ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA
in collaborazione con
Pinacoteca nazionale di Bologna
Museo del Risorgimento di Bologna
Biblioteca comunale dell’Archiginnasio
Fondo per l’ambiente italiano – Delegazione di Bologna
“In mezzo alla folla è il Pepoli”
Il marchese Gioacchino Napoleone
nel Risorgimento nazionale
Mostra documentaria a cura di Salvatore Alongi, Francesca Boris,
Giorgio Marcon, Francesco Nicita e Diana Tura
Progetto grafico di Valentina Gabusi
CATALOGO GENERALE
INTRODUZIONE
A 150 anni di distanza dalla proclamazione del Regno d’Italia e a 130 dalla
scomparsa del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli (1825-1881), questo
protagonista del Risorgimento torna all’attenzione della comunità scientifica
grazie all’acquisto e all’inventariazione, da parte dell’Amministrazione
archivistica, del suo fondo personale, oggi conservato presso l’Archivio di
Stato di Bologna.
In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio l’Archivio di Stato
intende far conoscere anche a un pubblico più vasto questa importante
documentazione attraverso una mostra allestita nella sala dell’antica
biblioteca.
Principale filo conduttore dell’esposizione è la vicenda politica del Pepoli, uno
dei protagonisti dell’epopea risorgimentale bolognese, dai moti del 1848 fino
al compimento dell’indipendenza delle Romagne nel 1859 e alla loro
annessione al Regno di Sardegna nel 1860.
Il percorso che portò la città e il territorio di Bologna nello “Stato nuovo” è
così ricostruito alla luce delle principali tappe della storia politica del
marchese attraverso i documenti del suo fondo personale, affiancati da
ulteriori testimonianze coeve che aiutano a esporre, chiarire, confermare o
smentire gli aspetti più significativi: pubblicazioni, manifesti, giornali, cimeli
(sezioni “Il Quarantotto” e “L’Unità”).
Un’attenzione particolare viene dedicata anche alla storia dell’importante
famiglia patrizia dei Pepoli e al contesto culturale nel quale visse e si formò il
giovane Gioacchino Napoleone (sezione “Le premesse”). A compimento del
1
percorso è presentata una scelta di opuscoli celebrativi degli anniversari
risorgimentali (sezione “Le celebrazioni”).
LE PREMESSE
1. I PEPOLI A BOLOGNA E IN EUROPA
Gli storici del ‘600 facevano risalire le origini della famiglia Pepoli a
personaggi famosi del X o XI secolo: si trattava di ipotesi fantasiose,
finalizzate a esaltare il prestigio familiare. La casata, che alcuni studiosi
recenti considerano di provenienza romagnola, sembrerebbe documentata in
città già nell’ultimo decennio dell’XI secolo e nel secolo successivo. Ma le
prime attestazioni certe di membri della famiglia risalgono al ‘200 e si
trovano per lo più in documenti notarili scritti su pergamena. Fra questi il
testamento di Zerra di Romeo (1) che già nel 1251 conferma la presenza dei
Pepoli in via Castiglione, zona in cui il famoso Romeo acquistò il primo
nucleo immobiliare su cui poi il figlio Taddeo avrebbe fatto costruire nella
prima metà del XIV secolo la prestigiosa residenza familiare.
Sin dalle prime generazioni i Pepoli avevano esercitato l’arte del cambio e
avevano assunto come insegna lo “scacchese”, raffigurante la tavola a
scacchi bianchi e neri utilizzata per rapidi conteggi sul rapporto fra monete
diverse.
Nel corso del ‘200 molti esponenti della famiglia ricoprirono cariche nelle
magistrature comunali ed ebbero ruoli nella scena politica della città,
mantenendo sempre la loro fedeltà alla Chiesa e scontrandosi per questo con
le maggiori famiglie ghibelline di Bologna. Alcuni membri della famiglia
furono protagonisti della vita economica bolognese: fra questi Romeo, che
con la sua attività di banchiere aveva contribuito in maniera significativa
all’incremento patrimoniale della famiglia (2).
Dai primi anni del ‘300 Romeo ebbe anche l’autorità, se non il titolo, di
signore di Bologna, accumulando, pur nel rispetto delle istituzioni cittadine,
un forte potere politico ed economico, tanto da essere ritenuto uno degli
uomini più ricchi e potenti dell’Italia del XIV secolo. Questo eccessivo potere
lo fece scontrare con altre famiglie bolognesi che, coalizzatesi, lo costrinsero
nel 1321 ad abbandonare la città con tutta la famiglia.
Rientrati i Pepoli nel 1327, Taddeo (3) divenne nel 1337 signore di Bologna,
acquisendo in seguito anche il titolo di vicario pontificio. Taddeo fu anche un
personaggio di spicco nella storia italiana del ‘300: dottore in diritto civile e
canonico e contrario alla violenza, svolse il ruolo di moderatore delle tensioni
cittadine, conquistando la devozione dei bolognesi, attestata dalla solenne
sepoltura in San Domenico e dalle decorazioni araldiche della splendida
miniatura del Maestro del 1346 (4) che gli rende omaggio per il periodo di
pace e tranquillità che aveva saputo donare a Bologna.
Alla morte di Taddeo, la signoria passò ai figli Giovanni e Giacomo, che
ressero la città fino al 1350, anno in cui iniziarono le signorie forestiere. Da
2
allora i Pepoli non furono mai più signori di Bologna, pur rimanendo sempre
presenti nelle più alte magistrature cittadine.
In età moderna, i Pepoli si ramificarono in alcune linee principali, tutte
derivanti dai figli di Guido di Romeo, discendente da Giovanni signore di
Bologna: il ramo dei legittimati (linea di Filippo), il ramo comitale e il ramo
marchionale (linea di Girolamo). Di entrambe le linee abbiamo una
documentazione archivistica vasta e antica: gli archivi della linea di Filippo
sono conservati alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, quelli della linea
di Girolamo in Archivio di Stato. Questi ultimi sono giunti in Archivio di
Stato tramite gli eredi di Gioacchino Napoleone Pepoli.
I tre rami continuarono ad abitare vicini, anche quando fu costruito, nel
Seicento, il Palazzo nuovo davanti a quello vecchio in strada Castiglione (57), e a comportarsi da grande clan come ai tempi della loro attività di
cambiatori. Molti Pepoli furono senatori di Bologna, in una linea e nell’altra.
Il ramo comitale e il ramo marchionale, i cui beni si sarebbero riuniti
nell’Ottocento proprio in Gioacchino, condividevano la gestione del feudo di
Castiglione, concesso dall’imperatore Carlo IV nel 1369 (8). Ma i Pepoli
avevano molte altre proprietà, nel modenese, nel ferrarese e in Romagna,
vantavano due marchesati e titoli di nobiltà veneziana e romana (9-10), si
consideravano sudditi dell’Impero (11) e molto poco dello Stato pontificio, in
contrasto netto con la loro tendenza guelfa in età medievale.
Il forte senso di coesione familiare, l’arroganza del loro passato di signori
della città, la tendenza alle imprese militari e alle risse cittadine, persino uno
stato di tensione e di polemica antiromana e anticuriale, furono
caratteristiche costanti delle varie linee durante i secoli XVI-XVIII. Ma ci
furono anche carriere e viaggi all’estero, come quello in Inghilterra narrato
dal marchese Giovanni Paolo nel suo diario (12), o il mecenatismo del conte
Sicinio, grande imprenditore di musica operistica e consigliere imperiale
(14). Il marchese Giuseppe (15), all’inizio dell’800, ereditò i beni del ramo
comitale che sarebbero poi passati a Gioacchino Napoleone Pepoli.
Alcuni personaggi si distinsero in simpatie per il riformismo illuministico e
contatti con élites straniere, una tradizione che doveva saldarsi nel
matrimonio di Guido Taddeo, il padre di Gioacchino, con Letizia Murat, la
figlia dell’ex re di Napoli Gioacchino Murat e di Carolina, sorella di Napoleone
I.
L’alleanza matrimoniale fra i Pepoli e i Bonaparte segna il punto d’incontro
fra la storia dell’antica e orgogliosa famiglia bolognese e l’ideale napoleonicorivoluzionario, che sembrano entrambi una premessa: di quelli che saranno,
in età risorgimentale, il fervido patriottismo e gli ideali sociali di Gioacchino
Napoleone Pepoli.
1. Testamento di Zerra di Romeo Pepoli, rogato da Rolandino Passeggeri,
8 ottobre 1251. Uno dei documenti più antichi relativi alla famiglia
Pepoli, ci attesta che a quest’epoca i Pepoli abitavano già in strada
3
Castiglione, dove sorgerà il primo palazzo di famiglia (San Francesco,
335/5078, n. 9)
2. Estimo di Romeo Pepoli e altri membri della famiglia, 1315. Contiene
le denunce delle proprietà mobiliari e immobiliari dei Pepoli ed è la
testimonianza di un forte incremento del patrimonio familiare rispetto
alla fine del secolo precedente (Comune, Ufficio dei Riformatori degli
Estimi, serie II, busta 161)
3. Ritratto di Taddeo Pepoli (tratto da Nelle auspicatissime nozze del n.u.
marchese Gioachino Napoleone Pepoli con Federica Guglielmina
principessa di Hohenzollern Sigmaringen. Dettato italiano del dottor
Salvatore Muzzi colla versione tedesca dell’avvocato Enrico Facci,
Bologna, Tipografia Sassi nelle Spaderie, [1844]) (Collezione privata
Rosati Pepoli)
4. Statuto della società dei Drappieri, 1346. Questo prezioso codice,
redatto e miniato negli anni della signoria di Taddeo Pepoli, dimostra
l’importanza politica assunta dalla famiglia nel contesto cittadino,
attraverso le scelte iconografiche: stemmi e cimieri dei Pepoli, una
scena che rende omaggio alla cultura giuridica di Taddeo (Comune,
Capitano del Popolo, Società d’arti e d’armi, busta VII)
5. Palazzi Pepoli in via Castiglione (Pepoli, Mappe, piante e disegni,
cartella I, secolo XVII)
6. Rappresentazione di Palazzo Pepoli Campogrande (Anziani Consoli,
Insignia, vol. XI, 1700)
7. Rappresentazione di Palazzo Pepoli Campogrande (Anziani Consoli,
Insignia, vol. XI, 1710)
8. Pianta di Castiglione dei Pepoli (Pepoli, Mappe, piante e disegni,
cartella III)
9. Concessione di privilegio della nobiltà veneta ai membri della famiglia
Pepoli, 1686. Le concessioni di cittadinanza e nobiltà venivano
rinnovate ai vari discendenti e conservate come prove del prestigio
familiare (Pepoli, Storia genealogia nobiltà)
10.
Concessione di privilegio della cittadinanza romana a Cornelio
Pepoli, 1691. Il registro è rilegato in cuoio dorato con nastri di seta e
un sigillo pendente racchiuso in una teca argentea con l’impressione
dello scacchese, emblema di famiglia (Pepoli, Storia genealogia nobiltà)
11.
