Elena Sartori
L'IMPATTO DELLA RIVOLUZIONE POLACCA DEL 1830
NEL DIBATTITO POLITICO E INTELLETTUALE
IN FRANCIA E IN ITALIA
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
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INDICE DELLA TESI
Introduzione
Capitolo 1
L’INSURREZIONE DI NOVEMBRE DEL 1830-31
1.1. Antefatti
1.2. L’insurrezione di novembre del 1830-31
1.3. Gli avvenimenti posteriori
Capitolo 2
LA RICEZIONE EUROPEA DELL’INSURREZIONE DI NOVEMBRE DEL 1830-31
2.1. La Grande Emigrazione
2.2. La ricezione europea dell’Insurrezione di Novembre
2.3. La Russia
2.4. La ricezione inglese
Capitolo 3
LA RICEZIONE FRANCESE ED ITALIANA: F.R. LAMENNAIS E G. MAZZINI
3.1. La Francia
3.2. La Polonia, F.R. Lamennais e il giornale l’Avenir
3.3. L’Italia
3.4. La Polonia, G. Mazzini e il giornale La Giovine Italia
Capitolo 4
LA SANTA SEDE E LA POLONIA DURANTE IL PONTIFICATO DI GREGORIO XVI
4.1. La Chiesa di Roma nel contesto della Restaurazione europea
4.2. Gregorio XVI e la situazione del cattolicesimo in Polonia
4.3. Il carteggio diplomatico tra la Santa Sede e la Russia: l’enciclica Cum Primum
del 9 giugno 1832
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Capitolo 5
L’OPINIONE LIBERALE DI FRONTE ALL’ENCICLICA CUM PRIMUM
5.1. La reazione polacca
5.2. F.R. Lamennais e l’enciclica Cum Primum
5.3. Alcuni intellettuali cattolici e liberali italiani di fronte all’enciclica Cum Primum
Epilogo
Appendice I
Appendice Ii
Appendice Iii
Appendice Iv
Bibliografia
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
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Sintesi della tesi
A seguito dell’insurrezione polacca del novembre del 1830 contro l’Impero russo e della sua repressione ad opera delle truppe zariste nel settembre del successivo anno, la Polonia si materializzava agli occhi dell’opinione intellettuale
liberale europea come l’incarnazione del principio di libertà dei popoli. “La Pologne est la digue qui retient le torrent”, scandiva nel gennaio del 1831 Charles
De Coux, collaboratore di Félicité-Robert Lamennais, sul periodico l'Avenir. I
maggiori quotidiani liberali e democratici d’Europa, particolarmente quelli
francesi, contribuirono alla costruzione del mito di una “nazione martire”,
punto di riferimento negli anni ‘30 nella lotta contro il vecchio sistema dei governi assolutistici.
La presente tesi analizza come la “questione polacca” divenisse centrale, per un
breve arco di tempo, anche nel dibattito cattolico liberale italiano, inasprendo
le polemiche sul degrado morale e amministrativo della Chiesa Cattolica
all’indomani del Congresso di Vienna. Il dibattito si focalizzò infatti in modo
specifico attorno ad una lettera enciclica, il breve Cum Primum, scritta nel giugno del 1832 dal pontefice Gregorio XVI.
Nel documento era condannata con fermezza la partecipazione del clero cattolico polacco ai moti insurrezionali, tra i cui obiettivi primari figurava la salvaguardia del credo cattolico nelle terre poste sotto il protettorato russo. Tale biasimo rese palese il grave stato di subordinazione della Santa Sede nei confronti
delle corti europee, e di quella russa in special modo.
ANNO ACCADEMICO: 2003-2004
RELATORE: Prof. Stuart J. Woolf
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Capitolo 5
L’OPINIONE LIBERALE DI FRONTE ALL’ENCICLICA CUM PRIMUM
“Pourtant j’ai quelque peine à croire que nous assistions à une comédie; car, dans toute comédie, on finit,
tant bien que mal, par s’entendre, et ce n’est pas là notre cas, m’est avis. On me citera, pour preuve du contraire, Grégoire XVI et Nicolas. C’est vrai, je le reconnais, ceux-là s’entendent; les ukases sont d’accord avec
les brefs, et les brefs avec les ukases: il faut le confesser,
c’est là de la bonne et légitime comédie selon toutes les
règles d’Aristote et de M. de la Harpe. Seulement les
Polonais pouvraient demander qu’on l’appelat plutôt
tragédie; mais, comme ils ne demandent rien, attendu
qu’on les a gracieusement délivrés de la nunquam satis
esecranda liberté de parler et d’écrire, nous n’aurons
point à discuter cette question délicate…”1
F. R. Lamennais
“Piangiamo insieme, insieme speriamo, non dall’armi
distruttrici né dalle promesse fallaci degli uomini, ma
dalla virtù e da Dio più lieti destini” Queste parole, non
ingiuriose al tiranno, avrebbero consolato gli oppressi.
[…]
Ed ecco il cambio:“Voi per me pregate; io prego per voi.
Le spese crescono ma rallegratevi: io prego. Non dice:
io soffro; pregate. Dice: io prego; soffrite”.2
N. Tommaseo
5.1. La reazione polacca
Il pontificato di colui che oggi viene ricordato come il “papa monaco” Gregorio
XVI, restò alla memoria per le sue tinte scure, le arretratezze amministrative3
ed ideologiche, le chiusure severe. Di lui è stato detto che fosse “poco incline al
discernimento politico”4, che gli mancasse l’intuizione del tempo nuovo5, e che
fu “indubbiamente il papa più impopolare dell’ottocento”.6
1 Lettera del 9 ottobre 1832 al marchese di Coriolis, in ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani
del suo tempo, p. 152.
2 N. TOMMASEO, Dell’Italia: libri cinque, a cura di G. Balsamo-Crivelli, Torino 1938, pp. 49-50.
3 A proposito dell’inadeguatezza delle strutture amministrative delle Legazioni Pontificie, lo
stesso Gregorio XVI era costretto ad ammettere: “L’amministrazione civile richiede una grande riforma. Quando venni eletto ero troppo vecchio; non credevo di vivere tanto, e non ebbi il
coraggio di iniziare l’impresa: giacché chiunque la cominci deve condurla a termine […] Dopo
di me sceglieranno un Papa giovane, la cui missione sarà quella di attuare la riforma senza la
quale non è possibile andare avanti”. J.E. ACTON, Cattolicesimo liberale, Roma 1990, p. 137.
4 Enchiridion delle Encicliche, p. 7.
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
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La notizia dell’enciclica Cum Primum del 9 giugno 1832 giunse ai cattolici polacchi totalmente inaspettata e traumatica; per fedeli e laici rappresentò un tradimento, un insulto che li lasciò spaesati e senza guida. Tutti coloro che si erano
sentiti investiti di una lotta in nome della religione, si vedevano ora da quella
stessa religione condannati.
Si può intuire la sensazione di sgomento che il documento pontificio produsse
negli intellettuali polacchi attraverso la lettura delle parole del poeta Juliusz
Slowacki, il quale nel suo dramma Kordjan, immaginò il dialogo tra il pontefice
ed un conte polacco:
KORDJAN
“In dono reco a te, Padre, una reliquia santa,
una manciata di quella terra dove fu fatto macello di diecimila
fanciulli, vecchi e donne… A quelle vittime nemmeno
il pane eucaristico fu somministrato prima della morte;
deponila là, dove conservi i ricchi doni degli Zar,
in cambio dammi una lacrima, una sola lacrima…”7
[…]
IL PAPA
Orsù, figlio mio, va con Dio, e che la vostra nazione
Distrugga in sé il germe degli entusiasmi giacobini
Prenda il salterio, l’erpice e l’aratro…
KORDJAN
(gettando in aria la manciata di terra)
Getto ai quattro venti la polvere dei martiri!
Con empie labbra farò ritorno al paese…
IL PAPA
Sui vinti Polacchi per primo la maledizione scaglierò!8
Che la fede come albero d’ulivo cresca lussureggiante
Ed il popolo viva alla sua ombra.9
Grande costernazione l’evento suscitò anche nel poeta romantico A. Mickiewicz, il quale ancora nel 1844, apriva la sua quinta lezione al Collège de France
con le parole:
5 In una lettera del gennaio 1832 Lamennais scriveva all’abate Gebert: “Il papa è un buon religioso, che non sa nulla delle cose di questo mondo e non ha la più piccola idea delle reali condizioni della Chiesa.” ZADEI, Il pensiero socio-politico di Lamennais, p. 132. La lettera è citata
anche in J. MOODY, The condemnation of Lamennais, p. 124.
