SOMMARIO
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TRIESTE - TRST
Da 70 anni alla radio e da 20 in televisione
Doppio anniversario per i programmi della Rai
in lingua slovena
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TRIESTE - TRST
L’uomo giusto al posto giusto
La minoranza slovena ha ringraziato
l’ambasciatore sloveno Iztok Miroœi@
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TARVISIO - TRBI˘
Dal primo ottobre sloveno all’istituto «Bachmann»
8
TRIESTE - TRST
Il paesaggio linguistico nell’area
in cui risede la comunità slovena in Italia
Presentati gli esiti della ricerca condotta dallo Slori
10
TRIESTE - TRST/GORIZIA - GORICA
I Consigli comunali respingono lo statuto delle Uti
12
TAIPANA - TIPANA
Elio Berra si è dimesso da vicesindaco
Bufera politica perché lo statuto dell’Uti ignora
la minoranza slovena e trascura la montagna
Anno XVII N° 8 (212) 30 settembre 2015
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TRIESTE - TRST
I martiri di Basovizza devono unire
e non separare la comunità!
Ricordati i quattro sloveni fucilati nel 1930
14
LA RICORRENZA
60 anni fa cadeva la nostra «cortina di ferro»
Il 20 agosto la firma del Trattato di Udine, che istituì
il lasciapassare, documento per attraversare i confini
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LETTERATURA
A 102 anni Boris Pahor
sogna un mondo libero e giusto
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L’INTERVISTA
«Abbiamo lavorato come se Draga fosse eterna»
A colloquio con Sergij Pahor,
in occasione dei 50 anni di Draga
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STOLVIZZA - SOLBICA
Cd e pubblicazione sui canti religiosi resiani
Doppio anniversario per i programmi della Rai in lingua slovena
TRIESTE-TRST
Da 70 anni alla radio e da 20 in televisione
I due mezzi di comunicazione hanno un ruolo chiave per la tutela dell’identità etnico-linguistica
a proiezione del telegiornale in lingua slovena e la voce
dello scrittore Boris Pahor, che esprime soddisfazione per i programmi radio in lingua slovena. In questo
modo sono iniziati i festeggiamenti di un doppio anniversario, i 70 anni di Radio Trst A e i 20 anni dei programmi
in lingua slovena della sede regionale Rai, che hanno avuto
luogo domenica 20 settembre al Kulturni dom a Trieste
quale atto di chiusura della festa della comunità slovena
in Italia «Slofest».
È quindi intervenuta Alessandra Paradisi, vicaria del direttore per i rapporti istituzionali e internazionali presso la dirigenza Rai, che ha sottolineato il potere dei mezzi di comunicazione, capaci di dividere o unire le genti.
Il ministro per gli Sloveni nel mondo, Gorazd ˘mavc, ha
salutato il pubblico anche a nome del Governo sloveno. Ha
evidenziato l’importanza fondamentale della lingua, che contraddistingue il popolo sloveno. Ha aggiunto che a Trieste
è maggiore l’impegno per la tutela della lingua slovena
rispetto a quanto viene fatto a Lubiana. In questo contesto ha sottolineato il ruolo chiave della radio e televisione
slovene in Friuli Venezia Giulia.
Il direttore della sede regionale Rai, Guido Corso, ha detto
che gli anniversari rappresentano un’occasione per rinnovare il percorso compiuto, ma soprattutto per alzare lo
sguardo e indirizzarlo al futuro. A nome del consiglio di
amministrazione della Rai, Corso ha ringraziato quanti nei
decenni scorsi hanno contribuito alla programmazione
radiofonica e televisiva. Anch’egli ha evidenziato il ruolo
delle strutture Rai in lingua slovena nel promuovere la convivenza tra le comunità che risiedono in regione. Accanto
all’aspetto contenutistico sono significativi anche quelli di
natura tecnologica: a questo proposito Corso ha annunciato
che verranno ammodernati diversi servizi offerti dalla Rai.
«Oltre che una festa per la comunità slovena, che nel mezzo
radiofonico prima e in quello televisivo poi ha trovato un
canale d'espressione rispettoso della sua peculiarità e capace di accompagnare e di raccontare una parte importante e vitale del Friuli Venezia Giulia, questa è una festa per
tutta la regione che proprio nel plurilinguismo trova il suo
carattere autenticamente europeo», ha detto l'assessore
regionale al Lavoro, Formazione, Istruzione, Pari
Opportunità, Politiche giovanili, Ricerca e Università,
Loredana Panariti. «Questi spazi aperti al libero sviluppo
di culture e capaci di metterle in comunicazione – ha aggiunto Panariti – hanno rappresentato e rappresentano un buon
esempio di come la presenza di minoranze linguistiche in
un territorio sia un elemento importante della sua crescita e una della sue basi fondanti».
Martina Repinc, responsabile dei programmi Rai in lingua
slovena, ha sottolineato quanto sia importante che la comunità slovena disponga di propri canali di informazione e
comunicazione, dalla radio alla televisione e alla stampa.
Ha evidenziato l’importanza dei rapporti con la Slovenia,
della collaborazione con i media affini, in prima linea con
il centro Rtv di Koper-Capodistria, ha richiamato l’attenzione
sulla serie di progetti realizzati e sui loro contenuti.
Di seguito riportiamo alcuni dati: alla sede regionale Rai
L
vengono trasmesse annualmente 4600 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua slovena e 208 ore di programmazione televisiva in lingua.
Sulla programmazione informativa radiofonica e televisiva
è intervenuto Ivo Jevnikar, caporedattore della sezione giornalistica slovena. Ha sottolineato l’importanza fondamentale dell’attività giornalistica e la necessità di creare condizioni di lavoro tali da favorire una buona programmazione televisiva e radiofonica. Ha detto che si potrebbe fare
di più, ma questo dipende da altri che hanno le competenze
per poter intervenire sulla convenzione e sulle norme di
legge.
Nel corso della serata, presentata da Tamara Stanese, si
è esibito il complesso Big band Rtv Slovenija (anch’esso
nel suo 70° anno di attività), che ha accompagnato l’esibizione delle cantanti Anika Horvat, Ylenia Zobec, Andreja
Mo¡ina, Kristina Frandoli@, Martina Feri, Tinkara Kova@ e
Marta Donnini.
(Bip, Primorski dnevnik, 22. 9. 2015
Arc/Com/Ppd, www.regione.fvg.it)
UDINE - VIDEN
Iztok Miroœi@ ha salutato Serracchiani
Nel corso dell’incontro con la presidente della Regione
è stata dedicata particolare attenzione ai lavori
del Comitato congiunto FVG-Slovenia
È necessario continuare la ricerca costruttiva di un accordo tra la Slovenia e la Croazia riguardo il contenzioso sui
confini marittimi, anche perché questo rappresenterebbe
un segnale positivo per tutta l'area dei Balcani che ha fortemente bisogno di essere stabilizzata. L'Europa dovrebbe dedicare maggiore attenzione ai Balcani. Lo hanno affermato la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia,
Debora Serracchiani, e l'ambasciatore sloveno a Roma,
Iztok Miroœi@, che dopo cinque anni lascia l'incarico per ritornare presso il ministero degli Esteri a Lubiana.
L'ambasciatore – al quale è stato riconosciuto di essersi
speso molto per vivacizzare i rapporti, soprattutto di collaborazione culturale, tra i due popoli – si è recato lo scorso 11 agosto dalla presidente Serracchiani in visita di commiato. «I rapporti fra l'Italia, il Friuli Venezia Giulia e la
Slovenia, che negli ultimi anni sono diventati sempre più
intensi e caratterizzati da una nuova qualità, miglioreranno ulteriormente con il riavvio dei lavori del Comitato congiunto tra la Regione e la Repubblica di Slovenia», hanno
valutato i due rappresentanti istituzionali.
Nel corso dell'incontro, cordiale e amichevole, sono stati
ricordati i risultati raggiunti e quelli ancora da perseguire
tra le due realtà territoriali. Particolare attenzione è stata
dedicata ai lavori del Comitato congiunto FVG-Slovenia,
che è stato ricostituito lo scorso aprile a Trieste. «In tale
ambito attraverso specifici gruppi di lavoro ci stiamo conSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 1
frontando concretamente – ha spiegato Serracchiani – sui
molti versanti della collaborazione transfrontaliera, dalla
sanità, all'ambiente alle infrastrutture: pensiamo solo alle
opportunità che ci offrono, in termini di sviluppo, la tutela
ambientale dei fiumi e la cooperazione tra i porti di Trieste
e Capodistria».
All'ambasciatore, che si è soffermato sull'importanza del
lavoro svolto dalla Regione a favore della minoranza slovena e sulle preoccupazioni legate all'attuazione della riforma regionale degli Enti locali, Serracchiani ha voluto ricordare come gli statuti delle Uti considereranno tale specificità garantendo la tutela della comunità slovena con richiamo all'esistente normativa nazionale e regionale.
In merito alla riforma elettorale, che non garantisce il seggio nel Parlamento italiano ad un rappresentante della minoranza linguistica, Serracchiani ha evidenziato come la definizione della circoscrizione orientale del Friuli Venezia Giulia
permette tale elezione.
Nell'evidenziare gli ottimi rapporti tra le due realtà, riconfermata di recente all'Expo di Milano, la presidente ha parlato con l'ambasciatore delle prossime sfide che attendono i due Paesi all'interno della macroregione Adriatico-Ionica
e in Europa. Tra i temi caldi dell'area di confine è emersa
la questione del rigassificatore di Zaule, per il quale si terrà
in settembre la conferenza dei servizi.
Al rientro di Miroœi@ nella capitale slovena sarà Bogdan
Benko, già ambasciatore a Lisbona e Copenhagen, ad
essere nominato nuovo ambasciatore della Repubblica slovena in Italia. All'incontro hanno partecipato i consoli sloveni a Trieste, Ingrid Sergaœ e Eliœka Kersni@ ˘mavc.
ARC/MCH
(www.regione.fvg.it)
TRIESTE – TRST
L’uomo giusto al posto giusto
La minoranza ha ringraziato l’ambasciatore sloveno
Lo scorso 27 luglio Iztok Miroœi@, ambasciatore sloveno a
Roma che dopo cinque anni lascia l’incarico, è stato oggetto di ringraziamenti e auguri da parte dei rappresentanti
delle istituzioni della minoranza slovena nel corso del ricevimento di commiato che ha avuto luogo presso la sede
del Consolato generale sloveno a Trieste.
Dall’incontro, che si è svolto in un clima informale se non
addirittura amichevole e che è stato introdotto dalla console generale slovena a Trieste, Ingrid Sergaœ, è emerso
come l’ambasciatore sia stato per la minoranza slovena la
persona giusta al posto giusto.
Un’opinione condivisa espressa dai: presidenti della
Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, Walter
Bandelj, e dell’Unione culturale economica slovena-Skgz,
Rudi Pavœi@; da Ivan Peterlin, presidente dell’Unione dei
circoli sportivi sloveni in Italia-Zsœdi, Bogdan Kralj direttore della Glasbena matica; Aleksander Koren in rappresentanza del direttore responsabile del Primorski Dnevnik
(quotidiano sloveno di Trieste, ndt.) Duœan Udovi@; Stanka
#uk, presidente del Fondo Mitja #uk; Milena Padovan, presidente della Glasbena matica; Breda Pahor, presidente
del Teatro stabile sloveno-Ssg; Andrej Œirk, direttore
dell’Unione regionale economica slovena-Sdgz; Devan
Jagodi@, direttore dell’Istituto di ricerca sloveno-Slori e coordinatore della Biblioteca nazionale e degli Studi-Nœk;
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 2
Franc Fabec, presidente dell’Unione agricoltori sloveniKme@ka zveza.
Il presidente dello Sso, Walter Bandelj, ha espresso la convinzione che Miroœi@ sia una figura difficilmente sostituibile; il presidente della Skgz si è detto preoccupato per una
Slovenia sempre più lontana dalla minoranza ed ha evidenziato la necessità di una minoranza più unita. In giornata Miroœi@ ha incontrato il sindaco di Trieste, Roberto
Cosolini, il prefetto, Maria Adelaide Garufi, e la presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Proropat.
Miroœi@ ha richiamato l’attenzione dei tre interlocutori italiani sulla contestata riforma degli enti locali e ha evidenziato come essa non debba intaccare i diritti della minoranza slovena. Prima di rientrare a Roma Miroœi@ ha visitato anche il centro librario triestino in piazza Oberdan.
Miroœi@ ha iniziato il suo mandato quando in Italia era al
governo il centrodestra. Da subito si è impegnato a impostare un dialogo con gli esponenti politici finalizzato a migliorare i rapporti tra i due Stati. Si è occupato costantemente anche delle questioni inerenti la minoranza slovena, il
che ha portato a buoni risultati, quali l’istituzione del tavolo di lavoro governo-minoranza presso il ministero
dell’Interno, che per Miroœi@ rappresenta uno strumento in
più di comunicazione tra le due parti. Miroœi@ ha evidenziato, inoltre, con orgoglio il fatto che dopo cinque anni sia
stato riattivato il tavolo misto Fvg-Slovenia. È eloquente
anche il fatto che il presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, abbia recentemente ricevuto al Quirinale i rappresentanti della minoranza.
È vero che la crisi finanziaria ha condizionato in una certa
misura anche il regime di finanziamento della comunità slovena in Italia, «ad ogni modo ho evidenziato costantemente
al governo italiano l’inopportunità dei tagli fatti a scapito delle
minoranze». Nonostante la lentezza della macchina burocratica a Roma («i cinque anni trascorsi a Roma sono un
periodo breve rispetto ai tempi richiesti dalla burocrazia italiana»), il clima generale nei rapporti con la Slovenia e con
la minoranza slovena in Italia è indubbiamente migliorato;
sia sul piano politico che per quanto concerne i funzionari governativi non c’è una contrarietà aprioristica alla questione della minoranza. Il vento ha incominciato a soffiar
nella giusta direzione soprattutto dopo il gesto simbolico
e culturale dei tre presidenti della Repubblica italiana, slovena e croata, che ha avuto luogo cinque anni fa a Trieste.
Miroœi@ è promotore del dialogo, perché a questo lo induce non solo il suo incarico istituzionale, ma anche la convinzione personale che il rapporto va instaurato sui fondamenti più aperti di matrice europea. Nonostante l’Italia
sia il secondo più importante partner economico per la
Slovenia «resta ancora molto potenziale inutilizzato nei rapporti tra i due Stati», ha detto Miroœi@. Nell’ambiente romano l’ambasciatore ha saputo muoversi ed è per questo che
risulta ancora più amara la sua dichiarazione che per quanto riguarda la minoranza slovena ha avuto maggiori difficoltà con le autorità slovene a Lubiana piuttosto che con
gli interlocutori italiani.
«Voi sloveni in Italia non rappresentate una mera voce di
bilancio e la Slovenia deve capire questo», ha sottolineato Miroœi@ ed ha aggiunto che considera la minoranza un
soggetto, che a volte necessiterebbe davvero di maggiore unità e alla quale non dovrebbero mai essere imposti
compiti dall’alto, ma dovrebbe decidere da sola sulle proprie sorti, naturalmente in modo conforme con gli interlocutori.
Miroœi@ ha fatto una riflessione anche sulle recenti mosse
della regione Fvg, senza aggiungere alcun commento sulle
diatribe tra Glasbena matica e Emil Komel. Ha solo detto
che ogni fusione deve scaturire dalla volontà di chi vi è coinvolto. E lo stesso vale per quanto riguarda il ruolo che la
Regione Fvg riveste nel determinare le sorti della comunità nazionale slovena («A Roma le decisioni sulla minranza
vengono assunte sulla base delle considerazioni trasmesse
dalla Regione). Oltre a sottolineare l’importanza che rivestono il dialogo politico e l’economia (anche quella della
minoranza con l’Unione regionale economica slovena-Sdgz
e l’Unione agricoltori-Kme@ka zveza) nei rapporti internazionali, Miroœi@ ha detto che è soprattutto la cultura il più
efficace biglietto da visita nella relazione Lubiana-TriesteRoma. «Purtroppo, la promozione culturale in Italia è troppo debole», ha detto Miroœi@, sottolineando quindi l’importanza della presenza della Slovenia all’esposizione universale Expo a Milano. In questo contesto la comunità
nazionale slovena può rivestire un ruolo chiave grazie alla
conoscenza di entrambe le realtà. E ha aggiunto che la tutela della minoranza slovena e di tutto il popolo sloveno è
legata alla loro capacità di valorizzare l’eccellenza, che
sanno dimostrare in tutti gli ambiti, anche nel settore mediatico; accanto all’importanza che per la comunità slovena
riveste il «Primorski dnevnik» (quotidiano sloveno di Trieste,
ndt.) Miroœi@ ha sottolineato il ruolo e la qualità di altre testate quali il «Novi glas», il «Dom» e il «Novi Matajur». (…)
I.G.
(Novi glas, 30. 7. 2015)
REGIONE
Assegnati alle organizzazioni slovene
500.000 euro di fondi aggiuntivi
La giunta regionale su proposta dell’assessore alla Cultura
Gianni Torrenti ha approvato il decreto sull’assegnazione
dei contributi statali alle organizzazioni della minoranza slovena per l’ano 2014. Si tratta di fondi destinati ogni anno
alla comunità nazionale slovena in base alla legge di tutela. Quest’anno sono due le poste in bilancio, la prima basata sui contributi per il 2015 e conteggiati in base alla legge
statale sulla stabilità, mentre la seconda riguarda la distribuzione dei 500 mila euro aggiuntivi, derivanti dalle fonti
statali per il finanziamento della legge di tutela, che, in base
alla legge regionale sulle variazioni di bilancio, saranno
distribuiti tra le cosiddette 21 organizzazioni primarie degli
sloveni in Italia nella stessa proporzione dei contributi di
base.
