Come loro – Da Charles de Foucauld ai suoi discepoli
Introduzione
Nel 1951, la rivista francese La Vie spirituelle recensiva Au coeur des masses, una raccolta di
scritti di René Voillaume (1905-2003), fondatore e priore dei Piccoli Fratelli di Gesù. Era il libro
pubblicato in Francia nel dicembre 1950, che due anni dopo, nell’edizione italiana, avrebbe preso il
titolo di Come loro. La Vie spiritelle si poneva la domanda su quale fosse la forma di vita dei Piccoli Fratelli: «Né ordine monastico (poiché non si ritirano dal mondo), né ordine mendicante (poiché
rinunciano al principio stesso della mendicità), né chierico regolare (poiché, laici o chierici, rinunciano a una certa posizione o tradizione clericale per vivere del lavoro come i poveri), né congregazione moderna (poiché non vogliono la “vita attiva” nel senso di “specificata” da un’opera di misericordia o d’apostolato), né istituto secolare (poiché il professo non vive isolato, ma nel seno delle
fraternità che sono autentiche comunità; e poiché concepisce i voti solo come pubblici…)»1.
Qual era dunque questa nuova forma di vita religiosa?
Voillaume, nell’ultimo suo libro in parte autobiografico, Charles de Foucauld et ses premiers disciples – Du désert arabe au monde des cités, Bayard-Cneturion, Paris 1998, ha tracciato le tappe
del lento percorso che, a partire dal messaggio e dalla vita di Charles de Foucauld, aveva portato le
due “Fraternità”, maschile e femminile, a una tale svolta, ad inserirsi cioè nelle periferie del mondo,
pur restando “contemplative”.
Tre anni prima della pubblicazione di Au coeur des masses, nel 1947, era iniziata ad Aix-en-Provence, con l’accordo dell’arcivescovo di mons. de Provenchères, la prima “fraternità operaia” maschile e René Voillaume in persona aveva deciso di farne parte e immergersi, anche col lavoro, «nel
cuore delle masse”. L’anno precedente, 1946, era stata la fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù,
Magdeleine, ad avviare la prima “fraternità operaia” femminile, sempre ad Aix, e lei stessa aveva
lavorato in fabbrica per alcuni mesi.
Per comprendere questo passaggio dal deserto e dal mondo dell’Islam al mondo delle masse povere d’Europa e del mondo, bisogna rifarsi proprio all’esperienza vissuta da fr. Charles nel periodo
centrale della sua vita, quello vissuto a Tamanrasset (1905-1916), in cui seppe donare «tutta la sua
misura», come dice il suo primo grande biografo René Bazin2.
Tamanrasset
Senza entrare nei dettagli, dopo la conversione avvenuta nel 1886, anche in seguito al contatto
con i musulmani del Marocco, Charles aveva vissuto sette anni in una Trappa di Siria, poi tre anni
come eremita in Terra Santa (Siria e Terra Santa facevano tutt’e due parte dell’Impero Ottomano);
nel 1900 era tornato in Francia e, dopo mesi di ritiro e silenzio alla Trappa di Notre-Dame des Neiges, il 9 giugno 1901 veniva ordinato prete nella diocesi di Viviers e subito inviato in Algeria come
«prete libero».
Non esistevano, allora, i preti “fidei donum” prestati a diocesi di missione e «prete libero» è l’espressione con cui Charles de Foucauld definisce se stesso, perché libero da incarichi ecclesiastici,
libero da titoli, libero da benefici economici di ogni genere, né provenienti dalla Chiesa, né tanto
meno dai militari che occupavano il Sahara3. Era dunque libero perché senza poteri ma anche senza
condizionamenti e dipendenze: unicamente abbandonato al Dio di Gesù e a quei poveri e piccoli ai
quali voleva «gridare il Vangelo sui tetti, non con la parola ma con la vita» 4. Come prete, si ricordi,
non aveva frequentato né Seminari né istituzioni ecclesiastiche, comprese le parrocchie. È grazie al1 La Vie spirituelle, 1951, t. LXXXIV, 432 (cit. in Marcel Launay, René Voillaume. Contemplation et action, Cerf,
Paris 2005, 138.
2 B, 344.
3 «Non chiedo né viveri di rimborso, né niente di niente. Non sono più strettamente Trappista da quando il R. P. Generale mi ha permesso di partire per la Terrasanta; resto teneramente attaccato all’Ordine e vi sono guardato come fratello,
ma non ne porto più l’abito… Sono prete libero…» (LHC, 104) ; cf. Lettera dell’8.04.1905, in XXV lettres inédites du
P. de Foucauld, Bonne Presse, Paris 1947, 12 ; CS, 14.10.1913, 881.
4 LVN, 215, 220 e passim. Cf. Mt 10,27; Lc12,3.
1
l’appoggio dei Trappisti, che il vescovo di Viviers gli aveva dato tutta la sua fiducia, lasciando che
seguisse un suo itinerario, certamente inconsueto.
Si fissava così, dall’ottobre 1901, a Beni-Abbès, ai confini col Marocco tanto amato, perché
esplorato in gioventù (tra il 1883 e il 1884) e perché era stato il luogo dove, a contatto con la fede
dei musulmani, aveva avuto inizio il suo cammino di conversione.
Dopo circa tre anni vissuti a Beni-Abbès, vedendosi chiuso l’accesso desiderato al Marocco, preferisce raggiungere gli abitanti di terre che il Vangelo non ha più toccato «dai tempi di S.
Agostino»5, i Tuareg, i grandi nomadi del deserto, cavalieri, poeti e razziatori, lontani mesi di piste
incerte dalle oasi già occupate dai Francesi nel Sahara del Nord (le distanze, allora, si misuravano in
tempo!).
Là, tra i Tuareg, va a cercare di vivere la stessa cosa che aveva cercato alla Trappa, poi in Terrasanta e a Beni-Abbès, vivere cioè fino in fondo la sua vocazione di «scendere a Nazaret», dove
«Gesù ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno ha potuto toglierglielo»6. Anche lui voleva farsi ultimo e stare con gli ultimi.
In attesa di un primo viaggio di avvicinamento alle regioni dei Tuareg, nel 1903, annota nel diario: «Niente cavalcatura, niente soldi, niente scorte… Non bisogna dipendere da queste cose. Alleggerire al massimo il bagaglio e abituarsi a camminare. Per quanto riguarda i soldi, devo abituarmi a
non averne bisogno, camminare a piedi, fare tutto da solo in modo tale che mi basti il minimo. Per
quanto riguarda le guide, farsi degli amici»7. Quando poi è nel pieno di questa prima spedizione, il
17 maggio 1904, sempre nel diario, non solo prega per i Tuareg, ma dichiara: «Offro la mia vita per
loro ». D’ora in poi, se li vorrà avvicinare, se vorrà soprattutto rendere se stesso avvicinabile, comprende che dovrà farsi uno di loro (eccetto l’uso delle armi e della violenza), porsi al loro livello,
non solo rinunciando alla clausura sia pur simbolica di Beni-Abbès (un confine di sassi messi in fila
che chiunque poteva oltrepassare), ma assumendo in tutto e per tutto il loro stile di vita8. E, nonostante si metta già lungo il cammino a tradurre i Vangeli nella loro lingua, sa per certo che, riguardo
ad una evangelizzazione esplicita, il suo è solo un preparare il terreno. Scrive: «Non sono neppure
al punto di seminare: preparo la terra, altri semineranno, altri raccoglieranno la messe»9. È quello
che ripeterà in numerose occasioni: il suo compito è dissodare, senza arrivare a seminare, senza
neppure desiderare di vedere frutti.
