna per poter prelevare gli ovociti,
fecondarli in laboratorio, analizzarli geneticamente e successivamente trasferire in utero
quelli sani. La diagnosi preimpianto può essere inoltre eseguita sugli ovociti (cellule
uovo materne) esaminando il primo globulo
polare, un corpuscolo che contiene tutti i
geni materni emesso spontaneamente dall’ovocita al momento della sua divisione.
Questo esame consente naturalmente di selezionare gli ovociti prima di procedere alla
fecondazione in vitro, cioè alla creazione di
embrioni “in provetta” ed è diretta ad escludere la trasmissione di patologie materne.
Naturalmente è possibile analizzare geneticamente anche il liquido seminale, per evidenziare eventuali patologie di cui è portatore il padre. Tuttavia non tutte le patologie
sono espresse, cioè manifeste a livello cellulare. Tali patologie vengono definite recessive e i soggetti sono comunemente chiamati “portatori sani”. Nei portatori sani la
ricombinazione genetica dei cromosomi materni con quello paterni può dare luogo ad
una patologia dovuta alla presenza contemporanea di due copie “malate” del gene, una
di origine materna ed una di origine paterna.
Per scongiurare il pericolo di trasmissione
delle malattie è necessario capire quindi se
quel singolo embrione è sano oppure no,
analizzando una delle sue cellule. Questa
forma di diagnosi, eseguita nella fase di sviluppo embrionale che viene definita blastocisti (a 4 o 5 giorni dalla fecondazione), per
poter essere efficace, deve necessariamente
selezionare gli embrioni, cioè escludere alcuni di essi dalla possibilità di essere impiantati nell’utero, di svilupparsi e di dare
origine ad un feto. L’inevitabile perdita di
embrioni che questa metodica comporta è
stata di conseguenza all’origine di molte critiche morali, critiche che hanno poi trovato
una loro espressione normativa nella legge
sulla fecondazione assistita, che vieta la produzione di embrioni a scopi scientifici o diagnostici, e impone di impiantare tutti gli embrioni prodotti in utero. La legge 40 di conseguenza vieta la diagnosi preimpianto ed
esclude l’accesso alle tecniche di feconda-
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zione assistita alle coppie fertili portatrici di
patologie genetiche che intendono utilizzarle
proprio in quanto consente la selezione genetica degli embrioni.
Recentemente alcune sentenze di tribunali,
e in primo luogo il pronunciamento della
Corte Costituzionale in merito alla legge 40
(sentenza n.151/2009) hanno opposto all’assoluta tutela dell’embrione il diritto alla
salute sia della donna che del nascituro, diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione.
In base a tale principio molte coppie portatrici di malattie genetiche si rivolgono sempre
più spesso ai centri di fecondazione assistita
nella speranza di poter avere un figlio sano.
Nel caso delle malattie rare, prive spesso di
una cura adeguata, l’accesso alla diagnosi
preimpianto costituisce la speranza di una
vita nuova, di un futuro libero dalla sofferenza, di un orizzonte che vada oltre la presenza devastante della malattia.
Dignità
Definire la dignità umana è difficile. Spesso
i concetti in apparenza più evidenti, sfuggono ad una definizione rigorosa. La formulazione più classica e nota di dignità umana
è certamente quella kantiana. Immanuel
Kant ritiene che la dignità umana consista
nell’essere considerati dagli altri e nel considerare se stessi come dei fini in sé stessi,
e mai semplicemente come dei mezzi per
altri fini. Gli esseri umani costituiscono, in
altre parole, dei valori assoluti, la cui strumentalizzazione in funzione di altri obiettivi
non è mai giustificata. L’obbligo morale di
rispettare la dignità umana è quindi un obbligo assoluto ed è talmente fondamentale
da costituire la base stessa della morale,
poiché la dignità intrinseca degli esseri umani
è all’origine di ogni altro valore etico. In ambito bioetico, cioè nel settore dell’etica che
si occupa delle scelte e dei problemi rela-
tivi alla medicina e al trattamento del corpo
umano, il concetto di dignità umana viene
utilizzato di frequente soprattutto nei casi
di confine, cioè relativi alla vita e alla morte
(ad esempio creazione e distruzione di embrioni, eutanasia). Occorre in primo luogo
distinguere tra la dignità che viene attribuita
alla vita umana in senso generale e la dignità che ogni persona rivendica a se stessa
quale espressione del proprio inalienabile
valore intrinseco e fondamento del rispetto
da parte degli altri. Nel primo caso il riferimento alla dignità umana impone la non
strumentalizzazione dei soggetti e comporta
nella maggior parte dei casi l’indisponibilità
assoluta della vita (evidente soprattutto nel
caso degli embrioni umani). Nel secondo
caso il riferimento alla dignità può essere
fatto valere come principio etico in base al
quale rifiutare trattamenti medici fisicamente
e psicologicamente onerosi, inutili o addirittura degradanti per il paziente che si configurano come una forma di accanimento terapeutico (diritto a morire con dignità). La
dignità costituisce inoltre un diritto inalienabile e basilare degli esseri umani, la cui
violazione non è giustificabile in ragione di
ulteriori obiettivi, compreso quello della tutela della salute. È piuttosto in ragione dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani che
si giustifica l’estensione universale dell’assistenza sanitaria, ed in funzione del recupero della dignità individuale anche in circostanze particolarmente sfavorevoli che vengono attuati numerosi interventi terapeutici
o riabilitativi.
Disabilità
Il termine sottolinea da sempre una mancanza, la mancanza di abilità che sono generalmente possedute dagli esseri umani. Il
cambiamento terminologico presente nella
letteratura internazionale e ora anche nel
linguaggio comune, ha però in parte cambiato segno rispetto ad una connotazione fortemente riduttiva della disabilità. L’abbandono di termini quali invalido, handicappato
o anche più recentemente disabile, sostituiti
sempre più spesso da “persona con disabilità” o “persona diversamente abile” è indicativo di un uso linguistico inteso a sottolineare il valore della persona a prescindere
dalla sua disabilità e a considerare la stessa
disabilità una condizione conseguita e non
un attributo del soggetto. Perché la disabilità non diventi preminente rispetto alla persona occorre però una evoluzione culturale
complessiva ed un mutamento della sensibilità etica diffusa che favorisca una reale
integrazione sociale dei disabili. All’interno
di una società in cui la diversità sia considerata parte della variabilità genetica o
espressione delle differenze che caratterizzano gli individui, in cui cioè il limite sia
considerato evenienza normale dell’esistenza
e della condizione umana, l’accettazione sociale della disabilità consentirà ad individui
diversamente abili di raggiungere più agevolmente l’obiettivo dell’integrazione sociale
e lavorativa. È stata giustamente sottolineata
la profonda differenza che esiste tra l’integrazione che richiede l’adeguamento a standard e norme sociali prestabilite ai fini dell’inserimento sociale e l’inclusione intesa
come capacità di accoglienza e di accettazione sociale del diverso. Una piena inclusione sociale prevede l’adozione di misure
pratiche di adeguamento della società ai bisogni specifici di chi è diversamente abile.
Similmente, il sistema sanitario non dovrà
limitarsi a fornire terapie e assistenza di base,
ma dovrà prevedere anche forme di riabilitazione tese a ridurre gli ostacoli che impediscono eque opportunità di recupero e di
miglioramento della qualità della vita. Costruire una società in grado di includere la
diversità rappresenta un obiettivo di crescita
democratica e civile che può e deve essere
raggiunto per non acuire le difficoltà e la sofferenza di chi come nel caso di alcune malattie rare ha subito una disabilità.
Etica delle virtù
L’etica delle virtù del carattere ritiene che
per comportarsi in modo giusto occorra avere
le giuste intenzioni. L’agire morale discende
dalla disposizione complessiva della persona
al bene. L’orientamento al bene rende la persona virtuosa, in grado cioè di discernere
l’azione giusta nelle specifiche circostanze
della vita e il bene di ogni particolare persona. Si tratta di un’etica concreta ed in
grado di rispondere in modo adeguato ai differenti contesti relazionali e alla singolarità
delle circostanze esistenziali. Rende inoltre
l’agente moralmente autonomo poiché richiede capacità di giudizio e di scelta indipendente dal riferimento a norme astratte
ed universali. L’etica della virtù nella sua formulazione classica viene proposta da Aristotele: il complesso di virtù da lui indicate
consentono al saggio di condurre una vita
moralmente buona e esistenzialmente positiva. In ambito bioetico l’etica della virtù
viene riproposta quale modello etico particolarmente adeguato nei contesti in cui
l’aspetto relazionale assume un’importanza
cruciale, quali ad esempio la relazione medico paziente, o in cui la singolarità delle
circostanze mal si adatta all’applicazione di
principi o norme generali. L’etica delle virtù
infatti indica un atteggiamento etico complessivo verso l’altro piuttosto che prescrivere doveri o regole di comportamento. Tale
disposizione etica consente di rispondere ai
bisogni e alle richieste individuali anche indipendentemente dalle capacità altrui di
esprimere tali esigenze in modo adeguato.
Un atteggiamento virtuoso del medico
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sembra inoltre quanto mai appropriato a cogliere le particolari difficoltà del paziente o
della sua famiglia, e la problematicità della
malattia creando un clima di fiducia e di disponibilità. La qualità umana della relazione
con il medico, infatti, soprattutto nel caso
di patologie con scarsa possibilità di guarigione, quali molte malattie rare, rappresentano per il paziente un baluardo contro la
disperazione e il senso di abbandono.
Farmaci orfani
Si definisce orfano un farmaco che può essere utilizzato per la terapia di patologie rare
(5 casi ogni diecimila cittadini) ma che data
l’esiguità di mercato non viene di fatto prodotto dalle case farmaceutiche. È orfano
dunque poiché non esiste un’industria interessata a finanziarne la produzione. Poiché
si tratta spesso di farmaci che costituiscono
l’unico presidio terapeutico per chi è colpito
da una malattia rara, alcuni Stati e la Comunità Europea hanno intrapreso azioni per
incentivarne la produzione. Tali azioni sono
dirette ad incoraggiare le industrie farmaceutiche e biotecnologiche a investire nella
ricerca e nella produzione di farmaci orfani,
a favorire e sostenere le piccole e medie industrie a specializzarsi in questo settore, e
prevedono la creazione di un comitato europeo per esaminare le richieste di designazioni di farmaci orfani (regolamento (CE)
n. 141/2000 e regolamento (CE) n.
847/2000 del 27 Aprile 2000). In Italia alcuni farmaci orfani autorizzati dall’EMEA
(Agenzia europea per la valutazione dei prodotti medicinali) sono rimborsabili dal SSN,
grazie ad un accordo tra l’Agenzia Italiana
del Farmaco (AIFA) e le ditte farmaceutiche.
Il nostro paese partecipa inoltre al Comitato
per la designazione dei farmaci orfani attivo
presso l’EMEA. Infine, molte malattie rare
sono state inserite nei LEA (livelli essenziali
di assistenza), misura essenziale al fine dell’accesso ai farmaci, ai servizi sanitari di diagnosi e cura, all’assistenza socio-sanitaria,
agli ausili per la disabilità. Ulteriori misure,
adottate ad esempio negli Stati Uniti, prevedono sgravi fiscali per la ricerca clinica sui
farmaci rari, semplificazione delle domande
di autorizzazione al commercio, esclusiva di
commercializzazione per alcuni anni a favore della casa farmaceutica produttrice.
