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bozza 27 giugno 2014!
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L’ordine rituale!
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Gianpiero Vincenzo!
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appunti cattedra Discipline Sociologiche!
Accademia di Belle Arti di Catania!
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PREMESSA!
3!
SULLA NOZIONE DI RITUALE!
4!
RITUALI E NARRAZIONI!
6!
LA SEMIOSFERA DELLA CULTURA!
8!
ANOMIA E ALIENAZIONE!
11!
SCHEMI DI RIFERIMENTO!
13!
MERCATI RITUALI!
19!
APPENDICE: ipotesi di principi dell’ordine rituale!
21!
BIBLIOGRAFIA!
22
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PREMESSA!
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Il presente testo intende completare il precedente New Ritual Society, sviluppando e
precisando alcune delle premesse teoretiche presenti nel precedente lavoro. Quindi a
quello si riferisce per quanto riguarda la presentazione degli argomenti e la maggior parte
delle indicazioni bibliografiche. D’altra parte lo sviluppo della nozione di rituale in quella
sede avrebbe notevolmente appesantito un’analisi che intendeva principalmente mostrare
come il consumismo stesso avesse fatto abbondantemente uso di rituali per affermarsi
come stile di vita dominante della società contemporanea. Lo studio dei rituali consumistici
costituisce anche un ottima introduzione alla comprensione di una nozione di rituale che
sia più ampia di quella solitamente utilizzata. L’obiettivo principale del presente opuscolo è
quello di fornire un maggiore supporto teorico ai precedenti lavori, e di individuare il ruolo
che l’ordine rituale ha assunto nel mondo contemporaneo.!
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3
SULLA NOZIONE DI RITUALE!
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Il comportamento umano si basa si azioni ripetitive o comunque riconducibili a schemi di
comportamento ben definiti e difficilmente modificabili. Il termine latino ritus è collegato
direttamente al sanscrito Ṛta con cui si intende l' “ordine cosmico” così come
l'associazione tra il rito sacrificale e i simboli strettamente associati ad esso. Il termine
ritrova nei Veda più antichi e prelude al termine più diffuso, e successivo, di Dharma,
“Legge”.!
La sociologia ha più volte rilevato l’importanza dei rituali anche nelle società moderne. Lo
stesso Comte aveva elaborato un modello di rituale civile che sarebbe dovuto essere la
base per il superamento di quelli religiosi. In realtà molti aspetti del rituale positivista di
Comte sono effettivamente entrati a far parte delle cerimonie civili.1 Più recentemente,
Erving Goffmann ha osservato come anche elementi minimi del comportamento umano,
come per esempio le piccole interazioni faccia a faccia quotidiane, seguissero in realtà
uno schema altamente formalizzato. Dopo di lui si è sviluppata una microsociologia dei
comportamenti quotidiani che ha contribuito ad allargare ulteriormente il concetto di rituale. !
In tal modo si è potuto individuare come la maggior parte delle azioni umane sia in
qualche modo legata a schemi di comportamento in qualche modo innati. !
In questa prospettiva il ritualismo deve essere considerato come una naturale propensione
umana, passibile di un più articolato sviluppo degli istinti animali, ma pur sempre necessari
per un’esistenza equilibrata. Si può ipotizzare l’esistenza di una grammatica generativa dei
simboli, così come ne è stata indicata una per il linguaggio.2 Questo spiegherebbe, tra
l’altro, anche la diffusione di simboli analoghi in tutte le civiltà del pianeta, al di là delle
differenze formali. Una delle peculiarità umane sarebbe da ritrovarsi proprio nella capacità
di elaborazione di simboli e rituali, da altri simboli e rituali, attraverso un processo che si
avvicina a quello delle rappresentazioni sociali descritte da Serge Moscovici.3 In tale
prospettiva sarebbe appropriato anche muoversi all’interno di una più specifica etologia
umana.!
1
Si veda New Ritual Society, p. 37 sgg.
2
Una teoria della grammatica generativa è stata presentata in particolare da Noam Chomsky a partire dalla
fine degli anni Cinquanta.
3
Anche per questo si rimanda al nostro New Ritual Society, cit. p. 67 sgg.
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4
La vecchia contrapposizione tra empirismo e innatismo è oggi senz’altro superata. I
tentativi del behaviorismo di ricondurre ogni comportamento a semplici collegamenti
stimolo-reazione che si formano attraverso l’esperienza, possono considerarsi falliti.
Il nostro sistema nervoso centrale non viene riempito di contenuti solo attraverso le
percezioni sensoriali. Esso, al contrario, è predisposto a percepire, e dunque non è
una tabula rasa. Il behaviorismo sopravvive tuttavia nelle idee di molti profani e le
sue tesi semplicistiche sono accolte da una certa parte delle pedagogia, psicologia e
sociologia.4!
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Il rito non può però essere separato dal simbolo cui fa riferimento. Abbiamo già ricordato
come il termine simbolo derivi dal greco symballo, “mettere insieme”, inteso come
rappresentazione del legame che unisce questo mondo ai mondi superiori.5 Ogni simbolo
quindi richiede anche una dottrina che ne permette l’interpretazione, qualora non risulti
immediata. Spesso a tali dottrine è stato attribuito un significato “esoterico” o “ermetico”,
termini che al di là del loro significato etimologico sono andati a rappresentare la crescente
difficoltà di interpretare alcuni simboli e quindi il loro accantonamento o la loro sostituzione
con altri di più semplice accesso. In epoca moderna, alle diverse dottrine tradizionali si è
sostituito l’insieme più generale dei “valori”, alcuni dei quali percepiti come “universali”,
come per esempio quelli che derivano dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
del 10 dicembre 1948. !