Quando crede giunto il momento di fissarsi in un posto, prima ancora di chiederne l’autorizzazione (che avrà solo l’anno successivo), progetta l’avvenire e, prestando voce a Gesù, scrive: «Oggi e
in avvenire, se lo puoi, va’ a stare (…) in queste rocce simili a quelle di Betlemme e di Nazaret, in
cui hai la perfezione della mia imitazione e insieme quella della carità; per ciò che riguarda il raccoglimento, è l’amore che deve raccoglierti in me interiormente, e non l’allontanamento dai miei figlioli: vedi me in loro e come me a Nazaret vivi accanto a loro, perduto in Dio»10.
Quando nella successiva spedizione ottiene il permesso di risiedere tra i Tuareg e mentre è ormai
vicino alla meta, il 22 luglio 1905, fa parlare così Maria Maddalena (è la sua festa): «Gesù ti ha stabilito per sempre nella vita di Nazaret (…). Prendi come obiettivo la vita di Nazaret, in tutto e per
tutto, nella sua semplicità e nella sua ampiezza…: niente vestito particolare – come Gesù a Nazaret;
non meno di otto ore di lavoro al giorno – come Gesù a Nazaret. In una parola, in tutto: Gesù a Nazaret». Conclude: «La tua vita di Nazaret può essere condotta dappertutto: vivila nel luogo più utile
al prossimo»11.
È così che, a partire dall’agosto 1905, si stabilisce nel misero e allora ignoto villaggio di Taman5 LMB, 75.
6 LVN, 102 e passim.
7 CT, 23.08.1903, 82.
8 Cf. CBA, 101-105.
9 LHC, 15.07.1904, 156.
10 CBA, 26.05.1904, 110. Cf. anche Col 3,3.
11 CT, 45-47.
2
rasset, nel cuore montagnoso dell’Hoggar, con una “parrocchia” di musulmani12, di 2000 km da
nord a sud e 1000 dall’est all’ovest, senza risorse, senza altra protezione che la parola data dal giovane capo della federazione delle tribù Tuareg dell’Hoggar, Musa ag Amastan, di cui è ospite. Da
quel momento si immerge nella realtà quotidiana dei Tuareg e impara da loro, umilmente e senza
pregiudizi, facendosi realmente uno di loro.
Ciò che lo guida, ciò che sta al principio, al centro, al culmine della sua fede è il mistero dell’Incarnazione, Verbum caro. Ne è tanto più conquistato e colmo di gratitudine in quanto da giovane
era stato «sedotto», «affascinato»13 dall’Islam, che non solo nega l’Incarnazione, ma ne fa addirittura la massima bestemmia.
Il Dio Salvatore
Vale la pena insistere su questo punto. Charles ha definitivamente «perduto il cuore per Gesù di
Nazaret»14, come scrive al suo migliore amico. Come Paolo e Agostino, si è lasciato afferrare da
Cristo (Fil 3,12) e da Lui si lascia coinvolgere fino in fondo, in tutti gli aspetti e momenti di vita, in
un’avventura d’amore e di immedesimazione.
Gesù, carne di Dio che si dona, JESUS CARITAS15, è il centro da cui tutto s’irradia. E Lui solo
vuole imitare e seguire. «Segui me, me solo… – si era fatto dire da Gesù nel Ritiro di Nazaret del
novembre 1897 – Non venire a Betania per vedere me e anche per vedere Lazzaro 16, vieni per vedere me, me solo… Chiedimi ciò che facevo, “Scruta la Scrittura”, guarda anche ai santi, non per seguire loro, ma per vedere come hanno seguito me e prendere da ciascuno di loro ciò che penserai
venire da me, essere a mia imitazione… e segui me, me solo…»17.
Ci sono altri due modelli che lo conducono di fatto a Gesù, uno per la vita contemplativa e l’altro
per la missione. Il primo è Maria Maddalena, allora considerata un unico personaggio insieme a
Maria di Betania e all’anonima peccatrice di Lc 7,37-50. «È la prima abitante del cielo che ti ho fatto conoscere e amare», si fa dire da Gesù18. La considera sua “patrona” perché peccatrice perdonata
che ha amato molto, perché colei che ha scelto l’unica cosa necessaria, che ha versato tutto il suo
profumo, che è stata davanti al crocifisso, che ha portato i balsami alla tomba vuota e, chiamata per
nome, ha risposto: Rabbunì al giardiniere-Risorto19.
Il secondo modello è Paolo, l’apostolo che invita ad imitare lui per imitare Cristo (1Cor 4,16),
che esorta, come scriveva nel Ritiro di Nazaret del 1897, «ad amare appassionatamente gli altri, a
ridere con chi ride, a piangere con chi piange, ad essere tutto a tutti per guadagnarli tutti» (1Cor
9,22)20. Nello stesso ritiro si era fatto dire da Gesù: «Paolo ti insegnerà ad essere tenero, soave, caldo con tutti gli uomini; ad amarli come li ho amati io in vista di me…»21. L’Apostolo gli sarà dunque modello di evangelizzazione, non nel suo predicare, ma in quel suo «farsi tutto a tutti» (1Cor
9,22), che per Charles non è altro che far proprio il mistero dell’Incarnazione, proseguirlo nella propria vita. E ciò è essenziale ad ogni cristiano e dunque ad ogni apostolo, tanto più a uno che, come
lui, non si sente chiamato ad evangelizzare con la parola, ma con «l’esempio di una vita evangelica»
o meglio, come si è detto, «gridando il Vangelo sui tetti con la vita».
Nel Ritiro di Beni-Abbès del 1902 riaffermava: «Imitare Gesù facendo della salvezza degli uomini talmente l’opera della nostra vita, che questa parola – Gesù-Salvatore – esprima perfettamente
ciò che noi siamo come significa perfettamente ciò che egli è... Per questo: Essere tutto a tutti, con
12 Parla più volte dei suoi «parrocchiani musulmani» (non ne ha altri, per anni!), per es. in LMB, 179.
13 LHC, 89-90.
14 LAL, Beni-Abbés 1902, 94.
15 Ne ha fatto il suo motto dal momento dell’ordinazione e, dal 1902, sarà l’intestazione di ogni pagina dei suoi scritti.
16 Cf. Gv 12,9.
17 LVN, 105
18 LVN, 126 e passim.
19 È infine colei che ha terminato la sua vita – secondo la leggenda – nel “deserto” della Sainte Baume, il Santo Balsamo, sulle montagne di Provenza, dove Charles andrà nel 1900, dopo aver lasciato la Terrasanta, e vi lascerà un ex-voto.