6 TREBILIANI, Alcuni momenti del pontificato di Gregorio 16., p. 24.
7 Si veda la citazione iniziale del capitolo quattro della presenta tesi.
8 Viene usato il tempo futuro perché l’ambientazione del dramma è immaginata nel 1828.
9 SLOWACKI, Kordjan, pp. 93-95.
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“Signori, una nazione cattolica è stata abbandonata dalla Chiesa ufficiale nel momento
più terribile della sua lotta da essa sostenuta per conservare la sua nazionalità religiosa…”10
e che ad un discorso al popolo di Modena, riferendosi a Gregorio XVI scandiva:
“Noi siam venuti di lontano e siamo diretti alla nostra patria; voi, o Modenesi, amate i
polacchi perché conoscete la nostra storia che somiglia alla vostra; voi Italiani, aveste
per imperatore uno zar, anzi un Tartaro, per governo un governo russo…”11
Sembra che quattordici nobili famiglie polacche abiurassero il cattolicesimo alla
notizia del documento papale. La notizia venne riportata in una lettera, che
l’incaricato agli affari belgi presso la Santa Sede, monsignor Charles Villain, indirizzò ad un suo corrispondente:
“Je ne sais, mon cher comte, si l’on regarde en Belgique le bref aux Polonais comme inspiré: voici ce que le Pape lui-même en a dit, il y a peu de jours. Vous savez, sans doute
qu’à la réception de ce bref quatorze familles nobles ont abjuré le catholicisme pour embrasser je ne sais quelle religion”. 12
Ma la lettera risulta di estremo interesse per un altro aspetto sottolineatovi;
monsignor Villain infatti continuava dicendo:
“Le patriarche de Jérusalem (Mgr Foscolo) disait dernièrement au Pape: «Vous répondrez, Saint-père, devant le tribunal de Dieu de la damnation de ces quatorze familles et
surtout de leur enfants à venir que votre bref a voués à l’hérésie et à l’enfer» La Pape
répondit: «Non, je ne répondrai point, mes intentions furent bonnes, mais d’autres auront un terrible compte à rendre. Comment voulez-vous que je ne fasse pas de faux pas,
quand pressé, tiré par tous les cabinets de l’Europe en sens contraire, je suis encore
trompé par mes cardinaux, indignement abusé par ceux en qui je dois mettre ma confiance? Lorsque je signai ce bref, on prit bien soin de me cacher l’état de la Pologne et ce
ne fut que six semaines après que je connus la vérité par le P. Colman, que j’appris par là
la persécution ouverte et sanglante que le nouveau Dioclétien fait peser sur la Pologne
qui m’est très chère. O mon Dieu, s’écria le Pape en pleurant, secourez mes enfants et
inspirez-moi ce que je dois faire».13
Anche considerando con qualche dubbio la veridicità delle dichiarazioni di Gregorio XVI, il documento suggerisce alcune osservazioni comunque degne di rilevanza. Esso dimostra che la ricezione dell’enciclica si rivelò per molte famiglie
La lezione è del 23 gennaio 1844: MICKIEWICZ, Scritti politici, p. 169.
A. MICKIEWICZ, Discorso al popolo di Modena, in Scritti politici, pp. 368-69.
12 La lettera fu pubblicata solo nel 1963 da Monsignor Simon, LE GUILLOU, La Pologne e les
Mennaisiens, p. 109.
13 La lettera di monsignor Villain risale al 20 gennaio 1833 e riferisce che l’incontro tra il
pontefice e monsignor Foscolo avvenne solo pochi giorni prima. La conversazione è riportata
anche in Storia della Chiesa, pp. 847-48.
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polacche dolorosa e drammatica, ma anche che l’enciclica seppe suscitare notevoli perplessità all’interno del clero romano stesso, e che le contingenze di ordine politico e diplomatico che ne determinarono la composizione fossero fattori di conoscenza ampiamente condivisa.
La lettera suggerisce altresì che negli anni seguiti all’enciclica la gravità delle
circostanze, o probabilmente la pesantezza delle reazioni sollevatesi, costrinse
la Chiesa a cercare di minimizzare la responsabilità del Pontefice nella stesura
dell’atto.14
Sull’autenticità dell’incontro, o per lo meno sull’enfasi posta dal pontefice in
quelle parole, non sono pochi i dubbi dichiarati.15
Dubbi rafforzati dalla circolazione, negli anni immediatamente seguenti, di una
successiva versione, riguardante un ennesimo pentimento di papa Gregorio
XVI, molto simile nel genere a quella del 1833.
Adam Mickiewicz, nella quarta lezione del suo corso all’università parigina, evidenziava:
“Più volte la S. Sede, il papa, hanno detto: «Mi sono sbagliato, non conoscevo la natura
di quel movimento, sono stato ossessionato dalla diplomazia». Ed ecco in cosa consiste
la sventura del nostro tempo: proprio voi che avreste dovuto presentire e prevedere tutto
ciò, voi che avreste avuto il dovere di insegnarci a sentirlo ed a saperlo, vi sbagliavate e
non sapevate nulla”.16
Eppure le parole citate dal poeta polacco non si riferivano all’incontro con il
patriarca di Gerusalemme, monsignor Foscolo, bensì ad un diverso colloquio,
avvenuto nel 1837, tra il pontefice ed il conte polacco Ladislas Zamoyski. Questo secondo incontro fu testimoniato dal padre L. Lescoeur, nella sua opera
L’église catholique en Pologne sous le gouvernement russe, che pubblicò solo
nel 1860.17 Fu proprio l’autore, presente all’incontro, a trascriverne le parole
dettategli dallo stesso pontefice.18 La coincidenza delle circostanze e dei termini,
induce a sospettare ancora di più che si possa trattare di due episodi costruiti e
Questa ipotesi è espressa in Storia della Chiesa, p. 847.
Vi si interrogano anche G. BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 321 ed il gesuita A. BOUDOU, Le Saint-Siège et la Russie, p. 187.
16 Scritti politici di Adam Mickiewicz, p. 159.
17 L. LESCOEUR, L’église catholique en Pologne sous le gouvernement russe, Parigi 1860; citato in Scritti politici di Adam Mickiewicz, nota 10, p. 159. Malgrado l’opera fosse edita solo
nel 1860, l’episodio del 1837 venne accreditato e diffuso, negli anni subito seguiti
dall’emigrazione polacca stretta attorno all’Hôtel Lambert; dell’incontro con L. Zamoyski si
parla anche in BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 321.
18 Ne parla BOUDOU in Le Saint-Siège et la Russie, p. 187, il quale sostiene che le parole del
papa furono quasi certamente enfatizzate dal trascrittore e confuta l’ipotesi di un radicale ripensamento della Chiesa
14
15
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programmati appositamente, con l’obiettivo di suggerire un profondo pentimento da parte del pontefice dell’atto.19
Capire se gli incontri fossero reali o meno, e in quale misura, capire se la loro
diffusione fu opera della Chiesa di Roma, nel tentativo di far fronte alle crescenti polemiche, piuttosto dei cattolici conservatori polacchi, per cercare di
mitigare la durezza della condanna papale, resta un campo di indagini che il
presente lavoro non pretende di risolvere.20
Rimane certo, tuttavia, che l’emigrazione cattolica conservatrice polacca cercò
in vari modi, nei primi anni seguiti all’enciclica, alcune manovre di riavvicinamento alla Santa Sede. Fin dal 21 settembre 1832 Gustaw Olizar, poeta e pubblicista polacco si offrì presso il principe Czartoryski come mediatore per provare a riprendere i contatti con Roma e limitare le conseguenze dell’atto papale.
Egli scriveva al principe polacco:
“J’ai lu la lettre Encyclique du Pape; je voulais lui écrire de suite et le prier de faire à ses
fils les princes, un petit cours de justice et de moral chrétienne, comme il vient d’en faire
une de soumission à ses brebis les peuples. Mais je me suis rappelé que je suis un anonyme et que cela n’irait pas […] Si vous mon prince vous écriviez?”21
Il 25 febbraio 1833 il principe Czartoryski scriveva in una lettera al conte
Ludwik Plater che i contatti con Olizar non dovevano andare perduti, che era
necessario interessare la Santa Sede alla creazione di un ordine religioso polacco a Roma, nonché all’apertura di un seminario per preti polacchi.22
Gustaw Olizar restò dall’inverno del 1832 all’estate del 1833 tra Roma e Napoli;
Plater e Czartoryski, nel frattempo, tentarono di inviare una missione provvisoria a Roma tramite alcuni inviati.23
Risulta improbabile che realmente Gregorio XVI in questi particolari anni rivedesse così
radicalmente le proprie posizioni. In seguito al documento ufficiale, infatti, ancora nel 1834 il
papa inviò una lettera all’imperatore Nicola I in cui veniva rinnovata l’assicurazione che il
Santo Padre avrebbe continuato a raccomandare ai cattolici l’obbedienza all’ordine costituito.
Si veda il documento: Lettre du pape Grégoire XVI à l’empereur de Russie Nicolas Ier en
l’assurant de nouveau qu’il recommande toujours au clergé de Pologne et aux Polonais en
général, leur soumission au gouvernement régulier et légitime de la Russie, Roma 4 gennaio
1834, in D’ANGEBERG, Recueil des traités, p. 963.
20 Nel testo di N. BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 230, si trova
traccia di un terzo incontro similmente toccante avvenuto nel 1846, questa volta tra Gregorio
XVI e lo zar in persona Nicola I. Gregorio XVI avrebbe in questi termini parlato all’autocrate
russo: “Sire! Verrà giorno in cui entrambi ci presenteremo a Dio per rendergli conto delle
opere nostre. Io, perché assai più innanzi negli anni, sarò il primo; ma non oserei sostenere
gli sguardi del mio giudice, se oggidì non pigliassi la difesa della religione che mi viene confidata e che voi opprimete. Sire! Pensateci bene, Dio ha creato i re, perché siano i padri non i
tiranni dei popoli che gli obbediscono”.
21 BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 335.
22 BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 337.
23 Essi si servirono di parenti ed amici in genere tra cui Michal Czajkowski, Ladislas Zamoyski
ed anche Montalembert. BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 338.
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Nel 1839 il principe Czartoryski inviò a Roma un Memoriale sulla situazione
religiosa in Polonia. Czartoryski sperava che, attraverso delle precise richieste
proposte dalla Santa Sede alla Russia, e attraverso il rafforzamento del clero
polacco, fosse possibile ridare fiducia e rafforzare l’attaccamento dei cattolici
polacchi alla Chiesa, ma ciò, specificava il principe, sarebbe stato possibile soltanto attraverso un gesto pubblico ed inequivocabile di protesta contro le persecuzioni del governo russo.24
I tentativi di riavvicinamento si rinnovarono, divenendo via via più sistematici,
ancora nel 1840-41 e nel 1843. Essi vertevano sulla speranza che il Vaticano
potesse distinguere tra ordine sociale ed ordine politico, ed in questo senso essi
si rivelarono pienamente un fallimento. Nel 1841, durante un’udienza con
l’inviato polacco M. Czajkowski, ricevuto all’una di notte, Gregorio XVI usò
delle parole piuttosto dure: “Avete cacciato il granduca Costantino, avete detronizzato lo zar Nicola; il papa doveva condannare questa rivoluzione e la condannerà ancora, anche se con dolore, qualora dovesse ancora pronunciarsi”.25
*
* *
È infine da segnalare la presenza di un ulteriore documento che dimostra, da
un lato, l’importanza della figura pontificia per il popolo polacco e, dall’altro,
come il colpo inflitto dall’enciclica si dimostrasse di difficile assimilazione.
