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TACCUINO DI VIAGGIO • TACCUINO DI VIAGGIO
Norvegia
Il primo italiano
a Capo Nord nel 1664
Testo e foto del capogruppo Luigi Melloni
Museo Civico di Scienze Naturali
Il viaggio Norvegia Solo percorre in automobile tutta la Norvegia, inserendo la
deviazione per Bergen, fino all’estremo
punto nord, l’isola di Capo Nord. Oltre
4450 Km da compiere sulle ottime strade norvegesi poco trafficate, rispettando tassativamente i limiti di velocità imposti dalle rigide regole del paese. Capo
Nord è diventata una meta obbligatoria
di tanti turisti e soprattutto motociclisti
che partono dai paesi dell’Europa meridionale per raggiungere l’estremo lembo del continente. Ormai non c’è più nulla d’avventuroso. La strada asfaltata N°
E06 fino a Olderfjord poi la E069 porta direttamente alla meta transitando sotto
al modernissimo Nordkapptunnelen a
pagamento. Lungo la direttrice distributori di carburanti, aree sosta dotate di
servizi sanitari pulitissimi, campeggi
con le economiche hytter e tante cittadine con ogni servizio ma dagli orari molto rigidi, per noi assurdi. Splendidi paesaggi si succedono: fiordi, coste, laghi,
montagne con lingue di neve e ghiacciai
che scendono verso il mare, cascate e le
immancabile casine in legno con colori
vivacissimi, s’inseriscono nel paesaggio
nordico, quasi da presepio. Boschi di
abeti, pini silvestri e betulle dalle bianche cortecce, nel sotto bosco prati di
mirtilli neri e rossi, eriche, lamponi e
funghi porcini che nessuno raccoglie.
Una natura incontaminata rispettata dai
4,6 milioni di norvegesi amanti della vita all’aria aperta e degli sport. Giunti a
Capo Nord per accedere al parcheggio
c’è un pedaggio circa 17,5 ¤ a testa, il biglietto (valido ben 2 giorni!) permette di
entrare nell’enorme e moderna struttura affacciata all’estrema rupe di terra
europea. Una costruzione tipo centro
88
Da un
Norvegia Solo
commerciale con vetrate dove all’interno si trovano negozi di souvenirs e paccottiglie, bar, ristoranti (tutt’altro che
economici), l’ufficio postale, la sala multimediale che trasmette documentari
sull’area, piccole esposizioni che illustrano storia e aspetti naturali. Fuori c’è
la veranda che si affaccia sul Mar Glaciale Artico per le foto di rito. Una riproduzione del geoide terrestre è preso
d’assalto dai gruppi di turisti arrivati alla meta da tutto il mondo con ogni mezzo: bus, nave da crociera, auto, moto, bicicletta, auto stop. In mezzo a tale moltitudine ci si sente avviliti, l’agognato
traguardo è snaturalizzato, ridotto a
punto estremo del commercio globalizzato a tutti i costi. Forse era meglio fermarsi alcuni Km prima tra i boschi di betulle o tra la tundra artica, sicuramente
ci s’immerge in tutt’altre realtà dopo i
4450 km percorsi! Il primo italiano che
raggiunse Capo Nord nel 1664 riportò
impressioni molto diverse dal viaggio attuale. Non c’erano strade, punti di ristoro, mezzi di comunicazione ed era tutta
un’avventura che si succedeva ora per
ora, giorno per giorno. Di seguito narro
l’impresa di questo indomito italiano, avventuriero convinto e romagnolo ferrigno che raggiunse il punto estremo
d’Europa a 71°10’21”N.
Francesco Negri nacque a Ravenna il 27
marzo 1623, da Stefano agiato e facoltoso ravennate citato dal Pasolini nei “Lustri Ravennati”. Si dedicò fin da giovane
allo studio dei classici, della filosofia e
delle Sacre Scritture tanto che di spontanea volontà, vestì l’abito sacerdotale.
Fu sempre attratto dalle scienze naturali in particolare dalla geografia ed
astronomia con la perspicacia e l’intuito
che i mezzi e le conoscenze dell’epoca
mettevano a sua disposizione. In Ravenna tenne come intendente scolastico i
corsi delle scienze ed osteggiò sempre
l’astrologia come forma di divinazione
falsa e superstiziosa attraverso l’interpretazione delle Sacre Scritture e delle
teorie filosofiche di Pico della Mirandola. Ma gli studi e le meditazioni a tavolino non bastavano al Negri, spinto dal desiderio d’approfondire le proprie conoscenze sui fenomeni naturali e sugli usi
e costumi d’altri popoli.
