Dr.ssa Michela ARMANDO
Dr. Biagio CICCONE
Dott.ssa Giovanna GRISO
Dr. Pasqale VIVO
UNA ESPERIENZA DI TEAM INTERDISCIPLINARE
PER PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA
PRESSO UN CENTRO DI RIABILITAZIONE
Giugno 2004
A cura di
Dr.ssa Michela Armando
Medico chirurgo
Specialista in formazione presso la Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa
della Seconda Università degli Studi di Napoli
Consulente scientifico del Centro Studi e ricerche Salus per il P.I.V. dedicato a pz con S.M.
Dr. Biagio Ciccone
Neurofisiopatologo
Responsabile del Gruppo di Progetto Isola Verde dedicato a pz con S.M. del Centro Riabilitazione Salus di
Marigliano e del Centro di Riabilitazione A. Buonincontro di Casalnuovo
in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche Salus Onlus di Marigliano (NA)
Dott.ssa Giovanna Griso
Psicologa
Consulente del Centro di riabilitazione A.Buonincontro di Casalnuovo e Salus di Mariglaino
per il P.I.V. dedicato a pz con S.M.
Dr. Pasquale Vivo
Neurologo
Centro Regione Sclerosi Multipla A.O. A. Cardarelli di Napoli
Consulente scientifico del Centro Studi e ricerche Salus per il P.I.V. dedicato a pz con S.M.
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INTRODUZIONE
Nell’esercizio dell’ars medica la prima domanda che ci si pone è se esistono le malattie o se
esistono i malati?
Allorché un professionista risponde a questa domanda con esistono i malati, inizia
un’affascinante e complesso viaggio nell’universo della persona umana, delle sue malattie e della
convivenza con esse. Quando, poi, si incontra lungo il cammino professionale una persona che
soffre di una malattia cronica, progressiva e altamente invalidante come è la Sclerosi Multipla,
allora ci si accorge che anche la risposta alla domanda principale non è sufficiente, ma c’è bisogno
di un qualcosa in più per cercare di rendere utile ed efficace la propria azione terapeutica. Si capisce
come il malato deve essere il centro di un’azione assistenziale globale ed interdisciplinare, dove la
persona malata è soggetto e destinataria di più azioni, professionali, terapeutiche, sociali,
legislative, psicologiche, con una presa in carico globale considerando la centralità della persona
sulla malattia e quindi con queste coordinate sviluppare tutti i percorsi ad essa connessi: trattamento
riabilitativo, supporto psicologico, assistenza materiale e familiare, consulenza lavorativa e legale,
trasporto, tempo libero, rapporti con la famiglia e la società, formazione ed informazione del
paziente, dei familiari e, di chi lo assiste sulla malattia e sull’approccio alle sue problematiche.
Per raggiungere questi obiettivi descritti, nasce dal 2001 presso il Centro di riabilitazione Salus di
Marigliano e, a partire dal 2003, presso il Centro A.Buonincontro di Casalnuovo, in
collaborazione con il Centro Studi Salus onlus di Marigliano, un progetto sperimentale dedicato
ai pz affetti da S.M.; così dopo tre anni di intenso lavoro di modellatura oggi il progetto prende la
sua forma definitiva e anche un nome PROGETTO ISOLA VERDE (PIV).
Il PIV “è un modello scientifico-organizzativo-operativo sperimentale, realizzato con la
costituzione di un’Equipe medica e paramedica di alto profilo professionale, esclusivamente
dedicata a tale progetto. In particolare, si è mirato a creare un team opportunamente qualificato e
specializzato nel trattamento riabilitativo della SM, costituito da un Responsabile del Gruppo di
Progetto, un consulente scientifico neurologo esperto sulla SM, un fisiatra, una psicologa/assistente
sociale e fisioterapisti esperti, selezionati e dedicati alla patologia, tutti inseriti in un percorso
annuale di continuo aggiornamento e formazione sulla patologia trattata, con al centro il paziente ed
i suoi familiari.
Il P.I.V., prevede una presa in carico globale del paziente, in una condizione di attenzione
alla persona, al fine di migliorare la qualità della prestazione erogata al paziente, fino quasi a
personalizzarla. Tutto ciò attraverso un approccio interdisciplinare, con periodici momenti di analisi
e confronto tra i vari operatori coinvolti in equipe. Infatti, tale approccio, come descritto in
letteratura scientifica e da noi sperimentato, migliora l’efficacia della terapia riabilitativa per i pz
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nella fase iniziale della malattia, attraverso un’azione informativa ed educativa sulla patologia,
mentre , per i pz in una fase avanzata della malattia, ne contiene i sintomi, mantenendo e
valorizzando l’autonomia residua e offrendo un supporto al pz e ai suoi familiari, anche attraverso il
gruppo di auto aiuto.
Specificamente, nell’ambito del percorso formativo di Equipe per il 2004 abbiamo elaborato
una proposta riabilitativa mirata per i nostri pazienti, rispetto alla riabilitazione in acqua, partendo
dai dati presenti in letteratura e integrandoli con la nostra esperienza di medici, psicologi e
fisioterapisti. Da questo intenso lavoro nasce la seguente pubblicazione che vuole offrire, al lettore
uno spunto per un percorso conoscitivo alternativo nell’approccio riabilitativo ad una malattia
cronica nota quale la S.M.. Ma, soprattutto, lo scopo è di far conoscere l’esperienza, faticosa ed
affascinante, di un team interdisciplinare, che dialoga, si interroga, si informa, si forma, lavora per il
malato e con il malato, per vincere la battaglia di una qualità di vita migliore.
Dr. Biagio Ciccone
Bibliografia
- Provinciali L et al Neurological Sciences vol 23 del sett 2002, 153-161
Indicatori prognostici per le strategie riabilitative adottate nella SM
- Carey RG et al in Arch Phys Med Rehab 69: 337-347 Who markers the most progress in inpatient
rehabilitation? An analysis of functional gain
- Pozzilli C. et al in Advances in Multiple sclerosis: clinical research and therapy. 173-180 del 1999
Sevice location in multiple sclerosis: home or hospital
- Carton H et al J Neurol Neurosurg Psich 64 444-450 Utilisasion and cost of the professional care
and assistance according to disability of patients with sm
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IL PUNTO DI VISTA DEL NEUROLOGO
Recenti orientamenti hanno sempre più messo in evidenza l’aspetto invalidante di una malattia
come la Sclerosi Multipla, oltre che i suoi aspetti anatomo-clinici o biochimico-molecolari.
Con il progredire della malattia, infatti, sono sempre più i pazienti che hanno bisogno di un ausilio
per mantenere una sufficiente autonomia .
Le ultime metanalisi hanno valutato che in pazienti con SMRR circa il 50% dopo una quindicina di
anni hanno bisogno di un ausilio per camminare, diventando circa un 80% dopo trenta anni
dall’esordio della malattia. Per un paziente con una forma progressiva i tempi si accorciano
notevolmente.
Questo problema è divenuto ancor più pressante con il recente sviluppo delle terapie
farmacologiche che modificando il decorso della malattia, non sono purtroppo in grado di fermarne
la disabilità.
La possibilità di una diagnosi precoce e le opportunità terapeutiche oggi disponibili infatti, hanno
inevitabilmente acuito l’indispensabilità di efficaci trattamenti riabilitativi, tali da permettere per
quanto più tempo possibile il mantenimento delle proprie capacità produttive e relazionali.