Specifici riti, simboli e valori costituiscono un insieme coerente, un ordine rituale.6 Un
rituale senza una relazione con simboli e valori non è quindi un rituale, ma una semplice
abitudine. Al di fuori di un ordine rituale, quindi, non vi sono che oggetti senza valore
simbolico, abitudini senza carattere rituale e opinioni che non rappresenta valori condivisi,
vale a dire elementi che svolgono un ruolo sociale, ma con minore rilevanza individuale e
collettiva.
4
Irenäus Eibl-Eibesfeldt, Die Biologie des menschlichen Verhaltens Grundriss der Humanethologie, Piper,
München 1984, trad. it. Etologia umana, Le basi biologiche e culturali del comportamento, Bollati Boringhieri,
Torino 1993, p. 380.
5
Si veda ancora New Ritual Society, p. 47, sgg.
6
Rifacendosi a Durkheim, il concetto di ordine rituale è stato recentemente proposto da Bergesen Albert,
The Ritual Order, in Humboldt Journal of Social Relations, 25, pp. 157-197. Bergesen riferisce l’ordine rituale
all’intera società, mentre da parte nostra è molto più utile da punto di vista sociologico considerare l’ordine
rituale di un ambito più ristretto e coerente di rituali personali e collettivi, come nel caso dei rituali agatini. Vi
sono state epoche in cui l’ordine rituale particolare e generale coincidevano, laddove tutto il sistema rituale
coincideva con un unico ordine sociale, come nella società romana arcaica, per esempio. Tuttavia, il
dinamismo della società contemporanea non consente una tale generalizzazione. Più agevole risulta, allora,
il concetto di semiosfera, all’interno della quale si muovono di diversi orizzonti rituali e di senso, come
indichiamo di seguito.
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5
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RITUALI E NARRAZIONI!
Se il rituale può essere considerato la messa in azione di un simbolo, i valori emergono da
quelle che possono essere considerate le “istruzioni per l’uso” dei rituali, vale a dire le
dottrine e soprattutto le narrazioni. I valori corrispondono a termini di orientamento delle
scelte, come li intendeva Weber, tuttavia la loro stessa espressione è ritualizzata, spesso
sotto l’aspetto di narrazioni. !
Senza una narrazione condivisa, infatti, il rituale si presenta come vuoto e può facilmente
essere messo in discussione e sostituito da altre forme di ritualizzazione. D’altra parte gli
antichi miti non sono altro che narrazioni che pongono le premesse per la comprensione
dei simboli e di conseguenza dei rituali.!
I testi sacri, le narrazioni più antiche, favole, inni e poesie, fanno parte di un corpus di testi
che esprimono, tra l’altro, il carattere dei rituali e i valori che devono essere ad essi
collegati. Nella tradizione greca, le opere di Omero e di Esiodo vanno a costituire un
corpus destinato a fornire la base per l’articolazione dell’intero universo simbolico e
mitologico di una civiltà. La narrazione svolge un ruolo fondamentale nella costituzione di
un ordine rituale, anche perché essa stessa è un rituale, chiamato a svolgere insieme agli
altri un ruolo antianomico. Di fronte alla morte, infatti, la narrazione ha il compito di
spostare l’attenzione dal lutto ai doni delle dee: miti, simboli e rituali.!
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E se c’è qualcuno che per gli affanni, nel petto recente di lutto,!
dissecca nel dolore il suo cuore, un aedo!
delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi!
celebra e gli dei beati signori d’Olimpo,!
subito egli scorda i dolori, né i lutti!
rammenta perché presto lo distolgono i doni delle dee!
(Teogonia, vv. 98 sgg.)!
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La lettura è un’attività fortemente ritualizzata. E d’altra parte i testi sacri e le più antiche
narrazioni hanno avuto spesso una forma poetica e sono sempre stati cantati. Canto e
danza si intrecciano così alla narrazione e all’espressione ritualizzata dei valori religiosi e
sociali.!
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6
Ne Le Etiopiche di Eliodoro, unico romanzo greco pervenuto integralmente, la storia
stessa sembra asservita al bisogno dei diversi personaggi di raccontare le storie più
significative dei loro differenti paesi, in massima parte descrizioni di processioni rituali
collettive. Il libro celebra così la sostanziale affermazione dell’unità dei valori della
semiosfera della cultura ellenistica, a dispetto dell’apparente diversità delle forme. I valori
possono quindi essere considerati come la concettualizzazione dei rituali, ma allo stesso
tempo è quasi del tutto impossibile la trasmissione di valori al di fuori del contesto rituale di
cui sono espressione. Una trasmissione del tutto concettualizzata avrebbe infatti l’effetto di
apparire vuota e intellettualistica, analogamente a come si presentano i rituali quando non
sono accompagnati dai valori corrispondenti.!
La narrazione svolge un ruolo fondamentale per orientare quelle “attese collettive” cui
faceva riferimento Mauss. Senza un’adeguata narrazione nuove rappresentazioni non si
possono affermare a livello collettivo per mancanza di comprensione dei loro aspetti
simbolici fondamentali. D’altra parte le narrazioni hanno accompagnato ogni stagione di
trasformazione sociale anche in epoca recente. L’avvento della società borghese, i suoi
salotti, i suoi nuovi modi di corteggiamento, le sue nuove regole rituali, sono state
accompagnate anche da una profonda trasformazione delle narrazioni, con l’invenzione
del romanzo borghese che ha avuto un ruolo fondamentale per la diffusione dei nuovi
valori individualistici. Una lettura sociologica della narrazione - letteratura, teatro, e oggi
cinema - è di grande aiuto per la comprensione delle tappe dell’affermazione dei nuovi
rituali sociali.
