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IL MADRIGALE NEL XVI SECOLO
Fino al XV secolo, nella musica vocale non si era avvertita l'esigenza di
instaurare un rapporto espressivo con il testo intonato: la musica era
generalmente soggetta a leggi proprie, indifferenti al significato della singola
parola. Ma con i compositori fiamminghi si fece lentamente strada l'idea che
l'evento sonoro potesse rendere in qualche modo ciò che era contenuto
nelle parole: immagini motorie, ad esempio, o atmosfere espressive
particolari.
La sonorità delle parole
Bembo puntò l'attenzione sul fatto che, in poesia, la sonorità e il ritmo delle
parole hanno una diretta ripercussione sul significato stesso: una parola non
è intercambiabile con un suo sinonimo, perché esso determinerebbe una
mutazione di suono e quindi (questa è la novità) un cambiamento nel senso
stesso della frase.
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Limiti della forma strofica
Aver considerato la parola più sotto l'aspetto fonetico che sotto quello
semantico portava con sé un'altra conseguenza: per sfruttare le proprietà
sonore della parola, il poeta doveva servirsene con la più grande libertà,
senza soggiacere a schemi troppo rigidi di rime, metri, accenti e strofe; in
questo, Bembo contrapponeva la varietà delle soluzioni adottate da Petrarca
alla fissità di struttura delle terzine dantesche.
Allora, il legame con la musica non poteva più incanalarsi con naturalezza in
forme fisse quale, ad esempio, la frottola: questa era infatti una forma
strofica, in cui più di un verso era sottoposto alla stessa frase musicale; le
parole non potevano avere quindi un rapporto univoco ed esclusivo con la
propria musica. Il nuovo tipo di poesia aveva bisogno di una veste musicale
duttile, senza schemi ripetitivi, che assecondasse la musicalità di ogni singola
parola accogliendola ed esaltandola; niente strofe e ritornelli, dunque, ma
una forma non prefissata, che con un termine tedesco moderno si definisce
durchkomponiert (composta interamente da capo a fondo, senza ripetizioni).
Vantaggi della polifonia
Non solo: mentre la frottola era quasi sempre eseguita da una voce solista, con
un liuto o altri strumenti che realizzavano le altre voci, si giudicò più adatta al
nuovo gusto letterario un'intonazione polifonica interamente vocale, in cui la
flessibilità ritmica di ogni voce potesse essere quasi illimitata, e potesse
contrastare, pur fondamentalmente rispettandolo, con il fluire uniforme del
tempo misurato dal tactus.
Questa forma 'informale' di cui si sentiva il bisogno esisteva già, pur senza aver
ancora assunto il nome con cui divenne celebre dal 1530 in poi: era il
madrigale .
Dunque, rispetto al madrigale italiano del Trecento, quello cinquecentesco
rinuncia alle strutture strofiche (sia da un punto di vista musicale, cioè di
ripetizioni di medesime strutture melodiche per parole diverse, sia da un punto
di vista poetico), al punto che i testi poetici organizzati comunque in strofe
davano origine a madrigali differenti, ossia a composizioni autonome e fra loro
indipendenti.
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PRIMI MADRIGALI E PRIMI
MADRIGALISTI – DA FIRENZE A ROMA
A VENEZIA
Firenze, Roma e Venezia
Fra i primi madrigalisti troviamo Philippe Verdelot (1470/80-prima del 1552),
maestro di cappella del Duomo e del Battistero di Firenze. Il suo stile musicale
aveva molto in comune con quello di un tipo di chanson francese molto semplice
(più simile a quella di Claudin che a quella di Janequin) che andava molto di moda
nella Firenze di quel periodo: tutte le parti del madrigaleerano eseguite da voci
umane, alternando sezioni in contrappunto non troppo elaborato, ma aderente
all'esatta declamazione del testo, con sezioni omoritmiche. La caratteristica di
maggiore importanza era però l'assoluta omogeneità e parificazione tra le voci.