Certamente l’ipotesi (anche se ancor non completamente dimostrata) che la riabilitazione possa
influenzare positivamente la plasticità corticale, rappresenta oggetto di studio e di valutazione per
poter confermare che il cervello possa tentare di rispondere ad un danno con un meccanismo
compensatorio.
A ciò sono rivolti molti studi con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia ad
emissione di positroni (PET). In special modo per quanto riguarda la
S M , gli studi riguardano il
recupero della capacità visiva in pazienti affetti da neurite ottica retrobulbare.
Ma spesso si dimentica che un intervento riabilitativo, così come ogni intervento terapeutico in
medicina, risponda alle regole generali di indicazioni, controindicazioni, dosi e modalità di
somministrazioni.
Per questo motivo si assiste soventemente ad interventi che poco hanno di terapeutico, quasi come
una sorta di “ mantenimento “ o, peggio, occupar parte del tempo di una giornata, svuotando del
significato reale e quindi degli obiettivi quello che potrebbe essere un produttivo programma di
lavoro riabilitativo.
L’individuazione corretta dello stato del paziente affetto da SM è indispensabile perché il
riabilitatore possa valutare le adeguate strategie riabilitative per far fronte alle diverse espressioni
lesionali.
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Sono passati circa quindici anni da quando partecipai per la prima volta in qualità di relatore, ad un
convegno sulla SM; ricordo ancora che mi fu posta la domanda se esisteva uno schema terapeutico
riabilitativo per i pazienti che ne erano affetti.
La mia risposta fu che “ per fortuna “ non esisteva.
Ancor più oggi che vi è maggiore consapevolezza della variabilità e complessità dei problemi che
possono interessare un paziente affetto da SM, è inadeguato pensare che una unica pianificazione
possa ragionevolmente soddisfare le diverse necessità.
Le necessità fisiche e cognitive, l’ambiente di lavoro e quello familiare, rappresentano elementi
imprescindibili nei processi decisionali riabilitativi.
Da circa vent’anni, l’impairment del paziente affetto da Sclerosi Multipla, cioè l’insieme dei
sintomi e dei segni che ne determinano il grado di disabilità, si sa, è valutato con la scala ideata da
Kurtzke, denominata EDSS ( Expanded Disability Status Scale ).
Seppur soventemente criticata (secondo alcuni troppo generica ed approssimativa), la scala di
Kurtzke rimane quella più largamente utilizzata sia nella pratica clinica che nella ricerca, ed è
comunque riferimento per altri tentativi di “misurazioni”.
L’EDSS si basa,come è noto,
sul coinvolgimento dei vari sistemi funzionali che permette
sostanzialmente di valutare il grado di autonomia del paziente con SM.
Il punteggio che varia da 0 a 10, con incrementi progressivi di 0,5 punti, individua
fondamentalmente tre gruppi di popolazione :
nei punteggi da 0 a 3,5 ritroviamo pazienti che seppur con diversa disabilità mantengono ancora una
discreta autonomia senza necessità di ausili;
nei punteggi tra 4,0 e 7,0 i pazienti hanno una ridotta capacità a deambulare o necessitano di un
ausilio per farlo e la loro autonomia è significativamente limitata;
nei punteggi superiori il paziente è completamente dipendente anche per le più elementari attività
quotidiane.
L’approccio terapeutico riabilitativo, in tutti i pazienti con SM, ma soprattutto nei pazienti con
EDSS basso, si è dimostrato capace di modificare positivamente la qualità della vita dell’ammalato
e significativamente migliorare il rapporto tra paziente e malattia.
L’idroterapia, in modo particolare, con i suoi meccanismi facilitatori, rappresenta una opportunità
da non sottovalutare, come sarà più adeguatamente evidenziato dopo.
Soprattutto da non sottovalutare è anche la riabilitazione cognitiva, per alcuni ancor più che quella
neuromotoria, tenendo presente due parametri fondamentali : la frequenza del riscontro dei sintomi
deficitari e il loro impatto sulla qualità di vita.
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Allo stesso modo di una funzione motoria, l’obiettivo degli interventi deve essere orientato o a
ripristinare la funzione deficitaria (più difficile) o a compensarla potenziando capacità vicarianti
(più possibile).
Pur nella consapevolezza della necessità di ulteriore lavoro, gli studi ed i lavori a tutt’oggi
disponibili, seppur spesso empirici e non adeguatamente strutturati, evidenziano un significativo
beneficio della riabilitazione riguardo le problematiche dei pazienti con SM così come mettono in
luce la necessità di una migliore integrazione e coordinazione dei servizi esistenti.
Da quest’ultima valutazione nasce questa esperienza di modello organizzativo interdisciplinare,
senza alcuna presunzione, ma nella disponibilità a mettere a confronto con altre figure professionali
le proprie conoscenze e le proprie esperienze, finalizzando il proprio lavoro all’obiettivo di rendere
il paziente soggetto del programma riabilitativo.
Bibliografia
Beatty W.W, Monson n. metamemory in multiple sclerosis. J. Clin. Exp: Neuropsychol. 13. 309-327,
1991
Jonsson A., Korfitzen E.M et al. Effects of neuropsychological treatment in patiens with multiple
sclerosis. Acta Neurol. Scand. 88:394-400, 1993
Mendozz L., Pugnetti L. et all. Computer-assisted memory retraining of patiens wiyh multiple
sclerosis. Ital. J. Neurol. Sci. 19: 431-438,1998
Canal N, Grezzi A, Zaffarono M, Zibetti A. Sclerosi Multipla. Attualità e prospettive. Ed.Masson
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L’esperienza del FISIATRA nell’IDROCINESITERAPIA
INTRODUZIONE
Nell’arsenale delle tecniche di rieducazione, l’idrocinesiterapia è vista come mezzo
privilegiato di riabilitazione in settori molto diversi, compreso quello neurologico.
L’idrocinesiterapia comincia a suscitare interesse nel XIX secolo, ma solo dopo la seconda
guerra mondiale essa viene razionalizzata.
Oggi, sembra doveroso menzionare la validità di tale tecnica nel trattamento di una
patologia così evolutiva e polimorfa come la sclerosi multipla.
I princìpi che ne avvalorano l’impiego si fondano sulle caratteristiche fisiche del mezzo
liquido e sugli effetti biologici che l’acqua produce sull’organismo: effetto della
temperatura sul tono; effetti statici e dinamici sull’equilibrio e sul comportamento
motorio.
E’ noto infatti che per i pazienti affetti da disturbi del tono muscolare per lesioni
piramidali esiste la possibilità di una riduzione dell’ipertono se trattati in acqua a bassa
temperatura.
Inoltre, gli effetti statici e dinamici sull’equilibrio si spiegano innanzitutto con la riduzione
della forza di gravità, che fornisce ai pazienti occasioni facilitanti per schemi motori che,
al di fuori dell’acqua, risulterebbero più complessi; con la viscosità e con la resistenza
offerta dalla massa liquida, che rendono possibile un maggior controllo del gioco
muscolare agonista-antagonista.
PRINCIPI BIOFISICI DELL’ ACQUA
Premessa alla riabilitazione in acqua dei pazienti è la conoscenza dei princìpi di biofisica
dell’acqua che vengono riportati qui di seguito.