Si tratta di una lettera enciclica fasulla, spacciata per opera di Gregorio XVI e
divulgata nel 1842 dal sacerdote Piotr Ściegienny nella Polonia divisa. Nella
lettera si legge:
“[…] I, Pope Gregory, in the name of Jesus Christ, Son of the living God, hereby grant
fifteen years’ indulgence to anyone who reads this letter or listen to it attentively five times over. […] I have already appealed to those who oppress you that they accept you as
people and that they do not oppress you with labour services, rents and gifts in kind: I
have even begged your Kings and Emperors that they should not burden you with taxes, nor
send you to war and slaughter like cattle, nor waste your blood in their own interest…
Nell’anno 1838 si assistette in Polonia alla terribile conversione forzata di un migliaio di
sacerdoti di rito greco-uniate alla chiesa ortodossa. Il 12 febbraio 1839 fu sottoscritto dal governo russo un atto di unione della chiesa Greco-Uniate a quella Ortodossa. Nel concistoro
segreto del 22 novembre 1839 Gregorio XVI, nell’allocuzione Multa Quidem, protestò energicamente contro la defezione di tre vescovi greco-uniati. Ciononostante, ancora nel 1840, furono emanati da parte del governo russo una serie di Ukase che acceleravano la conversione
dei fedeli al rito ortodosso. Il 16 agosto 1840 il cardinale Lambruschini si espose presso la
corte russa con una rimostranza in cui lascia intendere che la rivoluzione polacca del 1830
aveva fornito allo zar il pretesto per distruggere in Polonia le migliori speranze verso la Chiesa
Cattolica. Si veda OLSZAMOWSKA-SKOWRÓNSKA, La correspondance des papes et des empereurs de Russie, pp. 40-43. Per un approfondimento degli eventi del 1838-39 si veda
BOUDOU, Le Saint-Siège et la Russie, p.213-40, nonché i numerosi documenti relativi agli anni 1839-1840 raccolti in D’ANGEBERG, Recueil des traités, pp. 999-1015.
25 BOZZOLATO, Un momento della politica estera, p. 447
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but their hearts are hardened. […] Your enemies are not so many that you cannot prevail
over them. Only the will is lacking…”26
L’accento fortemente socialista – si parla nel testo di concessione della terra ai
lavoratori,27 nonché di lotta tra padroni e contadini,28 – suggerì ai contemporanei l’idea che il religioso si servisse di materiale ad opera di Lamennais.
La lotta personale che l’abate Lamennais intraprendeva in quegli anni con la
Santa Sede lo rendeva infatti, agli occhi conservatori, lo spettro in agguato dietro qualsiasi forma di rivendicazione di carattere democratico.
5.2. F.R. Lamennais e l’enciclica Cum Primum
“La première chose qui me fait réfléchir profondément, ce fut le Bref aux évêques polonais revu et corrigé par le cardinal Gagarin, délégué à ce rôle par Sa Sainteté l’Empereur
Nicolas qui, sans parler du reste, vient d’envoyer au pied du Caucase 25,000 polonais
sans un seul prêtre de leur communion, et de supprimer en Pologne 192 couvents, toutes
les chapelles seigneuriales, et tous les séminaires, excepté un, celui de Vilna, dont le
recteur est un espion connu. Il est heureux que le catholiques sachent, pour la sûreté de
leur conscience et leur plus grande consolation que tout cela se fait en vertu d’un droit
divin reconnu au Pape et que, selon la doctrine constante de l’Eglise, ils se damneraient
en s’y opposant”.29
Se il percorso personale dell’abate Lamennais si stava già avviando verso un
progressivo allontanamento dalla Chiesa di Gregorio XVI, il breve ai vescovi
polacchi fu l’atto che ne determinò la svolta decisa, l’episodio che rivelò e diede
la conferma della sua crisi interiore profonda. Proprio perché la Polonia si manifestava all’opinione pubblica europea come la quintessenza del principio di
“libertà”, “richesse” e “repos des peuples”,30 per Lamennais il tradimento del
pontefice determinò una ferita senza possibilità di guarigione:
26 Letter of the Holy Father to Peasants and Craftsmen, citata in DAVIES, God’s Playground,
pp. 217-19. Anche la figura di questo sacerdote, che si dedicò all’agitazione clandestina nel
1835-1839 appare poco chiara. Se infatti N. Davies nel citato lavoro data la scrittura della lettera al 1842, lo storico Jerzy Skorwronek, parlando di lui, sostiene che Piotr Ściegienny fu invece impiccato a Vilna già nel 1839. LE GUILLOU, La politique du gouvernement français,
p.113; su padre Ściegienny si veda anche GIEYSZTOR, Storia della Polonia, p. 368.
27 “What should be is that every married man should have his own parcel of land… his own
house, barn, cattle, and farm utensils and every person should read and write…”. DAVIES,
God’s Playground, p. 218.
28 “This war will not be fought by peasant against peasant, by the poor against a the poor, but
by the peasant against the lord, by the poor against the rich…”. DAVIES, God’s Playground,
p. 218.
29 Lettera di Lamennais del 25 gennaio 1833 a padre Ventura, padre superiore dell’ordine dei
Teatini; La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 123.
30 F.R. DE LAMENNAIS, Paroles d’un croyant, a cura di A. Derval, Paris 1996, p. 135.
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
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“Tout ce que je sais de la Pologne, tout ce qu’on apprend chaque jour me rendrait fou de
douleur et de rage si la foi ne me soutenait, si je ne croyais en Dieu même”.31
Il 20 luglio 1834 alla contessa de Senfft l’abate rivelava la propria presa di coscienza e di posizione:
“Jusqu’au dernier soupir, je resterai chrétien; mais je resterai homme aussi; et quel
moyen d’être l’un sans l’autre! Je couvrirai de mon silence, aussi longtemps qu’on me le
permettra, la faiblesses et les injustices dont je serai seul victime; j’étendrai mon manteau, en détournant les yeux, sur la nudité de mon père; mais je ne trahirai point
l’humanité; je ne me ferai point un muet tombeau de mon indifférence pour les maux de
mes frères; je ne trafiquerai point, pour quelques misérables jours de repos, de leur larmes et de leur sang”.32
“Les Ukazes sont d’accord avec les brefs et les brefs avec les Ukazes”,33 la prima
allusione al breve ai vescovi di Polonia si trova in una sua lettera del 9 ottobre
1832. La notizia dell’enciclica Cum Primum lo colse per prima e con maggior
forza, sulla strada di ritorno dal soggiorno romano. Sarà bene ricordare che
Lamennais, Lacordaire e Montalembert avevano trascorso l'inverno del 1831 a
Roma entrando in strette relazioni con alcune nobili famiglie polacche. Durante
una serata presso la contessa Ankwicz, fervente ammiratrice del poeta Adam
Mickiewicz, fu richiesto all'abate bretone di scrivere dei versi sulla Polonia.
Nacque in questo modo l'Ode à la Pologne, che racchiudeva l'immagine più cara ai rifugiati polacchi: la Polonia dormiente in attesa del futuro, definitivo risveglio storico.34
Questa enciclica, per Lamennais, fu tuttavia ancor più scioccante della precedente Mirari Vos, che pure lo riguardava in modo molto più diretto35 e a cui
egli seppe rispondere con l’obbedienza e la sottomissione.
*
* *
Nell’aprile del 1834 uscì l’opera-scandalo dell’abate bretone, Les Paroles d’un
Croyant che seppe levare voci di vivace entusiasmo da parte di moltissimi intellettuali liberali europei36 ma che fu anche causa di numerose defezioni da
LE GUILLOU, La Pologne et le Mennaisiens en 1830, p. 108.
LE GUILLOU, La Pologne et le Mennaisiens en 1830, p. 109.
33 Si cfr. n.1. Inoltre, La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 122.
34 La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 88.
35 L’enciclica venne inviata direttamente ai tre interessati, insieme ad una lettera di spiegazioni del cardinale Pacca. Sulla condanna di Lamennais da parte della Santa Sede si veda anche il saggio MOODY, The condemnation of Lamennais, pp. 123-30 e NOVACCO, L’abate Lamennais a Roma nel 1832, pp. 332-36.
36 Anche Giuseppe Mazzini e Vincenzo Gioberti rimasero rapiti dall’originalità e dalla fastosità delle immagini che il libro sapeva evocare. ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del
suo tempo, p. 173.
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parte di amici e collaboratori vicini al suo autore: l'opera del bretone provocò
l'enciclica papale Singulari Nos del 7 luglio 1834. Con questo documento la
Santa Sede condannava risolutamente lo scritto e dichiarava Lamennais apostata. Lacordaire e Montalembert, che avevano già da qualche tempo preso
delle distanze dal religioso, e lo stesso suo fratello, si allontanarono definitivamente da lui.
Tra le righe dell’opera si leggono alcuni versi che lo stesso editore definì troppo
dissacranti per venire rivolti da un uomo ordinato al sue pontefice. In un passaggio del capitolo XXXIII, l’accenno al breve ai vescovi polacchi e agli accordi
tra Santa Sede e la corte russa si rivelavano troppo direttamente allusivi:
“Et de ses doigts glacés, l’homme de peur écrivait un pacte, je ne sais quel pacte, mais
chaque mot en était comme d’un râle d’agonie”.37
Lo stile dell’opera era un evidente richiamo all’impostazione e ai temi delle Sacre Scritture. Il linguaggio biblico ne fece un’opera nuova e di forte impatto che
impressionò i lettori di tutta Europa. Inoltre, essa venne composta in un momento in cui le notizie riguardanti i pesanti risvolti della repressione zarista in
Polonia venivano divulgate in Francia. Tra le altre persecuzioni, dovette fortemente colpire il religioso la notizia del nuovo Catéchisme du culte dû à la personne du tout puissant empereur de toutes les Russies, imposto dallo zar ai
bambini cattolici di tutte le province russe.38
*
* *
Tuttavia, la prima opera che esplicitamente denunciò la condiscendenza della
Chiesa verso la Russia fu Affaires de Rome, del 1836. Il testo è una riflessione
sulla Chiesa cattolica, sulla figura del papa e sulla personale evoluzione interiore del l’abate. La vicenda del breve ai vescovi polacchi, sottolineata ed analizzata ampiamente nello scritto, gli suggerisce delle parole estremamente severe:
“Le Bref aux évêques de Pologne fut le premier acte publique qui annonce une détermination arrêté du pape au sujet de question de politique sociale de la solution desquelles
dépendra le sort futur de l’Humanité”.39
LAMENNAIS, Paroles d’un croyant, p. 116. L’editore Sainte-Beuve pubblicò questo passaggio
solamente in una successiva edizione del 1837.
