I bambini di Makarenko e di Montessori – due pedagogisti educatori a confronto
di Germana Recchia
Questo contributo è stato pensato e costruito a partire dal libro di Nicola Siciliani de
Cumis dedicato ai bambini di Makarenko e al Poema pedagogico1; ed è nato con l’idea e
il desiderio di diventare in qualche modo il “paragrafo” o il “capitolo” che ancora non c’è
in quel volume “aperto”, un volume che si pone come un laboratorio di studi e di ricerche
in fieri.
Siciliani de Cumis, spiegando la struttura del libro, dice: “(…) Di qui la stessa
tripartizione del volume: 1) sul testo del Poema pedagogico, in quanto scrittura ed azione
educativa compiutasi nel suo tempo; 2) su alcuni dei possibili usi didattici dell’esperienza
storica rappresentata, ma in tempi e luoghi pur diversi dall’allora; 3) sulle circostanze più
o meno prossime, geopolitiche ed etico-sociali, in cui è avvenuta l’operazione di rilettura
del Poema pedagogico, benché alla distanza. Sarà quindi possibile – si chiede Siciliani –
per analogia e per differenza, ritrovare nel presente, le fila di una proposta educativa
(quella di Makarenko nel Poema pedagogico), proprio in quanto può ‘servire’ o ‘non
servire’, proprio in quanto risulta ‘superata’ ed al tempo stesso ‘nuova’?”.2
“Quale l’infanzia”, si chiede quindi de Cumis, “di cui Makarenko discorre nel Poema
pedagogico? Quanti e quali, i ‘piccoli’ che si trovano descritti in questo ‘romanzo di
formazione’? Quali e quanti i bambini che, anche al di là delle pagine del Poema e ben
oltre i limiti storici dell’esperienza professionale ed artistica di Makarenko, convergono
attualmente nello stesso ordine di problemi in cui viene ad iscriversi questa lettura del
romanzo come ‘romanzo d’infanzia’? Può in qualche modo, il fenomeno dell’abbandono
dei minori, così drammaticamente presente e crescente nei paesi dell’ex URSS e nel resto
del mondo odierno, trovare una qualche chiave di interpretazione e di intervento
nell’antipedagogia di cui Makarenko rende da par suo straordinaria testimonianza?
(…)”.3
1
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come “romanzo d’infanzia”, Pisa,
Edizioni Ets, 2002. Il volume, dopo la Premessa e l’Introduzione dedicata al Poema e all’infanzia/e di cui
tratta, si divide in tre parti: la Parte Prima, in quattro capitoli, è incentrata sull’analisi accurata del Poema
Pedagogico di Makarenko e in particolare su: Il “Poema pedagogico”, “romanzo di formazione” (pp. 49-61);
La colonia “M. Gor’kij” e le sue “infanzie” (pp. 63-80); I “piccoli” della “seconda generazione” (pp. 8391); I bambini del “Poema”, tra “pedagogia” ed “antipedagogia” (pp. 95-107). La Parte seconda, in un
unico capitolo, tratta de “Il Poema pedagogico” di Anton S. Makarenko, e dintorni (pp. 113-161) facendo
riferimento alle giornate di studio a L’Aquila dedicate ai temi makarenkiani e comprendendo dieci schede
didattiche con immagini fotografiche e notizie storiche su Makarenko e sul Poema, sui suoi “bambini”, sui
bambini abbandonati in URSS negli anni Venti e su quelli di oggi, sull’abbandono dell’infanzia nel mondo.
La Parte Terza, in quattro capitoli, è dedicata a L’erranza come scuola della “prospettiva” (pp. 169 –173) e
quindi ad esperienze vicine a quella di Makarenko in altri contesti spazio-temporali: dall’Ipm Casal del
Marmo a Roma (pp. 179 sgg.), al confronto tra Makarenko e altre importanti figure della nostra cultura e
storia moderna e contemporanea: da Dickens, a Tolstoj, da Yunus a Dewey, a Volpicelli.
Il libro si conclude con la sezione dedicata alle Appendici: la I ospita documenti su Bambini abbandonati
nell’Europa dell’Est post-comunista (pp. 257-274); la II si intitola I bambini di Makarenko, l’Infanzia di
Gor’kij (pp. 285-290). Infine, l’Indice dei nomi (p. 295) e quello delle tematiche ricorrenti (pp. 299 sgg.).
2
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit., Premessa, p. 13. Si veda qui la nota 1.
3
Ivi, p. 12.
30
“(…) Il testo di Makarenko risulta popolato, oggettivamente, da bambini di tutte le età (da
quella prenatale a quella da zero a due anni, a quelle via via successive fino ai diecidodici anni); e che d’altra parte, nell’intero Poema, il bambino, i bambini non solo sono
largamente presenti e pedagogicamente influenti, ma – a ben guardare – essi sono i veri
protagonisti della vicenda narrata ed i reali destinatari del modello educativo
sperimentato”.4 “(…) I bambini.” sono “anche e soprattutto l’elemento umano primario e
la realtà poetico-educativa vivente del proposito pedagogico-letterario di Makarenko. I
bambini, come laboratorio del disegno rivoluzionario, geniale, che è nel Poema: di
mettere in scena l’uomo nuovo, nell’attimo stesso del suo ‘venire al mondo’, sia come
destinatario sia come mittente di un’infanzia ‘altra’. I bambini, come misura (tra quantità
e qualità) della operatività non velleitaria del virtuale. I bambini coautori essi stessi, in
qualche modo, del Poema pedagogico come ‘romanzo d’infanzia’ “.5
Il Poema pedagogico si rivela insomma “come documento del suo tempo, negli anni
Venti-Trenta del secolo scorso; il Poema pedagogico come documento del nostro tempo,
negli anni della svolta del millennio. E guardando al futuro”.6
Da tutte queste riflessioni è sorto un immediato confronto con Maria Montessori e un
ragionamento sul possibile “collegamento”– con vicinanze e differenze - tra la pedagogista
italiana e il pedagogista russo.
Abbiamo così scoperto che Montessori si era occupata, con molto anticipo, di tali temi
pubblicando degli articoli – sui quali ci soffermeremo più avanti - dedicati proprio alla
devianza minorile in Italia, ai carceri per minorenni e all’educazione dei minori reclusi;
articoli scritti a inizio ‘900 che ci risultano tra l’altro poco se non per nulla conosciuti e
divulgati. 7
Questa nostra “indagine” si sviluppa quindi attraverso un esame ulteriore del volume di
Siciliani, per poi passare al Poema pedagogico di Makarenko8. Infine, ci dedicheremo
proprio agli scritti di Montessori e tenteremo un confronto - per prossimità e discordanze con il pedagogista russo.
Se dunque il libro di Siciliani ci ha offerto lo “spunto” di partenza per la ricerca, la nostra
attenzione si rivolge soprattutto alla Montessori, sia in ragione del fatto che alla studiosa ci
siamo dedicati variamente, frequentandone aspetti diversi, sia per esserci occupati
4
Ibidem.
Ivi, p. 12-13
6
Ivi, Introduzione, pp. 17-18.
7
Ecco gli articoli sui quali ci soffermiamo: M. Montessori, A proposito dei minorenni corrigendi, in “La
Vita”, 2 (3 giugno 1906), n. 153, p. 3; M. Montessori, Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La
riforma Doria), in “La Vita”, 2 (6 giugno 1906), n. 156, p. 3; ?????? Rossana, A proposito delle case di
correzione, in “La Vita”, 2 (12 giugno 1906), n. 162, p. 3; M. Montessori, Sulla questione dei minorenni
corrigendi, in “La Vita”, 2 (16.06.1906), n. 166, p.3; M. Montessori, Per i minorenni delinquenti.
L’organizzazione nel Riformatorio di S. Michele, in “La Vita”, 2 (14.07.1906), n. 194, p.3; M. Montessori,
Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore, in “La Vita”, 2 (6.08.1906), n. 217, p.3; M. Montessori, Lottiamo
contro la criminalità. (È necessario salvare l’uomo a traverso il fanciullo), in “La Vita”, 2 (8.09.1906), n.
249, p. 3. Il testo degli articoli lo abbiamo trascritto dagli originali e lo riportiamo qui in Appendice,
integralmente.
8
A. Makarenko, Poema pegadogico, Traduzione in italiano, Edizioni Raduga, 1985.
5
31
variamente degli Istituti penali per i minorenni italiani, tra legislazione e procedure di
intervento. 9
1)
Sui bambini di Makarenko di Nicola Siciliani de Cumis10
Breve profilo di Makarenko
Come si legge nel libro di Siciliani de Cumis11, Anton Semënovič Makarenko nasce a
Belopol’e (Ucraina) nel 1888 da famiglia operaia. Si diploma in un corso magistrale
accelerato e diventa maestro a 17 anni; in seguito frequenta l’Istituto pedagogico ucraino
diventando ‘maestro principale’ (direttore didattico). Durante la rivoluzione è ammiratore
di Maxim Gor’kij, celebre autore socialista da cui proviene il primo invito a diventare
“educatore” piuttosto che narratore, sua iniziale aspirazione: “la rivoluzione ha bisogno
più di educatori che di scrittori”12. Nel 1920 a Makarenko viene affidata la direzione di un
istituto di rieducazione per ragazzi traviati o abbandonati ed è da questa esperienza che
trarrà le sue opere più conosciute: il Poema pedagogico e Bandiere sulle torri. I suoi
principi pedagogici si sviluppano proprio nel corso di questa sperimentazione vissuta.
“Nel suo universo ideale – si legge nel libro di de Cumis – troviamo delle opposizioni
polemiche: alla pedagogia accademica, alla visione spontaneistica dello sviluppo, e alla
9
Germana Recchia è dottore di ricerca in Metodologia della ricerca educativa, titolo conseguito con una tesi
su: Esigenze formative dei minori detenuti e metodologie educative dell’Istituto penale per i minorenni, tra
legislazione e procedure di intervento. Un estratto del lavoro è stato pubblicato in “I quaderni di legislazione
minorile”, 1 (1999), pp. 128 – 170, col titolo: Aspetti educativi del DPR 448/88 e del Decreto Legislativo
272/89: Messa alla prova e Mediazione penale. Anche all’interesse per questi temi si lega in qualche modo la
presente indagine su Montessori e i minori corrigendi. Ha conseguito la laurea in Lettere e quindi quella in
Filosofia, sempre presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, con una tesi su: L’opera di Maria
Montessori nella biblioteca di filosofia della Facoltà di lettere e filosofia della “Sapienza”. Collabora con
l’Opera Nazionale Montessori e scrive per la rivista dell’Opera “Vita dell’Infanzia”. Un estratto della sua tesi
di laurea in Filosofia è stato pubblicato con il titolo: Maria Montesssori nella biblioteca della facoltà di
Filosofia dell’università degli studi di Roma “La sapienza”: bibliografia critica e indicazioni metodologiche,
in “I problemi della pedagogia”, 1-3 (1997), pp. 173-194. La Montessori in biblioteca, è il titolo dell’articolo
inserito nel volume: L’università, la didattica, la ricerca. Primi studi in onore di Maria Corda Costa, a cura di
Nicola Siciliani de Cumis, Caltanissetta, Sciascia editore, 2001, pp. 127/131. Il saggio: “Solo i poeti sentono…”.
Gli spunti letterari del Metodo della Pedagogia Scientifica di Maria Montessori compare in “Ciascuno cresce solo se
sognato”. La formazione dei valori tra pedagogia e letteratura, a cura di Elisa Medolla e Roberto Sandrucci,
Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2003, pp. 85-98. Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile
è stato pubblicato nel Catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento
anni della “Sapienza” (1303 – 2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904 – 2004), a cura di
Nicola Siciliani de Cumis, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Filosofia. Sempre sulla
pedagogista: Maria Montessori: storia di una donna e di un metodo pedagogico. Dall’Italia al mondo, in
“RIVISTA della Scuola superiore dell’economia e delle finanze”, Anno II, numero 1 (gennaio 2005), pp. 146 –
160. Infine, il saggio: Montessori e i “classici” è stato pubblicato in “Annuario 2007” del Laboratorio
Montessori di Teoria e Storia dell’Educazione, vol I, a c. di F. Pesci e P. Trabalzini, Roma, Edizione Nuova
Cultura, 2007, pp. 60 – 114.
10
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit., vedi nota 1.
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Seconda, Profilo di Makarenko, pp. 125 –
130.
12
Ivi, p. 126.
11
32
scienza positiva del bambino (pedologia) che pretende di fornire indicazioni sufficienti
alla pratica educativa. Makarenko mostra, invece, un’adesione incrollabile ad una
prospettiva pedagogica in armonia con la linea marxista-sovietica. Ciò traspare nei motivi
fondamentali del suo pensiero. Vi troviamo, infatti, una profonda saldatura tra teoria e
prassi, nel senso che bisogna estrarre la teoria dalla somma dei fenomeni reali. È evidente
in Makarenko anche una quasi identità tra atto politico e atto pedagogico, giacché
entrambi sono connessi all’idea di trasformazione: la politica è il campo che offre
all’educazione i fini concreti, strettamente legati alle necessità sociali, alle aspirazioni del
popolo sovietico, e agli obiettivi della rivoluzione. L’uomo non è chiuso da nessun
determinismo precostruttivo, non c’è un sistema normativo da rispettare, né potenzialità
innate dell’individuo da sviluppare; esiste solo un uomo nuovo da creare. L’ordine
soggettivo viene sostituito in questo contesto da un ordine oggettivo; nella coscienza deve
essere radicato un profondo senso della partecipazione ad un’oggettività storico-politica
che trascende il singolo.”13
L’organo deputato alla realizzazione di questo progetto pedagogico è il collettivo: “un
gruppo di lavoratori uniti da un fine unitario, un gruppo d’organi dipendenti disciplinati e
responsabilizzati.”14
“Makarenko ha organizzato le colonie da lui dirette nella forma del collettivo,
caratterizzata da alcuni tratti fondamentali: vita in collegialità; convivenza d’educatori,
ragazzi e personale esecutivo e amministrativo; organizzazione in reparti e gruppi di
lavoro; autosufficienza economica; auto-amministrazione”.15 Questo collettivo non è un
nucleo chiuso, bensì aperto alle mete sociali e politiche, aperto al futuro. L’intervento
educativo sul singolo, al suo interno, è sempre mediato attraverso il coinvolgimento del
gruppo. Tutte queste caratteristiche non sono presenti sin dall’inizio, spesso sono
evoluzioni e trasformazioni dovute al difficile lavoro e all’evoluzione in corso
dell’esperienza.
È un po’ l’idea dell’uomo nuovo di Maria Montessori, su cui si sofferma anche Paola
Trabalzini: «Il suo pensiero di fiducia nelle qualità dell’uomo, nelle risorse umane, nelle
possibilità, ma anche nella necessità, di costruire una scienza della pace fondata
sull’unicità del bambino, indipendentemente da appartenenze religiose, razziali, sociali,
culturali, nella sua funzione biologica di adattamento all’ambiente, costituisce nel 1950
sia la testimonianza di una ricerca che non si è mai arrestata, sia l’indicazione di un
percorso che avendo a fondamento le leggi della vita permette di dischiudere quanto c’è
al di sotto delle azioni di ciascuno, di prendere coscienza di quella ‘Nazione unica’ che è
l’umanità»16. Così, il bambino non solo è costruttore di sé ma anche conservatore e
innovatore dell’umanità17.
13
Ivi, pp. 128 – 129.
Ivi, p. 129.
15
Ibidem.
16
P. Trabalzini, Maria Montessori: da Il Metodo a La scoperta del bambino, Roma, Aracne editrice, 2003,
Introduzione, pp. 11 – 12.
17
Ibidem, p. 12.
14
33
Il “progetto educativo-pedagogico” di Makarenko
Emerge chiaramente come, nella pedagogia di Makarenko, si conferma “il privilegio da
lui accordato alle finalità oggettive e sociali, l’importanza del lavoro e
dell’organizzazione in ogni dimensione sociale.”18
«“In questo senso il Poema pedagogico, come romanzo d’infanzia dell’ “uomo nuovo”,
della “prospettiva”, del “collettivo” ecc., non solo rientra a pieno titolo nel novero di quei
romanzi “di educazione” nei quali “il divenire dell’uomo” acquista “un altro carattere”;
ma anche porta con sé le ragioni della sua propria, sperimentale “eccentricità”. La quale
va d’altra parte ben oltre il pur “grandioso”, ma generico, “tentativo di costruire
l’immagine dell’uomo che cresce” nel “movimento visibile del tempo storico”, secondo
una determinata “visione del tempo” (…)».19
«(…) la maggior parte dei rieducandi delle tre colonie “M. Gor’kij”, “Trepke” e “Kuriaž”
via via menzionati individualmente sono tra i 15 e i 18 anni: anche se la loro età viene
com’è ovvio modificandosi con il passare del tempo, nel corso degli anni Venti (periodo
relativo alla storia raccontata da Makarenko nel Poema)».20
Ma il processo educativo messo in scena da Makarenko è continuo e ricorrente volto a
fare l’uomo nuovo, lì, e in prospettiva. Aspetto ricorrente nella pedagogia montessoriana
e nel concetto stesso di “uomo nuovo” su cui ci siamo già soffermati.