Da Firenze, questo nuovo tipo di composizione - che una volta diffuso dalle edizioni
a stampa prenderà il nome di madrigale - si estese anche a Roma, città ad essa
collegata per la presenza di due papi medicei: Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico
(regnante dal 1513 al 1521) e Clemente VII (1523-34); e tra Roma e Firenze
orbitavano due altri compositori della prima fase del madrigale, Costanzo e
Sebastiano Festa. A Roma proprio in quegli anni (1513-20) lavorava anche Pietro
Bembo, come segretario di Leone X: è ipotizzabile, allora, una sua influenza sul
nascente mondo madrigalistico ancor prima che egli si trasferisse in area
veneziana, dove ebbe invece diretti e dimostrabili contatti con altri musicisti che
adottarono la forma del madrigale: Adrian Willaert e Cipriano de Rore.
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Un gravissimo avvenimento, tuttavia, squassò il mondo romano nel 1527: il
cosiddetto 'sacco di Roma'. Il saccheggio, le stragi e le susseguenti epidemie
dispersero completamente quel mondo culturale (ed editoriale) che sotto il
pontificato di Leone X era stato prospero e vivace; molti intellettuali e musicisti si
trasferirono a Venezia, città che in quell'epoca era assai florida e che cercò
deliberatamente di attirare a sé i fuoriusciti romani. Una della ricchezze
dell'economia veneziana era proprio l'editoria: vi erano circa 150 stamperie, che
producevano il doppio dei libri pubblicati in una grande capitale come Parigi.
Anche l'editoria musicale, appropriatasi del sistema ad impressione unica, rese
Venezia per tutto il Cinquecento la città dominante in questo settore.
Nel 1539 furono pubblicati a Venezia quattro libri di madrigali di un autore di
origine fiamminga o francese, Jacques Arcadelt (1505-1568), i quali si
guadagnarono subito la predilezione degli acquirenti: negli anni '40 si assistette
ad una serie martellante di stampe e ristampe di madrigali di Verdelot e di
Arcadelt.
Una volta approdato a Venezia, il madrigale subì una notevole
evoluzione: la sua appropriazione da parte di Willaert e
soprattutto di Cipriano de Rore si tradusse in una massiccia
infusione di contrappunto fiammingo, che rese ancora più
completa la tavolozza tecnica di cui potevano servirsi i
compositori. In linea con queste tendenze, il Primo libro de
madrigali cromatici di Cipriano de Rore (Venezia 1544)
inaugurò un termine che verrà usato in una duplice
accezione: i madrigali di Rore erano cromatici perché usavano
le crome, ossia note nere (e per questo cromatiche) di valore
molto veloce che infittivano il movimento delle voci; ma ben
presto il termine 'cromatico' passò ad indicare un nuovo stile
armonico, che faceva largo uso di note alterate e di brusche
modulazioni che 'colorivano' ('cromatizzavano') il percorso
armonico.
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I madrigalisti italiani
Tra i maggiori autori troviamo, a fianco dei fiamminghi della cosiddetta quinta
generazione, come Orlando di Lasso, Philippe de Monte e Giaches de Wert,
anche numerosi compositori italiani, interessati di nuovo alla musica scritta,
dopo la parentesi quattrocentesca in cui si erano dedicati prevalentemente ai
repertori di tradizione orale. I principali autori italiani di madrigali furono
Giovanni Pierluigi da Palestrina, Luzzasco Luzzaschi (1545-1607), al servizio
della corte di Ferrara anche come organista; ma, soprattutto, Luca Marenzio
(1554-1599), vissuto quasi sempre a Roma sebbene mantenesse solidi legami
con Ferrara, Mantova e Firenze, e Carlo Gesualdo principe di Venosa (1560 ca.l6l3), napoletano, che nel 1594 si trasferì a Ferrara, avendo sposato in seconde
nozze Eleonora d'Este, nipote del duca Alfonso II. Infine, troviamo Claudio
Monteverdi che traghetterà definitivamente il madrigale rinascimentale fin
sulle sponde dell'epoca barocca.
FORTUNA E SFORTUNA DEL
MADRIGALE
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La fortuna del madrigale attraverso le edizioni
1550 (inizio) *
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1591-1600
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128 fra prime e successive edizioni Madrigale classico
131 Compositori fiamminghi
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367 Periodo del Madrigale Maturo
261
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Il termine madrigale fa la sua comparsa per la prima volta nel 1530 quali titolo nella
raccolta Madrigali novi de diversi excellentissimi autori stampata a Roma.