Nella prima voce quest’anno era a disposizione un contributo complessivo di 5.092.950 euro, di cui 4.717.950 destinati alle ventun organizzazioni e istituzioni primarie e finalizzati a «iniziative specifiche volte alla valorizzazione della
lingua nonché del patrimonio storico e culturale della minoranza slovena» (a tal fine sono stati assegnati 82.641,05
euro e i destinatari saranno individuati sulla base delle
richieste presentate per singoli progetti). Il finanziamento
è integrato anche dai contributi destinati per legge alle due
organizzazioni di raccolta, la Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso e l’Unione culturale economica slovena-Skgz, che come lo scorso anno riceveranno ciascuna 150 mila euro, dal contributo per il Teatro stabile sloveno-Ssg, che riceverà 75 mila euro per gli interessi sui
vecchi debiti.
La Regione ha approvato anche la distribuzione dei 500
mila euro, che vanno ad integrare il finanziamento alle
21organizzazioni primarie e la citata voce per le iniziative
particolari, quindi l’importo complessivo dei contributi stanziati in base alla legge di tutela ammonta a 5.592.950 euro.
A questo vanno aggiunti tre contributi straordinari per un
importo complessivo di 900 mila euro, che sono rimasti inutilizzati in tre voci di bilancio della legge di tutela (amministrazioni pubbliche, attività delle organizzazioni slovene e
sviluppo economico della provincia di Udine) e che l’amministrazione regionale, nell’ambito degli assestamenti di
bilancio, ha destinato al «Primorski dnevnik» (600 mila
euro), al settimanale «Novi Matajur» e al centro musicale
Komel (150 mila euro a testa. Per il Primorski dnevnik e il
Novi Matajur sono insorte difficoltà a seguito dei tagli dei
fondi statali per l’editoria, mentre l’aiuto al Komel è frutto
di inattese difficoltà di bilancio e rappresenta, nel contempo, un invito alla fusione tra le scuole musica della comunità slovena.
(Primorski dnevnik, 29. 8. 2015)
INTERVISTA
Per il centro Komel accordo,
non imposizione
A colloquio con l’assessore regionale Gianni Torrenti
La Regione non vuole imporre nulla a nessuno, ma è vero
che la minoranza slovena deve unire le forze se vuole esse re al passo con i tempi. L’assessore regionale alla Cultura
non è soddisfatto con le polemiche seguite alla decisione
del Consiglio regionale per un contributo aggiuntivo di 900
mila euro alle istituzioni slovene. Bersaglio di valutazioni
diverse è stata soprattutto l’annunciata fusione delle scuo le di musica di Gorizia, «Emil Komel» e «Glasbena mati ca».
Assessore Torrenti, come mai avete deciso di assegnare
un contributo al Primorski dnevnik (600 mila euro) e al Novi
Matajur (150 mila euro)?
«Il contributo ai due giornali è stato deliberato per compensare ai gravi tagli subiti dalle due testate dalla legge
statale per l’editoria. La cosa è tanto più grave, se consideriamo che da Roma sono stati comunicati questi tagli
quando le due testate avevano già approvato i loro bilanci. Si tratta comunque di un contributo straordinario e unico,
in attesa che, e dovrebbe accadere il prossimo anno, il
Governo e il parlamento apportino modifiche alla legge sull’editoria».
E per quanto riguarda il contributo di 150 mila euro all’Emil
Komel?
«In questo caso si è trattato di una richiesta specifica da
parte della scuola di musica di Gorizia a seguito della perdita di 49000 euro nel 2014. Il Komel non ha mai avuto perdite ed è sempre stato attento nei bilanci».
E come mai questo “buco”?
«Penso che si tratti di una difficoltà del bilancio preventivo legata alla risposta del centro Komel alla crisi della scuola di musica italiana di Gorizia, dal momento che ne ha guadagnato un più alto numero di iscritti con conseguente
aumento delle spese».
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E quale richiesta ha presentato il centro Komel alla
Regione?
«Ci hanno chiesto un contributo straordinario di 50 mila
euro. Ma la Regione di solito non interviene in queste situazioni».
E quando interviene l’amministrazione regionale?
«Interveniamo principalmente quando una determinata istituzione è vittima di tagli ai contributi. In questo caso si è
trattato di spese di gestione, per questo abbiamo avuto le
mani legate».
E perché il contributo al Komel?
«In ambito regionale, ma anche per quanto concerne le due
scuole di musica, si parla da tempo di fusione. Questo diminuirebbe altre spese e razionalizzerebbe la presenza delle
scuole di musica sul territorio».
Questo cosa comporterebbe?
«A Gorizia potrebbe restare il centro Komel, a Trieste e
Udine la Glasbena matica. Si tratta di raggiungere un accordo in merito. Per quanto riguarda la Glasbene matica, credo
che non sia un’istituzione dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, ma dell’intera minoranza slovena, come
testimonia il fatto che a suo tempo sia stata presieduta da
Drago Œtoka. È, quindi, un’istituzione comune di entrambe le organizzazioni di raccolta slovene, la Skgz e la
Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso».
Come immagina la fusione delle scuole di musica?
«Anche così, che entrambe mantengano la loro specificità.
Il centro Komel resterebbe ancorato al Goriziano, mentre
la Glasbena matica a Trieste e Udine. Le trattative in merito si protraggono da alcuni anni».
Vi ha preso parte anche lei?
«Mi è sembrato importante soprattutto il mio ultimo incontro con il direttivo del Komel. Hanno espresso la giustificata necessità di un approccio paritario al processo di fusione, nel quale – dico io – anche la Glasbena matica potrebbe congiungersi al Komel. Ripeto, è questione di trattative».
E cosa è stato sottolineato alla Regione dai rappresentanti
del Komel?
«Nonostante non ci siano mai stati problemi con il bilancio, hanno sottolineato le difficoltà legate alle liquidazioni.
E questo a causa delle spese per gli strumenti musicali e
l’arredamento. Ma, come ho già detto, la Regione deve
motivare ogni intervento finanziario straordinario. Se così
non fosse potremmo elargire aiuti finanziari a chiunque».
E dopo cosa è successo?
«Ci siamo incontrati nuovamente per ben tre volte. In presenza dei più alti esponenti della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, di Mara #ernic, che ha presieduto il Komel per molti anni, e dei rappresentanti del direttivo della scuola di musica di Gorizia, abbiamo analizzato
le eventualità che giustificano un tale intervento straordinario per il centro Komel. Abbiamo evidenziato l’eventualità di una fusione, con la quale evitare che un’istituzione
gravi sull’altra con le sue difficoltà finanziarie (leggi debiti). Alla riunione ho proposto di motivare il contributo straordinario con l’annuncio di una fusione delle scuole di musica. E questo anche a causa della commissione consultiva per gli sloveni, nell’ambito della quale ci siamo accorSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 4
dati di promuovere e premiare finanziariamente la fusione
di istituzioni slovene».
Il presidente del Komel, Saœa Quinzi, intervistato dal nostro
giornale, ha definito la decisione del Consiglio regionale un
fulmine a ciel sereno…
«Mi spiace, ma la questione non mi riguarda. Agli incontri, almeno così mi è stato assicurato, ho discusso con i
rappresentanti del Komel, che non hanno mai smentito
incontri e colloqui».
Qualcuno ha accusato la Regione di imporre alla minoranza
determinate soluzioni, in questo caso la fusione delle scuole di musica. È davvero così?
«No, non lo è. La Regione ha chiesto solo di motivare questo contributo straordinario. Non c’è stata alcuna imposizione, anche perché la fusione non è prevista nell’immediato, ma tra due anni».
All’inizio, se non vado errato, lei prevedeva la fusione già
per l’inizio del 2016?
«Era un’ipotesi. In seguito il Consiglio regionale ha accolto una modifica proposta da Igor Gabrovec, che ha rinviato
la questione a luglio 2017. Ho proposto l’unione di Komel
e Glasbena matica due anni fa, quando sono stato nominato assessore. Ora decorreranno ancora due anni. Quindi
in totale quattro anni, che non è un periodo breve. Le cose
si possono fare o no, dipende dalla volontà».
Una grave crisi finanziaria è stata annunciata dalla cooperativa Goriœka Mohorjeva, a cominciare dal settimanale Novi glas. Quali sono le considerazioni in merito della
Regione?
«L’anno scorso abbiamo assegnato loro un contributo finanziario straordinario e ci avevano assicurato che non ne
avrebbero più fatto richiesta. Purtroppo siamo sempre allo
stesso punto e ci rimarremo, se la minoranza slovena non
assumerà nuovi accorgimenti. Anche nell’ambito dell’editoria e mezzi di comunicazione di massa».
Sandor Tence
(Primorski dnevnik, 30. 7. 2015)
REGIONE
L’assessore Panariti: «Buona scuola a tutti»
All’inizio del nuovo anno scolastico, l’assessore regionale
all’istruzione, Loredana Panariti, ha augurato buon lavoro
a tutti gli allievi delle scuole del Friuli Venezia Giulia. «Che
il vostro sia un percorso certamente di studio e di applicazione ma anche in grado di soddisfare i vostri sogni e
le vostre idee», ha detto.
Intanto sono stati approvati i decreti con cui sono stati trasferiti complessivamente 150 mila euro alle scuole che
hanno partecipato al bando per il finanziamento delle attività didattiche relative all’insegnamento delle lingue e culture delle minoranze linguistiche storiche per l’anno scolastico 2015-2016.
L’assessore Panariti ricorda come il bando sia stato finalizzato a sostenere gli interventi di ampliamento dell’offerta formativa aventi a oggetto l’insegnamento delle lingue
friulana, tedesca e slovena nelle aree in cui le minoranze
sono storicamente radicate.
I finanziamenti sono destinati alle scuole dell’infanzia, pri-
marie e secondarie di primo grado per quanto riguarda i
progetti relativi alla lingua slovena e tedesca e alle scuole secondarie di primo grado per i progetti relativi alla lingua friulana.
Sono state finanziate complessivamente 75 istituzioni scolastiche, di cui 45 in provincia di Udine, 14 in quella di
Trieste, 10 a Pordenone e sei a Gorizia.
(Dom, 15. 9. 2015)
RONCHI – RONKE
Inaugurata la nuova scuola a Vermegliano
Simbolo di convivenza e di nuove forme di collaborazione
tra culture e popoli nonché di accettazione della diversità,
in breve simbolo dell’Europa migliore. Tutto questo è la
scuola elementare con lingua d’insegnamento slovena
«Ljubka Œorli», che lo scorso 12 settembre ha aperto una
nuova sede in via Capitello a Vermegliano-Romjan. È stata
inaugurata alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni,
della scuola e della comunità nazionale slovena. In prima
fila gli insegnanti con la dirigente, Sonja Klanjœ@ek, e le famiglie, che hanno atteso per anni una nuova sede in cui la
scuola possa operare, crescere e svilupparsi. Una sfida particolare è rappresentata dalla vicinanza con la scuola elementare con lingua di insegnamento italiana, con la quale
fino a poco fa ha diviso gli spazi. Ora le due scuole sono
legate da un passaggio e un cortile comuni.
All’esibizione del corpo bandistico di Ronchi è seguita la
benedizione dell’edificio da parte dei sacerdoti di Ronchi
e Doberdo del Lago-Doberdob, Renzo Boascarol e
Ambro¡ Kodelja. Alle 10.45 è seguito il taglio del nastro da
parte della tredicenne Veronica Vendola, “sindaco” del consiglio dei ragazzi, affiancata dai sindaci di Doberdò e di
Ronchi, Fabio Vizintin e Roberto Fontanot. Sono seguiti gli
interventi delle autorità, di Marjana Kobal, rappresentante
dell’Associazione dei genitori, e Toma¡ Sim@i@ dall’Ufficio
scolastico regionale. (…)
«Abbiamo superato molti ostacoli», ha sottolineato l’assessore ai Lavori pubblici, Livio Vecchiet. Aver raggiunto
il traguardo rappresenta una scommessa vinta per la nostra
amministrazione, in barba a quanti affermano che non
abbiamo fatto nulla in ambito scolastico. Il nostro auspicio
è che l’auditorium della nuova scuola renda possibili gli
scambi tra insegnanti sloveni e italiani e che in questo luogo
sia possibile promuovere ulteriormente la collaborazione
transfrontaliera con il Comune di Metlika, gemellato con
quello di Ronchi. Cresceremo se avremo il coraggio di cambiare l’ambiente e il clima intorno a noi», ha detto ringraziando quanti hanno contribuito all’apertura della nuova
sede. In particolare ha citato il consigliere regionale del Pd
Diego Moretti, grazie al quale il Comune ha potuto fruire
dei fondi regionali. Moretti ha detto che la Regione ha sostenuto le scuole con lingua d’insegnamento slovena di
Vermegliano e bilingue di San Pietro «perché il loro ruolo
supera l’ambito locale e perché sono portatrici di multiculturalità».
Sim@i@ ha sottolineato che la scuola di Vermegliano «è parte
integrante e insostituibile del sistema scolastico della comunità nazionale slovena in Italia». Il sindaco Vizintin ha auspicato «che la scuola di Vermegliano sia la porta di accesso al nostro mondo, un luogo di incontro tra l’elemento sloveno e italiano chiamati a costruire una convivenza che sia
da esempio anche per altri».
Damiana Kobal, presidente dell’Associazione dei genitori
della scuola di Vermegliano, ha ripercorso le tappe della
storia della scuola, che ha aperto i battenti nell’autunno del
1979 con la scuola dell’infanzia e, in seguito, con la scuola primaria. Nella primavera del 2014 la scuola è stata dedicata alla poetessa e insegnante Ljubka Œorli. Oggi, invece, si aprono le porte della nuova sede, che rappresenta
un ulteriore punto di forza e un arricchimento. In questa
scuola si specchia lo spirito sano dell’Europa, che confida
nella collaborazione, negli scambi, in una crescita nuova
e soprattutto nel rispetto reciproco».
La dirigente della scuola Sonja Klanjœ@ek, intervistata a margine dal nostro giornale, ha detto che il nuovo edificio rappresenta un’importante acquisizione per la scuola, che finora ha operato nella ristrettezza di spazi. «Sono convinta
che questi nuovi spazi ci trasmetteranno un nuovo impulso, che continueremo a perseguire il nostro intento di mantenere viva la presenza slovena nella Bisiacheria e a promuovere la collaborazione con le scuole italiane». A questo proposito ha sottolineato la necessità di creare nei nuovi
ed ampi spazi attrezzati laboratori aggiuntivi, lezioni,
momenti comuni di riflessione, ai quali invitare i colleghi e
le famiglie delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Ha concluso affermando che la scuola di Vermigliano
rappresenta «la risposta giusta per l’ambiente in cui è inserita».
All’inaugurazione sono intervenuti, inoltre, rappresentanti
della comunità slovena quali i presidenti dei circoli «Tr¡i@»,
Lucia Germani, e «Jadro», Karlo Mucci, il presidente della
Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, Walter
Bandelj, il rappresentante della Slovenska skupnost Julijan
#avdek e il segretario del sindacato per le scuole slovene Joœko Prin@i@. Il Comune gemellato di Metlika era rappresentato dalla direttrice della scuola elementare ˘eljka
Janjac e da Duœka Brn@i@ in rappresentanza dell’amministrazione comunale. In rappresentanza della Slovenia c’era
la console generale a Trieste, Ingrid Sergaœ, ed era presente anche la consulente pedagogica per le scuole slovene in Italia, Andreja Duhovnik Antoni.
«La scuola in sloveno rappresenta una ricchezza non solo
per Ronchi», ha sottolineato il sindaco Roberto Fontanot.
Ha citato i suoi predecessori Enzo Novelli e Livio Fortunat,
che hanno avviato il procedimento per la costruzione della
scuola. Ha aggiunto che la nuova sede è il prodotto di un
investimento di quasi nove milioni di euro da parte dell’amministrazione comunale. «Per realizzare opere importanti non c’è bisogno di unire i Comuni, è sufficiente avere
la garanzia dei fondi».
Il presidente della Provincia di Gorizia, Enrico Gherghetta,
ha detto che la scuola di Vermegliano è un’Europa in miniatura, «quella che desideriamo, un luogo di persone libere
e di civiltà. Respingiamo l’Europa dei treni bloccati, dei muri,
delle barriere e delle recinzioni, che non rappresentano solo
un ostacolo per i rifugiati, ma anche per il futuro dei nostri
figli. Nella nostra Europa invitiamo al rispetto delle diversità e investiamo nella scuola, luogo di istruzione dei bambini affinché sappiano scegliere correttamente un domani».
Particolare soddisfazione è stata espressa dal deputato
Giorgio Brandolin: nel 2001, quand’era presidente della
Provincia di Gorizia, aveva ricevuto i primi fondi per la nuova
scuola di Vermegliano. A questo proposito Brandolin ha
riconosciuto un merito particolare ai compianti Bernardka
Radeti@ e Mirko Œpacapan, «perché hanno voluto fortemente un nuovo edificio scolastico a Vermegliano, dal
momento che questa è la scuola della comunità nazionaSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 5
le slovena e di tutto il nostro territorio».
(Primorski dnevnik, 13. 9. 2015)
IL COMMENTO
«Meio sciavo che nero»
Non so chi abbia inventato l’espressione nel titolo, che già
da qualche anno è in uso nella Bisiacheria quando si parla
della scuola slovena a Vermegliano. In questa espressione che, di primo acchito sembrerebbe una provocazione
quando invece non lo è, c’è un fondo di verità.