Rinnovi dell’investitura del feudo di Castiglione, secolo XVIII. I
Pepoli richiedevano periodicamente agli imperatori del Sacro Romano
Impero il rinnovo della investitura del feudo di Castiglione, la quale
veniva concessa in forma solenne, corredata da sigilli in cera o in
metallo dorato (Pepoli, Feudo di Castiglione)
Diario di Giovanni Paolo Pepoli, 1707. Il marchese Giovanni
12.
Paolo Pepoli (1667-1748) ha lasciato un diario in più volumi, in cui
ricorda vicende familiari e cittadine e narra fra l’altro un suo viaggio in
Inghilterra nel 1707 al seguito di un’ambasceria veneziana (Pepoli,
Storia genealogia nobiltà)
13.
Menù di un banchetto offerto dal conte Sicinio Pepoli, nella sua
funzione di tesoriere della magistratura cittadina degli Anziani Consoli,
1717, particolare (Pepoli, Amministrazione)
4
14.
Carlo Broschi Farinelli a Sicinio Pepoli, 1731. Il conte Sicinio fu
grande mecenate degli artisti dell’opera teatrale italiana. In questa
lettera il più celebre dei cantanti castrati del Settecento, Farinelli, si
congratula affettuosamente con il conte per la nascita del suo unico
figlio maschio, Odoardo, che sarà anche l’ultimo del ramo comitale
della famiglia (Pepoli, Carteggi)
15.
Ritratto
di
Giuseppe
Pepoli
(Biblioteca
comunale
dell’Archiginnasio [d’ora in poi BCA], collezione dei ritratti, A/45, cart.
74, n. 1)
2. CARLO PEPOLI E LA RIVOLUZIONE DEL 1831
Il conte Carlo Pepoli (16) nacque il 22 luglio 1796 da una delle più antiche e
nobili famiglie bolognesi. Si distinse, fin dall’età giovanile, come poeta,
letterato e uomo politico. Perfezionò i suoi studi anche nel campo filosofico e
filologico orientandoli nel senso di un impegno ideologico, costantemente
inscritto
nell’orizzonte
del
Risorgimento
italiano.
Fu
presidente
dell’Accademia dei Felsinei, dove incontrò Giacomo Leopardi con cui stabilì
un profondo rapporto d’amicizia, suggellato dalla leopardiana epistola in
versi indirizzata al conte bolognese e letta presso la stessa Accademia il
giorno 27 marzo 1826.
Nel poemetto L’Eremo. Versi di Carlo Pepoli in morte di Livia Strocchi –
apparso nel 1828 (17), il cui primo abbozzo fu inviato alla contessa Teresa
Carniani Malvezzi (18-19) – l’autore concluderà il testo con un preciso
riferimento leopardiano (attinto dalla suddetta epistola in versi) alla vita
come ozio, puntualmente segnalato in nota: «Tra le mestissime poesie di G.
Leopardi vi è una Epistola a Carlo Pepoli, ove si canta, come tornando oziose
e vane tutte le cure poste dall’uomo a rinvenire la felicità, si può chiamare
un vero ozio l’intera vita». I rapporti con Leopardi, furono ricostruiti dal
Pepoli, a distanza di anni, nel I volumetto delle Ricordanze biografiche, 1881,
corredato del carteggio leopardiano.
Coinvolto nei moti bolognesi del 1831-32, in opposizione allo Stato Pontificio
– il suo nome appare nel Libro dei compromessi politici (21) entro una lista
che si aggira intorno a 1.800 persone e che indica anche le qualifiche
professionali dei soggetti coinvolti (e ciò configura un coinvolgimento
rivoluzionario di tutte le classi cittadine, in quanto espressione di una
cultura anticlericale, aristocratica e borghese) – Carlo Pepoli, «possidente», fu
schedato come uno «dei principali compromessi nell’accaduta rivoluzione […]
in favore del liberalismo».
Dopo essere stato nominato dai «ribelli» prefetto di Pesaro, il conte «s’imbarcò
(come puntualizza la medesima e preziosissima fonte) per Malta, ma venne
arrestato a mare e tradotto a Venezia in unione del generale Zucchi che
faceva passare per suo domestico, ed ai loro 95 faziosi; fu di quelli che
firmarono l’atto di detronizzazione, per cui non gli si permette il ritorno nello
Stato».
5
Nei lunghi anni dell’esilio, Carlo Pepoli si rifugiò prima a Ginevra, poi a
Parigi, dove strinse amicizia con Vincenzo Bellini, per il quale scrisse il
libretto dei Puritani (anche il resoconto dell’amicizia con Bellini, unitamente
alle vicende editoriali del libretto, pesantemente intaccato dalla censura
politica, confluirono nella seconda serie delle Ricordanze biografiche,
anch’esse datate 1881 e corredate delle lettere del musicista catanese, di
séguito al sopra citato carteggio leopardiano), e infine a Londra.
A Ginevra, egli raccolse in due volumi i suoi scritti – Prose e Versi, Ginevra
1833; il primo volume (22) reca sull’antiporta del frontespizio, in margine a
un’immagine in cui svettano le due torri bolognesi, una pregnante
autocitazione: «Io sono Bolognese, e n’ho vanto, in quanto che solamente
sono Italiano; nome per glorie e sventure assai venerando!»), – ripubblicati
nel 1837 a Londra, dove due anni dopo Carlo Pepoli fu nominato professore
di lingua e letteratura italiana nel Collegio dell’Università londinese; incarico
tenuto fino al 1847.
Nella lezione inaugurale (in inglese) On the language and literature of Italy,
Carlo Pepoli menzionava, in chiusura della sua prolusione, il contributo degli
esuli alla nuova letteratura italiana: nel corposo elenco figuravano tra gli
altri i nomi di Rossi (Pellegrino), Mamiani, Orioli, Gioberti, Rossetti, Mazzini,
Berchet e Tommaseo.
A Londra egli aveva inoltre pubblicato, in edizione bilingue, una raccolta di
testi musicali e cantabili – Grand evening poetical and musical entertaiment,
given at the great concert room, King’s theatre, London 1837; si tratta
dell’unico esemplare esistente in Italia – (24), attinti da libretti d’opere, tra
cui sono inclusi alcuni frammenti rossiniani e brani dei Puritani, che
s’inquadrano nel contesto di due suoi precedenti studi (il discorso
accademico Del Dramma musicale e la Lettera sopra alcuni canti popolari) poi
accorpati nel volume londinese delle Prose.
Nel 1859, al rientro in Bologna, Carlo Pepoli fu nominato deputato
dell’Assemblea costituente delle Romagne, quindi del Parlamento nazionale,
poi del Senato del Regno, prima di assumere la carica di sindaco di Bologna,
dove morì il 6 dicembre 1881.
Un particolare rilievo assunse il suo impegno presso il Ministero della
pubblica istruzione, in relazione all’ordinamento dell’Università di Bologna,
che gli affidò l’insegnamento di filosofia e filologia.
Nel Discorso premiale letto da Carlo Pepoli nella R. Università di Bologna,
datato 1866, Pepoli manifestò una notevole apertura nei confronti della
dialettologia, che trae dai dialetti una «buona serie di elementi per la
Filologia comparata, la quale medita sulla origine e le diramazioni e le
trasformazioni del primo linguaggio […]», come egli stesso sperimentò nella
traduzione dialettale del Vangelo secondo Matteo, apparsa a Londra nel 1862
(25).
16.
Ritratto di Carlo Pepoli (BCA, collezione dei ritratti, A/45, cart.
69, n. 2)
L’eremo. Versi di Carlo Pepoli in morte di Livia Strocchi, 3 ed.,
17.
Tipografia Cenerelli all’Áncora, 1868
6
18.
Carlo Pepoli a Teresa Carniani Malvezzi, s.l., 30 giu. 1831
(MALVEZZI DE’ MEDICI, b. 114, Corrispondenza Carlo Pepoli)
Ritratto di Teresa Carniani Malvezzi (ALDOBRANDINO
19.
MALVEZZI DE’ MEDICI, Carteggio, b. 30)
20.
Diploma dell’Accademia de’ Felsinei alla contessa Teresa
Malvezzi nata Carniani (MALVEZZI DE’ MEDICI, b. 115/3 bis)
21.
Libro dei compromessi politici nella rivoluzione del 1831-32, a
cura di Albano Sorbelli, Roma, Vittoriano, 1935
Prose e versi di Carlo Pepoli, I (Prose), Ginevra, Vignier, 1833
22.
23.
Prose e versi di Carlo Pepoli, II (Versi), Ginevra, Vignier, 1833
24.
C. PEPOLI, Grand evening poetical and musical entertaiment,
given at the great concert room, King’s theatre, on Wednesday, july 12,
1837, London, C. Armand, [1837]
Il vangelo di S. Matteo volgarizzato in dialetto bolognese dal conte
25.
Carlo Pepoli, Londra 1862
26.
A. ZANOLINI, La rivoluzione dell’anno 1831 in Bologna, Bologna,
Stabilimento tipografico successori Monti, 1878
Compendio storico de’ principali avvenimenti seguiti in Bologna
27.
durante la rivolta e l’anarchia dell’anno 1831, ms.
3. LA FAMIGLIA, LA FORMAZIONE, IL MATRIMONIO
GIOACCHINO FRANCESCO NAPOLEONE PEPOLI (Bologna, 10 ottobre 1825 –
Bologna, 26 marzo 1881) fu l’unico figlio maschio di Guido Taddeo (17891852) e di Letizia Murat (1802-1859) (28), figlia di Gioacchino (1767-1815)
(29), re di Napoli, e di Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone
I, imperatore dei francesi.
L’infanzia del Pepoli dovette nutrirsi di un profondo risentimento
antiaustriaco, intensamente alimentato dal contesto familiare: entrambi i
genitori comparivano infatti nell’elenco dei compromessi politici della
rivoluzione del 1831-32 come
«nemici del governo, hanno estese relazioni con dei rivoluzionari stranieri,
contribuiscono per quanto si crede alla Cassa della Propaganda e
somministrano dei sussidi a dei ribelli che trovavansi in bisogno, egli [il
padre, Guido Taddeo, ndr] fu in ambe le epoche monturato col grado di
capitano, e volle che quelli della sua compagnia indossassero nei 44 giorni il
bonetto tricolorato. Nel di lui palazzo si tengono bene spesso riunioni
sospette. È ritenuto ancora settario» (21).
Gioacchino crebbe inoltre nel culto dei propri avi, e in particolar modo dei
nonni materni. Delle loro effigi adornò le pareti della sua dimora (30-31),
raccogliendo allo stesso tempo sparute testimonianze scritte che ne
tramandassero il ricordo.