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LA SEMIOSFERA DELLA CULTURA!
I rituali si orientano, quindi, all’interno della semiosfera della società, collocandosi in
diverse posizioni, dal centro alla periferia, a seconda del loro carattere e dei gruppi che vi
si riconoscono.7 Ogni ordine rituale si riflette ed è influenzato dagli altri valori, dai simboli e
dai rituali che si ritrovano all’interno della semiosfera, secondo una catena di interazioni
che permea tutto il tessuto sociale.8!
Secondo il semiologo e linguista russo Jurij Lotman (1922-1993), infatti, la cultura ha un
carattere globale e unitario, fondato essenzialmente sulla memoria, una “memoria non
ereditaria della collettività”.9 La cultura elabora le informazioni e le conserva, in un
continuo processo di codifica e decodifica di segni, messaggi, azioni e oggetti. Lotman
definisce la cultura come l’ambito della semiosfera, vale a dire il complesso dei sistemi di
segni che hanno senso solo nella in reciproca coesistenza e corrispondenza. Si tratta di
un approccio del tutto diverso da quello di studiosi come Ferdinand de Saussurre
(1857-1913) e gli esponenti della scuola di Praga, da una parte, e degli statunitensi
Charles Peirce (1839-1914) e Charles Morris (1901-1979) dall’altra. In entrambi questi
casi, infatti, si partiva dall’analisi delle unità minime del processo comunicativo per la
comprensione di strutture linguistiche più complesse. Prima di Lotman, insomma, si
procedeva dall’elemento atomico e tutto ciò che veniva dopo era considerato in rapporto
con questo. !
L’intero spazio semiotico di una cultura è la semiosfera. Si tratta di uno spazio
asimmetrico, nel senso che continuamente mette in atto operazioni di traduzione da un
linguaggio all’altro, poiché i linguaggi sono per loro natura asimmetrici, vale a dire che non
comportano una perfetta simmetria di significati. In tal senso, quindi, la semiosfera è
7
Lotman, Jurij M. e Uspenskij, Boris A. (1971), Sul meccanismo semiotico della cultura, [originale: O
semiotičeskom mechanizme kul’tury, in Trudy po znakovim sistemam, V, Tartu, 1971, pp. 144-166], trad. it. in
Tipologia della cultura, Bompiani, Milano 1975, p. 43. Secondo Lotman le frontiere fra differenti culture o
semisfere assumono un’importanza determinante nei cambiamenti culturali, ma sono pur sempre gli
elementi che si trovano al centro della semiosfera a caratterizzare una specifica cultura.
8
Collins affronta in maniera sistematica l’aspetto della concatenazione di rituali: Randall Collins, Interaction
Ritual Chains, Princeton University Press, 2004. Senza un legame più stretto con simboli e valori, però, il
concetto di rituale rischia di divenire troppo ampio e, quindi, inutilizzabile. Collins, per esempio, ritiene che la
semplice aggregazione di più persone, sottoposte a una forte ondata emotiva, possa dar vita a un rituale.
molto più facilmente, invece, in una situazione del genere possono emergere i diversi ordini rituali dei
partecipanti e crearsene di nuovi, sulla base dei precedenti.
9
Lotman, Jurij M. e Uspenskij, Boris A. (1971), Sul meccanismo semiotico della cultura, [originale: O
semiotičeskom mechanizme kul’tury, in Trudy po znakovim sistemam, V, Tartu, 1971, pp. 144-166], trad. it. in
Tipologia della cultura, Bompiani, Milano 1975, p. 43.
!
8
anche un continuo generatore di informazioni. Al centro della semiosfera c’è la lingua
principale della cultura a cui la stessa semiosfera fa riferimento, insieme ai linguaggi più
strutturati e formalizzati. Diametralmente opposto al centro è quindi il confine della
semiosfera, che tuttavia è altrettanto rilevante, perché a separa dall’esterno.!
Ogni spazio muta la propria geografia interna attraverso l‘azione di una specifica
semiosfera. Tuttavia, più si moltiplicano i linguaggi e i codici, più uno specifico ambito di
significato si contrae. Lo si vede con l’arte del XX secolo: la diversità dei sistemi semiotici
in una determinata cultura è relativamente costante. Ogni linguaggio si muove all’interno di
uno specifico spazio e in funzione di esso.!
Al centro della semiosfera, le sezioni che avanzano la pretesa di rappresentazione
generale diventano sempre più rigide e autoreferenziali. Alla periferia, al contrario, le
relazioni tra pratiche e significati, da una parte, e le norme che dovrebbero regolarli, si
fanno più elastiche e sfumate. È l’area del dinamismo semiotico.!
Il campo artistico è emblematico al riguardo, laddove la periferia dell’arte è sempre più
rivoluzionaria del centro ed in genere è il luogo dove si consolidano nuove pratiche
estetiche. Si tratta dello spazio della polisemia, della coesistenza dei contrari, del luogo
dove il noi e il loro si scontrano e si uniscono. Tramite le attrazioni che si generano lungo
le linee di confine, differenti sub-semiosfere possono andare a far parte di una semiosfera
più grande e comprensiva. !