E ancora: «dai ragazzi “moralmente deficienti” (…) messi in scena da Makarenko
possono venire fuori esempi concretamente plausibili di uomini nuovi. A certe condizioni,
s’intende: ed anzitutto in quanto l’ “ottimismo della volontà”, e cioè la positiva
convinzione che la educabilità umana nella direzione di una umanità prevedibilmente
inedita, se esige una prospettiva pedagogica presumibilmente omogenea, comporta al
tempo stesso una considerazione realistica delle alternative in campo ed una concreta
sperimentazione della diversità: e quindi la consapevolezza delle difficoltà e del limite,
tra libertà e disciplina, spontaneità e sforzo, ed effettivamente una lotta e delle scelte
educative a rischio. (…)».21
Dunque «L’ “uomo nuovo” di Makarenko ha il suo laboratorio nell’infanzia: ed è per
l’appunto l’infanzia, l’uomo nuovo “da piccolo”, il luogo naturale, originario, deputato
alla nascita e alla crescita della creatività in ipotesi; e la prima sede storica, formativa,
dell’ “esperimento” in corso. Che tuttavia non riguarda soltanto i bambini, ma tutti, in
prima persona e collettivamente, adulti compresi».22
«Pedagogia della “lotta” e del “rischio”, questa di Makarenko nel Poema pedagogico, che
vive sì dell’invenzione dell’uomo nuovo, già nell’infanzia e mediante l’infanzia: e che
18
Ivi, p. 130.
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Prima, Capitolo Primo: Il “Poema
pedagogico”, “romanzo di formazione”, p. 57.
20
Ivi, Parte Prima, Capitolo Secondo: La colonia “M. Gor’kij” e le sue “infanzie”, p. 63.
21
Ivi, p. 68.
22
Ivi, Parte Prima, Capitolo Terzo: I “piccoli” della “seconda generazione”, p. 87.
19
34
tuttavia, in tanto se ne nutre davvero, in quanto gli stessi elementi su cui si esercita
l’educabilità dell’essere umano non sono dati a priori, ma vengono via via rintracciati alla
luce della prospettiva intergenerazionale, cioè sperimentati nel loro essere radicalmente
“nuovi” alla luce di problemi assolutamente inediti».23
Pedagogia della padronanza: «Makarenko vuol sottolineare nel suo racconto il valore
formativo della dimensione estetica; e dunque rilevare l’inutilità relativa del
“pedagogico”, se staccato dalla concretezza di un coinvolgimento esistenziale
dell’individuo nel gruppo. (…) Ciò che per altro consente (…) di prescindere dalle
astrattezze della “scienza pedagogica” e magari di intravedere (…) i termini di
un’antipedagogia: nel senso, qui, di un prevalere del fare sul conoscere, della vita reale
sulle rappresentazioni fittizie di essa, delle complessità e difficoltà del collettivo sulle
semplificazioni edificanti di qualsiasi tipo».24
2)
Ancora su Makarenko e sul Poema pegadogico25
Per altri spunti di riflessione
Sono molte le occasioni di analisi e approfondimento offerte dal Poema Pedagogico (e
dal volume di Siciliani de Cumis) e numerosi sono anche i temi che propongono un
collegamento immediato con l’opera e il metodo montessoriani. Non possiamo affrontarli
in modo esaustivo e nemmeno esauriente - non è questo lo scopo del nostro intervento intendiamo invece evidenziare alcuni motivi di studio e di confronto.
Un tema importante nella riflessione di ambedue i pedagogisti è per esempio quello del
gioco26.
“(…) È del resto da ritenere, secondo Makarenko, che come a ciascun bambino, nel
corso dell’infanzia, deve essere garantita la giusta dose di gioco che l’età esige, così ad
ogni adulto, nel farsi della vita, e nel lavoro, deve essere dato il diritto di praticare
intelligentemente, qualitativamente, le sue proprie, irrinunciabili attività ludiche. Tanto
nell’interesse della ‘persona’, quanto nell’interesse del ‘collettivo’ “.27
Ma come già abbiamo avuto modo di dire, c’è anche, costantemente, molta ironia sulla
pedagogia come ”sistema” di metodi e di valori acquisiti e imperturbabili, come insieme
di norme prestabilite verbalisticamente altrove, laddove invece il sistema di Makarenko
23
Ivi, p. 89.
Ivi, Parte Prima, Capitolo Quarto: I bambini del “Poema”, tra “pedagogia” ed “antipedagogia”, p. 100.
25
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., vedi nota 11.
26
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Introduzione, pp. pp. 28-46.
27
Ivi, p. 35 Si veda anche il testo Il gioco di Makarenko qui riportato alle pp. 36-45.
24
35
nasce e si modifica adattandosi via via alle esigenze dell’esperienza quotidiana, anche e
specialmente attraverso il superamento di problemi e situazioni critiche.28
E quanto alla disciplina, pure fondamentale nel ‘sistema Makarenko’, si afferma: “(…)
Nella mia relazione sulla disciplina mi ero permesso di avanzare dubbi sulla validità delle
concezioni allora comunemente accettate, le quali sostenevano che il castigo educa alla
schiavitù e che era necessario dare il massimo spazio alla creatività del ragazzo e che
bisognava soprattutto far conto sull’autoorganizzazione e sull’autodisciplina. Mi ero
permesso di esprimere la mia ferma convinzione che fintanto che non si è formato un
collettivo completo dei suoi organi, fintanto che non si è formata una tradizione e non si
sono inculcate le primarie abitudini di lavoro e di vita, l’educatore ha il diritto e il dovere
di non rinunciare alla costrizione. Sostenevo anche che non si può fondare tutta
l’educazione sull’interesse, che l’educazione al senso del dovere spesso si trova in
contrasto con l’interesse del ragazzo soprattutto nella forma in cui lui stesso lo intende. Io
rivendicavo l’educazione di un uomo temprato, saldo, capace di sopportare anche un
lavoro sgradito o noioso quando questo rispecchi gli interessi della collettività. Di
conseguenza finivo col sostenere la linea della creazione di un collettivo forte, se
necessario anche rigido, entusiasta e solo in un collettivo di questo genere riponevo le mie
speranze. Invece i miei oppositori mi sventolavano sotto il naso gli assiomi della
pedagogia e intonavano la solfa del ‘bambino’ “.29
Insomma, “niente messaggi educativi edificanti dal Poema pedagogico. Solo problemi,
sempre nuovi problemi, a scanso della stasi. L’educazione, anzi, vive delle sue stesse
questioni e dei suoi propri rischi. Delle sue esplosioni e dei suoi scoppi. E l’infanzia, i
bambini, nelle situazioni descritte, sono parte essenziale del ‘gioco’: perché, con tutte le
conseguenze, stanno su una linea di confine, tra il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’. Il futuro, la
prospettiva, che essi pur rappresentano, naturalmente e culturalmente, sono tuttavia la
vita stessa come possibilità e realtà. (…) Una pedagogia ‘della lotta’. Al limite,
un’˝antipedagogia˝: che però, come si accennava più sopra, è pur sempre una pedagogia.
Una esperienza educativa concreta, che tuttavia non si esaurisce in se stessa, e che aspira
d’altra parte a tradursi in una tecnica. Dal ‘negativo’ al ‘positivo’, insomma; e dalla
‘quantità’ alla ‘qualità’, ma pur sempre mediante una lotta e senza alcuna garanzia a
priori di successo, né di qualsivoglia uscita di sicurezza nel farsi dell’opera e per
l’appunto del ‘poema’ (nei suddetti numerosi e diversi significati del termine), come
romanzo di formazione e di infanzia (nei modi intanto indicati da Michail M. Bachtin
(…).”30
Come abbiamo scritto altrove:
28
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., cap. 14 “I calamai del buon vicinato”, pp. 89 – 94.
29
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., cap. 17 “La punizione di Šarin”, p. 108. Sui castighi vedi anche,
ivi, p. 313 e sulle punizioni p. 331.
30
Nicola Siciliani de Cumis, I bambini di Makarenko, cit, Parte Prima, p. 109.
36
«Un cardine fondamentale della Pedagogia Scientifica – scrive Montessori in Il Metodo –
deve essere perciò la “libertà degli scolari”, tale che permetta lo svolgimento delle
manifestazioni spontanee individuali del bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo
“studio individuale dello scolaro”, sarà dallo studio inteso in questo modo – cioè tratto
dall’osservazione di bambini liberi». E ancora «Il metodo pedagogico dell’osservazione
ha per base la libertà del bambino e libertà è attività»31.
Insomma, «Il metodo della pedagogia scientifica è individuato da Montessori nel metodo
dell’osservazione del bambino posto nelle condizioni ambientali di liberamente
manifestare bisogni, tendenze e poteri». Da questa educazione può nascere e formarsi
l’uomo nuovo e libero padre di una nuova umanità e generazione. «Il bambino rivelatosi a
Montessori sulla guida dell’osservazione è infatti l’esploratore dell’ambiente, e
l’osservazione non costituisce solo il metodo della pedagogia scientifica, ma è anche il
suo fine. Si tratta infatti di formare bambini attenti osservatori, capaci di adattarsi e
riadattarsi all’ambiente. Ciò è reso possibile attraverso l’educazione sensoriale che aiuta a
distinguere, ordinare, classificare e comparare, coniugando attività mentale e motrice. I
bambini mettono in tal modo ordine nel caos delle percezioni e vengono organizzando
l’intera personalità».32
Il successo del libro in Italia e all’estero è senz’altro legato «anche all’aspetto sociale e
potremmo dire “politico” dell’esperimento montessoriano e dell’intera esperienza di
lavoro che ne scaturirà. Esso si caratterizza infatti per l’impegno in difesa dei diritti dei
più umili, diritto alla intimità della vita familiare, diritto all’istruzione, alla formazione,
diritto alla cittadinanza non solo per l’adulto ma anche per il bambino. Una società di
cittadini, di uomini e donne liberi perché indipendenti e autonomi nel pensiero e
nell’opera, una società collaborativa e solidale, aperta alla diversità, quella che sottostà al
progetto di vita della casa dei Bambini».
Un grande coraggio espressivo e libertario si manifesta nell’impegno e nella dedizione
teorica e applicativa del metodo Montessori, un coraggio che ci ricorda il fervore di
Labriola e delle sue lezioni accademiche. La fede del professore e dell’uomo Labriola
negli studenti universitari come fondamenta di un’Italia e di un’umanità nuova, libera,
progredita, alfabetizzata assomiglia - per vie diverse - alla fede di Montessori nel
bambino “padre dell’uomo” e di una nuova umanità affrancata nell’espressione e nel
giudizio da tutti i gravami ideologici e verbalistici del passato, emancipata da pregiudizi
mentali e pedagogici, aperta a percorsi formativi democratici, accessibili a tutti senza
distinzioni di genere di ceto di condizione. Partendo proprio da un impegno, da una
dedizione pedagogico-educativa, quasi spontanea e naturale, che percorre trasversalmente
il pensiero e l’agire, l’impegno didattico teorico e quotidiano che diventa forma mentis,
impostazione metodologica nel vivere e nell’operare di ogni giorno, oltreché nella pratica
professionale.
In questo spirito e in questa mentalità aperta a un’evoluzione e a un progredire senza
confini né vincoli personali o strutturali, esteriori, ci sentiamo di cogliere - senza
31
G. Recchia, Antonio Labriola e Maria Montessori: un incontro possibile è stato pubblicato nel Catalogo
Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303 –
2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904 – 2004), a cura di Nicola Siciliani de Cumis,
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Filosofia.
32
Ibidem.
37
sistematicità alcuna - spiragli di affinità tra Montessori e Labriola, le cui strade si sono
casualmente incrociate per un brevissimo periodo delle loro esistenze.33
Sul concetto di Ravvedimento Makarenko scrive: “(…) Per noi non si trattava di
‘redimere’ un uomo, ma di educarlo in modo nuovo, perché diventasse non solo un
membro non pericoloso della società, ma perché fosse in grado di concorrere
all’edificazione della nostra nuova epoca. E come si poteva educarlo se quando aspirava a
entrare nel Komsomol lo si rifiutava, ricordandogli per di più i vecchi crimini, commessi
comunque in giovanissima età? (…)”.34
E sui ragazzi della colonia afferma: “(…) Allora mi sembrava che centoventi ragazzi
della colonia non fossero solo centoventi ragazzi abbandonati che avevano trovato una
casa e un lavoro. No, erano cento sforzi etici, cento energie tese in un accordo musicale,
cento piogge benefiche che perfino quella donna grandiosa e bizzosa che è la natura
aspettava con gioia impaziente”. 35
Contro il pedagogismo Makarenko si espone apertamente, in tutto il Poema e in tutta la
sua opera educativa: contro il pedagogismo imperante, lo scolasticismo dogmatico,
verbalistico, fatto di leggi preconcette, di carte bollate, di atti burocratici e amministrativi.
Rea, questa pedagogia, di avere anche trattato giovani abbandonati, poveri, sfortunati,
come delinquenti, idioti, minorati. 36
E sulla disciplina cosciente dice: “Si discuteva anche sulla disciplina. La base teorica di
questo argomento erano due parole che s’incontravano spesso in Lenin: ‘disciplina
cosciente’. Per qualunque persona sensata queste due parole comprendono un pensiero
semplice, comprensibile e praticamente necessario: la disciplina deve essere
accompagnata dalla consapevolezza della sua necessità, utilità e importanza di classe.
Nella teoria pedagogica l’interpretazione era un’altra: la disciplina deve nascere non
dall’esperienza sociale, non dalla pratica azione di un collettivo di compagni, ma dalla
pura coscienza, dalla nuda convinzione intellettuale, dal vapore dell’anima, dalle idee. Poi
i teorici andarono ancora oltre e decisero che la disciplina cosciente non serve a nulla se
nasce sotto l’influenza dell’adulto. In tal caso non si tratta più di un’autentica disciplina
cosciente, ma bensì di una sostanziale violenza sul vapore dell’anima. Non occorre una
disciplina cosciente, ma un’autodisciplina. Nello stesso identico modo non serve ed è
anzi pericolosa qualsiasi organizzazione dei ragazzi, è necessaria l’autorganizzazione”. 37
E quale può essere la gioia di domani?: “L’uomo non può vivere se non vede davanti a
sé qualcosa di piacevole da raggiungere. Il vero stimolo della vita umana è la gioia di
domani. Nella tecnica pedagogica questa gioia di domani è il principale mezzo di lavoro.
Innanzitutto bisogna suscitare questa gioia, darle corpo e concretezza. In secondo luogo
33
Ibidem.
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Prima, cap. 27 “La conquista del Komosol”, p. 185.
35
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 1 “I Chiodi”, p. 366.
36
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 4 “Tutto bene”, pp. 410 sgg.
37
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 10 “Ai piedi dell’Olimpo”, pp. 483 – 484.
34
38
bisogna costantemente trasformare le forme più semplici di questa gioia in altre più
complesse e umanamente più significative. Si forma così una linea interessante: dalla
soddisfazione primitiva dello zuccherino al più profondo senso del dovere”.38
3)
Sugli scritti di Maria Montessori
Insomma, nonostante le differenze spazio – temporali, tra Montessori (Chiaravalle 1870 –
Paesi Bassi 1952) e Makarenko (Bielopolje, Ucraina, 1888 - Mosca, 1939), i temi
affrontati dal pedagogista russo sono molto vicini a quelli montessoriani e viceversa. Noi
ne abbiamo enucleati solo alcuni tra i più significativi e ricorrenti.
Ma gli argomenti cari al Makarenko del poema Pedagogico ritornano soprattutto negli
articoli in cui la studiosa marchigiana si occupa della devianza minorile, non ultimo come
fatto di attualità degli anni in cui scriveva.
A questi articoli ci dedicheremo in questa parte del nostro studio.