La madre Letizia, soprannominata “la Regina di Bologna” per via del suo
salotto, il quale, oltre che dedicato alla cultura, all’arte e alla conversazione,
divenne un centro di affari politici, affidò la sua formazione a due illustri
maestri: il poeta senigalliese Giovanni Marchetti (1790-1852) (32), amico
7
d’infanzia di Pio IX («compagne in gioco e in feste», come scrisse lo stesso
Marchetti nel sonetto del 14 dicembre 1840 per la creazione a cardinale del
Mastai Ferretti) e segretario di Antonio Aldini nel periodo in cui questi fu
ministro segretario di Stato del Regno d’Italia; e il religioso bolognese Paolo
Venturini (1800-1850).
Particolarmente affettuoso dovette essere il rapporto col Marchetti, che seguì
Gioacchino nel corso di tutta la sua adolescenza, spronandone le doti
(«Coltivate, mio buon Ninio, le rare disposizioni di cui vi è stata benigna la
Provvidenza», 33), e frenandone gli slanci eccessivi («Gli stolti possono
ammirare il far presto; ma i saggi non lodano che il far bene»).
Anche col Venturini molto inteso fu lo scambio intellettuale. Ai
componimenti inviatigli dal giovane, il padre barnabita rispondeva con
consigli e indicazioni stilistiche («In tutte e due le terzine v’è del buono e del
cattivo», 34), indirizzandogli a sua volta numerosi sonetti (come quello
dall’incipit “Tu chiedi, amico, che la muta lira”, 35).
La giovinezza del marchese ebbe però breve durata se
«a diciannove anni sposò sua cugina, la principessa Federica Guglielmina di
Hohenzollern Sigmaringen, figlia del principe Carlo e della principessa
Antonietta Murat, e con questo matrimonio si imparentò con quasi tutte le
famiglie sovrane d’Europa».
È lo stesso Pepoli a ricordare le proprie nozze, in maniera particolarmente
laconica, in un passaggio del manoscritto autobiografico dal titolo Documenti
intorno alla mia vita, nel quale detta al proprio segretario Filippo Manaresi,
tra il settembre e il dicembre 1880, le memorie dell’intera sua esistenza,
proprio alla vigilia della morte.
A Sigmaringen, dunque, il 5 dicembre 1844, Pepoli impalmò, giovanissimo
sposo, la di lui più anziana cugina Federica Guglielmina di HohenzollernSigmaringen, detta Frida (1820-1906), figlia di Karl (1785-1853) e di Marie
Antoinette Murat (1793-1847), figlia di Pierre (1748-1792), fratello di
Gioacchino, re di Napoli. Un rigido protocollo regolò la cerimonia (36),
mentre numerosi furono in quei giorni gli opuscoli pubblicati da amici ed
estimatori per celebrare le “faustissime nozze” della coppia (37).
Il padre di Federica Guglielmina era ancora, all’epoca del matrimonio tra la
figlia e il Pepoli, sovrano del principato di Hohenzollern-Sigmaringen, stato
indipendente membro della Confederazione germanica, situato nell’estremo
meridione della Germania, nell’attuale regione del Baden-Württemberg.
Karl cedette il trono, a seguito dei moti del 1848, all’unico figlio maschio Karl
Anton (1811-1885), che però, solo un anno dopo, nel 1849, abdicò a sua
volta in favore del cugino Federico Guglielmo IV, sovrano di Prussia, il quale
integrò nel proprio regno il piccolo dominio che cessò così definitivamente di
esistere quale entità statale autonoma nel 1850.
Dal matrimonio tra Gioacchino Napoleone e Federica Guglielmina nacquero
tre figlie, Letizia (1846-1902), che andò sposa nel 1868 al conte Antonio
8
Gaddi (1843-1914), Antonietta (1849-1887), maritata al conte Carlo Taveggi
(1836-1902), e Luisa Napoleona (1853-1929), consorte del conte Dominico
Guarini Matteucci (1848-1905).
Riservata e schiva, Frida visse sempre all’ombra dell’egocentrico marito, che
in occasione del loro quindicesimo anniversario di matrimonio lodò la
consorte con una appassionata dedica (38).
28.
Ritratto di Letizia Murat (BCA, collezione dei ritratti, A/41, cart.
54, n. 1)
Ritratto di Gioacchino Murat (BCA, collezione dei ritratti, A/41,
29.
cart. 53, n. 5)
30.
Ritratto di Gioacchino Murat, piatto in bronzo dorato (Pinacoteca
Nazionale di Bologna, inv. 1084)
Ritratto di Carolina Bonaparte, piatto in bronzo dorato
31.
(Pinacoteca Nazionale di Bologna, inv. 1085)
32.
Ritratto di Giovanni Marchetti (BCA, collezione dei ritratti, A/36,
cart. 57, n. 3)
33.
Giovanni Marchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l. 1° gen.
1842 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Amici, 18. Marchetti Giovanni)
34.
Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 18 ago.
1841 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Letterati italiani, 38. Venturini Paolo)
35.
Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 28
mag. 1842 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Autografi)
36.
“Programm zur feier der hohen vermaehlung jhro durchlaucht
der prinzessin Frida zu Hohenzollern-Sigmaringen mit dem herrn
marquis Joachim Napoleon Pepoli den 5 december 1844”, aus der
Lithograph Anstalto P. Liehner (Collezione privata Rosati Pepoli)
37.
Quando le nozze di Gioachino marchese Pepoli con Federica de’
principi di Sigmaringen consolavano Bologna di speranze non dubitabili
Luigi Tanari gli auguri dell’amico le congratulazioni del cittadino offeriva
l’anno 1844, Bologna, Tipografia governativa alla Volpe, [1844]
38.
Scritti politici ed economici di Gioachino Napoleone Pepoli,
Bologna, Tipo governativa del Sassi e della Volpe, 1859 (Collezione
privata Rosati Pepoli)
IL QUARANTOTTO
4. LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA
Discendente del ramo marchionale dell’antichissima famiglia Pepoli di
Bologna, esponente dell’aristocrazia cittadina, liberale e moderata,
Gioacchino Napoleone fu tra i 1.753 firmatari bolognesi della supplica (39)
scritta d’accordo con Giovanni Marchetti, Marco Minghetti (40) e Luigi
Tanari, e inviata nel giugno 1846 al camerlengo Tommaso Riario Sforza e ai
cardinali riuniti in conclave, nella quale venivano esposti
«con dignità e moderazione i gravi mali che hanno sofferti fin qui i sudditi
delle Legazioni, e si fanno vive preghiere perché consci della verità
9
dell’esposto vogliano gli Eminentissimi Cardinali impetrare dal Pontefice che
va ad essere da loro eletto, quelle concessioni fatte ormai troppo necessarie a
queste popolazioni» (E. BOTTRIGRARI, Cronaca di Bologna, I (1845-1848),
Bologna, Zanichelli, 1960, p. 63).
Questo il racconto dell’ingresso sulla scena politica del giovane Pepoli
attraverso le sue stesse parole:
«E siccome pareva che molti tentennassero e paventassero di firmarlo, egli si
recò di porta in porta, di bottega in bottega, per ottenere le adesioni, e giunse
perfino ad andare nei grossi paesi del circondario, nei dì di mercato, per
giungere al proprio intento.
Il prolegato lo chiamò a se e lo redarguì severamente, ma egli gli rispose con
nobile alterezza “Se non è contento dell’opera mia, mi faccia arrestare” e gli
volse le spalle senza neppur prendere comiato.
Pochi giorni dopo le cose erano mutate. Pio IX, salendo al trono, accordò
l’amnistia. Grandi furono le feste, gli applausi, le ovazioni, le luminarie al
nuovo pontefice. Il giovane patrizio, che mal si fidava della fede clericale, fece
scrivere sul suo palazzo in carattere di fuoco queste parole: “Un bel principio
è la metà dell’opera”.
Sventuratamente la seconda metà non venne».
Promulgata dunque dal nuovo pontefice l’amnistia per i detenuti e i
fuoriusciti “per delitti politici”, Pepoli si adoperò per raccogliere fondi a loro
favore (41).
In quel periodo il marchese Gioacchino collaborò anche con la testata «Il
felsineo. Giornale politico, economico, scientifico, letterario», che uscì in una
nuova serie dal 7 gennaio 1847 al 16 maggio 1848 quale organo della
Conferenza economico-morale, vale a dire dei liberali moderati, di quel
«ceto dirigente cittadino, che aveva trovato nel processo riformatore un
provvisorio punto di convergenza» (A. PRETI, Giornali, circoli, caffè: le idee di
unità e di indipendenza a Bologna, in Storia illustrata di Bologna, a cura di
W. TEGA, III, San Marino, AIEP, 1990, pp. 381-400, in part. p. 391).
Istituita poi la Guardia civica pontificia anche a Bologna (42) sotto la guida
di Alessandro Guidotti Magnani (43), Pepoli fu capitano della prima
compagnia del primo battaglione (poi secondo battaglione) (44). Della
formazione a lui affidata curò la riorganizzazione, fino a portarla al numero
di settanta effettivi (45).
Il 23 marzo 1848 l’esercito sardo varcò il Ticino dando inizio alle ostilità con
l’impero austriaco e alla prima guerra d’indipendenza italiana.
L’amministrazione di Bologna si mobilitò emanando l’11 aprile un editto per
il soccorso economico al movimento: la famiglia Pepoli non mancò di
contribuire, come testimonia una Nota delle offerte fatte al municipio di
Bologna dal dì 12 aprile al 30 giugno 1848, dove, sotto la data del 28 aprile,
la marchesa Federica Pepoli compare come offerente di quaranta scudi
romani (46).
10
39.
Minuta di lettera a Tommaso Riario Sforza e ai cardinali riuniti
in conclave, Bologna, 11 giu. 1846 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Minute di
lettere e manoscritti di discorsi, 9. Minute di lettere al cardinale legato)
40.
Ritratto di Marco Minghetti (BCA, collezione dei ritratti, A/39,
cart. 102, n. 1)
41.
“Colletta pei graziati politici che versano in istato di povertà” (G.
N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 2. “Raccolta per gli amnistiati”)
Decreto di istituzione della Guardia civica pontificia a Bologna, 8
42.
lug. 1847 (STAMPE GOVERNATIVE)
43.
Alessandro Guidotti Magnani. Cenni biografici, Bologna,
Tipografia Sassi nelle Spaderie, 1848
Alessandro Guidotti Magnani a Gioacchino Napoleone Pepoli,
44.
s.l., 21 set. 1847 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia
civica)
45.
“Stato nominativo della prima compagnia del primo battaglione
della Guardia civica di Bologna”, s.l., 1° ago. 1848 (G. N. PEPOLI,
Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica)
46.