Essa si riferisce al fatto che la scuola di Vermegliano, situata al confine del territorio di insediamento della minoranza slovena in Italia, gode di una buona fama e di un numero crescente di iscrizioni. La scuola è un polo di attrazione non solo per le famiglie slovene, ma anche per quelle
italiane, che ora costituiscono la maggioranza. Ma il territorio di Monfalcone è noto anche per la sua industria portuale che richiama molti immigrati. Negli ultimi tempi le scuole italiane sono frequentate da un crescente numero di figli
di immigrati, e questo induce diverse famiglie italiane ad
iscrivere il proprio figlio nella scuola slovena di Vermigliano.
Sentono, infatti, più vicini gli sloveni rispetto agli immigrati. Anche questo è un aspetto della vita nella Bisiacheria.
Già da tempo la scuola è orientata ad acquisire esperienze e competenze specifiche, che in un certo senso sono
forse paragonabili alla scuola bilingue di San Pietro.
Nonostante i figli di genitori non sloveni siano sempre più
numerosi anche in altre scuole slovene.
È facile immaginare che per il personale docente e dirigente
questa realtà scolastica rappresenti una sfida quotidiana
molto impegnativa, soprattutto per quanto concerne l’insegnamento della lingua slovena.
Ad ogni modo è indubbio che la scuola di Vermegliano, a
causa delle condizioni in cui opera, rappresenti un fattore
fondamentale di promozione della cultura della convivenza e di educazione in un ambiente plurilingue. Di questo
sono ben consapevoli gli amministratori pubblici che per
ben quattordici anni si sono prodigati affinché la scuola riceva adeguati spazi per la sua attività e che, a tal fine, hanno
dovuto affrontare diverse complicazioni. Lo sanno bene i
genitori, organizzati in una associazione, tra le più dinamiche di quelle esistenti a Gorizia e a Trieste, che collabora attivamente all’organizzazione di manifestazioni ed
eventi culturali. In questo caso genitori, personale docente ed amministrativo nonché amministratori pubblici rappresentano un cerchio completo, una realtà costruttiva che
dovrebbe essere adottata da qualsiasi istituzione scolastica
che voglia crescere positivamente. Così come la scuola di
Vermegliano, protagonista di un grande giorno.
Duœan Udovi@
(Primorski dnevnik, 13. 9. 2015)
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SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 6
TRIESTE-TRST
Sloveno nella scuola italiana:
non obbligo, ma desiderio
La tavola rotonda nell'ambito della festa
della comunità slovena in Italia-Slofest
L'insegnamento dello sloveno, che alla scuola media inferiore «Rismondo» a Melara rappresenta ormai una prassi
consolidata, costituisce per alunni e genitori un'esperienza molto positiva, che è necessario estendere anche ad
altre scuole con lingua d’insegnamento italiana. Non si tratta di un'imposizione dall'alto, ma di un processo in cui le
famiglie stesse decidono di conoscere la lingua e cultura
slovene nonché una realtà geograficamente vicina. È quanto emerso dalla tavola rotonda sull'insegnamento della lingua slovena nelle scuole italiane, che ha avuto luogo recentemente a Trieste, nell'ambito della festa della comunità slovena Slofest e che è stata organizzata dall'Istituto di ricerca sloveno-Slori e dalle fondazioni «Libero» e «Zora
Polojaz».
Nel corso dell'incontro è emersa soprattutto la positiva esperienza di insegnamento della lingua slovena alla scuola
«Rismondo» e in altre scuole nell'ambito dell'istituto comprensivo «Iqbal Masih» a Melara. Sono intervenuti la presidente della fondazione «Polojaz», Vlasta Polojaz, il dirigente della scuola Andrea Avon, le professoresse Irina
Cavaion, Christina Biber e Nastja Colja nonché Rosanna
Bordato Crisma e Dario Capuano, genitori e alunni della
scuola «Rismondo».
Il pubblico presente ha avuto modo di apprendere come il
percorso, che nel 2009 ha visto l'inserimento tra le materie curricolari dello sloveno quale seconda lingua, sia iniziato qualche anno prima grazie ai contatti tra istituto comprensivo «Iqbal Masih» e le scuole con lingua d’insegnamento slovena a Cattinara-Katinara (scuole primarie
«Mil@inski» e di «S. Cirillo e Metodio»). Questa collaborazione ha prodotto dapprima iniziative comuni e poi, su iniziativa dei genitori, l'introduzione dell'insegnamento della
lingua slovena, che consente di conoscere la cultura e le
tradizioni del popolo vicino, condizione essenziale per la
convivenza.
Alla scuola «Rismondo» l'insegnamento della lingua è
affiancato da una serie di attività correlate, come per esempio l'utilizzo pratico della lingua slovena nella vita quotidiana,
il soggiorno in Slovenia nell'ambito delle settimane verdi,
la conoscenza della storia e delle tradizioni, la visita del
teatro, ecc. Da questa esperienza è nato il sussidiario, che
ora sarà a disposizione anche di altre scuole interessate
all'insegnamento della lingua slovena. A Muggia è già una
realtà consolidata; anche al liceo «Dante» hanno chiesto
di essere inseriti nella rete di scuole interessate allo sviluppo dell'insegnamento dello sloveno; in diverse forme la
lingua slovena è presente anche in un'intera serie di altre
scuole in provincia di Trieste.
Gli intervenuti alla tavola rotonda si sono detti anche convinti che l'insegnamento dello sloveno sia destinato ad
estendersi ulteriormente alle scuole italiane, dal momento che risponde al desiderio dei genitori e non è una decisione imposta.
I.˘.
(Primorski dnevnik, 20. 9. 2015)
SCUOLA
Insegnamento dello sloveno
in arrivo a Taipana e Vedronza
I dati degli inscritti in regione nelle scuole
con lingua d’insegnamento slovena e bilingue
La popolazione scolastica che, a metà settembre, ha varcato la soglia delle scuole con lingua d’insegnamento slovena ammonta a oltre 2500 unità in provincia di Trieste ed
a più di 1600 iscritti nel Goriziano. Questi i dati degli iscritti alle scuole slovene, distinte per grado: in provincia di
Trieste sono 600 alle scuole dell’infanzia; 908 alla primaria, 502 alle scuole medie inferiori e 549 alle medie superiori; in provincia di Gorizia 447 alle scuole dell’infanzia; 598
alla primaria, 303 alle scuole medie inferiori e 256 alle medie
superiori.
In provincia di Udine, nelle valli del Torre, il nuovo anno
scolastico si è aperto con una bella novità per i bimbi della
scuola dell’infanzia nei plessi di Vedronza (Lusevera) e
Taipana. «Quest’anno scolastico verrà richiesto nell’organico dell’autonomia (L.107/2015) un docente di sloveno in
modo da attuare in entrambi i plessi un progetto mirato e
continuativo di sloveno, che si affianchi al monte ore che
l’Istituto annualmente dedica all’insegnamento-apprendimento della lingua», informa la dirigente scolastica,
Annamaria Pertoldi.
Si ripropone, dunque, la possibilità di un ingresso sistematico e costante (finora le lezioni erano sporadiche in
quanto legate a specifici progetti) dello sloveno nelle scuole delle Valli del Torre. Come si ricorderà, la stessa dirigente Pertoldi, a inizio 2014 aveva proposto un percorso
per la graduale trasformazione delle scuole dell’infanzia e
primaria di Taipana e Vedronza da monolingui a bilingui,
ma era incappata nel veto dell’amministrazione comunale di Lusevera, spalleggiata dall’Unione economico-culturale slovena, che voleva il passaggio del suo plesso scolastico sotto l’istituto comprensivo bilingue di San Pietro al
Natisone. Di conseguenza era giunto lo stop dell’Ufficio scolastico regionale.
«Il collegio docenti – informa ancora la dirigente – ha già
deliberato per Taipana l’inglese potenziato, che inserisce
nel curricolo settimanale di ciascuna classe una o più ore
di inglese aggiuntive all’interno dell’orario scolastico.
L’edificio della scuola di Taipana è completamente rinnovato ed è in corso l’installazione di una lavagna interattiva multimediale, che funziona grazie alla connessione internet».
Quanto ai numeri, quest’anno Taipana ha dieci bimbi nella
scuola dell’infanzia (cinque meno dell’anno scorso), mentre gli alunni della primaria calano di due unità, passando
a quota quindici. A Vedronza si confermano dieci piccoli
nell’asilo; gli alunni delle elementari sono, invece 23, uno
in meno.
Passando alle Valli del Natisone, l’istituto comprensivo statale con insegnamento bilingue sloveno-italiano di San
Pietro al Natisone anche quest’anno vede crescere il numero di allievi. In totale saranno 275, con un aumento di 10
unità sull’anno scorso e di 13 su quello precedente. La scuola dell’infanzia conterà 101 piccoli (6 più dell’anno scorso),
la scuola primaria 115 alunni (lo stesso numero dell’anno
scorso) e le medie inferiori 59 studenti (4 in più).
Anche quest’anno una sezione dell’asilo sarà attiva a
Savogna con 25 bimbe e bimbi. Quello che sta per iniziare dovrebbe essere per l’istituto bilingue l’ultimo anno di
esilio dalla sua sede in viale Azzida. Una sede adeguata
è tanto più necessaria se si considera che l’asilo bilingue
quest’anno è frequentato dal 56 per cento dei pari età di
tutte le Valli, il che prefigura una situazione simile anche
per i gradi successivi.
L’istituto scolastico bilingue frena il calo della popolazione
scolastica complessivo delle Valli, che si è contratta di nove
unità all’asilo e di due unità nelle elementari.
A Resia, dove ci sono anche le medie, gli allievi sono 51,
sei meno dell’anno scorso.
In Valcanale, a Camporosso frequenteranno la scuola dell'infanzia 27 bimbi, ben nove in più dell'anno scorso, a
Ugovizza tra asilo ed elementari hanno 72 iscritti, uno in
meno.
Come succede ormai da alcuni anni, l'anno scolastico è iniziato senza la garanzia delle poche ore di sloveno, alle quali
aderisce peraltro la quasi totalità della popolazione scolastica di Ugovizza, Camporosso e Tarvisio. Ogni anno alla
fine il finanziamento necessario salta fuori. Un incontro tra
la nuova dirigente scolastica dell'Istituto Comprensivo
Bachmann, Lucia Negrisin, e il sindaco di MalborghettoValbruna, Boris Preschern, e l'associazione slovena «don
Cernet» è in programma lunedì 21 settembre.
Ma come ha denunciato Preschern, nel recente incontro
con una delegazione della Confederazione delle organizzazioni slovene, tale situazione è insostenibile. Bisogna arrivare quanto prima all'insegnamento trilingue (italiano-sloveno-tedesco), magari in un primo momento solo a
Ugovizza.
(Primorski dnevnik, 9. 9. 2015
Dom, 15. 9. 2015)
TARVISIO - TRBI˘
Dal primo ottobre
sloveno all’istituto «Bachmann»
Dopo che, come nelle tarde estati degli anni scorsi, l’insegnamento dello sloveno nelle scuole della Valcanale sembrava in forse anche per quest’anno scolastico, dall’Istituto
Omnicomprensivo «Ingeborg Bachmann» di Tarvisio è arrivata la notizia che col primo ottobre prenderà avvio l’insegnamento dello sloveno.
Per il momento, quindi, nell’ambito dell’Istituto la lingua slovena sarà presente ai livelli degli anni passati – ossia alcune ore a settimana nelle scuole d’infanzia e primarie di
Ugovizza-Ukve, Camporosso-˘abnice e nei due plessi di
Tarvisio-Trbi¡.
Intanto, all’Istituto Bachmann di Tarvisio, la nuova dirigente
Lucia Negrisin si trova nel bel mezzo della redazione del
piano triennale previsto dalla nuova riforma scolastica. Con
la nuova riforma le lingue comunitarie giocano un ruolo
importante e la nuova dirigente si è detta determinata, in
prospettiva, a puntare alla progettazione di un curriculum
verticale (da scuole d’infanzia a secondarie di secondo
grado) che preveda accanto all’inglese anche le lingue del
territorio. Una visione in questo senso porterebbe i ragazzi ad acquisire una visione transnazionale – altrimenti, in
prospettiva, le loro scelte per il futuro resterebbero più limitate rispetto a quanto il contesto transfrontaliero della
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 7
Valcanale può offrire.
Proprio a questo scopo la dirigente Negrisin ha, nei giorni scorsi, già avuto contatti coi sodalizi delle comunità linguistiche tedesca e slovena, proponendosi di arrivare con
loro alla redazione di un protocollo d’intesa per favorire una
maggiore collaborazione. Questo su un piano ideale. Su
un piano più pratico – i fondi per insegnare le lingue del
territorio sono arrivati, ma consistono in poche migliaia di
euro ed ovviamente non sono sufficienti. Il Kanaltaler
Kulturverein, sodalizio della minoranza tedesca valcananalese, è già arrivato in aiuto alla scuola ed ha pure già
individuato un docente; circa lo sloveno, Negrisin spera che
possano arrivare in soccorso – magari di comune accordo – anche i due sodalizi della comunità slovena locale,
nonché i comuni di Tarvisio e di Malborghetto-Valbruna e
la locale comunità montana.
Negrisin è anche dirigente del Liceo Galilei di Trieste, che
ha già avuto modo di coinvolgere in progetti transfrontalieri con istituzione scolastiche e formative della zona di
Capodistria/Koper e spera di giungere ad un partenariato
tra il «Bachmann» ed istituzioni slovene e carinziane. La
stella polare sarebbe il curriculum Kugy del ginnasio sloveno di Klagenfurt/Celovec, che prevede l’insegnamento
tedesco, sloveno ed italiano. Secondo la dirigente, infatti,
la nuova riforma porta spazi di autonomia che permettono di costruire una specifica offerta formativa, arrivando ad
una scuola transnazionale con insegnamento veicolare delle
lingue.
Luciano Lister
(Dom, 30. 9. 2015)
TRIESTE - TRST
Presentati gli esiti della ricerca condotta dallo Slori
Il paesaggio linguistico nell'area in cui
risiede la comunità slovena in Italia
Bufon: Trieste deve tornare ad essere città aperta e multiculturale
a avuto luogo recentemente, nella sala «Tessitori»
a Trieste, la presentazione degli esiti della «Ricerca
sul paesaggio linguistico nell'area di insediamento
della comunità slovena in Italia» ad opera della ricercatrice dello Slori Maja Mezgec. In apertura ha portato un saluto Milan Bufon, presidente dello Slori, il quale ha detto che
Trieste dovrebbe tornare ad essere una città aperta e multiculturale. «Qualcosa si sta muovendo in questo senso,
anche se nel centro di Trieste non ci sono ancora scritte
bilingui, ad eccezione dell’insegna sulla facciata della Casa
degli operatori portuali». Se ci sono stati positivi passi in
avanti va dato grande merito alla Provincia di Trieste. Alla
tavola rotonda sono intervenuti il politologo ed esperto in
materia di minoranze Bojan Brezigar, la presidente della
Provincia di Trieste Maria Teresa Bassa Proropat, nonché
l’avvocato e membro del consiglio di amministrazione della
Banca di credito Cooperativo del Carso Mitja Ozbi@.
Moderatrice Maja Mezgec. Erano presenti numerosi rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e di altre istituzioni.
La ricerca sul paesaggio linguistico, realizzata con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia prende in esame
le diverse scritte esposte nei luoghi pubblici, ad esempio,
le insegne dei negozi, i manifesti e altri segni di natura pubblica o privata collocati in luoghi visibili al pubblico. Le scritte esposte riflettono il ruolo che le diverse lingue rivestono in un ambiente concreto e rappresentano un ottimo indice dei rapporti sociali tra i diversi gruppi linguistici.
Lo scopo della ricerca è stato raccogliere dati empirici sul
paesaggio linguistico nelle aree della regione Friuli
Venezia Giulia in cui la presenza storica della comunità linguistica slovena è ufficialmente riconosciuta. Più precisamente, si è cercato di stabilire il grado di presenza, dal punto
di vista visivo, della lingua slovena (ivi comprese le varietà
dialettali) rispetto all’italiano, ovvero la lingua maggioritaria, ma anche rispetto alle restanti lingue riconosciute dalla
H
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 8
legge 482/1999 presenti in regione (friulano, tedesco) e ad
altre lingue largamente utilizzate a livello internazionale
(inglese).
Bojan Brezigar ha citato esempi di varie forme di bilinguismo in Europa. La normativa europea è molto blanda nella
gestione del bilinguismo, per questo motivo nei singoli Stati
acquisiscono rilievo le leggi nazionali. La minoranza slovena fa riferimento a due leggi fondamentali, 482/1999 e
38/2001. La Convenzione europea per la tutela delle minoranze nazionali e le leggi citate spesso non sono sufficienti,
tutto dipende dalla capacità della minoranza di affermare
i propri diritti e fino a che punto la popolazione di maggioranza sia pronta ad accogliere provvedimenti per il bilinguismo visibile. In base alla legge 482/99 il bilinguismo in
Italia è legato al territorio e al suo contesto storico. «Il territorio non cambia in base al numero dei parlanti. È necessario, infatti, instaurare un clima di convivenza, accogliere la diversità e sono necessarie prudenza e tolleranza.
Quando si giungerà a tutto questo, assisteremo ad una graduale affermazione del bilinguismo sul territorio».