Nel 1663 all’età di 40 anni intraprese un
viaggio che in tre anni lo portò a visitare
i paesi dell’estremo nord d’Europa: Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia fino a Capo Nord.“Mi stimolò sempre sin
dai primi anni il genio curioso, inseritomi dalla natura, a far qualche gran viaggio per osservare la varietà di questo bel
mondo”. Così lasciò scritto nelle sue lettere pubblicate postume nel 1700 raccolte nel libro “ Viaggio settentrionale.
Fatto e descritto dal Molto Reverendo
Sig. D. Francesco Negri. Da Ravenna.
Opera Postuma. Data alla luce dagl’Heredi del Suddetto. In Padova, Stamperia
del Seminario, 1700”.
Ma quali furono i motivi che spinsero il
tranquillo romagnolo a scegliere il viaggio all’estremo nord? Difficile dirlo.
Mentre i navigatori dell’epoca esploravano i mari australi ed orientali alla ricerca di linee commerciali e nuove terre riportando ricche descrizioni dei
paesi tropicali, le aree nordiche risapute povere e sterili per le particolari condizioni climatiche, furono sempre accantonate dai mercanti navigatori, tanto che fino alla metà del XV secolo le
carte nautiche rappresentavano la Svezia o Gothia come un’isola ed il Planisfero in foglio membranaceo (1452) di
Giovanni Leardo Veneziano, recava al
nord la scritta ”Dexerto deshabitato pel
freddo” e ad est “Paradiso Terrestre”.
Dopo i fratelli Nicolò e Antonio Zeno di
Venezia nati tra il 1326 e il 1340 che si
suppone siano giunti al nord della Scandinavia senza che i loro resoconti siano
stati resi pubblici poiché dimenticati per
due secoli negli archivi di famiglia, nel
1431 il veneziano Pietro Quirini o Quirino allestì una nave con il preciso intento d’intraprendere una linea commerciale con l’estremo nord Europa. Ma il
veliero naufragò in prossimità delle isole Lofoten nel mar di Norvegia, e solo 11
marinai riuscirono dopo due anni, a rimpatriare e a portare alcune descrizioni
dell’ambiente e delle popolazioni che
giudicarono “di bello aspetto”.
Altre succinte notizie sulla Lapponia si
trovano scritte nel libro del veronese
Alessandro Guagnini (1538-1614), e di
Giovanni Giustiniani è conservato nel
Museo Civico di Venezia un codice cartaceo del 1583 intitolato “Viaggio in Isvezia”. Probabilmente l’idea del viaggio
settentrionale si accese nel Negri dall’attenta lettura dell’opera dell’Arcivescovo di Upsala Olao Magno “Historia de
gentibus septentrionalibus” (1555) dove
con dovizia di particolari trattava degli
usi e dei costumi dei Lapponi e delle popolazioni scandinave con ricche e dettagliate descrizioni ambientali, tra l’altro
Olao Magno fu autore della “Carta marina” la prima particolareggiata mappa
della Scandinavia (1539). Non c’era occasione migliore per verificare di persona quanto già riportato dall’Arcivescovo:
i lunghi giorni estivi, terre ricoperte da
neve e ghiaccio, le tundre desolate e a
maggior ragione, tutte cose mai viste
personalmente da alcun italiano!
Francesco Negri iniziò la sua avventura
lasciando la tranquilla Ravenna e da
Danzica navigò fino a Stoccolma dove
sentì parlare di una strana invenzione
che permetteva di scendere sul fondo
marino “per ritrovar cose perduteci o
per altro arbitrio...”. Veniva allestita una
campana di piombo trattenuta da una
lunga fune, all’interno s’introduceva un
uomo vestito con stivali ed una rudimentale muta in cuoio, poggiando con i
piedi su una barra trasversale posizionata alla base della campana; in mano
reggeva una picca uncinata per raccogliere le cose dal fondo. Negri osservò
personalmente l’immersione della
campana in acqua, tanto che la sua infinita curiosità lo indusse a voler provare
personalmente l’esperienza, ma ne fu
sconsigliato. Il palombaro introdotto
nella campana, restava sul fondo fino a
30 minuti comunicando con la superficie
strattonando piccole corde.
Il Negri spiegò esattamente il principio
fisico: l’aria contenuta nella campana
viene compressa verso l’alto dall’acqua
e si forma una camera d’aria che permette al palombaro di respirare ed ope-
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TACCUINO DI VIAGGIO • TACCUINO DI VIAGGIO
Francesco
Negri
1623-1698
rare sul fondo. Con questo sistema nel
1663 avevano recuperato già 16 cannoni di bronzo da una nave affondata nel
porto di Stoccolma a 30 metri di profondità.
Negri a piedi e con mezzi di fortuna, arrivò fino alle estreme propaggini nordiche tra le popolazioni Lapponi; raccontò tutto il viaggio descrivendo accuratamente gli aspetti naturali, la fauna, la
flora le abitudini dei popoli incontrati,
arricchendo il diario con impressioni
personali tanto da rendere la lettura
tutt’oggi avvincente ed ancora attuale.