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Since in reality no semiosphere is immersed in an amorphous, “wild” space, but is in
contact with other semiospheres which have their own organisation (though from the
point of view of the former they may seem unorganised) there is a constant
exchange, a search for a common language, a koine, and of creolised semiotic
systems come into being.10!
Lotman pone come esempio di sviluppo storico della semiosfera la penisola italiana. A
partire dalla fine dell’età romana l’Italia è stata a lungo oggetto di ondate invasioni che
hanno visto affacciarsi nel paese gli Unni, i Goti, gli Ostrogoti, i Bizantini, I Longobardi, I
Franchi, gli Arabi, i Normanni, i Magiari. Apparentemente divenne solo un luogo di
passaggio, perdendo la sua identità culturale, così come il suo antico diritto unitario. Ma
allo stesso tempo divenne ricettiva di quanto si andava elaborando proprio dal punto di
vista culturale in tutta l’area del Mediterraneo. La Provenza, per esempio, tra XI e XII
secolo era divenuto un centro di produzione culturale. Analogamente, la Sicilia aveva visto
nascere una originale cultura a metà strada tra la Spagna e Bisanzio. L’Italia divenne
Lotman Yuri (1990), Universe of The Mind, a Semiotic Theory of Culture, Tauris, London,
p. 142.
10
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9
molto ricettiva da questo punto di vista. La cultura trobadorica e la poesia islamica
venivano attentamente studiate e riproposte. Liriche, canzoni e sonetti si diffusero in tutto il
paese. La lingua provenzale era parlata correntemente, al punto che alcune delle
grammatiche più antiche furono composte in Italia. Anche l’arabo, almeno fino a Petrarca,
era ben conosciuto negli ambienti letterari. Si iniziò un uovo processo di sintesi giuridica e
normativa. Testi e culture apparentemente in conflitto tra loro confluirono nella Penisola,
diedero vita a una semiosfera originale, che nei secoli successivi divenne un modello da
esportare in tutti i paesi europei, frutto di un lungo periodo di ricezione e di saturazione di
stimoli esterni (Lotman 1984).!
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10
ANOMIA E ALIENAZIONE!
Il concetto di anomia implica una soglia minima di rituali e valori al di sotto della quale si
cade in uno stato di alterazione dell’equilibrio sociale e individuale. Le persone tendono a
mantenersi al di sopra della soglia minima, attingendo all’insieme di rituali disponibili
all’interno di una specifica semiosfera. !
Parallelamente si può considerare anche lo stato di eccesso rituale che si può realizzare,
per esempio, quando le persone sono sottoposte a rituali di potere e sono nella posizione
di assunzione di ordini. Un tale stato può essere definito come alienato, che intendiamo
nel senso di “essere altro”. Potremmo definire l’alienazione come quella sensazione di
disgusto che si prova a doversi cibare di pietanze non gradite.!
Così come l’anomia, anche l’alienazione corrisponde a uno stato di disequilibrio a cui
l’individuo tende a reagire. All’alienato si aprono tre vie possibili di uscita. In primo luogo
può far propri i simboli e rituali cui è sottoposto. Si tratta di una situazione in cui il
prigioniero, per esempio, arriva a condividere i modi d’azione dei suoi aguzzini, ragion per
cui, se ne avrà occasione, riverserà su altri le stesse pratiche sgradevoli cui è stato
sottoposto. Un comportamento del genere si osserva nel caso di quei particolari rituali
d’ingresso in gruppi giovanili e militari conosciuti come “nonnismo”, durante i quali le
giovani reclute sono sottoposte ad atti degradanti, ma non esistano a comportarsi in
maniera analoga quando a loro volta sono entrati a far parte del gruppo e si rivolgono a
nuove reclute o adepti. Questo comportamento corrisponde a quello che Albert K. Cohen
definiva college-boy (Cohen 1955).!
Vi è una seconda prospettiva, dove non si arriva all’identificazione con la cultura
dominante e nemmeno alla reazione negativa. Una delle risposte più comuni
all’alienazione è probabilmente quella che Cohen definiva corner-boy, vale a dire
l’emarginazione dalla cultura dominante e lo sviluppo di un universo di sottoculture. In un
certo senso si accetta l’egemonia culturale vigente e ci si ritaglia un mondo parallelo,
spesso influenzato dai valori dominanti, ma non tanto da poter essere completamente
assimilato ad essi. Ogni tanto possono essere messe in atto delle tattiche di difesa contro
la cultura egemone, ma in definitiva quel tanto che basta perché i suoi rituali non siano
troppo invasivi, non si moltiplichino le situazioni alienanti e di conseguenza non si innalzi
troppo il tasso generale di alienazione. Marcuse utilizza il concetto di alienazione anche in
relazione all’alta cultura, nel senso della consapevolezza dell’esistenza alienata, del
!
11
distacco dal mondo della bassa cultura, della volontà di collocarsi ai margini di un universo
culturale non condiviso. La sottocultura è quindi un’alienazione di passaggio, fino alla
creazione di un nuovo equilibrio culturale. Anche se si può tornare a parlare di alineazione
ogni qualvolta si è costretti a sottostare agli imperativi della cultura dominante.!