Accanto a tali misure di carattere economico
e organizzativo, va infine promossa una maggiore conoscenza e diffusione di informazione scientifica tra le istituzioni e presso la
popolazione generale in merito alle malattie
rare, alle possibilità di trattamento, alla condizione di vita dei malati, che spesso oltre
che rari sono quasi invisibili alla percezione
comune. Migliorare la vita di chi soffre di
una malattia rara significa non considerare
i malati solo dei numeri e la loro storia una
occorrenza statisticamente non significativa.
Giustizia sanitaria
Ogni Stato ha il dovere di definire i criteri
in base ai quali garantire l’assistenza sanitaria ai cittadini. La scarsa disponibilità di
risorse (in ordine di tempo del personale sanitario, tecnologie e attrezzature mediche,
fondi per le terapie e per la ricerca) a fronte
di una sempre maggiore domanda di salute
e di una vasta diffusione di patologie degenerative presso la popolazione, soprattutto anziana, ha reso tale dibattito sempre
più attuale. Un sistema sanitario dovrà essere giusto, ma dovrà soprattutto essere
equo. Mentre infatti, il principio di giustizia
impone allo Stato di garantire a tutti lo
stesso livello di cure, ovvero il diritto a poter
usufruire ad un minimo decente di cure (universalismo dell’assistenza sanitaria), il principio di equità sottolinea la profonda differenza tra le condizioni patologiche dei sin-
goli cittadini che rendono necessarie cure
di livello diverso per rendere possibile il recupero della salute. La tutela del diritto alla
salute si traduce quindi, sul piano pratico,
nel diritto di disporre di pari opportunità di
recupero della salute, ovvero di poter accedere a forme di assistenza differenziate, in
ragione della gravità e della natura delle patologie. In assenza di tale considerazione
etica per le diverse condizioni patologiche
in cui si trovano i cittadini, gli effetti saranno inevitabilmente discriminatori soprattutto nei confronti dei soggetti con malattie rare o particolarmente onerose per il
Servizio Sanitario Nazionale. La razionalizzazione della spesa sanitaria, pur necessaria, dovrà di conseguenza essere basata
su criteri oggettivi quali l’urgenza, la necessità dell’intervento, la lista di attesa, il
bilanciamento costi/efficacia dell’intervento
o del trattamento richiesto. Ogni altro criterio basato su caratteristiche soggettive
quali ad esempio l’area geografica di provenienza, l’età, la maggiore utilità lavorativa o sociale della persona, costituisce, invece, una grave forma di discriminazione*.
Pur non negando l’importanza di una corretta pianificazione della spesa sanitaria, è
necessario fare anche altro. Occorre, ad
esempio, realizzare strategie politiche socialmente accettate che per un verso destinino maggiori fondi all’assistenza sanitaria pubblica e che per l’altro siano in grado
di incentivare la ricerca privata verso obiettivi in gran parte trascurati quali la produzione di farmaci e terapie per le malattie
rare (vedi voce). Queste misure, accanto ad
una corretta informazione e sensibilizzazione sulle malattie genetiche e a programmi
di screening neonatale, costituiscono strumenti efficaci per garantire equità e concrete prospettive di cura a chi soffre di una
patologia rara.
Medicina narrativa
La medicina narrativa crea uno spazio di
ascolto in cui il vissuto del paziente può essere espresso, attraverso il racconto o la scrittura, per essere accolto e compreso. Questo
favorisce la capacità di elaborazione del significato della malattia, la ricostruzione della
propria biografia al fine di individuare e attivare le personali e spesso impreviste risorse
psicologiche, relazionali, spirituali di fronte
alla malattia. Raccontare la malattia consente inoltre di raccogliere una anamnesi
più approfondita e può rivelarsi di ausilio
nella diagnosi e nella scelta terapeutica. Raccontare è certamente terapeutico di per sé
in quanto apre ad una relazione positiva con
il medico, sostiene la fiducia e favorisce la
compliance (cioè l’adesione del paziente alle
terapie e alle prescrizioni del medico). La
conoscenza delle malattie rare, l’identificazione dei sintomi, la comprensione dello
stato del paziente è infatti per gli stessi medici difficile, data la scarsità di pubblicazioni scientifiche e di ricerche. La mancanza
di un numero di casi sufficiente a costituire
un campione statisticamente significativo
esclude infatti molte malattie rare dalla possibilità di divenire oggetto di studi specifici.
La medicina basata sulle evidenze (Evidence
Based Medicine) si fonda su criteri di validazione degli studi che prevedono la ripetibilità del risultato in un numero sufficientemente elevato di casi. Tale criterio costituisce una garanzia di serietà delle ricerche,
ma penalizza inevitabilmente la conoscenza
delle malattie rare e la produzione di farmaci
per la loro cura. Spesso, quindi, il racconto
della malattia, la sua descrizione da parte
del paziente, la spiegazione dei sintomi sono
per il medico una fonte di informazione preziosa per decifrare il codice della malattia
rara.
La medicina narrativa osserva la soggettività
* Vedi Bioetica e Riabilitazione, parere del Comitato Nazionale per la Bioetica,
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 17 marzo 2006, pag.26
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I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
della malattia e la ritiene a buon diritto parte
integrante della cura. Dal punto di vista clinico consente di rintracciare le complesse
connessioni tra costituzione genetica, ambiente e stile di vita, cioè la complessa interazione tra aspetti soggettivi e fattori oggettivi della patologia dando un significativo
contributo al processo di individualizzazione
delle terapie e di umanizzazione della medicina.
La medicina narrativa ha inoltre una profonda valenza etica. Raccontare è uno strumento trasformativo della propria esperienza.
Poter raccontare la propria malattia pone un
confine all’alienazione, alla disperazione e
alla regressione psichica cui spesso porta la
sofferenza causata da una malattia, soprattutto se incurabile. La stessa verità della malattia assume un significato personale, che
la sottrae ad un destino biologico senza
nome. Raccontare la propria storia di malattia consente quindi di inserire la propria
soggettività in un contesto relazionale e culturale, recuperare un vissuto, riappropriarsi
di un destino che se non comunicato e non
comprensibile resta privo di ogni valore per
gli altri. Significa restituire un tempo ed uno
spazio a ciò che sembrava avere dei contorni
assoluti: un tempo ed uno spazio che consentono di riacquistare il senso della propria
identità, di poter pretendere delle decisioni,
di riaffermare il senso della propria dignità.
Da parte di chi ascolta, tutto questo richiede
la capacità di riconoscere l’irriducibile singolarità dell’esperienza e dell’identità irripetibile di ogni storia, al di là della comune
condizione del limite, della mancanza, del
disordine, del lutto che accomuna la condizione umana.
Prevenzione
Ogni sistema sanitario oltre ad offrire assistenza ai cittadini per le diagnosi e la cura
di patologie, attua interventi più o meno diretti di prevenzione. La prevenzione può essere effettuata attraverso strategie differenti
in ragione delle differenti patologie di cui
si vuole impedire la diffusione presso la popolazione o l’insorgere nel singolo individuo.
Se, infatti, nel caso delle malattie infettive
la via privilegiata ed ampiamente accettata
è quella della vaccinazione collettiva (prevenzione primaria), nel caso delle malattie
multifattoriali il cui manifestarsi è determinato da una complessa interazione tra
predisposizione genetica, comportamenti
individuali (ad esempio fumo o assunzione
di alcool) e fattori ambientali (ad esempio
inquinamento o cattiva qualità degli alimenti) la pianificazione di strategie preventive efficaci e non coercitive o penalizzanti per l’individuo è molto più controversa
(prevenzione secondaria). Misure efficaci di
prevenzione in questo caso richiedono il
controllo delle fonti di inquinamento, la
creazione di agenzie per la sicurezza alimentarie, la realizzazione di campagne informative (educazione alla salute). A livello
individuale, la prevenzione è quasi esclusivamente affidata a strategie di comunicazione e di persuasione efficaci dirette a responsabilizzare l’individuo al fine di indurre
stili di vita salubri o l’adesione a programmi
di screening. Sempre più diffuso inoltre l’uso
di test genetici di popolazione (screening
genetici) per l’individuazione di suscettibilità genetiche (predisposizione) o per l’individuazione precoce di patologie già in atto
(diagnosi precoce). In molti casi infatti la
diagnosi precoce consente di intervenire in
modo efficace e di salvare la vita di gran
parte dei soggetti a rischio. Nel caso delle
malattie rare tutto questo è fortemente penalizzato dall’assenza o dalla scarsa disponibilità di misure terapeutiche o preventive
efficaci. La diagnosi precoce tuttavia viene
sempre più sostenuta da parte delle associazioni dei pazienti e dalle stesse società
scientifiche sia ai fini della pianificazione
delle scelte procreative, sia perché offre la
possibilità di attuare nei confronti dei già
nati tutte le misure preventive o riabilitative disponibili. Infatti accanto alla prevenzione primaria che incide direttamente sulla
malattia esistono forme di prevenzione dirette ad evitare i danni secondari (ad
esempio ritardi di sviluppo nel bambino e
squilibri funzionali nell’adulto) e terziari (ad
esempio: vizi di posizione, deformità, sindromi dolorose e distrofiche causate dall’inattività) e, accanto a queste, misure tese
alla sostituzione dell’organo o al recupero
della funzione, e alla riabilitazione integrale
(vedi voce) della globalità della persona nella
sua componente fisica, psichica, morale e
spirituale.
Privacy
Il termine privacy si riferisce alla sfera di vita
privata dell’individuo. Essa riguarda tutte le
informazioni e i dati personali la cui conoscenza potrebbe rivelare aspetti intimi e profondi della persona come le tendenze sessuali, l’orientamento politico, il credo religioso, lo stato di salute. Tali dati sono infatti
considerati sensibili poiché la conoscenza
da parte di altri costituisce una violazione
dell’intimità e dell’immagine di sé su cui si
fonda il senso di identità e integrità personale. Inoltre può esporre l’individuo a forme
di discriminazione (ad esempio i dati sulla
derivazione etnica), alla strumentalizzazione
economica (ad esempio i dati sul proprio
stile di vita), all’esclusione da prestazioni e
servizi (ad esempio i dati sanitari), a ritorsioni e coercizioni (ad esempio i dati sull’orientamento politico). L’utilizzazione dei
dati genetici individuali dovrebbe in via di
principio essere diretta esclusivamente alla
tutela della salute del soggetto. Ogni altra
utilizzazione è giustificata se avviene per precise e rilevanti finalità, in misure e modalità
proporzionate e coerenti a tali finalità, e comunque nel rispetto dei criteri e norme a tutela della privacy individuale stabilite dalla
legge (legge n.675 del dicembre 1996). In
particolare, i dati sanitari di natura genetica
sono considerati dati ultrasensibili il cui trattamento, inclusa la raccolta, l’utilizzazione
in qualsiasi forma, la conservazione, la diffusione sia pure a fini scientifici, deve avvenire nel rigoroso rispetto della privacy. La
tutela della privacy genetica rappresenta una
misura di protezione indispensabile dell’individuo poiché la costituzione genetica non
può essere in alcun modo modificata dal soggetto ed è del tutto sottratta al suo stesso
controllo. Inoltre ha una specifica pervasività e “oggettività” che tende a condizionare
fortemente la percezione di se stessi e ad
influenzare negativamente la capacità di accettazione altrui, fino a forme di vera e propria stigmatizzazione sociale. Tale condizione è particolarmente comune nel caso
delle malattie rare, la cui natura è nella gran
parte dei casi genetica. Il profilo genetico
individuale costituisce un aspetto di cui non
si ha alcuna consapevolezza, e la sua manifestazione nell’organismo è spesso incomprensibile. La scoperta di una patologia
di origine genetica ha quindi spesso un effetto traumatico sull’individuo, che deve confrontarsi con la ricostruzione dell’immagine
di sé e della propria identità. Tutelare la sfera
privata individuale nel caso delle malattie
rare ha, quindi, il profondo significato etico
di proteggere una condizione di particolare
fragilità.