La pressione idrostatica: è la pressione che un liquido esercita su un corpo immerso ed è
uguale al peso della colonna di liquido posta sopra il corpo. Essa è quindi direttamente
proporzionale alla profondità e alla densità del liquido.
Nei nostri pazienti la pressione idrostatica è all’origine di stimoli sensoriali esterocettivi.
Essa, infatti, stimola intensamente i recettori barestesici, e per fenomeni ancora non noti,
questa situazione determinerebbe un’antalgia a livello articolare.
Inoltre la pressione idrostatica interviene anche sulla respirazione: in un soggetto in piedi
nell’acqua si esercita in particolare sull’addome, offrendo una resistenza al diaframma ed
all’espansione dell’addome stesso.
Principio di Archimede: un corpo totalmente o parzialmente immerso in un liquido a
riposo è sottoposto ad una forza verticale diretta dal basso in alto uguale al peso del
volume del liquido spostato.
L’applicazione del principio rende noto che il mezzo acquatico offre un’assistenza alla
mobilizzazione attiva in quanto l’effetto più evidente dell’immersione è la riduzione
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apparente del peso del corpo, pertanto per spostarsi bastano poche unità motorie attive
perchè il movimento sia possibile.
La spinta di Archimede o spinta di galleggiamento: è la forza verso l’alto che influenza il
movimento in acqua, reggendo il corpo o una sua parte.
Ciò vuol dire che, ad esempio, in un soggetto in immersione sternale il braccio di leva
aumenta man mano che il segmento si avvicina all’orizzontale, cioè alla superficie
dell’acqua. In tal modo il movimento di abduzione del braccio viene facilitato.
La viscosità: è la misura delle forze di frizione che esistono tra le molecole dell’acqua e che
generano una resistenza al movimento perchè le molecole tendono ad aderire alla
superficie del corpo che si muove attraverso di essa.
L’acqua ha una debole viscosità che diminuisce con l’aumento della temperatura del
fluido. In tal modo sarà più facile per il paziente migliorare la forza e la capacità di
resistenza nell’esecuzione degli esercizi.
La resistenza: è la tensione dovuta alla forza di coesione tra molecole adiacenti e si
manifesta sulla superficie dell’acqua. Essa è direttamente proporzionale alla superficie del
corpo in movimento ed alla velocità.
Pertanto più grande è la superficie, maggiore è la resistenza generata durante il
movimento; più rapidamente un corpo si muove nell’acqua, maggiore è la resistenza.
Questo principio può essere sfruttato nella rieducazione in piscina per rinforzare i
muscoli.
Infatti, aumentando la superficie d’attacco (articolazioni e segmenti posti
perpendicolarmente all’acqua, aggiunta di pinne, utilizzazione di una tavoletta) si
aumenta il lavoro muscolare.
ASPETTI RIABILITATIVI DELL’ IDROCINESITERAPIA
L’acqua è vista come il mezzo che facilita l’esercizio e che consente al paziente di
controllare il livello e l’intensità dell’attività fisica.
La libertà di movimento offerta dal mezzo acquatico è praticamente la sola differenza
tecnica fondamentale tra la terra e l’acqua, che viene utilizzata per ottenere delle
cocontrazioni intorno ad un’articolazione implicata nel movimento, per assicuare
l’equilibrio e la coordinazione; per aumentare la forza muscolare e la circolazione a livello
delle zone dolenti.
Nel paziente con sclerosi multipla, l’idrocinesiterapia comporta:
9
1.
2.
3.
4.
miglioramento delle condizioni di equilibrio e senso cinestesico;
raggiungimento della stabilizzazione e della coordinazione;
diminuzione della spasticità;
miglioramento delle condizioni psicologiche;
L’equilibrio in acqua è tanto migliore quanto più importante è l’immersione;
poichè la pressione idrostatica aumenta con la profondità, ne risulta un alleggerimento del
corpo, un’elevazione del centro di gravità ed una facilitazione del mantenimento
dell’equilibrio statico e dinamico.
La posizione più stabile da assumere è quella del “cubo”: in cui anche e ginocchia sono
flesse a 90° e le braccia sono tese all’orizzontale in avanti.
L’immersione migliora il senso cinestesico attraverso la stimolazione del circuito
propriocettivo.
In acqua vengono a crearsi delle situazioni di squilibrio che il soggetto sarà invitato
a controllare gradualmente. Per esempio, in appoggio monopodalico può essere
posizionata una tavoletta sotto il piede determinando così una facilitazione
neuromuscolare per il ginocchio in catena aperta.
Il raggiungimento dell’equilibrio statico e dinamico, dovuto al lavoro dei gruppi
muscolari che sostengono la statica, conduce ad una migliore stabilizzazione del paziente.
Tale equilibrio viene ottenuto grazie alle contrazioni muscolari che impediscono al
corpo di andare in avanti, in dietro o sui fianchi.
La ripetizione delle contrazioni, con l’obiettivo di tenere ferma la posizione di un
segmento, provoca un lavoro nel contempo isometrico ed isotonico dei muscoli.
Il lavoro in acqua permette di tonificare tutti i muscoli posturali in sinergia. In
piscina, il cammino integra naturalmente un lavoro di coordinazione, in particolare degli
arti inferiori. La resistenza dell’acqua frena i movimenti incoordinati e ne facilita il
controllo. Gli sforzi necessari per muoversi diminuiscono a bassa velocità.
E’ noto che il raffreddamento del muscolo diminuisce la produzione di acetilcolina
e rallenta la velocità di conduzione delle fibre nervose.
In virtù di tale princìpio il paziente con sclerosi multipla si gioverà della idrocinesiterapia
allorquando vengano rispettati tutti i parametri biofisici del liquido nel quale egli va ad
agire. Spesso si hanno buone remissioni della condizione di spasticità, il che consente
l’esecuzione di un certo numero di esercizi terapeutici altrimenti difficili da attivare.
Infine non vanno sottostimati gli aspetti psicologici di questo tipo di riabilitazione.
10
Infatti non essendoci resistenza predeterminata da superare, l’esercizio in acqua diventa
sicuro.
In immersione migliorano le possibilità funzionali al punto che il paziente si muove,
cammina più facilmente e soffre meno.
Così la sensazione di essere temporaneamente liberato della sua disabilità induce nel
paziente un desiderio di movimento, preludio al recupero della funzione.
OBIETTIVI RIABILITATIVI PER IL PAZIENTE AFFETTO DA SCLEROSI
MULTIPLA
Per i pazienti affetti da sclerosi multipla il trattamento in acqua assume particolare
importanza.
In generale al fine di prevenire blocchi articolari, retrazioni tendinee ed accorciamenti
muscolari, va proposta una mobilizzazione in scarico ponderale, effettuata in decubito
supino di galleggiamento, in posizione verticale con l’uso di una ciambella, ed in stazione
eretta, con i piedi a terra.
Per questi pazienti è, inoltre, importante effettuare lavori, sia di tipo globale sia di tipo
segmentario, che sfruttino la facilitazione motoria indotta dalla spinta idrostatica.
Al di fuori delle poussées acute ed in funzione delle reazioni individuali, nonchè del
punteggio EDSS, per un lavoro ottimale, sono preconizzate due tecniche:
1. immersioni fino all’altezza delle spalle per permettere un appoggio fisso e degli
esercizi in galleggiamento totale (posizione di cubo), a mira antispastica;
2. balneoterapia di detensione e di nuoto per la rieducazione di deficit motori e
disturbi della coordinazione e dell’equilibrio.