Non si arrestò alle difficoltà del cammino né lo trattenne il timore di attraversare tundre sconfinate, folte boscaglie abitate da lupi ed orsi. Così andava
dicendo: “Io son d’opinione che o tutti o
la maggior parte degli animali feroci,
che uccidono l’uomo, lo facciano solamente o costretti dalla fame per sostenersi, il che è rarissimo, o per difender
la propria vita assaltati da essi, e non altrimenti lo facciano per sola crudeltà”.
Smarrì la strada mentre solo costeggiava un fiordo affrontando la fame e il
freddo. Nei momenti di sconforto e di
solitudine ripeteva a se stesso: “Tu soffri molto Francesco, non è vero? Ma
dimmi chi ti ha fatto venire da queste
parti? Nessuno. Ci sei venuto spontaneamente per vedere le curiosità. Di
che dunque puoi lamentarti?”
In effetti le difficoltà che l’esploratore
dovette superare possono sembrare
enormi se pensiamo ai mezzi dell’epoca ed alla natura selvaggia ed inospitale che consentiva solo spostamenti a
piedi, o con piccole barche o slitte trainate da renne.
Rimase stupefatto da un animale simile al cervo, il ”rangifero”, la renna (Rangifer tarandus L.) impiegato dai Lapponi allo stato selvatico o domestico per
ricavarne carne, latte, formaggio, pelli
e nervi per cucire. Durante gli spostamenti dormiva presso famiglie di Lapponi che vivevano in capanne costruite
con pertiche ravvicinate e ricoperte da un panno in lana; nel mezzo
ardeva perennemente il fuoco. Descrivendo i Lapponi che sono piccoli di statura, umili, pacifici ed ospitali con gli stranieri, tanto da offrire alloggio e cibo. Non esiste il furto, così che lasciano sempre aperte e incustodite le loro cose e le abitazioni.
Il pesce fresco e secco che pescano
con facilità nel mare o nei laghi, costituisce il loro principale alimento. Non
conoscono il pane tanto che per celebrare la S.Messa in lingua lappone, fu
introdotto il vocabolo “leipa” che significa pane in finnico. Fanno largo uso degli uccelli marini che nidificano sulle
scogliere saccheggiando i nidi e asportando pulcini e uova, utilizzano a scopo
alimentare tutti gli animali selvatici: orsi, lontre, scoiattoli,” de lupi non so”.
Non utilizzano l’ermellino poiché le carni sono molto limitate e impregnate di
cattivo odore. Mangiano l’aquila, il corvo ed ogni specie di volatile. Non condiscono né salano i cibi, non conoscono i
sapori dolci, piccanti o salati, utilizzano
per dissetarsi e per cucinare l’acqua
sciolta dalla neve aggiungendovi qualche volta latte di renna.
I Lapponi vestono con lunghe giacche in
pelle di renna, sopra alla pelle portano
maglie di lana rozza, calzoni e calze unite insieme, le scarpe sono a barchetta
con la punta all’insù cucite in pelle di
renna. Le donne s’adornano con gli
stessi abiti tanto che viste da lontano,
non si distinguono dagli uomini.
Francesco Negri partecipò alla vita
giornaliera dei Lapponi seguendo la
caccia al ” cane di mare”, la foca grigia
(Halichoerus grypus F.) e alle renne selvatiche con l’impiego degli sci.
Riporta una fedele descrizione, forse la
prima arrivata in Italia, sulle tecniche
d’uso degli sci da fondo. Per camminare sulla neve alta i Lapponi utilizzano
due tavolette in legno legate con cinghie
ai piedi che fanno scivolare in avanti.
Per non retrocedere rivestono le tavolette nella parte sottostante con pelli di
renna. Provò personalmente gli sci ed
osservò che per ben procedere occorreva non incrociare le punte né le code,
in caso contrario si finiva a gambe levate nella neve alta con notevoli difficoltà
nel rialzarsi.
All’estremo nord fu sorpreso durante
l’estate, dalla moltitudine di ditteri
ematofagi e zanzare, che a nugoli lo assalirono tanto da costringerlo a ripararsi. Anche oggi i turisti che raggiungono quelle latitudini lamentano le aggressioni di tali insetti famelici.
Ovunque crescono “ i bedolli”, la betulla (Betula alba L.) e nel mese d’aprile
ne viene incisa la corteccia per estrarre un liquido dolce e gustoso da bere,
che viene raccolto in barili e botti. Dai
pini (Pinus sylvestris L.) in maggio ricavano la resina, provvedendo a scortecciare la base degli alberi più vigorosi fino a tre metri d’altezza. Dalla resina portata ad ebollizione in grandi recipienti, si ottiene la pece impiegata per
calatafare le chiglie delle navi e per ricoprire le pareti in legno delle abitazioni. Sono sconosciuti i “ pini fruttifeari”.