Il madrigale nel XVI secolo
IL RAPPORTO COL TESTO –
I MADRIGALISMI
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I Madrigalismi (soggetto cavato)
F.Corteccia
F.Corteccia
Ottava di F.Bruni
A.Striggio
O.Lasso
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Palestrina
A.Gabrieli
L.Marenzio
L.Marenzio
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Luca Marenzio (1553-99)
Fra tutti i madrigalisti la preminenza spetta a Luca Marenzio uno dei
massimi compositori italiani e d'Europa. Prestò servizio a Firenze, Roma e
Venezia presso le famiglie più importanti. Adottò tutti gli artifici del
simbolismo sonoro e della "musica visiva". L'invenzione melodica, la ritmica
attenta a non soffocare mai il significato delle sillabe del testo, la fluidità
delle funzioni armoniche pongono Marenzio al centro dello sviluppo del
madrigale. Magistrale in lui è la varietà ritmica con uso della sincope e di
una fitta mescolanza di figure di piccolo e grande valore. Sull'esempio dei
veneziani spesso ricorrono la tecnica del dialogo policorale e la disposizione
"a eco" delle voci. Gli ultimi libri tendono verso uno stile declamatorio del
testo. Nella vasta produzione madrigalesca spiccano:
9 libri di madrigali a cinque voci
6 libri a 6 voci
2 libri a 4 e a 4-6 voci
1 libro di madrigali spirituali a cinque voci
Luca Marenzio
Madrigale
testo: G. Battista Guarini
da: VII libro di Madrigali a 5 voci
A. Gardano 1595.
Quell’augellin, che canta
sì dolcemente e lascivetto vola
or da l’abete al faggio
ed or dal faggio al mirto,
s’avesse umano spirto,
direbbe: - «Ardo d’amore, ardo d’amore».
Ma ben arde nel core
e parla in sua favella,
sì che l’intende il suo dolce desio.
Ed odi a punto, Tirsi,
il suo dolce desio
che gli risponde: - «Ardo d’amore anch’io.»
Audio – Partitura
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Carlo Gesualdo principe di Venosa (1560-1613)
Si rese celebre per due fatti, entrambi legati alla sua
vita sentimentale. Sposatosi con Maria d'Avalos e
sorpresala mentre lo tradiva con Fabrizio Carafa,
uccise i due amanti (1590); allontanatosi da Napoli
per evitare la vendetta dei parenti degli uccisi sposò
in seconde nozze Eleonora d'Este. A Ferrara si legò in
amicizia col Tasso. La maggior parte delle sue opere
fu pubblicata dai musicisti della sua corte. Ciò
dimostra che l'attività di Gesualdo non fu mai legata
a ragioni professionali, ma dilettantistiche e
personali. Ha lasciato una produzione che
comprende 110 madrigali divisi in 6 libri (15941611).
1594: Madrigali libro primo (a 4 voci)
1594: Madrigali libro secundo (a 5 voci)
1595: Madrigali libro terzo (a 5 voci)
1596: Madrigali libro quarto (a 5 voci)
1603: Sacrarum cantionum liber primus, 21 Motetti
(a 5 voci)
1603: Sacrarum cantionum liber secundus, 20
Motetti (a 6-7 voci)
1611: Madrigali libro quinto (a 5 voci)
1611: Madrigali libro sesto (a 5 voci)
1611: Responsoria et alia ad Officium Hebdomadae
Sanctae spectantia (a 6 voci)
1626: Madrigali libro settimo (a 6 voci, scomparso)
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Carlo Gesualdo
da: Libro quinto a cinque voci – uso degli ossimori
O dolorosa gioia
O soave dolore
Per cui quest'alma è mesta e lieta more!
O miei cari sospiri,
Miei graditi martiri
Del vostro duol non mi lasciate privo,
Poiché sì dolce mi fa morto e vivo.
Audio
Itene o miei sospiri (Quinto libro): articolazione stilistica
Audio
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Gesualdo, VI libro di Madrigali, Beltà poi che t’assenti (audio) (partitura)
Claudio Monteverdi (Cremona, 15 maggio 1567 – Venezia, 29 novembre 1643)
Nel 1589 Monteverdi fu assunto alla corte di Mantova in qualità di corista e
violinista e nel 1603 fu nominato dal duca Vincenzo Gonzaga maestro di
cappella.