Maria Teresa Poropat si è soffermata sulla strada che conduce al bilinguismo e che la Provincia di Trieste, la più virtuosa in regione nella collocazione delle scritte bilingui,
segue. Ha sottolineato quanto sia importante la veste multiculturale di Trieste, che dovrebbe essere modellata soprattutto dalla dimensione culturale della città. Ha riconosciuto che in questo contesto assume grande rilevanza la legge
482/99, nonostante sia piuttosto generica. «Senza di essa
l’amministrazione provinciale non potrebbe operare in merito». Lo sportello bilingue, i cartelli stradali bilingui, l’attrezzatura per la traduzione simultanea, la valorizzazione
della cultura slovena e la celebrazione della Giornata della
cultura slovena sono alcuni dei traguardi messi a segno
dall’amministrazione provinciale.
Tra gli esempi di buona prassi figura anche la Banca di credito cooperativo del Carso, un esempio di virtuosismo nel-
l’esercizio delle sue funzioni in forma bilingue. Mitja Ozbi@
ha presentato la politica linguistica della banca che «utilizza la lingua slovena sin dalla sua apertura. Ci stiamo avvicinando al 110° anniversario di attività – ha sottolineato . Oltre a ciò i soci cooperatori sono per la maggior parte
sloveni, mentre i clienti sono sia sloveni che italiani.
Bisognerebbe promuovere il settore economico sottolineando che con lo sloveno si lavora meglio e si vende di
più». Ha poi suggerito alle amministrazioni pubbliche di
incentivare con contributi quei privati, che nella loro attività utilizzano scritte bilingui.
«Quando si sentiranno nuovamente a casa gli sloveni a
Trieste?» si è chiesto Milan Bufon. Forse quando la città
di Trieste, che è sempre più aperta alla multiculturalità e
al dialogo, sarà anche plurilingue.
Barbara Ferluga
(Primorski dnevnik, 6. 9. 2015)
(www.slori.org)
UDINE - VIDEN
Ora la Provincia nasconde gli sloveni
Nella pubblicazione sulle minoranze non ci sono i Comuni
di Attimis, Faedis, Nimis, Prepotto, Torreano e Resia
Per celebrare la Giornata europea delle lingue il presidente
Pietro Fontanini ha indetto una conferenza stampa invitandovi i rappresentanti delle diverse comunità linguistiche
in provincia di Udine. «Tre lingue per una specialità» lo slogan, che è anche il titolo dei tre opuscoli editi dalla Provincia
stessa, rispettivamente per «Furlan», «Slovenœ@ina» e
«Deutsch». Fontanini nella prefazione specifica che si tratta di «Lingue minoritarie che rappresentano una ricchezza socioculturale e linguistica da non perdere» e propone
gli opuscoli come «un ulteriore contributo divulgativo alla
conoscenza di questo patrimonio». Si propone la divulgazione degli opuscoli nelle scuole della provincia.
Come presidente provinciale della Confederazione delle
organizzazioni slovene-SSO, istituzione rappresentativa ufficialmente riconosciuta dalla Regione, non posso esimermi dal rilevare una grave lacuna, che costituisce una presa
di posizione di carattere politico nei confronti della comunità che rappresento.
Mancano, infatti, tutti i comuni «misti» della Slavia nei quali
la comunità slovena è riconosciuta accanto a quella friulana: Prepotto, Torreano, Faedis, Attimis e Nimis. L’«assimilazione-annessione» delle frazioni montane alla maggioranza friulana è considerata dalla Provincia cosa fatta?
Non compare per niente Resia, neanche nell’opuscolo friulano. Per la Provincia o, meglio, per il suo presidente, Resia
sarebbe un’isola di lingua italiana in mezzo ai tre mondi
culturali della nostra specialità? Alla mia richiesta di chiarimenti la risposta evasiva del presidente. «Trattasi di una
questione aperta, in discussione».
Gli ho ricordato che il comune è compreso, come gli altri
cinque non elencati, tra i 18 comuni espressamente citati
come territorio storicamente sloveno nelle leggi dello Stato,
la 482/1999 e la 38/2001.
Si tratta, pertanto, di un atto arbitrario da parte dell’amministrazione provinciale. Non è stata una dimenticanza, ma
un atto di «censura» che un’istituzione come la Provincia
non può esercitare.
Il fatto che questi opuscoli vengano poi distribuiti ai ragaz-
zi delle scuole, a mio avviso costituisce un atto gravemente
disinformativo. Per quanto mi riguarda, ritengo che la divulgazione dell’opuscolo riguardante gli sloveni debba essere ritirata e opportunamente integrata.
Riccardo Ruttar
(Dom, 30. 9. 2015)
SLAVIA E VAL CANALE
BENE#IJA / KANALSKA DOLINA
Il Comitato paritetico esamini gli statuti Uti
Gli statuti delle Unioni territoriali intercomunali del Torre,
del Natisone, del Torre e del Fella (gli ultimi due approvati da commissari, quindi riconducibili alla responsabilità diretta della Regione, ndr.) «non rispettano le norme di tutela
della minoranza slovena. Il Comitato paritetico istituzionale deve riunirsi al più presto e, se necessario, impugnarli». Lo afferma il consigliere provinciale di Udine Fabrizio
Dorbolò (Sel), membro dell’organismo che vigila sull’attuazione della legge statale 38/2001.
«Ho parlato con la presidente, Ksenija Dobrila, e le ho chiesto di convocare una seduta urgente», fa sapere. Quanto
allo statuto del Torre, Dorbolò si dice sconcertato dal fatto
che il documento sia stato approvato da esponenti del centrosinistra.
E non era una bufera nel bicchiere quella annunciata da
Elio Berra all’atto delle sue dimissioni da vicesindaco di
Taipana in disaccordo con il sostegno del primo cittadino,
Claudio Grassato, allo statuto dell’Uti del Torre che discrimina la minoranza slovena e trascura il territorio montano. Infatti il consiglio comunale, nella seduta del 24 settembre ha respinto lo statuto. Sei sono stati i voti a favore e sei quelli contrari. Alla maggioranza non è bastato il
soccorso del capogruppo dell’opposizione e già candidato sindaco, Roberto Bassi, che ha votato sì. Contro si sono
espressi i restanti tre consiglieri di opposizione, Berra e altri
due esponenti della maggioranza, mentre una consigliera
era assente.
Alla luce del fatto che lo statuto non ha raggiunto nemmeno
la maggioranza assoluta dei membri dell’assemblea
comunale, la Regione sarà costretta a nominare un commissario ad acta per l’approvazione.
Grassato ha presentato lo statuto come fatto tecnico e
suscettibile di modifiche in futuro. Da parte sua, Berra ha
imputato al sindaco di non aver rispettato, in sede di redazione e votazione dello statuto nell’ambito della conferenza dei sindaci, il mandato conferitogli la scorsa primavera
con una delibera del consiglio comunale per inserire nel
documento fondamentale dell’Uti le priorità di Taipana.
Grassato replica, tramite lettera alla nostra redazione, che
quella delibera l’ha portata all’attenzione dei colleghi, «ciononostante tutti quei sindaci in sede di redazione dello statuto, tranne il sottoscritto, hanno optato per il voto ponderale; la posizione del sottoscritto è stata fatta mettere a verbale in sede di votazione dello statuto».
A Taipana ora si parla di mozione di sfiducia nei confronti del sindaco. Nel limitrofo Comune di Lusevera, anch’esso montano, inserito nell’ambito di tutela della minoranza
slovena e guidato dal centrosinistra, lo statuto dell’Uti è
stato, invece, approvato senza problemi lunedì 21 settembre. A favore hanno votato tutti i consiglieri di maggioranza, contro tutti quelli di minoranza.
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Ma le bocciature degli statuti Uti si susseguono. Anche in
Consigli comunali sulla carta considerati favorevoli. La
Giunta regionale dovrà nominare un esercito di commissari ad acta. Mentre si attende il pronunciamento del
Tribunale amministrativo regionale sull’intera riforma. La
discussione del ricorso dei sindaci inizierà ai primi di novembre.
(Dom, 30. 9. 2015)
SSO
Livello di tutela carente
negli statuti delle Uti
ne assunta dal partito sloveno Slovenska skupnost,
secondo il quale è necessario apportare urgenti correzioni alla legge regionale 26/2014 di riforma degli enti locali.
Il partito sloveno sostiene, inoltre, la necessità di garantire un uguale livello di tutela nei 32 Comuni inseriti nel territorio di attuazione della legge di tutela 38/2001.
Prima del termine della seduta il direttivo dello Sso ha accolto con favore la decisione del Comune di Trieste di collocare una targa commemorativa in memoria degli eroi di
Basovizza.
Il presidente Bandelj ha espresso le sue congratulazioni
al Circolo degli intellettuali sloveni-Dsi per il successo della
50a edizione delle Giornate di studio «Draga» e per il riconoscimento che verrà conferito alla manifestazione dal presidente della Slovenia, Borut Pahor.
(Novi glas, 10. 9. 2015)
La posizione del direttivo dell’organizzazione slovena
di raccolta
Nel corso della sua prima riunione dopo la pausa estiva,
il direttivo della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso si è soffermato sul nuovo regolamento regionale per il finanziamento dei piccoli circoli.
Secondo il nuovo ordinamento, i circoli dovrebbero ricevere
i fondi attraverso le organizzazioni a cui fanno riferimento. Da qui l’importanza delle organizzazioni di raccolta, destinate a diventare in futuro un punto di riferimento sempre
più rilevante per l’attività culturale ed educativa dei piccoli circoli. In questo contesto sarà necessario rivolgere particolare importanza alla provincia di Udine e allo status delle
due unioni dei cori parrocchiali, che operano a Gorizia e
Trieste.
Il direttivo dello Sso si è soffermato anche sugli ultimi sviluppi in merito all’attuazione della legge 26/2014 o meglio
all’approvazione delle unioni territoriali intercomunali. A questo proposito continua a destare preoccupazione il fatto che
questi atti fondamentali affrontino la tutela della minoranza slovena in modi diversi. Se l’Uti di Trieste presenta un
buon livello di tutela, non si può affermare altrettanto per
le altre Unioni, in cui sono inseriti Comuni abitati dalla comunità nazionale slovena. A Gorizia si è verificata una divisione. Il Comune di Doberdò, infatti, fa parte dell’Uti del
Monfalconese, mentre Savogna e San Floriano dell’Uti di
Gorizia. Lo statuto dell’Uti di Gorizia porta la sola denominazione italiana.
Molto critica la situazione in provincia di Udine, dove gli statuti non fanno alcun riferimento alla minoranza slovena. Per
le Uti delle Valli del Natisone, della Val Canale e Canal del
Ferro interverrà un commissario regionale per l’approvazione dello statuto, dal momento che è stato respinto dall’assemblea dei sindaci. A questo proposito è auspicabile
che il commissario regionale includa negli statuti tutti gli articoli necessari, relativi alla tutela della minoranza slovena.
È quanto, in diverse occasioni, ha promesso la presidente della Regione Debora Serracchiani, la quale lo scorso
anno ha ricevuto un riconoscimento dalla Slovenia.
Grave la situazione nelle Valli del Torre, dove lo statuto
dell’Uti approvato menziona in linee molto generali la presenza delle minoranze nazionali e linguistiche, mentre rinnega la presenza degli sloveni, dal momento che li definisce popolazione di origine slava. Questo statuto controverso
è stato approvato anche dai sindaci, che appartengono alla
coalizione politica tradizionalmente più favorevole agli sloveni in Provincia di Udine.
Il direttivo dello Sso ha condiviso e appoggiato la posizioSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 10
TRIESTE-TRST
GORIZIA-GORICA
I Consigli comunali respingono
lo statuto delle Uti
È stato respinto all’unanimità dal Consiglio comunale di
Savogna d’Isonzo lo statuto e l’atto costitutivo dell’Unione
intercomunale per il Collio e l’Alto Isonzo. Ora, in base alla
legge regionale dello scorso 26 dicembre, l’approvazione
spetterà ad un commissario che verrà nominato dalla
Regione. Prima della votazione il sindaco Alenka Florenin
ha ricordato come si è giunti allo statuto e all’atto costitutivo. Ha detto che nella bozza dello statuto avevano incluso le norme di tutela della comunità nazionale slovena. Ma
poi qualcosa dev’essersi inceppato nella denominazione
trilingue dell’Uti, che è quindi esclusivamente in italiano.
Proprio a questo si deve la presa di posizione del Consiglio
comunale. Alla delibera è stata allegata la risoluzione con
la richiesta della denominazione trilingue, che recentemente
è stata redatta e approvata dalle Consulte provinciali per
le comunità nazionali slovena e friulana.
«Il partito sloveno Slovenska skupnost è sin dall’inizio molto
critico verso la riforma regionale e non per principio, ma
perché essa costringe i Comuni ad aderire alle Unioni e a
rinunciare, così, alle proprie competenze», è il commento
di Julijan #avdek, capogruppo consiliare e segretario provinciale della Slovenska skupnost.
Nel Goriziano lo statuto è stato respinto anche dal Comune
di San Floriano-Œteverjan come anche l’atto costitutivo della
Uti per il Collio e l’Alto Isonzo, il sindaco Franca Padovan
ha detto che «si parla molto di statuti, ma nessuno parla
di dati concreti, per esempio a quanto ammonterà la spesa
della riorganizzazione».
In provincia di Trieste lo statuto e l’atto costitutivo
dell’Unione territoriale intercomunale giuliana sono stati
respinti dapprima con 12 voti contrari e 3 a favore dal
Consiglio comunale di Duino-Aurisina/Devin-Nabre¡ina; in
seguito con dieci voti contrari dal Consiglio comunale di
Muggia; infine dal Comune di Monrupino-Repentabor, dove
ha votato contro anche la maggior parte della maggioranza consiliare. In quest’ultimo caso se lo statuto non verrà
approvato entro il 24 ottobre, l’amministrazione regionale
invierà in Comune un commissario per l’approvazione.
(Primorski dnevnik, 9. 2015)
IL COMMENTO
I Consigli comunali
e la minoranza slovena
Duino-Aurisina/Devin-Nabre¡ina,Sgonico-Zgonik,
Monrupino-Repentabor, Savogna d’Isonzo-Sovodnje, San
Floriano-Œteverjan e potremmo aggiungerne altri, sono i
Consigli comunali dei Comuni, inserit nel territorio di tutela della minoranza slovena, che hanno respinto o non hanno
appoggiato gli statuti delle Unioni territoriali-Uti.
Nel comuni di Duino Aurisina e di Monrupino è stato respinto lo statuto, nonostante il parere favorevole dei rispettivi
sindaci. Non si tratta di un atto di sfiducia, dal momento
che sul piano politico la questione è ancora poco chiara.
A Gorizia, proprio a causa dello statuto dell’Uti la
Slovenska skupnost si è dimessa dal gruppo consiliare del
Partito democratico ed ha scelto l’autonomia. Alcune prese
di posizione erano prevedibili (per esempio a San Floriano
e a Savogna), altrove no.
In questo momento è difficile prevedere le conseguenze
politiche e amministrative di questi fatti, che ad ogni modo
per le amministrazioni pubbliche e per la minoranza slovena non saranno irrilevanti. La componente slovena del
Partito democratico dovrà probabilmente modificare la sua
valutazione positiva sulla riforma regionale delle amministrazioni locali; la Slovenska skupnost dovrà riflettere sulla
sua alleanza con il Pd, che finora non è stata unicamente di natura elettorale.
In breve ci sono diverse questioni aperte e nodi, che i politici sloveni e gli amministratori non risolveranno facilmente. Da ultimo dovrebbe pronunciarsi anche l’amministrazione regionale, che finora purtroppo non ha detto una parola sugli statuti monolingui e sulla denominazione delle
Unioni intercomunali, che violano pesantemente la legge
di tutela della minoranza slovena e anche lo statuto regionale.
Sandor Tence
(Primorski dnevnik, 26. 9. 2015)
SOTTO LA LENTE
L’Uti del Torre discrimina gli sloveni
A proposito dello statuto dell’unione che nega la presenza
della minoranza slovena
Qualunque sia l’esito della faticosa gestazione delle Unioni
territoriali intercomunali – Uti, che dovrebbero portare ad
una radicale revisione delle amministrazioni locali, resterà
nella memoria quel senso di smarrimento, di indeterminazione, di mancanza di visioni e prospettive di molti nostri
amministratori e soprattutto l’assenza di un consapevole
radicamento storico e culturale nelle loro comunità.
Scriveva George Orwell – lo scrittore inglese che nel romanzo 1984 ha previsto l’avvento del Grande fratello – che «chi
controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente, controlla il passato». Nel senso che chi conosce ed
ha radici nella storia può operare con consapevolezza e
prospettive fondate per il progresso della società in cui vive,
mentre chi è indaffarato a osservare la situazione del quo-
tidiano scorrere delle vicende non ha una visione del futuro.
È quanto emerge dal Preambolo dello statuto dell’Uti del
Torre che, con le affrettate affermazioni sulle identità linguistiche, piuttosto che progettare il futuro radicandosi nella
storia, «controlla il presente» degli umori di certa politica
e fa propri gli strafalcioni della pseudocultura.
Affermare che su quel territorio «si sono insediate ed hanno
vissuto in pace, a partire dal VII secolo, le popolazioni di
origine slava nell’area montana e friulana nell’area di pianura» è come rivolgersi a due persone diverse chiamando la prima col suo nome e cognome, l’altra con un appellativo generico (con risvolti spesso spregiativi), come non
avesse un’identità propria.