Sono sei in tutto gli articoli di Maria Montessori pubblicati su “La Vita” e riguardanti i
minorenni corrigendi, a questi va aggiunta la replica di ROSSANA (?), interlocutrice
della studiosa e con essa in aperta polemica sul tema in esame39. Esattamente un secolo fa,
tra giugno e settembre 1906, dunque in un arco di tempo breve che coincide con il periodo
estivo, si sottoponeva all’attenzione pubblica una questione importante e delicata:
l’educazione dei minorenni corrigendi. Gli articoli di Montessori aprono, tra l’altro, un
dibattito sulla realtà dei “carceri minorili” – che la pedagogista disapprova – e questo
avviene a breve distanza di tempo dall’emanazione (3 luglio 1904) del decreto reale sul
nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza dei
riformatori governativi”, la cui applicazione si avvia al principio del 1905. A un anno di
distanza, quindi, si spalanca la ”querelle” – tra Montessori e ROSSANA – sulle pagine
della rivista.
Le riflessioni sollevate ei temi affrontati via via, che qui di seguito passeremo in rassegna
attraverso una sorta di indice tematico analitico, risultano di grande attualità nel panorama
della devianza minorile e della tanto dibattuta “rieducazione” dei minorenni detenuti. E
tutto questo anche in considerazione della riforma del Codice di procedura penale minorile
(DPR n. 448/ 1988), delle leggi a esso collegate e delle norme di attuazione (D.L.vo
272/89) che introducono una nuova filosofia dell’intervento nei confronti dei minori
sottoposti a procedimento penale, nonché grandi cambiamenti nell’organizzazione dei
Servizi minorili. Cambiano altresì le modalità di intervento degli operatori minorili, che
assumono il ruolo di “attivatori di risorse” con maggiori responsabilità sui minori loro
affidati. Cambiamenti che, molto tempo prima negli articoli in questione, sono auspicati e
caldeggiati da Montessori. Come pure si auspicava da parte di ROSSANA l’istituzione di
38
39
A. Makarenko, Poema pegadogico, cit., Parte Terza, cap. 10 “Ai piedi dell’Olimpo”, pp. 491 – 492.
Vedi nota 7.
39
un Tribunale ad hoc per i minorenni, istituzione che avverrà con Regio Decreto nel 1934,
trent’anni dopo circa la “querelle” di questi scritti.
Insomma, Montessori e ROSSANA, pure con punti di vista diversi, mostrano sensibilità e
grande lungimiranza dimostrandosi antesignane sui temi della giustizia e devianza
minorile e Montessori, da studiosa e pedagogista, affronta naturalmente la questione con
un interesse particolare, soffermandosi su aspetti che ci ricordano il Makarenko del
Poema Pedagogico scritto nel 1928, e dunque appartenente a un contesto geografico,
culturale, sociale e temporale differente e distante, anche se non troppo.
Temi ricorrenti negli articoli
Abbiamo esaminato gli articoli in ordine cronologico di uscita e nello stesso ordine
compaiono qui nell’Appendice. Nel primo scritto, A proposito dei minorenni corrigendi40,
Montessori inizia a soffermarsi appunto sui minorenni corrigendi41 e sui Riformatori
(carceri dei fanciulli) e quindi richiama subito con entusiasmo la Riforma Doria.
Montessori sottolinea come ci si avvii finalmente verso “veri istituti di educazione fondati
sui principi della pedagogia scientifica”. Il grido della studiosa era già stato, sei anni
prima, “togliamo i fanciulli dalle carceri e dai manicomi” perché in quei luoghi e negli
istituti per deficienti sono rinchiusi spesso i “bambini bisognosi”. Montessori plaude
quindi al nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza
dei riformatori governativi” emanato, come già abbiamo ricordato, il 3 luglio 1904 e la cui
applicazione si avvia al principio del 1905.
Più avanti, nel medesimo articolo, Montessori parla di gioventù traviata e di delinquenza
giovanile evidenziando che “gli istituti destinati a raccogliere le infelici creature non
devono essere né assomigliare a un carcere”, un principio moderno, proprio della nuova
“filosofia” dell’intervento nei confronti dei minori sottoposti a procedimento penale (lo
dicevamo più sopra) che è l’anima del nuovo Codice di procedura penale minorile. Questo
stesso principio – contrario al carcere per i minorenni – è alla base del progetto di riforma
del Doria e la pedagogista sottolinea l’importanza, anche nei contesti detentivi e
soprattutto qui, dell’opera educativa dei minorenni che è “opera di missionario”. “Sacra è
sempre l’infanzia: – dice ancora – è sacra la creatura incolpevole anche quando il carcere
l’ospitava!”.42 Gli adulti hanno quindi sbagliato a non voler vedere, né udire quei bambini
rinchiusi, dimenticandoli lì.
Il fatto dunque che la riforma Doria elimini i carceri per i fanciulli in Italia è “una delle più
sante conquiste di civiltà”: “Non più carceri per i fanciulli” grida Montessori.
40
Vedi nota 1 e Appendice.
Il grassetto è nostro per evidenziare i temi ricorrenti incontrati nei testi.
42
La sacralità del bambino è un tema importante nel pensiero e nell’opera educativa montessoriana ed è
emerso anche in un altro nostro saggio su Montessori e la letteratura, là dove – dalle citazioni letterarie a cui
la studiosa ricorre nei suoi libri – spesso, tra l’altro, citazioni sacre – si evidenzia il valore sacro dell’infanzia.
Si veda: G. Recchia, “Solo i poeti sentono…”. Gli spunti letterari del Metodo della Pedagogia Scientifica di Maria
Montessori, in “Ciascuno cresce solo se sognato”. La formazione dei valori tra pedagogia e letteratura, a cura di Elisa
Medolla e Roberto Sandrucci, Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 2003, pp. 85-98; G. Recchia Il posto della
letteratura in Maria Montessori: gli “spunti letterari” de Il metodo della Pedagogia Scientifica e degli altri
scritti montessoriani e il loro significato nella formazione dei valori,incorso di pubblicazione.
41
40
La pedagogia scientifica, dunque, segue una via nuova di trionfo umano, nel quale ha
largo spazio “la redenzione di tutti i reietti: deficienti intellettuali e morali”. Sulla
redenzione dei reietti la studiosa si sofferma ancora in questo primo articolo e sulla
necessità di uno studio individuale dell’educando (Montessori sostiene infatti che si
potrà “guidare “ e “correggere” solo quando “conosceremo” l’educando. Dunque
l’antropologia deve essere la base della pedagogia).
Nell’articolo Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La riforma Doria)43 c’è
una riflessione sulla realtà carceraria minorile (carceri, riformatori) e sui corrigendi
(detenuti, ricoverati) in base a quanto commesso (atto criminoso). Prima della riforma
Doria, dice Montessori, i carcerieri erano le “guide educative” scelte tra il “personale di
rifiuto” delle carceri per adulto che chiama luoghi di “vendetta sociale”. La riforma
Beltrami – Scalia (del 1891) aveva distinto i corrigendi in tre categorie: traviati e ribelli
alla autorità paterna; oziosi e vagabondi, mendicanti; colpevoli di delitti comuni. Sul
sistema carcerario di Beltrami – Scalia interviene però la riforma di Alessandro Doria,
plaudita da Montessori come “movimento ardito di innovazione”. Il carcere – dice infatti –
diventa un “istituto di pedagogia scientifica”; ai carcerieri si sostituiscono i “maestri
elementari” a cui si affida l’opera redentrice e la prevenzione: è questo il nuovo
personale di educazione (educatori).
Dunque Doria, con la sua riforma, si fa promotore di un progetto educativo, che il
maestro deve realizzare come progetto sperimentale e con metodo sperimentale. Per
questi speciali educatori occorre quindi un’istruzione speciale: perché occorre uno
studio psico-fisico degli educandi. Così,una pedagogia nuova sarà per la prima volta
applicata in Italia; Montessori parla di scuola pedagogica: alla “brutalità cieca di antica
vendetta” si sostituisce l’applicazione di scienze moderne come l’antropologia e la
psicologia; scienze che “promettono redenzione e perfezionamento dell’umanità”. La
”clinica pedagogica” sostituisce insomma il carcere. Perché dove si “cura” si “educa”, si
elabora un materiale scientifico colossale. Quindi studio antropologico dell’individuo
associato alla sua educazione: ecco che la pedagogia scientifica entra a far parte della
riforma Doria. La giustizia va sostituita con la misericordia e la civiltà sale grazie a
questi principi innovativi. Ma la vera crescita di civiltà avverrà applicando la pedagogia
scientifica a “tutti gl’individui normali” perché “le nostre ricchezze (...) ci verranno
dall’umanità normale”.
A quanto sin qui affermato con vigore dalla Montessori replica ROSSANA nel terzo
articolo: ?????? Rossana, A proposito delle case di correzione44. L’interlocutrice della
Montessori (Rossana appunto, non meglio identificata ex direttrice di una scuola di
educazione civile) ritiene che “gli entusiasmi non devono farci velo ed è opportuno
ricondurre la questione nei suoi veri termini”. Vale a dire che la riforma Doria – secondo
Rossana – è stata “formale” quanto quella Beltrami-Scalia è stata burocratica. Dunque,
manca molto per una reale e generale riforma delle case di correzione e nel frattempo il
codice penale resta immutato con la sua severità e i suoi reclusori e quel che Doria fa
come direttore dell’Istituto di Tivoli non è una riforma generale ma, per quanto positivo, è
43
44
Vedi nota 1 e Appendice.
Vedi nota 1 e Appendice.
41
limitato a quel contesto. Aver sostituito i carcerieri con i maestri elementari – prosegue
più avanti nello stesso articolo – non basta. Occorrono persone formate adeguatamente che
conoscano la psicologia criminale. Alla correzione deve sostituirsi il principio di
emendazione. E bisognerà pensare alla creazione di un Tribunale ad hoc (il Tribunale per
i Minorenni che sarà istituito con il Regio Decreto del 1934).
Montessori replica a queste affermazioni nell’articolo Sulla questione dei minorenni
corrigendi45. Ribadisce il concetto che gli istituti di pena hanno bisogno del contributo di
altre discipline scientifiche per cooperare a una stessa opera educativa (ed è questo un
principio assai moderno), come la psichiatria, la pedagogia, la psicologia. Perché non si
tratta di affrontare la questione giuridica del problema. “Aprite le porte dei riformatori
alla scienza – scrive Montessori – e fate che questa vi si stabilisca come in una clinica”.
Se questo avviene, non può restare sterile, perché conoscere il minorenne è
fondamentale per il progresso educativo e non punirlo e segregarlo. E Doria, secondo
la pedagogista, ha posto le basi di questa evoluzione. Anche nell’articolo successivo (Per
i minorenni delinquenti. L’organizzazione nel Riformatorio di S. Michele46) Montessori
si sofferma sull’Istituto di San Michele a Ripa (il Complesso Monumentale di San
Michele a Ripa Grande, oggi sede di Uffici del Ministero per i beni e le attività
culturali, nasce nel 1686 come Istituto Apostolico San Michele, sotto il pontificato di
Innocenzo XI Odescalchi) allora era destinato ad accogliere e rieducare giovani orfani e
bisognosi. Qui la studiosa si sofferma sull’importanza – nell’educazione – della
“ripetizione” del ripetere gli esercizi che corrisponde ad approfondire perché “la
personalità umana edifica e si ingrandisce solo a prezzo di pazientare, di fermarsi, di
ripetere”. “La ripetizione crea”, ribadisce Montessori, e nei fanciulli anormali infatti c’è
una instabilità dell’attenzione. Per questo il lavoro manuale rappresenta, ancora oggi,
uno strumento fondamentale nell’educazione e nella cura dei minorenni. E i ragazzi
impegnati nei laboratori professionali (officine) per Montessori sono convalescenti.
Questi laboratori sono “scuole razionali complete di lavoro (...) degne di essere
generalizzate”.
Per la correzione dei minorenni dunque non occorrono i mezzi coercitivi (aboliti infatti
nel nuovo regolamento del Doria), ma occorre amore, perché è lui che guida il “cammino
diretto” dell’umanità e non la paura della punizione (si veda l’ultimo degli articoli sul
tema: M. Montessori, Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore47). E la salute del
corpo del fanciullo e quella dell’ambiente sono propizi all’amore, inteso anche come
cura contro il male.
Insomma, l’educazione morale del minorenne passa attraverso uno studio individuale
del soggetto, attraverso la sua anamnesi e salute e amore sono congiunte come corpo e
spirito. Poi ci sono anche dei fattori patologici: i casi in cui le cure morali, le
esortazioni, l’esempio, l’ambiente, l’amore non servono. Correggere i minorenni
delinquenti, vuol dire correggere fanciulli “ignoranti o deficienti dell’amore” e questo
45
Vedi nota 1 e Appendice.
Vedi nota 1 e Appendice.
47
Vedi nota 1 e Appendice.
46
42
anche perché noi adulti non trasmettiamo l’amore che abbiamo. Mentre l’umanità nuova
è proprio l’umanità ricca di affetti e di amore (contro l’umanità vecchia proletaria e
assetata di affetti). L’amore redime e spezza catene e inferriate; se ci fosse amore
probabilmente non ci sarebbe bisogno dei riformatori.
Occorre dunque prevenire con l’educazione e ove necessario reprimere con
l’internamento positivo (conoscenza, anamnesi, cura e redenzione, secondo quanto
esposto dalla pedagogista sin qui): questo è proprio di una moderna pedagogia
scientifica. I castighi esemplari sono infatti propri di una pedagogia “digiuna
assolutamente di scienza”. “Bisogna risalire al fanciullo e fondare scuole”: “ad ogni
scuola che s’apre si chiude un carcere”. E sarà questa una “scuola riparatrice di
deficienti, di epilettici, di minorenni delinquenti”.
Rispetto a tutto ciò, la riforma Doria sui riformatori governativi si presenta ardita.
Viviamo così – dice Montessori – la fase delle “variazioni sociali” in cui “forme nuove”
sostituiscono le antiche.
I riformatori si stanno evolvendo e divengono “germi di organismi superiori” rispetto ai
carceri. Dai riformatori potrà scaturire così la profilassi e la cura delle criminalità,
partendo proprio da uno studio dell’individuo.
In questo modo, l’Italia, già culla di civiltà, sarà anche terra di redenzione.
APPENDICE
M. Montessori, A proposito dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2 (3 giugno 1906),
n. 153, p. 3.
In un suo articolo “Un grave problema sociale” Rossana prendeva a trattare l’altro giorno
su La Vita la questione dei minorenni corrigendi a proposito di un libro che ha avuto
l’onore del premio Ravizza.
Rossana parlava del barbaro modo con cui i giovanetti raccolti nei tetri istituti (i
Riformatori) sono trattati, cioè come veri e propri malfattori, alla dipendenza di un
personale ignorante e bestiale. Questo faceva contrasto con una nota di cronaca comparsa
due o tre giorni prima sullo stesso giornale, ove si parlava con ammirazione della recente
riforma Doria sui Riformatori da me fatta coi miei studenti del corso di antropologia
pedagogica al riformatorio S. Michele. E’ bene che sia rinnovata al pubblico la
conoscenza di questa Riforma – che onora il nostro paese – affinché non ripetiamo, anche
in questo caso, come Rossana (e come abbiamo l’abitudine di fare “italianamente” e
“umilmente”), che in questo nostro bel paese “le più sagge determinazioni restano lettera
morta” e “i problemi sacri alla civiltà restano sempre arretrati”.
C’è qualcosa oggi di assai più grandioso da osservare in Italia, che non sia l’Istituto
pedagogico forense di Milano, a proposito dei minorenni corrigendi. Ed è la via di
trasformazione in cui sono entrati i Riformatori, cioè le carceri dei fanciulli, verso un vero
43
e proprio istituto di educazione fondato sui principi della pedagogia scientifica. Io ricordo
la mia propaganda di sei anni fa in Italia, in favore di tutti i fanciulli anormali; il mio
grido era sentito ovunque, come se rispondesse all’idea culminante di ogni anima:
“togliamo i fanciulli dalle carceri e dai manicomi!”. E qua e là cominciò la cessione dei
bambini ricoverati in manicomio, a qualche individuo o società benefica che li tenne in
istituti di educazione speciale. Così sorsero in Italia due o tre – non più – istituti per
deficienti, rimanendo ancora una immensa falange di dimenticati nella città morta del
pensiero… e un esercito di epilettici, fanciulli senza soccorso e senza speranza, che sono
condannati da noi alla mendicità e al manicomio… Poiché è sempre imperfetta, non per
la qualità, ma per l’estensione, l’opera dei privati. Sia pure diffuso come per esempio un
ordine religioso che espanda le scuole per “les ignorantins” del beato La Salle – o
un’opera di genio che dilaghi come le scuole del Pestalozzi in Germania e in Isvizzera – è
sempre qualche cosa di aristocratico, di privilegiato. La statistica dimostra che la maggior
parte di bisognosi resta senza soccorso. Un esempio c’è da noi nei ricreatori: opera
privata diffusissima, che ripara solo in una quinta parte alla necessità cittadina!
