Studi linguistici e di storia della lingua italiana Collana diretta da Maurizio Dardano 10 LA PUBBLICAZIONE È STATA FINANZIATA DAL DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE E DAL DIPARTIMENTO DI RICERCA LINGUISTICA, LETTERARIA E FILOLOGICA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA Testi Brevi Atti del Convegno internazionale di studi (Università “Roma Tre”, 8-10 giugno 2006) a cura di MAURIZIO DARDANO GIANLUCA FRENGUELLI ELISA DE ROBERTO Copyright © MMVIII ARACNE editrice s.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] 00173 Roma, via R. Garofalo, 133 a/b tel. (06) 72672233 telefax 72672222 ISBN 978-88-548-2363-1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2008 INDICE Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Parte I: Spazi teorici GIULIO FERRONI Vite brevi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GRAZIELLA PAGLIANO Definizioni e interpretazioni: novelle e racconti in età moderna e contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . IØRN KORZEN La narrazione breve. Considerazioni inter- ed intralinguistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DOMENICO FIORMONTE Pragmatica digitale. Paratesti, microtesti e <metatesti> nel web . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ELLEN RÖTTERINK La réception de la linguistique textuelle en France . . . . . . . . . . . . . . . . 21 31 49 65 85 Parte II: Dal Duecento all’Ottocento RAYMUND WILHELM Brevità e/o narratività. Gli exempla del “Vulgare de elymosinis” di Bonvesin da la Riva . . . . . MAURIZIO DARDANO Formule per ammaestrare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIANLUCA FRENGUELLI Morfologie del sonetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIANLUCA COLELLA Descriptio brevis. Considerazioni su “Le Miracole de Roma” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CATHERINE GUIMBARD Il dir novellando secondo Madonna Oretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 101 117 141 163 181 6 Indice CORRADO BOLOGNA Ghiribizzi, ghirigori, e altre forme del pensare e dello scriver breve. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ADRIANA PELO Gli aforismi di Salvator Rosa.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DIEGO POLI Traduzione, citazione e rimandi in Leopardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ORNELLA MORONI Storia di un testo breve manzoniano: le “Strofe per una prima Comunione” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ANNA MARIA BOCCAFURNI Le ricette culinarie: un “viaggio” linguistico attraverso la storia della cucina italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . PAOLO D’ACHILLE Riflessioni sull’epigrafia commemorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189 205 229 245 261 279 Parte III: Il Novecento e oltre SIMONA COSTA Lacerti di vita: Flaiano e lo spazio della scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . CLAUDIO GIOVANARDI – ILDE CONSALES La lingua degli aforismi di Gesualdo Bufalino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . SABINE SCHWARZE “Ciclostilato in proprio”: lingua e strategie comunicative di un corpus di volantini pisani del movimento politico-sociale degli anni 1960-70 . . . . . . . . . . . . . . . . PIETRO TRIFONE Pillole di identità. Battute celebri del cinema italiano . . . . . . . . . . . . . . MATTEO D’ARIENZO 77 brevi prose: Luzi critico cinematografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . JUAN CARLOS DE MIGUEL Las crónicas teatrales de Marcos Ordóñez en el diario “el país” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ELISA DE ROBERTO Descrivere un libro in 25 parole: aspetti delle recensioni brevi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 323 341 357 367 381 401 Indice GUDRUN HELD L’esca in edicola la copertina di settimanali come testo breve. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ANTONELLA STEFINLONGO Scrivendo e gridando ti dico di no. I testi brevi del dissenso manifesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abstracts dei contributi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice dei nomi e delle cose notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 421 443 463 471 PRESENTAZIONE Dall’8 al 10 giugno 2006, presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università Roma Tre, si è svolto il Convegno internazionale Testi brevi organizzato da M. Dardano e da G. Frenguelli. Vi hanno partecipato 27 studiosi italiani e stranieri, provenienti dalle seguenti sedi universitarie: Roma Tre, Roma “La Sapienza”, Macerata, Siena Stranieri, Paris IV, Valencia, Salzburg, Heidelberg, Augsburg. Due partecipanti al Convegno non hanno consegnato le loro comunicazioni scritte. L’idea di una messa a punto riguardante l’ampio settore dei testi brevi è nata dall’intento di definire i confini piuttosto vaghi e incerti di una produzione che, nonostante la diffusione in tutte le epoche storiche, è rimasta per lo più ai margini della ricerca. Novelle e cronache di breve estensione, exempla morali, detti celebri e aforismi, libri di ricordi e memorie di famiglia, note di acquisti di vendite e di transazioni commerciali, slogan pubblicitari ed elettorali, titoli orali e scritti dei moderni media, racconti orali della quotidianità, aneddoti, battute, barzellette, la varia chiacchiera (utile e non utile) dei nostri giorni compongono un panorama molto ampio e vario, del quale i ricercatori hanno esplorato singoli settori, senza affrontare una problematica generale riguardante l’intero campo. Le comunicazioni presentate nel nostro convegno tentano di recare qualche chiarimento in varie direzioni. È sembrato opportuno suddividerle nel modo seguente. A una prima parte di carattere generale, che raccoglie contributi riguardanti proposte e percorsi teorici, ne seguono una seconda, comprendente un ampio arco storico che dai primi secoli giunge alla fine dell’Ottocento, e una terza, dedicata al Novecento e al tempo presente. Pertanto abbiamo scelto di non presentare gli interventi nell’ordine in cui erano stati esposti durante le giornate del convegno, ma di proporne una nuova articolazione, convinti che in tal modo si possano evidenziare alcuni aspetti che emergono dal controverso oggetto di studi rappresentato dai “testi brevi”. Nella prima parte, intitolata “Spazi teorici”, il lettore avrà modo di verificare come la definizione della “brevità”, concetto trasversale a diversi campi di studio, sia sentita con maggiore istanza quanto più la qualifica di 9 10 Presentazione “breve” si rivela costitutiva sia di generi letterari con media o bassa codificazione, sia di pratiche discorsive e di strategie linguistiche che orientano il nostro dire. Invece nella seconda parte, “Dal Duecento all’Ottocento” e nella terza, “Il Novecento e oltre”, si è privilegiato un ordine cronologico, particolarmente adeguato a mettere in luce l’abbondanza di realizzazioni nelle quali la brevitas si svolge nell’arco della storia, assumendo varie configurazioni e valori a seconda delle epoche, dei generi testuali, del medium, degli ambienti e delle personalità che l’hanno promossa. Si tratta di una prospettiva che ci permettiamo di suggerire al lettore. Ovviamente, altri percorsi interpretativi potranno essere agevolmente ricostruiti da chi legge: a tale scopo potrà tornare utile l’indice analitico che conclude il volume. Ma ora passiamo in rassegna i singoli saggi. La prima parte si apre con l’intervento di Giulio Ferroni, Vite brevi, dove è delineata «una tipologia delle misure del modello biografico», relativa a quella lunghissima e assai variegata tradizione che dagli esemplari antichi e medievali giunge, attraversando l’esperienza umanistica e rinascimentale, alle elaborazioni ottocentesche e primonovecentesche, per approdare infine sul terreno della parodia, nei ritratti dei “non illustri” e addirittura degli “idioti”, eseguiti con rapidi tratti da G. Pontiggia e da E. Cavazzoni. Dopo aver ricordato, sulla scorta di una bibliografia mirata, che sono rari (e non sempre efficaci) i tentativi di definire una tipologia dei testi brevi, Graziella Pagliano, Definizioni e interpretazioni: novelle e racconti in età moderna e contemporanea, si sofferma sui caratteri di una varia produzione che dall’Ottocento giunge ai giorni nostri (novelle rosa e di costume, racconti per periodici, gialli, polizieschi, fantascienza ecc.). All’analisi di tali testi sembrano adattarsi le proposte di metodo e i percorsi critici indicati da André Jolles. Le ri-narrazioni scritte e orali di due episodi di Mr. Bean in italiano e in danese, svolte da studenti delle università di Torino e di Copenaghen, sono studiate da Iørn Korzen, La narrazione breve. Considerazioni inter- ed intralinguistiche, con il fine di comparare la strutturazione di brevi testi narrativi nelle due lingue. In entrambi i casi i testi scritti sono sintatticamente più complessi di quelli orali; ma le versioni italiane mostrano una maggiore propensione all’ipotassi e alla gerarchizzazione dei componenti sintattici. Domenico Fiormonte, Pragmatica digitale. Paratesti, microtesti e <metatesti> nel Web, analizza i meccanismi pragmatici di alcune forme testuali del web, mostrando come i linguaggi di marcatura possono dar forma sia agli aspetti esterni dei documenti digitali sia alle modalità di accesso ai contenuti. Dopo aver esposto lo stato dei lavori in questo Presentazione 11 campo, si forniscono esempi di paratesti, microtesti e metatesti generati mediante codifica HTML e XML. La réception de la linguistique textuelle en France è il tema affrontato da Ellen Rötterink. I problemi della testualità sono solitamente trattati nel contesto dell’analisi discorsiva: pertanto si richiede un’indagine preliminare svolta sui due fronti, che appaiono per vari aspetti complementari. La descrizione dei generi è svolta sulla base di un corpus di testi orali. Infine si propone un modello a tre livelli: i) macro- (tipo d’interazione, contesto, finalità), ii) meso- (sequenze discorsive, contenuto), iii) micro- (materialità linguistica e semiotica). La seconda parte del volume si apre con il contributo di Raymund Wilhelm, Brevità e/o narratività. Gli “exempla” del “Vulgare de elymosinis” di Bonvesin da la Riva. Di questo poemetto dottrinale sono esaminati 17 esempi con il fine di illustrarne la tensione compositiva e stilistica, sottesa tra narratività e brevità. Di quest’ultima si delinea una specifica forma testuale, la quale potenzia l’effetto che la fruizione del testo suscita nei destinatari. In tal modo le immagini «acquisiscono un valore autonomo e indipendente dal contesto argomentativo». Se si vuole dare efficacia al messaggio, si deve ridurre la componente narrativa, attuando una sorta di “ritrosia del narrare” («Widerspenstigkeit des Erzählens»). Il contributo Formule per ammaestrare di Maurizio Dardano esamina passi tratti da una scelta di testi brevi in prosa dei secoli XIV e XV (bestiari, lapidari, erbari, ricettari, raccolte di exempla, capitoli di trattati e di enciclopedie ecc.) al fine di individuare i modi usati per introdurre i singoli temi, per collegarli tra loro, per citare auctoritates, per gerarchizzare i contenuti presenti in una stessa opera. Questa mise en page è un’operazione indispensabile per venire incontro alle esigenze dei lettori che esigono chiarezza, consultabilità, sistemi di rimandi interni e di citazioni. L’analisi riguarda aspetti sintattici, testuali e pragmatici, nonché l’interrelazione fra questi tre livelli. Investigando i rapporti intercorrenti tra sintassi e assetto metrico di circa 120 composizioni, che vanno dalle Origini allo Stilnovo, Gianluca Frenguelli, Morfologie del sonetto, fornisce indicazioni sulla struttura assunta nel periodo prestilnovistico dalla più frequentata delle nostre forme metriche. In particolare ci si sofferma sulla polarità “aderenza / tensione”: le proposizioni e i periodi coincidono o non coincidono con il verso e, rispettivamente, con le unità ritmiche (quartine, terzine, piedi, sirma, ecc.). Si approfondisce il confronto tra il sonetto antico (struttura metrico-sintattica tripartita: 8 + 3 + 3 versi) e il sonetto trecentesco (struttura quadripartita: 4 + 4 + 3 + 3). 