Perché da un lato si considera il friulano come una lingua
con una storia, una produzione letteraria, una sua estensione, una legislazione che la protegge, dall’altro una lingua (o una popolazione) senza storia, senza dignità, inesistente, perché oggi una lingua slava non viene usata in
nessuna parte del mondo, in quanto da Ponte San Quirino
o, in questo caso, da Debellis a Vladivostok si parlano lo
sloveno, il croato, il ceco, lo slovacco, il russo…
E sì che sull’argomento si sono espressi con chiarezza gli
slavisti italiani e le leggi di tutela (nazionali 428/1999,
38/2001 e regionale 26/2007) che non parlano mai di popolazione o lingua slava, ma solo ed esclusivamente di sloveni e lingua slovena. Alle leggi, se non vogliono ascoltare gli slavisti, gli amministratori dovrebbero adeguarsi per
senso di responsabilità, di rispetto del proprio ruolo e della
richiesta dei loro comuni di far parte del territorio in cui viene
attuata la legge 38/2001. E dire che per l’approvazione di
questa legge, che comprendesse a pieno titolo gli sloveni
della provincia di Udine, si sono battute per decenni le forze
politiche i cui eredi siedono sugli scranni più alti dei comuni delle Valli del Torre, mentre con questo Preambolo sembrano calcare le orme delle organizzazioni segrete antislovene del dopoguerra e della parte più retriva della Dc
di quegli anni.
Si obietterà che il termine slavo è contenuto in documenti storici che riguardano quei territori, ma allora, per coerenza, si dovrebbe usare per il friulano termini storici come
dialetto del Friuli, linguaggio di origine latina, dialetto italiano o veneto. Che ne direbbero i cultori e i sostenitori della
lingua friulana?
Nel Preambolo, poi, ci si arrabatta a cercare una qualche
omogeneità storica e culturale tra i territori sloveni e friulani, tra la montagna, la pedemontana e la pianura. Dal
punto di vista dell’amministrazione pubblica, fino alla costituzione dei comuni in epoca napoleonica, per la parte slovena non ci fu, come per le Valli del Natisone, una unità
territoriale, in quanto le varie ‘ville’ erano soggette a signori dei centri pedemontani o udinesi, alla gastaldia o capitanato di Tricesimo, o ad altre entità giurisdizionali. Va detto,
però, che anche in queste situazioni era vivo ed attivo l’istituto delle vicinie paesane che amministravano i beni
comuni, risolvevano le liti tra i ‘vicini’, provvedevano alle
necessità della chiesa, alla nomina e al sostentamento dei
sacerdoti che sapessero parlare la loro lingua. «Ciò che
dava alla vicinia un carattere speciale di autogoverno – scrive lo storico friulano Tarcisio Venuti – era la molteplicità
delle sue attribuzioni. Più che un’assemblea amministrativa, era una sintesi di tutti i poteri».
Ma per la storia, l’identità e la delimitazione territoriale della
parte slovena delle Valli del Torre sono fondamentali i vicariati ‘slavi’ che riunivano le comunità delle ‘Schiavonie’ sopra
Tarcento, Nimis e Faedis. Se il governo civile di questo terSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 11
ritorio era frammentato in diverse giurisdizioni, la suddivisione ecclesiastica teneva conto esclusivamente dell’omogeneità linguistica slovena di quelle comunità. Ai parroci dei tre centri friulani veniva imposto di tenere vicari sloveni che provvedessero alle necessità spirituali di quelle
popolazioni e forti furono i richiami delle autorità ecclesiastiche e decise le proteste dei decani delle vicinie quando
questo diritto veniva disatteso. Il 9 novembre 1498, ad
esempio, «pre Pellegrino veniva citato perché non teneva
unum socium qui sciret idioma sclavicum [un confratello che
sappia la lingua slava]. E non avendo il soggetto ad hoc,
la Curia il 6 aprile 1500 ordinava al pievano di Tarcento di
provvedere un sacerdote che sapesse lo slavo, per le ville
della montagna. E il vicario patriarcale pure intervenne il
1 ottobre 1510, con la convenzione stipulata tra il pievano e la comunità di Tarcento: pro habitatione dicti
Cappellani sclaboni construere [per costruire un’abitazione per il cappellano sloveno], in Tarcento» (T. Venuti. Si
veda anche il suo contributo su Faedis a pag. 3 di questo
numero).
E allora, invece di arrampicarsi sugli specchi per cercare
una qualche omogeneità tra montagna slovena e la pedemontana/pianura friulana bastava richiamare le vicende
delle pievi friulane e dei vicariati sloveni di quei territori che
vanno molto indietro nel tempo ed erano entità pacificamente accettate e rispettate dalle popolazioni e dalle autorità civili ed ecclesiastiche.
Il terzo appunto al Preambolo riguarda la grave omissione su un dato di carattere socioeconomico, che ormai è
entrato nella storia di quello e di tutti i territori montani della
Slavia friulana: la tragica diminuzione della popolazione che
sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza fisica di quelle comunità. Non una parola, non una denuncia, non una
proposta, non una prospettiva per il futuro. Chi amministreranno i responsabili della futura Uti del Torre? Gli orsi
che diventeranno padroni assoluti dei boschi?
J. B.
(Dom, 15. 9. 2015)
L’attuale primo cittadino è stato colto di sorpresa dalle dimissioni del suo vice e annuncia di voler tentare di ricucire con
Berra per mantenerlo in giunta. «È stato sindaco per tre
mandati, nell’ultimo sono stato suo assessore e stamattina (20 agosto) mi sono trovato davanti alle sue dimissioni. È un uomo valido, al quale sono legato da rapporti che
vanno oltre l’amministrazione. Voglio lasciargli la porta aperta».
Da parte sua, un amareggiato Berra dice di voler lasciare
spazio ad altre persone. Poi spiega: «Nella lettera che ho
consegnato non c’è il motivo delle dimissioni, ma uno dei
motivi che mi hanno spinto a fare un passo indietro è proprio lo statuto dell’Uti. Voglio dare un segnale, non possono costringermi a votare a favore dopo anni di commissariamento delle Comunità montane e di assenza di politiche per la montagna. In 14 anni ci hanno distrutti e adesso vogliono raccogliere i cocci nel cestino. Io non sono ancora un animale da circo pronto a obbedire agli ordini del
domatore di turno. Nello statuto dell’Uti che si va ad approvare non c’è montagna, non c’è minoranza slovena, ma solo
riferimenti generici. Che forza contrattuale possiamo
avere, quando non valiamo niente? Nella vecchia Comunità
montana Valli del Torre, Taipana e Lusevera avevano
garantito un posto nel direttivo, ora abbiamo un bel niente!».
Replica Grassato: «È vero che con Berra sulle Uti abbiamo visioni diverse. Lui è contrario all’impostazione della
riforma. Qualche perplessità ce l’ho anch’io, però la vedo
come unica strada per salvare il Comune».
In seguito alle dimissioni di Berra, il sindaco Grassato ha
nominato vicesidaco Alan Cecutti, che mantiene le delegehe ad agricoltura, foreste, turismo, manutenzione viabilità e protezione civile. Le deleghe di Berra (lavori pubblici, area tecnica e urbanistica) restano al sindaco Grassato,
che non esclude la nomina di un nuovo assessore e la redistribuzione dei referati.
(Dom, 31. 8. 2015)
TAIPANA – TIPANA
Elio Berra si è dimesso da vicesindaco
SLOVIT/SLOVENI IN ITALIA
Quindicinale di informazione
Bufera politica perché lo statuto dell’Uti
ignora la minoranza slovena e trascura la montagna
DIRETTORE RESPONSABILE: GIORGIO BANCHIG
Bufera nell’amministrazione del Comune di Taipana. Lo statuto della nascente Unione territoriale intercomunale (Uti)
del Torre ignora la minoranza linguistica slovena e trascura
il territorio montano, Elio Berra non ci sta e rassegna le
dimissioni da vicesindaco e assessore. Mantiene l’incarico di consigliere comunale, ma d’ora in poi voterà secondo coscienza.
«Di sicuro il mio voto sarà contrario allo statuto dell’Uti. So
bene che votare sì o votare no è la stessa cosa nei Comuni
sotto i tremila abitanti, però tra qualche anno, quando si
vedrà il disastro prodotto, potrò almeno dire: io non ho votato, sono stati altri a farlo», afferma.
Per la maggioranza che guida Taipana il colpo politico è
forte. Berra è stato sindaco per quindici anni dal 1999 al
2014 (oltre che dal 1984 al 1985) e l’anno scorso, non
potendosi ricandidare, era stato il promotore della lista «Uniti
per rinascere» che ha vinto le elezioni con il sindaco Claudio
Grassato.
PRESIDENTE: GIUSEPPE QUALIZZA
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 12
EDITRICE:
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33043 CIVIDALE
DEL
FRIULI, BORGO SAN DOMENICO, 78
TELEFONO:
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E-MAIL
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TRIESTE-TRST
Ricordati i quattro sloveni fucilati nel 1930
I martiri di Basovizza devono unire
e non separare la comunità!
Dolhar cita Taylor: «Gli sloveni hanno sempre lottato per la sopravvivenza»
«L
o storico illustre Taylor scrisse: Un popolo afferma il proprio diritto alla vita attraverso la propria
volontà di vivere. Nessun popolo ha mai dimostrato questi suoi diritti più di quanto abbiano fatto gli sloveni, che risiedono nell'area a sud delle Alpi Giulie. Si tratta di un plebiscito, che dura vent'anni. Gli sloveni hanno
sempre lottato per la loro sopravvivenza e non si sono mai
arresi alla dominazione italiana».
Questa è una citazione eloquente tratta dall'intervento tenuto dal politico, medico e scrittore Rafko Dolhar, che quest'anno ha fatto da oratore ufficiale alla cerimonia in memoria dei quattro eroi sloveni, fucilati dalle forze del regime
fascista sulla piana di Basovizza. La commemorazione in
memoria di Bidovec, Miloœ, Valen@i@ e Maruœi@ ha avuto
luogo domenica 6 settembre sulla piana di Basovizza;
accanto al monumento che li ricorda ne è stato collocato
un altro dedicato ad Anton Gropajc, contadino e padre di
famiglia di Draga (paese del Carso, ndt.), la cui sorte per
la sua tragicità e connotazione antifascista ricorda quella
dei quattro martiri sloveni; di fatto si tratta del quinto martire di Basovizza, come ha scritto Ivo Jevnikar. Anton
Gropajc si tolse la vita nel carcere di Regina Coeli a Roma,
il 16 giugno 1930, ancor prima del primo processo triestino – a causa delle gravissime torture subite dalle autorità.
Il Comitato per la celebrazione dei martiri di Basovizza, che
ha sede presso la Biblioteca nazionale e degli studi, presieduto da Milan Pahor, ha deciso giustamente di dedicare anche a questa vittima un monumento, che è stato scoperto, in presenza dei parenti, la sera prima della commemorazione principale. A quest'ultima erano presenti: la
parlamentare slovena Tamara Bla¡ina (Pd), il consigliere
regionale Stefano Ukmar (Pd) e il vicepresidente del
Consiglio regionale, Igor Gabrovec (Ssk), il presidente del
Consiglio comunale di Trieste Iztok Furlani@ (Unione della
sinistra), il presidente del Consiglio provinciale Maurizio
Vidali (Ssk), i sindaci dei Comuni limitrofi; l'amministrazione comunale di Trieste era rappresentata dal vicesindaco
Fabiana Martini, quella di San Floriano-Œteverjan dal sindaco Franka Padovan. Erano presenti i presidenti delle due
organizzazioni slovene di raccolta, Walter Bandelj per la
Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso e Rudi
Pavœi@ per l'Unione culturale economica slovena-Skgz.
Dalla Slovenia oltre ai rappresentanti delle organizzazioni
dei combattenti c'era il ministro per gli sloveni nel mondo
Gorazd ˘mavc, affiancato dalla console generale slovena
di Trieste Ingrid Sergaœ e dalla console Eliœka Kersni@
˘mavc. Tra il pubblico era presente anche l'ex console
generale slovena a Triete Jadranka Œturm Kocjan.
Nel suo breve intervento ˘mavc ha sottolineato come gli
eroi di Basovizza rappresentino un monito, dal momento
che al loro esempio di ricerca del bene possiamo attingere anche oggi al fine di riuscire a fronteggiare la crisi economica e le ondate di profughi.
Le celebrazioni sono state anche quest'anno caratterizzate
da un ricco programma di eventi sia nell'area di confine –
nel cimitero di S. Anna, luogo di sepoltura dei quattro martiri, è stata presentata la ristampa dell'opera di Milko Œkrap
«Uporna mladina» (Gioventù ribelle), che parla del coinvolgimento nella lotta al fascismo della gioventù slovena
di Trieste –, sia in Slovenia dove i quattro martiri di
Basovizza sono stati ricordati a Lubiana e a Kranj.
La commemorazione principale del 6 settembre sulla piana
di Basovizza è stata introdotta dal presidente del Comitato,
Pahor, il quale ha ricordato che quest'anno ricorrono settant'anni dalla liberazione e altrettanti dalla deposizione del
monumento ai martiri di Basovizza, fucilati 85 anni fa. L'anno
prima a Pola era stato fucilato dai fascisti Vladimir Gortan,
appartenente all'organizzazione Borba.
La commemorazione condotta da Jernej Œ@ek ed Elena
Husu, è stata corredata dal recital di poesie interpretate da
Danijel Malalan e Alida Bevk per la regia di Olga Lupinc.
Alla commemorazione erano presenti gli scout della minoranza slovena. Durante l'esibizione dei canti commemorativi, eseguiti dai cori «Jacobus Gallus» e «Lojze Bratu¡»
e accompagnati dal Circolo bandistico, sono state deposte le corone d'alloro di fronte al monumento.
Sono intervenuti l'intellettuale, scrittore e operatore culturale croato Milan Rakovac, il quale ha condotto un confronto
tra il fascismo di un tempo, che ha dimostrato la sua atrocità con l'esecuzione di Basovizza, e l'attuale e crescente
insofferenza che oggi alcuni dimostrano nei confronti dell'emergenza immigrati. «Oggi, come fecero i nostri nonni
e padri negli anni 1920, 1941 e 1943, dobbiamo ribellarci
qui e adesso. Il resto è solo miseria morale, peggiore della
stessa morte», ha detto.
«Il monumento ai martiri di Basovizza è il simbolo comune della lotta del cittadino europeo per la libertà, la democrazia e il rispetto di tutti i popoli e delle comunità linguistiche. Nel contesto attuale si aggiunge anche l'invito alla
pace nel mondo», ha detto l'oratore italiano Andrea
Bellavite, scrittore e giornalista goriziano. Secondo lui
Basovizza rappresenta un'occasione di riflessione sul senso
della vita, della storia e del ricordo. Bidovec, Marusi@,
Valen@i@ e Miloœ (Bellavite vi ha affiancato anche Anton
Gropajc) si sono opposti al fascismo con la forza della ragione e delle idee. Sapevano a che cosa stavano andando
incontro, ma hanno preferito pagare con la propria vita per
liberare il loro popolo dal giogo della violenza. Bellavite ha
definito Basovizza simbolo della storia in un’Italia finora plasmata dal revisionismo, che ha nascosto intenzionalmente le atrocità perpetrate dal fascismo, non solo nei confronti
degli sloveni, ma anche in Libia, Eritrea ed Albania. Solo
vent'anni fa Visco, Gonars e Zdravœ@ine erano considerati dall'opinione pubblica italiana, quella «fondata su ignoranza, mancanza di memoria, accettazione acritica degli
interessi delle autorità dominanti», luoghi storicamente neuSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 13
trali. Bellavite ha quindi rivolto il suo sguardo al presente,
dominato dalla politica sanguinaria del capitalismo globale finalizzato al controllo delle fonti di petrolio, e dal fenomeno epocale degli immigrati, che cercano rifugio e fuggono da miseria, fame, guerra e persecuzioni. Dall'effettiva
incapacità delle autorità politiche di dare una risposta adeguata a queste dinamiche scaturiscono reazioni razziste
e anticattoliche. La necessità di superare le divergenze di
opinioni è condizione essenziale, secondo Bellavite, per
costruire un futuro comune, basato su condivisione e collaborazione.
Rafko Dolhar ha sottolineato la necessità di raccontare la
verità storica ai giovani e di non fare più speculazione politica. Le conseguenze della seconda guerra mondiale e delle
divisioni mondiali si sono manifestate anche tra gli sloveni in Italia: così sono nate le istituzioni doppie, presenti ancora oggi. «Le une sono nate con il sostegno della Slovenia
e le altre senza, per questo è illusorio pensare che di punto
in bianco possano fondersi in una sola. Questo non ha
senso oggi, con una Slovenia indipendente, dal momento
che siamo tutti parte della stessa realtà minoritaria». Dolhar
reputa la diversità di opinioni un fattore ineludibile e considera «illusorio pensare che in uno Stato democratico voteremo tutti per lo stesso partito». Dolhar ha sottolineato la
necessità che tutte le opzioni politiche, che noi sloveni
sosteniamo e che collaborano in quasi tutti gli organi amministrativi, devono perseguire seriamente l'obiettivo di
difendere gli interessi della comunità nazionale slovena. Ha
aggiunto che nonostante tutti gli obblighi (statali e internazionali) attendiamo ancora l'attuazione di alcuni diritti
nazionali. Ha richiamato, inoltre, l'attenzione su molte questioni irrisolte, dal bilinguismo visibile e dall'istituzione di
scuole slovene nella Val Canale e Valli del Torre all'elezione del rappresentante sloveno garantito in parlamento
a Roma. Si è chiesto come mai non disponiamo della stessa legge elettorale in vigore nel Sud Tirolo e in Valle d'Aosta.
