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autoeditoria
R iprendersi
la parola
di Claudia Vio
L’autoeditoria non è altro che quella editoria dove l’autore
si fa responsabile in prima persona delle modalità di produzione
e di circolazione delle proprie opere.
L’autore-editore scrive, produce e diffonde i propri libri
secondo criteri che lui stesso ha stabilito.
Aut Aut
Nel 2007 si è svolta a Venezia la rassegna
“Aut Aut - Autrici e autori autoprodotti”. Cinque incontri, da gennaio a febbraio, per accendere l’attenzione sull’autoeditoria e dare voce alle esperienze di autoproduzione
presenti nel territorio. Protagonisti dell’evento quanti si dedicano a scrivere letteratura - romanzi, poesie, racconti - con un
tratto in comune, l’avere cercato uno sbocco editoriale alternativo a quello dell’editoria
tradizionale. Destinatario della manifestazione era il grande assente dalla scena letteraria: l’autore inedito.
Intorno
all’editoria
Una moltitudine di “aspiranti scrittori”,
di fantasmi, ruota intorno alle case editrici,
migliaia di autori ignoti che tentano la strada della pubblicazione.
Che li spinga la vanità personale oppure il convincimento di avere compilato il
best-seller dell’anno, o che semplicemente
vogliano provarci , per tutti l’editoria si rivela presto una porta chiusa. Non un ponte per arrivare al pubblico, bensì un ostacolo,
uno stop.
Ai pochissimi autori che hanno la fortuna di suscitare l’interesse di una casa editrice,
corrisponde una massa di esclusi. La stragrande maggioranza di questi reietti non si
dà pace, di fronte al rifiuto di un editore riprova con un altro.
La pervicacia con la quale gli aspiranti
scrittori si dannano a cercare a tutti i costi
un editore nasce da un convincimento ben
radicato: la pubblicazione equivale a una
sorta di investitura, di patente, senza la quale l’autore non può essere considerato davvero uno scrittore. Non lo riconoscono come tale i lettori; l’autore stesso è incapace
di pensarsi scrittore senza uno straccio di pubblicazione.
Questa sudditanza agli editori non è campata in aria, si fonda su una realtà inoppugnabile. Nell’industria del libro, e specificamente in quel settore che produce letteratura contemporanea, l’accredito di un editore è davvero indispensabile. Il vantaggio
di essere pubblicati non consiste nella moltiplicazione delle copie stampate, quanto
nel riconoscimento del valore letterario che
la pubblicazione esprime: per il fatto stesso
di pubblicare un autore, l’editore dichiara che
quell’autore merita di essere letto.
Nel mercato letterario l’editore è l’unico soggetto che ha il potere di conferire
questa sorta di attestato, mancano i luoghi
dove gli autori inediti possano misurarsi
con il giudizio dei lettori e trarne le debite
conclusioni. Le riviste letterarie sono decedute una dopo l’altra nel secolo scorso, uni-
versità e biblioteche si occupano di scrittura letteraria solo quando è celebrata dall’editoria, le recensioni sono evaporate dai
giornali, i premi si concentrano sugli autori pubblicati. Anche i salotti letterari sono
implosi, come l’elité alto-borghese che li
animava, in bilico fra mondanità e la critica paludata.
Di norma, la prima pubblicazione è decisiva. Essa è il trampolino per accedere alla pubblicazione successiva, magari con un
editore di maggior calibro in grado di garantire un pubblico più vasto, che inneschi
le vendite e collochi finalmente l’autore tra
gli scrittori a tutti gli effetti. Senza quel primo vagito, l’autore rimane un inedito a vita. È un circolo vizioso: per essere pubblicati occorre avere pubblicato.
L’accredito
Ho detto che gli editori hanno il potere
di accreditare gli autori. E che essi detengono
di fatto il controllo esclusivo dell’accredito,
solo attraverso di loro avviene il riconoscimento della qualità di un’opera, di un autore.
Occorre sottolineare la centralità dell’accredito nell’editoria letteraria. A differenza degli autori di saggi, gli scrittori di
romanzi o di poesie non possono testimoniare il proprio valore se non attraverso i libri che pubblicano. I saggisti, di solito, han-
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no accumulato altrove le proprie credenziali, fuori dell’editoria: sono cattedratici,
oppure giornalisti, o membri di istituzioni prestigiose. Per la produzione letteraria non
esiste niente di simile.