12 Presentazione Gianluca Colella, “Descriptio brevis”.Considerazioni su “Le Miracole de Roma”, affronta problemi di carattere linguistico, filologico e testuale, riguardanti il noto volgarizzamento (risalente al XIII sec.) in romanesco antico dei Mirabilia Urbis Romae. Si analizzano in particolare tre aspetti: i) la relazione tra il volgarizzamento e la fonte latina; ii) il rapporto tra il macrotesto dell’operetta e i 63 capitoli in cui essa si suddivide; iii) il carattere di alcuni stilemi particolarmente significativi (anafore, deissi, connettori, sviluppi nominali e paratattici, formule di collegamento, riprese, elenchi) con i quali sono organizzate e svolte le sequenze descrittive . Nel contributo Il dir novellando secondo madonna Oretta, Catherine Guimbard propone un’interpretazione della celebre novella con cui si apre la sesta giornata del Decameron, «non tanto come racconto di una prova d’ingegno, quanto come metaforizzazione di una lezione di comportamento». Infatti nel breve percorso espositivo si manifesta una «narrativizzazione della metafora» del cavalcare/novellare. Ne risulta che la sesta giornata «crea una superposizione cornice/attività narrativa, destinata a sottolineare l’importanza non solo di ricreare un’etica del comportamento, ma anche di fissare un codice retorico che regoli i rapporti sociali». Mediante un’analisi di lungo corso che dal Petrarca, attraversando autori e scritture diverse, perviene ai giorni nostri, Corrado Bologna, Ghiribizzi, ghirigori e altre forme del pensare e dello scrivere breve, fornisce un panorama movimentato di questa tendenza scritturale e delle motivazioni che ad essa sono sottese. Si tratta di un modo di vedere la realtà e di una tecnica che, soprattutto a partire dal Cinquecento, animano le pagine di alcuni dei nostri maggiori autori: dagli eccetera di Leonardo, ai ghiribizzi di Machiavelli e Guicciardini, ai ghirigori, schizzi, abbozzi, scarabocchi di tanti altri scrittori illustri. All’interno della tipologia dei testi brevi gli aforismi occupano una posizione particolare. Lo dimostra il contributo di Adriana Pelo, Gli aforismi di Salvator Rosa, nel quale, dopo una premessa dedicata ai tratti fondanti del genere (“concisione”, “forma prosastica”, “decontestualizzazione”), ci si sofferma sui caratteri del paratesto e sulle strutture testuali e sintattiche della raccolta Teatro della politica. Sono analizzati in particolare gli strumenti usati dall’autore per ottenere quella «sostenutezza formale», che rappresenta una costante del genere: prevalenza di periodi monoproposizionali, formule brachilogiche, focalizzazione di alcuni costituenti, giochi di parole. Indagando l’apparato intertestuale come forma breve, Diego Poli, Traduzione, citazione e rimandi in Leopardi, dimostra che per il poeta Presentazione 13 il tradurre non è un volgarizzare, come voleva la prassi cinquecentesca di adeguamento all’estetica umanistico-rinascimentale, ma piuttosto un modo per accedere alla lingua, una fase di avanzamento e di conquista di uno stile personale. Il prcesso della traduzione si configura essenzialmente come un disvelamento dell’inquietante e del perturbante insiti nell’“antica semplicità”. Leopardi usa e riusa i materiali propri e degli altri, estraendoli da libri, di Antichi e di Moderni e da riviste di cultura e di scienza. I materiali sono rivissuti a un livello testuale superiore, dove s’incrociano molteplici citazioni e rimandi interni. La Storia di un testo breve manzoniano: le “Strofe per una prima Comunione” di Ornella Moroni fa rivivere le complesse vicende di scrittura e riscrittura di versi composti, su richiesta di don Giulio Ratti parroco di S. Maria della Scala in S. Fedele e amico dello scrittore, per essere cantati da un coro di bambini della parrocchia, in procinto di ricevere il sacramento. I componimenti, infatti, stampati in diverse versioni a partire dal 1832, vennero più volte ritoccati dal Manzoni, fino al 1848, anno della versione definitiva, che costituisce l’ultima volontà dell’autore. I contributi appena visti si soffermano su due protagonisti dell’identità letteraria italiana. Su un’identità minore, ma certo significativa, richiama l’attenzione il saggio di Annamaria Boccafurni, Le ricette culinarie: un “viaggio” linguistico attraverso la storia della cucina italiana, che mostra come questi brevi testi, nonostante il loro carattere stereotipico e ripetitivo, rivelino in vari modi e circostanze aspetti della fisionomia e della cultura di un popolo. Pertanto le ricette interessano non soltanto lo storico della lingua, che in esse ritrova vocaboli, espressioni, usi linguistici interessanti e spesso (si pensi al ricettario dell’Artusi) una spinta all’italianizzazione, ma anche il semiologo, dal momento che il cibo, nelle fasi della preparazione, dell’esibizione e del consumo, rappresenta un importante sistema di segni e di scambio culturale. Nelle sue Riflessioni sull’epigrafia commemorativa, Paolo D’Achille prende le mosse da un genere tipico del nostro Risorgimento e fondato sul significato ideologico e sull’impegno civile, esaminandone i fenomeni sintattici, stilistici e testuali. Il corpus, riguardante un arco cronologico che dall’Unità d’Italia arriva ai giorni nostri, comprende epigrafi presenti nelle città di Milano, Roma e L’Aquila. Particolare attenzione è prestata a vari tratti di queste scritture mirate alla brevità, all’essenzialità, all’esaltazione di persone e di eventi: ci si sofferma sulla deissi spaziale, sulla scelta dei tempi verbali e su alcune affinità riscontrabili con i testi letterari, in special modo poetici. 14 Presentazione La parte terza del volume si apre con un intervento di Simona Costa, Lacerti di vita: Flaiano e lo spazio della scrittura, dove le fonti degli aforismi dello scrittore sono rintracciate nelle conversazioni e nelle battute di spirito scambiate con amici e colleghi del settimanale “Il Mondo” o nel corso delle serate trascorse tra i caffè di Via Veneto e di Piazza del Popolo. Lettore attento di classici e di moderni, Flaiano, che si presenta come uno scrittore satirico sconfinante spesso nel tragico, tratta per lo più temi quali: i viaggi, la noia, il vagabondaggio, l’errore (come unico strumento vitale), la casualità intesa in un’accezione quasi pirandelliana. Claudio Giovanardi e Ilde Consales, La lingua degli aforismi di Gesualdo Bufalino, dopo aver passato in rassegna i più importanti studi compiuti sulla lingua e lo stile dello scrittore, ne descrivono e analizzano gli aforismi, «caratterizzati da eterogeneità testuale e formale», presenti in due raccolte Il malpensante e Bluff di parole. Fenomeni salienti sono «le asserzioni apodittiche e lapidarie, spesso con aprosdóketon finale», le interrogazioni e le esortazioni, gli spezzoni dialogici, i giochi di parole, le citazioni. Nel complesso risalta «l’atteggiamento di un osservatore distaccato, che preferisce un disincantato sorriso all’asprezza e all’indignazione». Proseguendo