Infine, vi è la reazione contro i simboli e valori dominanti. Cohen definiva questa
prospettiva come quella del delinquent-boy. In realtà il termine in questo caso è riduttivo,
poiché non si possono ricomprendere in questo ambito solo coloro che si scagliano contro
la cultura dominante con atti di vandalismo, per esempio, ma anche tutti quelli che
organizzano una vera e propria sovversione dell’ordine vigente, vale a dire i rivoluzionari,
gli innovatori, gli stessi profeti. La differenza tra questi e i vandali metropolitani consiste
nell’incapacità di questi ultimi di andare oltre la mera reazione violenta contro i simboli e gli
idoli della cultura egemone, senza la capacità di proiettare un effettivo nuovo orizzonte
rituale sulla società. Gli stessi movimenti fondamentalisti possono essere collocati in
quest’ambito, anche perché la loro diversità valoriale è spesso illusoria, in quanto essi
manifestano in definitiva gli stessi valori della cultura dominante, solo che lo fanno
attraverso forme ritualistiche differenti. Anche la distinzione tra sedentari e nomadi
introdotta dal protosociologo tunisino Ibn Khaldun appartiene a questa prospettiva
alienata. I nomadi, infatti, non condividono i valori della società sedentaria e si collocano ai
suoi margini, come nel caso dei Rom europei, per esempio. Tuttavia, in occasione delle
cicliche crisi delle società sedentarie, i nomadi posso tentare di affermare i loro valori
culturali, fondati sulla solidarietà di gruppo, la asabiyya, rinnovando così l’intero ordine
sociale.!
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12
SCHEMI DI RIFERIMENTO!
Il concetto di densità rituale non è stato impiegato sovente in sociologia delle religioni a
dispetto dell’evidenza della grande differenza dei rituali presenti in determinate epoche e
società (Bell 1997). Secondo la nostra ipotesi, la densità rituale è relativamente costante,
in virtù di una dimensione innata del ritualismo umano. Quello che cambia è il suo
carattere. Per esempio, Mary Douglas ritiene che vi siano società senza rituali, basandosi
prevalentemente sull’esempio dei pigmei africani (Douglas). Ma un’analisi più attenta di
Forest People di Colin Turnbull, cui la stessa Douglas fa riferimento, rivela che invece i
pigmei hanno un’intensissima attività rituale, sebbene di carattere molto diverso da quella
dei popoli Bantu circostanti (Turnbull 1961).!
A parità di densità rituale quello che varia fortemente è il carattere dei rituali. I maggiori
cambiamenti si registrano lungo l’asse che potremmo definire della “reificazione” dei
simboli, reificazione che va di pari passo insieme alle narrazioni e alle relative
ritualizzazioni. Il fenomeno si può sintetizzare in prima istanza come l’esistenza di una
serie di livelli che vanno dalla dimensione metafisica e universale, fino a una prospettiva di
carattere materiale e individuale. Sul piano della narrazione si può partire dai miti fino ad
arrivare ai moderni romanzi borghesi e analogamente si può fare per quanto riguarda
simboli e riti.!
Le lacune che si portano alla densità rituale devono essere colmate, pena la caduta in una
dimensione anomica. Per questo i vuoti tendono a essere colmati partecipando a rituali,
vecchio o nuovi, attingendo dalla gamma presente in una determinata cultura, all’ “offerta
rituale” di una specifica società. La nostra prospettiva parte dal fatto che esistono rituali a
tutti i livelli, dal più universale al più materiale, e che in una stessa esistenza particolare
spesso comprende la partecipazione a forme molto diverse tra loro per narrazione e,
quindi per carattere.!
Se tutti i rituali contribuiscono alla densità rituale, tuttavia non tutti i rituali hanno i
medesimi effetti sul piano della socializzazione. Utilizzando il concetto di energia emotiva
(EE) elaborato da Randall Collins, si potrebbe affermare che a parità di densità rituale, una
caratterizzazione di tipo materiale e individuale è in grado di fornire una minore energia
emotiva, soprattutto considerando quella a lungo periodo. Anche il grado di
socializzazione può influire sull’efficacia dei rituali. Persone che sono collocate in
posizione periferica, rispetto alla cultura dominante, possono avere un diverso
coinvolgimento emotivo, rispetto a quelle collocate in posizione più centrale. Lo “spirito di
!
13
corpo”, ‘Asabiyya, introdotto da Ibn Khaldun, implica una solidarietà naturale verso il
gruppo di appartenenza e i leaders che lo rappresentano, laddove nelle società moderne,
a partire da Hobbes in poi, è soprattutto l’uso “legale” della forza a costituire la premessa
per una coesione all’interno dello Stato. Si assiste quindi a uno spostamento, inteso in
termini tönniesiani, dalla comunità verso la società. La solidarietà, in pratica, non è sempre
la stessa. Anche Durkheim aveva distinto tra diversi gradi di solidarietà, meccanica e
organica, a seconda che si si trovi all’interno di società semplici oppure complesse.!
Un’analisi in cui rientrano gli elementi della narrazione e della coesione sociale è quella
che ha condotto al celebre schema grid/group di Mary Douglas (1970). Lo schema mette a
frutto l’esperienza dell’antropologa britannica in Africa e il suo interesse per i rituali, anche
se l’approccio resta comunque legato a una visione del rituale limitata all’aspetto
normativo. In questo si segue la prospettiva durkhemiana secondo la quale il fatto sociale
si risolve in qualcosa che eserciti sull’individuo una costrizione esteriore. Il rito
corrisponde, così, alle norme che lo regolamentano all’interno di una società o di un
gruppo. È così che alcune società appaiono come rituali, mentre altre non lo sono, come
in particolare la società dei pigmei. Anche questo caso è la visione normativa a impedire di
cogliere il valore rituale di una tradizione nella quale rituali d’iniziazione, canti e danze
scandiscono la vita quotidiana, pur senza avere alle spalle un corrispettivo di norme
precise e cogenti (Turnbull 1961).!