38 Tra le varie domande e risposte preconfezionate la diciassettesima così recitava: “Quel sont
les motifs révélés surnaturels du culte envers le Czar? Réponse: les motifs surnaturels sont:
que le Czar est le lieutenant et le ministre de Dieu, qu’il est l’exécuteur des ordres de Dieu,
que par conséquent désobéir au Czar c’est désobéir à Dieu lui-même…”. La Pologne, Lamennais et ses amis, pp. 112-13.
39 La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 125; si veda anche Scritti politici di Félicité-Robert
de Lamennais, a cura di D. Novacco, Torino 1964, pp. 407-10.
37
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
125
“Elle [la Russia] offrit au pape de mettre éventuellement à sa disposition un corps de
troupe, destiné au besoin à le protéger contre toute attaque, de quelque part qu’elle vint.
Un traité se conclut sur cette base et le Bref aux évêques de Pologne fut le prix exigé par
la Russie en échange de ce qu’elle promettait”.40
L’abate Lamennais mise in evidenza come le trattative tra i due Stati fossero
state a lungo tenute segrete, e come la diplomazia vaticana si fosse appositamente mantenuta muta nel corso dell’insurrezione, aspettando di esporsi solo
quando era evidente che la guerra per i polacchi sarebbe risultata irrimediabilmente perduta.
“Tant que l’issue de la lutte entre la Pologne et ses oppresseurs demeura douteuse, le
journal officiel romain ne contint pas un mot qui put blesser le peuple vainqueur en tant
de combats. Mais a peine eut-il succombé. À peine les atroces vengeances du Tsar eurent-elles commencé le long supplice de toute une nation vouée au glaive, à l’exil, à la
servitude, que le même journal ne trouva point d’expression assez injurieuse pour flétrir
ceux que la fortune avait abandonnés”. 41
Tre furono i punti principali sui quali Lamennais basò la propria invettiva contro Roma: la condanna papale all’Acte d’Union; la successiva condanna rivolta
all’opera di Adam Mickiewicz Livre des Pèlerins Polonais, che il pontefice in
una lettera al vescovo di Rennes, il 5 ottobre 1833, indicava come “libro pieno
di temerità e malizia”;42 ma soprattutto i suoi contrasti con il Vaticano – e in
modo particolare lo scandalo seguito all’uscita dell’opera Paroles d’un Croyant –
contribuirono a manifestare ai cattolici italiani l’incoerenza dell’atteggiamento
papale nei primi anni del pontificato di Gregorio XVI. La polemica contro il
breve ai vescovi polacchi, metteva in evidenza come le contraddizioni papali
colpissero non solo le Legazioni Pontificie, ma anche i fedeli di altre nazionalità.
Lamennais costituì una sorta di cerniera tra cattolici polacchi ed italiani, poiché gli spunti espressi nelle sue più celebri opere degli anni ’30 seppero infiammare gli animi ed accendere forti discussioni nel contesto culturale e cattolico
italiano, dove tutto il corso delle sue vicende fu entusiasticamente seguito.
5.3. Alcuni intellettuali cattolici e liberali italiani di fronte all’enciclica Cum
Primum
Similmente all’abate Lamennais anche per molti cattolici liberali italiani i movimenti insurrezionali del 1830-31 costituirono una spinta verso l’interesse alle
cose pubbliche nonché allo schieramento attivo nella lotta per la libertà di tutti
i popoli nella speranza che il papa si sarebbe fatto carico della causa degli
La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 125.
La Pologne, Lamennais et ses amis, p. 125.
42 ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del suo tempo, p. 160.
40
41
126
E. SARTORI
oppressi e avrebbe imboccato la strada verso la rigenerazione della Chiesa.43
All’inizio del pontificato di Gregorio XVI lo Stato della Chiesa appariva loro:
“Un governo che mescolando con deplorabile confusione le cose della terra a quelle del
cielo, giustifica dall’un lato la licenza dei despoti, dall’altro le ingiurie dei non credenti;
un Governo che parte per ignoranza e per imperizia, parte per corruzione profonda e de’
governanti e de’ sudditi , è forse de’ più odiati e de’ più disprezzati che soffra il mondo
incivilito ed il barbaro…”44
Seppure in Italia i cattolici di orientamento liberale non costituissero un movimento organizzato come in Francia, la crisi politico-morale della Chiesa Cattolica fu un problema percepito e vissuto ugualmente con urgenza; inoltre, che
una riforma della Chiesa venisse considerata ormai improrogabile, ne dava dimostrazione l’opera di Antonio Rosmini, Le Cinque piaghe della Chiesa, iniziato nell’inverno del 1832,45 dove era esposta una diagnosi storica alquanto
preoccupata sullo stato dell’Istituzione ecclesiastica cattolica.
Le evoluzioni del pensiero e delle attività di Lamennais vennero seguite con attenzione negli ambienti intellettuali italiani. Anche Le cinque piaghe della
Chiesa, infatti, sembrano risentire di qualche influenza delle idee dell’abate
d’oltralpe.
A Firenze, dove sostarono la sera del 19 dicembre 1832, Lamennais e i suoi due
collaboratori ebbero modo di conoscere Niccolò Tommaseo,46 l’abate Lambruschini, il Viesseux e Gino Capponi.47 Simile incontro si svolse sulla via del ritorno, anche se, malgrado i tre francesi transitassero per alcune località venete tra
cui Padova – dove Rosmini si trovava intento nella compilazione della sua opera – non si rinviene notizia di alcun incontro con questi.48
Se Manzoni approvava e seguiva le tesi sostenute nell’Avenir, egli non condivideva tuttavia la mancata sottomissione del bretone alla condanna papale. Così
infatti Cesare Cantù ricorda:
V. MISSORI, Niccolò Tommaseo e Antonio Rosmini: ricostruzione storica e problemi, Milano 1970, p. 241.
44 Così scriveva Niccolò Tommaseo in uno dei suoi primi scambi epistolari con il cardinale
Lambruschini il 5 novembre 1831. Egli concludeva la propria lettera constatando: “Tale mi si
presenta il cattolicismo nelle città principali d’Italia, tale nelle principali d’Europa.” MISSORI,
Niccolò Tommaseo e Antonio Rosmini, p. 242.
45 L’opera fu pubblicata solo nella primavera del 1848, P. MARANGON, Il Risorgimento della
Chiesa: genesi e ricezione delle “Cinque Piaghe” di A. Rosmini, Roma 2000, p. 135.
46 N. Tommaseo restò in contatto tramite corrispondenza epistolare con Montalembert e Lacordaire, si può a tal proposito vedere il saggio di G. GALLAVRESI, Lettere inedite di N. Tommaseo al Conte di Montalembert, in «Risorgimento Italiano», I (1908), pp. 248-64.
47 “C’etait un homme à connaître, et je l’ai bien bien connu. Il vient de m’ecrire, il ne sait que
faire à Rome, et on ne sait que faire de lui, comme je lui avais prédit; il s’y attendait”. Così
raccontava di lui Gino Capponi in una lettera a Madame Allart. ZADEI, L’abate Lamennais e
gli italiani del suo tempo, p. 132.
48 ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del suo tempo, p. 143.
43
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
127
“Che pure si era piaciuto alle dottrine esposte nell’Avenir, lodò il Montalembert, quando, a differenza del Lamennais, si sottomise alla condanna che Roma ne proferì.”49
Anche nei confronti di Montalembert, comunque, non vi era una completa condivisione di idee. Sempre Cesare Cantù testimonia:
“Si toccò del dominio temporale del papa, e Montalembert pensava che questo, libero
dalle cure del governo e della politica, volgerebbe tutta l’attenzione sua e del clero alla
salute delle anime e all’attuazione del regno di Dio in terra. Manzoni non glielo consentiva, massime che il cessare della signoria pontificia avrebbe dato prevalenza a quella
dell’Austria”.50
Il primo settembre 1832 Tommaseo, riguardo l’enciclica Mirari Vos, scriveva a
Montalembert: “L’enciclica in Italia eccitò la compassione negli amici della
Chiesa, nei nemici il disprezzo”,51 e nell’aprile del 1833 dimostrava attraverso
alcune righe del suo diario di continuare a seguire attivamente le iniziative dei
“pellegrini” francesi.52
Inoltre, nell’agosto del 1834 uscì a Parigi un’edizione italiana delle Paroles d’un
Croyant con la prefazione di Niccolò Tommaseo. Nella versione italiana, era
inserita in appendice lo scritto ad opera di Tommaseo Considerazioni di un
cattolico italiano in risposta all’enciclica.53 Vi veniva fieramente criticato l’atto
papale del 1834 – l’enciclica Singulari Nos – con parole che alludevano alla
scarsa integrità e all’incoerenza con cui il Vaticano rispondeva, in quegli anni,
ai mutamenti politici e sociali:
“Dire agli uomini: associatevi, acciocché il forte non vi soverchi; la persecuzione religiosa non operate e non soffrite in vo stessi; tutti stimatevi eguali […] non siate fedeli sudditi, né obbedienti soldati in azione non giusta, in guerra non pia; difendete l’oppresso;
fiaccate, potendo, l’orgoglio dell’oppressore.
[…]
C. CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, II, Milano 1885, p. 88.
CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, p. 90.
51 ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del suo tempo, p. 154.