nell’osservazione delle forme brevi del Novecento si va oltre i testi letterari. Un prototipo del genere “testi brevi” è rappresentato dal volantino: lo dimostra l’analisi compiuta da Sabine Schwarze, Lingua e strategie comunicative di un corpus di volantini pisani del movimento politico-sociale degli anni 1960-70. Di questo strumento di controinformazione, nato e sviluppatosi agli albori dell’era tecnologica (indicativo l’uso del ciclostile), si sottolinea l’eterogeneità sia formale sia linguistica, i caratteri della stereotipizzazione e gergalizzazione del linguaggio. Inoltre si evidenzia il fatto che il “volantino” e l’“opuscolo” seguono sviluppi funzionali e tematici piuttosto divergenti. Prendendo lo spunto da ricerche compiute in tale ambito da studiosi italiani e stranieri, si definisce una tipologia del testo politico, basata su criteri linguistici e testuali. Nel contributo Pillole di identità. Battute celebri del cinema italiano Pietro Trifone, sulla scorta di un’ampia documentazione (dalle celebri battute di A. Sordi ai funambolismi verbali di Totò, dal “post-sessantottismo” di N. Moretti alle freddure in italiano e in dialetto di tanti comici), dimostra come molti dei nostri film abbiano dato un significativo contributo alla memoria collettiva e alla lingua comune degli italiani. Inoltre, «il linguaggio filmico dispone di una serie di specifici strumenti e procedimenti semiotici, che collaborano con le strategie Presentazione 15 propriamente testuali al fine di conseguire il tipo di suggestione ricercato». Ciò indubbiamente accresce la capacità di raggiungere le masse, dimostrata da questo medium popolare e di lunga tradizione. Ancora al cinema o, meglio, alla critica cinematografica d’autore, si rivolge Matteo D’Arienzo, 77 brevi prose: Luzi critico cinematografico. Inserite in una tipologia testuale, queste recensioni rivelano i caratteri linguistici, stilistici e testuali che sono a monte della loro efficace breviloquenza. Anche se rappresentano un segmento marginale dell’opera di Luzi, queste rapide note permettono di osservare, da un punto di vista piuttosto particolare, la lingua dell’autore. In un utile confronto con il contributo di M. D’Arienzo, si può leggere il saggio di Juan Carlos de Miguel, Las crónicas teatrales de Marcos Ordóñez en el diario “El país”, una ricerca riguardante la scrittura breve di uno dei più noti critici teatrali della Spagna dei nostri giorni. In possesso di uno stile molto particolare, Ordóñez riesce a comunicare – per così dire – il massimo con il minimo, ricavando dalla lingua i più vari registri e mescolandoli tra loro secondo il gusto di un’alchimia postmoderna. Su una base di lingua colta si distendono coniazioni espressive, giochi linguistici, colloquialismi e modi popolari: tutti questi elementi accrescono la comunicatività di un messaggio sempre percorso da un’evidente vena ironica. Per dar notizia delle novità librarie, la stampa di oggi preferisce l’intervento breve, icastico, che racchiude il succo dell’opera nel giro di poche frasi, o addirittura di un’unica frase (spesso brillante e spiritosa). Elisa De Roberto, Descrivere un libro in 25 parole: aspetti delle recensioni brevi, approfondisce i caratteri di questa tecnica, che si vale del coinvolgimento di vari livelli dell’analisi linguistica: frasi semplici tra loro coordinate, frasi nominali, frequente uso del discorso riportato (si tratta per lo più di citazioni tratte dal testo recensito). La testualità ellittica e i toni allusivi richiedono la continua cooperazione del lettore. Il saggio di Gudrun Held, L’esca in edicola: la copertina di settimanali come testo breve fornisce un’altra prova del fatto che, nel nostro tempo, sono soltanto i testi brevi ad avere una ragionevole possibilità di richiamare l’attenzione di un pubblico, continuamente frastornato da un’informazione onnipresente e invasiva. I caratteri della brevitas, fattore determinante di una cultura essenzialmente “promozionale”, sono indagati nelle multicolori covers di alcuni settimanali di diffusione nazionale, mediante strumenti semiotico-linguistici che tengono conto, al tempo stesso, della cornice sociologica e psicologica in cui titoli e sottotitoli “gridati” sono messi in mostra. 16 Presentazione Scrivendo e gridando ti dico di no. I testi brevi del dissenso manifesto di Antonella Stefinlongo esamina una serie di scritture esposte e di comunicazioni orali di vario tipo; le une e le altre indicano il dissenso politico espresso nei riguardi delle istituzioni da varie parti e gruppi nel corso degli ultimi anni in Italia. L’analisi focalizza vari tratti significativi della lingua e dello stile: «la struttura sintattica deve seguire, possibilmente un andamento lineare, paratattico, tale da consentire una decodificazione immediata degli elementi linguistici e una loro altrettanto rapida memorizzazione e oralizzazione corale». Inoltre, sono evidenziate quelle «tecniche retoriche che consentono di sfruttare al meglio le capacità fonosimboliche, ritmiche ed emozionali della lingua». Come appare da questa rapida esposizione, i temi trattati nel Convegno appartengono a vari ambiti. Il presente volume si aggiunge, ci sembra dignitosamente, alla bibliografia riguardante le forme brevi (soprattutto dello scritto, ma anche del parlato). Infine ci sia concesso di esprimere un altro motivo di soddisfazione. Nel presentare gli atti di un convegno ci si augura che l’iniziativa abbia un seguito, che qualcuno sappia riprendere il filo (i fili) del discorso. Orbene: questa volta abbiamo avuto fortuna! Mentre queste pagine stanno per andare in stampa, le due colleghe e amiche Gudrun Held e Sabine Schwarze c’informano che, nel giugno del 2009, ad Augsburg, ci sarà un “Testi brevi 2. Teoria e pratica della testualità nell’era multimediale”. Un plauso alle due brave e solerti organizzatrici. Il finanziamento del Convegno è stato voluto dal Dipartimento di Italianistica dell’Università degli studi Roma Tre e dai due direttori che in questi ultimi anni si sono susseguiti alla guida della struttura: il prof. Paolo D’Achille e la prof. Ornella Moroni. La pubblicazione di questi Atti si è giovata anche di un contributo del Dipartimento di Ricerca linguistica, letteraria e filologica dell’Università degli studi di Macerata. Siamo grati a coloro che hanno creduto in questa iniziativa e che l’hanno attivamente sostenuta. Un ringraziamento