Rapporto medico-paziente
Tradizionalmente il medico ha sempre deciso per il paziente, operando in scienza e
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CONTROVENTO
coscienza per il suo bene. Cosa fosse il bene
del paziente agli esordi della medicina scientifica in cui le scelte erano fortemente limitate dalla scarsità e semplicità dei rimedi
terapeutici efficaci, era del tutto evidente.
Il progresso delle conoscenze scientifiche e
soprattutto l’avvento della tecnologia medica hanno però radicalmente modificato il
contesto terapeutico. La possibilità di scegliere è enormemente aumentata ma la natura delle scelte è più controversa. In molti
casi infatti non si tratta di decidere la terapia più adatta per curare una malattia, ma
di capire in cosa consiste il bene del paziente in un senso più complessivo. Soprattutto nel caso di malattie da cui non si può
guarire, ma che possono essere contenute
nell’evoluzione e nei sintomi, il rapporto tra
medico e paziente cambia significato. Assume una grande rilevanza etica agire per
migliorare la qualità della vita del paziente,
assicurare una relazione positiva e costruttiva, prendersi cura del paziente nella sua
dimensione umana e personale. Le condizioni di oggettiva incompetenza clinica e di
dipendenza anche psicologica del paziente
a causa della malattia rendono necessario
un atteggiamento in grado di sostenere la
sua autonomia, di potenziare la sua capacità decisionale. Che cosa sia la qualità della
vita, come debba essere promossa e tutelata
dipende dal senso della vita che ognuno di
noi ha elaborato, dai valori in cui crede, dall’identità personale, e dal significato che ha
attribuito alla propria storia di malattia. Nessuno può decidere al posto di un altro cosa
sia una qualità di vita accettabile. Esercitare la propria autonomia è un modo di tutelare la propria dignità e integrità personale, di ritrovare un significato personale all’esperienza di per sé fortemente passivizzante della malattia anche in circostanze
particolarmente difficili. Il progressivo cam-
biamento verso il riconoscimento dell’autonomia del paziente è ben evidenziato dai diversi aggiornamenti del codice deontologico
dell’ordine dei medici, che mostrano una
maggiore apertura verso il ruolo decisionale
del paziente. Un aspetto fortemente rappresentativo di tale processo è costituito dall’affermazione del diritto del paziente ad
esprimere o meno il proprio consenso ad ogni
intervento medico significativo (consenso informato). Tale principio viene talvolta
espresso nella formula “informazione e consenso all’atto medico” al fine di sottolineare
l’importanza di una corretta ed esaustiva informazione per poter esercitare una scelta
effettivamente libera e consapevole in merito al trattamento proposto, ai rischi e benefici attesi, alle eventuali alternative terapeutiche. La comunicazione medico paziente
è quindi divenuta un aspetto centrale dell’etica medica contemporanea e fa parte del
modo stesso di intendere la buona medicina,
una medicina cioè che non sia solo di provata efficacia ma anche rispettosa del paziente e di elevata qualità umana. La qualità della comunicazione con il paziente e
tra medico e paziente merita quindi un’attenzione particolare, in quanto fondamento
per il libero esercizio della capacità di scelta
del paziente e nello stesso tempo condizione
che favorisce la fiducia del paziente nei confronti del medico e con essa una maggiore
accettazione ed esecuzione delle prescrizioni (compliance). All’interno del contesto
che stiamo esaminando, il processo che ha
portato a riconoscere gli aspetti più propriamente umani della relazione medicopaziente superando in parte un modello
esclusivamente efficientista di medicina (Evidence Based Medicine, EBM, vedi voce), assume una rilevanza particolare. L’umanizzazione della medicina soprattutto nel caso
delle malattie rare, passa per la capacità di
prendersi cura della persona, oltre che di curare la malattia, di creare uno spazio in cui
il vissuto della malattia possa essere valorizzato, di favorire gli strumenti per tutelare
la qualità della vita e l’integrità personale.
Riabilitazione
La riabilitazione è un processo di soluzione
dei problemi e di educazione per condurre
una persona a raggiungere il miglior livello
di vita possibile sul piano fisico, funzionale,
sociale ed emozionale, con la minore restrizione possibile delle sue scelte operative. Il
processo riabilitativo riguarda, oltre che
aspetti strettamente clinici anche aspetti
psicologici e sociali, ed ha come obiettivo il
conseguimento dell’autonomia della persona
nel suo complesso”[2]. La riabilitazione comprende un insieme di interventi terapeutici
che sono volti al recupero di abilità compromesse ma anche al sostegno delle potenzialità psichiche della persona disabile
per rendere possibile la sua inclusione nella
vita familiare, nel lavoro, nella società. La
riabilitazione in questo senso è una forma
di assistenza che lo Stato è tenuto a garantire ai fini di tutelare i diritti umani fondamentali dei suoi cittadini disabili e per garantire ad essi pari opportunità (principio di
giustizia).
La medicina riabilitativa risponde ad obiettivi complessi che mirano sia a curare (to
cure) la persona in senso classico con interventi sul corpo, sia a prendersi cura complessivamente della persona (to care) con
un approccio teso a svilupparne le potenzialità e le risorse emotive e cognitive. In
particolare il terapista della riabilitazione
(vedi voce) che spesso costituisce la figura
sanitaria con cui si ha il rapporto più prolungato e significativo, dovrà possedere qualità umane e professionali, quali l’empatia,
la capacità di ascolto, la disposizione al dia-
logo, l’onestà in merito ai propri limiti tali
da creare un contesto di accoglienza, di piena
accettazione delle difficoltà, di fiducia al fine
di motivare il paziente al recupero delle funzioni possibili e di attivare le risorse personali e familiari per il conseguimento di un
maggior livello di qualità di vita.
La riabilitazione sarà tanto più efficace
quanto più saprà essere precoce e aderente
alla storia clinica globale del paziente (diagnosi, terapie effettuate, precedenti riabilitazioni), cioè in grado di agire sia sul piano
affettivo che su quello cognitivo e capace di
motivare la persona e la sua famiglia mostrando la possibilità concreta di un miglioramento. Tale forma di riabilitazione si fonda
su un approccio integrale”[3]. Essa considera
la persona irriducibile alla sua corporeità e
l’atteggiamento etico verso di essa del tutto
indipendente dalle capacità presenti o meno;
i diritti umani sono in questo senso intrinseci alla persona e non derivano dal riconoscimento sociale. Tale approccio viene elaborato al fine di superare concezioni solo
funzionaliste della riabilitazione (tesa cioè
al recupero della funzione fisica), o fondate
sul presupposto della richiesta esplicita da
parte della persona con disabilità in base
alla presunzione di una autonomia non
sempre possibile. Il modello dell’approccio
integrale quindi è diretto al bene complessivo, globale della persona considerata all’interno del contesto familiare, relazionale
e sociale in cui è inserita. Il fondamento
etico della riabilitazione si estende infatti
dal recupero della persona alla modificazione
dell’atteggiamento complessivo della società
che è chiamata a rimuovere le barriere fisiche e culturali che impediscono la piena
inclusione della persona con disabilità.
Salute/malattia
Secondo una definizione tradizionale, la sa-
117
118
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
lute equivale a una condizione di assenza di
malattia. In questa ottica organicistica la salute e la malattia sono considerate, in modo
statico ed astratto, due condizioni opposte,
due stati del corpo. Il carattere fortemente
riduttivo di tale definizione che non considera la persona nella sua dimensione psichica, spirituale sociale ha indotto la stessa
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
a proporre un’interpretazione ampia della
salute intesa ora come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Tale visione olistica della salute -in cui cioè mente
e corpo vengono considerati parti di un insieme unitario- è stata a sua volta oggetto
di critiche in quanto la condizione di benessere rimanda ad una dimensione esistenziale che va molto al di là di quanto la
medicina possa realisticamente perseguire
e di quanto possa essere giustificatamente
essere richiesto dai cittadini allo Stato. Si
tratterebbe quindi di una definizione con
scarsa applicabilità e difficilmente traducibile in termini etici e giuridici. Inoltre sembra
ampliare doveri della medicina verso la tutela di esigenze che ben poco hanno a che
fare con le terapie e la cura. Questa concezione di salute è infatti fortemente dipendente da capacità e risorse individuali piuttosto che da condizioni oggettive. Una pianificazione delle risorse sanitarie che intendesse realizzare tale obiettivo di salute per
i cittadini, rischierebbe in questo senso di
perseguire obiettivi irrealizzabili. Pur non negando l’indubbio valore di una concezione
olistica di salute, è stata elaborata recentemente una prospettiva teorica che sottolinea
l’aspetto dinamico della salute e della malattia considerati processi evolutivi caratterizzati da una stabilità solo funzionale e relativa alle condizioni complessive dell’organismo e del contesto in cui esso è inserito.
La salute è così intesa quale condizione di
equilibrio fisico e psichico dell’organismo e
dell’individuo in grado di adattarsi in modo
funzionale all’ambiente. La persona sana è
in grado di utilizzare tutte le proprie energie
e capacità in modo libero e diretto al proprio benessere complessivo, mentre di contro
la persona malata non è in grado di gestire
se stessa e le sue risorse fisiche e mentali.
Una simile concezione dinamica ed evolutiva della salute e della malattia sembra più
adeguata a rendere conto del carattere multifattoriale, complesso e variabile dei processi fisici e psichici che consentono il mantenimento di un equilibrio funzionale, e pone
in evidenza la componente soggettiva della
salute, data anche dalla capacità di adottare e mantenere un corretto stile di vita.
Sperimentazione clinica
La sperimentazione di un nuovo farmaco è
un processo lungo che prevede diverse fasi.
La prima fase viene condotta sugli animali,
al fine di valutare gli effetti generali della
somministrazione del farmaco in un organismo, sia di tipo negativo quale la tossicità,
che positivo quale la presenza o meno di
un’azione terapeutica (efficacia). La sperimentazione sugli animali (fase preclinica) è
regolamentata da norme giuridiche internazionali, leggi nazionali, protocolli di laboratorio e in alcuni casi codici di condotta o
linee guida degli stessi ricercatori. Se un farmaco si è dimostrato sicuro ed efficace negli
esperimenti sugli animali viene sperimentato anche sull’uomo. La sperimentazione
clinica è diretta infatti a verificare la sicurezza, la tollerabilità, l’efficacia terapeutica
di un farmaco o di una cura biologica sull’uomo. La prima fase viene condotta su volontari sani al fine di valutare diversi parametri clinici significativi, quali assorbimento,
metabolismo, eliminazione e escrezione del
farmaco, eventuali effetti collaterali, dose
massima tollerata, reazioni avverse, soprattutto correlate a diverse concentrazioni del
farmaco. Scopo è valutare la sicurezza e non
l’efficacia terapeutica di un farmaco. Questa
sperimentazione, di breve durata, prevede il
ricovero dei volontari che sono tenuti costantemente sotto controllo medico. Una
volta terminata questa fase occorre valutare
l’efficacia terapeutica di un farmaco su pazienti, cioè su soggetti che hanno sviluppato
la malattia. In questa seconda fase che può
durare fino a due anni, il farmaco viene testato su un numero limitato di pazienti (fino
a qualche decina), per stabilire la presenza
di reali effetti terapeutici e la migliore posologia.
