L’evoluzione della tecnologia
Lezione del corso di
Storia della Tecnologia
10/05/2008
Filippo Nieddu
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La teoria dell’innovazione
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Filone neoclassico
Filone paleo-schumpeteriano
Filone neo-schumpeteriano
Filone neo-tecnologico
Filone organizzativo-manageriale
L’approccio neoclassico
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L’innovazione è vista come un fattore esogeno; la
visione del fenomeno è statica.
Le scelte imprenditoriali relative alle capacità
produttive ottimali sono fatte sulla base dei prezzi dei
fattori e dei prodotti all’interno di uno stato delle
tecniche noto.
La struttura produttiva si adatta istantaneamente e
totalmente alle tecniche più avanzate.
L’approccio neoclassico
Capitale
Curve della produzione
Limiti di bilancio
4
Lavoro
Il filone paleo-schumpeteriano
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I primi lavori di Joseph A. Schumpeter dei primi anni ‘900 sono
mirati alla definizione di una teoria dello sviluppo economico
della società capitalistica
L’innovazione produce un extra-profitto agli imprenditori più
capaci
Si introduce la distinzione tra invenzione, innovazione e
diffusione dell’innovazione.
Introduzione tipologie di innovazione: nuovo prodotto, nuovo
processo, nuovo mercato, nuove fonti delle materie prime,
nuova organizzazione d’impresa.
Al di là delle nomenclature, scarsi i risultati teorici.
Il filone neo-schumpeteriano
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Si basa sui lavori di
Schumpeter degli anni ‘30-’40
Fase del successo della
grande impresa operante in
condizioni di controllo del
mercato
Inversione della sequenza tra
innovazione e profitto. Ora è il
profitto a rendere i tempi e la
natura nelle delle innovazioni
coerenti con gli obiettivi
strategici dell’impresa.
Joseph A. Schumpeter
Il filone neo-tecnologico
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7
Questo filone vede l’autoderminazione della
tecnologia (non subordinazione della tecnologia
all’economia: non sono totalmente indipendenti ma
nemmeno in automatica sintonia).
Il progresso tecnico va considerato una variabile
autonoma, dotata di proprie leggi di sviluppo.
Si nega l’ipotesi neoclassica di indifferenza delle
imprese nei confronti del cambiamento tecnologico.
Il filone organizzativo-manageriale
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Questo filone vede il tentativo da parte delle aziende
di formalizzare internamente le procedure legate
all’innovazione.
Creazione di funzioni dedicate, azioni e azioni
correttive, test, sistemi di verifica, sono inseriti nello
schema funzionale aziendale, ed esprimono il
tentativo di controllare managerialmente l’attività
innovativa.
L’invenzione
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Visione trascendentalista: l’ispirazione del “genio”, come
portatore di novità, alla base della crescita e dello sviluppo
sociale.
Visione “sociale” (Kroeber, Ogburn e Gilfillan, anni ’50-’70):
invenzione come conclusione di un processo sociale derivante
dall’accumulazione di molti processi singoli
Posizione intermedia: ha come presupposto teorico la scuola
psicologica della Gestalt; secondo cui “l’intuito non è un
fenomeno raro, eccezionale, come era assunto dai
trascendentalismi, ma non è neppure una risposta meccanica ad
un bisogno, che si ritiene debba accadere necessariamente”
(Abbott Payson USHER, A History of Mechanical Inventions,
1954).
L’ipotesi di Usher
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Secondo Usher l’atto di intuizione individuale può
essere formalizzato come un percorso a quattro stadi:
– percezione del problema;
– setting of the stage;
– atto di intuizione;
– revisione critica.
Con la locuzione setting of the stage Usher indica il
contesto nel quale dovrà avere luogo l’intuizione, sia
da un punto di vista fisico sia da un punto di vista
intellettivo.