Dolhar ha concluso il suo intervento con un'amara condanna della recente riforma delle amministrazioni locali, che
è stata approvata dall'amministrazione regionale di centrosinistra. «Ho l'impressione che in nome della cosiddetta razionalizzazione si stia facendo addirittura passi indietro sui diritti della comunità slovena. Il governo regionale,
che dovrebbe ringraziare la comunità slovena per la sua
elezione, impone l'unione dei piccoli Comuni e questo non
risponde sempre agli interessi della minoranza slovena né
alle normative di tutela internazionali. È la prima volta che
i governi nazionale, regionale, provinciale e comunale di
Trieste, sono contemporaneamente in mano a coalizioni
di centrosinistra e per la loro elezione i voti della comunità
slovena sono stati determinanti. Ciononostante non possiamo attingere a tutti i diritti che ci spettano». Ha concluso Dolhar dicendo che i problemi si possono risolvere pur
stando in schieramenti diversi, l'importante è perseguire un
obiettivo comune. Ha auspicato che anche in futuro per la
comunità slovena Basovizza rappresenti un fattore comune di unione e non di divisione. (…)
I.G.
(Novi glas, 10. 9. 2015)
La Cooperativa Most pubblica anche il
quindicinale bilingue Dom.
Copie omaggio sono disponibili
allo 0432 700896
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 14
LA RICORRENZA
60 anni fa cadeva la nostra «cortina di ferro»
Il 20 agosto 1955 la firma del Trattato di Udine
Il 20 agosto del 1955, sessant’anni fa, a Udine è stato firmato il «Trattato tra la Repubblica federativa popolare
Jugoslava-Flrj e la Repubblica italiana sulla gestione della
circolazione di persone, come pure sul traffico territoriale
e marittimo tra i territori di Trieste e le aree ad essa confinanti», che ha aperto il confine statale agli abitanti di confine e permesso la graduale collaborazione transfrontaliera e i rapporti di amicizia. Ma il percorso che ha portato
all’approvazione di questo trattato non è stato facile.
Con l’entrata in vigore del Trattato di pace di Parigi, il 15
settembre 1947, tra Jugoslavia e Italia venne tracciato un
nuovo confine statale, che non considerava i confini catastali e le strutture di proprietà. Così lungo il confine di Stato,
dal triplice confine di Pec fino all’allora triplice confine
Jugoslavia – Italia – Territorio libero di Trieste presso
Medea, molti terreni agricoli rimasero separati dai proprietari, che vivevano da una o dall’altra parte del confine.
Per consentire ai proprietari di questi terreni di lavorarli era
necessario regolare il passaggio del confine di Stato. A tal
fine il 3 febbraio 1949 a Udine venne firmato il Trattato sul
piccolo traffico di confine tra Jugoslavia e Italia, che consentiva ai proprietari dei terreni in una fascia confinaria di
10 chilometri di attraversare il confine e lavorare i terreni.
Furono stabiliti anche i passaggi confinari per proprietari
di terreni su entrambi i versanti.
Fino al nuovo assestamento dei confini, gli abitanti del territorio di confine erano fortemente legati a Gorizia e Trieste,
dalle quali dipendevano economicamente, dal momento che
le due città erano centri economici, in cui venivano venduti i prodotti agricoli, e culturali. Inoltre gli abitanti avevano nelle due città anche legami di parentela. Il nuovo confine di Stato ha inciso profondamente nel tessuto sociale
ed ha interrotto tutti i legami in una fascia territoriale unita
da secoli.
Tra Medja vas e Novigrad sorse un nuovo «prodotto statale», il Territorio libero di Trieste, diviso in zona A, sotto
l’amministrazione anglo-americana, e zona B, soggetta al
controllo delle forze armate jugoslave, un territorio conteso che l’Italia voleva acquisire interamente.
La rottura con l’Unione sovietica indusse nel 1948 la
Jugoslavia a cercare aiuto economico e militare ad
Occidente, soprattutto negli Stati Uniti d’America, che in quel
periodo le fornirono un considerevole sostegno in tal senso.
Sfruttando il pericolo di uno scontro militare tra i due blocchi e la sua posizione strategica, la Jugoslava migliorò la
sua posizione nelle trattative per risolvere la questione triestina, questo neutralizzò la pretesa dell’Italia di acquisire
l’intero territorio libero di Trieste, che negli anni precedenti
le era stato promesso. La questione triestina irrisolta è stata
motivo di conflitti politici, ma anche di minacce militari e tensioni tra Jugoslavia e Italia. Alla fine del 1953 lungo il confine di Stato furono schierate le forze armate di entrambi
gli Stati con la minaccia di un attacco militare. Per risolvere la questione del focolaio triestino, nell’ottobre del 1954
fu approvato il Memorandum di Londra, con il quale venne
siglato un accordo che scioglieva il Territorio libero di
Trieste. Così la zona A (Trieste e dintorni) venne annessa all’Italia e la zona B (Capodistria, Isola, Pirano, Buje,
Umago e Novigrad) alla Jugoslavia. Che la questione del
Territorio libero di Trieste non sia stata definitivamente risolta con il Memorandum di Londra, lo dimostra il fatto che
sia rimasta nell’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza dell’Onu fino all’approvazione dei trattati di Osimo, ma
anche l’Italia non ratificò il Memorandum in parlamento.
Nel periodo in cui era in vigore il Territorio libero di Trieste
(1947-1954) ai suoi abitanti era concesso di attraversare
il confine con la carta d’identità. Con l’entrata in vigore del
Memorandum di Londra nel 1954 questo diritto venne abolito, dal momento che la linea di confine diventò, secondo
l’interpretazione jugoslava, confine di Stato.
Entrambi gli Stati erano consapevoli del fatto che a causa
della prassi, fino ad allora in vigore, di attraversare con la
carta d’identità la linea di demarcazione tra le zone in cui
era suddiviso il Territorio libero di Trieste, a causa della
dipendenza di Trieste dall’immediato retroterra e dai legami di parentela, non potevano chiudere ermeticamente il
nuovo confine e consentire il passaggio solo attraverso i
valichi internazionali esibendo il passaporto e i visti necessari, come allora vigeva tra gli Stati. Il trattato sull’abolizione
dei visti è stato sottoscritto da Italia e Jugoslavia solo nel
1966. Per questo motivo nel Memorandum era prevista la
stipulazione di un trattato specifico, che riguardasse il solo
territorio libero di Trieste e consentisse alla gente, residente
sul territorio, di attraversare il confine anche al di fuori dei
valichi di confine internazionali. (…) Le trattative per la firma
del Trattato non sono state facili e furono più volte interrotte. (…)
Il Trattato individuò nel lasciapassare il documento per l’attraversamento dei confini e il suo periodo di validità. All’inizio
era concesso recarsi nel territorio confinante quattro volte
al mese, in seguito non ci furono più limitazioni nel numero di passaggi. Furono determinati la quantità di denaro e
il tipo di cibo che era possibile trasportare.
L’estensione del confine di Stato è rivelato dal fatto che sulla
base del Trattato di Udine lungo la linea confinaria tra
Jugoslavia e Italia furono gradualmente regolamentati 52
passaggi confinari, di cui 9 internazionali, 35 valichi frontalieri e 8 di carattere stagionale, 6 passaggi marittimi, lungo
i quali a chi possedeva il lasciapassare era permesso il passaggio del confine.
Il rilascio del lasciapassare e l’apertura dei valichi frontalieri riscosse una straordinaria adesione da parte della
gente. Fino al 31 marzo 1956 nella parte jugoslava vennero rilasciate 115.620 lasciapassare, sul fronte italiano
145.800. Per un totale di 261.420. In quegli anni fu registrato un numero annuo di circa 8 milioni di attraversamenti
del confine. Fu introdotto anche il traffico transfrontaliero
e marittimo. In quel periodo iniziò ad operare il vaporetto
«Monfalcone» lungo la tratta Trieste-Umago.
È interessante il fatto che le autorità statali su entrambi i
lati del confine erano pronte ad accogliere le funzioni per
il rilascio dei lasciapassare. A causa delle molte richieste
fu aumentato il numero dei funzionari. Nei primi giorni sul
fronte italiano furono respinte le richieste scritte in lingua
slovena, che poi, in seguito a proteste, furono accolte.
Per mettere in atto il trattato di Udine fu istituita una specifica commissione internazionale, che nel corso di incontri ordinari ne valutava l’attuazione, ne ampliava il territorio di estensione e semplificava il rilascio del lasciapassare, aumentava le agevolazioni doganali e di valuta, e altro
ancora.
Il Memorandum di Londra e il Trattato di Udine contribuirono sostanzialmente allo sviluppo economico del territorio di confine su entrambi i versanti. Fu rimossa la «corti-
na di ferro», che interessò questa linea confinaria dal 1947
al 1955. Permise l’intreccio di numerose amicizie transfrontaliere, sia in ambito politico che culturale, la collaborazione esemplare tra i Comuni di confine, soprattutto
tra Nova Gorica e Gorizia. Grazie al Trattato di Udine si
rafforzò la comunità slovena in Italia e ne ricevette molti
vantaggi. Nacquero la Banca di credito di Trieste, le imprese slovene import-export, la conoscenza della lingua slovena diventò una priorità nell’impiego in esercizi commerciali. Il trattato permise di intrecciare contatti transfrontalieri e di collaborare con le organizzazioni culturali in
Slovenia. Il Memorandum e il Trattato prepararono il terreno che portò alla firma di due trattati sulla collaborazione economica transfrontaliera.
Grazie ai contatti molto ramificati e vari sono state gradualmente superate diffidenza e addirittura l’ostilità tra i
popoli, che era stata fomentata dal fascismo e dal dopoguerra. Le politiche di entrambi gli Stati parlavano del confine più aperto in Europa. A questo proposito basti citare
l’intervento del sindaco di Gorizia, Martina, al congresso
dell’associazione dei Comuni europei, che ebbe luogo a
Berlino il 13 giugno del 1967. In quell’occasione Martina
sottolineò che la collaborazione tra i Comuni di Gorizia e
Nova Gorica rappresentava un modello in un’Europa divisa. Disse tra l’altro che «parallelamente ai colloqui tra i
Comuni, c’è uno scambio di eventi culturali e di esperienze; tra gli abitanti è tornata la fiducia reciproca e sono sensibilmente aumentati i contatti tra entrambi i versanti del
confine, come dimostra l’aumento dei transiti attraverso il
confine. Possiamo dire che Gorizia gode di uno dei confini più aperti con la Jugoslavia, anche se si tratta di due Stati
che hanno sistemi economici e politici diversi. Oggi in queste due città, divise da un confine che per molti anni è stato
difficile, lavoriamo insieme per un futuro migliore dei cittadini che risiedono sui due versanti del confine». Un anno
dopo il sindaco Martina ricevette dall’associazione un particolare riconoscimento per i meriti nella promozione della
collaborazione transfrontaliera.
Il 1° maggio 2004, con l’ingresso della Slovenia nell’Unione
Europea, è stato soppresso il controllo doganale al confine di Stato, è rimasto in vigore il controllo dei documenti
da parte della polizia, che però è cessato nel 2007 con l’ingresso della Slovenia nell’area Schengen, quando anche
il Trattato di Udine divenne parte della storia.
Il Memorandum di Londra e il Trattato di Udine sono stati
fondamentali per la successiva stipulazione dei Trattati di
Osimo, che vent’anni dopo modificarono il confine di Stato
tra Italia e Jugoslavia da provvisorio a definitivo. In questo modo la Slovenia, all’atto dell’indipendenza, poteva
godere di un confine di Stato con l’Italia regolamentato.
Jo¡e Œuœmelj
(Primorski dnevnik, 20. 8. 2015)
IL COMMENTO
Lasciapassare, simbolo di altri tempi
I trentenni di oggi forse ricordano appena il lasciapassare
(«prepustnica», in lingua slovena, ndt.), i più giovani non
ne hanno quasi memoria. Era una sorta di simbolo di altri
tempi. Questo documento, dalla copertina grigia che riportava la scritta trilingue, in italiano, sloveno e croato, dovevi portarlo sempre appresso che fosse in auto o in borsa.
Era molto utile proprio nei mesi estivi, quando ai valichi interSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 15
nazionali con la Slovenia, ancor prima con la Jugoslavia,
si formavano lunghe file di turisti. Noi residenti nella fascia
di confine grazie al lasciapassare potevamo optare per uno
dei valichi secondari, evitando così lunghe attese.
Ma questa era solo una delle priorità di questo documento popolare, allora considerato innovativo e utile, frutto del
trattato di Udine, di cui oggi ricorre il 60° anniversario. Con
quell’atto incominciava di fatto l’attenuazione e la graduale apertura del confine chiuso, in modo disumano, in base
alla filosofia della guerra fredda. Una chiusura che si è protratta fino al 2004 e 2007, allorché il processo di allargamento dell’Unione Europea ne segnò la definitiva cancellazione.
Uno sguardo ai decenni passati, quando era in vigore il trattato di Udine, rivela molte cose. Soprattutto la nascita di
forme specifiche di economia nell’area di confine e oltre,
grazie alle quali ci fu un lungo periodo di relativo benessere. L’area di confine si abituò a convivere ed a trarre vantaggio dalle priorità comparate che ne derivavano. D’altro
canto, dopo la soppressione dei valichi, essa non riusciva
ancora a vivere a pieni polmoni, nonostante le previsioni.
E questa resta la sfida principale per i giovani.
Duœan Udovi@
(Primorski dnevnik, 20. 8. 2015)
LETTERATURA
A 102 anni Boris Pahor
sogna un mondo libero e giusto
Lo scorso 26 agosto il compleanno dello scrittore
che ha pubblicato «Quello che ho da dirvi»
Il ricordo di quel tema è ancora un incubo. Perché Boris
Pahor, allora, non era il grande scrittore che conosciamo,
ma un bambinetto di quinta elementare. Costretto a passare dalle scuole slovene a quella italiana senza conoscere
bene la lingua. In più, ad aiutarlo a comporre il suo primo
scritto nell’idioma di Dante c’era suo padre. Fotografo della
gendarmeria, abituato a parlare in sloveno, costretto a studiare il tedesco per ottenere quel posto di lavoro.
Insomma, tutto meno che un valido supporto.
Come finì? Semplice. Mentre il piccolo Boris leggeva ad
alta voce davanti ai compagni di classe quel tema, che conteneva piccole perle linguistiche come «la nave si annegò»,
il maestro architettava di infliggergli una feroce umiliazione. Quel componimento dovevano ascoltarlo anche nella
classe femminile. Perché tutti si rendessero conto quanto
poco e male conosceva la lingua italiana un bambino sloveno di Trieste.
Molti anni dopo, Boris Pahor si sarebbe preso una bella
rivincita. Arruolato come soldato semplice e spedito prima
a Tripoli, poi a Bengasi, dovette sostenere l’esame di maturità in divisa. Il professore che lesse e giudicò il suo tema
di italiano, dedicato ai legami con la cultura del
Mediterraneo, gli fece un sacco di complimenti: «Ma lo sa
che ha fatto il tema migliore!». Senza riuscire, però, a cancellare l’umiliazione subita da bambino.
Ancora oggi, Boris Pahor non riesce a digerire le troppe
ingiustizie subite da lui e dal piccolo popolo sloveno di
Trieste. Tanto che ricordi tristi, sgradevoli, ma necessari
per non dimenticare un passato troppo a lungo esorcizzato,
affiorano in continuazione nel libro-conversazione che
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 16
NuovaDimensione Editrice pubblicherà a fine settembre.
Si intitolerà «Quello che ho da dirvi» ed è la trascrizione
dell’incontro avvenuto qualche tempo fa nella Biblioteca di
Contovello, dedicata allo scrittore triestino di lingua slovena che oggi compie 102 anni, con un gruppo di studenti
dell’Isis «Magrini-Marchetti» di Gemona del Friuli (Alex
Rossi, Matteo Cucchiaro, Mila Feregotto, Lorenzo Celotti,
Sharon Mary Boer, Sofia Baldini), coordinati dagli insegnanti
Flavia Valerio, Alberto Vidon e Angelo Floramo.
Un dialogo, questo, tra un testimone della Storia e alcuni
giovani che ancora molto hanno da scoprire sugli orrori del
’900 e sulle mille incertezze di un futuro tutto da costruire. Normale, pertanto, che un sopravvissuto ai lager come
Pahor parta dal passato per provare a leggere il nostro
tempo. E allora, ritornano in campo alcuni punti di passaggio
obbligatori per chi crede che la memoria sia una grande
maestra, capace di spazzare via dal nostro orizzonte il ripetersi di vecchi errori. Nelle parole dello scrittore di
«Necropoli» rivive la persecuzione degli sloveni al tempo
del fascismo, il rogo del Narodni dom a Trieste, il massacro dei prigionieri politici accanto agli ebrei e agli altri deportati nei campi di sterminio del Terzo Reich. E poi, ancora,
la spasmodica contesa della Venezia Giulia tra truppe jugoslave e Alleati, il ritorno dell’Italia senza che agli sloveni
venisse riconosciuta pari dignità.
Bellissime le pagine dove Pahor ragiona, a voce alta, sull’esistenza di Dio («sull’idea della divinità ho questo pensiero: l’uomo è stato creato libero e come libero è responsabile di quello che fa») richiamandosi alla frase di Spinoza
«Deus sive Natura» e confessando di avere un’anima panteista («credo che tutto sia divino: da una parte c’è l’intelligenza umana, dall’altra c’è invece quella animale, e c’è
quella dell’albero»). Ma lo scrittore si lascia andare anche
al ricordo delle donne che ha amato («la prima che ha avuto
un ruolo importante nella mia vita l’ho conosciuta al lago
di Garda»), ai primi passi nel mondo della letteratura («un
giorno mi sono fatto coraggio e ho spedito qualcosa di mio
a Lubiana; avevo usato lo pseudonimo Ambro¡i@, cognome di mia mamma da nubile»), ridimensionando la globalizzazione («non può eliminare la storia di ciascuno») e liquidando il negazionismo («una cosa assurda, solo i matti possono portarlo avanti»).