La fase successiva (fase III) la più impegnativa, richiede la maggior accuratezza e
attenzione anche sotto il profilo etico. Infatti
i farmaci che si sono dimostrati efficaci nella
fase II vengono confrontati con un farmaco
equivalente già esistente per dimostrarne la
superiorità (studi di superiorità) o nel caso
in cui non esista un farmaco già in commercio per la stessa patologia, con un placebo (cioè una sostanza inerte). Una percentuale significativa di sperimentazioni cliniche tuttavia non è diretta a dimostrare la
maggior efficacia di un farmaco rispetto ad
un suo omologo già esistente quanto altri
aspetti spesso correlati ad un miglior marketing del nuovo prodotto (studi di equivalenza o di non inferiorità).
Gli studi clinici di fase III sono comparativi,
poiché confrontano due farmaci, somministrati a due gruppi di pazienti, senza che né
il ricercatore né i pazienti sappiano quale
dei due farmaci (quello nuovo, il suo omologo già in commercio o un placebo) sta somministrando (questa condizione viene definita del doppio cieco). Solo dopo aver concluso positivamente questa fase della sperimentazione, che può richiedere anche più
anni, la casa farmaceutica può richiedere
l’autorizzazione all’immissione in commercio
del farmaco. Le procedure della sperimentazione devono rispettare rigidi protocolli
scientifici affinché la sperimentazione sia
considerata valida e precise norme etiche,
che garantiscono l’accuratezza clinica della
sperimentazione e proteggono i pazienti da
eventuali effetti secondari negativi e da reazioni avverse al farmaco. I pazienti devono
essere del tutto liberi di sottoporsi o meno
a sperimentazione, devono essere stati informati sui rischi (compreso quello rappresentato dall’interruzione del trattamento terapeutico consolidato) oltre che sugli eventuali benefici attesi, e devono poter rinunciare in qualsiasi momento anche senza giustificazione (consenso informato). Ad essi
inoltre deve essere garantita la massima protezione medica ed il controllo costante dei
sintomi (sicurezza). Al fine di assicurare il
rispetto delle norme etiche e della correttezza scientifica della sperimentazione, sono
stati istituiti organismi ad hoc, i comitati
etici, composti da esperti delle diverse specialità mediche, nonché da farmacologi ed
eticisti. Solo dopo che il protocollo è stato
approvato dal Comitato etico, la sperimentazione può avere inizio. Il Comitato etico
può inoltre sospendere la sperimentazione
nel caso in cu si siano verificati effetti avversi gravi, o problemi rilevanti di diversa natura. Sono studi quindi impegnativi che
inoltre coinvolgono un numero elevato di persone, poiché il risultato per poter essere considerato scientificamente attendibile deve
essere stato ottenuto su un numero di soggetti sufficiente a costituire un campione
statisticamente significativo. Questo costituisce una limitazione molto rilevante nel
caso delle malattie rare, che in alcuni casi
colpiscono un numero di soggetti talmente
esiguo da non poter costituire un campione
119
120
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
sufficiente ad una sperimentazione. Superare questa difficoltà richiederebbe ad
esempio il reclutamento di soggetti in diversi paesi o il coordinamento di più centri
di ricerca in diversi paesi (studi multicentrici). Inoltre la ricerca stessa di molecole
per la cura delle malattie rare è fortemente
penalizzata dalla quasi totale assenza di
sponsorizzazione da parte delle case farmaceutiche che dato il ridotto numero di pazienti non prevedono un ritorno di mercato
adeguato all’investimento (farmaci orfani,
vedi voce). Da parte delle associazioni dei
pazienti, delle società mediche nazionali ed
internazionali e da organismi sensibili al
tema, è stata più volte sottolineata la responsabilità delle istituzioni nei confronti
dei malati con patologie rare, una responsabilità che chiama in causa il dovere di garantire un equo accesso alle cure a tutti i
cittadini, tramite una corretta pianificazione
delle risorse sanitarie, ma che deve anche
tradursi, come da più parti suggerito, in maggiori finanziamenti della ricerca pubblica
sulle malattie rare o in forme di incentivazione della ricerca privata che si sono dimostrare, ove adottate, realistiche ed economicamente efficaci.
Test genetici
I test genetici sono analisi di specifici geni,
del loro prodotto o della loro funzione, nonché
ogni altro tipo di indagine del DNA o dei cromosomi, finalizzate a individuare o a escludere modificazioni del DNA, verosimilmente
associate a patologie genetiche[1]. I test genetici vengono utilizzati con diverse finalità e
possono essere eseguiti sia su singoli individui
che su gruppi di popolazione (screening genetici per la prevenzione di malattie). I test individuali sono classificati nei seguenti tipi:
Test diagnostici (o sintomatici): vengono utilizzati per verificare una diagnosi clinica o
per caratterizzare un quadro patologico non
del tutto chiaro. Servono anche a identificare gli eterozigoti (cioè i portatori sani) di
mutazioni geniche che possono dare luogo
a patologie genetiche nei figli.
Test presintomatici o preclinici: identificano
una mutazione genetica che darà luogo ad
una malattia (un esempio tipico è la corea
di Huntington, una malattia neurodegenerativa che si manifesta dopo i quaranta anni).
Vengono utilizzati soprattutto per la diagnosi
prenatale. Test prognostici: consentono di
stabilire la gravità clinica e il decorso di una
patologia già identificata in base ai sintomi
o ad altre indagini diagnostiche. La conoscenza del risultato rende possibile programmare interventi terapeutici più mirati
ed efficaci per il singolo paziente.
Test predittivi di suscettibilità genetica: sono
diretti ad identificare i genotipi che sono a
rischio di sviluppare malattie genetiche. In
presenza di determinati fattori ambientali o
a seguito dell’interazione con altri geni il rischio di ammalare diverrà particolarmente
significativo.
Indagini medico legali: un ulteriore impiego
dei test genetici è relativo infine alle indagini medico-legali. Tali indagini consentono
di identificare un individuo con certezza
quasi assoluta in quanto ognuno di noi ha
un profilo genetico pressoché unico (polimorfismo genetico).
L’utilizzazione dei test genetici ha conseguenze etiche di rilievo. L’informazione genetica ha una grande importanza dal punto
di vista sanitario ed un denso significato personale ed esistenziale. Questo è particolarmente vero nel caso delle malattie rare
poiché alla diagnosi spesso non segue una
terapia adeguata e gli interventi disponibili
si limitano a trattamenti per il contenimento
dei sintomi, la riduzione delle complicanze
(prevenzione di secondo grado, vedi voce
prevenzione), la riabilitazione (vedi voce).
La comunicazione della diagnosi di conseguenza può avere un impatto traumatico sull’individuo o sulla famiglia. Per questo motivo, le strutture che eseguono test genetici
devono offrire un servizio di consulenza genetica (vedi voce) adeguato sia sotto il profilo scientifico che etico. Essere malati di
una malattia genetica, infatti, può volere dire
venir discriminati nell’inserimento sociale e
lavorativo e scontarsi con difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari, assistenziali, sociali,
soprattutto nel caso delle malattie rare (giustizia sanitaria, vedi voce), acuendo la fragilità e la sofferenza causata dalla malattia.
L’utilizzazione dei test genetici è però spesso
l’unica diagnosi che consenta di identificare
in modo certo una malattia rara. I medici, i
genitori, i pazienti chiedono la diffusione dei
test genetici di routine per l’individuazione
delle malattia rare nei neonati. Conoscere è
un diritto fondamentale. Conoscere il più
presto possibile, significa, naturalmente,
massimizzare le possibilità di cura e di riabilitazione. Effettuare uno screening neonatale per le malattie rare è inoltre un modo
di riconoscere la loro rilevanza sociale, di valutarne l’impatto nella popolazione, di riconoscerne l’esistenza e la gravità. Significa
soprattutto affrancare i malati e le famiglie
dalla ricerca lunga e dolorosa di una diagnosi che consenta di “guardare in faccia”
la malattia, di capire. Capire pur nel dolore
è una via per cercare i primi aiuti, per confrontarsi con gli altri, per uscire dalla solitudine di un male senza nome. Garantire un
servizio di screening neonatale per le malattie rare, è uno strumento di equità sanitaria e una misura elementare di civiltà e di
solidarietà umana.
Trapianti d’organo
In Italia la Legge 578/93 “Norme per l’ac-
certamento e la certificazione di morte” del
1991 ha stabilito che la morte di un individuo è data dalla cessazione dell’attività del
suo cervello (elettroencefalogramma piatto).
La cessazione di ogni attività cerebrale (morte
dell’intero cervello) comporta infatti dopo
poche ore la morte dell’organismo. La morte
cerebrale è quindi solo un modo diverso di
accertare la morte, reso possibile dalla tecnologia attuale, rispetto al tradizionale criterio basato sull’arresto cardiaco. Il criterio
di morte cerebrale ha aperto la strada ai trapianti di organi. L’espianto di un organo infatti perché possa essere utilizzabile per un
successivo trapianto deve essere effettuato
a cuor battente. Al fine di non destare sospetti di strumentalizzazione della norma
allo scopo di rendere possibili i trapianti, la
legge che definisce i criteri di accertamento
di morte è stata promulgata indipendentemente dalle norme che regolamentano i trapianti di organi. In una fase successiva è
stato inoltre istituito il criterio del silenzio
assenso, che prevede che, in assenza di una
volontà negativa espressa in vita, ogni soggetto sia un virtuale donatore di organi. Naturalmente nel decidere in merito all’espianto, soprattutto in assenza di una dichiarazione esplicita del soggetto, il parere
dei familiari resta determinante. Ciononostante nel nostro paese la cultura della donazione di organi non è ancora sufficientemente diffusa, a causa probabilmente di una
malcelata diffidenza nei confronti del sistema sanitario e del meccanismo di prelievo degli organi percepito come impersonale, burocratico e soprattutto viziato da un
certo automatismo. Le campagne informative e di sensibilizzazione hanno però creato
un atteggiamento più disponibile e fiducioso,
che ha portato ad un incremento nel numero
di donazioni. Il trapianto di un organo rappresenta per molti malati l’unica possibilità
121
122
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
di sopravvivenza data l’assenza di terapie efficaci o a causa dello stato avanzato della
patologia. Questo è certamente il caso di alcune malattie rare, per le quali il trapianto
resta la strategia più seguita. I trapianti,
inoltre, sono sempre più sicuri. Le attuali
tecniche di trapianto e l’affinamento delle
terapie farmacologiche per controllare il fenomeno di rigetto (immunosoppressione)
consentono di superare molte delle difficoltà
che hanno nel passato fortemente penalizzato il successo dei trapianti di organo. Le
recenti norme europee hanno infine stabilito dei rigidi criteri di controllo della provenienza, della biosicurezza, della conservazione, dell’utilizzo di organi e tessuti al fine
di garantire la piena tracciabilità e la sicurezza sanitaria di ogni importazione ed esportazione di materiale biologico (comprese le
cellule) all’interno dei paesi dell’Unione. Tali
misure dovrebbero rendere più efficiente, sicuro e rapido il sistema di raccolta e allocazione degli organi all’interno dei paesi che
aderiscono a tali procedure, tra cui l’Italia.