va anche ad alcuni cari amici, Adriana Pelo, Maurizio Fiorilla e Francesco Bianco, i quali, in vari modi, hanno giovato alla buona riuscita delle tre giornate romane. Roma, novembre 2008 I curatori Parte I: Spazi teorici Giulio Ferroni (Roma La Sapienza) VITE BREVI Come ha suggerito Michail Bachtin, è la percezione della “morte dell’altro” a rendere possibile l’individuazione del personaggio, la percezione di una “vita” individuale chiusa in se stessa e come tale narrabile nella sua interezza o comunque nella sua specificità, nel suo valore di esperienza definitivamente fissata, «tel qu’en soi même enfin éternité le change», per citare il verso iniziale del Tombeau d’Edgar Poe di Mallarmé, particolarmente caro a Proust e poi a Giacomo Debenedetti. Alla narrazione della vita dei personaggi fittizi fa da contraltare (non siamo certo in grado di dire se la precede: ma certo la alimenta, la nutre con i suoi modelli) quella degli uomini illustri, di personaggi reali (o supposti tali), la cui immagine viene fissata e raccontata da dopo: riconosciuti e proposti a modello in quanto “divenuti”, definitivamente “cambiati” dall’eternità in un’identità finale. Quello dei De viris illustribus, da Cornelio Nipote a Suetonio a San Girolamo a Gennadio di Marsiglia a Isidoro di Siviglia a Petrarca (a cui si aggiungono le varie raccolte di Vite, da Plutarco a Vespasiano da Bisticci a Paolo Giovio a Vasari), costituisce un modello formale che si è sviluppato con una lunghissima tradizione, con raccolte variamente articolate di “vite” di dimensioni diverse, ma in cui acquista notevole rilievo la forma breve, fino ad un’estrema concisione, che può arrivare a pochissime righe, specialmente quando mancano quasi del tutto informazioni adeguate. La concisione sembra d’altra parte costituire il dato più arcaico, trovando la sua forma esemplare negli epigrammi (con gli eventuali brevi testi di commento) che accompagnavano le imagines di uomini famosi: è il caso della raccolta di 700 immagini di Varrone (portata a termine nel 39 a.C.), dove la narrazione della vita si poneva in forma necessariamente breve, insieme all’epigramma, come sostegno / spiegazione del ritratto del singolo personaggio. Questo rapporto della vita “breve” con il ritratto si riproporrà ancora in Petrarca, che intorno alle biografie del suo De viris illustribus lavorò in varie fasi della sua esistenza: in una prima fase (1338-1339) 21 22 Giulio Ferroni lavorò su personaggi della Roma antica (con alcune biografie assai brevi, ma anche con altre, e specialmente quella di Scipione, di particolare ampiezza); in una seconda fase (forse nel 1351) toccò personaggi biblici e del mito greco; e infine nei suoi ultimi anni arrivò a comporre un’epitome del più vasto De viris (Quorundam clarissimorum heroum epithoma), completata da Lombardo della Seta, destinata a illustrare la decorazione della sala del palazzo di Francesco da Carrara a Padova, e ne intraprese anche un’ulteriore riduzione, un compendium, anch’esso completato da Lombardo della Seta. E non va dimenticato, vero e proprio controcanto all’impresa di Petrarca, quella, rivolta all’universo femminile (non casualmente, da chi alle donne aveva destinato il Decameron), del De mulieribus claris del suo amico Boccaccio Nella molteplicità di biografie e ritratti accumulatisi nella tradizione (da non trascurare, ovviamente, l’ampio settore delle vite dei santi, o quello delle vite che accompagnano particolari generi letterari, come le Vidas dei trovatori, o i per noi più familiari necrologi, coccodrilli, obituaries, ecc.), si può riconoscere tutta una tipologia delle misure del modello biografico, dalla forma più ampia, articolata e distesa, a quella più breve e concisa, da autori che si impegnano in biografie singole, che dedicano l’attenzione ad un solo personaggio (si ricordi la Vita di Castruccio Castracani di Machiavelli), a costruzioni di ampie opere/ repertorio, spesso con ambizioni enciclopediche (in cui le singole biografie possono assumere anche misura breve o brevissima: vastissima è la gamma dei repertori eruditi, fino ai dizionari biografici, alle voci delle moderne enciclopedie, alle nuove forme di enciclopedie digitali, telematiche, ipertestuali). Al modello classico dei De viris illustribus e delle vite fissate in costruzioni enciclopediche o in repertori specializzati (vite di scrittori, di artisti, di ecclesiastici, ecc.) si affiancano forme irregolari ed atipiche, che dalla presentazione degli eventi storici, delle grandi imprese, dei fatti gloriosi o eccessivi, evadono verso aneddoti o particolari marginali: così i brevi profili del secentesco John Aubrey, venuti alla luce nel 1898 con il titolo Brief lives chiefly of Contemporaries, e subito ammirati da Marcel Schwob, già autore delle singolari e affascinanti Vies imaginaires (1896). E tra l’altro una Préface alla raccolta di Schwob fu saccheggiata da D’Annunzio nella premessa alla Vita di Cola di Rienzo (apparsa in tre puntate sulla nuova rivista «Il Rinascimento», 1905-1906: molto più ampia la premessa, indirizzata ad Annibale Tenneroni, nell’edizione in volume del 1912), che voleva essere il primo pezzo (ma fu il solo composto) di una raccolta di Vite di uomini illustri e di uomini oscuri: ed è di non Vite brevi 23 trascurabile interesse il fatto che D’Annunzio parli del proposito «di accostare agli uomini illustri taluni uomini oscuri ch’io conobbi da presso e guardai intentissimo, specie quelli che più squallida passione sostennero per aver mancato alle loro alte sorti o per aver peccato contro sé mortalmente. O forse farò una invenzione d’una figura per raccontare coperto alcuna delle mie vite segrete» 1. La Vita di Cola di Rienzo, vera e propria riscrittura della celebre Cronica dell’Anonimo romano, ha comunque una misura piuttosto ampia. Ma se teniamo conto del richiamo dannunziano agli uomini oscuri e ad un possibile intreccio tra dati storici e dati autobiografici (le mie vite segrete), e se consideriamo il possibile sovrapporsi di vite reali e vite immaginarie, destinato a produrre ogni sorta di deviazione (sia nella struttura che nelle dimensioni) dal modello biografico De viris illustribus, possiamo trovare anche nelle battute dello scrittore abruzzese qualche presupposto di alcuni esperimenti biografici del tardo Novecento che nei loro stessi titoli si pongono in contraddizione e in paradossale continuità