In tale prospettiva, Mary Douglas individua due assi principali, quello della coesione di
gruppo e quella della regolamentazione sociale. Quest’ultimo, in particolare, era il frutto di
una collaborazione con Basil Bernstein, sociologo inglese e collega della Douglas
all’University College di Londra, che aveva introdotto i concetti di famiglia “posizionale” e di
famiglia “personale”. Laddove la vita della prima era fondata su rigide regole, mentre nella
seconda vi era un ampio ricorso alla contrattazione interpersonale. Questa distinzione
condusse all’elaborazione dell’asse verticale dello schema, grid, relativo appunto alla
minore o maggiore forza classificatorio del contesto sociale. Anche l’asse orizzontale, che
misurava la forza del gruppo era comunque visto non tanto in quanto aggregazione
spontanea o naturale, ma in quanto più o meno forte presenza di norme per la definizione
dell’inclusione dei membri ed esclusione degli estranei. !
Ne risultavano quattro quadranti, all’interno dei quali si collocavano i quattro maggiori tipi
sociali individuati non tanto dai comportamenti di consumo, come nel modelli VALS,
quanto piuttosto nei comportamenti ritualizzati, ovvero nella maggiore e minore
normazione sociale. Partendo dall’alto a destra (+grid/+group) e procedendo in senso
!
14
orario: Gerarchici, Egalitari, Individualisti e Fatalisti. Il seguente è uno schema risultante
dall’applicazione del modello.!
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Dal nostro punto di vista, una distinzione tra gruppo alto e basso non tiene conto della
differenza tra comunità e società, tra spirito comunitario e dinamiche societarie. Se ciò che
lega la comunità è principalmente lo scambio, vi sono associazioni fortemente orientate
allo scambio economico - come i circoli di industriali e professionisti - che non
necessariamente condividono una dimensione comunitaria, caratterizzata invece dalla
solidarietà, da vincoli di sangue, di amicizia e di vicinato. L’asse orizzontale, quindi,
andrebbe riformulato in modo che, convenzionalmente, alle ascisse corrispondano la
comunità in senso positivo, e la società, in senso negativo. Più ci si avvicina allo zero,
quindi, meno ci si trova in presenza di spirito comunitario o di società, sempre intendendo i
due termini nel senso di Tönnies. Laddove al centro dello schema della Douglas c’erano
gli “eremiti” qui si troveranno piuttosto gli isolati. Analogamente, non ci si sarà la !
15
compresenza all’interno di uno stesso quadrante di organizzazioni come le imprese
commerciali e la Chiesa cattolica, analogia stridente. per quanto vi possano essere
organizzazioni religiose, anche interne alla Chiesa Cattolica, che possano avere interessi
commerciali analoghi a quelli delle aziende industriali, così come vi sono edifici
ecclesiastici che sono molto più simili a centri commerciali che ad antichi edifici di culto.
Ne risulta quindi uno schema come quello qui di seguito. Un alto grado di comunità
tenderebbe a escludere un elevato fattore di società e viceversa. La compresenza dei due
elementi all’interno di una stessa organizzazione diventa problematica, poiché produce
conflittualità che possono portare alla scissione in due distinti gruppi sociali oppure al
reciproco annullamento. !
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società
comunità
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circoli
squadre di
industriali!
calcio!
esercito!
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enti
caritatevoli e
religiosi!
tifosi di calcio!
famiglie
tradizionali!
Anche l’asse delle ordinate è suscettibile di essere rivisto all’interno
del modello dell’ordine rituale. La progressiva elaborazione dei codici linguistici, prodotta
dalla divisione del lavoro e dalle società complesse, non sembra essere di immediata
utilità per analizzare le differenze di carattere dei rituali sociali. Preferiamo quindi utilizzare
la distinzione delle diverse fasi della crescita dei bambini, così come evidenziate nel
fondamentale libro di Jean Piaget, La rappresentazione del mondo del fanciullo (1926). A
una lettura attenta del lavoro, le tre tappe dello sviluppo infantile corrispondono a tre
precisi modi di rappresentazione che si ritrovano anche in età adulta, poiché
corrispondono a tre differenti modi di interpretazione della realtà simbolica del mondo. La
prima fase (5/6 anni) potrebbe essere definita come “metafisica”, nel senso che il bambino
attribuisce una valenza universale ai simboli e alle cose, anche perché a questa età non
c’è nemmeno una piena differenza tra cose e simboli, nel senso che ogni aspetto del
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16
mondo viene colto nella sua dimensione universale. A questa età, alla domanda
dell’autore: “da dove viene il nome del sole?”, la risposta sarà “dal cielo”. Alla domanda:
“come è cominciato questo nome?”, la risposta potrebbe essere: “da una lettera”. Il nome
ha quindi un carattere sacro, come in tutti gli antichi testi: nomen numen. Il nome è nelle
cose, rappresenta la loro stessa essenza. Non è ancora il nome della cosa particolare, ma
il nome dell’idea della cosa, della cosa nella sua universalità. la prima fase del bambino è
naturalmente platonica. L’essenza del nome si esprime attraverso la tautologia originaria.!
Domanda: “Da dove viene il nome delle nubi?”!
Risposta: “Il nome? Il nome è il nome!”.!