INFRASTRUTTURE
LOCALI
Occorre prevedere:
1. uno spazio per le carrozzine e le barelle;
2. porte abbastanza grandi per far passare le carrozzine;
3. spogliatoi sufficientemente spaziosi per consentire gli
spostamenti in carrozzina;
4. suolo antiscivolo;
5. docce e zone di circolazione;
6. dei corrimano a circa 90 cm di altezza.
VASCHE
1. Più spesso è prevista una vasca statica rettangolare le cui dimensioni variano da 6 a
72m².
2. Bisogna calcolare uno spazio di almeno 4m² per persona.
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3. Se la vasca è dotata di un corridoio per il cammino, questa zona dovrà essere
considerata come uno spazio morto, non potendo essere utilizzata negli esercizi di
gruppo.
4. E’ necessario che il terapista sia in acqua.
5. Qualunque sia la vasca, i bordi debbono essere liberi per consentire l’accesso, in
particolare delle carrozzine.
6. Le superfici del suolo e del fondo devono essere antiscivolo.
7. Tutt’intorno alla vasca sono fissati dei corrimano immersi in inox.
8. I gradini per l’accesso devono avere un’altezza di 150 mm ed una profondità di 300
mm.
9. Il bordo di ogni scalino sarà indicato chiaramente.
PRINCIPALI
REQUISITI
DI SORVEGLIANZA
FISICOCHIMICA DEL SETTING
TERAPEUTICO
- Temperatura dell’acqua: 28-30°
- Temperatura dell’aria in piscina: idealmente circa due gradi in meno rispetto a
quella dell’acqua
- Grado igrometrico: 50-60%
- Acidità: ph compreso tra 7.2 e 7.4
- Cloro: livelli compresi tra o.8 e 2.1 mg/L
ACCESSORI DEL SETTING TERAPEUTICO
- Carrozzina
- Carrello verticalizzatore immergibile
- Rampa fissata al contorno della vasca
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SUSSIDI DI GALLEGGIAMENTO
- Acqua flex (guanti palmati)
- Acqua plow (tavola galleggiante)
- Acqua flap (scarpe galleggianti)
- Hydrotone boots (calzari di resistenza)
- Galleggianti tipo “pull buoys” in polistirene
- Cinture in plastazote
- Galleggianti lombari e cervicali a forma di U
PROGRAMMA RIABILITATIVO
- Il paziente entra in acqua assistito per periodi di 50 minuti (comprendenti 20
minuti di effettivo lavoro muscolare in quanto i pazienti descrivono un periodo
di “fatica” dopo la seduta).
Valutazione delle abilità motorie complesse in acqua con e senza
galleggianti.(SI-NO)
1. Galleggia supino da solo,
2. Assume la posizione supina spontaneamente
3. Si sposta da un punto all' altro della vasca
4. Passa spontaneamente dalla posizione supina alla posizione verticale
5 Mantiene in acqua alta la posizione verticale con opposizione delle braccia
6.. Immerge il viso in acqua spontaneamente
7. Inspira fuori, immerge il viso ed espira sottacqua
8 Rotola in acqua da supino a prono
9. Fa il galleggiamento prono spontaneamente
10 Nuota in modo spontaneo
11. Stile libero (Crawl)
12. Dorso
13. Delfino
14. Esce dalla vasca da solo,
-
Stabilità del cingolo pelvico (in posizione supina) mantiene la ciambella sotto i glutei:
1. con le braccai lungo i fianchi
2. con le braccia proiettate in avanti
13
Posizione intermedia:
~~~
1. Si mantiene con due braccia
2. Si mantiene con un braccio
3. Senza braccia
-
Valutazione dell’attività autonoma e delle capacità di compiere passaggi
posturali .
-
Analisi dell’assetto idrostatico spontaneo su tre piani dimensionali di lavoro:
dorso, verticale, prono..
1. DORSO: osservazione dei punti di maggiore gravità.
Passaggio posturale dal dorso a verticale e viceversa.
2. POSIZIONE VERTICALE:osservazione sul mantenimento della posizio con sostentamento (o
parziale sostentamento); controllo della capacità di variazione dei volumi polmonari.
Passaggio posturale da dorso a prono (rotolamento spontaneo)
Passaggio posturale da verticale a prono (con raccolta d'acqua o remata).
3.POSIZIONE PRONA: osservazione del mantenimento della posizione
Con maschera e snorkel
Senza maschera (apnea)
Con il capo fuori dall'acqua (associato a sostentamento)
-
Esercizi di rilassamento
La seduta inizia con una respirazione diaframmatica; in seguito vengono attivati gli arti
superiori (contrazione dei flessori delle dita, della mano, del polso, del gomito in leggera
flessione e della spalla); gli arti inferiori (flessori delle dita del piede, della caviglia, del
ginocchio e dell’anca); infine il rachide cervicale (con trazione del capo) e dorsolombare
(appoggio del capo e degli arti con contrazione dei glutei). Vedi fig 1-2
-
Esercizi di stiramenti attivi (con presa di coscienza della vasca). Vedi fig 3
-
Esercizi di stiramenti assiali (manovra di Watsu: aumento dell’estensione del
tronco e dell’anca per mezzo dello stiramento della colonna). Vedi fig 1
-
Esercizi di facilitazione della triplice flessione dell’arto inferiore attiva o
passiva (tecnica di Bad Ragaz).Vedi fig4
14
-
Esercizi di rinforzo muscolare (lavoro della catena dorsale e del bacino). Vedi
fig 5
-
Esercizi di propriocezione e coordinazione. Vedi fig 6a,6b
-
Esercizi di equilibrio e di controllo posturale.
Vedi fig 7a,7b
-
Esercizi di stabilizzazione vertebrale, dorso al muro “wall crunch”: flessione
dell’anca prima unilateralmente, poi bilateralmente.
Vedi fig 8a ,8b
-
Cammino avanti e indietro con stabilizzazione paraspinale.
Vedi fig9a,b,c,d,
Alla fine della seduta si possono scegliere diverse opzioni:
- ritorno alla fase di rilassamento iniziale: si chiede al paziente di non uscire subito
dall’acqua, ma di camminare un poco nella vasca, decontrarsi ed eseguire qualche
movimento respiratorio di grande ampiezza;
- un esercizio di rilasciamento: si utilizza la portanza dell’acqua, di una tavola o di
un tappeto galleggiante.