Nota delle offerte fatte al municipio di Bologna dal di 12 aprile al
30 giugno 1848, Bologna, Tipografia Sassi, [1848]
5. LA BATTAGLIA DELLA MONTAGNOLA
Al fine di meglio disporre le difese della città in vista degli assalti dell’esercito
austriaco (47) e di trovare un accordo fra la legalità e le necessità del
movimento insurrezionale, il prolegato Cesare Bianchetti (48) decretò
l’istituzione di un Comitato di salute pubblica, del quale il marchese
Gioacchino fu chiamato a far parte già dal 6 agosto (49). Membri del
Comitato, oltre al Pepoli, furono Silvestro Gherardi, Giovan Battista Ercolani,
Oreste Biancoli, Matteo Pedrini, Lodovico Berti, Federico Rusconi ed Ermolao
Conti.
Durante i moti rivoluzionari del 1848 si distinse l’8 agosto tra i combattenti
della battaglia della Montagnola; a molti anni di distanza sottoscrittori
giurati affermarono «sul loro onore di avere veduto il marchese Gioacchino
Pepoli tra i combattenti» (51). Il pittore Antonio Muzzi, chiamato proprio dal
marchese Gioacchino a realizzare una tela commemorativa dell’evento, lo
immortalò nel dipinto La cacciata degli austriaci da Porta Galliera l’8 agosto
1848 (52), dal Pepoli devoluto più tardi in beneficenza al Comitato di
patronato pei superstiti dell’8 agosto in Bologna (53), e da quest’ultimo a sua
volta donato, all’atto del suo scioglimento nel 1895, al Comune di Bologna. È
oggi esposto al Museo del Risorgimento di Bologna.
Scacciati gli austriaci dalla città (57), l’11 agosto Pepoli assunse infine il
ruolo di colonnello facente funzioni di comandante in capo della Guardia
civica (58) in un momento di profonda crisi per la città e le Romagne,
caratterizzato dalla diffusa anarchia e dall’ondata di criminalità generate dal
manifesto vuoto di potere che la debolezza del governo centrale e l’impotenza
del legato provinciale tendevano ad alimentare.
11
È egli stesso a descrivere efficacemente l’ambiente bolognese di quel tempo
in un suo ordine del giorno del 22 agosto:
«Resterete inerti, e neghittosi dinanzi allo scandalo iniquo di misfatti
inauditi? Soffrirete voi che il giorno più glorioso e più bello dell’istoria
bolognese sia segnato come fonte di guai, come sorgente d’obbrobrio? Quello
che non poterono migliaia di stranieri, lo potrà dunque impunemente una
mano di scellerati?».
Richiamo all’ordine del prolegato Cesare Bianchetti in vista
47.
dell’ingresso degli austriaci di Welden, 6 ago. 1848 (STAMPE
GOVERNATIVE)
48.
E. SASSOLI, Biografia del conte Cesare Bianchetti, Bologna, Tipi
Sassi nelle Spaderie, 1849
Cesare Bianchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 6
49.
ago. 1848 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica)
50.
Proclama del prolegato Cesare Bianchetti sul suo tentativo di
darsi come ostaggio agli austriaci, 8 ago. 1848 (STAMPE
GOVERNATIVE)
Sottoscrizioni giurate dei reduci della battaglia che attestano la
51.
presenza del Pepoli alla Montagnola l’8 agosto 1848, s.l., s.d. (G. N.
PEPOLI, Carte politiche, 1848, 1. Documenti sull’8 agosto, 2. Comitato
di sussidio ai superstiti dell’8 agosto)
52.
A. MUZZI, La cacciata degli austriaci da Porta Galliera l’8 agosto
1848, olio su tela, 1849 ca. (Museo civico del Risorgimento di Bologna)
53.
Comitato di patronato pei superstiti dell’8 agosto 1848 in Bologna,
Bologna, Società tipografica Azzoguidi, 1884 (Collezione privata Rosati
Pepoli)
54.
A. VESI, Narrazione storica del fatto d’armi avvenuto in Bologna
nel di 8 agosto 1848, Bologna, Tipi delle Muse, [1848]
55.
E. FARNÈ, Il giorno otto agosto 1848 in Bologna. Narrazione
storica, [Bologna], Società Tipografica Bolognese, [1848]
56.
V. PERI, Cronaca dell’8 agosto 1848 in Bologna con documenti
officiali, Bologna, Regia tipografia, 1866
57.
«Gazzetta di Bologna», 10 ago. 1848
58.
Nomina di Gioacchino Napoleone Pepoli a comandante in capo
della Guardia civica di Bologna, 11 ago. 1848 (STAMPE
GOVERNATIVE)
6. BOLOGNA LIBERA
Ritiratisi gli austriaci (59), tra il 26 e il 31 agosto il marchese Gioacchino si
trovò coinvolto in quelle che la storiografia ha definito le “sedizioni militari”,
fomentate dagli esponenti del partito democratico Agamennone Zappoli, Livio
Zambeccari, Angelo Masina e Callimaco Zambianchi: la sera del 31 agosto,
infatti, la Guardia civica comandata dal Pepoli offrì appoggio al prolegato
contro il tentativo di
12
«nominare, col consenso e l’approvazione del popolo un Comitato o governo
militare
che tenesse le veci per ora di un Governo provvisorio» (E.
BOTTRIGARI, Cronaca di Bologna, I (1845-1848), Bologna, Zanichelli, 1961,
pp. 437),
un esperimento insurrezionale o rivoluzionario, un tentativo di colpo di
Stato, appoggiato da circa cento uomini armati del battaglione Zambeccari
che non ebbe però seguito popolare.
Il 2 settembre 1848 fu inviato a Bologna Carlo Luigi Farini quale
rappresentante del Consiglio dei ministri in appoggio al cardinale Luigi Amat
(60), nominato il successivo 3 settembre commissario straordinario per le
quattro Legazioni. Questi invitò il Pepoli a partecipare ai lavori di una
commissione costituita il 5 settembre con l’incarico di presentare un
progetto di riordinamento della polizia.
Quale colonnello il Pepoli orientò il proprio operato verso il generale riassetto
dalla Guardia civica, l’organizzazione e l’ordinamento della Riserva (61),
chiamata nello specifico a montare la guardia alle porte della città insieme ai
volontari, l’acquisto di fucili per l’armamento della Guardia (62), senza
trascurare iniziative “popolari” quali ad esempio la promozione di lapidi
marmoree in ogni quartiere a ricordo dei caduti della battaglia dell’8 agosto.
Del 17 settembre è l’ordine del giorno col quale il colonnello Pepoli sciolse le
formazioni di volontari costituenti la Riserva della Guardia civica, salvo però,
con un nuovo foglio del 21 successivo, invitare civici, soldati regolari di linea
e popolani volontari a costituire pattuglie cittadine che perlustrassero il
centro abitato con funzioni di ordine pubblico. Grande clamore suscitò in
quei giorni il tentato omicidio del segretario generale della Guardia civica
Carlo Rusconi. Pepoli,
«sdegnato del contegno dubbio dell’autorità, diede la sua dimissione da
colonnello della guardia civica, dichiarando che egli non voleva più oltre
servire il governo dei preti» (n. 63).
Numerosi furono in quei mesi gli attestati di riconoscimento e
incoraggiamento per il suo infaticabile operato, pervenutigli da amici di
lunga data, quali il precettore Paolo Venturini («lodo il vostro coraggio e
l’amor patrio che vi sostiene», 64), o da esponenti della classe politica, quali
il deputato Carlo Bevilacqua («che bel lampo di gloria è stato il fatto dei
bolognesi nel momento che l’orizzonte italiano diveniva sì nuvoloso», 65) e il
ministro Antonio Montanari («apprezzo sommamente le cure, ed i fastidi che
avete sostenuto in tempi difficilissimi», 66).
Le cronache dell’epoca registrarono, inoltre, l’intenzione del marchese di far
pubblicare a Bologna un nuovo giornale da intitolare «La Nazione» (67).
Effettivamente tra mercoledì 1 e giovedì 2 novembre il marchese Gioacchino,
in qualità di redattore, pubblicò sulla «Gazzetta di Bologna» un avviso
relativo all’imminente uscita di un foglio periodico da intitolarsi «Il
Nazionale», la cui “divisa” sarebbe stata
13
«Indipendenza della Nazione, Libertà interna, Prosperità e ben essere di tutte
le classi. Egli saprà non adulare né Popolo, né Governo: e saprà essere
indipendente per essere imparziale».
Sfortunatamente il quotidiano non riuscì a raccogliere un sufficiente numero
di soci (l’abbonamento, per la cronaca, ammontava a cinque paoli mensili) e
la pubblicazione rimase opera incompiuta.
59.
Notificazione del Comitato di salute pubblica sul ritiro degli
austriaci da Bologna, 9 ago. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE, 287)
60.
Ritratto di Luigi Amat (BCA, collezione dei ritratti, A/2, cart. 89,
n. 1)
61.
Luigi Amat di San Filippo e Sorso a Gioacchino Napoleone
Pepoli, Bologna, 6 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Ecclesiastici, 2.
Amat Luigi)
“Nota dei fucili acquistati da me Francesco Aria per ordine del
62.
signor marchese Gioacchino Pepoli facente funzione di colonnello della
Civica di Bologna”, s.l., 5 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carte politiche,
1848, 3. Guardia civica)
63.
Luigi Amat di San Filippo e Sorso a Gioacchino Napoleone
Pepoli, Bologna, 6 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Ecclesiastici, 2.
Amat Luigi)
64.
Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 16 ago.
1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Letterati italiani, 38. Venturini Paolo)
65.
Carlo Bevilacqua a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 16 ago.
1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 165. Bevilacqua Carlo)
66.
Antonio Montanari a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 16 ott.
1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 29. Montanari Antonio)
67.
«Gazzetta di Bologna»,1° nov. 1848
7. BOLOGNA NELLA REPUBBLICA ROMANA
Intanto a Roma gli eventi precipitarono rapidamente fino all’assassinio del
presidente del Consiglio dei ministri Pellegrino Rossi il 15 novembre 1848 e
alla fuga di Pio IX a Gaeta il successivo 24 (68). In quei frangenti Pepoli non
mancò di condannare l’episodio in una lettera pubblica al deputato
bolognese Carlo Bevilacqua.
Innegabile, dunque, lo spirito di protagonismo che animò all’epoca il giovane
Pepoli: di lui il Bottrigari, in merito al nuovo periodico annunciato dal
marchese, annotò come questi fosse «sempre intento a far parlar di sé», e
non trascurò di segnalare come il nostro si mostrasse «molto amante di
popolarità» riportando la notizia dell’elezione del Pepoli il 30 novembre 1848
alla presidenza del Circolo popolare, associazione inaugurata il precedente 9
novembre presso l’atrio del Teatro Contavalli a seguito della scissione di
alcuni membri del Circolo nazionale bolognese (69).