L’istruzione popolare è raggiunta solo con la scuola elementare obbligatoria, riconosciuta
come una necessità civile, e applicata dalla collettività.
Ebbene – in questo senso dico che oggi c’è qualcosa di grandioso da osservare in Italia: il
nuovo “Regolamento organico per il personale di educazione e di sorveglianza dei
riformatori governativi” uscito con decreto reale il 3 luglio 1904 e applicato sul principio
del 1905, poco più di un anno fa. Questo regolamento è meraviglioso di modernità: noi
non abbiamo ancora nulla di simile in nessuna istituzione pedagogica.
Da lungo tempo i sociologi e gli uomini di cuore studiano la gioventù traviata
escogitando i mezzi migliori di educazione e di emenda da opporre alla delinquenza
giovanile, che inquina le fonti della vita sociale. Nella ricerca dei mezzi atti a correggere
il giovane spirito reso ribelle da cause congenite, o dall’abbandono, o dal cattivo esempio,
o dalla miseria, vari sono i pareri e le tendenze; ma tutti trovansi concordi nel ritenere che
l’asilo destinato a raccogliere le infelici creature non deve essere, né deve assomigliare ad
una carcere. Così dice il Doria nel presentare il suo progetto di riforma al ministro
dell’Interno.
In questo progetto si separa completamente nel regolamento come nell’amministrazione il
Riformatorio dalla carcere: e i carceri sono espulsi… Ad essi si sostituiscono maestri
elementari scelti a concorso d’esame – e anche scelti per le qualità morali di sentimento e
di pazienza – poiché l’opera educativa dei minorenni è opera di missionario … Il
regolamento interno, che era informato a quello delle carceri, s’informa ora a quello dei
Convitti nazionali. Si atterrano le inferriate alle finestre, sostituendole con persiane fisse
di vetro smerigliato; si gettano in cantina i catenacci delle porte; oramai la porta di strada
verrà aperta giornalmente per la passeggiata ginnastica dei fanciulli in bel costume,
accompagnati dai maestri…
Sacra è sempre l’infanzia: è sacra la creatura incolpevole anche quando il carcere
l’ospitava!… E noi abbiamo avuto in famiglia questa festa … e non ne abbiamo
partecipato. I nostri fanciulli delle carceri, in Italia, dall’Alta Alpe all’estrema Sicilia – da
un mare all’altro – tutti, contemporaneamente, senza che ne fosse dimenticato un solo!
Noi non li abbiamo uditi. Male! Il pubblico deve corrispondere a certe riforme. Tanto più
qui, poiché quei fanciulli che appartenevano prima ai poteri segreti della giustizia – oggi
44
sono nostri – e il pubblico può e deve sempre entrare là ove si compie il santo ufficio
dell’educazione infantile.
Ieri stesso, per esempio, sono venuti qui in lieta gita, con le loro musiche, e la gioia
giovanile, i minorenni di Tivoli: quei medesimi (io me li ricordo con uno stringimento di
cuore!) che qualche anno fa erano sottratti al contatto dei rari visitatori: specialmente le
donne potevano vederli solo da lontano, in un cortile, ov’essi erano agglomerati in fondo,
dietro a un cancello, come una stiva, donde mandavano urlando sconci saluti, tra le
minacce dei carcerieri… E noi, alla loro visita festevole fatta ieri a Roma, perché non
siamo accorsi a salutarli, col cuore, e perché non si è bagnato il nostro ciglio al pensiero
di quella loro musica, che sembra un inno di tempi nuovi?
In Italia non abbiamo più carceri pei fanciulli: lo sappia lo straniero. Noi ne andiamo
superbi come della più santa conquista di civiltà. E dobbiamo dirlo forte, perché sentiamo
la fratellanza universale, e vogliamo che ci imiti e ci segua quel paese che ancora non ci
aveva preceduti. In tutto il mondo sia così: non più carceri pei fanciulli.
La Pedagogia scientifica segna una via nuova di trionfo umano, nel quale ha larga parte la
redenzione di tutti i reietti: deficienti intellettuali e morali. Questa pedagogia ha per base
“lo studio individuale”, noi potremo guidare e correggere solo quando conosceremo
l’educando, nella sua genesi come nella sua costituzione psico-fisica.
Cioè l’Antropologia deve essere base della Pedagogia. Ora, se in Italia avevamo già per
opera di privati scuole di Pedagogia scientifica, come quella che onora oggi Milano – e
come le altre sorte a imitazione di quella in varie città, fino a Reggio di Calabria, ma non
in Roma capitale - non esistevano della Pedagogia scientifica applicazioni ufficiali.
Il primo esempio è qui, nei Riformatori: e su questo importante argomento che è di alta
attualità e d’interesse pubblico, mi intratterrò un’altra volta.
Maria Montessori
M. Montessori, Gli odierni riformatori pei minorenni corrigendi. (La riforma
Doria), in “La Vita”, 2 (6 giugno 1906), n. 156, p. 3.
Continuo su questo argomento che per noi è più triste, ma glorioso. E tutti dobbiamo
averne conoscenza.
I nostri riformatori – un tempo – contennero promiscuamente i corrigendi d’ogni
categoria, dal bambino incorreggibile che il padre è costretto ad allontanare da sé a quello
che aveva commesso un vero e proprio atto criminoso, o che era dedito al vagabondaggio,
o al meretricio. In tale promiscuità, guida educativa erano i carcerieri scelti per lo più tra
il personale di rifiuto – delle carceri per adulti – ove si conservano gli elementi migliori.
Il tirocinio di tali guide era dunque stato fatto in quel luogo di vendetta sociale ove
strapiomba tutto il peso della zavorra umana degenerata e ineducabile. Nel 1891, ecco
una prima riforma del Beltrami-Scalia il quale si limita a separare in tre diverse categorie
45
i corrigendi, cioè: i minorenni traviati e ribelli all’autorità paterna per modo che il
genitore o il tutore siano impotenti a correggerli (art. 222 Codice civile).
- Gli oziosi e vagabondi, e i mendicanti o le meretrici abituali, minori degli anni
diciotto, privi di genitori o aventi questi incapaci di provvedere alla loro educazione e
sorveglianza (articoli 114 e 116 della legge di pubblica sicurezza).
- I colpevoli di delitti comuni che, nel momento in cui commisero il fatto
delittuoso non avevano compiuto i nove anni, e di quelli che avendo più di nove anni, ma
non più di quattordici, agirono senza discernimento (art. 53 Cod. penale).
Le tre categorie furono completamente separate in località e spesso in città
diverse; ma – pure essendo evitata la perniciosa promiscuità – rimaneva invariato
l’ordinamento interno, che era quello carcerario: ove si parlava complessivamente del
detenuto (nelle carceri comuni) e del ricoverato (al Riformatorio).
Su tale stato di cose – sorge la riforma di Alessandro Doria. – Sembra ispirata da un
soffio meraviglioso di potenza innovatrice – che ha un profumo tutto italico di genialità:
scaturisce come acqua pura dal macigno poderoso dell’antico diritto penale vendicatore
delle colpe che Cesare Lombroso aveva spezzato. La riforma è una rivoluzione: e ha
l’importanza storica di un passaggio netto da una civiltà ad un’altra: “è – lo dice lo stesso
Doria – un movimento ardito d’innovazione”. Il carcere di un tratto deve diventare un
istituto di pedagogia scientifica: ai carcerieri debbono sostituirsi maestri elementari,
uomini di mente e di cuore, “cui è affidata una missione d’importanza eccezionale, di
faccia alla Società tutta intera, che guarda con vivo interesse”. (Regolamento peri
riformatori governativi. Rivista di Discipline carcerarie. A. XXX. P. II). Sì, a questi
maestri si rivolge con parole tanto solenni il Doria, in nome del ministro dell’interno; li
chiama missionari, e affida loro l’opera redentrice: “a voi maestri”.
Quando si trattò di giudicare nel nome nuovo dell’umanità il criminale, anzi che il
crimine, fu chiamato il medico, accanto al giudice – per dare in nome della scienza un
semplice responso. Ma ora, nell’opera di prevenzione, si lascia rispettosamente libero il
campo a colui che è il maestro: “a Voi… è affidata la missione cui il mondo guarda…”.
Nuovo battesimo il cui solenne significato risplenderà nel futuro. E il redentore entra
umile: - maestro! venite qui, al posto del carceriere, che era l’ultimo uomo, dopo il
carnefice. Venite: si è eretto in quest’umile luogo il trono dello spirito; venite e redimete,
create anime, regnate.
Che cosa deve fare il maestro? Tutto. Poich’egli è tutto. La sua dignità alta è riconosciuta
fino al punto che il presidente dei ministri non osa dettargli legge. Caso nuovo; e bello di
vigore in una rinascenza umana! Alessandro Doria, modesto come chi ha la sapienza del
vero e della vita – non propone leggi nel regolamento – offre un progetto,
impersonalmente: “.. è stato preparato un progetto, con l’intento di metterlo in
esperimento: … esso verrà applicato in forma e con intenti sperimentali perché la pratica
possa indicarne le imperfezioni e le manchevolezze …”. E chi dovrà sperimentarlo,
modificarlo e renderlo definitivo, è il maestro: “per ottenere questo risultato, il ministero
molto confida nell’impegno del nuovo personale di educazione”. Solo i gesuiti, ma in un
campo tutto privato, ci avevano dato un simile precedente: per essi la regola dell’Ordine,
come il programma degli istituti di educazione, dovevano essere lungamente
sperimentati, prima di venire formulati e imposti all’obbedienza. Così fu che ai loro tempi
conquistarono, strapotenti, il mondo dell’educazione.
46
Qui ecco sorgere il metodo sperimentale in regolamenti di ordine pubblico e nelle leggi: il
maestro stesso che dovrà obbedirvi, avrà formulato sulla sua pratica e competenza, la
legge.
Per rispondere al suo alto compito, l’educatore che deve “mantenersi esempio di virtù
nella vita pubblica e privata” ha da ricevere un’istruzione speciale – nuova – alla quale
non è dato ancora accedere ai comuni educatori dell’infanzia normale; egli deve essere
istruito sui principi della antropologia per venire iniziato alo studio individuale dello
scolaro e per dare il suo contributo alla “carta biografica” di ogni alunno, alla quale
contribuiscono anche per completare l’esame obiettivo, il medico; e per lo studio
anamnestico, il direttore dell’istituto.
Lo studio completo psico-fisico degli educandi ha lo scopo “di raccogliere gli elementi
rivelanti le tendenze e il carattere, che, messi in rapporto al sistema educativo, servano a
prevenire il trattamento pedagogico”. Cioè: si riconosce guida fondamentale
all’educazione, la conoscenza scientifica dell’individuo da educare, documentata nelle
carte biografiche”.
Questa è la base della pedagogia nuova; della quale non si conosce altra ufficiale
applicazione in Italia.
Solo nella Scuola Pedagogica, che si trova nelle altitudini universitarie, è stato introdotto
l’insegnamento dell’antropologia, accanto a quello della Psicologia sperimentale: ciò che
forma un nucleo di scienze tendente a dare un indirizzo più moderno alla pedagogia. Ma
l’innovazione è timida: tali insegnamenti scientifici rimangono, per ora, “facoltativi, non
necessari”. Abbiamo dunque là, ove innanzi al progetto mirabile era brutalità cieca di
antica vendetta, un primo fondamento delle applicazioni pratiche di quelle scienze
moderne che promettono redenzione e perfezionamento dell’umanità. Era il carcere: oggi
è una clinica pedagogica ove non solo si cura e si educa avanzando verso la meta già
visibile di una efficace difesa sociale: ma si elabora un materiale scientifico che è
colossale. Poiché lo studio completo della personalità nei fanciulli anormali, non sarà
fuggevole ricerca di un solitario studioso; ma opera lunga di osservazione. Per anni interi,
cioè fino a che l’educando non abbia raggiunto l’età di 21 anni, sarà osservata ogni
giorno, d’ora in ora, da tutti i diversi educatori e dai medici a ciò scientificamente
preparati. E questo si dovrà ripetere per tutti i ricoverati, in tutta Italia. Veri centri di
scienza antropologica, i cui risultati saranno tesori inapprezzabili; donde potremo
acquistare i principi e i mezzi della difesa sociale e i sentimenti umani che dovranno
sostituire la giustizia con la misericordia. Cioè la civiltà potrà salire un gradino verso
l’alto.
L’ascesa ulteriore dobbiamo attenderla dalla Pedagogia scientifica applicata a tutti
gl’individui normali, perché le nostre ricchezze, la eternità trionfante della vita
fisiologica, le attitudini dello spirito umano, ci verranno dall’umanità normale – curata
come sacro, religioso pegno della vita. Invece oggi trascuriamo ciecamente le forze
migliori di noi…
Ma le applicazioni della Pedagogia scientifica non si riducono allo studio antropologico
dell’individuo: si estendono ancora alla sua educazione. Questa entra pure a far parte
47
importantissima della riforma Doria: rimando l’argomento a un’altra volta.
Maria Montessori
?????? Rossana, A proposito delle case di correzione, in “La Vita”, 2 (12
giugno 1906), n. 162, p. 3.
Non era certo mia intenzione entrare direttamente a trattare la questione dei minorenni
corrigendi, poiché questo problema sociale spetta, secondo me, a persone giuridicamente
edotte. Io segnalavo semplicemente agli studiosi del genere un buon libro in proposito, e
mi riportavo col pensiero a qualche anno fa quando, direttrice di una scuola di educazione
civile, credetti mio dovere assistere nelle pratiche di procedura una disgraziata famiglia
che aveva un giovinetto delinquente, destinato ad entrare in una casa di correzione.
Poiché i minorenni dai 18 ai 21 anni espiano nei reclusori la loro pena come ed insieme ai
più perversi ed induriti malfattori, giacché la legge non permette un diverso trattamento.
I minorenni dai 14 ai 18 anni anch’essi in buona parte corrono la stessa sorte, giacché il
metterli in una casa di correzione invece che nel reclusorio, non è disposizione di legge di
indole generale, ma è disposizione devoluta all’arbitrio del giudice che spesso non ne fa
niente.
Consultando poi le ultime statistiche del Doria, risulta che i riformatori sono
assolutamente insufficienti a raccogliere i quarantamila minorenni colpevoli, e che per i
condannati non esiste che la casa di correzione di Urbino, onde moltissimi restano nei
penitenziari comuni. Nei riformatori governativi dunque non sono raccolti che la metà dei
minorenni delinquenti, senza contare che esiste una notevole ed essenziale differenza fra
il trattamento dei discoli che stanno negli istituti di correzione paterna ed il trattamento
dei delinquenti che stanno nelle case di correzione. Sono entrambi “riformatori”, ma ben
diversamente regolati.
Comprendo benissimo lo slancio di entusiasmo della prof. Montessori; essa che ha date le
sue belle energie, la sua bontà e il lungo corredo di studi alla causa dei deficienti, essa che
dall’Alpi al mare scosse le anime con la sua parola vibrata in pro di questo proletariato
infantile, avrà sinceramente sentito dal comm. Doria e per la maniera lodevole con la
quale egli conduce l’istituto di Tivoli.
Ma purtroppo gli entusiasmi non devono farci velo, ed è opportuno ricondurre la
questione nei suoi veri termini. Il commendatore Doria ha tolte le guardie carcerarie e le
ha sostituite con dei maestri elementari. – Ricordo che l’anno scorso, sul Cittadino si
svolse una vivacissima polemica a proposito di questa riforma allora attuata. Quel
giornale attaccava il Doria incolpandolo di una modificazione fittizia, apparente, inutile.
Contro queste accuse sorse appunto l’avv. Guarnirei Ventimiglia in difesa del Doria,
dimostrando la bontà degli intenti suoi e l’utilità di questa iniziativa, che poteva
precorrere altre e più radicali riforme.
48
Ma fu un piccolo passo, lodevolmente effettuato, non una riforma organica e completa
che modificasse l’antico andamento. Così come la riforma del Beltrami Scalia, che,
separando in tre diverse categorie i corrigendi cioè: i minorenni traviati o ribelli
all’autorità paterna da un lato; gli oziosi i vagabondi i mendicanti da un altro; i colpevoli
di delitti comuni da un altro, attuò con questa divisione una riforma puramente
burocratica, poiché accanto all’impulsivo che in un atto di collera ferisce un amico, vive
il delinquente recidivo; accanto agli oziosi, indolenti ma tranquilli, vivono i mendicanti
ladri e corrotti; accanto ai piccoli ribelli nervosi, ma spesso buoni, vivono i traviati
impenitenti. La divisione dunque doveva effettuarsi non in una forma empirica, ma a
seconda della gravità e dell’entità del male dal quale erano colpiti i minorenni e con
criteri di una sana e beninteso pedagogia scientifica.