Per loro c’è il giudizio dei lettori, del pubblico. Ma il punto di vista del pubblico è
mediato dagli editori. Gli editori ne interpretano i gusti attraverso la cartina di tornasole delle vendite. Il buon libro è il libro
che vende. Il valore di un autore è subordinato al suo appeal commerciale.
La qualità letteraria coincide dunque con
il successo commerciale, non è un quid posseduto dall’opera in sé e per sé. Marketing
e promozione sono i due campi che assorbono i maggiori investimenti, l’uno per indovinare l’orientamento dei lettori, l’altro per
modellarlo secondo le esigenze della produzione editoriale. Pubblicare significa ap-
punto mettere in atto quelle operazioni preliminari che vanno sotto il nome di “marketing” e quelle che accompagnano la circolazione del prodotto, che ricadono nella
“promozione” .
Per gli “aspiranti scrittori” la vita è dura.
Essi non hanno il modo di collegarsi al pubblico, perché i canali della comunicazione
coincidono con quelli della promozione, interamente controllati dagli editori. Gli editori ottengono recensioni sui giornali, passaggi televisivi, partecipazioni a manifestazioni letterarie, presentazioni nelle grandi librerie. Inaccessibili per chi non ha pubblicato.
Trasformare un illustre sconosciuto in
un autore degno di essere letto è un’impresa commerciale che richiede forti investimenti, il gioco deve valere la candela. Può
farlo, con qualche speranza di successo, solo una grande casa editrice, la quale ha anche i mezzi per assorbire un eventuale flop.
Certamente non è alla portata delle piccole case editrici, per loro il rischio è troppo
grande. Infatti non pubblicano esordienti. Sia
l’una che l’altra sono interdette agli autori
sconosciuti, proprio perché sono sconosciuti.
In questa situazione è stupefacente il
comportamento degli aspiranti scrittori, sembrano incapaci di decifrare la realtà. Accecati di un idealismo deteriore, essi faticano
a collocare gli editori nella cornice “miserevole” dell’economia, a concepire l’opera
Autoeditoria/Per saperne di più
Nel sito di Unica Edizioni (www.unicaedizioni.com)
sono scaricabili in pdf gli opuscoli della collana “Appunti di autoeditoria” scritti a partire dal 2007 con
riflessioni sull’autoeditoria. L’ultimo opuscolo, Bizzarro
Infernale, esamina l’autopubblicazione in web. Nel
blog collegato al sito la categoria “Segnalazioni”
contiene informazioni su autori autoprodotti.
Indirizzi utili: Claudia Vio: [email protected]
Ateneo degli Imperfetti: [email protected]
Fuori Posto: http://fuoriposto.altervista.org
Edizione dell’Autrice: www.edizionedellautrice.it
F. Zenoni (Casa Editrice Libera e Senza Impegni):
www.myspace.com/liberaesenzaimpegni
La nota che segue rende conto dello sforzo compiuto per divulgare l’autoeditoria nel veneziano e
ne disegna le ramificazioni.
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Ho parlato di autoeditoria in: “M_editando”, incontro sull’autoeditoria presso la galleria d’arte
A+A di Venezia (2007) con Edizione dell’Autrice
e Auteditori; Autoproduzione in un’autointervista,
“Leggere Donna” (Maggio-Giugno 2007), autointervista di A. Barina e C.Vio; Esperimenti editoriali nel settore librario italiano: produrre dal
basso!, tesi di laurea di A. Zabatino, Ca’ Foscari (Economia e Gestione delle produzioni culturali, 2009); Circolo dei Lettori di Torino (Maggio
2009): incontro con Unica Edizioni e Edizione
dell’Autrice; alla Torre Civica di Mestre “Editarsi
o farsi editare. Questo è il dilemma”, incontro
promosso dalla Municipalità di Mestre-Carpenedo in collaborazione con la Biblioteca n.12 –
Terraglio, coordinamento di Ruggero Lazzari
(Febbraio 2009), con Auteditori, Edizioni Centro
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letteraria come il frutto di un sistema di
produzione regolato dal mercato. Sono persuasi che l’etichetta di una casa editrice sia
indispensabile alla loro immagine, non riescono a farne a meno. Se non trovano l’editore disposto a rischiare, arrivano al gesto
estremo: pagano un editore perché li pubblichi.
Perché
pubblicare?