L’ipotesi di Usher: esempio 1
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Corradino
D’Ascanio
ideò la Vespa
mutuando
alcuni
elementi
dalle
costruzioni
aeronautiche
Usher:
esempio 2
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Aerodinamica e
costruzioni edili:
un nuovo binomio,
formato da
Gustave Eiffel
L’ipotesi di Usher: esempio 3
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13
Il Flyer dei fratelli
Wright derivava
dalle esperienze
di costruttori di
biciclette, dalle
prove in galleria
del vento e da
numerosi
esperimenti
preliminari.
Il contributo di Rosenberg
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Secondo Nathan Rosenberg sono poche le aziende
che possono permettersi di “pensare a lungo
termine”, per diverse cause.
Il concetto di “squilibrio tecnologico” è usato per
giustificare la scelta di certe direzioni di sviluppo.
Esempi ne sono:
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le interrelazioni tra tecnologie (es. motori e freni delle auto);
la certezza della disponibilità di lavoro (es. scioperi nell’800);
mutamenti e scomparse nelle fonti di approvvigionamento.
Altra idea: la convergenza tecnologica (base comune
di molte tecnologie), come nel caso dell’elettronica.
Gli approcci all’atto di intuizione
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RIDUZIONISMO
OLISMO
Tendenza
simulare
emulare
Approccio
analitico
sintetico
Cultura
scientifico
multidiscipl.
Riferimenti
cervello
mente
Apprendimento
eventi
modelli
Necessità e diversità
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Secondo George Basalla, “la necessità è una
spiegazione molto diffusa, ma errata, della
diversità”, e ancora, “ogni società, in ogni tempo,
possiede un potenziale di innovazione tecnologica
superiore a quello che essa può sperare di
sfruttare”.
La diversità degli oggetti tecnici (Marx nel 1867
apprese che a Birmingham erano prodotti più di
500 ti pi diversi di martello) rende plausibile l’ipotesi
di una similitudine della tecnologia con il mondo
organico.
Diversità naturali e tecnologiche
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Una teoria in grado di spiegare la diversità del
mondo organico può aiutare a spiegare la varietà
dei manufatti.
Marx classificò centinaia di martelli, tutti atti a
svolgere funzioni diverse
La favola di Esopo della cornacchia e della brocca
d’acqua vorrebbe che solo la necessità sia la
madre delle invenzioni.
L’automobile, però, è realmente necessaria a
priori? Più realisticamente, l’invenzione dei veicoli a
motore creò la necessità del trasporto motorizzato.
Un esempio contrario
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I Mesoamericani non si servirono dei trasporti su
ruote perché la configurazione topografica della
regione e la forza di trazione animale di cui
potevano disporre non li rendeva possibili: la ruota
non è l’unico meccanismo necessario, o utile, a tutti
i popoli e in ogni luogo.
La necessità biologica opera negativamente e ai
limiti estremi: essa stabilisce ciò che è impossibile,
non ciò che è possibile.
La necessità della tecnologia
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In realtà, la tecnologia non è necessaria per
soddisfare i bisogni elementari dell’uomo; il filosofo
José Ortega y Gasset la defiisce “produzione del
superfluo”.
La tecnologia è sviluppata non per soddisfare a
bisogni dettati dalla natura, ma per coltivare bisogni
che sentiamo come tali.
I manufatti non rappresentano un insieme di
soluzioni nate dalle necessità fondamentali, ma
sono le manifestazioni materiali dei modi scelti nel
tempo dagli uomini per vivere la propria vita.
Il darwinismo e la tecnologia
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Lane-Fox Pitt-Rivers, ufficiale dell’esercito inglese,
incaricato nel 1852 di collaudare nuovi fucili, studiò
la storia delle armi (da fuoco e non).
Le sue conclusioni furono, in sintesi:
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nel corso dei secoli e dei millenni, senza un disegno
precostituito, gli uomini avevano selezionato i manufatti
più idonei a determinati scopi, scartando quelli meno
idonei e modificando gradualmente i manufatti superstiti in
modo da far svolgere nel modo migliore le funzioni ad essi
assegnate (concetto di selezione inconsapevole).