Durante un secondo stadio della sviluppo il bambino sostiene che il nome delle cose ci è
stato dato da Dio. E quindi esiste una categorizzazione divina del mondo. La seconda fase
è di carattere quindi più teologico che metafisico, più aristotelico che platonico. Infine, dai
9 ai 10 anni, il bambino impara che i nomi delle cose sono stati tramandati da padre in
figlio, viene meno l’istinto etimologico e si occupa meno dell’origine stessa dei nomi,
accontentandosi di una spiegazione di ordine più materiale. Questa fase può essere
definita come appunto materiale, oppure anche positivista, in accordo con la definizione
delle tre fasi data nel 1824 da Auguste Comte nel suo Piano dei lavori scientifici necessari
per riorganizzare la società, oppure ancora “reificata". Da parte nostra abbiamo solo
invertito la prima e la seconda fase, poiché ci sembra più evidente nello sviluppo del
bambino un esordio di carattere metafisico, così come si ritrova anche nella storia delle
religioni, dove la teologia si affaccia solo in epoca molto recente ed in alcune tradizioni
religiose, come l’induismo per esempio, non ha nemmeno mai preso forma.!
Alle tre fasi corrispondono diversi gradi di universalità della narrazione che orienta simboli
e rituali. L’universalità è anche in diretto rapporto con il grado di efficacia dei rituali, la loro
capacità di generare coesione e appagamento di lungo periodo, nonché di innescare un
“effetto Diderot”, vale a dire un effetto a catena che spinga in direzione di una maggiore
coerenza all’interno dell’universo simbolico in cui operano i diversi rituali. L’universalità
delle narrazioni distribuisce lungo l’asse delle ordinate i gruppi sociali indicati nella figura
precedente. In questo modo si riformuleranno anche una serie di opposizioni sociali, come
quella tra grandi uomini spirituali (San Francesco, Madre Teresa di Calcutta) e
corporations e speculatori d’assalto, come risulta evidente dalla figura seguente.!
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metafisica
èlite spirituali (grandi
papi, grandi leader
religiosi, santi come
San Francesco, ecc.)
teologica
papi, vescovi, imam,
rabbini
positiva
intellettuali laici, leader
industriali, ecc.
Secondo Ibn Khaldun, nella parte alta sono da collocare sicuramente i popoli nomadi, i
quali hanno un grado di universalità maggiore di quelli sedentari. I nomadi esprimono la
dimensione universale originaria, quella più vicina alla sensibilità infantile, per intendersi,
quella stessa a cui faceva riferimento il Cristo. !
E Gesù, chiamato a sé un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro e
disse: “in verità vi dico: se non vi convertirete e non diventate come piccoli
fanciulli, voi non entrerete affatto nel Regno dei cieli ( Matteo, 10, 2-3).!
Ancora secondo il sociologo tunisino, la condizione spirituale dell’umanità è decaduta
progressivamente con il predominio dei popoli sedentari!
(I beduini) sono più vicini alla natura primordiale, fitra, e più lontani dalle
abitudini malvagie. Essi sono più “curabili” (in senso religioso) dei
sedentari. Questo è evidente. Si vedrà in seguito che la vita sedentaria, alhadara, corrisponde alla fine della civiltà, nihayat al-‘umran, e all’inizio
della decadenza. Essa rappresenta l’ultimo grado del male e l’opposto del
bene. È dunque chiaro che i beduini sono più vicini all’essere buoni
(credenti) dei sedentari: “Iddio ama colui che lo teme” (Ibn Khaldun, 1967,
247, La citazione alla fine si riferisce a Corano III, 76).
La posizione in alto o in basso dello schema, determina anche il tipo di conseguenze del
rituale sulla socializzazione, se a breve o a lungo termine. Una narrazione reificata tende
ad avere un effetto relativamente modesto sulla socializzazione e deve quindi essere
reiterata per poter contribuire in maniera significativa alla densità rituale. Questa è una
delle ragioni del verificarsi di sindromi da acquisto compulsivo, per esempio.
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MERCATI RITUALI!
Le scelte rituali dei singoli e dei gruppi sociali dipendono da quelli cui Randall Collins
allude, forse in maniera non del tutto felice, come a “mercati rituali”. In pratica nella
semiosfera si posizionano una serie di narrazioni che fanno riferimento ai rispettivi rituali.
Le persone orientano le proprie scelte nella direzione delle narrazioni cui sono più
sensibili, ovvero quelle che sono o vengono presentate come le più soddisfacenti per
raggiungere la necessaria densità rituale. Il modello dell’azione razionale, seguito dagli
economisti, così come in buona parte dallo stesso Max Weber, rischia di essere troppo
riduttivo se non viene considerato all’interno delle diverse possibilità di scelta rituale.!
Le persone e i gruppi selezionano i rituali da praticare sulla base delle corrispondenti
aspettative. Abbiamo conosciuto una donna affetta da sindrome dell’acquisto compulsivo.
Era arrivata a programmare le visite al supermercato subito dopo i pasti, per poter avere il
minimo di stimoli fisici, in modo da cercare di resistere alla tentazione di comprare in
maniera smodata. Parlando con lei, un’insegnante precaria delle superiori, è sembrato
subito evidente come il suo desiderio di trovare conforto nella vita domestica fosse
frustrato dal fatto di essere del tutto incapace di cucinare, che corrisponde a una delle
principali e più soddisfacenti attività rituali casalinghe. L’acquisto compulsivo si
manifestava soprattuto nei confronti dei generi alimentari, e rappresentava una
ritualizzazione sostitutiva, con una soddisfazione a brevissimo termine e quindi con la
necessità di una continua reiterazione.!