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CONTROINDICAZIONI ALLA IDROCINESITERAPIA
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE (GENERALI)
- Complicanze infettive
- Incontinenza fecale ed urinaria
- Insufficienza respiratoria grave
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE (LEGATE AL PAZIENTE)
- Punteggio EDSS>4
- Poussées
- Febbre
CONTROINDICAZIONI RELATIVE
- Ipersensibilità ai prodotti di manutenzione e agli agenti disinfettanti
- Epilessia;
- Disfagia;
- Idrofobia;
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ESERCIZI NELLA PRATICA RIABILITATIVA
Fig 1
Fig. 2
17
Fig. 3
Fig. 4
Fig 5
18
Fig 6a
Fig 6b
19
Fig 7a
Fig. 7b
20
Fig 8a
Fig 8b
21
Fig. 9a
Fig. 9b
Fig 9c
Fig 9d
22
BIBLIOGRAFIA
- EMC-Medicina Fisica e Riabilitazione
- Formica M.M. et Coll: Trattato di neurologia riabilitativa, Marrapese Ed. Roma,1985
- Arrigo Broglio et vito Colucci: Riabilitazione in acqua
- Skinner AT, Thomson AM. La rieducazione in acqua, Marrapese Ed. Roma,1985
- Giorgio Gino Valobra: Trattato di medicina Fisica e Riabilitazione, Utet, 2000
- Hurley R., and C Turner, 1991 Neurology and acquatic therapy. Clinical
Management, 11 (1):26-27
- Davis BC Harrison RA Hydrotherapy in practice, London Churchill Livingstone
1988
- Duffield 1976 Exercise in Water, London Bailliere Tindall
- Fawcett, C.W. 1992. Principles of aquatic rehab.: A new look at hydrotherapy. Sports
medicine Update 7(2): 6-9
- Golland, A. 1961. Basic hydrotherapy. Physiotherapy 67 (9): 258-62
- Levin, S. 1991. Aquatic Therapy. Physician and Sports Medicine 19 (10): 119-126
- Meyer, R.I. 19990. Practice settings for Kinesiotherapy-aquatics. Clinical Kinesiology
44 (1): 12-13
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L’esperienza della PSICOLOGA
“Tutto ciò che siamo, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, come anche la nostra
attività intellettuale sono inseparabili dal nostro corpo” (Pierre Vayer)
La SM, come precedentemente è stato descritto, è una patologia cronica, che dà origine a sintomi
multiformi e che produce bisogni vari, che riguardano non solo l’ambito fisico, ma anche quello
psicologico e sociale.
I problemi ed i bisogni iniziano al momento della diagnosi ed accompagnano la persona per tutta la
durata della malattia, e sono differenti e mutevoli nelle varie fasi.
La Sclerosi Multipla costituisce per l’individuo che ne é affetto, per la famiglia e per gli operatori
che lo tengono in cura un grave trauma anche a livello psicologico.
Il problema dell’integrazione del sé e della formazione di una parvenza d’identità, al di fuori di
quella sancita dallo stereotipo dell’handicap, è talmente grave e drammatico da costituire forse la
difficoltà maggiore, la barriera più alta e difficile da eliminare.
Passiamo parte della nostra prima infanzia a costruire una coscienza di noi stessi, i nostri primi anni
di vita li spendiamo per conoscerci e distinguere quello che "siamo noi" da quello che "non siamo
noi". Afferriamo gli oggetti, osserviamo il nostro corpo muoversi ed apprendiamo che possiamo
anche influire sull'ambiente.
Apprendiamo che le persone e gli oggetti sono permanenti ed hanno esistenze separate: impariamo
a nominare ciò che ci circonda, ma soprattutto impariamo a riconoscerci in uno specchio. Formiamo
ciò che la psicologia ha definito L'IMMAGINE DI SE'.
La malattia e la conseguente menomazione fa si che l'immagine di se' subisca un’improvvisa e
totale modificazione. Non ti riconosci in quello che sei: la separazione tra l'immaginario del ricordo
e la realtà sembra una distanza incolmabile.
Occorre un riesame totale dell'autocoscienza e dell'autostima: rimodellare cioè la raffigurazione di
se stessi e di quella che riteniamo che gli altri abbiano di noi.
Una tappa fondamentale del nostro processo evolutivo è la conquista dell'INDIPENDENZA.
Non solo quindi differenziarci dall'altro, ma renderci autonomi ed indipendenti dall'altro.
La menomazione ci fa regredire concretamente a livelli evolutivi infantili. Il rischio è riconoscerci
nel ruolo del malato, che implica il diritto di essere accuditi, sollevati da ogni responsabilità e
sempre accontentati.
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Se attenersi al ruolo del malato è alle volte una necessità - ed è la regola nei primi stadi della
disabilità - può far insorgere problemi se si prolunga e se tende a cronicizzarsi.
E' importante sottolineare la differenza tra "l'essere dipendenti" e "il sentirsi malati".
Se da una parte la dipendenza è concretamente inevitabile (naturalmente per una più soddisfacente
vita la persona deve cercare di fare da sé, utilizzando accorgimenti-strumenti-ausili, che
sopperiscano al deficit), la differenza con il ruolo del malato sta nel concetto di autodeterminazione.
A questo proposito risulta determinante lo stimolo della famiglia e l'organizzazione dell'ambiente.
Offrire uguali opportunità, fare in modo che si possa individuare un progetto di vita: recuperare il
significato di qualità della vita. Evitare, comunque, che la persona rimanga in una condizione
psicologica di "marginalità", perché il rischio è la solitudine, l'introversione, e l'ansia prodotta dalla
continua incertezza del "che fare?", che può raggiungere livelli d'intollerabilità.
Quindi, un’altra indicazione è riferita all’impegno sociale nel ricercare con l'handicappato una
dimensione sociale.
Riscattare la propria condizione significa dunque ripercorrere anche le tappe evolutive fondamentali
per l'acquisizione della personale maturità, l'immagine di sé, l'indipendenza nell’autodeterminazione
e l'appartenere socialmente al gruppo.
In questo "doloroso" processo di ricerca di se stessi la persona disabile può mostrare meccanismi
psicologici negativi.
ANGOSCIA e DEPRESSIONE compaiono frequentemente come reazione alla perdita della
precedente personalità e di specifiche capacità.
La REGRESSIONE, cioè comportarsi come nell'infanzia, spesso ponendosi in uno stato di assoluta
dipendenza.
EGOCENTRISMO, che si manifesta con un atteggiamento esigente ed intollerante, soprattutto se
insorge un contrasto.
ISOLAMENTO, che si manifesta con l'atteggiamento dell'evitare i contatti con altra gente.
PROIEZIONE, cioè riversare sugli altri il proprio sentimento di inadeguatezza, convincendosi così
che sono gli altri a considerarlo incapace.
Nessuna di queste reazioni è inevitabile e, generalmente, non tutte sono presenti nello stesso
individuo: è normale tuttavia che se ne osservino alcune. In quanto unità psicosomatica unica ed
irrepetibile, ogni individuo, infatti, ha una specifica reazione, anche psicologica alla malattia.
Quindi l'insorgenza della menomazione interrompe non solo la relazione della persona col proprio
ambiente ma, e soprattutto, interviene una disgregazione e frantumazione dello spazio persona.
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PERSONA — > HANDICAP —> AMBIENTE
Non c'è riconoscimento del sé, quello che si è oggi inderogabilmente sovrasta l'immagine di quello
che si è stati.
Non si è più padroni del corpo.
E' la FASE della NON FASE: IL LUTTO, LA SEPARAZIONE DA QUELLO CHE SEI STATO.
Forse il meccanismo inconscio della "sopravvivenza" e sicuramente l'aiuto esterno a riscoprire
risorse personali anche misconosciute permettono il passaggio alla seconda fase, quella della
CONVIVENZA COL NUOVO SE'.
— RI-CONOSCERE SE'- autostima;
— RI-VEDERE-senso della realtà;
— RI-PROVARE - apprendimento di diverse autonomie;
— RI-PERCORRERE - di nuovo socializzare.
Il ricominciare a sognare per sé, senza porsi dei limiti, non rinunciare senza aver provato è la
condizione che ci può indicare la fruttuosità della strada percorsa, nonostante la fatica, il dolore,
la sofferenza.