L’inventore è solo un punto in un continuum.
Abbott P. Usher e l’invenzione
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Usher (non completamente compreso da Basalla,
che coglie bene solo l’aspetto dell’atto intuitivo e
non quello del setting the stage) risposta l’accento
sull’invenzione come atto unico.
L’atto intuitivo, però, è appartenente al dominio
della psicologia, non di quello dell’economia o della
tecnologia.
I punti cardine dell’evoluzione
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I concetti fondamentali, secondo Basalla, legati
all’evoluzione della tecnologia:
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diversità;
continuità;
innovazione;
selezione.
Il mondo dei manufatti contiene una grande varietà
di oggetti, derivanti dalla continuità evolutiva e
dall’innovazione. La susseguente selezione
permette di scegliere i manufatti che meglio si
adeguano alle necessità dell’uomo in quell’istante.
Gli alberi genealogici
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L’albero di Kroeber
Un esempio: gli utensili in pietra
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Anche dopo la scoperta e
l’utilizzo di altri materiali,
la forma degli utensili
seguì sempre quella dei
primi in pietra (continuità).
Un esempio: la sgranatrice
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L’inventore della
sgranatrice per il cotone,
Eli Whitney, ammise che
aveva preso l’idea da una
macchina, detta charka,
diffusa da secoli in India.
Un esempio: la macchina di Watt
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“Watt abbandonò l’uso della
pressione atmosferica e fece
muovere lo stantuffo nei due
sensi applicando il vapore
prima su un lato e poi sull’altro
del pistone. La macchina di
Watt non veniva dunque
azionata dalla pressione
atmosferica ma dal vapore
stesso, il quale, espandendosi,
premeva contro il pistone; in
questo modo era nata la
macchina a vapore a doppio
effetto con condensatore
separato” (p. 60).
I precedenti: la macchina di Papin
(1690)
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Si dovrà disporre dentro il cilindro metallico un poco di
acqua. Il pistone superiore sarà spinto verso il basso in
modo da essere a contatto con l'acqua (l'aria che è nel
cilindro fuoriesce da un piccolo foro lasciato nel pistone,
foro che si richiuderà quando il pistone sarà sceso
completamente). A questo punto si accende un focolare al
di sotto del cilindro; il vapor d'acqua, vincendo la pressione
atmosferica, solleva il pistone fino alla sommità del
cilindro. In alto il pistone sarà bloccato da appositi
ingranaggi per permettere di togliere il focolare con le
seguenti successive conseguenze: raffreddamento del
vapore, sua condensazione fino a tornare acqua,
creazione del vuoto sopra la superficie dell'acqua. A
questo punto si libera il pistone prima bloccato in alto.
Esso scenderà violentemente risucchiato dal vuoto. A
questo punto si rimette il focolare sotto il cilindro e tutto
procede di nuovo come nel ciclo precedente. La forza [il
termine energia entrerà nella letteratura scientifica molto
oltre, nell'Ottocento] che si genera dipenderà dalle
dimensioni in gioco ed in particolare dal diametro del
cilindro ma anche dalla tenuta tra pistone e cilindro.
I precedenti: la macchina di Savery
(1698)
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Il vapore proveniente da una caldaia (edificio in
muratura di figura) era inviato, mediante un tubo,
dentro un recipiente ellissoidale pieno d'acqua con
l'effetto di espellere quest'acqua verso l'alto, mediante
un altro tubo. Successivamente il recipiente veniva
raffreddato mediante un getto d'acqua dall'esterno. A
seguito di ciò il vapore ivi presente (che aveva
sostituito l'acqua precedentemente presente)
condensava provocando il vuoto. In tal modo, la
pressione atmosferica agente sull'acqua da sollevare
in fondo al pozzo, poteva spingere quest'acqua nel
recipiente vuoto (si può anche dire che il vuoto del
recipiente aspirava l'acqua dal pozzo). A questo punto
un nuovo getto di vapore proveniente dalla caldaia
faceva defluire l'acqua verso l'alto. I recipienti
ellissoidi presenti erano due ed erano
alternativamente riempiti e svuotati per maggiore
efficienza dell'impianto. E' chiaro che per realizzare
tutto questo occorreva aprire e chiudere
alternativamente rubinetti e valvole; tali operazioni
venivano fatte manualmente.