In risposta alla carenza di organi, è venuta
diffondendosi la prassi della donazione di
organi da vivente, in genere motivata da sentimenti di solidarietà come nel caso di consanguinei o di persone legate da un profondo
affetto reciproco. In questa particolare forma
di donazione è di fondamentale importanza
garantire la totale libertà e gratuità della donazione, al fine di non indurre alcuna forma
di costrizione, di incentivo economico o di
pressione psicologica. Una riflessione a parte
merita infine la prassi sempre più diffusa soprattutto negli Stati Uniti dei trapianti crossover, in cui due coppie donatore-ricevente
non compatibili biologicamente cedono l’organo in cambio di quello offerto da un’altra
coppia omologa ma biologicamente compatibile. Tale forma di mutuo scambio richiede,
infatti, un controllo normativo ed una cau-
tela etica rigorosi al fine di evitare strumentalizzazioni dei soggetti più deboli sotto il
profilo socio-economico o vere e proprie commercializzazioni di organi. Pur senza approfondire in questa sede il dibattito etico in
merito alla liceità in sé della commercializzazione del corpo umano o di parti di esso,
vale la pena sottolineare come l’efficienza
organizzativa che consente la riduzione del
numero di organi sprecati poiché non trapiantati in tempo, la corretta informazione
del pubblico e forme più meno dirette di incentivazione statale alla donazione, quali ad
esempio l’assistenza sanitaria totalmente
gratuita per i donatori di un organo doppio,
o la copertura delle spese del funerale come
avvenuto recentemente in Spagna, hanno
contribuito in misura significativa a promuovere le donazioni. Ridurre il tempo di
attesa per un organo è infatti un obiettivo
possibile e quindi doveroso da parte del sistema sanitario pubblico e un richiamo alla
responsabilità e solidarietà individuale di
tutti noi.
[1] Definizione tratta dal documento del Comitato Nazionale per la Bioetica Orientamenti
bioetici per i test genetici 19 novembre
1999, Roma
[2] Linee guida minsteriali sulla riabilitazione,
adottate dalla Conferenza Stato Regioni, nel
1998
[3] Vedi Bioetica e riabilitazione, parere del Comitato Nazionale per lsa Bioetica, Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Roma, 17 marzo
2006
Associazioni
123
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
1
AIUTI PER LA RICERCA SULLE MALATTIE RARE - A.R.M.R.
E-mail: [email protected]; [email protected]; Sito Web www.armr.it
2
AMICI DELLA SENSIBILITÀ CHIMICA MULTIPLA
c/o abitazione privata -Viale della Libertà 36 - 47100 Forlì(FC)
3
ANIRIDIA ITALIANA
E-mail [email protected]; Sito Web www.aniridia.it
4
ASSOCAZIONE STUDIO ATROFIE MUSCOLARI SPINALI INFANTILI - A.S.A.M.S.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.asamsi.org
5
ASSOCIAZIONE “ALDO PERINI”
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazionealdoperini.it
6
ASSOCIAZIONE “ESSERCI” - BASILICATA
E-mail [email protected]
Sito Web www.essercituteladeidiritti.eu
7
ASSOCIAZIONE “ESSERCI” - LIGURIA
E-mail [email protected];
Sito Web www.essercituteladeidiritti.eu
8
ASSOCIAZIONE ALBINIT
E-mail [email protected]; [email protected];
Sito Web www.albinit.org; www.albinismo.it/albinit
9
ASSOCIAZIONE ALESSANDRO LUPOLI
E-mail [email protected]; Sito Web www.alessandrolupolionlus.org
10
ASSOCIAZIONE AMILOIDOSI ITALIANA - A.AM.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.amiloidosi.it
11
ASSOCIAZIONE BAMBINI CRI DU CHAT - A.B.C.
E-mail [email protected]; Sito Web http://www.criduchat.it
12
ASSOCIAZIONE BAMBINO EMOPATICO - A.B.E. - CALTANISSETTA
E-mail [email protected]; Sito Web www.abecl.it
13
ASSOCIAZIONE BAMBINO EMOPATICO - A.B.E .- CATANIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.abect.com
14
ASSOCIAZIONE CAMPANA IDROCEFALO E SPINA BIFIDA - A.C.I.S.B.
E-mail [email protected]; Sito Web www.acisb.it
15
ASSOCIAZIONE CISTINOSI
E-mail [email protected]; Sito Web www.cistinosi.it
16
ASSOCIAZIONE CONTO ALLA ROVESCIA - A.C.A.R.
E-mail [email protected]; Sito Web www.acar2006.org
17
ASSOCIAZIONE CONTRO LE LEUCEMIE E I TUMORI NELL’INFANZIA - AcLTI
E-mail [email protected]; Sito Web www.aclti.it
18
ASSOCIAZIONE CRESCERE
E-mail [email protected]; Sito Web www.aosp.bo.it/per.crescere
125
126
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
19
ASSOCIAZIONE DEGLI AMICI DELL’EMOFILIA
E-mail [email protected] [email protected];
Sito Web www.amicidellemofilia.org
20
ASSOCIAZIONE DELEZIONE CROMOSOMA 22 - AIDEL22 ONLUS
E-mail [email protected];Sito Web www.aidel22.it
21
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO ``PANDAS ITALIA``
E-mail [email protected]; Sito Web www.pandasitalia.it
22
ASSOCIAZIONE EMOFILICI E TALASSEMICI “VINCENZO RUSSO SERDOZ” A.E.T.R.
E-mail [email protected]; Sito Web www.hemoex.it
23
24
25
36
ASSOCIAZIONE IPERTENSIONE POLMONARE ITALIANA - A.I.P.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aipiitalia.org
37
ASSOCIAZIONE ITALIANA AMAUROSI CONGENITA DI LEBER - IALCA
E-mail [email protected]; Sito Web www.ialca.org
38
ASSOCIAZIONE ITALIANA AMICI DELLA SCIMITARRA - A.I.A.D.S.
E-mail [email protected]; Sito Web www.amicidellascimitarra.it
39
ASSOCIAZIONE ITALIANA ANGIODISPLASIE- ILA
E-mail [email protected]; Sito Web www.angiodisplasie.org
40
ASSOCIAZIONE EUROPEA AMICI DELLA SINDROME DI MC CUNE ALBRIGHT EAMAS
E-mail [email protected]; Sito Web www.eamas.net
ASSOCIAZIONE ITALIANA BAMBINI CON ERNIA
DIAFRAMMATICA CONGENITA - A.I.B.E.D.
E-mail [email protected], Sito Web www.aibed.it
41
ASSOCIAZIONE ITALIANA CHARCOT-MARIE-TOOTH - AICMT
E-mail [email protected]; Sito Web www.aicmt.org
ASSOCIAZIONE EUROPEA CONTRO LE LEUCODISTROFIE - ELA ITALIA ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.elaitalia.it
42
ASSOCIAZIONE ITALIANA CHERATOCONICI - A.I.CHE.
E-mail [email protected]; Sito Web www.assocheratocono.org
ASSOCIAZIONE FAMIGLIE DEFICIT ORMONE CRESCITA
E SINDROME TURNER - A.Fa.D.O.C.
E-mail [email protected]; Sito Web www.afadoc.it
43
ASSOCIAZIONE ITALIANA CISTITE INTERSTIZIALE - AICI
E-mail [email protected]; Sito Web www.aici-onlus.it
26
ASSOCIAZIONE FAMIGLIE SMA
E-mail [email protected]; Sito Web www.famigliesma.org
44
ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO LE MIOPATIE RARE - A.I.M. RARE
E-mail [email protected]; Sito Web www.aimrare.org
27
ASSOCIAZIONE FONDAZIONE ITALIANA HHT “ONILDE CARINI” - HHT
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.hht.it
45
ASSOCIAZIONE ITALIANA COREA DI HUNTINGTON - A.I.C.H.
E-mail [email protected]; Telefono +39 0865.915238 (c/o IRCCS Neuromed)
28
ASSOCIAZIONE FSHD DISTROFIA MUSCOLARE FACIO SCAPOLO OMERALE - FSHD
Telefono +39 06 3227577; Fax +39 06 3201198 (c/o abitazione privata)
46
ASSOCIAZIONE ITALIANA COREA DI HUNTINGTON - A.I.C.H. - MILANO
E-mail [email protected]; Sito Web www.aichmilano.it
47
29
ASSOCIAZIONE GENITORI AMICI CHIRURGIA PEDIATRICA “GOZZADINI” - AMACI
E-mail [email protected]; Sito Web www.amaci.it
ASSOCIAZIONE ITALIANA COREA DI HUNTINGTON - A.I.C.H. - ROMA
E-mail [email protected]; Sito Web www.aichroma.com
48
30
ASSOCIAZIONE GENITORI BAMBINI AFFETTI DA LEUCEMIA O TUMORE A.G.B.A.L.T.
E-mail [email protected]; Sito Web www.agbaltonlus.it
ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI CENTRI EMOFILIA - A.I.C.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aiceonline.it
49
ASSOCIAZIONE ITALIANA DISCINESIA CILIARE PRIMARIA
SINDROME DI KARTAGENER - A.I.D. KARTAGENER
E-mail [email protected]; Sito Web www.pcdkartagener.it
50
ASSOCIAZIONE ITALIANA DISLIPIDEMIE EREDITARIE - A.I.D.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aide.it
51
ASSOCIAZIONE ITALIANA DISPLASIA SETTO-OTTICA
E IPOPLASIA DEL NERVO OTTICO - SOD ITALIA
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.soditalia.it
52
ASSOCIAZIONE ITALIANA EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA A.I.E.P.N. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.aiepn.it
53
ASSOCIAZIONE ITALIANA ETEROPLASIA OSSEA PROGRESSIVA ONLUS I.P.O.H.A.
E-mail [email protected]; Sito Web www.ipohaonlus.org
31
ASSOCIAZIONE GENITORI E PERSONE CON SINDROME DI DOWN - AGPD
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.sindromedidown.it
32
ASSOCIAZIONE GENITORI MONOSOMIE 18 - A.GE.MO. 18
E-mail [email protected];Sito Web www.agemo18.com
33
ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE RING 14 PER LA RICERCA SULLE MALATTIE
NEUROGENETICHE RARE - RING14
E-mail [email protected]; Sito Web www.ring14.org
34
ASSOCIAZIONE INTOLLERANZA FRUTTOSIO - AIF
E-mail [email protected]; Sito Web www.aifrut.it
35
ASSOCIAZIONE IPERLIPIDEMIE GENETICHE - A.I.G.E.