“Le emozioni, che hanno una funzione essenzialmente espressiva e plastica, sono una
formazione di origine posturale e hanno per materia il tono muscolare” (Heri Wallon)
UN ESPERIENZA VISSUTA: IL PROGETTO “ISOLA VERDE”.
La riabilitazione si inserisce in questo processo psico – relazionale di elaborazione della malattia.
Nello specifico il progetto “Isola Verde” fa propri questi presupposti teorici, così, come è stato
precedentemente descritto e garantisce un supporto competente al paziente ed alla famiglia,
mediante una modalità di intervento interdisciplinare con attenzione alla persona.
Nell'approccio interdisciplinare i ruoli delle persone coinvolte vanno molto al di là del trattamento
dei sintomi e delle complicazioni collegate alla malattia. Ognuno di essi contribuisce a fornire alla
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persona con SM la possibilità di pianificare le proprie scelte terapeutiche e personali attraverso
l'esplicitazione di obiettivi realistici e chiari e attraverso informazioni adeguate di supporto al
processo decisionale.
In effetti, il corretto utilizzo dell'accresciuto numero di scelte terapeutiche, determinate dai progressi
della medicina e della tecnologia, dipende dalla capacità della persona con SM di valutare, decidere
e riconsiderare le cure e i servizi ricevuti. Una malattia complessa come la SM implica che ogni
figura professionale abbia una competenza specifica e che la persona con SM e la sua famiglia
ricoprano un ruolo centrale come parte attiva del processo decisionale, necessario al coordinamento
di tutti i servizi e le cure offerte. Il team interdisciplinare ha la responsabilità del passaggio delle
informazioni a tutti gli operatori per assicurare la presa in considerazione di ogni necessità della
persona con SM e della sua famiglia.
Fondamentale è la partecipazione attiva del Paziente, anche dal punto di vista psicologico. Il
Paziente deve voler intensamente migliorare la propria situazione clinico - funzionale e con un
grosso impegno fisico e psicologico deve riuscire ad utilizzare tutte quelle riserve psico fisiche, che
in condizioni di normalità sono sopite ma, che una volta stimolate, potrebbero portare a risultati
importanti e talvolta inattesi.
Dal punto di vista psicologico e di integrazione nella società, l'intenso lavoro riabilitativo rende il
paziente vivo e lo stimola ad un nuovo riadattamento nella società: si può dire, pertanto, che agendo
sul corpo del paziente si agisce anche sulla sua psiche e viceversa.
In quest’ottica il RAPPORTO TERAPISTA-PAZIENTE diviene un rapporto privilegiato, perché
continuativo, quotidiano e propositivo. Un corretto rapporto non si riferisce a un banale
atteggiamento di disponibilità, ma piuttosto ad una vera e propria tecnica di recupero, forse la più
difficile e delicata da mettere in atto, perché solo attraverso un'efficace interazione fra il paziente e
il suo terapista può dipanarsi l'intero percorso riabilitativo.
Il paziente presenta al riabilitatore i propri "danneggiamenti fisici" con i relativi stati d'animo,
evidenti o mimetizzati.
Entrambi sono disposti alla relazione, il benessere dell'uno rappresenta la finalità del gesto tecnico
dell'altro,
ma sappiamo,
anche,
quanto
sia impegnativo
stabilire una comunicazione
qualitativamente efficace, affinché si faciliti l'operatività.
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La patologia, oltre alla modificazione della fisiologia, produce una trasformazione della realtà
emotiva e del fluire del dialogo riducendolo, viziandolo; smorza la motivazione alla collaborazione
con l'inevitabile ripercussione sui tempi del procedere riabilitativo.
La credibilità nell'adoperarsi dell'operatore sanitario, dipende dalla quantità di passione investita
quotidianamente: lo scambio relazionale esige la profondità, la forza e la libertà di fermarsi a
guardare l'esterno, per poi procedere gradualmente verso l'interno, fino alla misura in cui l'altro ci
consentirà di vedere. Secondo un approccio "non lineare", come quello della “seconda cibernetica”,
non é possibile dividere il terapista, che cura il paziente, dal terapista che si occupa di se stesso,
fungendo da catalizzatore per il paziente.
I pazienti hanno una sorta di sesto senso nell'individuare le persone la cui sensibilità, capacità
professionali e grado di solidarietà, possano aiutare a liberare da sintomi, resistenze, timori, affanni,
sensi di colpa per non essere perfetti. A queste persone, e secondo i propri tempi, consentiranno
l'accesso ad un rapporto empatico, perché le hanno recepite vicine, appassionate al corpo, a tutto ciò
che si muove, ai sentimenti, all'unità.
Al fisioterapista è richiesto, prima di tutto di "saper conoscere" il soggetto da educare o rieducare e
per questo è indispensabile che agli inizi cerchi di cogliere tutti quegli elementi diagnostici che
potranno risultare utili o determinanti, per impostare correttamente il rapporto al fine di un buon
esito rieducativo. L’approccio interdisciplinare, così come previsto dal PIV, realizza quanto
specificato nel rapporto tra terapista e paziente.
Intuire il modo di stabilire il rapporto, di cambiare atteggiamento durante una seduta, di valutarne la
durata, sono, fra l'altro, prerogative derivanti dalle doti succitate, come pure saper "inventare"
esercizi nuovi per coinvolgere il soggetto e stimolarlo a collaborare.
Per ottenere buoni risultati nella rieducazione è indispensabile che il terapista si ponga
costantemente in "ascolto" delle esigenze, delle difficoltà e delle capacità del soggetto; che utilizzi
le tecniche apprese in modo sempre diverso, in quanto sempre diverso sarà il caso che si troverà
davanti e, infine, che sappia anche rinunciare ad esse, inventando quasi la rieducazione per la
persona che gli sta davanti.
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Disponibilità e pazienza favoriscono l'acquisizione di una ricca esperienza, che diviene bagaglio
prezioso per sé e per gli altri, facilitando la maturazione di una giusta "forma mentis" e padronanza
professionale, che permettono di affrontare il lavoro con tranquillità.
La decisione dì interrompere la rieducazione può essere giustificata solo se l'indifferenza totale e
prolungata della famiglia avrà impedito l'instaurarsi di un buon rapporto con il paziente e quindi il
raggiungimento di un benché minimo risultato educativo.
Altro elemento negativo, che impedisce un buon recupero, è la "noia", che spesso viene ad
instaurarsi in una rieducazione male impostata o "distrattamente" condotta. Solo l'impegno, la
passione ed il desiderio di sopperire ai deficit del soggetto portano un continuo alimento creativo al
rapporto e trasferiscono nel paziente fiducia, entusiasmo, motivazione.
Senza un corretto rapporto fra i due interlocutori, tutte le tecniche e gli esercizi proposti, per quanto
corretti, rischiano di non arrivare a realizzare il proprio progetto riabilitativo.Viceversa non è
infrequente il caso di un terapista che riesca a ottenere risultati fattivi dal proprio paziente più in
virtù di una grande carica interattiva che con la specificità tecnica dei suoi interventi riabilitativi.
Tuttavia, è corretto definire il rapporto terapista-paziente come una tecnica di recupero esso stesso
ed esaminarlo in tal senso piuttosto che avallare un generico atteggiamento simpatetico e benevolo
che, pur essendo il male minore, rischia comunque di operare un intervento limitato.