20 Cf. LVN, 131-133. Ricorda come fosse stato a visitare il luogo del suo martirio e la tomba a S. Paolo, nel periodo in
cui era a Roma come studente trappista (ottobre 1896-gennaio 1897).
21 LVN, 133.
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un unico desiderio in cuore, quello di dare a tutti Gesù»22.
A Tamanrasset, rendendosi conto della traduzione dei Vangeli povera e frettolosa, si prefigge di
conoscere più a fondo la lingua e la cultura Tuareg. Ne affronta perciò lo studio con l’aiuto iniziale
(tre mesi nell’autunno 1906) di uno specialista di berbero, che però si ammala e muore dopo l’estenuante traversata del deserto verso Nord. Prosegue perciò da solo un immane lavoro di ricerca sul
campo. Raccoglie poesie, canti, proverbi, redige un monumentale dizionario Tuareg Francese, chiedendo oltre tutto in modo categorico che nessuno dei suoi lavori venga pubblicato a suo nome: non
gli interessa la notorietà né il prestigio che dai suoi lavori verrebbe alla Chiesa 23. Gli interessa solo
fare ciò che è bene. «Allo stesso modo che si può aspettare per secoli e fino alla fine del mondo
quando si tratta di costruire solo chiese di pietra, non è permesso rallentare quando si tratta di salvare gli altri (…) Tutti hanno diritto a che si lavori per la loro salvezza, e i Tuareg più degli altri, se
possibile», scrive24. Osserva ancora: «Per fare del bene alle anime bisogna poter parlare con loro; e
per parlare del buon Dio e delle cose interiori occorre saperne la lingua» 25. La conoscenza approfondita dei Tuareg e del loro mondo fa parte insomma, per lui, del dono gratuito di sé, del «farsi tutto a
tutti» che ha imparato da Paolo.
Quando comincia a fare appello a dei laici che, come gli “ausiliari” di Paolo, Priscilla e Aquila
(cf. Rm 16,3; 1 Cor 16,19; 2 Tm 4,19; At 18,26), siano disposti a farsi evangelizzatori dei non cristiani immergendosi tra di loro nel quotidiano e anche con vari mestieri, si riferirà sempre a quel
«farsi tutto a tutti». Imbastirà corrispondenza di grande significato con Louis Massignon (18831962), il discepolo spiritualmente più vicino a lui, e con varie altre persone, come Joseph Hours, un
commerciante di Lione interessato al suo progetto.
Non solo preti e monaci, spiega a Hours nel 1912, ma «ogni cristiano deve essere apostolo» e
questo è «un comandamento, il comandamento della carità», perché «ogni essere umano, dice Gesù,
è un fratello (Mt 23,8-9». Bisogna perciò «bandire da noi lo spirito militante: “Io vi mando come
agnelli in mezzo ai lupi” (Mt 10,16), dice GESÙ… Che distanza c’è tra la maniera di fare e parlare
di Gesù e lo spirito militante di coloro che, cristiani o cattivi cristiani, vedono dei nemici da combattere invece di vedere dei fratelli malati che bisogna curare, dei feriti stesi per la strada con i quali
essere buoni Samaritani». Per chi segue Gesù mite e umile, non ci sono nemici! Se infatti «gli infedeli possono essere nemici di un cristiano, un cristiano è sempre tenero amico di ogni essere umano;
egli ha per ogni essere umano i sentimenti del cuore di GESÙ». I cristiani sono chiamati insomma,
ripete, a «farsi tutto a tutti per darli tutti a GESÙ (1Cor 9,22)». Per vivere questo, aggiunge, non c’è altra via che «leggere e rileggere incessantemente il santo Vangelo per avere sempre dinanzi alla
mente gli atti, le parole, i pensieri di GESÙ, in modo da pensare, agire come GESÙ, e non gli esempi e i modi di fare del mondo, nel quale ricadiamo così in fretta appena stacchiamo gli occhi dal
Modello divino»26.
Con Paolo, fr. Charles sa che «la carità tutto spera» (1Cor 13,7) e dunque spera che i musulmani
22 SD, 83.
23 «Padre amatissimo, mai, mai, mai, permetterò che sia pubblicata qualcosa sotto il mio nome da vivo, e proibirò che
lo si faccia dopo la mia morte… Non sono questi mezzi che ci ha dato GESÙ per continuare l’opera della salvezza del
mondo… I mezzi di cui si è servito al presepio, a Nazaret e sulla croce sono: povertà, abiezione, umiliazione, abbandono, persecuzione, sofferenza, croce39. Ecco le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino che ci chiede di lasciarlo continuare in noi la sua vita, lui l’unico Amante, l’unico sposo, l’unico Salvatore, e anche l’unica Sapienza e l’unica
Verità… Non troveremo meglio di lui, e lui non è invecchiato… Seguiamo questo modello unico40 e siamo sicuri di
fare molto bene perché, da allora in poi, non siamo più noi che viviamo, ma Lui che vive in noi; i nostri atti non sono
più i nostri propri atti, umani e miserabili, ma i suoi, divinamente efficaci», scrive a p. Guérin il 15.01.1908, in una lunga lettera di straordinaria forza, scritta in un momento doloroso di malattia e di privazione dell’Eucarestia (CS, 576-79)
24 LMB, 4.06.1908, 145.
25 LMB, 15.08.1912, 178-179.
26 Lettera famosa del 3 maggio 1912, in Cahiers Charles de Foucauld (1949) n. 14. In un’altra lettera a Hours, visto
che è già anziano e non è disposto a partire in Africa, fr. Charles farà notare che siamo chiamati dovunque ad essere
apostoli: «Bisogna essere, in Francia, missionari, come lo si è in paesi infedeli e questa è opera di noi tutti, ecclesiastici
e laici, uomini e donne» (Lettera del 10.02.1914, ivi, n. 16).
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un giorno, anche lontanissimo, incontreranno Gesù. Ma «per poter fare qualcosa per loro bisogna
santificarsi; si fa del bene nella misura di ciò che si è: preghi dunque per me, caro amico, – scriveva
a de Castries – affinché diventando migliore, possa diventare un umile strumento, un umile operaio
in questa immensa messe»27. Ripete in infiniti modi e sfumature che la salvezza dei musulmani dipende non da ciò che diciamo o facciamo ma da ciò che siamo, e questa è «un’opera di pazienza e
di santità»28. Ciò chesempre urge è la bontà, il dono di sé, la santità, e dunque la qualità del donarsi,
del farsi carne con Gesù.
Senza approfondire altri aspetti del complesso itinerario di Charles de Foucauld, mi preme insistere sulla sua riscoperta dell’Incarnazione e sull’esigenza di farsi testimoni di un Dio che si fa carne per amore, mostrando, con la vita, Chi è questo Dio che ci ama al punto da spogliarsi della sua
onnipotenza per farsi “onnidebolezza” (espressione di Olivier Clement), questo Dio che condivide
in tutto, eccetto il peccato, la fragilità umana.
