Anno IV - Numero 6
Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli
Reporter
12 Novembre 2010
nuovo
Burlesqueoni
Cazzullo: «Silvio
fa male all’Italia»
Agnelli
Edoardo, un caso
ancora aperto
Dogane
I pacchi dall’estero
un buco nero
Web-mania
Allegati, girotondo
delle emozioni
I SIGNORI
DEL DENARO
DALLE BANCHE AGLI USURAI, AL MONTE DEI PEGNI. IL RUOLO DEI CONTROLLORI
Politica
La stampa straniera e le critiche a Berlusconi. Ne parliamo con Cazzullo del Corriere della Sera
«Così Silvio fa male all’Italia»
Le sue continue gaffe danneggiano l’immagine del nostro paese all’estero
Tra Silvio Berlusconi e la stampa
estera non corre buon sangue. Abbiamo chiesto ad Aldo Cazzullo,
giornalista del Corriere della Sera, un
parere su questo rapporto conflittuale.
Cazzullo, l’ultimo numero dell’Economist definisce il nostro presidente del Consiglio Burlesqueoni e parla di commedia finita. Un
attacco così pesante è giustificato?
«Prima di tutto bisogna fare una
premessa. All’estero non capiscono
il fenomeno Berlusconi e perchè gli
italiani lo votano. L’idea stessa che il
capo del Governo sia il proprietario
di metà del sistema televisivo generalista e nomini il direttore dell’altra
metà è incomprensibile per l’opinione pubblica straniera. E’ una anche la moglie Michelle, giocandosi
cosa che non esiste in nessun altro definitivamente il rapporto con gli
paese del mondo, forse fino a poco Obama come chiunque negli Usa ti
tempo fa esisteva in Thailandia, ma potrà confermare. Queste sono cose
adesso non più. Detto questo, Ber- che finiscono su tutti i giornali del
lusconi è quello che ha definito “ab- mondo. Lo spread dei nostri buoni
bronzato” Barack Obama subito del tesoro è aumentato di un terzo
dopo la sua elezione...».
rispetto a quelli tedeschi a causa delUna vera e propria gaffe.
la recente storia di Ruby, che ha fat«Decisamente sì, probabilmente to il giro del pianeta. Prendersela con
la peggiore fatta dal
la stampa straniera in
nostro premier. Forse
questo caso è sempliBerlusconi non lo sa,
«Trovano in lui la cemente ridicolo».
ma negli Stati Uniti
Ecco, parliamo
conferma di tutti delle vicende scan“abbronzato”, tanned
in inglese, è un’espresdalistiche che hanno
i pregiudizi
sione fortemente invisto protagonista
sugli italiani»
giuriosa. Se chiami
Berlusconi. All’estero
così qualcuno in pubsembrano essere parblico ti arrestano, se lo
ticolarmente severi
dici nel ghetto ti danno un sacco di nel giudicarle. Perchè secondo lei?
botte. E’ una cosa che un presiden«Non parlerei di particolare sete del Consiglio non può dire, una verità. Un primo ministro non può
mancanza di rispetto anche per noi, telefonare a una questura per dire
perchè è interesse nazionale avere che una prostituta ladra minorenne
buone relazioni con il presidente de- deve essere immediatamente liberata
gli Stati Uniti. E quando glielo han- perchè è la nipote di Mubarak. Un
no fatto notare, per tutta risposta Ber- qualsiasi leader democratico dolusconi ha definito “abbronzata” vrebbe dimettersi un minuto dopo.
BURLESQUEONI
E’ intitolato così
sull’Economist un
severo editoriale su
un Silvio Berlusconi
giudicato sotto
pressione. “La
commedia è finita” è
la conclusione
dell’articolo, che
riprende la battuta
di Canio nel finale
dei Pagliacci di
Leoncavallo
Se questo non avviene è perchè Berlusconi ha il quasi totale controllo
del sistema dell’informazione televisiva. Diciamo così, all’estero non
sembra vero di avere un premier italiano che confermi in pieno tutti i
pregiudizi che loro hanno sull’Italia e sugli italiani. E questa è una
cosa che mi fa doppiamente male,
perchè io quando vado fuori per lavoro mi considero prima italiano che
giornalista. Ho appena finito di
scrivere un libro che si chiama
Viva l’Italia, mi fa molto male vedere
il nostro paese denigrato all’estero,
un po’ per i pregiudizi nei nostri
confronti e un po’ perchè vedono
questi pregiudizi confermati dal
comportamento del nostro primo
ministro».