Eppure la reazione degli esclusi potrebbe essere diversa, anche a tutela della loro
salute mentale. Gli autori dovrebbero mettere da parte per un po’ il problema personale (sono o non sono uno scrittore? ho
scritto qualcosa di buono?) e considerare le
cose da un altro punto di vista. Se fossi un
editore, potrebbero chiedersi, pubblicherei
ciò che ho scritto? Come mi comporterei per
far conoscere il mio libro? Sono sicuro che
ci siano persone interessate a leggere quello che ho scritto? Soprattutto: perché voglio
pubblicare?
Ponendo a se stessi i quesiti che di norma sono demandati agli editori, gli autori si
renderebbero conto che i loro interessi non
coincidono con quelli degli editori. Potrebbero perfino immaginare un percorso editoriale su misura delle loro esigenze, non delegato agli editori.
Chiarire il proprio fine e scegliere i mez-
zi che gli sono congrui è il primo passo per
l’autoeditoria, tema della rassegna veneziana a cui accennavo all’inizio. L’autoeditoria non è altro che quella editoria dove l’autore si fa responsabile in prima persona delle modalità di produzione e di circolazione
delle proprie opere. L’autore-editore scrive,
produce e diffonde i propri libri secondo criteri che lui stesso ha stabilito.
Tra immaginarsi editori e l’esserlo dav-
Internazionale della Grafica di Venezia, Edizione
dell’Autrice, Autoedizioni dell’Ultima; all’Università
Ca’ Foscari di Venezia in “L’autoeditoria. Una
nuova proposta per la comunicazione letteraria”, conferenza A. Barina, A. Pagan, C. Vio (Marzo 2010); nella rubrica “Spazio Donna” di Radio
Cooperativa di Padova; a Villa Settembrini di Mestre con Bizzarro Infernale nel ciclo “L’Editoria culturale in Veneto” a cura della Regione Veneto; al
Salone Internazionale del Libro di Torino, ospite
della Regione Veneto con Bizzarro Infernale; all’Ist. Tecnico Luzzatti di Mestre nel ciclo “LetteralMente” (Maggio 2010); a Libri in Cantina –
Mostra nazionale della piccola e media editoria,
con Bizzarro Infernale (Ottobre 2010).
Di Unica Edizioni e Edizione dell’Autrice hanno parlato Mario Marchetti, Tra scrittura e autoeditoria,
“L’Indice dei Libri”, Luglio-Agosto 2007; Ales-
vero il passo è breve, tutto sommato, e ha radici nel do it yourself di antica memoria. Implica la volontà di riprendersi la parola, togliendo agli editori quel ruolo di filtro nel
rapporto fra gli autori e i lettori, che dà loro un potere immenso sugli autori. Comporta
un’assunzione di compiti decisionali da
parte dell’autore, che vanno oltre la semplice
stesura del testo. In quanto editore egli stabilisce se orientare la sua produzione sul
sandra Pagan in Editare se stessi. Realtà veneziane, Sinopia Edizioni (2010); Max Citi nel blog
“Fronte&Retro”.
Ricordo inoltre gli incontri promossi da Edizione
dell’Autrice in collaborazione con Unica Edizioni al Salone dell’Editoria di Pace di Venezia “Io
m’edito, tu medita” (2007) con A.Barina, A. Pagan, C.Vio e nella rassegna FrariFuori di Venezia gli incontri “M’editare” (2009), “M’Editare – Riflessioni su autoeditoria e dintorni” (2010), seguiti
dalla mostra presso la Torre Civica di Mestre
“M’Editare – Mostra di autoeditoria e dintorni”(Febbraio 2010). Infine la rassegna “Fuori dal
Coro”, organizzata da Alberto Rizzi presso la libreria Effetti Personali di Padova.
(Aprile 2010).
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profitto, oppure se sono preferibili lo scambio e la gratuità; se avvalersi della pubblicità o se puntare sulla nuda informazione, e così via. Attraverso le sue scelte di “politica editoriale” l’autore esprime un giudizio di valore sul sistema di produzione della cultura
e sceglie la propria collocazione. Si auotodetermina rispetto al contesto, anziché subire le scelte di un editore.
L’autoeditoria presuppone che l’autore
pensi alla pubblicazione non come a una
proiezione del proprio ego in cerca di conferme, ma come il tassello di un quadro più
vasto dove pubblicare in un modo piuttosto
che un altro è un atto politico, cioè comporta conseguenze che vanno oltre il singolo
autore perché hanno una ricaduta collettiva. L’autore-editore è impegnato su un doppio fronte, ovviamente; deve oggettivare se
stesso. Serve un pizzico di elasticità mentale per agire pro se stessi in quanto autori e
contemporaneamente prescindere da sé in
quanto editori. L’alternativa però è restare
muti.