52 “…ricevo il Vangelo de’ polacchi tradotto da Montalembert”. TOMMASEO, Diario intimo, a
cura di R. Ciampini, Torino 1946, p.102; sui rapporti strettisi fra N. Tommaseo e Lamennais
si veda anche R. CIAMPINI, Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze 1945, p. 188.
53 Il titolo della prefazione è indicato in TOMMASEO, Dell’Italia: libri cinque, p. X. Le Considerazioni, pur biasimando la condanna papale al testo lamennaisiano, segnano un momento di
distacco dall’abate francese. D’accordo con l’opinione di Lacordaire, Tommaseo non apprezzò
lo stile né completamente l’impostazione così aspra dell’opera, tanto che in una lettera di
quell’anno scriveva a Mazzini: “Alla scuola di Lamennais i’ non son ligio: libertà voglio più
ampia e più credenza; più amore e men ira: il mio cielo è più italiano, più vario, più profondo,
più lieto… Nella religione, nella politica, in ogni cosa io voglio bellezza”.
49
50
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E. SARTORI
Libro che tali cose contenga, chiamarlo come Gregorio XVI fece, rovesciatore
dell’ordine, ed empio e turbatore delle cose divine, e in diritto a perpetuar le sommossa
nei popoli, è un condannare Gregorio VII54 e i libri santi”.55
Dal 1835 anche un pubblico più vasto iniziò a dimostrare un maggior interesse
verso Lamennais. In quegli anni il religioso fu oggetto di attenzione anche da
parte di alcuni letterati: Francesco Ferragni traduceva l’Ode à la Pologne; Marco Aurelio Zani De’ Ferranti metteva in versi un capitolo delle Paroles e Pietro
Giannone accoglieva tale versione con grande entusiasmo; altri brani dell’ abate
venivano raccolti nell’antologia Il libro dell’adolescenza da Achille Mauri.56
È certo che attraverso gli scritti del francese anche la situazione polacca e il
conseguente breve ai vescovi di Polonia dovette emergere fra i temi di attualità.
Se, tuttavia, della decadenza dell’amministrazione dello Stato della Chiesa e
della collusione con le più conservatrici corti europee si possono reperire scritti
contemporanei abbondanti, sul breve ai vescovi del 9 giugno 1832 le tracce di
esplicite osservazioni e riflessioni personali si devono definire di una certa rarità.
Tra coloro che apertamente ed energicamente ne parlarono, anche all’interno
di alcuni scritti poi pubblicati, spicca senza dubbio Niccolò Tommaseo.
Tommaseo esulò volontariamente in Francia all’inizio del febbraio del 1834.
Nella capitale francese egli intendeva portare a compimento la composizione di
un’opera progettata sin dall’anno precedente. Si trattava del libro Dell’Italia,
che uscì nel giugno del 183557 sotto il titolo di Opuscoli inediti di fra Gerolamo
Savonarola.58 Il testo, grazie a questo stratagemma, riuscì ad entrare in Italia,
ma il 14 febbraio 1837 un decreto lo bandì dalla Toscana. Esso venne condannato –
Chiamato da Antonio Rosmini il “demiurgo della moderna civiltà”, questo pontefice venne
spesso ricordato in antitesi a Gregorio XVI poiché nell’XI secolo si fece portatore di istanze di
riforma radicale della Chiesa. MARANGON, Il Risorgimento della Chiesa, p. 181. Nel libro secondo dell’opera Dell’Italia, vi è il dialogo La Chiesa secondo il vangelo, in cui si ritrovano a
discutere San Pietro, San Giovanni, Gregorio VII , San Francesco e Gregorio XVI. Due passaggi sono molto interessanti: l’inizio del dialogo, in cui San Pietro rivolge a Gregorio XVI la
domanda: “Chi se’ tu che sopra il camice indossi una divisa tedesca, e sopra la divisa tedesca
una pianeta, e sopra la pianeta una divisa svizzera; e tieni il sacramento sulla punta della spada, e raccogli denari nel calice che serba il sangue di Cristo?”; e un secondo tratto in cui è papa Gregorio VII a parlare e ad affermare rivolto all’attuale pontefice: “Folle chi spera
d’incontrar l’avvenire cacciandosi nella tenebra de’ secoli andati. Ogni istante è creazione
nuova: ad ogni mover di passo l’umanità valica abissi smisurati, se stessa strasfigurando”.
55 ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del suo tempo, pp. 170-71.
56 ZADEI, L’abate Lamennais e gli italiani del suo tempo, pp. 200-01.
57 Sempre nello stesso anno Tommaseo traduceva in francese l’introduzione dell’opera sotto il
titolo di L’Europe, questa veniva pubblicata ne luglio del 1835 per invito del conte Ladislas
Palter nel periodico dell’emigrazione polacca Polonais, e fruttò agli esuli parecchie centinaia
di franchi. TOMMASEO, Dell’Italia: libri cinque, p. XXI.
58 La scelta di nascondersi dietro il nome del frate domenicano fu dettata dalla convinzione,
con questo condivisa, che un rinnovamento morale fosse possibile solo tramite la religione.
TOMMASEO, Dell’Italia: libri cinque, p. XV.
54
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
129
assieme ad Affaires de Rome di Lamennais – dalla Congregazione dell’indice e
solo nel 1848 fu, parzialmente, ristampato.
L’opera è suddivisa in due momenti diversi che trattano rispettivamente dei
mali dell’Italia e dei rimedi necessari a porvi argine. Nel primo libro sono descritte le corruzioni dei “principi” italiani, – tra questi non manca Gregorio
XVI, cui Tommaseo rivolge le parole più dure:
“[…] il nerbo russo, il bastone croato, la frusta inglese, la baionetta prussiana, la spada
francese s’intrecciano in forma d’arco trionfale, sotto cui Gregorio il buon vecchio riposa
dalle sudate vittorie, e beve a gran sorsi le benedizioni de’ popoli.
Scandalo, odo rispondere, ma inevitabile. E come no? La politica pontificia è, non meno
che la cappella pontificia, cosa necessaria all’armonia del mondo cattolico. E che sarebbe
mai di San Pietro se una legazione russa in Roma non risiedesse?
[…]
“E che non farebbe Gregorio a favore di Niccolò? Non ha egli per porre in luce i diritti
del potente, gettato, quasi velo funebre, un breve sui conculcati polacchi, e detto loro:
«Mentre voi combattevate il mio grazioso alleato, io padre dei cattolici, scrissi a favore
del vostro nemico: ma la lettera andò smarrita per via; né, mentre voi combattevate, curai divulgarla. Ora che tante migliaia de’ vostri dormono in sanguinoso sepolcro, tanti
vanno errando in cerca di pane, tanti nella deserta Siberia gemono e muoiono sotto il
flagello d’inumani satelliti; ora che siete tutti abbandonati, scorati, degni di compassione
a coloro stessi che possono reputarvi colpevoli; ora io sorgo animoso a consumar la vendetta del vostro nemico; ora io stampo il mio breve, e vi consiglio: figliuoli, non combattete il vostro legittimo re.»
Questo disse Gregorio. Disse ai morti: non combattete. Disse ai deportati, ai proscritti:
non combattete. Sventurata Polonia! Le nazioni piangono sulla tua tomba: e il padre tuo,
viene e getta, per benedizione, uno scherno. Egli insulta i dolori di un popolo, il collegato
dei re! Aspetta che la sventura sia consumata, per gridare contro i figli della sventura; e,
dopo palpato il cadavere dell’ucciso e accertatosi della morte, sfodera anch’egli il suo
pugnale, e con mano tremante glielo configge nel seno. Nuova specie di doni al Parlamento d’Inghilterra mandava Giulio II: ma Gregorio decimosesto all’imperatore delle
Russie manda tributi di sangue. E se Federico a Roma inviava il carroccio della vinta
Milano, a Roma potrebbe inviare Niccolò in ricche bare i cadaveri de’ Polacchi da sé trucidati.”59
Quasi tutto il capitolo decimo dedicato a papa Gregorio XVI, di cui il brano citato rappresenta un estratto, venne successivamente ripubblicato nel 1863 col
titolo di Polonia e Roma, nell’opuscolo Italia e Polonia: scritti di Nicolò Tommaseo,60 la cui vendita fu devoluta a favore del Comitato Centrale Polacco di
Torino.
Simili pensieri si incontrano nel testo Rome et le monde,61 del 1851:
TOMMASEO, Dell’Italia: libri cinque, pp. 48-49.
Italia e Polonia: scritti di Nicolò Tommaseo, Milano 1863. Nel frontespizio si legge: “Mille
copie a totale beneficio dei generosi figli della Polonia, depositate al Comitato Centrale Polacco in Torino”.
61 N. TOMMASEO, Rome et le monde, Capolago 1851.
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“…Mais quelles sont, de grâces, , les questions politiques que les papes osaient aborder
jusqu’à hier? L’Irlande était anéantie par la misère, par la guerre civile, par une intolérance haineuse et vorace; et Grégoire XVI se taisait: la Galicie62 épouvantait le monde
par des massacres qu’un roi salariat, par un système de pillage qui se prêchait au nom de
l’Autriche et de l’ordre: et Grégoire ne disait mot; la Pologne était déchirée par une fureur que le fanatisme enflammant, que la ruse rendait plus hideuse, et Grégoire ne trouvait, du moins en public, que des paroles pour donner aux victimes des conseils
d’obéissance, tout en épargnant le bourreau. Que pouvait-t-il faire de moins et de pis s’il
n’eut été qu’un sujet russe? […] Ce que Nicolas rougit de demander aux pasteurs qu’il
tenait dans ses serres, il l’obtint de l’évêque de Rome parce-que l’évêque de Rome est un
roi.”63
Ma Niccolò Tommaseo non fu l’unico a sottolineare l’improprietà della condotta vaticana.