Assillato dalle pressanti e poco remunerative commissioni del duca Vincenzo
Gonzaga Monteverdi si reca a Roma nel 1610 col proposito di donare al Papa
Paolo V il Vespro della Beata Vergine (la più importante composizione sacra
italiana del Seicento). La speranza che lo anima, espressa in uno scambio
epistolare con il cardinale Ferdinando Gonzaga, è di ottenere un posto gratuito
al Seminario Romano per il figlio e per sé una nuova sistemazione. Deluse tali
aspettative, l'occasione si sarebbe presentata nel 1613.
Nel 1613 Monteverdi, infatti, fu nominato, dai Procuratori della Serenissima
Repubblica Veneta, direttore a San Marco, Venezia, dove ben presto fece
rinascere il coro, che era in declino sotto il suo predecessore. Qui egli completò
il sesto, settimo ed ottavo libro di madrigali. Durante gli ultimi anni di esistenza
Monteverdi si ammalò, ma ciò non lo tenne lontano dalla composizione dei suoi
due ultimi capolavori, entrambi opere: Il ritorno di Ulisse in patria (1641), e
l'opera storica L'incoronazione di Poppea (1642).
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Libro 1, 1587: Madrigali a cinque voci
Libro 2, 1590: Il secondo libro de madrigali a cinque voci
Libro 3, 1592: Il terzo libro di madrigali a cinque voci
Libro 4, 1603: Il quarto libro di madrigali a cinque voci
Libro 5, 1605: Il quinto libro de madrigali a cinque voci (vi
compaiono gli strumenti per il basso continuo)
Libro 6, 1614: Il sesto libro di madrigali a cinque voci
Libro 7, 1619: Concerto. Settimo libro di madrigali
Libro 8, 1638: Madrigali guerrieri, et amorosi con alcuni
opuscoli in genere rappresentativo, che saranno per brevi
Episodij fra i canti senza gesto.
Libro 9, 1651: Madrigali e canzonette a due e tre voci
La fortuna del madrigale attraverso le edizioni
1550 (inizio) *
1551-60
1561-70
1571-80
1581-90
1591-1600
1601-10
1611-20
1621-30
1631-50
128 fra prime e successive edizioni Madrigale classico
131 Compositori fiamminghi
224
177
367 Periodo del Madrigale Maturo
261
264
175
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Il termine madrigale fa la sua comparsa per la prima volta nel 1530 quali titolo nella
raccolta Madrigali novi de diversi excellentissimi autori stampata a Roma.
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Tasso e Marino: due poeti a
confronto
TASSO
Là dove sono i pargoletti Amori,
ed altri ha teso l’arco,
altri saetta al varco
altri polisce le quadrella d’oro,
Voi parete un di Ioro
scherzando in verde colle o ‘n riva
ombrosa
fra la turba vezzosa;
e se voi non avete auree saette,
Ie dolci paroIette
e i dolci sguardi son facelle e strali
e i bei pensieri in voi son piume ed ali.
MARINO
Pargoletta è colei
ch’accende i desir miei,
e pargoletto Amore
che mi saetta il core.
Ma ne l’anima io sento
e gran foco e gran piaga e gran
tormento.
Claudio Monteverdi (1567-1643)
testo: T. Tasso
da: Secondo Libro de Madrigali a Cinque voci, Venezia 1590
Ecco mormorar l’onde
E tremolar le fronde
A l’aura matutina
E gl’arborscelli,
E sovra i verdi rami i vag’ augelli
Cantar soavemente,
E rider l’oriente.
Ecco già l’alba appare
E si specchia nel mare,
E rasserena il cielo,
E imperla il dolce gielo,
E gl’alti monti indora.
O, bella e vag’aurora,
l’aura è tua messaggiera,
E tu de Laura,
Ch’ogn’arso cor ristaura!
Audio
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II libro
Non sono in queste rive
Fiori così vermigli
Come le labra de la donna mia.
Né il suon de l'aure estive
Tra fonti e rose e gigli
Fan del suo canto più dolce armonia.
Canto che m'ardi e piaci,
T'interrompano solo i nostri baci!
Torquato Tasso
Audio
II libro
Mentre io miravo fiso
De la mia donna
Gl'occhi ardenti e belli,
Due vaghi spiritelli
Fiammeggiando n'uscir a l'improviso,
E, leggiadretti e snelli,
Facendo mille scherzi
E mille giri,
Mille fughe d'intorno,
E mille aguati
Dentr'al seno adorno,
Mi trassero dal cor mille sospiri;
Onde con dolci ed amorosi lai
"Pietà, pietà!" gridai.