Conviene dunque non esagerare la cosa, poiché troppo manca ancora per l’attuazione di
una generale ed effettiva riforma nelle case di correzione o istituti di educazione
correzionale, specialmente con l’orientale lentezza con la quale procedono le cose da noi.
Infatti, fin dal 1876, il Nicotera rivolgendosi al Sovrano domandava la soppressione delle
guardie carcerarie e solo trent’anni dopo s’è potuto conseguire questa riforma.
L’ordinamento del personale di sorveglianza è mutato, ma siamo noi sicuri che esso sia
idoneo? e quali studi speciali hanno fatto questi nuovi precettori per essere sicuri di
intuire le tortuosità anormali dell’anima dei corrigendi? E questo mutamento non
porterebbe con sé come necessità la modificazione del testo di legge e delle altre norme
legislative?
Da tutto questo si rileva come non sia possibile lasciarsi andare ad un libero sfogo di
entusiasmo, e tanto meno gridare: “In Italia non abbiamo più i carceri per i fanciulli, lo
sappia lo straniero”. Sgraziatamente per il direttore, lo straniero non leggerà la Vita,
poiché egli potrebbe sorridere e domandarsi: il Codice italiano dove è andato a finire? E’
stato forse abolito ed io non me ne sono accorto?
Anche coloro che non hanno studiato codici e pandette, sanno che l’amministrazione
della giustizia penale e l’espiazione della pena sono perfettamente di regola, tanto pei
maggiorenni che per i minorenni, motivo per cui c’è da rallegrarsi per la leggera riforma
portata dal Doria nei riformatori; ma essa lascia pure immutati gli ordinamenti
correzionali preesistenti per i minorenni delinquenti.
Il Codice penale, con i suoi articoli severi e i suoi reclusori, retaggio di barbarie ed insulto
alla civiltà moderna, resta quale era, in barba alla scienza criminale, e lo dicono le Case di
correzione di Forlì, i reclusori di Porto Ercole ed altri ancora.
Si comprende e si spiega l’entusiasmo per un istituto tenuto sotto la speciale sorveglianza
del comm. Doria, che fa a Tivoli come già il Curli fece ad Ascoli Piceno, ma gli sforzi di
un direttore, che con personali risorse intellettuali e morali riedifica tutto un sistema di
educazione, in un riformatorio, non rappresentano una riforma generale che vada a
conforto dei ventiquattromila ricoverati nelle Case di correzione, e degli altri sedicimila
che restano nelle Case di pena.
49
Non sono sogni questi, né volate pessimiste campate nell’aria per mettere insieme un
articolo. Con sei soldi ognuno può comperarsi un Codice penale e constatare da sé la
dolorosa verità.
La professoressa Montessori, con sottile ironia, dice: “c’è ben altro da ammirare oltre
l’Istituto Forense di Milano”.
La colta signora ha perfettamente ragione: Dio sa quante belle cose ci sono da ammirare!
Ma è supponibile che giuristi insigni come il Petrazzoli, il Maino, lo Zuccate e gli altri
scienziati che compongono il Comitato di quell’Istituto, si riuniscano solamente per
combattere dei fantasmi? E’ possibile che soltanto per cacciare delle ombre la Cassa di
risparmio di Milano abbia versato migliaia e migliaia di lire e che per la stessa utopia
abbia il Re elargite dalla sua cassetta privata altre centomila lire? Forse quei signori
giuristi avranno aperto un concorso e indetto delle sedute coi più noti giureconsulti
unicamente per fare delle accademiche dissertazioni sulla “caduta delle famose inferriate
e dei relativi catenacci?”.
Nel programma dell’Istituto Forense è detto che essi “intendono provvedere a questa
grande lacuna della giustizia” e più oltre: “sostituire una vera e moderna e razionale
educazione dei minorenni traviati e corrigendi, togliendo gli infelici alle gravissime pene
che, per disposizioni legislative, sono loro imposte dal vecchio Codice”.
E’ possibile che tutte queste illustrazioni della scienza giuridica non si siano ancora
accorte che “in Italia non abbiamo più carceri per i fanciulli?”.
Ben altro ci vuole per risolvere un sì grave problema sociale; non basta la sostituzione di
maestri elementari: per correggere quelle anime malate e traviate occorre della gente che
conosca la psicologia criminale: più che le fanfare e le passeggiate ginnastiche occorre
creare intorno ad essi una atmosfera famigliare ed operosa, ben lontana dal tipo caserma e
camerata; occorre che lentamente e quotidianamente, col sussidio delle scienze mediche,
essi vengano emendati, con provvida sapienza, onde togliere quelle anormalità fiorite
nell’abbandono, nel cattivo esempio, nella degenerazione.
È tutto un criterio nuovo che deve sostituirsi all’antica idea della correzione: la
sostituzione della pietà e della tenerezza all’antico disprezzo; la sostituzione della scienza
all’empirismo giuridico; e converrà anche pensare alla creazione di un tribunale speciale,
costituito da appositi magistrati per il giudizio dei minorenni: innovazione questa portata
in America fino dal 1902.
Rossana
Sul nobilissimo argomento nel quale la Vita ha avuto l’onore di diffondere l’autorevole
opinione della signora Montessori, riceviamo anche la lettera seguente:
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Ill. mo signor Direttore,
A proposito di ciò che Maria Montessori viene, nelle colonne della Vita, scrivendo sulla
riforma degli Istituti di correzione mi piace osservare che, se al Direttore generale delle
carceri comm. Doria vanno tributate alte lodi, per non aver nulla tralasciato e nessun
sacrificio sfuggito, per addivenire alla soluzione di un sì importante e difficile problema,
non vanno dimenticati coloro che all’opera stessa portarono il contributo dei loro studi e
delle loro esperienze.
E fra questi è doveroso annoverare Emanuele Pasquini, il quale da molti anni dedica
l’intelligente opera sua al miglioramento dei giovani ricoverati nella Casa di correzione di
Urbino (unica in Italia per minorenni di cui agli art. 53.54 del Cod. pen.) e che fin dal
1901 raccolse il frutto delle sue esperienze ed una serie di belle proposte in un opuscolo
al quale l’on. Tancredi Canonico, in un articolo comparso sulla Patria di Roma, prodigò
gli elogi più lusinghieri.
Tanto per la giusta assegnazione dei meriti: unicuique suum!
Con ossequio cordiale.
dev.mo
Domenico Rossi
Aversa, li 6-6-906.
M. Montessori, Sulla questione dei minorenni corrigendi, in “La Vita”, 2
(16.06.1906), n. 166, p.3.
Invece dell’articolo sulla organizzazione pedagogica del lavoro manuale nel
Riformatorio di S. Michele in Roma, pubblichiamo oggi questa:
Risposta a Rossana
Rossana – voi avete aperto sulle colonne della Vita una polemica… - Io vi ringrazio di
questo atto cortese. E godo che tra due donne si faccia una guerra gentile di sentimenti e
51
di cultura, con lo scopo materno di redimere un’infanzia proletaria che deve essere sacra a
ogni cuor di donna.
Non vi sembra un’era nuova di brillante femminismo, questa?
Un tempo erano le “barufe chiozote” di Goldoni… oggi sono le polemiche sociali, fatte
con la penna. Permettetemi innanzi tutto di stendervi la mano. Voi avete voluto
cortesemente ricordare la mia propaganda pei deficienti in Italia: io voglio ricordare voi,
Rossana, tra gli operai raccolti nella scuola di educazione civile: la vostra opera sociale
onorò il nostro sesso: ed io fui tra le persone che più la compresero. Ditemi, se quella
istituzione avesse raccolto le signore più intellettuali e gli uomini colti di buona volontà,
nelle serali riunioni con gli operai reduci da lavoro; e avesse tolti gli uni all’ozio e gli altri
alla bettola affratellando uomini e caste in uno scopo di progresso intellettuale del
proletariato, che è scopo di progresso universale – e la vostra unica scuola si fosse
moltiplicata e propagata nei quartieri di Roma e poi nelle città d’Italia; non sarebbe stata
una festa umana?
Ma forse la vostra scuola ebbe qualche difetto (chi non ne ha?…) – il pubblico non vi
s’interessò abbastanza – i nemici vi colpirono – quasi nessuno vi comprese, né Stato, né
partiti, né pubblico… Ebbene di ciò si muore. Di abbandono periscono spesso le più sante
e geniali iniziative. Chi s’interessa lo fa per rilevare i difetti e ferire – spesso ferire a
morte. Il bene resta coperto col male che sempre gli sta accanto, poiché tutto è fatto di
bene e di male -; sul bene spesso si getta il veleno mortifero dell’invidia. E così
l’edificazione delle cose buone è faticosa… dolorosa. Io posso dire lo stesso per la mia
opera in favore dei deficienti. Non raccolsi io peggio che ingratitudine e non ebbi contro
me gli ostacoli mortali? – Rossana – stendetemi la mano; e ditemi: perché uccidere?
Edificare! aiutare la vita!plasmare con le forti attività dell’anima tutto quanto è buono:
ecco una missione sociale della donna.
Ed ora veniamo più direttamente alla nostra importante discussione.
La riforma del Doria è allo stato “potenziale” – io n’ebbi l’impressione come di chi
osservasse un germe umano e prevedesse le forme sublimi immortalate da Fidia.
Lasciatemi il tempo di svolgere in una serie di articoli ciò che ho potuto interpretare. Ma
non vi arrestate mai nella polemica. Poiché per isvolgersi, quel germe, ha bisogno di
stimoli: e la polemica nobile e bene intesa è feconda di vita. Noi donne siamo le genitrici
– ricordiamoci di questa nobiltà alta, naturale e sociale – i germi della vita umana si
svolgono nel nostro seno: i germi delle grandiose opere sociali, saranno riscaldati dalla
nostra anima!
Qualche rapida risposta ai vostri appunti: io non dissi che in Italia non abbiamo più
minorenni nelle carceri: ma che “non abbiamo più carceri pei fanciulli” perché le carceri
dei fanciulli si sono trasformate in iscuole. E LO SAPPIA LO STRANIERO!…
Non è forse vero che a Milano presiedeva il congresso di Assistenza Pubblica, Casimir
Perire, - quasi personificazione di quella Francia che ha nell’altero linguaggio l’iperbole
di sé stessa – e che innanzi a lui noi non abbiam fatto che patire miserie e bisogni e
tenebre fitte sul pensiero sociale… senza che una voce sola si sia fatta sentire per
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proclamare questa solenne riforma che ci avrebbe illuminati?… Qual mania di
persecuzione e di miseria è mai questa nostra!...
Perché nessuno disse allo straniero, che era al tempo stesso fratello nostro e ospite
gradito, questa caduta delle inferriate e dei catenacci – una riforma molto civile di
regolamento, intanto, se non di codice – subito seguita dal fatto solenne che il Ministero
dell’interno ha già stanziato mezzo milione pel primo edificio libero – vero locale
scolastico, che sarà costruito come principio di un’opera destinata a diffondersi? Poiché
come il ministero dell’istruzione e i comuni hanno obblighi pei locali scolastici (obblighi
tuttavia non ancora universalmente adempiuti là ove dipendono da isolati comuni!), così
quello dell’interno dovrà assumersi l’obbligo di fabbricare i locali per le scuole che fonda
– poiché stride l’istituto di educazione nel locale del carcere. E qui sta la grandiosità:
nell’universalità che s’impone all’opera di Stato, a differenza della limitazione nelle
opere private.
Se ricordate, quando io dissi “c’è ben altro da ammirare, oltre l’Istituto forense di
Milano”, accennai non alla qualità, ma alla estensione dell’opera.
Facciamo ora – permettete – un ragionamento serrato. C’è a Milano l’Istituto forense che
tende a costruire scientificamente quelle riforme complete, radicali del giure atte a
corrispondere ai nuovi criteri dettati dalla scienza nella nostra epoca di civiltà. C’è anche
a Milano la prima e più importante scuola di pedagogia scientifica che abbia l’Italia –
altra cosa da ammirare: essa prepara i “metodi educativi” per tutti gli uomini, normali e
anormali. L’un istituto dovrà attingere all’altro per reciproca luce come, p. es., a un
policlinico l’una clinica ricorre all’altra per raggiungere lo scopo assai complesso della
diagnosi e della cura.
Ma se il gran macigno degli edifizi penali stesse assolutamente immoto e impenetrabile –
a che tanta opera scientifica? La riforma del Doria ecco, li apre e li rende accessibili alle
scienze nuove.
Calcolato, p. es., dagli ingegneri il traforo del Sempione, era necessario prendere il
piccone o infossare la mina, per intaccare il macigno – senza di che i calcoli sarebbero
stati opera vana. Guai se l’operaio, l’ingegnere, la natura fossero diventati rivali! Lo
scopo fu raggiunto con la cooperazione armonica di tutti i diversi elementi che vi
contribuivano; e allora solo gli uomini tutti poterono utilizzare quel passaggio nuovo
apportatore di progresso. Ora per costruire una profilassi sociale contro la criminalità, un
immenso numero di fattori deve contribuirvi! Non è solo questione giuridica – come voi
dite – per quanto sia eminentemente giuridica. Ma è pure questione psichiatrica – e
soprattutto questione pedagogica. Anche gli istituti più deficienti che esistono ancora in
poco numero da noi: e gli istituti per fanciulli epilettici, che ancora non esistono affatto, si
collegano strettissimamente con tale questione. Perfino ci si collega la riforma della
scuola elementare per fanciulli normali! perché il capitano come in una prima tappa
sociale tutti i deficienti e i criminali destinati a continuare per altra via il triste cammino
della vita. Ora supponete un momento che la riforma Doria in realtà si attuasse – cioè
corrispondesse completamente la pratica all’idea mirabile.
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Avremmo dei maestri e dei medici, lì dentro ai Riformatori, atti a studiare, intanto gli
individui ricoverati. Dove volete voi che si fondi la razionale separazione che invocate
dei tipi biologicamente diversi tra loro – l’impulsivo semplice, dal pazzo morale;
l’epilettico dall’imbecille che commise un atto criminoso – dove, se non sullo studio
diretto, scientifico dei soggetti?
Aprite le porte dei Riformatori alla scienza, e fate che questa vi si stabilisca come in una
clinica. Credete voi che possa rimanere sterile tale ospitalità? Ma perché si dovrebbero
dunque studiare i soggetti, se non per dedurre ulteriori ulteriori riforme e andare verso il
progresso? – Sostituite alle ricerche scarse che si potevano fare quando certi sospetti
erano quasi inaccessibili allo studioso una ricerca obbligatoria su decine di migliaia di
persone – e s’imporrà un tale cumulo di documenti umani, che dovrà crollare come per
terremoto la costruzione antica! – Fate che dall’Istituto Forense di Milano si ottenga di
togliere del tutto i minorenni dalle carceri riformando codici e tribunali: dove metterete
questi fanciulli? Colà ove già si è iniziata l’opera riformatrice del Doria. Lasciate sempre
progredire: si vedrà pure che uno sterminato numero di quei bambini che vanno col nome
di deficienti stanno appunto là dentro i Riformatori e specialmente nella categoria dei
vagabondi e dei dediti al meretricio: e si farà così una luce sempre maggiore, e un
coordinamento di opere sociali che hanno la triplice base giuridica medica e pedagogica.
L’un istituto integrandosi con l’altro, l’una opera accogliendo la pratica di successive
riforme, l’altra mutando significato e nome, completeranno ciò che è nell’intento
scientifico del momento presente: la redenzione umana del proletariato fisiologico e la
difesa sociale. Anzi, cara Rossana, da tutto questo colossale monumento di progresso, un
vessillo dovrà sventolare come simbolo del “vero” in tutta questa questione della
criminalità: i criminali, i deficienti, gli epilettici, tutta questa umana zavorra non dovrebbe
nascere… Essa è la malattia della specie umana, e si potrebbe qui ripetere la
sapientissima regola data da Mosè – e ripetuta nella famosa scuola medica Alessandrina:
“è più facile evitare l’epidemia di un intero popolo, che guarire un solo individuo
malato…”.
Maria Montessori
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M. Montessori, Per i minorenni delinquenti. L’organizzazione nel Riformatorio
di S. Michele, in “La Vita”, 2 (14.07.1906), n. 194, p.3.