*
* *
Anche Giuseppe Mazzini, nel corso dei suoi scritti aveva più volte accennato al
peso del silenzio papale sulle vicende e le sofferenze dei polacchi. Nell’articolo
Ils sont partis, con il quale l’agitatore salutava gli esuli polacchi espulsi dalla
Svizzera, sottolineava:
“On remarquait comme une singularité le silence du Saint-Père, du vieux Saint-Père, qui
avait maudit la Pologne, et donné sa bénédiction aux Cosaques!”64
Similmente nello scritto del 1833 Intorno all’enciclica di Gregorio XVI, papa:
pensieri ai preti italiani,65 c’è un passaggio commosso sulla Polonia:
“Varsavia è caduta, e la sua caduta non ha prodotto che un fremito, un battito più concitato nel cuore d’Europa. Cento eroi si sotterrano per una idea sotto le rovine di un
chiostro, e i contemporanei non hanno il tempo di segnarne i nomi. L’umanità raccoglie,
passando, l’ultimo gemito di Varsavia pei giorni della vendetta […] e prosegue: prosegue
62 Nel 1846, a seguito di una sollevazione popolare della popolazione di nazionalità polacca e
della successiva barbara repressione per opera del governo austriaco, il pontefice romano inviò un’altra lettera, questa volta a monsignor Woytarowicz, vescovo di Tarnow, in Galizia, in
cui i concetti di obbedienza e sottomissione già espressi nella Cum Primum venivano nuovamente ribaditi. Si veda il documento Bref du pape Gregoire XVI, addressé à Joseph-Gregoire
Woytarowicz, évêque de Tarnow en Galicie, en lui ordonnant la soumission à l’Autriche, et
en justifiant le gouvernement autrichien dans les massacres de Galicie, Roma 27 febbraio
1846. Il documento è posteriore all’ allocuzione del 22 luglio 1842, Haerentem Diu, di cui
tratterò più sotto; atto letto dai contemporanei come una sconfessione pubblica dell’enciclica
del 9 giugno 1832. Il breve del 27 febbraio 1846 getta un’ulteriore luce negativa e solleva
nuovi dubbi sulla veridicità dei presunti pentimenti papali del decennio precedente.
63 TOMMASEO, Rome et le monde, pp. 48-49.
64 MAZZINI, Ils sont partis, in Scritti editi ed inediti, IV, pp. 95-96.
65 L’enciclica a cui Mazzini si riferisce nello scritto, è quella che riguardava Lamennais e il periodico l’Avenir.
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
131
muta senza espressione di letteratura, senza un inno di poeta che la preceda, senza una
voce di rivelatore che la conforti…”66
La condotta del pontefice verso la Polonia è analizzata tuttavia con maggiore
attenzione e profondità nello scritto Allocuzione del Papa.67 In questo scritto
Mazzini si dedica all’esame dell’allocuzione papale Haerentem Diu68 del 22 luglio 1842. L’allocuzione fu presentata in concistoro segreto ed esprimeva, come
nel 1839, l’amarezza del pontefice riguardo i mali cui la religione cattolica era
sottoposta in Russia e in Polonia. Nell’allocuzione Gregorio XVI, evidentemente
colpito dalle critiche crescenti dell’opinione intellettuale, sottolinea:
“Tutto ciò che, senza posa, avevamo approntato per tutelare l’integrità della Chiesa Cattolica nei territori dell’Impero russo, proprio in quelle regioni non è stato divulgato, ed è
anzi accaduto il gravissimo inconveniente che presso i fedeli, colà residenti in gran numero, si è diffusa la diceria, alimentata dalla consolidata prassi di inganno dei nemici di
questa Santa Sede, che Noi, immemori del Nostro sacrosanto dovere, non abbiamo parlato, fingendo di non essere a conoscenza della loro gravissima situazione, e abbiamo
quindi tradito la causa della Religione Cattolica; La cosa è stata spinta a tal punto, che
Noi siamo diventati materia di discredito e, addirittura, pietra di scandalo per un’estesa
porzione del gregge del Signore”.69
All’atto seguì il Libro Bianco, cioè un’esposizione corredata da novanta documenti ufficiali aventi lo scopo di testimoniare le cure incessanti verso il cattolicesimo in Polonia cui Gregorio XVI non mancò di provvedere per tutto il tempo
del suo pontificato.70
Ecco come Mazzini giudicava l’atto papale:
“L’Allocuzione è insulsa come un discorso regio a un’apertura di Parlamento. Il Papa
s’addolora, piange, (lacrima-cristi), deplora con una mestizia che la sola immaginazione può concepire la perdita dei fedeli, e probabilmente dei loro tributi: confessa essere
fra i credenti dell’Impero Russo invalsa opinione ch’egli, il Papa, ha negletto, tradito la
causa della religione cattolica; e pubblica, per rispondere a questa accusa, l’Esposizione.
L’Esposizione prova evidentemente che l’Imperatore Russo ha ingannato, schernito il
Papa con promesse contrarie al fatto ch’egli andava con tutte l’arti possibili consumando; prova una serie di usurpazioni ingiuste, arbitrarie, commesse a carico dei cattolici,
specialmente Polacchi, dal governo Russo; non prova menomamente che il Papa abbia
adempiuto a’ suoi doveri di Capo del Cattolicesimo.”71
66 G. MAZZINI, Intorno all’enciclica di Gregorio XVI, papa. Pensieri ai preti italiani, in Scritti
editi ed inediti, III, p. 130.
67 G. MAZZINI, Allocuzione del Papa, in Scritti editi ed inediti, XXV, pp. 133-44.
68 BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici, pp. 311-12.
69 BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici, p. 311.
70 OLSZAMOWSKA-SKOWRÓNSKA, La correspondance des papes et des empereurs de Russie,
pp. 46-47. All’allocuzione del 1842 è dedicato un intero capitolo in BOUDOU, Le Saint-Siège et
la Russie, pp. 279-327.
71 MAZZINI, Allocuzione del Papa, pp. 135-36.
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Vengono enumerate le barbare conseguenza subite dal popolo polacco
all’indomani della rivolta sedata, e il ligure continua l’invettiva dicendo:
“Il papa rispose con alcune rimostranze diplomatiche indirizzate al persecutore, timidamente, vilmente espresse, tenute segrete ai perseguitati, ed oggi solamente fatte pubbliche perché il grido dell’opinione pubblica commossa, come l’Allocuzione confessa, a
tanta apatia fece temere di peggio. […] Ma i credenti, i dodici milioni di credenti che vivono in quelle province non meritavano la vostra parola? Non l’aspettavano illusi? Non
l’invocavano? Non era debito vostro, in una cosa tanto importante quanto la perdita
d’anime, di dir loro: ho parlato all’empio; ma il core dell’empio è indurito: non avete
speranza che in Dio e in voi stessi; questa è causa d’anime, di salute eterna, di fede: resistete; io benedirò le vostre bandiere.
Nello scritto di Mazzini sono portati alla luce anche alcuni episodi, avvenuti negli anni appena passati, che evidenziavano come la cedevolezza del 1832 del
pontefice di fronte alle richieste russe non fosse un avvenimento singolo e sporadico, quanto piuttosto una reiterata abitudine, divenuta quasi una costante
nei rapporti fra i due Stati.72
Le sofferenze del popolo di Polonia vengono in seguito brevemente ripercorse;
la religiosità degli insorti, nel 1842 ormai pienamente diffusa, e forse in parte
costruita, in tutta Europa, è enfatizzata all’eccesso:
“Gli uomini dei quali oggi l’Imperatore lavora a distruggere le credenze, si levarono
spontanei, unanimi nel 1830, contro di lui […] I soldati morivano gridando: chi crede in
Dio non paventa l’uomo: i generali incominciavano le battaglie pregando e le combattevano col rosario al collo. Un Domenicano correva le vie di Varsavia, colla croce in mano,
predicando l’insurrezione: un abbate la predicava di villaggio in villaggio nella Lituania,
e moriva sul campo: Monaci e operai lavoravano nelle fortificazioni della città, i primi
benedicendo ai reggimenti che passavano sotto le mura e si prostravano davanti alla benedizione sacerdotale. […] Lo stendardo della Madre di Gesù sventolava sulla battaglia,
e un Vescovo pronunciava ai fedeli le seguenti parole che noi registriamo e alle quali
contrapporremo or ora altre parole del Papa.”73
72 “Il Vescovo Ignazio Pawloski, reo di più colpe, e fra l’altre di aver sottoscritto e ingiunto al
suo clero un editto imperiale contenente divieto ai sacerdoti di ministrare i sacramenti a
persone ignote, avea ricevuto da Roma rimproveri e dilazioni a una promozione. Il signor
Potemkin richiede al Papa nel 1840, in nome dell’Imperatore e Re, d’innalzare il Pawlowski
all’arcivescovato di Mohilow, e l’ottiene. Marcello Gurkowski, Vescovo di Podlachia (Polonia),
rimosso violentemente dalla sua sede, era stato rinchiuso dal governo nel convento di Ozeransk. L’accusa era quella di aver tenuto corrispondenza con esuli Polacchi: il Papa,
nell’eposizione, la dichiara falsa e loda come incolpabile la condotta del Vescovo; e nondimeno, su richiesta dell’Imperatre, il Papa scrive a lui di dimettersi, nell’aprile del 1841. Sono siffatti i doveri del Papa?”