Fu quest’ultimo l’evoluzione in senso democratico del Circolo felsineo,
società fondata il precedente 25 aprile e votata per statuto a «procurare ai
14
componenti la medesima un luogo di convegno per la lettura dei giornali e
per conversare insieme» (art. 2). Dal 10 ottobre 1848 il Pepoli ne ricoprì la
vicepresidenza (70). A partire dal 13 novembre 1848, dopo il comprensibile
periodo di sbandamento e dispersione, il Circolo felsineo aveva cambiato
nome in Circolo nazionale e modificato lo statuto, dandosi come scopo
principale la promozione degli «interessi patrii e nazionali» (art. 3).
Primo presidente del sodalizio rinnovato fu l’avvocato Clemente Taveggi. Il 30
gennaio 1849 il suo successore e già dimissionario Quirico Filopanti arrivò
ad offrire al Pepoli la presidenza del Circolo (71), che andò invece all’avvocato
Pietro Faldi. Troppo radicali, dunque, dovevano apparire al giovane
Gioacchino le proposizioni dei maggiorenti della società e ancora lontana dal
suo orizzonte politico la prospettiva della
«formazione di un regno dell’Alta Italia con l’annessione al Piemonte del
Lombardo-Veneto e dei Ducati, mostrandosi favorevol[e] piuttosto al
programma di una Lega fra gli stati italiani, indipendentemente da
favoritismi e interessi dinastici» (G. NATALI, I circoli politici bolognesi nel
1848-49, in «Rassegna storica del Risorgimento», (1938), pp. 179-224, in
part. p. 190).
In realtà il Pepoli recava su di sé tutto il peso del nome della madre e delle
rivendicazioni dei Murat al trono di Napoli. Non di meno continuò a rivestire,
almeno fino al 5 febbraio 1849, la carica di vicepresidente del Circolo
nazionale.
Fu in questo contesto che maturarono verosimilmente l’orientamento verso il
Circolo popolare, che, dopo l’estromissione di elementi radicali quali lo
Zappoli, e l’arresto del predicatore barnabita Alessandro Gavazzi, si era
stabilizzato su posizioni più moderate, e la collaborazione col periodico
diretto da Luigi Frati «Unità. Giornale politico scientifico e letterario», uscito
dal 22 maggio 1848 al 27 aprile 1849 quale organo dei “costituzionali
pontifici” e dunque espressione dei sostenitori dell’idea federale declinata
secondo il modello neoguelfo giobertiano.
A Roma frattanto la Suprema giunta di Stato, insediatasi il 12 dicembre
1848 in sostituzione del potere esecutivo, aveva decretato la convocazione di
un’Assemblea costituente degli stati romani (72), eletta a suffragio universale
il 21 gennaio 1849 e convocata solennemente il successivo 5 febbraio. È il
cugino e costituente Carlo Luciano Bonaparte a riassumere l’auspicio che
animava all’epoca la classe dirigente più illuminata (73).
Il Pepoli, data la “minore età” (non aveva, infatti, ancora compiuto i
venticinque anni previsti), non poté essere eletto all’Assemblea nazionale,
anche se fu membro di una commissione incaricata di garantire l’ordine
pubblico durante le elezioni a Bologna (74). Il 9 febbraio 1849 l’Assemblea
proclamò solennemente la decadenza del potere temporale del pontefice e la
nascita della Repubblica romana (75), retta prima da un Comitato esecutivo
e poi, a partire dal 29 marzo, da un Triumvirato.
Bologna, sebbene non avesse inizialmente corrisposto al “giubilo comune”
per la proclamazione della Costituente, prese parte attiva alla vita del nuovo
15
organismo statale, guidata dal preside della provincia il democratico Carlo
Berti Pichat (76) e dal suo successore Oreste Biancoli. E anche il marchese
Pepoli, sebbene di tendenze moderate, aderì alle iniziative di rinnovamento
promosse dal governo centrale: fu, ad esempio, membro di una commissione
incaricata di gestire il passaggio dei beni ecclesiastici alla Stato (77) e
invitato, senza esito, dall’amico e ministro degli esteri Carlo Rusconi a
prendere parte attiva alle relazioni diplomatiche della Repubblica con gli
stati tedeschi (78-79).
Tra il marzo e l’aprile 1849, tanto l’«Unità» coi suoi articoli che il Circolo
popolare coi suoi manifesti, non risparmiarono comunque di polemizzare col
governo rivoluzionario, ultrademocratico e unitario della Repubblica romana,
incapace – secondo il Frati – di impostare e sostenere con efficacia l’azione
militare contro l’Austria, guadagnandosi più di una diffida da parte della
Commissione di pubblica sicurezza a desistere dal “pristino sistema”, ossia
dal trattare questioni politiche in un momento «in cui gli animi si trovavano
alquanto commossi per la grave incertezza in cui versavano le sorti della
penisola» (L. FRATI, Il giornale “L’Unità”, Roma, Direzione della Nuova
antologia, 1918, p. 6).
68.
«Gazzetta di Bologna», 28 nov. 1848
69.
Statuto del Circolo nazionale bolognese, s.l., [1848]
Il Circolo felsineo bolognese a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l.,
70.
12 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Comitati elettorali ed
associazioni politiche, 15. Circolo felsineo)
71.
Quirico Filopanti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 30
gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 16. Filopanti Quirico)
72.
Decreto di convocazione dell’Assemblea nazionale, 29 dic. 1848
(STAMPE GOVERNATIVE)
73.
Charles Lucien Bonaparte a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma,
23 dic. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Principi, 21. Bonaparte Chalers
Lucien)
74.
Carlo Berti Pichat a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 17
gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 85. Berti Pichat
Carlo)
Decreto di proclamazione della Repubblica romana, 9 feb. 1849
75.
(STAMPE GOVERNATIVE)
76.
Ritratto di Carlo Berti Pichat (BCA, collezione dei ritratti, A/6,
cart. 91, n. 2)
77.
Il preside della provincia di Bologna a Gioacchino Napoleone
Pepoli, Bologna, 28 feb. 1849 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3.
Guardia civica)
78.
Carlo Rusconi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 22 feb.
1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Impiegati, 60. Rusconi Carlo)
79.
Carlo Rusconi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 1° mar.
1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Impiegati, 60. Rusconi Carlo)
8. VENEZIA, LA RESA, L’ESILIO
16
Il 20 ottobre 1848 il Circolo felsineo costituì una commissione incaricata di
raccogliere offerte in denaro per il soccorso a Venezia, assediata dagli
austriaci fin dal maggio precedente. La stessa iniziativa fu adottata dal
comando della Guardia civica (80).
Depositario della commissione fu nominato Giovanni Malvezzi de’ Medici,
mentre la carica di segretario fu ricoperta da Filippo Bianconcini. A
presiedere la commissione fu naturalmente il Pepoli, che, sempre a vantaggio
della repubblica di San Marco, la sera del 16 ottobre fece rappresentare al
Teatro del Corso un suo dramma dal titolo Lucia da Treviglio, presentato
dalla Compagnia Etrusca, grazie al quale raccolse ottanta scudi (81). E il
presidente Daniele Manin (82) non mancò di far pervenire gli attestati della
propria riconoscenza (83-84).
Assediata, infine, dalle truppe austriache del feldmaresciallo Franz Emil
Lorenz von Wimpffen a partite dall’8 maggio 1849, Bologna, dopo estenuanti
trattative, frammiste a sporadici tentativi di resistenza, capitolò il 16
successivo (85-86). Alle prime fasi dei negoziati prese parte anche il Pepoli
(87), invitato da Antonio Alessandrini, presidente della Commissione
governativa municipale (88-89). Questi era stato chiamato dal capo della
rappresentanza municipale, senatore Antonio Zanolini, il quale, dopo le
proteste formali e le dimissioni del preside Biancoli, l’8 maggio aveva assunto
la guida della città e della provincia, nominando il giorno dopo la
Commissione presieduta da Alessandrini.
Dopo Bologna, anche Roma dovette cedere all’assedio. Le truppe francesi
entrarono in città il 5 luglio 1849. Non vi trovarono però il principale
campione della Repubblica, il generale Garibaldi, che già da qualche giorno
si era allontanato alla testa di circa quattro mila volontari allo scopo di
portare l’insurrezione nelle province e tentare di raggiungere la repubblica
sorella, Venezia. Durante la marcia al confine tra Toscana e Romagna, il
generale fu braccato da francesi e austriaci. Il governatore Gorzkowskj
impose il divieto di procurare aiuto ai ribelli fuggiti da Roma (90). Se
Garibaldi, aiutato da numerosi patrioti, riuscì a raggiungere la Toscana e a
imbarcarsi, stessa sorte non toccò al padre barnabita Ugo Bassi, che fu
catturato a Comacchio e fucilato con Giovanni Livraghi a Bologna l’8 agosto
1849, primo anniversario della battaglia della Montagnola (91).
La resistenza bolognese (92) e le gesta dei difensori della Repubblica romana
(93) hanno nel tempo trovato ampio spazio in numerose pubblicazioni
scientifiche e commemorative, delle quali (qui e nell’ultima sezione dedicata
alle celebrazioni) si espone una piccola scelta.
L’indomani della resa, Pepoli partì in esilio volontario con tutta la sua
famiglia per la Toscana, dove trovò ospitalità a Pistoia nella villa del
mecenate Niccolò Puccini, «col quale strinse vincoli di schietta e intensa
amicizia». Nell’ozio forzoso cui l’aveva costretto la Restaurazione, il marchese
tornò a occuparsi dei suoi prediletti studi drammatici; lì compose il suo
capolavoro, Elisabetta Sirani pittrice bolognese. Dramma in tre atti (94), senza
però perdere del tutto i contatti con gli amici bolognesi, che lo tennero
costantemente aggiornato sulle vicende politiche del tempo (95).
17
80.
Ordine del giorno del comandante Agucchi alla Guardia civica
per la raccolta di aiuti a Venezia, 19 nov. 1848 (STAMPE
GOVERNATIVE)
81.
“Rendiconto della Commissione incaricata delle esigenze pel
soccorso a Venezia”, Bologna, 24 gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carte
politiche, 1848, 4. Raccolta per la difesa di Venezia)
82.
Ritratto di Daniele Manin (BCA, collezione dei ritratti, A/36, cart.
20, n. 2)
Daniele Manin al Comitato per i soccorsi a Venezia in Bologna,
83.
Venezia, 29 dic. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 75.
Manin Daniele)
84.
Daniele Manin alla Società del Casino in Bologna, Venezia, 24
feb. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 75. Manin Daniele)
Proclama della resa di Bologna agli austriaci, 16 mag. 1849
85.
(STAMPE GOVERNATIVE)
86.
«Gazzetta di Bologna», 18 mag. 1849
87.
Antonio Alessandrini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 11
mag. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 1. Alessandrini
Antonio)
Ritratto di Antonio Alessandrini, BCA, collezione dei ritratti, A/2,
88.
cart. 27, n. 3
89.
Della vita e delle opere del celebre professore cavaliere Antonio
Alessandrini commentario. Letto alla Società medico-chirurgica di
Bologna il giorno 25 maggio 1862 dal cavaliere dottor Paolo Predieri
socio residente, Bologna, Regia tipografia, 1862
90.