Ma il sogno più forte che Pahor consegna a chi sarà al centro della Terra nel futuro è quello di costruire un mondo libero per davvero. Con una classe politica che «pensi al bene
comune per tutti i cittadini e quindi faccia in maniera che
ci sia abbastanza per tutti, per sfamare tutti quanti, trovare lavoro per tutti». Si può non essere d’accordo con lui?
Alemelzo
(Il Piccolo, 26. 8. 2015)
LUBIANA
Pahor, ambasciatore culturale
della Slovenia
Il ministro alla Cultura sloveno, Julijana Bizjak Mlakar, ha
consegnato allo scrittore sloveno di Trieste Boris Pahor,
nel giorno del suo 102° compleanno, il titolo onorario di
ambasciatore culturale della Repubblica di Slovenia.
Pahor ha sottolineato quanto questo riconoscimento sia prezioso anche per la Slovenia, dal momento che innalza il
valore della cultura slovena anche in ambito internazionale.
Come ha detto, oggi è importante riconoscerci come sloveni ed essere consapevoli del fatto che, nonostante siamo
uno dei popoli maggiormente sviluppati in ambito culturale, ci sottovalutiamo, ma non nel senso di un nazionalismo
sbagliato, bensì del rispetto dei nostri avi.
Prima c’erano 30-40 anni di internazionalismo, che ha
messo in secondo piano la nazionalità, mentre oggi secondo Pahor è ancora peggio. Abbiamo la globalizzazione, che
non si cura di preservare la coscienza nazionale, il legame della gente con la propria cultura e storia, con ciò che
rappresenta la ricchezza di un popolo. I giovani credono
che lo sviluppo tecnologico sia una ricchezza, che la globalizzazione rappresenti la crescita del mondo, ma Pahor
ritiene queste considerazioni un puro negativismo. Secondo
lui la tecnologia dovrebbe essere di aiuto all’uomo e consentirne lo sviluppo, ma non dovrebbe fargli dimenticare
l’essenza spirituale della dignità europea.
Lo scrittore di Trieste ha ricevuto il titolo onorario per la sua
battaglia inestimabile e sincera a favore della cultura e della
lingua slovene, per la fedeltà al popolo sloveno e per il suo
impegno a favore della democrazia e dell’indipendenza della
Slovenia e della cultura slovena. Un impegno che ha profuso per molti anni anche attraverso la rivista «Zaliv».
Il ministro ha detto che a Pahor sta particolarmente a cuore
il periodo in cui era dedito alla rivista culturale e letteraria
Zaliv, che divulgava la cultura democratica, la polemica
moderna, si batteva per la democrazia della Jugoslavia e
per rafforzare la posizione della Slovenia. La battaglia per
la democrazia, messa in atto con la rivista «Zaliv», è stata
una delle più importanti che Pahor ha condotto contro il
sistema, nonostante la sua vita sia stata costellata da innumerevoli lotte contro i sistemi antidemocratici.
Il ministro alla Cultura sloveno ha sottolineato come lo scrittore anche oggi continui ad entusiasmare con il suo spirito lucido, con considerazioni nitide sul passato, attraverso la condanna della realtà attuale e uno sguardo chiaro
rivolto al futuro. La spietatezza dell’ideologia nazionalistica snazionalizzatrice, di cui è stato testimone in gioventù,
nonché le dure esperienze di vita vissute durante la seconda Guerra mondiale e nel dopoguerra ne hanno fatto un
difensore implacabile della madrelingua slovena, un umanista, idealista e artista impegnato. Nel porgere gli auguri
a Pahor, il ministro gli ha reso omaggio con una colomba
della pace, opera dell’artista Oskar Kogoj.
Al momento del brindisi nella libreria «Konsorcij», dove sono
state presentate due sue nuove opere («Triangoli rossi»
e i contributi dal simposio svoltosi in occasione dello scorso 101° compleanno), si è augurato unità tra gli sloveni e
ha aggiunto che noi sloveni dobbiamo agire uniti per salvare «questo nostro Stato», la cultura e la lingua, che abbiamo conservato nei secoli nonostante le condizioni sfavorevoli.
Sta
(Primorski dnevnik, 27. 8. 2015)
TRIESTE-TRST
Fondamentale il sostegno
morale della madrepatria
In occasione del suo 102° compleanno a Lubiana pre sentata la pubblicazione «Triangoli rossi», tradotta dal l’italiano in sloveno da Tatjana Rojc
Alla vigilia del suo 102° compleanno lo scrittore sloveno di
Trieste Boris Pahor, intervistato dall’Agenzia di stampa slovena, ha detto che più che il sostegno finanziario dalla
Slovenia lo preoccupa quello morale. Senza un legame
morale alla cultura e senza la consapevolezza della sua
importanza i soldi non aiutano. Ha detto che la cultura d’oltre confine vive anche grazie al sostegno ricevuto dalla
madrepatria. «Non respingo il sostegno finanziario, ma esso
senza il sostegno morale riguarda solo quanti hanno un’organizzazione, un circolo, un’origine, mentre la morale riguarda tutti».
Alla luce di più ampi tagli finanziari nel settore culturale,
Pahor ha detto che, in caso di mancanza di fondi, ogni cultura che cresce e si sviluppa deve riflettere attentamente
su come utilizzerà i fondi, cosa realizzerà e cosa no. Ha
aggiunto che non è bello lavorare in un’ottica di risparmio,
dal momento che ne viene lesa la creatività. Secondo Pahor
sia gli accademici che l’università in Slovenia dovrebbero
difendere tutto il patrimonio culturale e conoscitivo. Il centro della cultura slovena dovrebbe sottolineare a chiare lettere che non è possibile risparmiare sulla cultura.
A luglio Pahor si era pubblicamente congratulato con il ministro alla Cultura sloveno Julijana Bizjak Mlakar, che in occasione della sua visita a Trieste aveva detto di rimpiangere una maggiore coscienza nazionale e aveva aggiunto che
questa si potrebbe importare in Slovenia dall’area d’oltre
confine. Pahor ha detto che il ministro prima della visita non
si aspettava di trovare un ambiente culturale sloveno così
vivo nell’area di confine. «È sempre stato così a Gorizia e
Trieste, due città attive in ambito culturale e politico». Se
l’allora Jugoslavia non avesse perso Trieste, la città portuale sarebbe stata sede, secondo Pahor, dell’Unversità
slovena, dal momento che l’attuale capoluogo giuliano rappresentava una finestra sul mondo. (…)
Pahor ha parlato anche della sua nuova pubblicazione dal
titolo «Triangoli rossi», che verrà presentato a Lubiana il
giorno del suo compleanno (26 agosto, ndt.). L’opera è stata
scritta da Pahor dapprima per la casa editrice italiana
Bompiani, per richiamare l’attenzione sulla poco conosciuta,
ma non meno atroce realtà dei campi di lavoro per gli internati, che vi erano rinchiusi a causa della loro azione di rivolta al sistema. Si tratta dei campi di Dachau, Dora e
Mauthausen, di cui Pahor ha più volte parlato e di cui, su
invito della Bompiani, ha quindi anche scritto.
Pahor ritiene che il titolo «Triangoli rossi» susciterà l’interesse di molti, infatti è poco risaputo che nei campi di concentramento i prigionieri venissero contrassegnati con triangoli di diversi colori. I rossi erano destinati ai prigionieri politici.
In un libretto tascabile, simile ad una guida, Pahor ha raccolto le descrizioni di numerosi e poco noti campi di lavoro. Ivi compresi anche i campi fascisti italiani, dove non si
ricorreva ai triangoli rossi e dove, secondo Pahor, erano
detenuti solo prigionieri politici. Il libretto contiene anche
informazioni meno note sulla vita nei campi di concentramento. Un’opera che, tradotta in lingua slovena da
Tatjana Rojc, consentirà agli sloveni di sapere in quali campi
venivano inviati i loro connazionali durante la seconda guerra mondiale.
In occasione del 102° compleanno di Pahor verrà pubblicata anche la raccolta dal simposio «Scuola triestina letteraria slovena», che lo scorso anno in occasione del 101°
compleanno di Pahor e 90° dello scrittore sloveno di Trieste
Alojz Rebula, era stato organizzato dalle editrici Mladinska
knjiga e Cankarjeva zalo¡ba. Le due case editrici hanno
curato la pubblicazione delle due opere.
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 17
La scuola letteraria di Trieste contempla artisti che erano
attivi a Trieste prima e dopo il 1918, quando Trieste passò
sotto l’Italia. L’anno 1918 rappresenta, infatti, una pietra
miliare, dopo il quale la letteratura triestina si è sviluppata diversamente rispetto alla Slovenia. Al simposio hanno
preso parte numerosi artisti dell’area d’oltre confine e intellettuali. Hanno parlato della produzione letteraria nel
Triestino e oltre all’operato di Pahor e Rebula si sono soffermati anche su Vladimir Bartol e Sre@ko Kosovel. (…)
Maja #ehovin Korsika (Sta)
(Primorski dnevnik, 22. 8. 2015)
INTERVISTA
«Abbiamo lavorato
come se Draga fosse eterna»
A colloquio con Sergij Pahor, in occasione dei 50 anni
di Draga
Quest’anno le giornate di studio «Draga» festeggiano cin quant’anni. Nell’occasione abbiamo chiesto al presidente
del circolo degli intellettuali sloveni, che organizza la mani festazione a Opicina-Op@ine (quest’anno svoltasi dal 28 al
30 agosto), di illustrarci storia, contenuti e difficoltà.
Mezzo secolo di Draga è un traguardo che richiede una
riflessione da parte del presidente del Circolo promotore.
Sergij Pahor, a lei la parola…
«È indubbia la nostra soddisfazione per aver portato Draga
a un traguardo così lontano, frutto di un impegno costante. Un traguardo vissuto e festeggiato senza pomposità,
ma semplicemente nel vero significato della manifestazione,
il cui valore è nello scambio di idee e nella riflessione che
ne scaturisce».
In apertura una tavola rotonda dal titolo “Perché Draga?”,
nel corso della quale interverrà lei con Andrej Capuder,
Katica Cukjati e Tine Hribar sottolineando il significato che
Draga ha rivestito in passato. Rifletterete anche sugli eventuali meriti che le Giornate di studio hanno avuto in merito al processo di democratizzazione in Slovenia, se hanno
contribuito a rafforzare la cultura del dialogo tra gli sloveni. Quale ruolo attribuisce a Draga oggi e quale potrebbe
rivestire in futuro?
«Quando il popolo sloveno si liberò di una dittatura durata per quasi mezzo secolo, conquistò l’indipendenza e fondò
un proprio Stato, ci aspettavamo tutti che gli sloveni sviluppassero le loro abilità e innescassero così un vero rinnovamento sociale che fosse da esempio per altri. Ma come
possiamo constatare, così non è stato. Forse abbiamo fatto
troppo affidamento sulle caratteristiche tradizionali dell’uomo
sloveno, che abbiamo scoperto più dalla letteratura che non
da vere ricerche psicologiche e antropologiche.
Sicuramente abbiamo dimenticato che alla fine siamo persone come tutti gli altri, né migliori né peggiori; sicuramente
abbiamo sorvolato sulla secolare convivenza con altri popoli nei Balcani, da cui abbiamo ereditato tratti più negativi
che positivi. Sicuramente abbiamo dimenticato le conseguenze di un indottrinamento ideologico unilaterale e politico, durate oltre quarant’anni, e contraddistinte da alcune
incontestabili sebbene ingannevoli acquisizioni del socialismo reale, a causa delle quali molti ancora oggi rimSLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 18
piangono la caduta della dittatura. Mi resteranno sempre
impresse le parole di Franc Jeze, il quale disse che le conseguenze del comunismo saranno evidenti per un intero
secolo. Inoltre siamo gravati oltremisura dal passato, che
ci impedisce di riflettere su questioni concrete del domani. Prima della caduta del muro di Berlino Draga ha cercato di mantenere tra gli sloveni la coscienza di libertà, slovenità, democrazia e cristianesimo come valori per i quali
è necessario impegnarsi e che vanno preservati per tempi
nuovi in cui matureranno cambiamenti. Nonostante la lunga
attesa, i valori che abbiamo custodito non fanno ancora
parte della coscienza collettiva popolare. Da qui la crisi spirituale, che divide il popolo. Per questo motivo Draga continuerà ad essere un’occasione per una comune riflessione».
L’anno scorso nella programmazione delle Giornate di studio avete coinvolto anche i giovani. Come valuta quell’esperienza?
«Per diversi anni i giovani hanno organizzato autonomamente la loro Draga, che però raramente è riuscita a coinvolgere tutto lo spazio sloveno e una buona partecipazione di pubblico. Questo è dovuto, tra l’altro, ad una carente continuità organizzativa e alla stessa organizzazione.
L’anno scorso abbiamo proposto a un gruppo di giovani di
organizzare da soli un evento introduttivo a Draga. Hanno
capito i nostri intenti, scelto un tema molto concreto, che
hanno affrontato con ospiti autorevoli. Quest’anno abbiamo fatto un ulteriore passo avanti: abbiamo affidato ai giovani l’evento centrale del sabato, in cui racconteranno quale
Draga desiderano. Mi aspetto siano di spirito costruttivo,
ma anche critici e che ci aiutino a capire meglio il mondo
dei giovani, che dobbiamo avvicinare se vogliamo garantire un futuro a Draga».
Il programma di questa edizione di Draga rivela, tra l’altro,
lo straordinario potenziale artistico ed intellettuale dei giovani delle province di Trieste, Gorizia e Udine. Qual è la
sua considerazione sulle giovani leve e sul loro coinvolgimento nella comunità nazionale slovena?
«Ci sono sempre state differenze tra le generazioni e incomprensioni tra “vecchi” e “giovani”. E le difficoltà che ne scaturivano venivano mascherate dall’autoritarismo, che
imponeva ai giovani di adattarsi e di nascondere il loro spirito rivoluzionario e il desiderio di cambiamenti. Sono subentrati cambiamenti molto graduali, ma oggi la società è più
attenta alle necessità e aspettative delle giovani generazioni. Questo vale in generale, ma nell’ambito della minoranza vi sono ulteriori problemi: oggi addirittura l’identità
nazionale non è più garantita automaticamente, al contrario
di quanto accadeva per le prime generazioni del dopoguerra. Le organizzazioni minoritarie, fondate sulla slovenità, hanno sorvolato sui cambiamenti sociali, che portano i giovani all’estero per necessità di studio o di lavoro.
Lo stesso vale anche in altri ambiti. Oggi anche l’appartenenza di fede non è scontata, la Chiesa non era pronta a
questa crisi e continua a temporeggiare. Speriamo che in
futuro Papa Francesco intervenga anche in questo ambito e porti qualche elemento innovativo nella formazione dei
nuovi cristiani».
Sui rapporti interpersonali tra uomo e donna, di cui si parla
molto oggi, interverrà a Draga Alenka Rebula. Quale rapporto ha avuto Draga nel corso della sua storia verso questo tema e questa «scoperta reciproca», come scrive nel
programma di quest’anno? Come giudica lei questa que-
stione soprattutto oggi in cui la cosiddetta immagine tradizionale della famiglia sta perdendo significato a causa di
un diverso modo di considerare le unioni omosessuali?
«Le unioni omosessuali non sono né saranno la causa della
crisi della famiglia, a prescindere dal fatto che lo Stato le
riconosca o no. Il destino della famiglia e dei suoi componenti è da tempo legato alla qualità dei rapporti tra di essi
e tra i due coniugi. In passato non c’era l’attuale facilità nello
sciogliere il legame come accade oggi, dal momento che
uno dei due partner, di solito la donna, sopportava in silenzio, più o meno consapevolmente, angosce, difficoltà e
incomprensioni, spesso anche la violenza, e in questo modo
(a nome di una “difficile” tradizione) salvava la famiglia.
Ancora oggi molti pensano che questo sia stato un bene,
dal momento che le conseguenze negative di quel tipo di
famiglia “tradizionale” restavano ignare al contesto sociale e tutti potevano lavarsene le mani. Oggi la situazione è
diversa. La crisi della famiglia ha relegato molti problemi
di natura morale e materiale alla società, che essa deve
risolvere concretamente (a livello giuridico, di tutela sociale, psicologico, educativo). Anche la Chiesa non nasconde più i problemi e Papa Francesco è portatore di molte
innovazioni. Tutti si aspettano novità dal sinodo di ottobre
sulla famiglia».
L’intervento di Edi Kav@ si sofferma su che cosa comporti essere sloveni oggi, nell’attuale contesto globale.
Secondo lei quale futuro attende la Slovenia e le cosiddette
tre Slovenie nel mondo?