Dentro
l’autoeditoria
L’autoeditoria non garantisce nulla circa la qualità dei libri che produce, non nasconde tesori. È un mito romantico credere che fra gli inediti si celino capolavori,
mentre nella grande editoria trionferebbero libri mediocri perché tarati su un mercato di massa. Ed è altrettanto vero che fra gli
inediti abbondano i libri scadenti (per forza, aggiungo, se non può nutrirsi dell’apporto dei lettori, il talento si atrofizza).
Analogamente l’autoeditoria non è necessariamente una forma di “lotta al capitalismo”, può benissimo essere scelta dall’autore con il bernoccolo degli affari, che vuole mettersi in proprio per guadagnarci (ma
in questo caso farebbe meglio ad affidarsi alla grande editoria, che meglio di lui sa come
trasformare i libri in denaro sonante).
Infine l’autoeditoria non predilige alcu-
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ni contenuti piuttosto che altri, né tantomeno li prescrive.
La sua virtù è un’altra e risiede nel principio antiautoritario che la anima. L’autoeditoria sottrae agli editori il monopolio dell’accredito, colpisce gli editori nel loro ruolo esclusivo di “garanti della qualità degli autori”, di intermediatori fra gli autori e i lettori, ruolo che essi esercitano selezionando
le opere secondo i criteri del profitto.
Il fondamento antiautoritario è la condizione per creare più ampi spazi di libertà.
Solo nell’autoeditoria le necessità letterarie
dell’autore (di comunicare, di verificare la tenuta della sua scrittura, di interagire con i lettori) possono prevalere su quelle commerciali. Nessun altro editore fuorché l’autore
stesso può fare una scelta simile.
Le esigenze della scrittura spingono a
cercare i lettori in situazioni diverse da quelle piegate alle esigenze commerciali. L’autore-editore privilegia il contatto diretto
con i lettori, l’incontro di persona, il dialogo, il rapporto con le associazioni, perché i
lettori sono i suoi interlocutori. Ai lettori
chiede che interagiscano con lui, li fa partecipi
dell’autoeditoria. Egli trascura, perché non
essenziale, la distribuzione commerciale.
L’autore-editore usa i mezzi che facilitano l’accesso ai suoi testi, perché per lui è importante essere letto. La vendita è perciò subordinata alla circolazione: reading, assaggi letterari, iniziative autofinanziate e autogestite sono le occasioni preferite dall’autoreeditore.
Autofinanziata e autogestita era anche la
rassegna “Aut Aut”, promossa e realizzata da
Unica Edizioni, la mia piccola casa editrice
creata nel gennaio 2006 per i miei racconti,
e da Scoletta dei Misteri di Antonella Barina, autrice-editrice presente nella rassegna
con “Edizione dell’Autrice”, rivista di poesie e racconti registrata nel 2005, ma già
presente nei reading in forma episodica un
paio d’anni prima.
Entrambe le autrici pubblicano solo se stesse, non altri autori. Ciascuna pratica l’au-
toeditoria con proprie motivazioni, com’è
ovvio. Per quanto mi riguarda la decisione di
creare una casa editrice con tanto di Partita
Iva, smisurata rispetto alle esigenze reali, ha
un significato simbolico. Il paradosso esprime la volontà di riappropriarmi della componente gestionale dell’editoria, saldando
in un’unica figura il ruolo direttivo, tipico
dell’editore, con quello esecutivo o, peggio ancora, di fornitore della materia prima agli editori, solitamente assegnato agli autori. Una
casa editrice “in piena regola” rende lampante
cos’è l’autoeditoria: figlia dell’autoproduzione, essa ricompone una scissione profonda nella divisione del lavoro, che spesso rimane in ombra.
Anche l’accento posto sull’individualità
mi sembra importante. Sebbene l’autoeditoria
possa realizzarsi in forma associativa, tuttavia
è solo nella forma individuale che il principio antiautoritario si afferma in modo limpido, perché sgombra la strada da possibili
equivoci, quali si generano quando il soggetto
editoriale è un gruppo: inevitabilmente il
gruppo viene percepito come “colui che accredita” i singoli autori, facendo rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Se poi
il gruppo si costituisce su una base ideologica (l’autoproduzione come forma di produzione antagonista a quella capitalista),
ancora di più l’accredito discende dall’alto
di un’autorità precostituita, l’ideologia appunto, anziché fondarsi sull’autore stesso. Il
nome “Unica” è un adattamento prosaico, addomesticato, dell’Unico di Stirner. A buon
intenditor.