Tutto questo coincide per lui col vivere Nazaret, un Nazaret inteso non solo come “nascondimento”, ma come vita ordinaria “condivisa” dal basso della terra, per «salvare con Gesù». Ciò vuol
dire non tanto proclamare una dottrina, quanto portare in mezzo agli altri, con la propria vita, una
Persona Vivente e un evento di salvezza, quell’evento inverosimile, inaudito, che sa unire – senza
confusione e senza separazione –, gli estremi opposti di Dio e della terra, dello Spirito e della carne,
della somma Sovranità e dell’infima servitù, della Vita Eterna e della morte.
A tal punto fr. Charles si concentra nel Mistero sempre operante del Dio che si fa carne, che non
trova spazio per altro. Tutto vi collega, anche la dimensione missionaria, che concepisce e pratica
proprio a partire dall’Amore operante di Dio, dall’Amore che è Dio.
Restituisce in tal modo l’apostolato a se stesso, alle sue origini, al dinamismo intrinseco della
fede radicata nell’amore, che è ben altro e ben oltre ogni attività di conquista, di proselitismo, pubblicità, propaganda, suggestione… Sa inoltre per fede che chi dà inizio e compie l’apostolato, la
missione, come dice Paolo, è solo il Signore (cf. 1Cor 3,6-23). Da parte nostra siamo solo poveri
collaboratori, «servi inutili» di Colui che è l’Unico Padrone (Mt 6,24; 9,38; Lc 17,10), ma che è,
come diceva fr. Charles «il Padrone dell’Impossibile»29.
Discepoli
Dopo la morte solitaria, e a causa della morte, nel 1916, del “servo inutile” Charles de Foucauld,
morte avvenuta nell’apparente fallimento e incompiutezza, la pubblicazione della famosa biografia
di René Bazin nel 1921, fa sorgere alcune iniziative ispirate variamente alla sua vita e al suo messaggio.
Tra le prime risalta quella di un prete di Bordeaux, Albert Peyriguère (1883-1959), che dopo un
primo difficile tentativo a Ghardaia, nel Sahara algerino, si trasferisce nel 1927 in Marocco, tra i
berberi di El Kbab, dove rimane tutta la vita. Mentre all’inizio si era ispirato ai Regolamenti scritti
nel 1899-1901 da fr. Charles (e mai da lui pienamente sperimentati), in Marocco segue quanto suggerito dal fratello in un’importante lettera del 1911 al padre trappista Antonin. Si trattava di una lettera destinata espressamente a chi fosse interessato a seguirlo nel deserto, in cui definiva se stesso
come «monaco missionario», presentando, con quest’espressione apparentemente contraddittoria,
una forma di vita che sintetizzasse realmente contemplazione e missione, senza alcun riferimento
alle forme note della vita monastica claustrale da un lato e delle istituzioni missionarie dall’altro.
Come già detto, da quando si era sentito chiamato a vivere Nazaret, fr. Charles aveva intuito che
il suo modo di essere apostolo, o meglio «salvatore con Gesù», sarebbe stato quello intuito accogliendo il mistero dell’Incarnazione, che vedeva manifestato in modo particolare nell’evento della
Visitazione di Maria ad Elisabetta. Guardava questo evento dalla parte di Gesù che, nascosto nel
seno di Maria, con la sua sola presenza fa sussultare il bimbo in seno ad Elisabetta. Non a caso, nei
27 LHC, 16.06.1902, 131.
28 LMB, 26.04.1909, 154.
29 SG, 106.
5
Regolamenti del 1899-1901 per i futuri Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle, e poi nel Direttorio del
1909-1913 per i laici “Priscilla e Aquila”, l’aveva costituita «festa patronale», proprio perché fratelli e sorelle, laici e non, continuassero nella loro vita quel mistero, ossia «santificassero gli altri»
«gridando» Gesù e il Vangelo non con la parola, ma con la vita e l’Eucarestia. Gli eremi-fraternità e
ogni fratello e sorella sarebbero stati come «il seno di Maria» che, gravido di Gesù nascosto, silenziosamente fa sobbalzare i cuori.
P. Peyriguère aveva assunto questo spirito, spirito insieme contemplativo e missionario. Scriveva
tra l’altro nel 1934: «…Il momento in cui mi sento più a fondo missionario nel modo in cui voglio
esserlo, non è quando nel mio dispensario mi circonda la folla degli indigeni … È la notte, nella mia
cappellina, col Cristo che porto in me, per il fatto del mio sacerdozio e del mio cristianesimo. Mi
abbandono a Lui perché in me che mi sono fatto berbero, si faccia berbero Lui stesso e perché diventato berbero a sua volta, in me e per me, preghi e s’immoli per i suoi fratelli e un giorno il Padre
li conduca tutti alla salvezza per suo Figlio. Ecco la mistica profonda del mio apostolato e della mia
vita di ogni giorno»30.
Molti anni dopo, René Voillaume, fondatore nel 1933 dei Piccoli Fratelli di Gesù, con altri quattro fratelli, ricorderà gli anni di ricerca che avevano preceduto la fondazione: «Nessuno, eccetto p.
Peyriguère, riusciva allora a superare le categorie esistenti nella vita religiosa, categorie di fatto, ma
ugualmente sanzionate dal diritto della Chiesa in vigore: tra vita monastica e vita apostolica, bisognava scegliere. Non si potevano mescolare i due tipi di vita senza illusione! Questo era il sentimento generale di quanti avevamo consultato»31. Tant’è vero che la prima fraternità di Piccoli Fratelli, quella di El Abiodh, nel Sud Oranese, ispirata ai Regolamenti del 1899, si voleva monastica,
sebbene aperta all’incontro con gli abitanti del posto e adattata all’ambiente arabo.
Quando, molti anni dopo, ricorderà i primi tempi di El Abiodh, Voillaume non negherà i tentennamenti di quegli anni di fondazione: «Non avendo per dirigerci altro che l’esempio della vita di
fratel Charles di Gesù e i suoi progetti di fondazioni incompiute, abbiamo dovuto, nel corso degli
anni, rifare in qualche modo lo stesso percorso spirituale e le stesse esperienze di vita che fratel
Charles aveva fatto dalla Trappa a Nazaret e da Beni-Abbès a Tamanrasset»32.
Negli anni di gestazione, René Voillaume e i suoi primi compagni avevano consultato anche
Louis Massignon, depositario degli ultimi desideri e degli ultimi scritti di Charles de Foucauld, colui che aveva cercato René Bazin e ottenuto da lui che scrivesse la biografia del fratello del deserto.
Ma Voillaume aveva in mano, grazie ai Padri Bianchi, una copia del Regolamento del 1899 e a
quello voleva restar fedele, mentre Massignon possedeva il manoscritto del Direttorio. Si trattava di
un insieme di norme e consigli spirituali per le Priscilla e gli Aquila, l’associazione di laici avviata
da fr. Charles tra il 1909 e il 1913, un testo parallelo ai Regolamenti, ma semplificato e adattato alla
vita nel mondo. Massignon riuscirà a pubblicare questo Direttorio a sue spese solo nel 1928, dopo
aver atteso a lungo l’imprimatur, ma nel frattempo l’aveva fatto leggere all’amico Maritain, che ne
era rimasto profondamente impressionato.