con quell’antica tradizione. Ad un determinato rovesciamento fa già pensare il titolo di un bellissimo libro dello scrittore francese Pierre Michon, Vies minuscules (1984): otto vite di personaggi sconosciuti del luogo d’origine dell’autore, la Creuse, personaggi marginali evocati in ciò che di loro ha potuto sapere la voce narrante (l’autore?), che li ha sfiorati, incontrati, ne ha avuto notizia nella sua infanzia e giovinezza. Nelle tracce di queste vite si afferra la consistenza di un duro mondo contadino che si è andato trasformando e perdendo nel volgere del secolo: qui le immagini delle piccole vite emergono da un intreccio di ricordi e di immaginazioni, su di uno sfondo autobiografico, su di una continua interrogazione del disperdersi e vanificarsi dell’esperienza, dell’illusoria ma essenziale densità dei rapporti umani. I ritratti dei personaggi affiorano da situazioni sempre diverse; delle loro vite traspaiono soltanto quei tratti che la voce narrante è riuscita ad afferrare o ipotizzare. Si affacciano ipotesi contrastanti su vicende, intenzioni, progetti, esiti, destini, e spesso il ricordo si volge verso un esplicito ambito “immagi1 G. D’Annunzio, Prose di ricerca, a cura di A. Andreoli e G. Zanetti, tomo secondo, Mondadori, Milano, 2005, p. 1995. Nella sua costruzione D’Annunzio intende rifarsi all’«arte latina della biografia: che non è se non l’arte di scegliere e d’incidere tra i lineamenti innumerevoli delle nature umane quelli che esprimono il carattere, che indicano la più rilevata o profonda parte dei sentimenti e degli atti e degli abiti, quelli che appariscono i soli necessarii a stampare una effigie che non somigli ad alcun’altra» (cit., pp. 1990-1991). 24 Giulio Ferroni nario”. Nomi, date, luoghi, circostanze vengono comunque registrati in termini precisi, ma nei contesti più diversi e senza seguire nessun ordine precostituito. Siamo evidentemente ben lontani dai formulari dei De viris illustribus: il linguaggio dal lessico fortemente rilevato e dalla sintassi densa e avvolgente sfugge ad ogni effetto di pura registrazione. La misura delle singole vite non è omogenea: dipende ogni volta dall’investimento autobiografico e dallo spessore delle situazioni evocate; si può andare da circa quaranta pagine a meno di dieci, mentre, comunque, se la misura non è sempre letteralmente “breve”, l’aggettivo minuscules del titolo finisce inevitabilmente per chiamare in causa la stessa misura del racconto, anche se di per sé intenderebbe connotare soltanto l’orizzonte delle esistenze dei personaggi in questione e del loro “minuscolo” mondo. In termini esplicitamente parodici il rapporto con la tradizione è indicato nel titolo stesso delle Vite degli uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia, 1993 (che ricalca quello delle Vitae virorum illustrium di Paolo Giovio): si tratta di un libro nato direttamente dalla cultura classica dell’autore, dalla sua passione per i dizionari biografici e dalla casuale sollecitazione del catalogo di una libreria antiquaria, che vedeva succedersi nell’ordine i titoli delle Vite brevi di uomini eminenti di Aubrey, delle Vite parallele di Plutarco, delle Vite immaginarie di Schwob. Pontiggia presenta diciotto vite immaginarie di personaggi qualunque, anche queste vies minuscules, con precisione di registrazione anagrafica, seguendone tutto l’arco in ordine cronologico, dalla nascita (con diretta indicazione del contesto familiare e talvolta anche del tipo di parto) alla morte (con vero e proprio referto sulle cause e sulle circostanze del decesso), con attenzione ai piccoli eventi e rapporti di esistenze completamente inserite in orizzonti borghesi e piccolo borghesi in tutto l’arco del Novecento, con svariate proiezioni oltre, nel nuovo secolo/ millennio (di vari personaggi si proietta la morte molto più in là rispetto alla pubblicazione del libro: così di Bertelli Claudia, Una goccia nell’oceano divino, essa si fissa addirittura al 3 agosto 2018). In una scrittura che si muove variamente e ironicamente verso la misura del rendiconto annalistico, della cronaca, delle formule burocratiche, della voce di enciclopedia o dizionario, del linguaggio semicolto e familiare, dei luoghi comuni collettivi, della varia circolazione della lingua dei media, le Vite di Pontiggia sembrano voler rendere storicamente memorabile ciò che di per sé non lo è: nell’estrema concisione della sintassi, nel dominio quasi totale della paratassi, nell’uso prolungato del tempo presente (un presente non propriamente storico/ narrativo, ma quasi fotografi- Vite brevi 25 co, da registrazione burocratica) fanno risaltare in piena luce la concretezza di piccole storie e vicende, la schematica semplicità degli oggetti e dei rapporti quotidiani di cui sono fatte queste vite, le illusioni su cui spesso esse si reggono, il loro costante adeguarsi a modelli sociali non compresi e non dominati fino in fondo, il loro inevitabile precipitare verso una fine. La dimessa banalità con cui tanti individui hanno attraversato porzioni più o meno ampie del Novecento trova la sua naturale collocazione nel ritmo breve e rapido della biografia. Il titolo di ogni pezzo sintetizza qualche carattere della vita del personaggio, che la inquadra entro atteggiati significati o dimensioni simboliche (Viaggio alle sorgenti del Nilo, Iside, La strada nel bosco, ecc.): e l’ordinato sviluppo del resoconto biografico è preceduto da un’epigrafe con appropriata citazione letteraria e dalla fissazione del nome del personaggio nel burocratico ordine cognome + nome. La velocità della forma breve, il rapido susseguirsi dentro di essa dei dati, delle date, dei piccoli eventi che si svolgono comunque entro il turbine rovinoso della grande storia, che ne subiscono i margini, sembra come corrispondere al precipitare del tempo, all’inevitabile esaurirsi di quelle vite segnate da un “non sapere”: i diversi personaggi (insieme ai loro familiari e a quanti ne condividono l’esistenza) sembrano costituiti da una sproporzione tra l’immagine di sé (la costruzione immaginaria della propria identità, i desideri e le ambizioni che essa comporta), e occasioni, possibilità, esiti reali; sproporzione che quasi sempre essi si ostinano a non vedere, sfuggendo ad un vero confronto con il mondo materiale e sociale che la impone, ma inevitabilmente piegandosi al suo peso. Questo movimento di non coscienza e di