T. Tasso
Audio
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II libro
Se tu mi lassi, perfida,
Tuo danno!
Non ti pensar che sia
Misera senza te la vita mia.
Misero ben sarei,
Se miseria stimassi
E non ventura
Perder chi non mi cura,
E ricovrar quel che di me perdei.
Misera e tu,
Che per novello amore
Perdi quel fido core
Ch'era più tuo che tu di te non sei!
Ma il tuo già non perd'io,
Perché non fu mai mio.
T. Tasso
Audio
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Sì ch’io vorrei morire
ora ch’io bacio, Amore,
la bella bocca del mio amato core.
Ahi cara e dolce lingua,
datemi tant’umore
che di dolcezz’in questo sen m’estingua!
Ahi, vita mia, a questo bianco seno,
deh, stringetemi fin ch’io venga meno!
Ahi bocca, ahi baci, ahi lingua,
torn’a dire:
«Sì ch’io vorrei morire».
Moro
(Monteverdi, IV libro di Madrigali)
vedi dia successiva
audio
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Non si levav’ancor l’alba novella
né spiegavan le piume
gl’augelli al novo lume,
ma fiammeggiava l’amorosa stella,
quand’i duo vaghi e leggiadrett’amanti,
ch’una felice notte aggiuns’insieme,
com’acanto si volg’in vari giri,
divise il novo raggio e i dolci pianti
nell’accoglienz’estreme
mescolavan con baci e con sospiri
mille ardenti pensier, mille desiri.
Mille voglie non paghe
in quelle luci vaghe,
scopria quest’alma innamorata e quella.
le bellissime rose
ne le labr’amorose,
e gl’occhi scintillar come facella
e come d’alma che si part’e svella,
fu la partenza loro:
a dio che part’e moro,
dolce languir, dolce partita e fella.
Torquato Tasso
(Monteverdi Secondo libro di Madrigali)
Audio 1° parte – partitura
Audio 2° parte
E dicea l’una sospirand’allora:
anima, a dio, con languide parole.
E l’altra: vita, a dio, le rispondea,
a dio, rimanti. E non partiansi ancora
inanzi al novo sole,
e inanzi a l’alba che nel ciel sorgea,
e questa e quella impallidir vedea
Sovrapposizioni polifoniche
Ah! dolente partita!
ah, fin de la mia vita!
da te parto e non moro?
E pur i' provo
la pena de la morte
e sento nel partire
un vivace morire,
che dà vita al dolore
per far che moia immortalmente il core.
(Giovanni Battista Guarini, Il pastor fido III, 3)
Ah! dolente partita!
ah, fin de la mia vita!
da te parto e non moro?
Ah! dolente partita!
E pur i' provo
la pena de la morte
da te parto e non moro?
Ah! dolente partita!
E pur i' provo
la pena de la morte
E pur i' provo
la pena de la morte
ah, fin de la mia vita!
da te parto e non moro?
IV libro di madrigali
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Audio
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Claudio Monteverdi
Madrigale
testo: G. Battista Guarini
da: IV libro di Madrigali
Quell’augellin, che canta
sì dolcemente e lascivetto vola
or da l’abete al faggio
ed or dal faggio al mirto,
s’avesse umano spirto,
direbbe: - «Ardo d’amore, ardo d’amore».
Ma ben arde nel core
e parla in sua favella,
sì che l’intende il suo dolce desio.
Ed odi a punto, Tirsi,
il suo dolce desio
che gli risponde: - «Ardo d’amore anch’io.»
Audio
IL QUINTO LIBRO
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Poco tempo dopo il suo ritorno dalle Fiandre, Monteverdi fu
coinvolto in una lunga e articolata disputa. A iniziarla fu la
pubblicazione nel 1600 a Venezia presso Vicenti, de L’Artusti,
overo Delle imperfezioni della moderna musica, opera
appunto di Giovanni Maria Artusi, canonico a Bologna e
allievo di Zarlino a Venezia. In forma di dialogo tra Vario
(gentiluomo aretino) e Luca austriaco, L’Artusi si proponeva di
dimostrare i traviamenti di certe tendenze compositive
moderne che contraddicevano le regole tradizionali.