E-mail [email protected]; Telefono + 39 010.3537992 ( c/o Dipartimento
Medicina Interna Università di Genova (rif. medico Stefano Bartolini)
127
128
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
54
ASSOCIAZIONE ITALIANA FAMIGLIE VHL (VON HIPPEL LINDAU)
E-mail [email protected]; Sito Web www.vhl.it
73
ASSOCIAZIONE ITALIANA NIEMANN PICK E MALATTIE AFFINI - A.I.N.P. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.niemannpick.org
55
ASSOCIAZIONE ITALIANA FAVISMO - DEFICIT DI G6PD - AIF
E-mail [email protected]; Sito Web www.favismo.it
74
ASSOCIAZIONE ITALIANA OSTEOGENESI IMPERFETTA - AS.IT.O.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.asitoi.it
56
ASSOCIAZIONE ITALIANA FEBBRI PERIODICHE - A.I.F.P.
E-mail [email protected]; Sito Web www.febbriperiodiche.it
75
ASSOCIAZIONE ITALIANA PAZIENTI ANDERSON-FABRY - A.I.P.A.F.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aipaf.org
57
ASSOCIAZIONE ITALIANA GAUCHER - A.I.G.
E-mail [email protected]; Sito Web www.gaucheritalia.org
76
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L`ESTROFIA VESCICALE - EPISPADIA ONLUS A.E.V. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.estrofiavescicale.it
58
ASSOCIAZIONE ITALIANA GIST - A.I.G.
E-mail [email protected]; Sito Web www.gistonline.it
77
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LOTTA ALLA SINDROME
DI MARFAN E PATOLOGIE CORRELATE
E-mail [email protected]; Telefono + 39 06.78346437
78
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LOTTA ALLE SINDROMI ATASSICHE A.I.S.A.
PIEMONTE
Sito Web www.atassia.it/piemonte; Telefono +39 011 4551145
(c/o Istituto Paolo Boselli - scuola)
59
ASSOCIAZIONE ITALIANA GLICOGENOSI - AIG
E-mail [email protected]; Sito Web www.aig-aig.it
60
ASSOCIAZIONE ITALIANA KARTAGENER/P.C.D.
E-mail [email protected]; Sito Web www.kartagener.it
61
ASSOCIAZIONE ITALIANA LAFORA - A.I.LA
E-mail [email protected]; Sito Web www.lafora.it
79
ASSOCIAZIONE ITALIANA LEUCODISTROFIE UNITE - A.I.L.U.
E-mail [email protected]; Sito Web http://digilander.libero.it/ailu/
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA NCL
E-mail [email protected]; Sito Web www.ceroidolipofuscinosi.it
80
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL RETINOBLASTOMA- A.I.R.R.
E-mail [email protected]; Telefono +39 0577.586513
(c/o Policlinico Le Scotte - Reparto di Pediatria)
81
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SULLA DISTONIA - A.R.D.
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.distonia.it
82
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SULL’ANEMIA DI FANCONI - AIRFA
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.airfa.it
83
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA SINDROME DI EMIPLEGIA ALTERNANTE
A.I.S.E.A.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aiseaonlus.org
84
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LE MALATTIE NEUROLOGICHE RARE
A.I.M.A.NEUR.
E-mail [email protected]; Telefono +39 055.485811
62
63
ASSOCIAZIONE ITALIANA LINFANGIOLEIOMIOMATOSI - A.I.LAM ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.ailam.it
64
ASSOCIAZIONE ITALIANA LOTTA ALLA SCLERODERMIA - A.I.L.S.
E-mail [email protected]; Sito Web http://www.ails.it
65
ASSOCIAZIONE ITALIANA MALATTIA DI HUNTINGTON - AIMaH
E-mail [email protected]; Sito Web www.malattiadihuntington.com
66
ASSOCIAZIONE ITALIANA MALATTIE INTERSTIZIALI O RARE DEL POLMONE A.I.M.I.P.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aimip.org
67
ASSOCIAZIONE ITALIANA MALFORMAZIONE DI CHIARI CHILD - AIMA-CHILD
E-mail [email protected]; Sito Web www.arnold-chiari.it
68
ASSOCIAZIONE ITALIANA MASTOCITOSI - ASIMAS
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.asimas.it
85
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO DELLE MALFORMAZIONI - ASM
E-mail [email protected]; Sito Web www.asmonlus.it
69
ASSOCIAZIONE ITALIANA MIASTENIA E MALATTIE IMMUNODEGENERATIVE AMICI DEL BESTA- A.I.M.
E-mail [email protected]; Sito Web www.miastenia.it
86
ASSOCIAZIONE ITALIANA PERSONE DOWN - AIPD
E-mail [email protected]; Sito Web www.aipd.ivylogic.it
70
ASSOCIAZIONE ITALIANA MUCOPOLISACCARIDOSI E MALATTIE AFFINI - A.I.MPS.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aimps.it
87
ASSOCIAZIONE ITALIANA PERSONE DOWN - APD ONLUS - ROMA
E-mail [email protected]; Sito Web www.aipd-roma.it
71
ASSOCIAZIONE ITALIANA NARCOLETTICI - A.I.N.
E-mail [email protected]; Sito Web www.narcolessia.org
88
ASSOCIAZIONE ITALIANA RETT. ONLUS - A.I.R.
E-mail [email protected]; Sito Web www.airett.it
72
ASSOCIAZIONE ITALIANA NEOPLASIE ENDOCRINE MULTIPLE 1E 2 - AIMEN1&2
E-mail [email protected]; Sito Web www.aimen.it
89
ASSOCIAZIONE ITALIANA RICERCA PSICOSI E AUTISMO - ARPA
E-mail [email protected]; Sito Web www.arpaonlus.org
129
130
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
90
ASSOCIAZIONE ITALIANA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA - A.I.S.L.A.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aisla.it
108
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROMI ATASSICHE ONLU- A.I.S.A. - MARCHE
Sito Web www.atassia.it; Telefono: +39 393 20 90 458
91
ASSOCIAZIONE ITALIANA SCLEROSI MULTIPLA - AISM
E-mail [email protected]; Sito Web www.aism.it
109
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROMI NEURODEGENERATIVE DA ACCUMULO
DI FERRO - A.I.S.N.A.F.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aisnaf.org
92
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME ARNOLD CHIARI I - SIRINGOMIELIA SCOLIOSI - FILUM.TOMIZZATI - AI.SAC.SI.SCO
E-mail [email protected]; Sito Web www.aisacsisco.org
110
ASSOCIAZIONE ITALIANA SIRINGOMIELIA E ARNOLD CHIARI - AISMAC
E-mail [email protected]; Sito Web www.aismac.org
111
ASSOCIAZIONE ITALIANA STUDIO MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE
AISMME ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.aismme.org
93
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROMI ATASSICHE - AISA
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.atassia.it
94
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROMI ATASSICHE - AISA - LAZIO
E-mail [email protected]; Sito Web www.atassia.it
112
ASSOCIAZIONE ITALIANA STUDIO MALFORMAZIONI ED EPILESSIA - A.I.S.M.E.
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.aisme.it
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROMI ATASSICHE - AISA - SICILIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.atassia.it
113
ASSOCIAZIONE ITALIANA VIVERE LA PARAPARESI SPASTICA - A.I.VI.P.S ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.vipsonlus.it
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DA VOMITO CICLICO - SICVO
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.sicvo.it
114
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI EHLERS-DANLOS - AISED
E-mail [email protected]; Telefono +39 0382.987231
(Dipartimento di Biochimica)
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA LA LOTTA AL NEUROBLASTOMA
ASSOCIAZIONE NB
E-mail [email protected]; Sito Web www.neuroblastoma.org
115
ASSOCIAZIONE LAM-ITALIA - LAM-ITALIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.lam-italia.org
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI LOWE- AISLO
E-mail [email protected]; Sito Web aislo.negrisud.it
116
ASSOCIAZIONE LOMBARDA FIBROSI CISTICA - ALFC
E-mail [email protected]; Sito Web www.fclombardia.it
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI MOEBIUS_ A.I.S.MO.
E-mail [email protected]; Sito Web www.moebius-italia.it
117
ASSOCIAZIONE LOMBARDA MALATI REUMATICI - ALOMAR
E-mail [email protected]; Sito Web www.alomar.it
118
ASSOCIAZIONE LOMBARDA PER L’IDROCEFALO E LA SPINA BIFIDA - ALISB
E-mail [email protected]; Sito Web www.alisb.it
95
96
97
98
99
100
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI NOONAN ONLUS
ANGELI NOONAN ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.angelinoonan.it
101
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI POLAND- AISP
E-mail [email protected]; Sito Web www.sindromedipoland.org
119
ASSOCIAZIONE LOTTIAMO INSIEME PER LA NEUROFIBROMATOSI - LINFA
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazionelinfa.it
102
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI SHWACHMAN - AISS
E-mail [email protected]; Sito Web www.shwachman.it
120
ASSOCIAZIONE MALATI ANEMIA MEDITERRANEA ITALIANA - AMAMI
E-mail [email protected]; Sito Web www.amamionlus.it
103
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME DI WILLIAMS - AISW
E-mail [email protected];
Sito Web www.sindromediwilliams.org
121
ASSOCIAZIONE MALATI DI CFS ONLUS - AMCFS
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazionecfs.it
122
104
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME E MALATTIA DI BEHCET - SIMBA
E-mail [email protected]; Sito Web www.behcet.it
ASSOCIAZIONE MALATI DI CHERATOCONO - A.M.C. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazionecheratocono.it
123
105
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME EEC - AIEEC
E-mail [email protected]; Sito Web www.aieec.it
ASSOCIAZIONE MALATI DI HAILEY HAILEY DISEASE - A.MA.HHD
E-mail [email protected]; Sito Web www.amahhd.it
124
106
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME INSENSIBILITÀ ANDROGENI - AISIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.sindromedimorris.org
ASSOCIAZIONE MALATI DI IPERTENSIONE POLMONARE - AMIP ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.assoamip.net
125
107
ASSOCIAZIONE ITALIANA SINDROME X FRAGILE
E-mail [email protected]; Sito Web www.xfragile.net
ASSOCIAZIONE MALATI DI PORFIRIA ONLUS - A.MA.PO.
E-mail [email protected]; Sito Web /www.amapo.it
131
132
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
126
ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE SCLERODERMIA ED ALTRE MALATTIE RARE
``ELISABETTA GIUFFRÈ`` - AS.MA.RA ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.asmaraonlus.org
143
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE DI PERSONE CON DISABILITÀ
INTELLETTIVA E/O RELAZIONALE - A.N.F.F.A.S.
E-mail [email protected]; Sito Web www.anffas.net
127
ASSOCIAZIONE MALATTIE AUTOIMMUNI RARE - A.M.A.R.
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazione-amar.org
144
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FIBROMIALGIA E ENCEFALOMIELITE
MIALGICA - A.N.FI.S.C.