A sua volta, lo stesso Maritain, ad un giovane intellettuale convertito, André Harlaire, che lo frequentava dalla fine del 1926, scriveva il 31 luglio 1928: «Una vita integralmente contemplativa nel
mondo? In verità, no, non lo credo possibile (…). Se lei deve restare nel mondo, credo che debba
essere con la volontà di lasciarsi divorare dagli altri, non preservando se non la parte (grandissima)
di solitudine necessaria perché Dio faccia di lei qualche cosa di utilmente divorabile… Che cosa rimane dopo questo? L’impressione, l’idea, la speranza che lo Spirito Santo prepari qualche cosa nel
mondo, un’opera d’amore e di contemplazione, che esigerà delle anime tutte abbandonate e immolate proprio in mezzo al mondo»33.
30 Lettera del 16.07.1934 a George Gorrée (uno dei primi cinque Piccoli Fratelli di Gesù nel 1933, ma che presto seguirà un’altra strada), in George Gorrée, Au delà du Père de Foucauld. Le Père Peyriguère, Centurion, Paris 1960, 86-87.
31 Les Fraternités du père de Foucauld, Cerf, Paris 1946, 177.
32 Marcel Launay, René Voillaume, Cerf, Paris 2005, 104.
33 Ivi, 53; cf. Nora Possenti Ghiglia, I tre Maritain, Ancora, Milano 2000, 241. Diventato fratel André, sarà conosciuto
per i suoi studi sull’Islam con lo pseudonimo di Louis Gardet.
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A poco a poco Maritain comprenderà in tutta la sua chiarezza la possibilità di essere contemplativi stando “nel mondo” e sarà lui stesso a coniare l’espressione di “contemplativi per le strade”. Negli anni ’50 scriveva con la moglie Raissa un opuscolo che susciterà sospetti e poi sarà approvato
dall’amico Giovanni Battista Montini, diventato Paolo VI. In quest’opuscolo, intitolato Liturgie et
contemplation, scriveva che il grande bisogno della nostra epoca è proprio quello di «mettere la
contemplazione sulle strade». In questa contemplazione, spiega allora, «la costante attenzione a
Gesù presente e la carità fraterna sono chiamate a svolgere un ruolo maggiore, anche riguardo all’orazione infusa. Noi crediamo che la vocazione di questi contemplativi gettati nel mondo e nella miseria del mondo che sono i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, ha in questo un alto
significato…»34.
In quegli anni, bisogna ricordare, era già apparso il testo di Voillaume Au coeur des masses,
Come loro in Italiano e Maritain, ancora prima della pubblicazione, aveva letto e apprezzato alcuni
degli scritti di Voillaume35.
Tornando agli anni ’20 del secolo scorso, tra altri personaggi che, leggendo la biografia di Bazin,
vollero ispirarsi a Charles de Foucauld, si trova una vedova belga, che, nello stesso anno dei Piccoli
Fratelli di El Abiodh, fondava la Fraternità delle Piccole sorelle del Sacro Cuore, anche lei ispirandosi direttamente ai Regolamenti scritti (e mai sperimentati direttamente) del 1899-1901.
Tre anni dopo, nel 1936, un’insegnante di origine lorena, Madeleine Hutin (1898-1989), dopo
varie dolorose vicende che per anni le avevano impedito di realizzare il suo sogno, partiva per l’Algeria e dopo varie esperienze, nel 1939 pronunciava i primi voti come Piccola Sorella di Gesù. Ma
non era il monastero ad attirare Madeleine. Tanto meno lo stile claustrale adottato allora dalle piccole sorelle del Sacro Cuore, che solo più tardi evolveranno verso un modo di vivere «nascosto» ma
«nel mondo». Ciò che attirava Madeleine era una vita di amicizia gratuita con Dio e con gli esseri
umani più abbandonati, vissuta insieme a loro: contemplativa, ma senza nessun tipo di separazione,
neppure simbolica. Si riferiva, un po’ come p. Peyriguère, non al fratel Charles monaco a Beni-Abbès, ma al fratel Charles di Tamanrasset, che si costruisce una casetta in mattoni crudi, che si fa
amico dei Tuareg, che si lega in tutto e per tutto al loro destino, che si fa «tutto a tutti», Tuareg con
i Tuareg36… Non cominciava perciò in stile monastico, ma dava inizio, in quell’anno 1939, alla prima sua fraternità alla periferia di Touggourt, un’oasi del Sahara, in mezzo ad una poverissima popolazione di origine nomade, alloggiati in capanne di cannicci e rami di palma. Alternava vita sedentaria e vita nomade, andando a soggiornare tra chi ancora viveva sotto le tende, intendendo farsi
«nomade con i nomadi».
Come per fr. Charles la sua vocazione-missione era quella di «dissodare» e voleva sorelle «dissodatrici». Ne parlava come fosse un preparare il terreno ad altri che avrebbero poi seminato, coltivato, raccolto, un po’ nel senso di Nazaret intesa come «vita nascosta» e preparazione della «vita
pubblica». Col tempo si renderà conto che «dissodare», preparare il terreno, è un «lavoro» valido in
sé, un «lavoro», come accennavo sopra, al quale solo il Signore dà inizio e compimento gratuito, oltre ogni nostra possibilità, un «lavoro», una «missione» vissuta in ciò che essa ha di più profondo e
necessario, che è l’essere testimoni viventi di Gesù e del suo Vangelo, l’essere intercessori, il «fare
la verità» per venire alla luce e portare luce (Gv 3,21), il rendere testimonianza alla verità (Gv
5,33; 18,37), il camminare nella verità (2Gv 1,4), anche tacendo…
La via che tracciava alle sorelle, quella di Gesù di Nazaret e di fratel Charles, era la via del farsi
umane e cristiane: «Prima di essere religiose, siate cristiane. Abbiate le virtù semplicemente umane
34 Lyturgie et contemplation, Desclée de Brouwer, Bruges 1959, 76-78.
35 Marcel Launay, opera citata, 151.
36 Un altro modello guidava Madeleine, ed era il modello dell’Azione Cattolica così come si era venuta configurando
in Francia negli anni 1920, in particolare quello della J.O.C. (jeunesse ouvrière chrétienne) fondata dal prete belga e futuro cardinale Joseph Cardijn nel 1925 e diffusa in Francia fin dal 1926 per iniziativa di un altro prete, George Guérin.
Era l’apostolato del «simile con il simile», dell’«ambiente con l’ambiente». Lo seguirà più da vicino quando inizieranno le “fraternità operaie”.
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di ospitalità e di carità… E soltanto dopo, aggiungete le virtù della vita religiosa»37. «Siamo fatte
per mescolarci alla folla, come Gesù sulle strade di Galilea… Prima del silenzio del ritiro, c’è il
grande comandamento della carità. Di grazia, siate cristiane e umane prima di essere religiose...»38.
«Gesù si è riposato con gioia nella casa amica di Betania, dopo i suoi lunghi giri. Si è lasciato confortare umanamente. È questa la nostra via: essere umane il più divinamente possibile e essere religiose il più umanamente possibile...»39. E ancora: «… vorrei trasmettere alle mie piccole sorelle il
mio grande ideale di santità umana. Vorrei che fissassero gli occhi e il cuore sulla vita semplice di
Gesù per toglier loro una volta per tutte il gusto dello straordinario, se non è dello straordinariamente semplice, dove non ci può essere ricerca di sé perché niente colpisce l’immaginazione»40.