Notificazione del governatore Gorzkowskj sul divieto di dare
aiuto alle truppe garibaldine in fuga da Roma, 5 ago. 1849 (STAMPE
GOVERNATIVE)
91.
«Gazzetta di Bologna», 8 ago. 1849
92.
La resistenza di Bologna contro le truppe austriache nelle otto
giornate di maggio 1849. Notizie e documenti raccolti e pubblicati da
Domenico Brasini, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani, 1885
93.
N. MORINI, L’arresto di Ugo Bassi e Giovanni Livraghi. Nei
documenti dell’Archivio di Stato di Bologna, Bologna, Tipografia A.
Brunelli, 1928
94.
G. N. PEPOLI, Elisabetta Sirani pittrice bolognese. Dramma in tre
atti, Firenze, Libreria teatrale di Angiolo Romei, 1851
Giovanni Marchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 13
95.
nov. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Amici, 18. Marchetti Giovanni)
L’UNITÀ
9. LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA, D’AZEGLIO E NAPOLEONE
III
Dopo un’assenza durata tre anni, Pepoli rientrò a Bologna prendendo
attivamente parte ai lavori del movimento liberale bolognese, centro e motore
dell’opinione politica locale in preparazione dell’indipendenza delle Romagne.
18
Intenso fu in quegli anni lo scambio tra i rappresentanti del movimento:
particolarmente lucida è l’analisi della situazione quale emerge dalla
corrispondenza tra il Pepoli e il cugino Gioacchino Rasponi (96-97).
In attesa del ritiro degli austriaci da Bologna, i membri del Comitato
nazionale bolognese, formatosi nell’agosto del 1858 e presieduto da Luigi
Tanari, Pietro Inviti e Camillo Casarini, intensificarono le loro riunioni,
dividendosi tra l’ampia sala del Caffè della Fenice in piazza Santo Stefano
(«mezzo tra il Club e la taverna», cfr. E. MASI, Camillo Casarini. Ricordi
contemporanei, Bologna, Soc. tip. dei compositori, 1875, p. 89), e i locali di
Palazzo Pepoli nuovo, residenza del marchese Gioacchino.
In realtà ben poco cordiali dovettero essere i rapporti tra i vertici del
Comitato e il Pepoli, se questi (la cui opposizione è stata definita dalla
storiografia «imbarazzante e pericolosa», cfr. U. MARCELLI, Le vicende
politiche dalla Restaurazione alle annessioni, in Storia dell’Emilia Romagna, a
cura di A. BERSELLI, Bologna, University press, 1980, pp. 67-126, in part.
pp. 101-102) sentì la necessità di sottolineare nelle proprie memorie che
«i suoi soliti nemici pretesero che tutto il merito si dovesse attribuire alla
Società Nazionale presieduta da La Farina. Una nota del cardinale Antonelli
dichiara invece che tutta la colpa è del marchese Pepoli, che è egli che ha
tutto fatto, che ha tutto ordito contro il governo pontificio, valendosi della
sua influenza presso l’imperatore».
Dopo l’ingresso di Napoleone III a Milano (98-99) e la caduta del governo
pontificio a Bologna, il 12 giugno 1859 Pepoli entrò a far parte della Giunta
provvisoria di governo nominata dall’amministrazione municipale, incaricato
della sezione degli affari esteri (101).
Così lo stesso Pepoli descrive nelle sue memorie quella giornata “gloriosa”:
«L’alba del 13 giugno 1859 saluta nella piazza un numero considerevole di
cittadini che acclamano il Piemonte, la Francia, l’indipendenza, la libertà. IN
MEZZO ALLA FOLLA È IL PEPOLI, che, non ostante il timido parere di molti, dà ai
pompieri della città l’ordine di calare lo stemma pontificio dal palazzo di
città, facendosi egli pubblicamente garante che l’imperatore Napoleone non
avrebbe mai ristabilito in Bologna il governo pontificio. Queste parole,
pronunziate dall’alto della ringhiera del palazzo di città, furono quelle che
vinsero le renitenze dei paurosi e che tolsero ogni dubbio dall’animo dei
cittadini»
Su questo episodio cruciale per la storia del Risorgimento bolognese una
sintesi efficace viene fornita da Aldo Berselli:
«Nessuna idea chiara in proposito, dunque, a Torino, circa la condotta che i
liberali bolognesi avrebbero dovuto tenere nel caso della partenza degli
Austriaci. Ma i liberali bolognesi, il Pepoli, il Malvezzi, il Tanari, ecc., seppero
trovare da soli la loro strada: partiti gli Austriaci, rovesciarono il Governo
pontificio ed affrontarono coraggiosamente la posizione estremamente
difficile e pericolosa nella quale vennero a trovarsi» (A. BERSELLI, Movimenti
19
politici a Bologna dal 1815 al 1859, in «Bollettino del Museo del
Risorgimento», V/1 (1960), pp. 201-254, in part. p. 251).
Il 24 dello stesso mese, dopo la decisiva battaglia di Solferino, una
deputazione della Giunta composta da Pepoli, Rasponi, Casarini e Luigi
Palmucci, fu ricevuta al campo militare da Vittorio Emanuele e
dall’imperatore Napoleone III per presentare al sovrano sardo l’offerta della
dittatura sulle Romagne. Fu il Pepoli a recare con un dispaccio alla Giunta la
notizia della vittoria dell’esercito franco-piemontese.
Il sovrano acconsentì all’invio nelle Legazioni di un commissario
straordinario che predisponesse il reclutamento dei volontari per la guerra
d’indipendenza. L’arrivo di Massimo D’Azeglio (102), inviato dal governo
sardo a Bologna, fu prima organizzato riservatamente (103) e poi annunciato
pubblicamente (104). Il commissario istituì il 15 luglio un Governo
provvisorio delle Romagne, designando il Pepoli quale gerente della sezione
delle finanze e, ad interim, degli affari esteri (105). E da ministro degli esteri
diramò quella famosa Note circulaire adressée par le gouvernement des
Romagnes à ses agents à l’etranger (106), che i giornali dell’epoca definirono
– a dire del Pepoli – «il più bel documento della rivoluzione italiana» e che
suscitò tanta sorpresa nell’ambiente ecclesiastico da spingere l’arcivescovo di
Bologna Michele Viale Prelà (107) a compilare una serie di osservazioni che
replicavano puntualmente alle affermazioni sulla condotta del clero (108).
Intanto la pubblicazione delle condizioni degli accordi preliminari
dell’armistizio di Villafranca, firmato l’11 luglio dai sovrani di Francia,
Sardegna e Austria, e il ritiro del commissario sardo sembrarono gettare
nello sconforto l’opinione pubblica italiana (109) e francese (110). La
necessità spinse il Pepoli a Torino, dove, dopo un animato colloquio col
cugino Napoleone, ottenne dall’imperatore l’impegno a non intervenire a
favore di una restaurazione del governo pontificio nelle Legazioni a patto che
si mantenessero l’ordine pubblico e la tranquillità (111-112).
Ritratto di Gioacchino Rasponi (BCA, collezione dei ritratti,
96.
A/48, cart. 53, n. 1)
97.
Gioacchino Rasponi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Ravenna, 10
giu. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 189. Rasponi
Gioacchino)
98.
Ritratto di Napoleone III (BCA, collezione dei ritratti, A/42, cart.
14, n. 10)
99.
Proclama dell’imperatore Napoleone III per il suo ingresso a
Milano, 8 giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
100.
Notificazione del comandante le truppe di occupazione
austriache Habermann, 9 giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
101.
Notificazione della Giunta provvisoria di governo ai cittadini, 12
giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
102.
Ritratto di Massimo D’Azeglio (BCA, collezione dei ritratti, A/18,
cart. 48, n. 4)
Minuta di lettera al commissario straordinario di sua maestà
103.
sarda nelle Romagne Massimo D’Azeglio intorno al suo prossimo arrivo
20
a Bologna, s.l., 6 lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli
affari esteri del governo provvisorio delle Romagne, 2. “Miscellanea”)
Proclama di Massimo D’Azeglio ai popoli delle Romagne, 11 lug.
104.
1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
105.
Proclama di Massimo D’Azeglio nel quale ripartisce le sezioni di
governo, 15 lug. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
106.
G. N. PEPOLI, Note circulaire adressée par le gouvernement des
Romagnes a sés agents à l’étranger, Bologne, Imprimerie du
gouvernement, 1859
Ritratto di Michele Viale Prelà (BCA, raccolta dei ritratti, B/V, n.
107.
22)
108.
Michele Viale Prelà a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 10
dic. 1859; in allegato “Osservazioni di fatto su la Nota circolare del
Governo delle Romagne per ciò che concerne il Clero”, s.l., s.d., e
“Memorie che rettificano i fatti della nota di cui”, s.l., s.d. (G. N.
PEPOLI, Carte politiche, Governo provvisorio delle Romagne, 2. Esteri)
109.
Giovanni Antonio Migliorati a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l.,
s.d. (G. N. PEPOLI, Carteggio, Diplomatici italiani, 12. Migliorati
Giovanni Antonio)
Albine Hortense Lacroix Cornu a Gioacchino Napoleone Pepoli,
110.
s.l., 15 lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Donne illustri, 1. Cornu
Hortense)
111.
Minuta di dispaccio telegrafico di Gioacchino Napoleone Pepoli al
governo provvisorio di Bologna dettato a Torino da Napoleone III, s.l.,
s.d. (G. N. PEPOLI, Carte politiche, Governo provvisorio delle
Romagne, 2. Esteri)
112.
Registro copialettere con minuta di lettera di Gioacchino
Napoleone Pepoli a Napoleone III, lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio,
Minute di lettere e manoscritti di discorsi, 4. Minute di lettere
all’imperatore Napoleone III)
10. CIPRIANI E L’ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE ROMAGNE
Ritiratosi il D’Azeglio, il 2 agosto i membri del Governo provvisorio, su
indicazione di Napoleone III e con la mediazione del Pepoli, nominarono
governatore delle Romagne Leonetto Cipriani (113-114), che si adoperò per
la convocazione di lì a poco di un’Assemblea nazionale con lo scopo di
ratificare la sua elezione e di decidere sulla costituzione da dare alle ex
Legazioni (115).
E Pepoli fu naturalmente fra i deputati all’Assemblea nazionale delle
Romagne, eletto il 23 agosto in uno dei nove collegi di Bologna. Tra il 2 e il
12 ottobre si svolsero, inoltre, le consultazioni per la designazione dei
consiglieri comunali di Bologna: Pepoli risultò tra gli eletti.
Nel nuovo governo guidato dal Pepoli fu confermato alle finanze e agli esteri.
Oltre naturalmente alle elementari esigenze della sopravvivenza e della difesa
(per mezzo ad esempio dell’acquisto di armi, 116), numerose furono le
21
questioni alle quali si volse il Governo provvisorio nel breve arco della sua
esistenza.