La disponibilità sociale di rituali e quella delle loro relative “istruzioni per l’uso”, le
narrazioni, condiziona in maniera determinante lo specifico ordine rituale di persone e
gruppi. I rituali del consumo non sono gli unici rituali disponibili sul mercato rituale, anche
se sono i più diffusi. Non solo la religione, ma anche l’arte, per esempio, è un ambito in
grado di fornire significativi rituali alternativi. Spesso le imprese commerciali “invadono”
l’ambito artistico alla ricerca di quello che abbiamo definito il “reincanto” dei rituali sociali.
Promozioni come quella recente della Nike, mirano a un effetto volutamente neoclassico.
Durante gli ultimi mondiali di calcio del 2014, la Nike ha mandato in onda la pubblicità non
di un prodotto, ma del filmato The Last Game, in cui un gruppo di calciatori umani si trova
a sfidare i propri cloni. La solidarietà del nuovo gruppo calcistico viene rifondata attraverso
simboli come il fuoco sacro di Olimpia, statue neoclassiche di calciatori e una vera e
propria ascensione al tempio, sul cui altare si ritrovano le tute e le scarpette della Nike, più
o meno come sono esposte in vetrina. La campagna della Nike, centrata si di una
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narrazione prima ancora che su di un prodotto, sembra essere molto più centrata di quella
della Adidas, che qualche anno prima aveva lanciato le Adidas Mercurio, con tanto di
alette ai lati del tallone, ma senza una parallela campagna neoclassica. Senza una
adeguata narrazione, infatti, non si creano quelle attese collettive che possono permettere
l’affermazione di nuovi rituali sociali, come hanno ben capito le aziende che producono
apparecchiature elettroniche, abituate a giocare per mesi con il racconto delle
“indiscrezioni” sulle caratteristiche e capacità dei nuovi prodotti.!
Le iterazioni umane costituiscono una parte significativa della densità rituale sociale. Con
l’avvento del consumismo, si è assistito però all’espansione del sistema degli oggetti, a
discapito del fattore umano, molto spesso asservito agli stessi oggetti, come ha
sottolineato Jean Baudrillard. La reificazione dei rituali disponibili sposta verso il basso
dello schema precedente molte delle azioni quotidiane di singoli e gruppi sociali, con il
risultato di rendere sempre più necessaria la reiterazione rituale. Anche in questo caso,
però, resta sempre aperto il rischio di avere crisi anomiche, vale a dire crisi dovute al fatto
che la densità rituale non venga soddisfatta e si cada quindi in quella che oggi
comunemente è chiamata “depressione”. Il rapporto tra alienazione e depressione è stato
già dimostrato dalle ricerche di psicologia sociale (Scheff 2001). L’uso di antidepressivi
diventa necessario per poter sopperire alla scarsità di rituali soddisfacenti all’interno del
mercato rituale.!
La televisione può essere considerata per certi aspetti lo specchio del mercato rituale di un
paese. Quando un leader politico arriva a una posizione egemone di norma satura lo
spazio dell’informazione riservata alla politica. In questo modo può dettare le narrazioni
fondamentali che orientano il dibattito pubblico. L’egemonia culturale stabilita in questo
modo dalla televisione tende a privilegiare il pensiero maggioritario e a emarginare alla
periferia della semiosfera il pensiero di minoranza, spesso demonizzandolo. I leaders
politici e gli uomini attorno a loro recitano una sceneggiatura predeterminata, con
pochissime varianti. In questo modo si restringono le scelte possibili all’interno del mercato
rituale e si convoglia l’attenzione su di un ristretto ambito di eventi, attorno ai quali si
moltiplicano i talk show e le rubriche di approfondimento (Freccero 2013). !
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APPENDICE: ipotesi di principi dell’ordine rituale!
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1 principio!
per ogni uomo la densità delle pratiche rituali tende a essere costante nell’arco del tempo!
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2 principio!
a fluttuazioni nella densità rituale corrispondono alienazione e scompensi anomici!
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3 principio!
il carattere delle pratiche rituali può cambiare durante la vita!
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4 principio!
persone con pari densità e carattere rituale tendono a stringere legami di gruppo!
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5 principio!
quando un gruppo egemone non è in grado di soddisfare le aspettative rituali della
maggior parte dei cittadini - densità e carattere - subentra una crisi politica!
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6 principio!
quando un gruppo egemone va in crisi tende a essere soppiantato da un gruppo di
carattere rituale opposto!
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7 principio!
durante le crisi sociali si riformula l’equilibrio rituale di un popolo e la sua memoria
collettiva !
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BIBLIOGRAFIA!
• Bell Catherine (1997), Ritual, perspective and dimensions, Oxford University Press.!
• Cohen Albert K. (1955), Delinquent Boys, The Culture of the Gang, Free Press,
Macmillan Publishing, New York.!
• Collins Randall (2004), Interaction Ritual Chains, Princeton University Press.!
• Douglas Mary (1970), Natural Symbols: Explorations in Cosmology, Routledge, London.!
• Freccero Carlo (2013), Televisione, Bollati Boringhieri, Milano.!
• Ibn Khaldun (1967), al-Muqaddima, trad. franc., Discours sur l’Histoire Universelle,
Commission Internationale pour la tradution des chefs-d’œuvre, Beyrouth.!
• Scheff Thomas (2001), Shame and Community, Social Components in Depression, in
Psychiatry n. 64 (3).!
• Turnbull M. Colin (1961), Forest People, Simon & Schuster, New York.
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L`ordine rituale - Accademia Belle Arti di Catania