Dopo gli esercizi spontanei che sono serviti a stabilire una prima conoscenza del fanciullo
– incomincia l’opera educativa. Il metodo che si usa a S. Michele per il lavoro manuale
educativo ha due principi la cui importanza potrebbe sfuggire ai profani, ma che
costituiscono la base scientifica di tutta la metodica moderna: cioè la graduazione degli
esercizi e la loro ripetizione. La graduazione conduce dalla semplice linea incisa sulla
creta o intagliata sul cartone alle fondamentali figure geometriche, alle loro combinazioni
in disegni e alle loro applicazioni nella composizione o nelle analisi di oggetti d’uso o
oggetti artistici. Giunti agli oggetti, si è alla porta dell’insegnamento professionale. Che la
graduazione serva a collegare tutta la serie degli esercizi in una unità organica – e
conduca quindi la mente a edificare logicamente e a intendere l’analisi d’ogni oggetto – e
ciò senza sforzi di adattamento e quindi senza fatica – è ovvio intendere, e non è nuovo;
per quanto originale sia qui nel rigore veramente scientifico delle sostituzioni graduali,
con le quali è applicato.
Ma ciò che non si usa finora in nessun insegnamento – fuorché nella pedagogia
scientifica – è la ripetizione. Le stesse linee, le identiche figure geometriche, le
graduazioni tutte si ripetono quattro volte; ma usando materie diverse e necessariamente
diversa tecnica di lavorazione. Prima con uno stecco di legno, la riga e la squadra si
eseguono tutti i lavori in creta; poi con la riga e la squadra di ferro, il coltello e le forbici
si ripetono sul cartone; quindi con la sega, la pialla, lo scalpello, il mazzuolo, la raspa e le
righe, i piccoli operai, sopra un minuscolo banco da falegname ripetono per la terza volta
le medesime costruzioni aiutandosi pure col tornio, le sgorbie, e i compassi di spessore a
comporre gli oggetti più difficili, e finalmente, divenuti piccoli fabbri, ripetono il tutto
l’ultima volta, facendo uso del tagliuolo, di martelli, di lime a diverso taglio e forma, di
seghe da ferro, e squadre, e si affaccendano, già abili lavoratori, intorno ai piccoli tavoli
speciali ove sono infisse morse di ferro e incudini; inoltre hanno a loro disposizione
saldatori di rame per fare le saldature con lo stagno e un piccolo trapano per fare i buchi: né manca nella scuola una macchina per la molatura dei ferri, cioè un armamentario
completo. – Anche l’oggetto è presentato sotto una forma originale: l’incastro, ben noto a
chi si è occupato di pedagogia dei deficienti.
La figura qui sopra rappresenta appunto come i fanciulli devono fabbricare i pezzi
geometrici a pieno e a vuoto, indipendentemente, con oggetti diversi, come per esempio
con cartoni o legni di vario colore; in modo che l’esecuzione sia tanto precisa da far
combaciare con assoluta perfezione i due pezzi nell’incastro. Ciò vuol dire che la
costruzione delle figure e l’esecuzione del lavoro devono raggiungere un’esattezza
assolutamente matematica.
Il pezzo incastrato infatti oppone una certa resistenza a chi vuole staccarlo
dall’incastratore, come fosse leggermente ingommato – e la superficie non fa sentire
alcun dislivello.
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Le applicazioni pedagogiche del metodo così succintamente e imperfettamente accennato,
sono di una importanza singolare. Si riedifica qui a nuovo, applicandolo al lavoro
manuale, il metodo classico di Séguin usato per l’educazione intellettuale dei deficienti;
ma che sarà forse in un giorno non lontano, il metodo pedagogico positivo e razionale da
usarsi anche per tutti i normali.
Ripetere! Ecco quanto manca a tutta la nostra vecchia pedagogia, che ci ha pur preparati
ancora nella vita pratica ad essere superficiali. Ripetere vuol dire approfondire: ripetendo
si medita; ripetendo si assimila; ripetendo si prepara in noi la creazione. È una delle più
interessanti esperienze che si fanno oggi in psicologia sperimentale: quella di mostrare
una tavola di figure varie come per es. un bottone, una fibbia, un ritratto, un nastro ecc.
ovvero mostrare un quadro - ; e poi togliere dallo sguardo l’oggetto e invitare a
descriverlo.
Tutti vedono più o meno parzialmente e male: alcuni anzi nella descrizione inventano di
sana pianta. Ciò vuol dire che la realtà ci giunge sempre parzialmente, e di più mista a
illusioni, quando osserviamo alla sfuggita. Che cosa ci rimane infatti di un libro letto in
fretta, di un corso universitario seguito a gran carriera? – Poco, ma non solo poco; ci
restano delle illusioni; la realtà, il vero, l’essenza della cosa si è quasi completamente
smarrita nella nostra fuga intellettuale; noi rimanemmo affaticati, ma non tòcchi.
Perdemmo forze, senza molto guadagnare. Bisogna fermarsi, e ripetere. La scienza
sperimentale tanto decantata e tanto feconda di progresso, che cosa ha fatto se non
costringere, con oggetti che richiedono la paziente applicazione delle esperienze,
l’attenzione umana a soffermarsi? Il vero esige una laboriosa conquista, una coltivazione;
non vuole essere rapito a volo. – Ed anche la personalità umana edifica e si ingrandisce
solo a prezzo di pazientare, di fermarsi, di ripetere. Per tornare a un antico paragone, la
goccia di rugiada brilla, dove si posa come illusorio, effimero diamante, che il primo
insetto, il primo raggio di sole, il primo aleggiar di vento disperde nel nulla: ma la goccia
costante che cade può corrodere il granito. In noi tuttavia non produce solo un fatto quasi
meccanico, come quello per esempio di dare una memoria granitica degli oggetti, la
ripetizione: la ripetizione crea. – È il seme piccolo e semplice (la nozione) che lasciato in
terra feconda (la nostra anima) germoglia in piante che sono sorprese di forme nuove,
creazioni, vita.
I gesuiti conquistarono ai loro tempi il mondo, chiamando gli uomini che erravano
svolazzando sui versi o nelle corti, a meditare: meditare e fermarsi col pensiero,
intensificandolo, polarizzandolo sulla cosa che si medita. Ebbene leggere un libro in una
nottata è consumare di noi aridamente; meditare mezz’ora il mattino è lasciare una libera
espansione al nostro io, che resta per lo più malamente soffocato da una valanga di
sensazioni incoordinate. Non sappiamo l’arte di espandere noi stessi, e non sappiamo
regolarizzare le nostre attività: perciò anche forti e normali di natura ci accade
d’indebolirci e squilibrarci magari nella nevrastenia.
Qui invece, nei procedimenti della pedagogia scientifica si tratta non solo di mantenere
integri e sviluppare gl’individui forti, ma ancora di ricostruire personalità oscillanti negli
squilibri della degenerazione e dei morbi.
56
Perciò conviene ripetere. Chi non sa che gli anormali hanno sensazioni diverse dalle
nostre? I colori, i sapori, gli odori, le impressioni tattili, termiche, dolorifiche, sono
diverse in loro. Essi hanno talmente un diverso modo di percepire il mondo, ché il
fanciullo anormale ci apparisce quasi sempre come un bugiardo cinico, che nega, o
deturpa la verità. Per costoro, passare fuggevolmente sulle cose è non solo acquistare
illusioni, ma anche realmente “false percezioni” capaci poi di costruire una mentalità
fatalmente patologica.
Bisogna perciò che gli oggetti reali persistano, insistano, si aprano una strada, si fissino
un posto nella mente degli anormali. – Ecco che la graduazione logica ripetuta più volte,
in esercizi conducenti dalla geometria agli oggetti reali, costruisce un pensiero complesso
fissandolo su nozioni esatte e concrete.
La difficoltà del metodo sta appunto nel ripetere senza annoiare, cioè senza stancare.
Perché infine si tratta di fissare a lungo l’attenzione sopra una cosa, sviscerarla in tutta la
sua profondità. Ma appunto ciò è difficile nei fanciulli in genere, che sono instabili,
perché la loro attenzione è presto esaurita: e tanto più sembra un arduo processo nei
degenerati, nei deficienti, in tutte le forme di mentalità anormale, dalla epilettoide, alla
imbecillesca: perché la caratteristica psichica di questi minus habens è appunto
l’instabilità eccessiva dell’attenzione, la facile esauribilità dello sforzo; e ragione per cui i
degenerati mutano ogni momento mestiere e finiscono poi per divenir parassiti. La
difficoltà è superata in questo, che sembra un controsenso: ripetere, variando. A chi
osservi l’imponente numero d’istrumenti diversi che i piccoli ricoverati di S. Michele
devono successivamente maneggiare, mentre passano a traverso la lavorazione di materie
tanto dissimili come sono la creta, il cartone, il legno e il ferro resterà l’impressione che si
sia felicemente raggiunto lo scopo.
La molteplicità circonda talmente l’unità, la instabilità fa un tale quadro alla costanza, che
il fanciullo, pur seguendo i bisogni psicologici della instabile sua mente, pur variando di
continuo, fissa quella determinata serie organica di nozioni. E non si stanca, né si sforza,
né si consuma. Anzi la sua personalità viene come riordinata, ricostruita: è quel lavoro
manuale che secondo Benedicht – cura il sistema nervoso e guarisce l’epilessia.
Intanto i fanciulli passano da una forma di lavoro all’altra, che li conduce dalle tenui
mollezze della plastica sulla creta, alle dure e faticose manovre del costruire in ferro,
mostrando tendenze varie nelle abilità diverse del maneggio.
Dobbiamo fare di loro altrettanti lavoratori, che dovranno un giorno esser produttivi
nell’applicazione professionale. Al riformatorio stesso, cinque officine o laboratori
attendono i piccoli licenziati della scuola del lavoro educativo, per farne degli operai:
potranno essere fabbri, o falegnami, o artisti (se andranno al laboratorio di plastica); o
anche sarti o calzolai.
Tutto quel mutar di tecnica nel lavoro preparatorio, deve tendere a risparmiare le
incertezze della scelta e le vane perdite delle prove fallite.
Il bambino giunto alla fine del periodo preparatorio, si trova sulla soglia di una porta che
è sicuro asilo di lavoro rimuneratore per lui. Il maestro dovrà appunto studiare di continuo
le tendenze individuali dei piccoli allievi.
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Quegli che si deliziò nell’incidere mollemente con tenui asticine la creta obbediente, e
provò irritazione nel maneggiare fra gli stridori le lime; quell’altro che sembrò come a
suo posto dinanzi al tornio, mentre si annoiò intagliando il cartone; quegli che provò un
singolare gusto nel maneggiare le forbici o nel combinare la riga e la squadra, non fecero,
(come inutilmente avviene ancora nelle nostre scuole comuni) soltanto una vana e illogica
raccolta ora di elogi e ora di castighi: ma continuarono a manifestare le proprie tendenze e
indicarono al maestro la via della vita alla quale sono adatti. Essi si avanzarono così
contemporaneamente verso la guarigione e verso la meta.
Un giorno, quando i nostri Riformatori saranno completamente rinnovati nell’indirizzo
iniziato, e avranno pur potuto dare una imprescindibile base igienica ai locali e a tutto
l’ambiente – sì che l’aria libera e il sole, ravvivino fisiologicamente gli organismi fiacchi
dei piccoli proletari – potremo dire veramente che tutta la parte preparatoria o educativa
del lavoro, spinge alle officine dei guariti, o meglio dei convalescenti. Certo delle persone
così logicamente educate non potrebbero con vera utilità entrare subito in laboratori
comuni, insieme agli operai sani e normali.
Io chiamo convalescenti quei ragazzi che stanno nei laboratori professionali – anche
perché mi sembra che il trattamento dovuto a loro sia paragonabile a quello che usiamo
per chi, salvo da una malattia mortale, deve prendere forza onde ritornare tra i vivi della
vita attiva.
Non potrebbe essere un mastro di bottega o un duro padrone, l’ulteriore maestro di questi
che rappresentano la debolezza nella compagine dell’umanità. Anche i capi di arte
devono essere educatori, quindi lontani da ogni interesse di lucro immediato, e da ogni
tentazione di sfruttamento: - maestri, nel vero senso della parola, orgogliosi del metodo,
del miglioramento degli scolari, e soprattutto sensibili alla propria alta missione. Come è
per esempio a S. Michele il Gèmini, un vero artista fine nella scultura e nell’intaglio – che
prepara sotto di sé piccoli artisti, lieti e sorridenti di orgoglio per la propria opera: come è
il maestro dei sarti, Prandi, che ha creato un metodo di progressione veramente
ammirevole – dal punto semplice ai lavori primitivi, al disegno, al taglio; come è
Mulzone, il maestro dei fabbri, così eccellente nei difficili lavori delle serrature segrete e
delle casseforti, e che sa far sorgere mobili elegantissimi in ferro; mentre la sua dolcezza
paterna sembra un vivo contrasto con la materia del suo lavoro: e Mencarelli, il maestro
falegname, che segue i metodi del lavoro svedese negli esercizi progressivi dall’incastro
alla costruzione del mobile, e Vinci, il maestro calzolaio, che dopo aver insegnato i primi
punti, ha originalmente diviso la scarpa in tante parti che devono essere successivamente
lavorate, come la punta e il tacco.
Così che visitando le officine, io dovetti involontariamente pensare a ciò che avevo
veduto e ammirato a Londra nella meravigliosa organizzazione delle classi aggiunte pei
deficienti: dopo l’educazione speciale in classi separate, i deficienti passano a scuole
centrali di lavoro, cioè officine, che hanno la specialità di insegnare il lavoro
professionale con metodo pedagogico razionale.
Già, in Inghilterra tutto si insegna: per essere bambinaie o serve, come per essere maestri
o professori, bisogna aver fatto un corso di studi e aver acquistato un’abilità. Da noi
invece la preparazione alla vita è aristocratica; chi non va nelle alte scuole o
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all’Università, non trova luoghi che lo preparino con metodo a ciò che dovrà fare nel
mondo. E perciò è scadente il lavoro manuale; e per avere un operaio che costruisca una
camera igienica o una bonne che sappia tenere in braccio un bambino conviene ricorrere
all’Inghilterra…
Una scuola razionale completa di lavoro è dunque cosa economicamente e civilmente
importante da noi, e degna di essere generalizzata.
Perché lasciarla nascosta e chiusa nel Riformatorio di S. Michele?
Maria Montessori
Montessori, Ancora sui minorenni delinquenti. L’amore, in “La Vita”, 2
(6.08.1906), n. 217, p.3.
Dice ancora, il nuovo regolamento sui Riformatori, che per la correzione dei minorenni
sono aboliti i mezzi coercitivi – e vi è sostituito l’amore.
Grave affermazione e altissima, questa. L’amore!.. Cosa fa l’umanità se non salire con
voce perpetua verso l’amore? Tolstoi nell’aureo racconto “Di che vicono gli uomini”
lascia dire all’angelo che era venuto in terra per iscoprire il segreto della vita umana: “Gli
uomini credono di vivere solo pei loro dolori; ma in verità essi vivono per l’amore. Chi
possiede l’amore è un Dio”.
La civiltà procede nel suo lato morale unicamente sulla via dell’amore. Raddolcisce
perciò a poco a poco ogni forma di durezza e la vince.
Compie un atto d’amore Beccaria quando vuole abolire la pena di morte pei criminali; è
tutta amore la teoria di Lombroso: ed è amore la riforma che abolisce il castigo pei
fanciulli reprobi, impulsivi, perversi, ribelli, corrotti, ignavi. Distruggere una forma
crudele è spezzare un legame che tiene in basso l’umanità, e lasciarla volare più
liberamente in alto, verso l’amore. Nel primo momento il passo sembra ardito e pieno di
pericoli. Abolire i mezzi coercitivi! ma come si potranno correggere le malvage tendenze
dell’anima?
Lasciate l’umanità salire! Voi credevate che il suo cammino diretto fosse guidato dal
timore del fuoco eterno; dalle pene della tortura e della morte in terra; dal timore della
prigione, della terribile cella ove si soffre il silenzio, il buio e la fame; dal timore dei
castighi da evitare, infine. No: il cammino diretto dell’umanità è unicamente guidato
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dall’amore: per questo gli uomini si gittarono ai piedi di Cristo. Che cosa sono i criminali
se non persone che non ebbero o che perdettero l’amore e ci ripugnano come esseri fuori
della vita? Chi vuol sedurre e conquistare, dimostra, se non lo sente, amore: mai nessuno
pensò di conquistare anime umane con la minaccia.