Nel far ciò il canonico bolognese riportava passi di madrigali
di un autore non nominato – ma era appunto Monteverdi –
preso ad esempio delle nuove deprecabili tendenze: sette
citazioni sono tratte dal madrigale Cruda Amarilli, che col
nome ancora (edito nel Quinto libro del 1605), una da Anima
mia perdona e così via…
Artusi censura anzitutto le dissonanze – seconde e
settime – che si vengono a produrre tra il basso e le
parti superiori. Negativa, per Artusi, non è la
dissonanza in sé ma un suo uso improprio e
contrario alle buone regole:
«Non nego che il ritrovare cose nuove non sia bene,
anzi necessario… [si deve però evitare] che il senso
dell’udito ne resti offeso perché non le usate in
modo ordinario…»
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Vedi: Cruda Amarilli battute 13 e 14 (ahi lasso)
Battute 19-20-22 (lasso amaramente)
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Va però detto che nel citare questi passaggi
L’Artusi eliminò la parte letteraria
limitandosi a riportare esclusivamente la
musica senza l’orazione.
Nel 1603, non pago del primo attacco rivolto a
Monteverdi, Artusi pubblicò una seconda parte
con la quale rinvigorì gli umori polemici.
La risposta del compositore arrivò però
soltanto nel 1605 quale premessa al Quinto
libro di Madrigali:
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Premessa al V libro di madrigali
Quella sopra riportata fu l’unica risposta
diretta del compositore, poiché la
successiva presa di posizione contro
l’Artusi fu scritta dal fratello del
compositore, Giulio Cesare Monteverdi,
in una lettera posta in appendice agli
Scherzi musicali dello stesso Claudio
Monteverdi (usciti però a cura di suo
fratello Giulio Cesare) usciti nel 1607.
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PREMESSA AGLI SCHERZI MUSICALI
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Bisogna tuttavia dire che Monteverdi sembra abbia
lavorato per tutta la vita a questo trattato, anche se non
riuscì mai a completarlo. Tracce di questo lavoro, rimasto
incompiuto e mai rinvenuto, nemmeno in forma
manoscritta, sopravvivono in alcune lettere di Monteverdi
e nell’orazione funebre che di lui fece Matteo Caberloti in
cui si dice che:
«datosi alla filosofia Monteverdi era dietro alla
composizione di un volume, nel quale notificando i più
occulti arcani della sua disciplina era per impedire che mai
più nei secoli venturi restassero nascoste a studenti le vere
strade per facilitarsi l’acquisto della perfettione dell’arte
musica. Ma l’empia morte ha cagionato che resti priva
della luce della stampa»
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«UN BASSO CONTINUO PER LI SEI
ULTIMI»
Allo scopo di non precludersi alcuna via espressiva,
Monteverdi adottò per il Quinto libro un «basso
continuo per il clavicembalo, chitarrone o altro
simile istromento, fatto particolarmente per li sei
ultimi et per li altri a beneplacito».
Il continuo (così detto perché accompagnava senza
interruzione le altre parti, a differenza del
contrappunto che è spezzato) è perciò obbligatorio
negli ultimi sei pezzi, ad libitum, nei precedenti:
questo perché nei madrigali finali l’organico delle
cinque voci si riduce spesso ad una o a due,
necessitando perciò di un supporto armonico.
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La novità del Quinto libro, non risiede però
nell’uso degli strumenti in ambito
madrigalistico, dato che questa era prassi
comune e diffusa, quanto piuttosto nel fatto
che gli strumenti qui non raddoppiano le
voci ma le sostituiscono a fini
«drammatici», ossia anche teatrali.
Monteverdi V libro (1605)
(1a parte) – (Audio)
Ch'io t'ami e t’ami più de la mia vita,
se tu nol sai, crudele,
chiedilo a queste selve,
che tel diranno...
e tel diran con esse
le fere lor' e i duri sterpi e i sassi
di quest'alpestri monti,
ch'i' ho sì spesse volte
intenerito al suon de' miei lamenti...
G. Guarini
Prendila tosto, Amore,
Stampala nel mio core!
Spiri solo per te l'anima mia
«T'amo, mia vita», la mia vita sia.