Nel 1945, finita la guerra, direttamente impegnata nella fondazione di piccole fraternità, p.s.
Magdeleine scrivava di getto un messaggio indirizzato «A tutte quelle che il nostro ideale attira,
alle piccole sorelle e alle future piccole sorelle della Fraternità». Il III cap., quello centrale, s’intitolava: «Il Lievito nella pasta. Questo è il mio testamento».
Senza giudicare ambienti e istituti religiosi tradizionali, era cosciente della novità proposta. «Hai
un Modello unico: Gesù. – scriveva tra l’altro nel Testamento, completato nel 1952 e aggiornato rispetto all’immersione ormai avvenuta nella realtà operaia – Non cercarne altri. Come Gesù durante
la sua vita umana, fatti tutta a tutti (1Cor 9,22), araba in mezzo agli arabi, nomade in mezzo ai nomadi, operaia in mezzo agli operai, ma prima di tutto umana in mezzo agli esseri umani. Non ti credere obbligata, per salvaguardare la tua dignità religiosa e la tua vita di intimità con Dio contro i pericoli esterni, a drizzare una barriera fra il mondo laico e te. Non ti mettere ai margini della massa
umana… Prima di essere religiosa, sii umana e cristiana in tutta la forza e la bellezza del termine…
E se te lo ripeto con tanta forza, è soprattutto perché ho davanti agli occhi il Modello Unico, Gesù,
Dio fatto uomo che, in mezzo a tutti gli esseri umani è stato semplicemente uno di loro, vivendo con
amore la sua vita umana. Oseremmo dire che facciamo meglio facendo diversamente dal Modello
divino, Gesù?…»41.
Di nuovo tornava il centro della fede e dell’esperienza cristiana, il Dio-carne e il farsi carne
come Lui, in Lui e a causa di Lui.
Nel 1944, ancora in piena guerra, p.s. Magdeleine aveva raggiunto avventurosamente Roma per
presentare direttamente a Pio XII le Costituzioni della nuova congregazione e soprattutto per supplicarlo di accordarle «la povertà di Gesù di Nazareth», ossia «di poter vivere della povertà di un povero artigiano, che ha la sua casa, il suo orto, i suoi strumenti di lavoro, ma senza doti né rendite».
Tornava a Roma con una seconda supplica il 21 giugno 1947 per chiedere che i responsabili della
congregazione De Propaganda Fide «ci lascino la gioia della fiducia e dell’abbandono…, che in
mezzo agli operai e ai poveri che hanno l’angoscia dell’avvenire, noi non siamo quelle che hanno
un posto sicuro…»42. Insisteva, in una terza supplica, l’11 luglio 1948, che vivere giorno per giorno
del lavoro operaio ed essere alloggiate anche in una baracca di borgata a Roma, non era disonorante, l’unico onore essendo quello di «seguire fedelmente le orme di Gesù»43.
Bisogna dire che, con l’apertura del Noviziato in una casa della diocesi di Aix-en-Provence, i bisogni erano aumentati. Per restare “povere” dal punto di vista sociale, occorreva lavorare e lavorare
come una famiglia operaia, con un lavoro salariato. Nasceva così, nella primavera 1946, semplicemente, naturalmente, quello che ricordavo all’inizio, la prima “fraternità operaia” ad Aix, con l’accordo del nuovo arcivescovo, Charles de Provenchères.
37 Lettera del 15.07.1942, in GPS, 1° vol., 95-96.
38 Lettera del 22.7.1942, in GPS, 1° vol., 99.
39 Lettera del 18.5.1943, in GPS, 1° vol.,131.
40 Lettera del 30.11.1943, in GPS,1° vol., 139-40.
41 BV, 14-16, ed. ital. 1957.
42 DS, 358-59.
43 DS, 361.
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Esistevano già i preti operai della Mission de Paris, e anche singoli religiosi avevano già un permesso personale per lavorare all’esterno, come p. Loew, domenicano. C’erano stati poi i preti che,
per assistere i loro connazionali obbligati a partire in Germania ai lavori forzati, si erano offerti di
andare a lavorare con loro senza farsi riconoscere come preti. Ma qui, per le piccole sorelle di Gesù,
si trattava di assumere stabilmente un metodo, uno stile di vita per un’intera congregazione, che per
di più aveva la pretesa di presentarsi come “contemplativa”.
Da parte loro anche i fratelli, dopo gli anni di El Abiodh, avevano sperimentato la mobilitazione
della guerra. In Francia i religiosi non erano esentati dal servizio militare e ad El Abiodherano rimasti i pochi fratelli riformati per cause di salute. Era stato richiamato, come interprete d’arabo, anche
p. Voillaume. In forme diverse, tutti erano rimasti coinvolti da quell’immane tragedia umana. Ed è
anche questo che li condusse a maturare una rilettura di Nazaret e la condivisione di vita.
In ogni caso, quando sia sorelle sia fratelli si accostarono al mondo del lavoro salariato, ciò a cui
tenevano e che li distingueva dai preti operai era il loro porsi come contemplativi. D’altra parte non
avevano più i connotati esterni della vita monastica contemplativa tradizionalmente claustrale. È ciò
che rendeva perplessi gli osservatori.
Per quanto riguarda le sorelle, che vivessero nel mondo operaio oppure fra i nomadi del deserto,
ciò che Magdeleine viveva e intendeva trasmettere loro questo: immergersi nel cammino umano,
anche il più faticoso, non allontana dal Dio di Gesù, anzi avvicina, ci rende persino più fedeli a Lui
e al suo farsi ultimo fra gli ultimi.
Il “come loro” di Magdeleine e di René Voillaume
P.s. Magdeleine e padre Voillaume, con storie diverse alle spalle e con fondazioni autonome, si
ritrovano vicini a partire dall’ottobre 1944, quando mons. Mercier, prefetto apostolico e poi vescovo
del Sahara, li invitava a collaborare e anzi sollecitava il padre a diventare responsabile della formazione spirituale delle sorelle. È innegabile l’influenza che da quel momento in poi, con l’audacia
delle sue intuizioni, ebbe p.s. Magdeleine su Voillaume, divenuto suo padre spirituale, una guida
che a volte si trovò guidata, o per lo meno rinvigorita di fronte a decisioni per lo più inedite. Quello
che p.s. Magdeleine afferrava, col suo essere donna e con l’immediatezza dell’intuizione spirituale,
il padre, lo raggiungeva più lentamente, con la riflessione ponderata e lo studio. Voillaume era più
giovane, ma aveva un’approfondita preparazione teologica, oltre ad una saggezza, che rassicuravano Magdeleine, che non aveva fatto studi specificamente teologici. Lei andava più in fretta e soffriva nel non trovare subito le conferme che cercava, tanto più che il padre continuava ad essere più
ancorato allo stile monastico, mentre lei fin da principio cercava una «vita contemplativa nel cuore
del mondo», senza grate, senza mura di separazione. C’era però sempre il momento in cui i due,
«agganciati allo stesso giogo»44 riuscivano a ritrovarsi e a rimettersi insieme al passo del Signore
Gesù.