Nota sulla macchina di Savery
La macchina aveva il limite di sollevare l'acqua
non oltre i circa 10 metri (limite torricelliano). Per
risolvere tale problema Savery spinse sulla
pressione, portandola alle circa 10 atmosfere (se
si pensa che non vi erano valvole di sicurezza ci
si rende conto che tali macchine erano delle
potenziali bombe); la qual cosa, nelle previsioni
teoriche, avrebbe moltiplicato per 10 il normale
sollevamento ad una sola atmosfera, portandolo a
circa 100 metri. Il tutto però avveniva con grande
consumo di combustibile (carbone e legna), circa
20 volte quello di una normale macchina a vapore
di alcuni anni dopo.
29
I precedenti: la macchina di
Newcomen (1712) / 1
30
Essa adottava cilindro e stantuffo di Papin e lavorava,
contrariamente a Savery, a bassa pressione (quella
atmosferica), fatto che la rendeva di molto più facile
costruzione. Era poi molto affidabile per l'abilità artigiana di
costruzione (dati gli standard piuttosto insoddisfacenti
dell'epoca), per il fatto che Newcomen aveva esperienza di
miniere e perché lavorava con un abile idraulico, Calley. Un
fornello (in basso a destra) alimentava la caldaia che
produceva vapore alla pressione atmosferica. Tale vapore
veniva immesso dal basso nel cilindro e, aiutato dal
bilanciere che manteneva inizialmente in equilibrio l'asta della
pompa posta ad estremità opposta del bilanciere rispetto
all'asta dello stantuffo, faceva sollevare lo stantuffo
medesimo. Appena il vapore aveva riempito il cilindro,
mediante una valvola, si immetteva in esso dell'acqua fredda
che originava la condensazione del vapore. In tal modo lo
stantuffo precipitava verso il basso spinto dalla pressione
atmosferica. In tal modo il bilanciere oscillava
alternativamente da una parte e dall'altra, provocando la
messa in funzione della pompa, situata a sinistra del
bilanciere, che sollevava l'acqua dal basso.
I precedenti: la macchina di
Newcomen (1712) / 2
31
Sistemi di apertura e chiusura delle valvole per l'immissione
e lo scarico del vapore (ed acqua) erano automatizzati
attraverso il moto dell'asta della pompa d'iniezione
sincronizzata con il moto del bilanciere (la possibilità di tale
automatismo, non esistente in origine, fu consigliata da un
giovane operaio addetto alle aperture e chiusure delle
valvole, Humphrey Potter, Egli collegò con delle corde le
due valvole all'asta in moto con il bilanciere e se ne andò a
giocare con gli amici). La tenuta dello stantuffo era
realizzata mediante rivestimento del medesimo con del
cuoio reso a tenuta d'aria mediante il rigonfiamento
provocato da acqua situata nella parte superiore dello
stantuffo (buona soluzione ma lontana da una buona
tenuta). Il tutto era di notevoli dimensioni: per dare un'idea
si pensi che l'altezza del solo cilindro poteva arrivare quasi
ai 4 metri. Il bilanciere realizzava 12 oscillazioni al minuto in
ciascuna delle quali sollevava 45 litri d'acqua da 46 metri di
profondità (mediante l'uso di una serie di pompe). La sua
potenza si poteva stimare intorno ai 5 cavalli vapore. Tale
macchina, come detto, ebbe un gran successo ed in
sessanta anni se ne fabbricarono oltre 120 esemplari.