«La situazione in Slovenia non è certamente invidiabile, è
ben lontana dalla aspettative che si erano delineate dopo
la conquista dell’indipendenza. Non è stato facile fondare
lo Stato, ma l’intento è riuscito. Le difficoltà sono insorte
in seguito e oggi sono troppe in ambito finanziario, economico e sociosanitario, vacilla anche l’operato dello Stato,
compresi i difficili risvolti diplomatici nel rapporto con la
Croazia. Tuttavia, ciò che preoccupa sono i litigi e le divisioni interne, che derivano da interpretazioni contrastanti
sui fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale e nel
dopoguerra. I partiti politici non sono pronti a fare chiarezza
attraverso il dialogo su questa questione, dal momento che
sul piatto della bilancia, per entrambe le coalizioni, c’è
soprattutto la preoccupazione di guadagnare il consenso
degli elettori. I partiti che hanno sostenuto l’indipendenza
della Slovenia negli anni Novanta invano cercano quella
vittoria elettorale, che porterebbe loro una forte maggioranza
in parlamento, mentre la sinistra non ha mai accettato il
“fallimento” del sistema realsocialista (nessuno degli ideologi o politici attivi ha mai riconosciuto che è stato il partito comunista a determinarne il fallimento su tutta la linea)
e si è frantumata in più partiti con denominazioni, che illudono e ingannano gli elettori. Tuttavia la sinistra riesce a
mantenere una invidiabile unità quando si tratta di controllare i media e così continua a tenere gli elettori sulla
corda di elezione in elezione. Per far fronte alla crisi finanziaria ed economica la Slovenia si sta indebitando e in questo modo crea ulteriori grattacapi ai prossimi governi e ai
contribuenti. Ma il quadro non è così negativo come sembrerebbe. Si intravedono i primi segnali di crescita economica e il presidente della Republica slovena, Borut Pahor,
ha parlato in più occasioni della necessità di una riconciliazione nazionale. Qualcosa si sta muovendo! Meno incoraggianti sono le considerazioni sulle comunità slovene che
risiedono all’estero. Le minoranze che risiedono negli Stati
confinanti con la Slovenia, assistono ad un calo numerico
e si stanno pericolosamente avvicinando a un punto criti-
co dal quale non c’è ritorno. Le cose stanno cambiando
anche in merito alla consapevolezza nazionale, e questo
aspetto meriterebbe un approfondimento. Per ora ci salva
il nostro assetto organizzativo (inclusi i famigerati doppioni, che però promuovono la concorrenza) con i circoli culturali, ricreativi e sportivi. Il declino richiederà tempo, ma
temo il peggio. Per quanto riguarda gli sloveni nel mondo
la situazione è simile: laddove c’è organizzazione la comunità slovena resiste. Esemplare il caso degli sloveni in
Argentina, che proprio quest’anno festeggiano 60 anni di
attività di un’iniziativa culturale unica, che verrà premiata
nel corso delle Giornate di studio «Draga» con il Premio
Peterlin».
(…)
I.G.
(Novi glas, 13. 8. 2015)
PORZUS – POR#INJ
Quella volta che la Madonna
parlò in sloveno
Celebrazioni a 160 anni dall’apparizione a Teresa Dush
Nel 160° anniversario delle apparizioni mariane a Porzus,
che verrà celebrato solennemente i prossimi 5 e 6 settembre, è significativo ricordare anche il risvolto linguistico di quegli eventi, perché è chiaro che la Madonna si rivolse alla veggente Teresa Dush in sloveno.
Non poteva essere diversamente. Porzus, cioè Por@inj, è
una frazione del comune di Attimis nella quale si usa da
sempre il dialetto sloveno e 160 anni fa era di certo quella l’unica lingua conosciuta e usata dagli abitanti, anche
perché la zona non apparteneva ancora all’Italia (sarà
annessa al Regno solo 11 anni più tardi). Non poteva far
eccezione una bambina di dieci anni ancora da compiere.
Prima dell’ingresso nel noviziato delle Suore della
Provvidenza di San Luigi Scrosoppi a Udine, avvenuto il
19 marzo 1867, «Teresa è consapevole della sua povertà,
della sua ignoranza e della sua malferma salute, vorrebbe donarsi completamente al Signore, ma potrà padre Luigi
che pure è tanto buono, accettare una che non sa leggere l'Ufficio della Madonna in latino, sa appena sillabare l'italiano?». Lo ricorda nella sua ricerca storica suor Anna
Lucia Stefanutti.
Lo stesso don Carlo Gamberoni, che con le sue ricerche
e pubblicazioni ha grande merito nell’aver tolto all’oblio le
apparizioni di Porzus, cinque anni fa proprio nel luogo dell’evento, ricordando all’omelia alcuni passaggi fondamentali dell’apparizione mariana e della scoperta di ulteriori
importanti documenti storici, ha contestato senza mezzi termini, l’appellativo improprio di «Madone de sesule», «perché quel falcetto che la Madonna prese dalle mani della
piccola Teresa era indicato dalla gente di Porzus come il
‘srp’, che in dialetto sloveno locale, si pronuncia ‘sarp’».
Chiaro anche il sito internet www.porzus.net: «A Porzûs la
Vergine apparve alla piccola Teresa Dush l’8 settembre del
1855 e si rivolse alla bambina parlando nella sua lingua,
lo sloveno. Per questo, e quindi non solo per la sua posizione geografica, oggi il Santuario deve diventare meta e
luogo di incontro per la pacificazione, per riempire le profonde voragini d’odio che hanno segnato queste terre».
(Dom, 31. 8. 2015)
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 19
INTERVISTA
È nato in Canada
e parla bene il dialetto sloveno
A colloquio con Gianni Domenis,
presidente del circolo sloveno a Thunder Bay
Nella stagione estiva ha trascorso un mese di vacanza in
Italia e per un paio di settimane è stato dai suoi parenti nelle
Valli del Natisone. Giani Domenis, 40 anni, è figlio di emi granti sloveni. Il padre Ezio Domenis e la madre Giuseppina
Petricig sono originari del comune di Pulfero-Podbonesec.
Da un anno e mezzo Giani Domenis è presidente del cir colo degli sloveni nella citta di Thunder Bay (dove è nato
e vive) in Canada, nella regione Ontario. Si tratta di uno
dei sei circoli sloveni attivi in Canada nell’ambito dell’Unione
degli emigranti sloveni.
A Thunder Bay, città in cui Giani è nato e tuttora risiede,
suo padre è emigrato nel 1953 all’età di 17 anni, mentre
la madre vi vive dal 1967. È davvero bello sentire parlare
in dialetto sloveno un giovane che, nonostante la lontananza
dai luoghi delle proprie radici linguistiche e culturali, ha impa rato la lingua grazie ai genitori che l’hanno sempre parla ta con i propri figli.
Sentire una persona giovane parlare così bene il dialetto
sloveno è diventato quasi un vero miracolo nella Slavia friulana-Bene@ija. Nella realtà in cui vivi sono tanti i giovani
che sanno parlare il dialetto sloveno?
«Veramente sono pochi i giovani che lo parlano. Mio cugino lo parla un po’. Parlo lo sloveno perché i miei genitori
l’hanno sempre parlato con noi figli e questo, al contrario
di quanto ritengono diverse famiglie di emigranti da noi, non
mi ha danneggiato né ostacolato in alcun modo nell’apprendimento dell’inglese. Anche quando, da piccolo, venivo in vacanza qui ho sempre parlato il dialetto sloveno, dal
momento che non parlo la lingua italiana. A Thunder Bay
la maggior parte dei giovani, figli di emigranti e miei coetanei, hanno imparato la lingua italiana a casa, altri parlano solo l’inglese. I coetanei dei miei genitori parlano tra di
loro in sloveno e italiano, con i giovani invece solo in inglese. L’unico modo che i giovani hanno per imparare il dialetto sloveno è parlarlo tra le pareti domestiche, ma ci vuole
una forte motivazione e un impegno costante.
Recentemente ho saputo che un piccolo gruppo di giovani sloveni, che si conoscono da quando erano giovani, è
solito ritrovarsi. Ho avuto modo di conoscere loro e Dejan
Valentin@i@ in occasione della sua ultima visita a Thunder
Bay».
Cosa fa il vostro circolo per tutelare e insegnare la lingua
e cultura slovene?
«L’impegno del nostro circolo, che conta 33 soci, è rivolto soprattutto a organizzare momenti di incontro tra gli emigranti sloveni. Ogni anno convochiamo l’assemblea generale nel corso della quale illustriamo il nostro programma
e rinnoviamo le quote associative. A Thunder Bay ci sono
due centri italiani, il centro Davinci e il Centro culturale italiano, dei quali a volte utilizziamo gli spazi per le nostre iniziative. Una volta all’anno organizziamo un banchetto, un
pranzo collettivo in cui ci ritroviamo tutti insieme. All’ultimo
pranzo eravamo in 55, tra familiari e parenti».
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 20
In che modo cercate di mantenere vivi i contatti con la Slavia
friulana e i luoghi in cui sono nati i vostri nonni e genitori?
«I parenti solitamente mantengono i contatti. Ogni tre anni
per consentire ai giovani, figli di emigranti sloveni all’estero, di conoscere da vicino il territorio della Slavia friulana
e dintorni viene organizzato a Cividale un seminario estivo, che io stesso ho frequentato nel 2012».
La crisi economica induce molti giovani a lasciare il luogo
natio per andare all’estero alla ricerca di un lavoro, che qui
non trovano. Succede anche in Canada?
«Sì, succede lo stesso anche da noi, anche se c’è forse
maggiore possibilità di trovare un impiego, dipende dalla
disponibilità nei vari settori. A Thunder Bay per esempio
c’è maggiore richiesta di lavoro in ospedale, a scuola, all’università e in Comune».
Qualche mese fa l’Unione emigranti sloveni, che ha sede
a Cividale, ha iniziato a raccogliere materiale e fotografie
su quanti sono emigrati all’estero alla ricerca di un lavoro.
Il vostro circolo fa lo stesso?
«Il nostro impegno è soprattutto creare occasioni di aggregazione tra la nostra gente e coinvolgerla nelle nostre iniziative, durante le quali scattiamo foto, che conserviamo
nel nostro archivio. Abbiamo un raccoglitore in cui serbiamo i nomi dei primi emigranti che si sono trasferiti in
Canada».
Quali sono i principali problemi che il vostro circolo si impegna ad affrontare nel quotidiano?
«Le difficoltà sono legate ai più giovani. Non è facile coinvolgerli nelle nostre iniziative anche se le loro famiglie ci
aiutano in questo».
Quali sono i vostri progetti e auspici per il futuro?
«In questo periodo stiamo organizzando una gara di bocce,
per creare così un momento di aggregazione tra varie fasce
di età. Il mio auspicio è di mantenere una buona partecipazione a tutte le nostre iniziative e favorire l’interazione
tra tutte le generazioni. Sarebbe bello riuscire a coinvolgere più famiglie, italiane, slovene o canadesi».
Larissa Borghese
(Dom, 31. 8. 2015)
SLAVIA-BENE#IJA
«Giro d’Italia, un sogno che si avvera»
A colloquio con Mario Zufferli, sindaco di Drenchia,
sulla tappa del 20 maggio 2016
Non nasconde il suo entusiasmo per la tappa del Giro
d’Italia 2016 nelle valli del Natisone e del Torre il sindaco
di Drenchia, Mario Zufferli, che lo definisce «un sogno che
si avvera».
L’idea è arrivata grazie a Zufferli due anni fa a Enzo Cainero,
organizzatore delle tappe friulane del Giro.
«All’epoca – spiega Zufferli – Cainero e io avevamo fatto
un giro per le valli e lui era rimasto entusiasta di questa
mia iniziativa. Naturalmente si era impegnato affinché si
potesse realizzare questo evento. Abbiamo avuto delle dif ficoltà iniziali, ma con l’impegno costante da parte sua, da
parte mia e da parte della Regione siamo riusciti ad avere
questa tappa del Giro d’Italia che è un avvenimento impor -
tante».
Quali sono le difficoltà che avete dovuto affrontare?
«Inizialmente c’era qualche perplessità, visto che le Valli
del Natisone sono una realtà piccola, che non richiama
gente, che non ha potenzialità dal punto di vista economico,
sponsorizzativo ecc. La Regione è però intervenuta, ha creduto in questo progetto e ha fatto la sua parte. Non è facile far arrivare le tappe in un posto così difficile anche dal
punto di vista economico. Più che altro ci sono stati l’impegno e la volontà da parte di Enzo Cainero di portare qui
il Giro. Le Valli lo meritano. Essendo un posto disagiato,
questa potrebbe essere una vetrina per far vedere quest’area a tutta l’Italia».
Si tratta di un risultato che va al di là del fatto sportivo. Quali
benefici si attende per il territorio?
«È importante creare una sinergia da parte di tutti gli operatori economici e da parte di tutti i sindaci che collaboreranno affinché questa zona sia conosciuta. Deve riuscire
ad essere una vetrina nei confronti dell’Italia. Ci aspettiamo anche interventi di carattere infrastrutturale. C’è bisogno di mettere a posto le strade, di tagliare gli alberi, perché le telecamere faranno vedere tutti i paesi, di conseguenza dobbiamo presentare la zona nella maniera
migliore possibile, perché una ricaduta sul territorio ci sarà.
Questo comunque dipende molto da noi, dai politici, da quelli che sono sul posto, dagli operatori, dagli imprenditori
ecc.».
Secondo l’idea originaria si sarebbe dovuto ricordare in
primo luogo il centenario della prima guerra mondiale,
magari con l’arrivo della tappa a Solarie. Ora invece l’attenzione pare focalizzata su Palmanova, Cividale e sul settore vitivinicolo. Qualche rammarico?
«No, direi di no. Mi pare una scelta ponderata, che mette
insieme l’aspetto turistico ed economico. Il percorso della
Grande guerra magari verrà rivalutato prendendo in considerazione l’affluenza della gente».
In questo quadro, come aumentare la visibilità per le Valli?
«Bisogna far sì che ci sia un certo interessamento da parte
di tutti i cittadini dal punto di vista del recupero delle case,
dei bed & breakfast, di fornire un’offerta accattivante a chi
verrà a seguire il Giro. Questo dipende molto dalla gente
stessa, da noi. L’opportunità ci viene data, adesso dobbiamo rimboccarci le maniche e far vedere di che pasta
siamo fatti, per riuscire a far conoscere la nostra realtà».
Sicuramente il Giro garantirà interventi di miglioramento
della viabilità. Può anticiparci i principali?
«Ci stiamo già adoperando per presentare alla Regione un
documento sulle varie problematiche del territorio e su questo la Regione credo che sarà sensibile e interverrà sulle
strade. Noi, per esempio, a Drenchia abbiamo il grosso problema della strada che collega Clodig a Cras, la strada è
piccola e stretta. Sarà necessario allargare le strade per il
passaggio dei pullman. Anche a Savogna e a Grimacco ci
sono sicuramente delle strade che hanno bisogno di un
intervento. Si tratta, quindi, di un circuito che adesso programmeremo assieme ad Enzo Cainero, insieme a FVG
Strade e alla Regione, affinché si possa intervenire in
maniera totale».
(...)
Ilaria Banchig
(Dom, 30. 9. 2015)
STOLVIZZA – SOLBICA
I canti patrimonio della comunità
Presentati il cd e la pubblicazione realizzati dal
«Blanchini» e dedicati ai canti religiosi resiani
Lo scorso 5 settembre nella chiesa di Stolvizza è stato presentato il cd «Te solbaœke svete wu¡e po nes – Repertorio
di canti religiosi in resiano della comunità di Stolvizza in
Val Resia» e la pubblicazione che lo accompagna. Una
serata, svoltasi nell’ambito del Festival del canto spontaneo 2015 dal titolo Bisida, wü¡a, glas – La parola il canto,
la voce, di intensa partecipazione perché ha toccato, attraverso gli interventi parlati e cantati, le corde profonde degli
ascoltatori perché «quelle note – come ha sottolineato il
parroco, don Gianluca Molinaro – ci trascinano alla fonte
di una tradizione cristiana da riscoprire, fatta di parole semplici ma profonde, pronunciate in un lessico familiare, colorato ed efficace».
La pubblicazione del cd rientra nel progetto «Impariamo,
scopriamo e preserviamo la nostra lingua a scuola, a casa
e in chiesa», finanziato dall’assessorato regionale alla
Cultura e realizzato dall’associazione don Eugenio
Blanchini, come ha spiegato il suo presidente Giorgio
Banchig. Del progetto fanno parte un cd e una brossura
con canti religiosi sloveni eseguiti dal coro parrocchiale di
Ugovizza e un dvd con pubblicazione sulle Rogazioni di
san Marco che ancora si celebrano nelle parrocchie di
Tercimonte e di Matajur. Banchig ha elogiato l’associazione
culturale «Museo della gente della Val Resia», curatrice
della pubblicazione che, oltre ai vecchi mobili ed attrezzi
di lavoro, sta facendo «riscoprire e conoscere anche la storia e il patrimonio immateriale di questa comunità», di cui
fanno parte i canti religiosi. Questi rappresentano un aspetto fondamentale della cultura resiana nell’ambito di quest’area di confine, che respira con i polmoni orientale-sloveno e occidentale-friulano, che inspirano l’elemento vitale dalla grande tradizione del Patriarcato di Aquileia.
Ma questa ed altre opere di recupero della cultura popolare vanno attualizzate e proiettate nel futuro, ha sottolineato il musicista e operatore culturale Giovanni Floreani.
I canti proposti nel cd, ha evidenziato Floreani, «seppure
molto antichi, esprimono tutto il loro contenuto sperimentale perché propongono una forma quasi inedita di canto
e forniscono suggestioni a potenziali suggestioni».
La bella serata, aperta con l’intervento della presidente dell’associazione «Museo della gente della Val Resia», Luigia
Negro, e coordinata da Sandro Quaglia, che si è speso con
passione e competenza per la realizzazione del cd, è stata
arricchita da interventi vocali che hanno riproposto un ricco
repertorio di antiche e nuove melodie in resiano, friulano
e sloveno.
Impareggiabili protagoniste del Festival sono state le sorelle Anna e Agnese Wedam, componenti del Duetto della
Valcanale, le carniche Novella Del Fabbro ed Edda Pinzan,
la slovena Ljoba Jen@e e la resiana Silvana Paletti che ha
eseguito con profonda ispirazione canti religiosi da lei stessa composti.
La presentazione del cd è stata l’occasione appropriata per
ricordare con il canto «Znutranja od mia syrca» (De profundis) l’animatore culturale Severino Negro, profondo conoscitore della lingua e cultura resiana, scomparso nel 2012.
(Dom, 15. 9. 2015)
SLOVIT N° 8 del 30/9/15 pag. 21
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