Nel suo ultimo libro, citato sopra, Voillaume confessa serenamente come la «figlia spirituale»
l’abbia aiutato a comprendere come una «vita contemplativa» possa essere autentica anche «au
coeur des masses», in condizioni ritenute poco confacenti al silenzio e alla preghiera45. «Padre, dica
che ci sono dei rischi, dica che ci sono difficoltà, – gli dichiarava con forza – ma non si arrenda, la
supplico. Hanno tutti gli occhi puntati su di lei. È la prima volta che una forma di vita così in contatto col mondo può essere nello stesso tempo autenticamente e profondamente contemplativa. Se viene meno lei, trascina tutti gli altri nel suo sbaglio. La vita contemplativa, l’ha detto, è una vita di
amicizia con la Persona di Gesù, è una vita interiore molto più profonda, in contatto stesso con Dio.
Perché questa amicizia, perché questo contatto non potrebbero coesistere con un richiamo delle persone, addirittura con un richiamo delle folle?...»46.
Si è visto già come fosse stata lei per prima a dare inizio, fin dall’aprile 1946, alla prima “frater44 Lettera del 19.7.1949.
45 Cf. p. 366 e ss.
46 Lettera del 24.8.1947.
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nità operaia”. Contemporaneamente, nella Pasqua 1946, p. Voillaume scriveva ai fratelli studenti a
Tolosa chiedendo loro di abbandonare la “gandurah” sahariana, di mettersi in borghese e di approfittare delle vacanze estive per trovare alloggio ad Aix-en-Provence per la prima fraternità operaia.
Lui stesso, dalla primavera 1947, si sarebbe trasferito ad Aix per lavorare temporaneamente come
operaio edile47.
Questo primo esperimento di “fraternità operaia” delle sorelle, attuato per motivi di povertà, unito alle attese di alcune postulanti che guardavano oltre al deserto e al mondo musulmano, aprirà presto Magdeleine ad orizzonti più ampi. Quasi contro la sua volontà, il 26 luglio 1946, camminando
per strada di ritorno da un ritiro alla Sainte Baume, una «luce» le imponeva improvvisamente di
aprire la Fraternità al mondo intero: «È stato per me il sacrificio di un’idea che mi era carissima: la
consacrazione esclusiva alle popolazioni dell’Islam. Ne resto un momento interdetta, ma nello stesso tempo certa della Volontà del Signore. Non esito un minuto a comunicarlo a padre Voillaume, a
mons. Mercier, a mons. de Povenchères...»48.
Certo, p.s.Magdeleine non dimenticò le origini nel deserto e il rapporto privilegiato con l’Islam.
Il deserto e l’Islam segneranno le Fraternità, anche nel loro porsi concretamente nella chiesa e nel
mondo. La nudità e la verità del deserto, la gratuità dello stare con i musulmani diventeranno in un
certo senso il criterio dell’esistere con gli altri in condivisione di vita, senza opere o ruoli o «attività
apostoliche» organizzate e sempre nella gratuità, nell’abbandono al Padre in Cristo Gesù, Via unica
di salvezza per tutti. Anche attualmente, non solo manteniamo tutte un’attenzione particolare verso
l’Islam, ma molte delle nostre fraternità sono realmente inserite in paesi musulmani: dai paesi del
Maghreb a quelli del Vicino e Medio Oriente, compresi Palestina, Siria, Iraq, Iran e Afganistan.
Quello che è stato lo spirito delle origini, lo spirito di Nazaret, lo spirito d’incarnazione silenziosa,
lo spirito di visitazione e di lievito nella pasta, ci caratterizza dovunque siamo, e, sempre nella gratuità, ci permette di rimanere anche nei luoghi dove le fratture e le contraddizioni sono più grandi,
dove dilaga la violenza, dove a volte il dialogo è interrotto o sembra del tutto impraticabile.
Certo, sia a livello personale che di comunità, non è sempre facile né chiaro come realizzare
un’autentica sintesi tra vita contemplativa e compagnia di vita, quando questa compagnia di vita richiede di impegnarsi, di prendere posizione, di rispondere a bisogni urgenti… È inevitabile che a
volte, a seconda delle situazioni, dei temperamenti, delle età, oscilliamo ora più in un senso ora più
in un altro. Non ci sono certezze prestabilite, all’infuori del fatto che abbiamo «perduto il cuore per
Gesù di Nazaret» come fr. Charles e, poiché Lui è il Dio-umano, tutto ciò che è umano e tutto ciò
che ci può rendere più umani ci appassiona…. In questo senso ci è chiesto un discernimento continuo per essere ed agire secondo il Vangelo, intercedendo ogni giorno perché si ricompongano i rapporti della convivenza «nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà», come affermava Giovanni
XXIII nella Pacem in terris.
Per concludere
Tornando al p. Voillaume, vale la pena rilevare che, senza p.s. Magdeleine e le sue sollecitazioni,
forse non avremmo avuto, alla fine del 1950, la pubblicazione di Au coeur des masses, Come loro,
che raccoglieva conferenze e lettere del padre a fratelli e sorelle. «Padre, – gli scriveva – non sono
che una piccola sorella, una donna, e le donne non sono sempre ascoltate. Lei ha un aspetto di ragionevolezza e di calma che io no ho. Non si tiri indietro. Le assicuro che è lei che aspettano, perché quel che dico io, così poveramente, lei lo esprime con tutto il peso della sua scienza. Mi permetta già di far conoscere qualche sua conferenza, qualche sua meditazione, e poi scriva ancora...»49.
Au coeur des masses, Come loro, non solo ebbe un’immediata, imprevedibile, ripercussione, ma
divenne ben presto un “classico” della spiritualità. E si sa come, per l’edizione italiana mons. Mon47 Cf. Launay, cit., cap. VIII, Du desert au mondevdu travail, 122 e ss.
48 Diario 26.97.1946.
49 Lettera del 9.11.1949.
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tini, che conosceva bene Maritain, Massignon e aveva incontrato Voillaume nel 1947 a Roma, avesse preparato una prefazione, che non osò poi dare alle stampe ritenendola inadeguata e verrà ritrovata fra i suoi scritti dopo la morte.
In quel libro non appariva una lettera degli inizi del 1950. È con qualche brano di questa che vorrei concludere.
«…Non cerchiamo di definire l’ideale del piccolo fratello se non in riferimento a Gesù di Nazaret e a quello che Egli attende da noi. Perché chiedersi se siamo “monaci”, “contemplativi”, “apostolici”, “attivi” o “monaci missionari”? Questa classificazione non apparirà vana di fronte a un
ideale semplice e concreto e che sarà ben chiaro ad ognuno di noi, se sappiamo guardare, con occhi
di bimbi pieni d’amore, Gesù che vive in mezzo agli umani nella povertà, nel lavoro, nella disponibilità non calcolata agli altri? Diversamente finiremmo in ottusità, in mancanze d’amore e magari in
un formalismo morto….