illusione può dare esiti di comicità allo stesso tempo leggera e crudele, nell’osservazione degli ambiti in cui regolarmente si svolge la vita di questi personaggi: l’amore e il sesso (matrimoni felici e infelici, fedeltà ostinate e tradimenti nascosti, ma quasi sempre con un senso di non risoluzione, di non riconoscimento, di estraneità); la famiglia nella sua costruzione e nella sua continuità, con i contrasti e le difficoltà dei rapporti tra le generazioni, nella molteplicità dei fili che collegano padri e figli, madri e figli, fratelli e sorelle, ecc.; il lavoro, con la vita operosa di onesti e rigorosi professionisti, costruttori di solide fortune, ma anche artefici di rovinosi fallimenti; l’identità sociale, con l’adesione totale ai valori collettivi e alla morale borghese e piccolo borghese o al contrario con inopinate trasgressioni e cadute nel disonore; la ricerca di un altrove convenzionale, suggerito da artificiosi modelli sociali, modesto e provinciale bovarismo. Giulio Ferroni 26 I limiti e i passi essenziali di ogni vita sono fissati in date memorabili, che talvolta si incontrano, dal loro piccolo e marginale universo, con date cruciali della storia: ne possono sortire inopinate combinazioni, come la data della morte di Terzaghi Mauro (Il bastone di Mogano), che ha luogo «il 24 ottobre 1942, la prima notte in cui bombardarono Milano» 2. Nel secco procedere dei dati e degli eventi si insinuano frammenti dei pochi dialoghi che hanno avuto un valore risolutivo nella vita del personaggio in questione, e alcune banalissime frasi che restano memorabili per il soggetto e eventualmente per la sua famiglia, come quella che lo stesso Terzaghi ha proferito durante una gita in barca nella rada di Lierna alla signorina Enza Pozzoli, giovane «spregiudicata» e sportiva che poi è divenuta sua moglie («E lui le dice ammirato la frase che resterà memorabile negli annali della famiglia:/ “Signorina, lei ha la remata classica.”») 3. Sono i lacerti di vita più convenzionali, le parole e gli oggetti più esteriori ed inerti a dare un senso a queste esistenze, a reggere il loro rapido scorrere nel mondo e nel tempo; così Corridoni Alfredo (Scarpe speciali), basso di statura e schiacciato dalla superiorità dell’aitante fratello, ha comunque un eccezionale successo con le donne, grazie all’uso accorto di una frase banalissima e ingannevole: «Ha trovato una frase che incuriosisce e che lui non rivela neanche agli amici, perché non gli rubino il segreto: “Io ho capito qualcosa di te”. Funziona sempre. Lui non sa quasi mai che cosa ha capito, ma sente che è un particolare un po’ strano, un po’ misterioso e torbido, una voglia insieme di pulito e di sporco che lui differisce sempre di chiarire, finché, la prima volta che fanno l’amore, è come se si svelasse da sé» 4. Simmetrie, coincidenze, combinazioni, legate sempre alle misure convenzionali di queste esistenze e del mondo in cui si svolgono, non fanno che sottolineare la loro casuale e quasi allucinata normalità: così Buti Umberto (Incontrarsi), che ostinatamente ha rifiutato la cultura letteraria e classica che il padre cercava di inculcargli, si troverà in vecchiaia, come paradossalmente tornando bambino, a «leggere le favole di Fedro con la traduzione interlineare di Chiarini», con questa reazione: «Quanta verità. È stupito di trovarla così accessibile. Così semplice. Forse è stata l’ombra di suo padre a tenerlo Cito dal Meridiano delle Opere di Pontiggia, a cura e con saggio introduttivo di D. Marcheschi, Mondadori, Milano 2004, p. 1115. 3 Opere, cit., p. 1112. 4 Opere, cit., p. 1154. 2 Vite brevi 27 lontano dai classici. Ma ormai è tardi» 5. Nella vita di Molteni Franca (La presenza scenica) si segue l’esistenza di una piccolo borghese della provincia lombarda che ha affidato la propria identità al ricordo della passione culturale del padre nemmeno conosciuto (il quale collezionava libri su Napoleone) e soprattutto ad un’esperienza teatrale fatta nella giovinezza e presto abbandonata, ma rimasta nel ricordo a segnare un senso di distinzione, un piccolo, banale, illusorio convincimento di un proprio valore personale, un affidarsi a «sogni» che ella è convinta di avere ereditato dal padre: in comico contrasto con il succedersi di eventi del tutto comuni, da un matrimonio senza amore, alla condizione di vedova di guerra, ai sacrifici per il mantenimento e l’educazione dei figli. La umile semplicità di questa vita «teatrale» è come evidenziata per contrasto dall’epigrafe iniziale, attinta ad una lettera di Eleonora Duse («Si ama come si ama e si è artisti come si sente»), che sembra illuminare il carattere illusorio del “sentire” su cui si regge questa esistenza così elementare, così piena di illusione e di un’infelicità che rifiuta di prendere coscienza di sé. L’illusione di sé, la faticosa costruzione di identità comunque votate all’evanescenza, che lo sguardo del biografo apparentemente impassibile registra nella sua impenetrabile e fragile chiusura, tra derisione e pietà, è la cifra in cui si raccoglie il senso di queste vite di questi uomini e donne non illustri. Un passo ulteriore solo a un anno di distanza (1994) ci porta dalla allucinata elementarità di queste esistenze così integralmente “normali” (normali anche nelle loro anomalie, nelle loro evasioni e trasgressioni) agli svolgimenti maniacali delle Vite brevi di idioti di Ermanno Cavazzoni, che si presenta come «il calendario di un mese», formato da trentuno pezzi (quanti sono appunto i giorni del mese) seguiti da un breve Epilogo in soprannumero. Nella presentazione Al lettore l’autore afferma che «ogni giorno porta la vita di una specie di santo, che patisce e gode come i santi tradizionali. Poi il nostro mese finisce, perché a questo mondo tutto deve finire, anche le nostre brevi vite di idioti»6. Sulle vite di questi idioti si proietta così la scansione rituale delle vite dei santi: essi appaiono in realtà come figure di santi paradossali, la cui santità consiste in una disposizione a vivere il mondo alla rovescia, ad organizzare l’esistenza in funzione di qualche mania particolare, di qualche passione abnorme, di una dilatazio5 6 Opere, cit., pp. 1137-1138. E. Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Feltrinelli, Milano 1994, p. 7. Giulio Ferroni 28 ne di aspetti marginali o casuali della realtà. Gli idioti mettono al centro di se stessi e della propria esperienza cose, abitudini, predilezioni che per gli individui normali sono insignificanti, inessenziali, pericolose; e lo fanno con uno spirito sistematico e consequenziario, procedendo senza esitazioni verso gli esiti estremi a cui queste scelte li conducono. In questo modo essi svelano l’altra faccia della realtà e della normalità, fanno esplodere la follia che giace sotto l’intelligenza, la parte di follia che è in ciascuno di noi; indicano in anticipo, spesso con una mite tenerezza, la strada di follia a cui sembra tendere l’intera civiltà umana. Del resto, nella stessa presentazione Al lettore, Cavazzoni suggerisce che, dopo i trentuno giorni di queste Vite, il calendario potrebbe proporre altri mesi o anche ricominciare da capo, «forse su un altro pianeta; ma ogni volta l’umanità è di un gradino più idiota. Forse in un lento progresso, di pianeta in pianeta, si giunge all’assoluta e totale idiozia, in cui nessuno ricorda più niente, neanche le cose più elementari, come ad esempio sentirsi qualcuno diverso da un sasso o da un meteorite. Questo sarebbe lo stato beato»7. Le singole vite (dalla misura generalmente più breve di quelle di Pontiggia: ce ne sono anche di due sole pagine) offrono dunque percezioni e stati diversi dell’idiozia, che perlopiù si concentrano su momenti particolari dell’esistenza dei personaggi e comunque non ne seguono mai lo sviluppo completo dalla nascita alla morte. Nei continui stravolgimenti dei rapporti consueti tra le cose, la lingua procede veloce e come sospesa, quasi a caricare su se stessa, sul proprio ritmo, il filo di idiozia attribuito ai personaggi. La distinzione dei singoli casi, svolta come se volesse condurre ad una paradossale tipologia, fa sì che non si segua il procedimento annalistico e cronistico: non si scandisce il succedersi degli eventi nella regolarità del tempo, ma si punta sull’eccezionalità delle varie deviazioni, che spesso in un singolo pezzo chiamano in causa più di un personaggio o addirittura si moltiplicano in più direzioni (così nel numero 13, Il carnevale del Cinquantasei, si dà come una moltiplicazione di follie originate dalla distribuzione dei nasi finti dal comune di Centanni nel 1956, «la sera di martedì grasso, per allietare la festa d carnevale degli impiegati»)8. Ogni sette posizioni peraltro (corrispondenti al giorno finale di ogni settimana) ci sono pezzi costituiti da rapide elencazioni di casi diversi di suicidi 7 8 Vite brevi di idioti, cit., p. 7. Vite brevi di idioti, cit., p. 59. Vite brevi 29 (Suicidi lavorativi, Suicidi con errore, Falsi suicidi, Gli amanti suicidi), che fanno scorgere la suggestione di antichi almanacchi enciclopedici e popolari, in cui potevano trovarsi elenchi di morti strane e paradossali, come quelle dei morti dal ridere o della morte felice, la cui tradizione risale fino all’antichità classica e ha un esito suggestivo nel X capitolo del Gargantua di Rabelais, autore peraltro molto amato da Cavazzoni. Esempio notevole di pezzo concentrato su di un solo personaggio può essere preso dal numero 2, I re magi: l’idiozia di Raffaello Pelagatti trova il suo centro nella sua passione maniacale per le celebri figure del Vangelo e dell’immaginario infantile, gli esotici signori dell’Oriente guidati dalla cometa nel loro viaggio per recare doni a Gesù Bambino. Questa predilezione dell’idiota per i tre re si appoggia su di una demenziale teoria, secondo cui Cristo sarebbe un extraterrestre fatto sbarcare sulla terra proprio dai magi, e agisce comicamente sull’ambiente in cui egli si trova a vivere: dà luogo ad una serie di paradossali scambi comici, che prendono di mira la cultura politica degli anni Cinquanta, il piccolo mondo delle sezioni del Partito Comunista Italiano, i conflitti tra comunisti e cattolici. La comicità sprigiona in primo luogo dal tentativo del Pelagatti di conciliare la propria fede e la propria bislacca teoria sui re magi con il marxismo, dagli incontri e scontri che egli si trova ad avere sia con i compagni di partito che con il clero cattolico, fino alla sua amichevole frequentazione di un prete strambo che sostiene che Marx ed Engels non siano mai esistiti ed è a lui legato anche dal nome, Pelacani, doppio e rovescio comico di quello di Pelagatti. Come esempio dei pezzi sui suicidi, che moltiplicano dentro di sé il gioco seriale su cui è costruito l’insieme delle Vite brevi di idioti, ricordo Suicidi lavorativi, catalogo di diciassette casi di suicidi paradossali, veri o presunti, i cui soggetti si sono sempre avvalsi per uccidersi degli strumenti e delle condizioni del proprio lavoro. Si tratta di una stramba galleria, in cui si alternano situazioni di elementare semplicità (come quella del sarto che si impicca con il metro da sartoria) ad altre più complesse ed elaborate. Questo orizzonte non esclude momenti acutamente satirici, come è il caso del poeta, che mette in ridicolo certe sperimentazioni di poesia elettronica, indicando nel suo suicidio col gas l’affermazione di un globale senso drammatico per la sua poesia senza senso. Varie del resto sono nel libro le situazioni in cui l’idiozia si riconduce a matrici culturali: come nel caso del pittore che dipinge soltanto delle righe sempre uguali e giura che si tratta della sua autobiografia, spalleggiato da un critico che individua in 30 Giulio Ferroni quelle composizioni «un elemento tenebrico» (è 11. Il pittore Cimetta, «nativo di Orte ma residente ad Orvieto»)9. O ancora in quello di 30. Il romanziere realista, su un tale che appunto «si riteneva scrittore realista. Perciò scriveva tutto quello che gli capitava. Si chiamava Vincenzo, ma nel romanzo compariva con il nome di Ernesto. Tutto ciò che faceva, lo faceva ai fini di scriverlo» 10. La scrittura e l’esistenza di costui sono scandite da una serie di fogli in cui si registrano sempre le stesse vicende: girare per la città, entrare in un caffè e rimanervi seduto ad un tavolino, fumando e partecipando alla vita del caffè. È in fondo il sogno della coincidenza tra vita e scrittura, che agita sotterraneamente tanta letteratura grande e piccola: un sogno che da moltissimi scrittori è stato attraversato nei modi più diversi e contrastanti, dal rigore più assoluto ed eroico alla più banale superficialità, ma di cui Cavazzoni scopre qui quasi con nonchalance tutta la stralunata assurdità. 9 Vite brevi di idioti, cit., p. 53. Vite brevi di idioti, cit., p. 137. 10