Certamente la prima, più importante e delicata tra le missioni diplomatiche
intraprese – senza esito – riguardò il progetto di “fusione” delle quattro
provincie dell’Italia centrale in un unico soggetto giuridico. Tra il 15 e il 17
settembre 1859, sia dall’inviato straordinario a Firenze Emanuele Marliani
che dall’incaricato d’affari presso il governo toscano Gabiello Rossi
arrivarono le prime relazioni sull’accoglienza riservata alla mozione:
«Quanto favorevolmente si mostrò il marchese Ridolfi ministro degli esteri di
Toscana […] altrettanto il ministro presidente barone Ricasoli si mostrò
avverso ad essa» (117).
Non era tuttavia Firenze l’unico fronte aperto dal Governo provvisorio. Sin
dalla fine di agosto, infatti, era emerso il disegno di una deputazione che
presentasse al re di Sardegna i voti che l’eligenda Assemblea nazionale delle
Romagne avrebbe pronunciato in favore dell’annessione. Il 24 settembre la
delegazione fu ricevuta a Monza (118), mentre il 23 ottobre espressioni di
gratitudine furono rivolte all’imperatore dei francesi da un drappello di nobili
bolognesi (119).
Un’altra delle fatiche diplomatiche avviate dai governi provvisori degli ex stati
dell’Italia centrale consistette nell’abolizione delle barriere doganali. Lo
stesso giorno in cui Vittorio Emanuele accoglieva nella reggia di Monza la
richiesta di annessione pronunciata dalle Romagne, il conte Giuseppe
Pasolini iniziava la sua missione a Firenze presso il Ricasoli per
«sopprimere le dogane intermedie, e i passaporti interni, e di parificare le
tasse postali» (120-121).
Il momento maggiormente carico di significato dell’operato del Pepoli quale
ministro degli affari esteri è però da individuare nella relazione finale intorno
al suo operato svolta all’Assemblea nazionale il 7 novembre 1859 (122), ossia
nel giorno in cui si ricevettero le dimissioni di Cipriani e si decretò di offrire
al principe Eugenio di Savoia Carignano la reggenza delle Romagne.
Ritratto di Leonetto Cipriani (BCA, collezione dei ritratti, A/14,
113.
cart. 98, n. 1)
114.
Proclama di Leonetto Cipriani ai popoli delle Romagne, 6 ago.
1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
115.
Decreto di convocazione dell’Assemblea nazionale delle
Romagne, 25 ago. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE)
116.
Leonetto Cipriani a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., s.d. (G. N.
PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 93. Cipriani Leonetto, 8)
117.
Gabriello Rossi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Firenze, 17 set.
1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del
Governo provvisorio delle Romagne, 3. “Rossi prof. Gabriele incaricato
d’affari presso il governo toscano”)
22
118.
Gioacchino Napoleone Pepoli a Giuseppe Dabormida, Bologna,
21 set. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri
del Governo provvisorio delle Romagne, 9. Deputazioni dell’Assemblea
nazionale delle Romagne presso Vittorio Emanuele II e Napoleone III)
119.
Gioacchino Napoleone Pepoli a Tancredi Mosti e Astorre
Hercolani, Bologna, 22 ott. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero,
degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 9.
Deputazioni dell’Assemblea nazionale delle Romagne presso Vittorio
Emanuele II e Napoleone III)
Giuseppe Pasolini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Firenze, 23
120.
set. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del
Governo provvisorio delle Romagne, 13. Giuseppe Pasolini in missione
a Firenze)
121.
Decreto di abolizione delle barriere doganali, 5 ott. 1859
(STAMPE GOVERNATIVE)
122.
“Messaggio di sua eccellenza il ministro degli affari esteri letto
all’Assemblea delle Romagne nella tornata del 7 nov. 1859”, s.l. s.d.
(G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo
provvisorio delle Romagne, 2. “Miscellanea”)
123.
G. FINALI, L’Assemblea dei rappresentanti del popolo delle
Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859
11. FARINI E L’ANNESSIONE AL REGNO DI SARDEGNA
Subentrato Luigi Carlo Farini (124-125) quale nuovo governatore, questi –
naturalmente dopo le dimissioni di rito – riconfermò il Pepoli al dicastero
delle finanze del Governo provvisorio delle Romagne (126). Sancita poi
l’unione delle ex Legazioni coi ducati di Modena e Parma nel novello Governo
delle provincie dell’Emilia, Gioacchino entrò nel nuovo gabinetto presieduto
dal Farini sempre quale ministro delle finanze.
L’11 ottobre 1859 aveva intanto visto la luce il «Corriere dell’Emilia. Giornale
politico quotidiano», fondato e ispirato dal Pepoli, diretto da Pasquale
Cuzzocrea e stampato a Bologna alla tipografia Monti al Sole in piazza San
Martino. La linea del giornale risultò chiara fin dal primo numero: l’unica
possibile scelta fu individuata
«nell’unificazione sotto lo scettro del leale e magnanimo nostro Re Vittorio
Emanuele».
A più di un decennio di distanza dalla sua comparsa sulla scena politica
bolognese, il marchese Pepoli consumò così la sua definitiva “conversione”
da una primitiva opinione federalista a una esplicita soluzione
annessionistica.
Per tutto il gennaio 1861 il giornale sospese le pubblicazioni, perché la
direzione di esso si unificò con quella dell’«Età presente», per riprendere
regolarmente dal 1° febbraio successivo sino al 31 dicembre 1867; dalla
fusione, infine, del «Corriere dell’Emilia» con «La Gazzetta delle Romagne»
nacque la «Gazzetta dell’Emilia», ispirata da Marco Minghetti, diretta dai
fratelli Antonino e Pasquale Cuzzocrea e pubblicata a Bologna per i tipi Fava
23
e Garagnani dal 1° gennaio 1868 al giugno 1911, quando la sede del giornale
si trasferì a Modena.
Dopo la convocazione dei comizi elettorali (127) e le successive consultazioni
(128), il naturale esito alle vicende fin qui descritte fu rappresentato
dall’annessione delle Romagne al Regno di Sardegna (129). Fu – come lo
stesso Pepoli ammise – «il punto culminante della sua popolarità»:
«La sera del plebiscito tutta la popolazione si portò al suo palazzo e gli fece
un ovazione che pochi cittadini possono onorarsi di aver avuta, ovazione che
si rinnovò più tardi al teatro comunale. All’apparire nel suo palco tutti si
alzarono in piedi acclamandolo fragorosamente».
Intanto, il 22 marzo 1860 il marchese era stato promosso grand’ufficiale
dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, giusto in tempo per la solenne visita
di Vittorio Emanuele a Bologna il 1° maggio successivo (130).
Del suo rapporto col sovrano e del colloquio avuto con esso dopo Villafranca,
egli lasciò memoria nell’orazione funebre pronunciata al Consiglio
provinciale di Bologna il 23 gennaio 1879 per la morte del “gran re” (131).
Gioacchino Napoleone Pepoli fu in seguito deputato e senatore del Regno.
Come ministro dell’agricoltura firmò la legge che fece della lira la moneta
nazionale. Dopo essere stato ambasciatore a San Pietroburgo, poi sindaco di
Bologna, e ancora rappresentante a Vienna, dedicò gli ultimi anni della sua
vita alla creazione di istituzioni di assistenza e previdenza per le classi
operaie.
Morì a Bologna il 26 marzo 1881 all’età di cinquantacinque anni, in una
stanza al pian terreno della Palazzina Pepoli, al numero 1314 della piazzetta
di Sant’Agata. Della sua vita intensa ci ha lasciato traccia nell’autobiografia
Documenti intorno alla mia vita (132). Del suo archivio personale – dal quale
sono state tratte le testimonianze che ci hanno accompagnato in questo
percorso documentario – parla esplicitamente nel tuo testamento:
«Ma siccome desidero che le memorie della mia vita, specialmente della mia
vita politica, non vadino disperse, lascio a mia figlia Letizia tutte le mie carte,
lettere, manoscritti, autografi […] Lasco poi l’obbligo alla stessa mia figlia
Letizia, ove non trovasse già la cosa fatta, di far pubblicare tutte le lettere e
corrispondenza» (134).
Nel 2008 l’archivio personale di Gioacchino Napoleone Pepoli è stato
acquistato dallo Stato, per il tramite della Soprintendenza archivistica della
Toscana, dall’ultimo erede Gaddi Pepoli. Per la sua conservazione è stato
scelto l’Archivio di Stato di Bologna, città natale del marchese, dove si
trovava già depositato il grande archivio gentilizio dei Pepoli.
Ritratto di Luigi Carlo Farini (BCA, collezione dei ritratti, A/22,
124.
cart. 43, n. 2)
Proclama di Carlo Luigi Farini ai concittadini, 9 nov. 1859
125.
(STAMPE GOVERNATIVE)
24
126.
Luigi Carlo Farini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 10
nov. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 2. Farini Luigi
Carlo)
127.
Decreto di convocazione dei comizi elettorali, 1° mar. 1860
(STAMPE GOVERNATIVE)
128.
«Il monitore di Bologna», 15 mar. 1860
129.
Proclama dell’intendente generale Annibale Ranuzzi, 18 mar.
1860 (STAMPE GOVERNATIVE)
“Feste a s.m. Vittorio Emanuele nei primi tre giorni di sua
130.
dimora in Bologna” 29 apr. 1860 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Comuni, 1.
Bologna)
131.
Gioacchino Pepoli, Funeralia, Bologna, Regia tipografia, 1880
(Collezione privata Rosati Pepoli)
“Documenti intorno alla mita vita”, ms. (G. N. PEPOLI, Carte
132.
politiche)
133.
Medaglia commemorativa di Gioacchino Napoleone Pepoli
(Collezione privata Rosati Pepoli)
134.
“Apertura e pubblicazione del testamento segreto del fu nobil
uomo marchese Gioacchino Napoleone Pepoli” (Atti dei notai del
distretto di Bologna, Archivio del notaio Vecchietti Eugenio, 1881, vol.
180/48)
LE CELEBRAZIONI
12. DAL 1893 AL 1961
Le date che hanno segnato la storia del Risorgimento bolognese sono state
certamente l’8 agosto del 1848 e il 12 giugno 1859. Le principali celebrazioni
legate a questi avvenimenti si sono svolte nel 1898, nel 1909-1911, nel 1948
e nel 1959-1961.
In questa prima parte della sezione si dà spazio alle celebrazioni degli
avvenimenti succedutesi a Bologna dall’8 agosto 1848, con la cacciata degli
austriaci e la battaglia della Montagnola, alle otto giornate di maggio del
1849, nelle quali la città assediata dalle truppe austriache resistette con
accanimento. Queste due fatti d’armi vennero riconosciuti come “Campagna
di guerra combattuta per l’Unità e l’indipendenza italiana”.