73 MAZZINI, Allocuzione del Papa, pp. 139-40.
L’impatto della Rivoluzione Polacca del 1830
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Il discorso riportato da Mazzini fu tratto da una lettera pastorale del 1° luglio
1831.74 Alle parole del Vescovo, che sono un continuo monito alla preghiera e
alla battaglia in nome della fede, vengono affiancate le fredde parole del pontefice, riprese dalla recente Esposizione, dove si torna, malgrado tutto, a ricordare
l’importanza fondamentale per un cattolico dell’obbedienza al potere legittimo.75
Giuseppe Mazzini conclude quindi il proprio scritto affermando:
“Siffatta definizione del Cattolicesimo ci porge il Capo della chiesa Cattolica. Il Cattolicesimo è religione di sommessione assoluta, d’obbedienza perpetua, di servitù a quanti sono costituiti dal fatto padroni. Ogni rivolta è delitto: delitto, qualunque ne sia la cagione,
qualunque il carattere. Padrone legittimo dei cattolici è l’uomo che non concede
all’ispirazione religiosa d’un sacerdote una predica se non approvata previamente da
una Censura: padrone legittimo dei cattolici è l’uomo che vieta sotto pene severe
l’erezione di nuove chiese cattoliche: padrone legittimo nello spirituale come nel temporale, perché l’Imperatore comanda allo Stato e alla chiesa, esige culto, e s’intitola egli pure Vicario di Dio (catechismo russo del 1832); dov’egli non s’arrenda alle vostre servili
supplicazioni, non avanza ai credenti che l’unico mezzo della rivolta, e la rivolta è delitto,
anatematizzato da voi. Servite in un tempo a Satana e a Cristo. […] Sorella nel martirio,
l’Italia, sorgendo nel nome di Dio e dell’umanità, non dimenticherà e non tratterà di rivolta gli esempi di fortezza che la Polonia, or sono undici anni, le dava”.76
*
* *
Le posizioni di altri due celebri intellettuali italiani – Alessandro Manzoni e
Antonio Rosmini Serbati – riguardo l’enciclica Cum Primum e la situazione
polacca nel post-insurrezione si rilevano, purtroppo solo indirettamente e per
accenni, da alcune parole di Niccolò Tommaseo. Questi, in una lettera del 26
giugno 1836 indirizzata all’amico Cesare Cantù, riferendosi alle righe sul pontefice pubblicate nei libri Dell’Italia, giustificava così le proprie affermazioni:
“Del papa parlai senza stizza: e lo sa Dio. Ma le scuse che il Manzoni e il Rosmini adducono, sono una canzonatura. Benedisse al Belgio, perché vincitore: alla Polonia maledisse, già vinta. Nella battaglia si tacque. Non pensavano, dite, a liberare gli schiavi: avrebbero fatto. Ma intanto liberarsi da chi, con tanta rabbia insultava alla fede loro, non era
util cosa? E i papi d’un tempo non scomunicavano eglino i re per meno? Ma queste cose
dica il Rosmini, intendo: ma il Manzoni ricorre a così sofistica carità! Ditegli ch’io l’ho
chiamato sofistico: ma baciategli prima la mano per me.
Io dipingo brutti i costumi de’ liberatori; il popolo fo migliore. E finché non si ricorra a’
popoli, saran sempre vergognose sciagure le nostre…”77
MAZZINI, Allocuzione del Papa, p. 140.
MAZZINI, Allocuzione del Papa, pp. 141-42.
76 MAZZINI, Allocuzione del Papa, pp. 142-44.
77 E. VERGA, Il primo esilio di Nicolò Tommaseo: 1834-1839, Milano 1904, pp. 69-70.
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Malgrado Manzoni provasse verso il dalmata una “affezione costante”,78 incaricò l’amico Cesare Cantù di raccomandargli come “non credesse necessario alle
sue esternazioni liberali il mordere Gregorio XVI e in generale il papa”.79 Tommaseo fu paragonato da Manzoni ad un “vaso di alabastro ma fesso, alludendo
alle facoltà di spirito ricchissime, ma non equilibrate”.80
Manzoni e Rosmini lamentavano forse la mancanza di un programma di riforma sociale da parte degli insorti polacchi. Questo si potrebbe dedurre anche da
un altro accenno che testimonia della partecipazione di Manzoni agli eventi di
quegli anni. Cesare Cantù infatti scrive:
“Manzoni partecipava, se non alle smisurate nostre speranze, all’interesse che prendevamo per quel moto, che dalla Francia propagavasi a tutte le nazioni; e per alcun tempo,
siccome accennammo, arrise ai concetti dell’Avenir. L’enciclica del 15 agosto 183081 che
colpiva questo giornale senza però nominarlo, parve ai più una condanna di tutte le libertà e di governo e di stampa e di commercio, mentre non ne rimproverava che
l’eccesso (immodicam).
Quando poi il pontefice riprovò la rivoluzione dei Polacchi, i quali inalberavano la croce
e invocavano Maria per sottrarsi al papa scismatico moscovita, i setteggianti non ebbero
bestemmie sufficienti contro Gregorio XVI; ma il Nostro rifletteva come impopolare fosse quella rivoluzione, dove per primo punto si stabiliva non si parlasse della emancipazione dei servi: e notava che il papa stesso aveva incoraggiata quella del Belgio, diretta
ad assicurare la libertà della Chiesa”.82
Riguardo l’attenzione con la quale Antonio Rosmini seguisse l’insurrezione di
Polonia, risulta di non poca difficoltà riuscire a rintracciare ulteriori allusioni.
Su Alessandro Manzoni, invece, un ulteriore appunto di Cesare Cantù suggerisce come quest’ultimo considerasse la causa della nazione polacca un tassello
del progresso storico dell’intera Europa:
“Ferveva la guerra di Polonia, e l’8 settembre 1832 era avvenuta la fiera battaglia, per cui
Varsavia fu presa dai Russi. I giornali setteggianti,83 com’è l’uso, negarono il fatto, anzi
annunziarono una strepitosa vittoria dei Polacchi, ed io con D’Azeglio corremmo a
Brusuglio a portarne notizia ad Alessandro. “Ah, respiro, (esclamò egli). Volevo ben dire
che tutta la storia avesse a smentirsi”.
Alludeva alla teoria di Cousin, che la causa migliore è sempre quella che prevale. Ma
purtroppo si smentiva”.84
CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, p. 62.
CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, p. 63.
80 CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, p. 63.
81 Probabilmente un refuso, l’enciclica è certamente la Mirari Vos del 15 agosto 1832.
82 CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, pp. 271-72.
83 Interessante come i sostenitori delle imprese polacche vengano ripetutamente definiti
“setteggianti”.
84 CANTÙ, Alessandro Manzoni: reminiscenze, p. 272.
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*
* *
Da un opuscolo intitolato Un documento del 1834,85 è possibile risalire anche
all’opinione di Vincenzo Gioberti sull’enciclica papale.
Si tratta di uno scritto che alcuni riconoscono di mano di Carlo Cattaneo, dove è
riportata una lettera di Vincenzo Gioberti ai redattori della Giovine Italia scritta
nell’estate del 1833 e pubblicata nel 1834. La paternità dell’introduzione alla
lettera viene segnalata nell’Epistolario di Carlo Cattaneo dal curatore Rinaldo
Caddeo; il quale, tuttavia, riporta come titolo dell’opuscolo Della repubblica e
del Cristianesimo. Lettera di Vincenzo Gioberti ai redattori della Giovine Italia pubblicata nel 1834 ed ora ristampata con corredo, e lo indica come stampato a Lugano, presso la Tipografia della Svizzera Italiana il 25 febbraio
1849.86 Che il testo fosse opera del Cattaneo ne danno testimonianza infatti alcune
lettere dello stesso. Da Lugano, il 17 febbraio 1849 annunciava ad un amico:
“Facciamo ristampare uno scritto repubblicano inserito da Gioberti nella Giovine Italia;
vogliamo ringiovanirlo”.87
Ancora dopo qualche settimana, precisamente il 5 marzo, Cattaneo ribadiva ad
un altro corrispondente:
“Ho mandato all’indirizzo di Fortis una cassa di copie della mia relazione ampliata coi
fatti della guerra. Qui abbiamo pubblicato per intero l’articolo di Gioberti alla Giovine
Italia, citato anche nell’Alba, e accompagnato da una strapazzata rispettosa e dignitosa anche
ai suoi ammiratori, e ne abbiamo mandato in Torino parecchie centinaia di copie…”88
L’opuscolo era finalizzato all’esposizione di una decisa critica nei confronti
dell’abate italiano, al quale non veniva perdonato il cambio di posizione ideologica attuato tra l’inizio degli anni ’30 e la metà degli anni ’40: il passaggio dal
sostegno ai progetti democratici mazziniani a quello verso un cattolicesimo
moderato, che lo porterà a combattere qualsiasi programma politico di impronta repubblicana e ad adoperarsi, invece, per la realizzazione di una riforma
Un documento del 1834, Milano 1849.
“Generalmente attribuito a Giuseppe Mazzini, e da Mario Menghini a Gustavo Modena, ma
opera di Carlo Cattaneo”, R. CADDEO, Epistolario di Carlo Cattaneo, I, Firenze 1949, p. 328.
Dello scritto Della Repubblica e del Cristianesimo, si parla anche in F. TRANIELLO, Vincenzo
Gioberti, in Dizionario biografico degli italiani, LV, Roma 2000, p.94-107. L’opuscolo in mio
possesso tuttavia, fu invece stampato in Milano, nello stesso anno, dalla tipografia BoniardiPogliani, e contiene, oltre alla lettera di Gioberti e all’introduzione All’illustre Vincenzo Gioberti anche una lettera Al chiarissimo P. Carlo Curci. Ne esistevano, evidentemente, edizioni
diverse pur stampate lo stesso anno.
87 CADDEO, Epistolario di Carlo Cattaneo, p. 322.
88 CADDEO, Epistolario di Carlo Cattaneo, p. 327.
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E. SARTORI
costituzionale dello Stato della Chiesa che permettesse al pontefice di divenire
punto di riferimento, capo civile della nazione italiana. 89
Nella lettera Ai compilatori della Giovine Italia, Gioberti – sotto il falso nome
di Demofilo – si rivolge ai patrioti della Giovine Italia “come ad amici e fratelli,
come a compagni dello stesso arringo, a commilitoni di guerra santa […] a salute della patria”.90 L’abate si dilunga sul ruolo fondamentale della religione,
identificata con la “filosofia medesima”,91 sulla necessità di far leva sulla religione
per una vera rigenerazione dell’Italia e degli italiani.92 Al centro dell’analisi vi è
una larga parte dedicata all’inadeguatezza della contemporanea Sede apostolica
per questo mandato e a papa Gregorio XVI sono rivolti i pensieri più aspri.