La macchina di Watt / 1
Da notare: la grande caldaia che
presentava una superficie riscaldante
maggiore (C), il cilindro dotato di camicia di
vapore (E), il condensatore separato (F).
32
La macchina
di Watt / 2
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Questo è il principio di funzionamento
della macchina. Il vapore prodotto dalla
caldaia entra nel cilindro e solleva il
pistone (in tale fase la valvola B è aperta
e la A è chiusa). Appena il pistone è
arrivato alla sommità del cilindro si
chiude B e si apre A: una pompa aspira il
vapore dal cilindro. Il cilindro scende in
basso ad opera della pressione
atmosferica (Il cilindro mosso dal solo
vapore sarà in un modello di macchina
successivo). Il vapore aspirato va nel
condensatore per ritornare allo stato
liquido. Si riapre la valvola B e si richiude
la A per iniziare un nuovo ciclo. Nel
frattempo l’asta del pistone fa lavoro (in
questo caso) attraverso l’oscillazione del
bilanciere che aziona la pompa della
miniera. Il bilanciere, come lavoro
secondario, aziona anche la pompa che
aspira il vapore dal cilindro.
La macchina di Watt / 3
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Nel 1782 Watt realizzò la macchina a doppio effetto, che in pratica
raddoppiava la potenza della macchina semplice a parità di
cilindrata. Si tratta di immettere il vapore alternativamente sulle due
facce dello stantuffo. In tal modo si abbandona l’intervento diretto
della pressione per far scendere lo stantuffo medesimo e si apre alla
possibilità di macchine con cilindro non più necessariamente
verticale. I problemi con il doppio effetto erano legati al trasferimento
del moto al bilanciere. La catena non era più utilizzabile, ora serviva
un meccanismo rigido. Watt risolse brillantemente anche questo
problema con il sistema di leve detto parallelogrammo articolato o a
tre leve. Infine Watt realizzò una valvola regolatrice centrifuga
(aggiunta nel 1788), un meccanismo che regolava l’immissione del
vapore (governor) al fine di mantenere la macchina in moto con
velocità costante.
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Il governor
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Il regolatore di Watt (governor) faceva
accelerare la macchina se rallentava
per il troppo carico o la faceva rallentare
dopo una accelerazione dovuta a
diminuzione di carico. Se la velocità
della macchina aumenta le due palline
divaricano e, per mezzo di leve, fanno
chiudere un po’ la valvola a farfalla. La
quantità di vapore che giunge nel
cilindro diminuisce e la macchina
rallenta. Se la macchina ritarda succede
esattamente il contrario. Il governor
forniva anche i diagrammi di lavoro
della macchina ed anche visivamente
rendeva conto della velocità di
operazione della medesima (più si
sollevavano le palline, nel moto rotatorio
che gli competeva, maggiore era la
velocità della macchina).
Il funzionamento
della macchina di Watt
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Altri esempi
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La forma “archetipica” dei primi motori elettrici
richiamerebbe quella delle macchine a vapore a
doppio effetto (anche se “nel motore di Henry non
c’era nessun elemento che potesse considerarsi un
equivalente del cilindro e del pistone”, p. 66).
Il transistor come evoluzione continua delle valvole
(pp. 67-68).
Il sistema di illuminazione elettrica di Edison basato
sullo schema di quella a gas (pp. 72-73).
Il filo spinato (pp. 75-82) come derivato dalla forma
della maclura (o bois d’arc).
Riferimenti bibliografici essenziali
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39
George BASALLA, L’evoluzione della tecnologia,
Milano : Rizzoli, 1992
Nathan ROSENBERG, Dentro la scatola nera –
Tecnologia ed economia, Bologna : Il Mulino, 1991
Abbott P. USHER, A History of Mechanical Inventions,
1954
Donald A. NORMAN, La caffettiera del masochista,
Firenze : Giunti, 1997
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