Negri fa riferimento al pino domestico
(Pinus pinea L.) dal quale si ottengono i
pinoli, tipico della sua città, Ravenna .
Riteneva che il lemming (Dicrostonyx
torquatus Pallas), il roditore che a cicli
poliennali si moltiplica a dismisura e
compie migrazioni in massa raggiungendo il mar di Norvegia, si originasse
in terra dalle gocce d’acqua piovana come le rane ed i lombrichi. Ne forniva una
riprova asserendo che i lemming si ritrovavano fin dentro alle barche o sul
capo dei viaggiatori. (Il Negri credeva
ancora nella generazione spontanea!).
Le malattie che affliggevano le popolazioni nordiche erano molto rare, in particolare le febbri. Soffrivano però di
un’infermità conosciuta come scorbuto. Negri riteneva che tale patologia fosse conseguente all’esposizione del capo scoperto al freddo e all’umidità. Egli
stesso raccontava, che faceva molta attenzione a coprirsi il capo e ad asciugarsi attentamente i vestiti bagnati.
Sappiamo che lo scorbuto è causato
dalla carenza di vitamina C (acido
ascorbico) conseguente alla dieta priva
di verdure fresche. Lo scorbuto era endemico a quel tempo in tutti i paesi
scandinavi specialmente nei mesi invernali.
Passato il Circolo Polare Artico e giunto a Capo Nord, di ritorno a Copenaghen, trovò calorosa accoglienza ed
ospitalità presso il re Federico II che lo
invitò a narrare le sue esperienze ed a
mostrare le cose curiose raccolte durante il viaggio. Il re si stupì nel vedere
che un italiano nato e proveniente da climi miti avesse avuto tanto coraggio e
costanza nel raggiungere tali latitudini.
Nel 1666 ritornato in Italia dopo tre anni, poteva riposarsi a Ravenna tra l’agiatezza della famiglia ma il sacerdote
cercava ancora l’opportunità per partire alla scoperta di nuovi orizzonti nordici. Nel 1670 il Cardinale Altieri gli assegnò
l’incarico della parrocchia di S. Maria in Coelis a Ravenna e questo lo costrinse a
desistere dai progetti esplorativi e
di viaggiatore incallito.
Ma il Negri non
era uomo da
restare inattivo ed ino-
Norvegia
peroso. Forte nella fede di cui era ministro, s’adoperò per aiutare i poveri, i
contadini, dedicandosi a questioni giuridiche e morali intervenendo personalmente presso la Sacra Congregazione del Buon Governo.
Nel 1688 pubblicò un opuscolo di 80 pagine “Della riverenza dovuta a’ sacri
tempii, e del modo più facile, et efficace per conseguirla”. La situazione politica e sociale del tempo, il lusso sfrenato dei costumi e l’estrema dissolutezza
di coloro che avevano scelto la strada di
ministro di Dio, provocarono nel Negri
indignazione e risentimento così che
operò per ripristinare l’antica morale.
Chissà cosa direbbe ai giorni d’oggi!
Seguirono altri memoriali: “Sopra li riti, diaconesse et liturgie, et separazione degl’huomini dalle donne nelle chiese”. Fu acceso assertore, inspiratosi alla consuetudine vissuta nelle chiese
svedesi, di separare gli uomini dalle
donne durante le funzioni religiose per
evitare eventuali tentazioni carnali.
Più volte di propria iniziativa si recò a
Roma e ottenne udienza dal Pontefice
Innocenzo XII. Sempre entusiasta dei ricordi nordici, discorreva con piacere del
suo viaggio nei salotti di Ravenna, Firenze e Roma mostrando tutte le curiosità raccolte. Morì improvvisamente a
Ravenna all’età di 75 anni nel 1698 mentre si accingeva a stampare “Il viaggio
settentrionale”.
Francesco Negri precorse i tempi, e
mentre nella sua epoca Gruber e d’Orville esploravano l’Oriente, Tasman navigava nei mari australi, più semplicemente questo romagnolo a piedi, avvalendosi della perfetta conoscenza della
lingua latina e dell’aiuto dei parroci che
visitava, attraversò la Scandinavia, guadò fiumi, fiordi ghiacciati, superò tundre
desolate e fredde rischiando il congelamento degli arti “fotografando” con la
penna ciò che vedeva.
Così riportò nella sua prefazione questa saggia deduzione: “Non può, per dir
vero, parere strano, che noi europei trascuriamo parti così curiose della nostra
Europa, intenti più tosto ad investigar
con diligenti osservazioni i remoti paesi d’Oriente e dell’Austro... e ignoriamo
poi le nostre stesse regioni...”
Il gruppo Melloni
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