Questi infelici, i predisposti alle ferocie e al ludibrio della criminalità, sono paria
dell’amore: o perché non hanno raggiunto la pienezza della vita, e l’organismo stesso è
incapace di amare, o perché mancarono del nutrimento della dolcezza e dell’affetto fin
dalla tenera infanzia, quando il corpo stesso per crescere bene ha bisogno delle dolcezze
del latte e insieme delle carezze materne: e allora sono dei terribili assetati e affamati
d’amore! o perché nell’amore furono offesi, e videro l’ingiustizia – e allora sono dei
feriti. Abbiate il segreto di farli amare, tutti questi paria dell’anima umana e tutti questi
caduti – e saranno salvi.
Ma qui sta il difficile.
L’amore, si svolge nella sua bellezza spirituale dalla salute fisica e dall’ambiente sano.
Possiamo, è vero, più o meno volontariamente, cogliere questo sublime fiore, e coltivarlo
nelle attitudini della perfezione dell’anima umana: ma esso nasce solo in una terra
ubertosa e pacifica: la salute del corpo e dell’ambiente.
Si potrebbe dire: chi ama è sano, come si è sempre detto: chi ama è salvo.
Che la mancata bontà, l’odio, l’invidia, il dispetto, il desiderio di vendetta siano in diretto
rapporto anche con difetti della costituzione, o con veleni che circolano nel sangue, o,
insomma, con stati morbosi fisici, questo è un principio ancora poco diffuso nella cultura
del pubblico. Dilatiamo il concetto: chi è inaccessibile al bene, chi si mostra veramente
un ribelle dell’amore umano è senza dubbio un malato. Queste malattie potranno a volte
essere inguaribili: ma se una cura sarà capace di attenuarle, essa non dovrà essere fatta di
odio, di vendetta, di castigo; bensì d’amore. E insieme dovrà accompagnarvisi un’igiene
fisica che migliori le condizioni del corpo male organizzato nei suoi intimi scambi e nelle
sue vibrazioni, o deviate dall’equilibrio fsiologico della salute fisica.
Noi con una frase: - le cattive tendenze dell’animo – affastelliamo superficialmente le più
disparate quantità di effetti senza risalire alla causa: mentre sono lì congiunti errori di
ambiente, con errori fisiologici, e con malattie, soprattutto con malattie.
Perciò, volendo procedere alla educazione morale del minorenne, bisogna più
necessariamente ancora che per qualunque altra forma di educazione, principiare dallo
studio individuale del bambino e della sua anamnesi, cioè dalla storia biologica e sociale
che possa ricostruire lo sviluppo della sua personalità: come noi facciamo nelle cliniche,
prima di curare un malato.
E simili malattie, che diano come sintomi delle ‘perversioni morali’ ne troviamo
consuetamente.
Del resto è popolare la frase: - oggi sono di cattivo umore, non istò bene. – E quando ‘non
si sta bene’ l’affettuosità, la pietà per gli altri, il desiderio di aiutare, sono attutiti e come
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addormentati: ossia l’amore è scarso. Salute e amore sono tra loro congiunti come corpo e
spirito.
È vero che l’uomo sano potrà inibire le influenze di alcune lievi oscillazioni della sua
salute fisica, nel campo morale, o che potrà perfezionare il cuore con l’esercizio dello
spirito, come si perfeziona l’intelligenza con lo studio, e la voce col canto. E questo è il
campo vero e proprio dell’educazione. Ma tale capacità di perfezionamento, è
strettamente collegata con la salute fisica. Insomma, i moralmente irriducibili sono dei
malati inguaribili.
La clinica ce ne dà i più difficili esempi.
La personalità morale – comprendente i sentimenti e la condotta di un individuo – può
essere di sana pianta mutata da un veleno o da un morbo: p. es., il primo sintomo della
demenza paralitica non è già il tremore, o l’alterazione del linguaggio, o la soppressione
di alcuni riflessi, o lo stesso delirio di grandezza: no. L’infelice che è appena colto dal
fatale morbo, muta completamente condotta e carattere. Da buon padre di famiglia
diventa uno scapestrato spendereccio, giocatore: da pacifico si trasforma in attaccabrighe,
da calmo in violento: chi era esempio di onoratezza commette azioni indelicate e scorrette
o perfino delittuose. Ma anche il solo alcoolismo acuto, non trasforma completamente la
personalità morale e la condotta? Si è un avvelenamento passeggero, che spinge l’uomo a
commettere azioni riprovevoli, è tanto lontano del formare la vera compagine dello
spirito, che l’individuo stesso le deplora appena sia dileguato l’effetto venefico. La madre
pellagrosa che uccide i suoi teneri figli e il suo lattante – e si suicida – non ha un’anima
perversa e stanca, ma un corpo malato e denutrito.
Il fattore patologico insomma non solo non deve essere estraneo, ma va invocato forse
nella maggioranza dei casi, certo in tutti quelli ove le cure morali, le esortazioni,
l’esempio, l’ambiente rinnovato riescano inutili, come inutili riuscirebbero simili mezzi al
paralitico, all’alcolizzato durante l’accesso acuto, e alla pellagrosa nell’acme dell’ultimo
stadio di malattia.
Ora la causa patologica collegata massimamente alle manifestazioni criminali è senza
dubbio l’epilessia: come a substratum fisico dei caratteri cattivi, invidiosi, litigiosi, del
mendacio istintivo e incorreggibile, della doppiezza d’animo, ecc., che producono e
seminano intorno intorno afflizione e noia sta un fondo d’isterismo o di istero-epilessia
attenuati o latenti.
Questo insieme di concetti deve guidarci, quando ci accingiamo a correggere i minorenni
delinquenti. Essi sono ignoranti o deficienti dell’amore: nel primo caso sono degli
assetati, nel secondo dei malati.
Essi, i piccoli paria, sono capaci di ispirare amore a noi. A noi, che siamo gli aristocratici
del pensiero e del cuore, capitalisti delle ricchezze spirituali. In noi che siamo ancora e
insieme i capitalisti delle forze fisiologiche. Non abbiamo idea della nostra ricchezza!
viviamo insensibili all’abbondanza spirituale e effettiva che ci cullò, e ci fece crescere,
quasi in un bagno di sazietà. Come il ricco di denaro che passa in carrozza, alto dal fango
della via, e posa uno sguardo indifferente sui miseri, sui cenciosi, sulle vittime del
pauperismo che si dileguano in fuggevole visione, così siamo noi, ricchi spirituali, verso i
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paria del cuore. Avviene, talvolta, avvicinandoci a quei fanciulli, che non c’intendono,
come se parlassimo un linguaggio straniero. “A chi vuoi più bene?” “a chi vuoi bene tu?”
… la frase che si mette di continuo nel linguaggio pei bimbi, come si mette lo zucchero
nel loro latte, e che nutrisce, direi quasi, materialmente, lo spirito. - Poi, quando si cerca
di far capire cosa vuol dire la parola e la frase, essi spesso rispondono con un sorriso: “a
te!” A te che per la prima volta mi parli d’amore, mi parli con amore – io voglio bene a
te. –
Perché nessuno … (ah mai nessuno! né la madre … no, anzi la madre appunto mancò alle
anime di quei fanciulli …) aveva mai parlato né avuto un tratto di amore. Ma appena uno
fa capire, tocca il cuore con un tenue raggio d’affetto … essi rispondono vivamente; con
una vivezza che non siamo usi a trovare mai nei fanciulli buoni: I loro sguardi assumono
una espressione commovente di stupore e di riconoscenza, che ci tocca e forse ci strappa
le lacrime, e ci fa penetrare in fondo nella nostra coscienza: come noi siamo
sterminatamente ricchi! e perché non diamo… perché non sentiamo vergogna di saper
tanto pensare e amare in mezzo a persone che sono chiuse nelle tenebre fitte di ogni
ignoranza? A che sapere, a che amare, se non dobbiamo diffondere sui paria e sui
fanciulli e su tutta l’umanità il sapere e l’amore?
Ricordo un giorno, una visita al Riformatorio S. Michele con alcune signore. Io stavo
accanto alla signora Sciamanna – e un bambino si produceva cantando la canzone “Lo
spazzacamino”. Egli aveva una melanconica passione nella monotonia del canto, tanto
profonda che nessun artista potrebbe riprodurre. L’invocazione alla mamma che aspetta
nel casolare lo spazzacamino che ha “freddo e fame ed è piccino” e gira solo nel mondo,
strappò alla Sciamanna e a me vere lacrime che invano tentammo d’inibire. Avemmo
certo entrambe nell’anima uno slancio per quella specie di genio della passione pietosa.
La Sciamanna gli chiese: “Vuoi dunque molto bene alla tua mamma?” – Mamma? non so,
io non l’ho mai avuta”. Mamma? non so, io non l’ho mai avuta”. Egli sentiva la storia
pietosa della spazzacamino – egli amava quel girovago immaginario: e pareva che
raccontasse la sua propria storia! Anime vergini appassionate, assetate e affamate
d’amore!
Passò il tempo in cui si chiamava amore solo quello di Francesco, e quello cantato dai
menestrelli alle donne ignare – mentre i castighi cruenti e le persecuzioni e i roghi e le
catene erano riserbate ai paria dell’amore. Lo sentii io quel giorno, mentre aristocratiche
donne ascoltavano la canzone dello spazzacamino dalle labbra del minorenne corrigendo,
illuminato da raggi scialbi di sole che entravano a traverso le inferriate della dura finestra.
Quelle signore volevano, ma non potevano soffocare il pianto e l’espansione del cuore
per quel fanciullo, e pei suoi compagni di sventura: quasi all’alba di un’epoca nuova di
amore umano, quelle dame sentivano fondersi le due umanità: quella ricca di affetti e
quella che ne è proletaria e assetata – e il loro cuore si discioglieva nel desiderio di unirsi
in un’anima più grande che tutti gli uomini affratella. Così come le loro ave profumate e
risplendenti di bellezza, avranno sentito fondersi il cuore nel desiderio dell’amore
sessuale spiritualizzato dal canto pietosi e gentile di un avido menestrello. Sì – e con
questo connubio nuovo di cuori – con questo spezzeremo noi le inferriate e le catene, e i
barbari castighi … Perché solo l’amore redime … redime essi … e noi!
62
Or dunque esistono tra quei minorenni degli assetati di amore e dei malati.
(Continua).
Maria Montessori
63
M. Montessori, Lottiamo contro la criminalità. (È necessario salvare l’uomo a traverso
il fanciullo), in “La Vita”, 2 (8.09.1906), n. 249, p. 3.
Mentre in questi giorni due nuovi delitti di epilettici costernavano gli animi scotendo la
pubblica opinione, e i giornali riportavano in proposito le interessanti interviste del
Mingazzini e del De Sanctis, perché nessuno parlò (fuor che il giornale La Vita) di un
avvenimento che tanto intimamente si collegava con quei crimini e con le opinioni
emesse dai luminari del nostro Ateneo? Il pubblico sente che è giunta l’ora di agire contro
la criminalità, la quale c’incombe e ci perturba come fatalità di pericolo e come stigma
d’inferiorità sociale: e che compito tanto gigantesco non potrà farsi gravare che su
eventuali opere di beneficenza e non potrà ridursi alle recriminazioni sui nostri
regolamenti manicomiali…
Noi vogliamo un radicale e reale mutamento, una riforma che abbracci come obbligo di
Stato, l’Italia tutta e per la quale, i milioni dei contribuenti possano versarsi rendere
intangibile la nostra vita, minacciata dal cieco, imprevisto scoppio del delitto.
Qui da noi, diceva il Mingazzini, non esistono epilettici in maggior numero che altrove,
come dimostrano le statistiche del Roncorani; ma ci mancano luoghi di cura e di
educazione per epilettici, istituzioni che esistono in altri paesi e delle quali prende oggi
l’iniziativa prima in Italia la signora Rita Sciamanna.
Invece il prof. De Sanctis trovava fuor delle nostre leggi, non pratico e illiberale ricorrere,
come luoghi d’isolamento, agli istituti per epilettici, poiché sarebbe una vera lesione alla
libertà individuale internare per sempre un individuo sol perché epilettico e quindi
sospetto di poter diventare un giorno o l’altro pericoloso. Secondo il parere del de
Sanctis, occorrerebbe maggiore rigore nel rilasciare i malati dei manicomi, specialmente
quelli che mostrarono tendenze criminose, e che bisognerebbe tenere sotto la sorveglianza
di un oculato medico specialista: quindi occorrerebbe nella pratica una energica riforma
nei regolamenti manicomiali e una più rigorosa osservanza di essi.
Le due opinioni degli eminenti neuropatologi sono vaghi e incompleti accenni a due
diversi modi di intervento: la profilassi sociale contro la criminalità (prevenire con
l’educazione) e la sua cura (reprimere con l’internamento ospitaliero postumo): e
assumono importanza perché vengono da persone di fama riconosciuta.
Ma chi è credente nella scienza positiva, non può ammettere che si dia una sentenza di
sicura e luminosa praticità in questione sociale e scientifica tanto grave, se non sopra una
solida base sperimentale.
Sappiamo noi con precisione come si formi la personalità del criminale? Quali fattori
biologici e sociali concorrano nello sviluppo di tanti e così svariati tipi, che – lo
affermava anche il Mingazzini – debbono essere studiati e giudicati ad uno ad uno? – Noi
abbiamo studi sul criminale adulto: possiamo trarre una fotografia del momento biosociale in cui la personalità criminale già matura si manifesta: e basta.
Ben poco, invero. Sappiamo che la vera fonte di luce sulle cause dei morbi e sulla
diagnosi sia nell’anamnesi, cioè nella storia individuale, che rimonta alla famiglia e
indaga tutta la vita endouterina, infantile, sociale del soggetto. In quali latebre misteriose
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si sono smarriti i dati anamnestici degli adulti, la cui madre, anche se vivesse, avrebbe
dimenticato quei particolari sulle prime età del figlio, che sono pure di fondamentalissima
importanza?
Noi non possiamo raccogliere un’anamnesi con rigore scientifico, altro che nei bambini.
E qui nel caso dei criminali, assumerebbero alta importanza i particolari su le malattie
convulsive delle prime età, le enuresi notturne, gli atti impulsivi, le reazioni psichiche
anormali del fanciullo durante il suo sviluppo. Ogni particolare su la salute fisica, la storia
scolastica, sarebbero non solo preziosi, ma imprescindibilmente necessari a costituire una
scienza preventiva. Senza di che rimane una gran confusione d’idee circa i fattori
patologici e sociali della criminalità. Noi non faremo un passo di più, rimarremo a vagare
inutilmente smarrendoci in un labirinto, se non muteremo le basi dell’indagine. Bisogna
studiare lo sviluppo individuale dei criminali: non i criminali. E poi che si sappia, il
rimedio verrà facilmente suggerito dalla conoscenza. Per la malattia, scaturirà il rimedio
che, sia pure limitato a un’adeguata igiene (come nel caso della epilessia, dell’isteroepilessia, e di tutte le forme patologiche aggravanti l’organismo dei degenerati)
migliorerà l’organismo, se questa igiene lo colga GIOVANE e lo accompagni nello
svolgersi della crescenza, dello sviluppo pubere e dell’adolescenza fino a maturità. Per le
influenze sociali, la conoscenza diretta delle cause tutte che influiscono sulla formazione
psichica di questi anormali, indicherà quale ambiente debba prepararsi affinché simili
fattori siano allontanati e sostituiti con tutto quanto la scienza dimostrerà più adatto a
correggere, a dirigere singolarmente lo sviluppo psichico dei soggetti. Infine dovrà
opporsi a una conoscenza scientifica, positiva della personalità psico-fisica dei criminali,
una pedagogia riparatrice, che possa disporre di larghi mezzi, tra i quali non ultimi quelli
offerti dall’igiene e dalla medicina.
Questo è il secolo dei fanciulli, vidi affermare anche dalla signora Key in un libro or ora
uscito alle stampe; «alla pedagogia – i miracoli umani del XX secolo!» ho stampato io
quando ero studente di filosofia nell’Ateneo Romano.
Invero questa è la via che tendono a prendere oggi tutte le scienze riguardanti l’uomo: IL
FANCIULLO, cioè le sue origini. Divenne scienza luminosa comparata allorché ricorse
all’embriologia: e allorché si rivolse ad osservare gli organismi più semplici, originali, dai
quali provengono tutti gli altri – poiché nei primi sta la spiegazione e la dilucidazione
biologica dei secondi. Finché non avremo una Clinica Pedagogica, non avremo scienza
sociale e scienza criminale.