E-mail [email protected]; Sito Web www.anfisc.it
128
ASSOCIAZIONE MALATTIE EPATICHE AUTOIMMUNI - AMEA
E-mail [email protected]; Sito Web www.amea-onlus.it
145
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GENITORI SOGGETTI AUTISTICI - ANGSA
EMILIA ROMAGNA
E-mail [email protected]; Sito Web www.angsaonlus.org
146
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GENITORI SOGGETTI AUTISTICI - ANGSA - LAZIO
E-mail [email protected]; Sito Web www.angsaonlus.org
147
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GENITORI SOGGETTI AUTISTICI - ANGSA - NOVARA
E-mail [email protected]; Sito Web www.angsaonlus.org
148
A.N.I.MA.S.S. ASSOCIAZIONE NAZIONALE ITALIANA MALATI DI SJOGREN
E-mail [email protected]; Sito Web www.csgalileo.com/animass
149
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ITALIANA PATOLOGIE IPOFISARIE
A.N.I.P.I.- TOSCANA
E-mail [email protected]; Sito Web www.anipi.it
ASSOCIAZIONE MALATTIE REUMATICHE DEL BAMBINO - IL VOLO
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.ilvolo.org
150
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MALATTIA DI WILSON - ANMW
E-mail [email protected]; Sito Web www.malattiadiwilson.it
ASSOCIAZIONE MIA ONLUS (EX AIM TOSCANA)
ASSOCIAZIONE ITALIANA MIASTENIA ONLUS
151
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LA LOTTA CONTRO
LA MALATTIA EMOLITICA DA DEFICIT DI G6PD - ALCMED
E-mail [email protected];
Sito Web www.deficitg6pd.it/principale/ALCMED/ALCMED.htm
152
ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER L’AUTISMO E LE MALATTIE METABOLICHE
RARE (METABOLISMO DELLE PURINE) - ANPAMM
E-mail [email protected]; Sito Web spazioinwind.libero.it/anpamm/index.html
153
ASSOCIAZIONE NEURO FIBROMATOSI - ANF
E-mail [email protected]; Sito Web www.neurofibromatosi.org
129
ASSOCIAZIONE MALATTIE METABOLICHE CONGENITE ONLUS - A.M.ME.C.
E-mail [email protected]; Sito Web www.ammec.it
130
ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE DI GROSSETO- AMARE
E-mail [email protected];
131
ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE EREDITARIE - AMRE
E-mail [email protected]; Telefono +39 0871.3556711 (c/o Palazzina Scuole Specializzazione Università “G.D’Annunzio”)
132
133
134
ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE “MAURO BASCHIROTTO”
E-mail [email protected] [email protected]
Sito Web www.lemalattierare.org
135
AMIS ASSOCIAZIONE MIASTENIA E MALATTIE IMMUNODEGENRATIVE
SICILIANA - ASSOCIAZIONE MIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.amisicilia.org
136
ASSOCIAZIONE MICROCITEMICI SIRACUSA - AMCS
Telefono +39 0931.940467
137
ASSOCIAZIONE MICROCITEMIE ED EMOPATIE DI LENTINI, CARLENTINI, FRANCOFONTE
Telefono +39 095.7832483
154
138
ASSOCIAZIONE NAZIONALE AIUTO PER LA NEUROFIBROMATOSI
AMICIZIA E SOLIDARIETÀ - A.N.A.N.A.S. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.ananasonline.it
ASSOCIAZIONE OSTEOPETROSI “AMICI DI ERIKA” ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.osteopetrosi.it
155
ASSOCIAZIONE PATOLOGIE AUTOIMMUNI INTERNAZIONALE - APAI
E-mail [email protected]; Sito Web www.assoc-apai.org
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALFA1-AT
E-mail [email protected]; Sito Web www.alfa1at.org
156
ASSOCIAZIONE PAZIENTI PARAGANGLIOMATOSI EREDITARIE E TUMORI SURRENALICI - AS.P.P.E.T.S.
E-mail [email protected]; Sito Web www.asppets.com
157
ASSOCIAZIONE PER GLI EMOPATICI “L.STURZO”
Telefono +39 0933.39350 (c/o Ospedale Gravina Caltagirone)
158
ASSOCIAZIONE PER IL BAMBINO THALASSEMICO
E-mail [email protected]; Sito Web www.bambinithalassemici.it
159
ASSOCIAZIONE PER LA LOTTA ALLA TALASSEMIA DI FERRARA - ALT
E-mail [email protected]; Sito Web www.altferrara.it
139
140
ASSOCIAZIONE NAZIONALE AT DAVIDE DE MARINI - AT DAVIDE DE MARINI
E-mail [email protected]; Sito Web www.mobilia.it/atddm
141
ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI VOLONTARIATO CORNELIA DE LANGE - CDLS
E-mail [email protected]; Sito Web www.corneliadelange.org
142
ASSOCIAZIONE NAZIONALE DISPLASIA ECTODERMICA - A.N.D.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.assoande.it
133
134
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
160
ASSOCIAZIONE PER LA LOTTA ALLA TROMBOSI - ALT
E-mail [email protected]; Sito Web www.trombosi.org
161
ASSOCIAZIONE PER LA MALATTIA DI CHARCOT MARIE TOOTH - ACMT-RETE
E-mail [email protected]; Sito Web www.acmt-rete.it
162
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE OCULARI INFANTILI - KOROS
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.korosonlus.org
163
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA ITALIANA SULLA SINDROME DI DOWN
L’AUTISMO E IL DANNO CEREBRALE - APRI
Telefono +39 051 244595 (c/o ANFASS)
164
ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA DEL BAMBINO CON MALATTIE METABOLICHE
ABM
E-mail [email protected]; Sito Web www.abm-metaboliche.it
165
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - CALABRIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
166
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - CAMPANIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
175
ASSOCIAZIONE PER LE MALATTIE DA INTOSSICAZIONE CRONICA E/O
AMBIENTALI - A.M.I.C.A.
E-mail [email protected]; Sito Web www.infoamica.it
176
ASSOCIAZIONE PER LE MALATTIE REUMATICHE INFANTILI - A.M.R.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.amri.it
177
ASSOCIAZIONE PER L’INFORMAZIONE E LO STUDIO
DELL’ACONDROPLASIA - AISAC
E-mail [email protected]; Sito Web www.aisac.it
178
ASSOCIAZIONE PER LO STUDIO DELLA SCLEROSI SISTEMICA E DELLE MALATTIE FIBROSANTI - A.S.S.MA.F.
E-mail [email protected]; Sito Web www.assmaf.org
179
ASSOCIAZIONE PER LO STUDIO DELL’EMOCROMATOSI E DELLE MALATTIE DA
SOVRACCARICO DI FERRO
E-mail [email protected]; Sito Web www.emocromatosi.it
180
ASSOCIAZIONE PIEMONTE AMICI DELLA SINDROME DI TURNER - APADEST
E-mail [email protected]; Sito Web www.malattie-rare.org/apadest.htm
181
ASSOCIAZIONE PIEMONTESE SPINA BIFIDA - A.P.I.S.B.
E-mail [email protected]; Sito Web www.apisb.it
182
ASSOCIAZIONE PREVENZIONE MALATTIE METABOLICHE CONGENITE
A.P.M.M.C.
E-mail [email protected]; Sito Web www.apmmc.it
167
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - EMILIA ROMAGNA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
183
168
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - LAZIO
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
ASSOCIAZIONE PRO THALASSEMICI
E-mail [email protected]; [email protected];
Sito Web www.prothalassemici.it
184
ASSOCIAZIONE PUGLIESE PER LA RETINITE PIGMENTOSA - A.P.R.P.
E-mail [email protected]; Sito Web www.rppuglia.org
185
ASSOCIAZIONE PUGLIESE SPINA BIFIDA E IDROCEFALO - A.PU.S.B.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.apusbi.it
169
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - LIGURIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
170
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - LOMBARDIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
186
ASSOCIAZIONE REGIONALE PER L’ASSISTENZA INTEGRATA CONTRO LA SLA
ASSISLA
E-mail [email protected]; Sito Web www.assisla.it
171
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - PIEMONTE
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
187
ASSOCIAZIONE RETE MALATTIE RARE - ARMR
E-mail [email protected]; Sito Web www.retemalattierare.it
172
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - SICILIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwillisicilia.org
188
ASSOCIAZIONE SARDA COAGULOPATICI EMORRAGICI - A.S.C.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.asce.it
189
ASSOCIAZIONE PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI
E ALLE LORO FAMIGLIE - A.P.W. - VENETO
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
ASSOCIAZIONE SARDEGNA - A.S.O.
E-mail [email protected]; Sito Web www.autismosardegna.org
190
ASSOCIAZIONE SCLEROSI TUBEROSA - A.S.T. ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.sclerosituberosa.org
ASSOCIAZIONE PER LE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE - AIP
E-mail [email protected]; Sito Web www.aip-it.org
191
ASSOCIAZIONE SINDROME DI CRISPONI E MALATTIE RARE
E-mail [email protected]; Sito Web www.sindromedicrisponi.it
173
174
135
136
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
192
ASSOCIAZIONE SINDROME DI DOWN - A.G.B.D.
E-mail [email protected]; Sito Web www.agbdverona.org
211
CDKL5 ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - CDKL5
E-mail [email protected]; Sito Web www.cdkl5.org
193
ASSOCIAZIONE SINDROME DI DOWN - A.S.D.
E-mail [email protected]; Sito Web www.downneapolis.it
212
COMITATO AURORA
E-mail [email protected]; Sito Web www.comitatoaurora.com
194
ASSOCIAZIONE SMITH MAGENIS -ASM17 ITALIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.smithmagenisitalia.info
213
COMITATO FAMIGLIE TALASSEMICI - C.F.T.
Telefono +39 055.643235 (c/o Croce d`oro)
195
ASSOCIAZIONE SPINA BIFIDA E IDROCEFALO NIGUARDA - ASBIN
E-mail [email protected]; Sito Web www.asbin.it
214
COMITATO ITALIANO PROGETTO MIELINA - CIPM
E-mail [email protected]; Sito Web /www.progettomielina.it
196
ASSOCIAZIONE SPINA BIFIDA ITALIA - A.S.B.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.asbi.info
215
CONSULTA NAZIONALE MALATTIE RARE
E-mail [email protected];
Sito Web www.consultanazionalemalattierare.it
197
ASSOCIAZIONE STUDIO MALATTIE METABOLICHE EREDITARIE
COMETA A.S.M.M.M.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.cometaasmme.org
216
ASSOCIAZIONE MALATTIE IPERBILIRUBINEMICI. - CRIGLER-NAJJAR ITALIA
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.ciami.it
198
ASSOCIAZIONE TALASSEMICI E DREPANOCITI LOMBARDI - A.T.D.L.
E-mail [email protected]; Sito Web www.atdl.it
217
DEBRA ITALIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.debraitaliaonlus.org
199
ASSOCIAZIONE THALASSEMICI OSPEDALE DEI BAMBINI DI PALERMO
E-mail [email protected]; Telefono +39 091.425551
218
FAMIGLIE DI BAMBINI CON ERNIA DIAFRAMMATICA - FA.B.E.D
E-mail [email protected]; Sito Web www.erniadiaframmatica.it
200
ASSOCIAZIONE TOSCANA EMOFILICI - A.T.E.
E-mail [email protected]; Sito Web www.ateonlus.org
219
FAMIGLIE NEUROLOGIA PEDIATRICA - FA.NE.P.
E-mail [email protected]; Sito Web www.fanep.org
201
ASSOCIAZIONE TOSCANA IDROCEFALO E SPINA BIFIDA - A.T.I.S.B.