Emblema di quel periodo fu Ugo Bassi, frate barnabita e cappellano
maggiore, arrestato a Comacchio nella locanda della Luna, condotto a
Bologna in Villa Spada e lì giustiziato insieme a Giovanni Livraghi,
esattamente un anno dopo la Montagnola l’8 agosto 1849 (137).
IL MUSEO DEL RISORGIMENTO A BOLOGNA (1893)
Le origini del museo bolognese dedicato al Risorgimento vanno collocate
nell’Esposizione emiliana del 1888, la quale a sua volta non soltanto fu
promossa “sotto gli auspici del padre della patria Vittorio Emanuele II” nel
decimo anniversario della sua morte, ma si svolse in concomitanza con le
celebrazioni dell’VIII centenario dell’Università di Bologna.
25
Per un certo tempo era stata valutata come data per l’inaugurazione del
museo l’8 agosto, anniversario della battaglia della Montagnola: tale
ricorrenza aveva rivestito una particolare importanza fin dai primi anni
successivi all’Unificazione ed era già celebrata in città con manifestazioni di
rilievo. D’altra parte, la data scelta per inaugurare un museo del
Risorgimento non poteva essere significativa soltanto da un punto di vista
meramente locale, per conciliare i valori dell’identità cittadina con il senso di
appartenenza a una comunità nazionale.
Altre giornate anniversarie apparivano ugualmente importanti e significative,
ma non vennero prese in considerazione, come per esempio la data del
plebiscito che aveva sancito l’annessione di Bologna e dell’Emilia-Romagna
alla monarchia di Vittorio Emanuele II.
Infine, non fu valutata neanche la data di proclamazione del Regno d’Italia,
che già nel 1861 fu contrassegnata da manifestazioni di scarsa solennità.
Alla luce di queste considerazioni, la scelta del 12 giugno 1893, data
celebrativa di un evento fondamentale sia per la storia locale sia per quella
nazionale, si rivelava come la più adeguata, per l’inaugurazione del Museo
del Risorgimento (138).
IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DELLA
MONTAGNOLA (1898)
I festeggiamenti per il cinquantenario dell’8 agosto si articolarono per l’intera
giornata: si iniziò con un corteo di bande musicali dei comuni bolognesi. In
seguito il corteo fece tappa alla Montagnola per la posa della prima pietra del
monumento commemorativo a ricordo della memoranda giornata. Dopo
questa sosta si passò da Casa Rizzoli, dove si conservavano le lapidi per i
caduti della gloriosa battaglia.
Le celebrazioni continuarono nel pomeriggio con una conferenza presso il
Teatro Duse, già Brunetti, dove parlarono il sindaco Dall’Olio, il presidente
del Comitato bolognese per il monumento della Montagnola Discoride Vitali,
il professor Luigi Rava, onorevole deputato e sottosegretario al Governo, e
infine l’avvocato Enrico Golinelli, consigliere comunale e poi sindaco di
Bologna.
La giornata si concluse con banchetti patriottici allestiti negli edifici pubblici
illuminati e accompagnati dalle bande musicali dei comuni bolognesi.
EVENTI PER IL CENTENARIO DEL 1848
Nel 1948 furono organizzate due mostre per il centenario del 1848. La
Mostra bibliografica del 1848 bolognese, a cura della Biblioteca universitaria
di Bologna e promossa dal Comitato per la celebrazione dell’8 agosto 1848, è
forse l’evento che dà l’espressione più completa della passione patriottica che
ha scosso la città nella lotta contro l’Austria; lettere, appelli e proclami
esposti davano la misura dell’entusiasmo suscitato dalla battaglia della
Montagnola (139). L’altra mostra, organizzata dal Museo civico del
Risorgimento di Bologna, copriva sia la battaglia della Montagnola che il
periodo della Repubblica romana, con l’assedio di Bologna da parte degli
austriaci (8-15 maggio). In entrambe le mostre prevaleva il metodo
didascalico e divulgativo, in cui i documenti e i cimeli dovevano provocare un
sentimento di commozione per gli eroi protagonisti degli avvenimenti narrati.
26
IL 1859-61 A BOLOGNA
Nella seconda parte della sezione, relativa alle celebrazioni del triennio 18591861, si è voluto soprattutto dare risalto alla data del 12 giugno 1859,
perché segna la definitiva cacciata degli austriaci da Bologna, esponendo le
pubblicazioni celebrative del centenario curate dal Comune di Bologna (144147).
EVENTI PER IL CINQUANTENARIO DEL 1859
Il 1909 fu, di fatto, il primo di tre anni dedicati alla memoria del
Risorgimento nazionale e Bologna fu presente a tutte le manifestazioni anche
fuori dalla città, specie quelle promosse nel 1911. In quell’anno cimeli
bolognesi vennero inviati all’Esposizione del Risorgimento tenutasi a Roma
nei locali del monumento a Vittorio Emanuele II (inaugurata il 20 settembre
1911 e chiusa il 30 aprile 1912) – dove, sotto la guida di Vittorio Fiorini,
quadri, ritratti, cimeli, manoscritti, bandi e opuscoli costituirono la “sezione
bolognese” – e alla Mostra degli italiani all’estero allestita a Torino. A
Bologna, poi, venne realizzata una mostra dei monumenti patriottici
costruita con pannelli su cui erano stati riprodotti i monumenti eretti in
numerose piazze italiane a memoria degli eventi e degli uomini che avevano
contribuito all’unificazione nazionale.
Nel 1911 usci su «il Resto del Carlino» in concomitanza con le celebrazioni
per il primo centenario dell’Unità, un lungo articolo in prima pagina sulla
ricorrenza del 63° anniversario della battaglia della Montagnola, con la foto
di Gioacchino Pepoli in primo piano, uno dei protagonisti di quella eroica
battaglia (142).
AD UN SECOLO DALL’UNIFICAZIONE NAZIONALE
Nell’Italia post seconda guerra mondiale, in una stagione che vedeva il Paese
avviarsi verso il boom economico, si svolsero le celebrazioni del primo
centenario dell’Unificazione nazionale, celebrazioni che per tre anni (19591961) coinvolsero anche Bologna, e che rappresentarono la riaffermazione di
valori proposti in una continuità ideale tra il passato e il presente,
legittimando l’identità nazionale costruita sul Risorgimento e sulla
Resistenza.
Il 7 giugno 1959 si intrecciarono diversi eventi: una sfilata dei gonfaloni di
città e province decorate, di università italiane, di enti e associazioni
popolari, seguendo un percorso che passava tra le piazze e le strade che, nel
tempo, le diverse amministrazioni comunali avevano voluto dedicare alla
memoria del Risorgimento: piazza XX settembre, via dell’Indipendenza,
piazza VIII agosto, piazza Maggiore (già Vittorio Emanuele). Tra l’8 e l’11
giugno, poi, le serate dei bolognesi furono allietate da concerti di musiche
risorgimentali; ancora nella sera dell’11 giugno fu possibile ascoltare dalla
voce degli attori Gino Cervi ed Elena Zareschi un recital di poesie e prose. Il
giornale dal titolo Bologna libera fu distribuito gratuitamente a cura del
Comune di Bologna il 12 giugno 1959, e tutti poterono essere ancor più
consapevoli delle ragioni di tanto impegno a rievocare i fatti del passato. La
prima pagina era per metà occupata dalla riproduzione di una stampa
ottocentesca raffigurante piazza Maggiore piena di bolognesi festanti la
27
mattina del 12 giugno 1859; nell’altra metà le parole del sindaco Giuseppe
Dozza e quelle del presidente della provincia Roberto Vighi (148).
Come cinquant’anni prima, le celebrazioni della liberazione di Bologna dal
governo pontificio continuarono nei due anni a seguire creando un percorso
unitario con le manifestazioni nazionali. Di quel fervore di attività resta
ancora oggi memoria nei tre fascicoli del «Bollettino del Museo del
Risorgimento» in cui vennero raccolti gli atti di un importante convegno sul
Risorgimento in Emilia. Nei primi anni Sessanta, nella collana “Fonti e
ricerche per la storia di Bologna”, si iniziarono a pubblicare altri volumi sul
Risorgimento - a partire dalla Cronaca di Bologna di Enrico Bottrigari (curati
da Aldo Berselli) - contribuendo ad arricchire la storiografia nazionale di
importanti studi di storia politica, economica e sociale.
L’8 agosto 1848 in Bologna. Notizie e documenti raccolti e
135.
pubblicati da Domenico Brasini, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani,
1883
136.
Narrazione storica del fatto d’armi avvenuto in Bologna il giorno 8
agosto 1885 con l’elenco dei morti, feriti e prigionieri. Ricordi del
veterano ufficiale Ponziano Sarti De’ Camaldoli, Bologna, Tipografia del
commercio, 1885
137.
Vita del padre Ugo Bassi narrata al popolo da Enrico Zironi,
Firenze, A. Salani, 1888
138.
Museo civico del 1° e 2° Risorgimento, testo di O. SANGIORGI,
Casalecchio di Reno, Grafis, 1986
139.
Catalogo della mostra bibliografica del 1848. 15 maggio - 31
agosto, a cura della Biblioteca Universitaria di Bologna, Bologna,
Tipografia Luigi Parma, 1948
140.
‘48. L’Italia s’e desta, numero unico, 13 maggio-8 agosto 1948
Italiani morti a difesa di Bologna, Bologna, Municipio di Bologna,
141.
[1874]
142.
Nel 63° anniversario della cacciata degli austriaci da Bologna, «Il
Resto del carlino», 8 agosto 1911
143.
G. DEL BONO, Bologna e le Romagne durante la guerra del 1859,
Roma, Laboratorio tipografico del Comando del Corpo di Stato
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L. FRANZONI GAMBERINI, Come Bologna e la Romagna
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146.
12 giugno 1859. Numero speciale per le celebrazioni centenarie, a
cura di L. PASQUALINI – F. CECCHINI, Bologna, Comune di Bologna,
1959
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Le celebrazioni centenarie del 12 giugno 1859, Bologna,
Stabilimento tipografico Asca, 1959
28
148.
Bologna libera. Numero unico per le celebrazioni bolognesi del
Centenario dell’Unità d’Italia, Bologna, 12 giugno 1859, Bologna,
Tipografico STEB, 1959
149.
La liberazione di Bologna cento anni fa. Mostra a cura del
Comitato bolognese per le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia.
Bologna, 21 febbraio-1° maggio 1960, Bologna, Tipografia Luigi Parma,
1960
FUORI SEZIONE
150.
Fotografia di Gioacchino Napoleone Pepoli, Paris, Disdéri
photographe, s.d. (Collezione privata Rosati Pepoli)
A. MUZZI, Ritratto del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli
151.
(Pinacoteca nazionale di Bologna, Gabinetto disegni e stampe, inv.
1255)
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In mezzo alla folla è il Pepoli