G. Guarini
(2° parte) (Audio vedi dia successiva)
«T’amo, mia vita!» la mia cara vita
Mi dice e in questa sola
Dolcissima parola
Par che trasformi lietamente il core
Per farsene signore
O voce di dolcezza e di diletto,
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Audio
Amor, se giusto sei,
Fa che la donna mia
Anch’ella giusta sia.
Io l’amo, tu il conosci e ella il vede;
Ma più mi strazia e mi trafigge il core
E per più mio dolore
E per dispreggio tuo non mi dà fede.
Non sostener, Amor, che nel tuo regno,
Là dovi’o ho sparta fede…
Mieta sdegno.
Ma fa giusto, signore,
Ch’in premio del mio amor
Io colga amore…
soprano
baritono
tenore
tutti
Anonimo
Audio
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DALLA SCENA D’OPERA AL
MADRIGALE
LAMENTO D’ARIANNA (L’Arianna 1608)
Lasciatemi morire,
e chi volete voi che mi conforte
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire.
(versione monodica) Audio
Lasciatemi morire / lasciatemi morire / e chi volete voi che mi conforte in così
dura sorte, in così gran martire? Lasciatemi morire / lasciatemi morire.
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31/05/2012
LAMENTO D’ARIANNA (L’Arianna 1608)
Lasciatemi morire,
e chi volete voi che mi conforte
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire.
(versione polifonica a 5 voci, Sesto libro, 1614) (Audio)
testo con ripetizioni nella versione monodica
Lasciatemi morire / Lasciatemi morire / e chi volete voi che mi conforte in così dura
sorte, in così gran martire? Lasciatemi morire / e chi volete voi che mi conforte in
così dura sorte, in così gran martire? Lasciatemi morire / lasciatemi morire.
testo con ripetizioni nella versione polifonica
Lasciatemi / Lasciatemi morire / Lasciatemi / Lasciatemi / Lasciatemi / Lasciatemi /
Lasciatemi morire / morire! E chi volete voi / E chi volete voi che mi conforte / che
mi conforte / in così dura / in così dura sorte / in così gran / in così gran martire /
Lasciatemi morire / E chi volete voi / E chi volete voi che mi conforte / in così dura /
in così dura sorte / in così gran / in così gran martire / Lasciatemi / Lasciatemi
morire / Lasciatemi / Lasciatemi / Lasciatemi / Lasciatemi / Lasciatemi morire /
morire / morire / morire!
VII libro (Audio)
Al lume delle stelle (Tasso) Audio
Al lume delle stelle
Tirsi sotto un alloro
si dolea lagrimando in questi accenti:
«O celesti facelle,
di lei ch’amo ed adoro
rassomigliate voi gli occhi lucenti.
Luci care e serene,
sento gli affanni, ohimé, sento le pene;
luci serene e liete,
sento le fiamme lor mentre splendete».
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31/05/2012
VIII libro (1638) Madrigali guerrieri e amorosi
Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte;
sempre è il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, né punta a vòto.
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
D'or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co' pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Audio
Claudio Monteverdi
testo: O. Rinuccini da: Madrigali e Canzonette a 2 e 3 voci (detto: Libro nono
di madrigali) op. post.
Zefiro torna
Zefiro torna e di soavi accenti
l’aer fa grato e’ il pié discioglie a l’onde
e, mormorando tra le verdi fronde,
fa danzar al bel suon su’l prato i fiori.
Inghirlandato il crin Fillide e Clori
note temprando lor care e gioconde;
e da monti e da valli ime e profonde
raddoppian l’armonia gli antri canori.
Sorge più vaga in ciel l’aurora, e’l sole,
sparge più luci d’or; più puro argento
fregia di Teti il bel ceruleo manto.
Sol io, per selve abbandonate e sole
l’ardor di due begli occhi e’l mio tormento,
come vuol mia ventura, hor piango hor canto.
audio
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31/05/2012
PIANTO DELLA MADONNA (Selva Morale e Spirituale, 1640)
Iam moriar mi Fili,
quisnam poterit mater consolari
in hoc fero dolore,
in hoc tam duro tormento?
Iam moriar mi Fili
Lasciami morire, figlio mio
Chi mai potrà consolare una madre
In questo atroce dolore,
In un sì duro tormento?
Lasciami morire, figlio mio.
audio
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il madrigale nel xvi secolo