Lo scopo del riabilitatore è il benessere del malato; il raibilitatore si deve porre come osservatoreobiettivo, senza farsi distrarre dal proprio bagaglio tecnico. Ogni paziente ha tempi e modalità
proprie nell'affrontare la patologia ed essi vanno studiati e rispettati. Gli esseri umani sono tutti
diversi e la diversità biologica è una risorsa naturale.
Per questo ogni eventuale piano di trattamento deve poter essere modificato in qualsiasi momento,
per andare incontro alle esigenze del paziente.
In conclusione, una terapia del corpo si può considerare ben sviluppata se riesce a produrre una
modificazione positiva del paziente, ma anche del suo terapista.
UN ESPERIENZA INTERDISCIPLINARE: IDROCINESITERAPIA.
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Il termine Idrocinesiterapia deriva dalle parole greche HIDOR = acqua THERAPEIA = guarigione
L’idrocinesiterapia è un metodo che “armonizza” la persona, attraverso un lavoro che non contrasta,
ma asseconda la dinamica strutturale presente nel corpo, sfruttando i vantaggi offerti dall’acqua.
Lavorare ricercando sempre un ritmo e una giusta relazione con il paziente, tenendo conto non solo
dei limiti fisici, ma anche di quelli emozionali.
Il contatto tra il terapista e il paziente è fondamentale, in quanto sono fissati, vissuti e condivisi
momenti importanti e utili nel conseguimento del benessere e della salute. La sinergia tra le qualità
dell’acqua, l’accompagnamento del terapista e la partecipazione consapevole del paziente è
indispensabile per ottenere buoni risultati.
Elementi storici
La storia del rapporto tra l'uomo e l'elemento acqua, affondano le radici nel passato.
L'acqua è l'origine di tutte le cose diceva Talete 2600 anni fa.
Da allora molti hanno sperimentato i benefici dell'acqua.
Nel mondo romano il nuoto era talmente importante che si diceva di un uomo ignorante che "non sa
né leggere né nuotare". Nell'antica Grecia e poi a Roma attraverso l'acqua ci si teneva in forma, ci si
rilassava alle terme e nelle vasche cittadine.
L'idroterapia scomparirà nel Medioevo per poi ricomparire inizialmente nel XVII secolo, ma il suo
massimo sviluppo è stato durante il XIX secolo, quando l'abate Sebastian Kneipp fondò a
Champneys in Inghilterra, il primo centro idroterapico.
La virtù salutare dell'acqua è stata riscoperta da Sebastian Kneipp e scientificamente migliorata da
Luigi Costacurta.
L’autore vedeva nell'acqua il mezzo usato dal corpo (in quanto proprio il corpo umano è composto
principalmente da questo elemento) per rallentare o accelerare la sua auto guarigione. Fin da allora
la disintossicazione del corpo prevedeva bagni sia caldi sia freddi, un regime dietetico appropriato,
esercizi fisici, impacchi, docce e pediluvi.
La virtù salutare dell'acqua è stata sistematicamente migliorata e scientificamente documentata da
Luigi Costacurta i cui principi sono ancora applicati tutt'oggi in molti centri di terapie naturali.
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LA RIABILITAZIONE IN ACQUA
Tuffarsi in acqua è una potente metafora del guardarsi dentro.
La riabilitazione in acqua è ascolto. Nel silenzio creato dall'acqua, il corpo si trova nell'abbraccio di
un involucro estraneo, non abituale; nemmeno il respiro - nostro inseparabile compagno - può
ricondurre ad un contatto con la realtà esterna. E mentre i sensi risultano attutiti, si fa più intensa la
percezione di noi, del nostro tessuto psico-emozionale. Il contatto con il nostro Io si fa profondo,
emergono sensazioni sconosciute, dimenticate, ignorate; talvolta si evidenziano blocchi emotivi,
che gravano sul nostro modo di agire e reagire.
È dunque la scoperta di un mondo interiore e contemporaneamente della propria interezza; la
nascita dell'individuo consapevole, integro, che riconosce nel proprio corpo e nei segnali che esso
trasmette, l'espressione della propria fisicità ma anche dell'emotività.
Immergersi nell’acqua permette di rivalutare la capacità comunicativa del corpo, da interpretare alla
luce del vissuto culturale ed affettivo. Nel limbo liquido, che avvolge e permea come il liquido
amniotico, l'individuo ascolta con disponibilità ritrova (o scopre con meraviglia) se stesso, e
rinasce, ma questa volta come individuo completo e consapevole.
Il corpo diviene interfaccia creativa dell'interiorità, momento di contatto con il Sé, strumento di
conoscenza, ed è sollecitato ad affrontare le eventuali condizioni di inibizione dell'espressività e
quelle rigidità e quei controlli autorepressivi che ne scaturiscono. Esso passa da una condizione di
chiusura ad uno spazio di possibile apertura, al superamento di blocchi muscolari, che impediscono
l'esternazione delle emozioni.
Nell’acqua scopriamo che esiste una corrispondenza tra sofferenza fisica e sofferenza emotiva:
questa consapevolezza può rappresentare il punto di partenza di un profondo lavoro organismico,
che avrà come scopo ultimo il superamento dei blocchi e delle inibizioni.
Per questo immergere il corpo in acqua facilita l’ascolto: un lungo e fecondo percorso introspettivo,
alla scoperta della propria identità.
Partire dall’unità psico-corporale e da esso sviluppare un equilibrio ed una compattezza, che non
possono che essere della personalità nel suo complesso, al fine di ottenere l'ottimizzazione delle
proprie potenzialità
La psicoterapia aiuta a definire questo percorso verso la coscienza, a decifrare i messaggi del nostro
Io, per interpretarli, esprimerli, valorizzarli, sviluppare la capacità di agire, abbandonare concetti e
pensieri abituali, per esprimere la propria creatività. Essa ci offre gli strumenti per l'ascolto e la
chiave di interpretazione per iniziare un approccio costruttivo, che richiede un intervento sul corpo,
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sul respiro, sulla mente, per utilizzare in modo completo le risorse intime, per esercitare il controllo
sui processi emotivi, ritrovare la propria libertà di espressione, l'autenticità, la centratura.
Conciliare, quindi, l’idroterapia con tecniche di introspezione, di consapevolezza, di rilassamento e
di visualizzazione. Si sviluppa una vera e propria disciplina interiore, che aumenta il potere
personale, l'autostima e la fiducia in se stessi, permettendo così il pieno sfruttamento dei fattori
esterni favorevoli, guidando la mente verso pensieri e dunque atteggiamenti positivi e propositivi.
Concentrando l'attenzione al qui e ora, alla confluenza e alla realizzazione delle proprie aspirazioni
e della propria emotività si ottiene di recuperare il senso di contatto con il Sé e con l'acqua, di
eliminare gli automatismi e sviluppare una coscienza non più esclusivamente istintuale ma critica
ed attiva.
LA PAURA DELL’ ACQUA
“Avere paura significa una cosa soltanto, abbandonare il conosciuto ed entrare nello sconosciuto”.
Entrare in acqua, significa adattare i propri processi percettivi ad un ambiente nuovo: nuove
temperature, nuovi equilibri, nuove sensazioni, nuove gestioni dello spazio e del tempo.
L’acqua è un elemento naturale nel quale immergersi con amore e con coraggio. Da una parte ci
appartiene come ambiente di nascita, come struttura biologica, come archetipo, dall’altra parte è
uno spazio sempre nuovo, da conquistare e da rispettare.