Basti pensare al grande caos dell’epilessia; in tale campo sterminato entra il genio
militare di Napoleone, come quello romantico di Dostojevski – come il malefico genio (?)
di Olivo, di Marchioni, di Spinetti, di Alegiani. Ma stanno pure sotto il giogo di tale
morbo alcuni … come chiamarli? geni fisici, cioè persone molto sviluppate fisicamente,
più alte del normale – robuste, intelligenti e di ottimo carattere, le quali cessano dagli
eccessi epilettici verso l’età di 18 anni, epoca in cui Godin dimostra che finisce la
crescenza ossea della colonna vertebrale, cioè lo scheletro nervoso si mette in istabile
equilibrio con quello muscolare e cessati gli eccessi, queste persone tornano
normalissime, capaci anche di procreare persone di ottima costituzione. Ci sono esempi
familiari di simili casi. Come pure esistono persone epilettiche affatto innocue, deboli di
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mente, vittime pazienti della propria sventura e dell’ingiusta persecuzione altrui. Persone
… (alle infelicissime, che pesano su noi …. e come stigme d’inciviltà e di miseria! e per
queste, io credo, sorgerà qui l’opera santa di Rita Sciamenna.
Mentre molti criminali non sono affatto epilettici. Talvolta ci furono uno o due accessi
isolati nella prima infanzia, dai quali in poi mutò completamente il carattere del fanciullo,
che divenne a periodi balbuziente e acquistò tendenze criminali (le quali possono cessare
nell’età adulta col riapparire degli accessi epilettici: veri esempi di equivalenze). Molto
spesso, invece, permangono lungamente le forme larvate di epilessia: l’enuresi notturna
nell’infanzia, le absence, le scariche impulsive. Sintomi che nei fanciulli sono per lo più
curati con dei sapienti scappellotti materni e paterni, e con crudeli sgridate e rapporti
reciproci tra maestri e parenti, con relativo accumulo di castighi esemplari – dai quali i
ragazzi buoni e sani dovrebbero, nell’occasione data dalla promiscuità, imparare a scuola
a rimaner buoni e sani. E’ questa l’odissea dei poveri fanciulli anormali che si torturano
nelle nostre scuole coi mezzi illogici di una pedagogia, digiuna assolutamente di scienza!
Poi, a un certo punto, vien fuori un criminale… adulto. Donde venne? come e perché si
formò? Le fila di tali interessanti storie sono purtroppo spezzate! Il mostro che apparisce
agli occhi nostri esterrefatti è tale una somma di caratteri e una stratificazione di cause – e
una rete combinata di reazioni, che resta presso a poco un enigma. Certo resta un perduto,
verso il quale la società può fare quello che usa coi cani idrofobi: o sopprimerlo o
isolarlo; poiché lasciandolo libero sarebbe pericoloso…
Tuttavia è proprio quest’ultimo, l’incredibile mezzo a cui ci atteniamo, con le nostre
vigenti leggi! In ogni modo – il criminale adulto è un incurabile; e la cura sociale della
criminalità non lo riguarda più.
Bisogna risalire al fanciullo e fondare scuole. E’ antico l’aforisma: ad ogni scuola che
s’apre si chiude un carcere. Veramente a questo proposito non ci fu poca disillusione!
Invero non è l’analfabetismo che renda criminali. Se nei paesi ove prevale
l’analfabetismo c’è talvolta prevalenza di reati di sangue, è che le due cose sono in
rapporto con un grado inferiore di civiltà che vuole le associazioni private di giustizia,
come mafia e camorra. Non è che l’istruzione in se stessa illumini l’uomo a non
commetter delitti. A delinquere vi è portato o da istinti collegati alla sua organizzazione;
ovvero dall’ambiente sociale – in quest’ultimo caso è colpevole PER NOI … NON PER
LORO!
Mugolino a casa sua era un simpatico eroe, per noi un orribile brigante. Invero siamo
crudeli e barbari noi a punire la delinquenza di paesi d’Italia verso i quali non sappiamo
mandare quella luce di civiltà e quei mezzi di civilizzazione che toglierebbero la necessità
ambiente del crimine. E a mala pena fondiamo laggiù scolette malsane con maestri certo
non scelti e soprattutto non protetti, né compensati dell’enorme compito che loro
imponiamo, di civilizzare…
Ma in un senso e in un solo senso è assolutamente vero che una scuola aperta chiuda una
prigione: quando si tratti di una scuola riparatrice di deficienti, di epilettici, di minorenni
delinquenti… tutte persone che appunto finiscono per essere mandate via dalle scuole
comuni dove disturbano senza imparare e senza adattarsi alla comune disciplina; e
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restano abbandonate senza scuola, senza educazione… avendo in sé quelle tendenze che
le renderanno pericolose, parassite, aggressive.
E quanti anni siamo andati avanti noi ripetendo il noto aforisma mentre si scacciavano di
scuola, nell’abbandono, i ripetenti e gl’indisciplinati… e la criminalità, specialmente
infantile, era in una spaventosa crescenza!
Disse ad un certo punto Lino Ferrigni: le carceri d’Italia rigurgitano di fanciulli, i
riformatori sono insufficienti: su tutti questi luoghi si può mettere il cartello: completo!
Tuttavia una scuola che abbia l’alta missione di lottare efficacemente contro la
criminalità, e di diminuire in definitiva lo stuolo dei parassiti, dei deboli, dei vinti, non
può esser messa sulle basi comuni, e coi deboli mezzi coi quali pretendiamo noi di
educare. Una scuola che volesse per forza, condurre un deficiente a compire gli esami di
proscioglimento, e un istero-epilettoide, a permanere sotto una certa disciplina tre o
quattro anni allo stesso scopo – sarebbe irrisoria. Insomma non si tratta di insegnare a
leggere e scrivere, magari con una salsa di storia antica e di geografia mondiale - : si
tratta di educare, di modificare la personalità anormale con tutti quei mezzi che la
medicina, l’igiene e la pedagogia scientifica ci offrono oggi nella trionfante completezza
del metodo. Ora io non credo che l’iniziativa privata, l’opera isolata di beneficenza possa
concretare la complessità dei mezzi a ciò necessari.
Non solo pei capitali occorrenti alla materialità della cosa – ma per la difficoltà di trovare
un personale eccellente, scelto, superiore a quello delle comuni scuole – cui affidare la
responsabilità di un’educazione e di una disciplina invero non facili a realizzarsi. Perché
le persone scelte cercheranno di collocarsi in iscuole governative dove saranno
indubbiamente pagate meglio, dove godranno maggior libertà e più diritto, ove avranno
meno lavoro e responsabilità. E poi il tentativo privato si limita a provvedere a pochi
individui, costituendo un privilegio, non utile, in definitiva, alla collettività, e può
sfuggire al progresso che eventualmente si potrebbe, nell’ambiente sociale, raggiungere, e
alle garanzie di successo che divengono assolute solo colà dove entra l’organizzazione di
Stato. Sia un luminoso esempio di ciò (per quanto oscuro e bruno nelle tristi sue tinte!…)
l’istituzione degli asili d’infanzia in Roma… dove dei capi incompetenti mantengano uno
stato di cose disastroso.
E’ desiderabile, dunque, che da parte del governo come obbligo di necessità civile,
un’istituzione che provveda a tutti i minorenni criminali, indisciplinati, incorreggibili, da
quelli che la stessa famiglia è costretta d’allontanare, a quelli che commettono vere e
proprie colpe criminose. In tale schiera innumerevole di tipi, entreranno senza dubbio
tutti gli epilettoidi soggetti a reazioni impulsive, a vagabondaggio, o dediti a meretrici; e
tutte le vittime della miseria economica con l’annesso quadro degli esempi immorali,
dell’abbandono nel vizio, dell’assenza assoluta d’amore nel suo significato umano. La
zavorra infantile, infine, il triste retaggio di povertà fisiologica, donde scaturiranno tra
malattie d’ogni specie, dalla epilessia alla tubercolosi, anche le mostruose manifestazioni
della criminalità, dovrebbe essere raccolto, curato e sorvegliato.
Ebbene, queste sono le contraddizioni nostre più strane. Una tale istituzione, il cui alto
significato di lotta efficace contro la criminalità dovrebbe imporsi ed entusiasmare il
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nostro orgoglio italiano, esiste. Noi possediamo in ciò un progresso che ci pone innanzi
all’Europa in prima linea Ma intorno a ciò tutto tace: così la parola alata dei dotti, come le
colonne dei giornali quotidiani. E pure qualche cosa di molto grande è nato – e su tali basi
che senza dubbio crescerà rigogliosamente.
La riforma Doria sui Riformatori governativi ha costituito un passo molto ardito e
geniale. Chi osò di assumerne la spinosa responsabilità, mostrò una sicurezza d’idee ed
un coraggio veramente eccezionali.
A molti sembrò nel primo momento disastroso il tentativo, come se si fossero aperte delle
gabbie di bestie feroci: si temè l’indisciplina, la ribellione, la rovina.
Ma al contrario l’esperienza di quasi due anni mostrò eccellente questa riforma che
s’impose come una vera rivoluzione di scienza e d’amore. E pochi giorni fa un
avvenimento solenne di significato onorò tutti noi italiani: per la prima volta, i fanciulli di
un Riformatorio si videro intervenire alla palestra che porta il nome fatidico di “Roma”,
per un pubblico saggio ginnastico e musicale: essi, che erano stati i reclusi, gli oppressi,
mostrarono alla società una nuova forma di scuola, sorta tra le altre e con le altre
affratellata e che prese il suo battesimo solenne di esistenza viva. Erano centosessantatrè
fanciulli, e tutti i Riformatori d’Italia mandarono adesioni vibranti di commozione e di
entusiasmo per la festa che sanciva un’opera di redenzione umana. Poiché non era quello
il saggio ginnastico del Riformatorio di S. Michele in Roma; era il saggio di un campione
del tutto – era il simbolo di un’opera che abbraccia l’Italia intiera.
Queste scuole scaturiscono dal Ministero dell’interno, come prima trasformazione della
giustizia in misericordia. Esse rappresentano la forma tangibile e attuata di un’evoluzione
delle istituzioni penali, che doveva seguire necessariamente a quel progresso scientifico
idealmente proclamato dal Lombroso. Noi siamo nel punto che De Vries chiamerebbe
delle variazioni sociali – dove le forme nuove che furon latenti pullulano, sostituendo le
antiche. Mentre da un lato le guardie si ribellano, e nessuno più vuol fare il carceriere,
come nessuno vorrebbe fare il carnefice – dall’altro sorgono istituzioni dove addirittura
sono radiati i carcerieri, e sostituiti con maestri di primissimo ordine e con educatori
entusiasti come missionari di un nuovo vangelo.
Infatti le scuole or ora fondate dal Ministero dell’interno per la riforma Doria –
renderanno sempre più esigue le carceri, che andranno intisichendo, e chiudendosi una
dopo l’altra come luoghi falliti, e socialmente sorpassati, che non hanno più clientela…
Non passerà una generazione, e i Riformatori avranno trionfato delle carceri nemiche…
Essi si trovano in rapida via di evoluzione: ancora all’inizio, sono un germe: ma germe di
organismo superiore. Al primo tentativo di prova seguirà ora la completa attuazione: su
quelle basi liberali che ne sono il glorioso fondamento: cioè senza pastoie di imitazioni
dall’estero, senza restrizioni ai maestri; lasciando libero svolgimento alle attività creatrici
della nostra razza artistica e geniale; con la sola guida di tutto quanto nel mondo la
scienza indica come progresso. Fu lungamente parlato su La Vita, in una serie di articoli,
dei risultati morali e scientifici già ottenuti per la Riforma Doria.
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Nello stesso progetto governativo, che ora passerà all’approvazione definitiva (esempio
davvero ammirevole!…) è contemplata la necessità di migliorare le condizioni
economiche del personale dei Riformatori, nell’eccellenza del quale si basa tutta
l’attuazione pratica della riforma. Raro caso ed esemplare: la stessa autorità riconosce il
bilancio necessario tra il dare e l’avere, e dona, senza che l’interessato abbia bisogno di
organizzarsi per chiedere… Siamo in un ambiente veramente superiore. In ogni altro
campo, è un’aspra lotta di contratto, come in meschino mercato: qui è il gesto signorile di
chi vuole merce ottima, e paga. Sena dubbio il Ministero dell’interno accetterà questa
clausola economica, che è imprescindibile, e alla quale sta strettamente collegato il
trionfale successo dell’istituzione.
Quale centro di importanza scientifica potranno allora diventare i Riformatori in Italia, è
facile immaginarlo. I minorenni sono presi anche all’età di 6 anni e possono rimanervi
fino a ventuno anno: cioè permangono nei Riformatori (a differenza delle scuole
elementari) durante un periodo di tempo ove si può seguire e guidare l’intero sviluppo
individuale – e lasciare profonde modificazioni nel soggetto così con le cure igieniche
come col trattamento pedagogico. Infine i Riformatori collocano nella società i licenziati:
e la sorveglianza consecutiva di essi nella vita sociale (che sarà guidata da una chiara
conoscenza dei caratteri individuali) potrà avvenire senza ledere la libertà di nessuno:
poiché saranno gli antichi maestri, gl’istitutori, i medici, i benefattori infine e i
consiglieri, ad eseguirla; coloro che circondarono già di cure il minorenne e ne divennero
gli affettuosi confidenti.
Così dai Riformatori potranno scaturire insieme profilassi e cura delle criminalità. Infine,
allorché alla semplice idea delle storie biografiche dei fanciulli e dello studio assiduo di
essi fatto d’ora in ora dai censori si unirà a l’impianto di gabinetti scientifici di
antropologia pedagogica diretti da persone competenti e forniti d’istrumenti per lo studio
completo dell’individuo; e saranno possibili tutte le applicazioni della pedagogia
scientifica, avremo in Italia centri meravigliosi di studio, donde lo sviluppo della
personalità criminale uscirà scintillante di chiarezza. L’Europa verrà a imparare da noi la
pratica, come da noi, dal nostro maestro Lombroso, imparò i fondamenti della teoria.
L’Italia, che fu culla antica di civiltà, sarà chiamata la terra della redenzione; e nella
redenzione umana sta racchiusa tutta la civiltà del futuro!
Maria Montessori
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Breve nota bibliografica su Maria Montessori
Per avere un’idea complessiva e generale, degli studi sulla pedagogista, basti consultare:
Montessori. Bibliografia internazionale (International Bivliography): 1896 – 2000, a
cura di Clara Tornar (con cd-rom allegato), Roma, Edizioni Opera Nazionale Montessori,
2001. Si tratta di un’accurata rassegna critica, che comprende oltre un secolo di letteratura
Montessori, abbracciando un periodo che va dal primo scritto del 1896 ai nostri giorni.
Include 14 mila voci bibliografiche riferite a 55 diversi paesi distribuiti nei cinque
continenti, a documentare la straordinaria diffusione della pedagogia di Maria Montessori
nel mondo. Uno studio che consente di ricostruire l’evoluzione del dibattito internazionale
sull’attività e sul pensiero della pedagogista.
Molto importante anche il volume M. Montessori, Il metodo della Pedagogia Scientifica
applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, edizione critica a c. di Paola
Trabalzini, Roma; tra gli studi più recenti ricordiamo: G. Cives, Maria Montessori:
pedagogista complessa, Pisa, edizioni ETS, 2001; A. Matellicani, Maria Montessori
alla “Sapienza” di Roma tra didattica e ricerca: 1890/91 – 1917/18, tesi di laurea in
Pedagogia generale, a . a. 2000-2001, facoltà di Lettere e Filosofia, relatore: prof. Nicola
Siciliani de Cumis, correlatore: prof. Furio Pesci (la Matellicani ha svolto una preziosa e
accurata ricerca rendendo noti documenti inediti relativi ai corsi e agli esami che la
Montessori frequenta e sostiene alla Facoltà di Scienze fisiche matematiche e naturali
dell’Università di Roma, alla Facoltà di Medicina e chirurgia e per il Corso di
perfezionamento in polizia sanitaria) e M. Montessori, Il metodo della Pedagogia
Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, edizione critica a
c. di Paola Trabalzini, Roma, Edizioni Opera Nazionale Montessori, 2000; P. Trabalzini,
Maria Montessori: da Il Metodo a La scoperta del bambino, Roma, Aracne editrice,
2003.
Importanti approfondimenti, anche bio-bibliografici, si possono trarre dal sito dell’Opera
Nazionale Montessori (www.montessori.it) dove si trovano informazioni utili
sull’attività dell’Opera, sulla Montessori e il suo Metodo, sulle scuole Montessori in Italia
e nel mondo, sull’editoria: la rivista “Vita dell’infanzia” e le pubblicazioni sulla
pedagogista a cura dell’ONM.
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i bambini di makarenko e di montessori: due