E-mail [email protected]; Sito Web www.atisb.it
220
FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI ITALIANE SPINA BIFIDA IDROCEFALO- F.A.I.S.B.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.faisbi.it
202
ASSOCIAZIONE TRISOMIA 21 ONLUS - AT21FIRENZE
E-mail [email protected]; Sito Web www.trisomia21firenze.it
221
FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI MALATTIE RARE - FEDERAMRARE
EMILIA ROMAGNA
E-mail [email protected]; Sito Web www.federamrare.it
203
ASSOCIAZIONE VARESINA MIELOMENINGOCELE - A.V.M.M.C.
E-mail [email protected]; Sito Web www.avmmc.it
222
FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI PATOLOGIE ENDOCRINE - FEDERAPE
E-mail [email protected]; Sito Web www.federape.it
ASSOCIAZIONE VENETA IDROCEFALO SPINA BIFIDA - AVISB
E-mail [email protected]; Sito Web www.spinabifidaveneto.it
223
FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI EMOFILICI - FEDEMO
E-mail [email protected]; Sito Web www.fedemo.it
ASSOCIAZIONE VENETA PER LA LOTTA ALLA TALASSEMIA - AVLT
E-mail [email protected]; Sito Web www.avlt.it
224
FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI ITALIANE DEI PAZIENTI ANTICOAGULATI
FEDER - A.I.P.A.
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.federaipa.com
225
FEDERAZIONE FRA LE ASSOCIAZIONI PER L’AIUTO AI SOGGETTI CON LA SINDROME DI PRADER WILLI E LE LORO FAMIGLIE - F.A.P.W.
E-mail [email protected]; Sito Web www.praderwilli.it
226
FEDERAZIONE ITALIANA ASSOCIAZIONI GENITORI
ONCO-EMATOLOGIA PEDIATRICA - FIAGOP
E-mail [email protected]; Sito Web www.fiagop.it
204
205
206
ASSOCIAZIONE VITTORIO PER LA SINDROME DI MARFAN
E-mail [email protected]; Sito Web www.marfan.info
207
ASSOCIAZIONE VOLONTARIA PER LA LOTTA, LO STUDIO E LA TERAPIA DELL’ANGIOEDEMA EREDITARIO - AAEE
E-mail [email protected]; Sito Web www.angioedemaereditario.org
208
ASSOCIAZIONIE ITALIANA MALFORMAZIONI ANO-RETTALI - A.I.M.A.R.
E-mail [email protected]; Sito Web www.aimar.eu
209
AZZURRA ASSOCIAZIONE MALATTIE RARE
E-mail [email protected]; Sito Web www.azzurramalattierare.it
227
FEDERAZIONE ITALIANA DELLE ASSOCIAZIONI NEUROLOGICHE - FIAN
E-mail [email protected]; Sito Web www.fian-onlus.it
210
BAMBINI SMA RISPOSTE E TERAPIE - BSMART
Telefono +39 06.68216439
228
FEDERAZIONE ITALIANA MALATTIE RARE - UNIAMO FIMR
E-mail [email protected]; Sito Web www.uniamo.org
137
138
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
229
FEDERAZIONE ITALIANA PER LA LOTTA ALLA RETINITE PIGMENTOSA
RETINA ITALIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.retinaitalia.org
246
IL CIGNO
E-mail [email protected]; [email protected];
Sito Web www.craniostenosi-ilcigno.org
230
FEDERAZIONE MALATTIE RARE INFANTILI - F.M.R.I.
E-mail [email protected]; Sito Web www.malattie-rare.org/
247
INTERNATIONAL AICARDI-GOUTIÈRES SYNDROME ASSOCIATION - IAGSA
E-mail [email protected]; [email protected]
Sito Web www.aicardi-goutieres.org
231
FIBRODISPLASIA OSSIFICANTE PROGRESSIVA - F.O.P. ITALIA ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.fopitalia.it
248
INTERNATIONAL ASSOCIATION OF MEDICAL GENETICS - MAGI
E-mail [email protected]; Sito Web www.assomagi.org
FIBROSICISTICAITALIA.IT
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicisticaitalia.it
249
LA NUOVA SPERANZA ONLUS - LASFO
E-mail [email protected]; Sito Web www.lanuovasperanza.org
250
LEGA DEL FILO D’ORO - LFO
E-mail [email protected]; Sito Web www.legadelfilodoro.it
232
233
FONDAZIONE ITALIANA “LEONARDO GIAMBRONE”
PER LA GUARIGIONE DALLA THALASSEMIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.fondazionegiambrone.it
234
FONDO MALATTIE RENALI DEL BAMBINO
E-mail [email protected]; Sito Web www.fondomalattierenalibambino.it
251
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicistica.it
235
FORUM ASSOCIAZIONI TOSCANE MALATTIE RARE - FORUM
E-mail [email protected]; [email protected];
Telefono +39 055.4383311 (c/o Regione Toscana - Dipartimento Diritto alla Salute)
252
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC - ASSOCIAZIONE EMILIANA
E-mail [email protected] [email protected]
Sito Web www.associazionemilianafibrosicistica.it
236
GENITORI CON FIGLI AFFETTI DA DISTROFIA MUSCOLARE
DUCHENNE E BECKER - PARENT PROJECT
E-mail [email protected] [email protected]
[email protected]; Sito Web www.parentproject.org
253
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC -ASSOCIAZIONE LAZIALE
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicisticalazio.it
254
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC - ASSOCIAZIONE LUCANA
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicistica.it
GLI AMICI DI DANIELA ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.amicididaniela.it
255
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC - ASSOCIAZIONE MARCHE
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicistica.it
GRUPPO DI RICERCA PER LO STUDIO DELLE EMOGLOBINOPATIE
E MALATTIE RARE ONLUS - G.RI.S.E. ONLUS
E-mail [email protected]; Telefono +39 095.495560
256
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC - ASSOCIAZIONE MOLISANA
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicistica.it
257
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC -ASSOCIAZIONE UMBRA
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicisticaumbria.it
258
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA - LIFC - ASSOCIAZIONE VENETA
E-mail [email protected]; Sito Web www.fibrosicistica.it
259
LEGA ITALIANA FIBROSI CISTICA ONLUS- ASS.TOSC.FC.
E-mail [email protected]; [email protected]; Sito Web www.toscanafc.it
260
LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO LE EMOPATIE
E I TUMORI DELL’INFANZIA - SICILIA
Telefono +39 0934.553054
237
238
239
GRUPPO DI SOSTEGNO ANEMIA DIAMOND BLACAKFAN ONLUS - GRUPPO DI
SOSTEGNO DBA ITALIA
E-mail [email protected];
Sito Web www.diamondblackfanitalia.org
240
GRUPPO FRIULANO CISTITE INTERSTIZIALE ``A TESTA IN GIU``- GFCI
E-mail [email protected];
Sito Web www.myspace.com/associazioneatestaingiu
241
GRUPPO ITALIANO AFFETTI DALLA SINDROME DI GORLIN - G.I.A.S.GO.
E-mail [email protected]; Telefono +39 0831.734761
242
GRUPPO ITALIANO PAZIENTI FABRY - GIPF
E-mail [email protected]; Sito Web www.fabryonlus.org
261
LIBERA ASSOCIAZIONE CONTRO LA TALASSEMIA
Telefono +39 095.434123
243
GRUPPO ITALIANO PER LA LOTTA ALLA SCLERODERMIA - GILS
E-mail [email protected]; Sito Web www.sclerodermia.net
262
NAUFRAGHI DELLA VITA
E-mail [email protected]; Sito Web ilsognodeinaufraghi.it
244
GRUPPO ITALIANO PER LA LOTTA CONTRO IL L.E.S. - L.E.S.
E-mail [email protected]; Sito Web www.lupus-italy.org
263
245
I.S.I. IALINOSI SISTEMICA INFANTILE - ASSOCIAZIONE I.S.I
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazioneisi.it
ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA E IL SOSTEGNO DI FAMILIARI E AMICI DI
PERSONE AFFETTE DA SINDROME INVDUP15 (IDIC15) - NONSOLO15
E-mail [email protected]; Sito Web www.idic15.it
139
140
I MALATI RARI RACCONTANO SOLITUDINE E CORAGGIO
CONTROVENTO
264
NUOVA ASSOCIAIZONE TALASSEMICI EMOGLOBINOPATICI MICROCITEMICI
N.A.T.E.M.
E-mail [email protected]; Telefono +39 091.401198
281
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE LAZIALE
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildmlazio.org
265
ORGANIZZAZIONE AMICI DI FRANCESCA - A.DI.F.
E-mail [email protected]; Sito Web www.amicidifrancesca.it
282
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE MARTINA FRANCA
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildmmartinafranca.org
266
ORGANIZZAZIONE ITALIANA SINDROME DI CHURG STRAUSS - O.I.S.C.S.
E-mail [email protected]; Sito Web www.churg-strauss.org
283
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE PADOVA
E-mail [email protected] [email protected]; Sito Web www.uildm.org
284
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE SASSARI
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildmsassari.org
285
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE TORINO
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildmtorino.org
286
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE VERONA
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildm.org
287
UNIONE ITALIANA SINDROME DI KLINEFELTER - UNITASK
E-mail [email protected]; Sito Web www.unitask.it
288
VIVA LA VITA ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.wlavita.org
289
VIVI DOWN ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SCIENTIFICA E PER LA
TUTELA DELLA PERSONA DOWN - VIVI DOWN
E-mail [email protected]; Sito Web www.vividown.org
267
PKU COMETA SICILIA
Sito Web www.pkusicilia.org; cell. 3477515659
268
PRIVATA ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LA RICERCA DI CURE EFFICACI
CONTRO LA MUCOVISCIDOSI ( O FIBROSI CISTICA) - PRANACERM ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.pranarcem.it
269
PRO RETT RICERCA
E-mail [email protected]; Sito Web www.prorett.org
270
PROGETTO ALICE ONLUS - ASSOCIAZIONE PER LA LOTTA ALLA SEU
E-mail [email protected]; Sito Web www.progettoalice-seu.org
271
R.P. ITALIA - ASSOCIAZIONE PER LA RETINITE PIGMENTOSA
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazioni.milano.it/itsos/rpitalia
272
RAGGIUNGERE - ASSOCIAZIONE ITALIANA BAMBINI
CON MALFORMAZIONE AGLI ARTI
E-mail [email protected]; Sito Web http://www.raggiungere.it
273
SCUDO AMICO - S.A.
E-mail [email protected]; Sito Web www.associazioni.prato.it/scudoamico
274
SINDROME E.E.C. INTERNATIONALN NET.WORK WORD COMMUNICATION ONLUS
E-mail [email protected]; Sito Web www.sindrome-eec.it
275
UNIONE ITALIANA ITTIOSI - UNITI
E-mail [email protected]; Sito Web www.ittiosi.it
276
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE BRESCIA
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildm.org
277
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
DIREZIONE NAZIONALE
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildm.org
278
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE BERGAMO
E-mail [email protected]; Sito Web www.distrofia.net
279
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE CATANZARO
E-mail [email protected]; Sito Web www.uildmchiaravalle.com
280
UNIONE ITALIANA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE - UILDM
SEZIONE DI UDINE
E-mail [email protected]; Sito Web digilander.libero.it/uildmudine
141
Servizio a cura del Centro Nazionale Malattie Rare che permette di ricevere informazioni
personalizzate su presidi, associazioni, esenzione.
Il numero è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 9,00 alle ore 13,00.
Finito di stampare nel mese di febbraio 2011
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A Massimo e al piccolo Marcello, con me durante questo lungo