I suoi significati simbolici si riassumono in tre temi fondamentali:
sorgente e veicolo di vita,
mezzo di purificazione
centro di rigenerazione.
Richiamano schemi di esperienze psicologiche molto profonde e spesso non risolte come, ad
esempio, la paura dell’acqua.
La paura è un’esperienza che si prova concretamente nell’acqua: paura della sopravvivenza, paura
di esporsi, paura del fallimento, paura di perdere il controllo.
L’immergersi in acqua scatena le paure antiche del nostro bambino interiore, la vergogna che
qualcosa di intrinseco in noi sia sbagliato, inefficiente, incapace e lo shock quale esperienza
paralizzante di fronte a qualcosa, che non padroneggiamo.
La paura è, quindi, il risultato di un’educazione culturale, che non riesce ad equilibrare le paure di
tutti i giorni con le paure esistenziali come, ad esempio, la malattia, la vecchiaia e la morte. Tale
equilibrio è raggiungibile identificando le proprie insicurezze e certi modi di pensare negativi su se
stessi, acquisendo una migliore organizzazione psicologica ed un atteggiamento di trascendenza.
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L’elemento acqua, idealmente, permette un viaggio alla scoperta di se stessi, dove si entra in
contatto con il bisogno intimo di aprirsi e di dissolversi in uno spazio dove le paure non esistono.
La paura è un tema centrale dell’esistenza umana. Quando è negata e non è riconosciuta, è cacciata
negli scantinati della nostra mente, esercitando un effetto potente di disturbo sugli automatismi
psicofisici. Tale disconoscimento può causare un’ansia cronica, sabotare la nostra creatività
rendendoci rigidi ed insicuri e può annullare i nostri sforzi di trovare un equilibrio ottimale tra
sicurezza, apprendimento e acqua.
Se ci relazioniamo con la paura, portandola allo scoperto ed esplorandola può, diventare una forza
di trasformazione, che ci invita a percepire la nostra vulnerabilità e anche ad accettarla.
Entrando in profondità nella paura, ma con consapevolezza, si crea uno spazio interiore per sentire,
per osservare, per accettare, per crescere. Questo processo interiore necessita di schemi di
comportamento pratici, che nell’acqua si trasformano in movimenti, stili, respiri, ritmi realizzati in
sicurezza, esplorazione e creatività.
Così la paura dell’acqua è affrontata come una ricerca di profondità con se stessi e non una sfida
della volontà.
‘Giocando’ sul filo delle paure, correndo il rischio di avere l’insicurezza e l’incertezza come
compagne, si va sempre più in profondità dentro se stessi come una medicina per tutto ciò che ci
affanna.
Bachelard in "La psicanalisi delle acque" dice: "l'acqua spinge l'uomo alla vita energica e per molti
aspetti la contemplazione e l'esperienza dell'acqua ci conducono verso un ideale. Non si devono
sottovalutare le lezioni, che ci vengono dalle materie primarie. Hanno segnato la giovinezza del
nostro spirito. Sono necessariamente una riserva di giovinezza. Le ritroviamo legate ai nostri
ricordi
intimi."
Acqua
intesa
come
elemento
antico,
come
elemento
primordiale.
Bachelard parla del "richiamo dell'elemento". Il richiamo dell'acqua reclama in un certo senso un
dono totale, un dono intimo. L'acqua vuole un abitante, chiama a sé come una patria. Però, per
molte persone, l'acqua non è, come direbbe Bachelard, una patria. Sono irresistibilmente attratte ma
nello stesso tempo sentono repulsione e paura. Ma paura di che cosa?
Paura di cadere, di non riuscire a respirare, oppure è una sensazione imprecisata? Sanno che tutti
galleggiano, perché è un fatto naturale, ma sono anche convinti che per loro non sia così. Hanno
provato tante volte, ma non ci sono mai riusciti, perché fanno esattamente l'opposto di ciò che
l'acqua chiede di fare: si tengono, si tengono a galla, invece di lasciarsi andare. Per tenersi a galla
contraggono la muscolatura, rendendosi così più pesanti; i loro movimenti sono veloci, forzati,
faticosi, devono andare in fretta e non si possono mai fermare perché altrimenti "cadono". Come
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direbbe Erikson, è un "gioco senza fine", per intendere quando un sistema si blocca con e nelle sue
stesse regole: mi irrigidisco perché non galleggio, non galleggio perché mi irrigidisco.
Allora, galleggiare e muoversi in acqua diventano un fatto di consapevolezza. Per essere
consapevoli e vincere la paura occorre affrontare ciò che si teme: occorre cioè lasciarsi andare e
sperimentare la realtà del galleggiamento. Il compito degli operatori è di cambiare le "regole del
gioco", attraverso esperienze e dimostrazioni concrete. Si stimola la comprensione e la conoscenza
fisica, cutanea quasi, dell'acqua, insieme alle quali aumenta la fiducia nelle proprie capacità e
possibilità, spesso insospettate.
L'acqua fa aumentare il coraggio e la fiducia in capacità e risorse che abbiamo e che spesso
sono insospettate. Per molte persone il comportamento spontaneo del neonato con l'acqua
rimane quasi intatto, per altre invece regredisce e si nasconde fino a diventare una vera
fobia. Cioè che l'acqua favorisce il riemergere del ricordo della vita intrauterina.
Cosa ricordiamo di quel periodo, cosa ricordiamo di quella turbolenza acquatica che è stata
la nascita? Bion scrive "... ho l'impressione che l'esperienza della nascita sia troppo dura;
quelli che, quando erano embrioni facevano potenzialmente, ora non è più alla loro portata.
Mi sembra che sia gratuitamente insensato supporre che il fatto fisico della nascita sia
qualche cosa che crea una personalità, che prima non esisteva… Il feto non ha altra scelta
che nascere ed è spinto fuori in uno scomodo fluido gassoso. E' costretto ad abbandonare
un bel fluido acquoso.
Il riferimento che fa Bion è senza dubbio a Ferenczi che nel 1932 presentò un'ipotesi
affascinante sulla nascita della specie umana. Secondo Ferenczi, le nostre cellule portano in
sé la loro storia e il significato della loro genesi. Hanno quindi una memoria. Attraverso lo
studio del comportamento delle cellule e attraverso alcune interpretazioni psicanalitiche,
egli diede una sua interpretazione filogenetica.
Cadere in acqua spesso significa il ritorno nel grembo materno, mentre essere salvato
dall'acqua pone l'accento sull'episodio della nascita o dell'arrivo dei primi esseri sulla terra
ferma. Per cui, nella leggenda del diluvio, probabilmente, c'è un'inversione dello stato reale
dei fatti. La prima grande minaccia che si è abbattuta sugli animali, tutti acquatici
all'origine, non fu il diluvio ma il prosciugamento.
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In questo modo l'acqua non è più solo un elemento pericoloso, a poco a poco diviene chiaro
il suo aspetto positivo. Quella dell'acqua è un'esperienza reale, concreta. L'acqua richiede
un movimento lento, allungato, non contratto. Un corpo sciolto abituato a ogni posizione.
Chiede di lasciarsi andare all'esperienza e di non porre resistenza.
"In acqua tutto conta di più: la paura, il coraggio, l'esperienza e... il tempo. "
Bernie Chowdhury
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opuscolo 2 idrochinesiterapia