Guardate Gesù… Il mondo non ha bisogno che gli presentiamo una nuova formula di vita…; la
gente che muore di fame e di sete perché è lontana da Colui che è la Vita, vuole una presenza di
Vita: cercano inconsciamente Gesù, una persona, una persona divina che è l’Amore incarnato, e la
cercano in noi: non è affatto la realizzazione perfetta d’un” ideale di vita” che cercano. (…)
Ovunque siano uomini e donne che soffrono e si angustiano, ovunque Gesù non è conosciuto abbastanza, lì possono e devono vivere delle fraternità. Non bisognerà mai dire: in mezzo a tal popolo
non può essere stabilita una fraternità… Non è possibile che Gesù non possa irradiare il suo mistero
di Nazaret in tutti gli ambienti, qualunque essi siano. Bisogna dire invece che i piccoli fratelli possono portare dappertutto il loro messaggio di povertà, di preghiera e d’amore. Nelle forme più diverse e più imprevedibili. (…)
È una cosa troppo grande avere come missione di rendere presente con la nostra vita nel mondo
il Vangelo di Gesù, le sue beatitudini e il suo amore d’amicizia per i poveri…
Non definite niente, ma vivete: saprete più facilmente quello che dovrete vivere guardando Gesù,
come lo guardava fr. Charles. (…)
Con che diritto vorreste, su pretesto di vita nascosta, e forse per un ritiro volontario, impedire a
chi vacilla di dirigersi verso la vostra luce e riscaldarsi all’Amore di Gesù che è in voi?
Tutto questo non vi appartiene. Agiamo troppo spesso come fossimo proprietari. Gesù vuole che
siate luce del mondo, sale della terra, lievito nella pasta. E, intendete bene, Egli vi vuole luce, sale,
lievito ed è “essere” tutto questo, non agire. Tutto il vostro desiderio, tutto il vostro lavoro è di essere talmente uniti a Gesù, da diventare luce, sale, lievito con Lui. Il resto non vi appartiene…»50.
50 Lettera ai fratelli del 23 febbraio 1950 da Béni-Abbès (Documenti interni alle fraternità).
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SIGLE
Scritti di Charles de Foucauld:
CBA
CS
CT
LAL
LHC
LMB
LVN
RD
SD
SG
Carnet de Beni Abbès, Nouvelle Cité, Paris 1993
Correspondances Sahariennes, Cerf, Paris 1998
Carnet de Tamanrasset, Nouvelle Cité, Paris 1989
Lettere a un amico di Liceo, Città Nuova, Roma 1985
Lettres a Henry de Castries, Grasset, Paris 1938
Lettere a Mme de Bondy, AVE, Roma 1966.
La vita nascosta. Ritiri in Terra Santa (1897-1900), Città Nuova, Roma 1974.
Règlements et Directoire, Nouvelle Cité, Montrouge 1995.
Solitudine con Dio. Ritiri per le ordinazioni e nel Sahara (1900-1909), Città Nuova, Roma 1975.
Lo Spirito di Gesù, Città Nuova, Roma 1978.
Altri autori:
B
BV
DS
GPS
René Bazin, Charles de Foucauld explorateur du Maroc ermite au Sahara, Nouvelle Cité,
Montrouge 2003.
Bollettino Verde, fascicolo interno alla Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù.
Piccola Sorella Magdeleine di Gesù, Dal Sahara al mondo intero, Città Nuova, Roma 1993.
Magdeleine di Gesù, Gesù per le strade, 2 vol., PIEMME, Casale Monferrato 2000.
12
Appendice…
Mi piace fare un salto di oltre trent’anni da quel Come loro, per riportare un breve estratto della
testimonianza di Dominique Voillaume, fratello minore di René, diventato anche lui piccolo fratello nel 1942, che visse gli ultimi anni di vita lavorando come operaio nel cuore di Parigi e morì d’infarto, sessantenne, in un turno di notte, nella fabbrica dove lavorava. Quasi prevedendo la prossima
morte, aveva scritto un lungo diario ai fratelli, raccontando la sua vocazione e la sua storia, e un’altra lettera, più personale, a Voillaume e agli altri membri della famiglia. Dal diario rileggo questo
breve brano quasi a conferma di cosa significhi pregare, contemplare, intercedere, anche oggi e anche tra le folle delle nostre metropoli occidentali.
«…Avendo noie serie dal lato respiratorio, mi sono dovuto sedere su una panchina della stazione
della metro per un tempo più o meno lungo prima di poter continuare il cammino. È una nuova forma di povertà da portare in pubblico. La gente ha buon cuore, si vede dallo sguardo.
Un gruppo di giovani che discutono fumando s’interessa e uno di loro mi propone una sigaretta
contenuta in un pacchetto con caratteri arabi. Sono sigarette medicinali vendute su ricetta, che aiutano un po’ perché si tratta di uno stupefacente utilizzato in certe forme di enfisema. Gli chiedo a cosa
serve e mi spiega che mischiato ad altri prodotti diventa droga.
Gli chiedo se ha un lavoro e mi risponde di no. Gli propongo di venire a lavare i vetri degli uffici
della mia fabbrica, perché cercano dei lavatori esterni. Do loro l’indirizzo, ma non sono più venuti.
Vedendo questi ragazzi, penso ai milioni che errano alla ricerca di un ideale e di un pastore.
Uscendo dai licei dove hanno conosciuto tutto troppo presto senza contare che la formazione intellettuale e filosofica in particolare li porta a rimettere tutto in discussione e a non credere a una verità
possibile. Allora è l’evasione con tutti i mezzi. Cosa saranno fra qualche anno? Quando ho pronunciato i voti perpetui a Roma nelle catacombe, cappella dei papi, avevo offerto la vita per i giovani in
ricerca… Do fiducia al Signore che ha detto che non è venuto per i sani ma per i malati, e che susciterà quel che è necessario e adatto. Penso in particolare allo Spirito Santo col quale dobbiamo
avere un’amicizia personale perché è davvero una Persona, è la Luce e la preghiera. È la guarigione.
Guardando la gente della metro e i viaggiatori accalcati nei vagoni che passano dalla luce delle stazioni all’oscurità dei tunnel, come nella vita, il Signore mi ha fatto comprendere che i miei fratelli si
trovavano lì, che ero uno di loro, membro di questa umanità in cammino verso di Lui. Che non ero
stato paracadutato tra loro come un estraneo, ma scelto tra loro come interlocutore per parlare a
nome loro. Scoprire d’un tratto il senso vero della parola fratello. Osservare i loro volti, cercare rapidamente di comprenderli, di conoscere la loro nazionalità, il loro carattere, chiedere per ognuno
quello che sembra essergli necessario e unirli al loro Padre e loro Dio. Ho sempre amato osservare i
volti, ma questa volta era nuovo nella ricerca e nello scopo. Si stabilisce un legame con ciascuno,
con quel vecchio prossimo alla fine, con quella ragazza che sembra fragile e che bisogna affidare
alla Vergine. Fin dal tempo di guerra cercavo di veder chiaro in ciò a cui aspiravo e che permette
una certa unità di vita. Dio è lì con loro in questi corridoi, in questi vagoni, sul marciapiede…»51.
51 Dominique Voillaume (1913-1976), lettera circolare del 1975, documento interno dei Piccoli Fratelli di Gesù.
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Come loro – Da Charles de Foucauld ai suoi