Prospettive
La rassegna del 2007 aveva lo scopo di raccogliere e mettere in contatto esperienze
locali analoghe a quelle delle due promotrici.
O quanto meno affini. Spesso le associazioni di scrittori svolgono un’attività che di fatto è un lavoro editoriale, perché propongono iniziative culturali, inventano forme di cir-
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colazione dei loro scritti, promuovono incontri con il pubblico in luoghi anomali; eppure, quando si tratta di pubblicare i loro testi, anche le associazioni si rivolgono a un
editore e lo pagano. Si tratta dunque di comprendere che là dove si svolge un’attività volta a rendere pubblici degli autori, si deve parlare di editoria. Senza soggezione verso gli
editori. Anche gli autori e le autrici che
stampano in proprio, che cioè rinunciano, dignitosamente, all’etichetta editoriale sulla copertina, sono già con un piede nell’autoeditoria, purché questa loro scelta non sia vissuta come ancella dell’editoria, o premessa
per il “salto di qualità”.
Ad “Aut Aut” sono seguite negli anni altre iniziative, promosse ora da Unica Edizioni ora da Edizione dell’Autrice, in aggiunta alle attività svolte individualmente per
i propri libri. L’obiettivo è sempre promuovere l’autoeditoria, fare rete, confrontare e condividere le esperienze. Che sono
ancora sporadiche, per la verità; la resistenza degli scrittori a “fare da sé” è fortissima, niente di paragonabile a quanto avviene
fra gli artisti o nell’ambito della musica, dove l’autoproduzione è diffusissima.
Nelle iniziative di questo tipo l’idea di
fondo è che l’autoeditoria possa e debba diventare un valore sociale. Proprio qui, nel collegamento fra i soggetti sparsi che praticano
l’autoeditoria, essa abbandona la dimensione individuale, si socializza, e perciò implica
un orientamento politico. Questo orientamento non può che essere libertario, perché
fruttifero della massima libertà possibile, in
consonanza con il nucleo antiautoritario che
sta all’origine dell’autoeditoria.
Per questo motivo è di grande importanza il fatto che iniziative di autoeditoria
siano state realizzate dall’Ateneo degli Imperfetti – Laboratorio di cultura libertaria
di Marghera e a Fuori Posto di Mestre. Il primo, ha organizzato nel giugno scorso “Festa d’artista” con Federico Zenoni, milanese, creatore della Casa Editrice Libera e
Senza Impegni “per l’autoproduzione di
manufatti artistico-editoriali e sonori a tiratura limitatissima e saltuaria, realizzati
artigianalmente con materiali riciclati”.
A Mestre, nel teatrino dell’associazione
Fuori Posto, sede anche dell’associazione
che da anni autoproduce la rivista “ApArte – Materiali irregolari di cultura libertaria”,
si è svolta in ottobre la rassegna di autoeditoria “Dopo l’ultima parola”, dove protagoniste erano le diverse modalità attraverso
le quali gli autori rendono pubblico il proprio lavoro (pubblicare non significa per
forza riprodurre, a mezzo stampa o in web).
Autori e autrici che si autoeditano sono
ancora pochi, come dicevo. Ignari l’uno dell’altro e difficili da reperire. Eppure proprio ora è importante che l’autoeditoria trovi una definizione libertaria. O meglio: è
necessario che l’autoeditoria concorra a tenere saldi i principi libertari. L’urgenza è dettata dai fatti. Le case editrici a pagamento,
cresciute vertiginosamente negli anni Novanta del secolo scorso, oggi sono un’infinità
e dilagano nel web. I siti di autopubblicazione,
di “autoeditoria”, si rivolgono agli aspiranti scrittori, ai quali sbandierano la “libertà”
di cui possono godere pubblicando da sé, ovviamente “con il supporto” dei siti stessi. In
modo capillare, e con investimenti enormi
in pubblicità, l’autopubblicazione mira a
raggiungere uno per uno i desaparecidos
dell’editoria, attirandoli sotto la bandiera della libertà. L’aspetto cruciale di questo fenomeno non riguarda tanto le sorti degli
aspiranti scrittori, non è questo che allarma,
quanto l’idea di libertà che viene veicolata
da questi siti. È una libertà scempiata, distorta, fatta a brandelli: sulla quale però si
va modellando un mercato vastissimo.
Vogliamo parlarne?
■ Claudia Vio
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