“Viviamo in un tempo, in cui le nazioni oppresse, lacerate, e presso che spente e incadaverite dal dispotismo, si agitano cupamente, e si arruotano insieme per risorgere, siccome le ossa dei morti ammucchiate nei sepolcri […] Abbiamo veduto, che la religione è il
movente più efficace dei petti umani; e che il Cristianesimo, eccellentissima delle sue
forme, è intrinsecamente dottrina di libertà.
[…]
La religione, che voi adorate, è morta; perché ha perduta la signoria della fede, colla
quale una volta conquistò il mondo. Ella è morta; perché i suoi dottori e ministri l’hanno
svisata e guasta, spogliando i simboli delle loro idee queste adulterando, corrompendo
gli ordini della sua gerarchia, introducendo il fasto, la corruttela e l’ignoranza, facendone
scudo e strumento ai tiranni, e giogo ai popoli, inimicandola contra il vivere libero, il libero filosofare, i progressi delle scienze, e il perfezionamento individuale e sociale.
[…]
Strappate la maschera dell’ipocrisia ai principi, che con bestemmia nefanda osano chiamarsi cristiani, cattolici, padri del popolo, stabiliti da Dio; e oltraggiano la santità della
religione col vituperoso omaggio che le rendono
[…]
Ma fatevi più innanzi; ed accostatevi a considerare colui, che siede a capo della Chiesa, e
s’intitola Vicario di Cristo. Paragonate il Papa a Cristo. E quando avrete compiuto il paragone, e fatto vedere quanto divario corra dall’uno all’altro, e dal sublime redentore
delle genti a quel vigliacco oppressore di popoli, che non contento a tiranneggiare e trucidare i suoi, benedice tutti i despoti, sfolgora cogli anatemi tutti gli oppressi, adora un
principe eretico grondante del sangue di un popolo cattolico e generoso, bandisce la crociata contro ogni civiltà, santifica la tirannide come un diritto, impone la schiavitù come
un dovere, e condanna la libertà come un misfatto; quando, dico, avrete conchiusa questa
89 Si tratta delle idee esposte nel 1842 nell’opera Del primato morale e civile degli italiani.
Per seguire brevemente l’evoluzione del pensiero dell’abate Gioberti si consulti anche
TRANIELLO, Vincenzo Gioberti, pp. 94-107.
90 Un documento del 1834, p. 21.
91 Un documento del 1834, p. 24.
92 “Chi non vede di quanta utilità ed efficacia sarebbe questa molla, quando altri sapesse valersene a sommovere i popoli oppressi, e fondare una libertà […] Certamente nelle rivoluzioni
d’America, di Polonia e del Belgio il fervore delle credenze religiose produsse effetti mirabili;
come eziandio ne fece nei bassi tempi, quando la religione inframmetteva la sua voce fra le
querele dei popoli oppressi, e gl’infiammava alla crociata contro feroci oppressori”. Un documento del 1834, p. 25.
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comparazione, ponete mano arditamente al vero e vivo Cristianesimo, chiaritelo, divulgatelo: proclamate le sue dottrine, per conquidere la tirannia, senza tema che per alcuno
si confonda con quella religione di servitù e barbarie, che oggi regna.”93
Sono forse le parole più dure rivolte a Gregorio XVI relativamente al breve ai
vescovi di Polonia. Non stupisce che lo stesso pontefice, di fronte ad espressioni
quali: “vigliacco oppressore di popoli”, oppure “adora un principe eretico grondante di sangue di un popolo generoso e cattolico”, dovette sentirsi mosso a
smentire tali infamanti accuse. Il Documento termina con un’appendice, in cui
è riportata per esteso la lettera enciclica Cum Primum del 9 giugno 1832.
*
* *
Merita di essere riportata, infine, anche la testimonianza di Nicomede Bianchi. La
sua Storia documentata della Diplomazia europea in Italia,94 venne pubblicata
una trentina d’anni più tardi, cioè nel 1867; tuttavia essa ripercorre e approfondisce in modo estremamente documentato gli scambi diplomatici tra la Russia
e la Santa Sede all’epoca dell’Enciclica Cum Primum.
In un passaggio, l’opera denuncia la connivenza della Santa Sede con le corti
europee, particolarmente con quella russa:
“La gigantesca potenza morale della Santa Sede, era andata perduta dal giorno in cui essa aveva cessato di proteggere animosamente i deboli contro i forti […] Quanto a Gregorio XVI, rispettandone pure le sacerdotali intenzioni, torna manifesto, se si considerino
storicamente i risultati dal lato delle loro attinenze terrene, che col mostrarsi tenace
propugnatore del diritto divino delle Corone, coll’ammettere legittima sopra i popoli cristiano la religione e la libertà non devono progredire sulla stessa via, egli apparecchiò al
papato temporale giorni di sfinimento, e crebbe i mali onde ora vivono in travaglio la
civiltà e la religione. Chi più del popolo polacco professava schietta devozione alla Santa
sede nel 1830, com’egli insorse a rivendicare il suo buon diritto?”95
Nella Storia documentata, Nicomede Bianchi riporta la lettera che il principe
Gagarin indirizzò al pontefice nell’aprile del 1832 e commenta:
“In questa nota si vede un chiaro segno de’ vantaggi che dall’essere il papa sovrano
d’uno stato travagliato da rivoluzioni, intendeva ricavare la Corte di Pietroburgo […] Ma
il monarca, il quale chiedeva al papa d’usare gagliardamente della sua autorità sacerdotale, era a sua volta il capo spirituale d’una Chiesa che si appellava ortodossa.”96
Un documento del 1834, pp. 29-34.
BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea.
95 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 214.
96 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 217.
93
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Lo storico inizia poi nell’opera a ripercorrere le numerose limitazioni cui il clero
cattolico polacco era sottoposto dalla tutela russa e ricorda come penoso fu
constatare che, malgrado tutto, il Santo Padre decise di inviare una lettera ai
vescovi della Polonia per ammonirli circa la propria condotta.97
Il giudizio di N. Bianchi non trascura lo sconforto in cui il documento pontificio
gettò i prelati di Polonia, considera che l’atto non poteva che essere recepito dal
pubblico europeo come inappropriato, scandaloso in particolare a coloro definiti “increduli e indifferenti in materia di religione”, ma sente di dover mettere
in luce anche le buone intenzioni di Gregorio XVI, che sperava di poter, con tale
accondiscendenza verso Nicola I, contribuire ad attenuare le persecuzioni religiose nel Regno del Congresso.
“Questa lettera dovette tornare tanto più amara al clero polacco, e tanto più aggradevole
alla Corte di Pietroburgo […] Grandi e clamorose furono le recriminazioni, che, massime
presso le nazioni più civili, sorsero contro quest’atto della Santa Sede. Mentre gli amici
più caldi del papato si mostravano peritosi nel difenderlo, gl’increduli e indifferenti in
materia di religione lo giudicarono compiacimento di dispotismo a dispotismo, che faceva dubitare della spirituale indipendenza della Santa Sede.
Giustizia storica però vuole che da noi non si tralasci di produrre i fatti e i documenti da
cui rilevasi che, nel compiere quell’atto, Gregorio XVI ebbe la speranza di vedere
l’arrendevolezza sua ai politici intendimenti dello czar corrisposta dalla pieghevolezza
del Governo russo alle sue richieste a pro della Chiesa cattolica.”98
L’opera continua con una panoramica delle varie note diplomatiche vaticane
seguite all’enciclica del giugno 1832. Si rende noto come gli appunti del Santo
Padre fossero costantemente ignorati dallo zar e come la mediazione dell’Austria
cercasse di affievolire i dissapori tra le due corti. Parlando del memoriale del
maggio 1833 presentato sotto forma di nota verbale dal conte Gourieff al cardinale di Stato vaticano, – in cui si evidenziava come “La Santa Sede ne’ suoi reclami rispetto alla Chiesa latina dei domini russi era caduta nei maggiori abbagli ed aveva inoltrato le men eque pretese”,99 – afferma infatti Bianchi:
“Gregorio patì grave molestia da tale nota, e disponevasi a farne querela per mezzo
d’una risposta del cardinale segretario di Stato, quando l’Austria intervenne promettitrice alla Santa Sede d’amichevoli uffizi”.100
Occorre rilevare che le indicazioni storiche di Nicomede Bianchi sono tutt’altro che precise.
Egli infatti data al 29 aprile 1830 la prima nota dell’ambasciatore Gagarin presso la Santa Sede, quando ancora l’insurrezione di Varsavia doveva scoppiare, e indica il giugno del 1833,
come data di scrittura del breve ai vescovi di Polonia. Si veda BIANCHI, Storia documentata
della diplomazia europea, III, pp. 215 e 218.
98 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 219.
99 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 220.
100 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 222.
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Infine, l’autore analizza come, malgrado gli appelli e le rimostranze di Gregorio
XVI,101 la prosecuzione della repressione zarista verso la Chiesa latina in Polonia stesse gettando ingiustamente sulla Santa Sede una cattiva luce:
“Questo dispotismo russo finì per sollevare contro di sé l’indignazione dell’Europa civile.
La santa Sede si trovò involta nelle stesse accuse portate contro lo czarismo, e per la cristianità corse il grido che il pontefice, nell’interesse della sua potestà temporale, dissimulava
in silenzio i mali gravissimi che nell’impero moscovita affliggevano da oltre un decennio
la Chiesa latina.”102
La parte della Storia documentata riservata al pontefice si conclude con la descrizione dell’incontro tra il papa e Nicola I nel 1846, riportato con l’intento di
dare giustificazione alle intenzioni e all’operato del pontificato di Gregorio XVI:
“Fulgido lampo di quella luce serena che in tempi migliori avea rischiarato il Vaticano”.103
101 Il 22 novembre 1839, a seguito delle numerose conversioni forzate dei fedeli ruteni delle
Russia Bianca all’ortodossia, Gregorio XVI in sede di concistoro segreto espone nell’allocuzione
Multa quidem le proprie vive preoccupazioni riguardo gli eventi di quell’area particolare.
BELLOCCHI, Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici, pp. 263-66.
102 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 228.
103 BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea, III, p. 230.
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L`impatto della Rivoluzione Polacca del 1830 nel dibattito politico e