Insomma lei è tra chi sostiene
che Berlusconi danneggi l’immagine
dell’Italia all’estero.
«Questa non è una mia idea, è un
fatto oggettivo. Ormai la politica interna di un paese è un affare che riguarda anche gli altri paesi».
Qual è la differenza tra la stampa italiana e quella straniera nel-
in America si parla dell’Italia non per
i successi della Fiat a Detroit, per la
qualità dei nostri prodotti, per i nostri artisti che fanno onore all’Italia
nel mondo, ma solo come il paese
del “bunga bunga”, questa è una
cosa che danneggia tutti: l’immagine dell’Italia, il suo peso internazionale, il presidente del Consiglio.
E’ ovvio che ai tedeschi conviene,
ma a noi molto meno».
Il premier però si vanta di avere rapporti eccellenti con tutti i potenti del mondo e di essere molto
rispettato dalla comunità internazionale. Recentemente molti leader,
per esempio Tony Blair, lo hanno
elogiato. Perchè questa dissonanza?
«Secondo me perchè Berlusconi
l’affrontare le vicende del premier? è il più ricco tra i leader politici
Se Berlusconi è lo specchio del- mondiali e molto spesso ha degli inl’Italia, come molti dicono, la stam- terlocutori che alla ricchezza sono
pa tende ad adeguarsi a questa tesi? molto sensibili. Tony Blair è uno che
«Io credo che esista una parte del nella vita prima di fare il capo del Lanostro paese, che non è necessaria- bour faceva l’avvocato, la moglie fa
mente quella di sinistra, che non si l’avvocato e oggi Tony Blair è una
riconosce in Berlusconi. Il problema macchina da soldi. Schroeder, per ciè che questa parte fa meno notizia tare un altro leader di sinistra, finiall’estero, fa più notizia l’Italia di ta l’esperienza di cancelliere è andato
Ruby, della D’Addaa fare l’impiegato di
rio, di Noemi, del
Putin, andando a laconflitto di interessi. «Il clima da bunga vorare per la Gazprom.
Gli stranieri, che in
Questa insomma è
fondo ci patiscono bunga fa più notizia gente per cui il denaperchè invidiano la
dei nostri successi ro non è lo sterco del
nostra cultura, il nodiavolo».
nel mondo»
stro stile, i nostri proPer concludere, lei
dotti e la nostra quapensa che dietro quelità della vita, hanno
sto atteggiamento di
così confermata l’idea di un’Italia Berlusconi ci sia una strategia? Income paese dove si vive bene ma somma il premier ci fa o ci è?
poco serio».
«Credo che ci sia un pò di arroC’è il rischio secondo lei che a ganza, mista a una punta di mitolivello internazionale il clima da mania. Ma la colpa è comunque es“bunga bunga” tolga credibilità senzialmente nostra, perchè da noi
al nostro paese sui temi più im- qualsiasi cosa dica trova sempre un
portanti?
uditorio che lo applaude. All’estero
«Il rischio c’è. E’ evidente che se questo non succede».
Varie le forme di dissenso all’opuscolo. Facebook al centro delle proteste
Libro del Governo a casa? No grazie
CONTESTATO La copertina
del libro “Due anni di governo”
2
12 Novembre 2010
Un libro per raccontare
due anni di governo Berlusconi, da inviare in tutte le case
degli italiani. Il premier passa
al contrattacco e prepara dieci milioni di copie del suo
opuscolo che riepiloga l’operato dell’esecutivo al giro di
boa. Del resto il Cavaliere lo
aveva già preannunciato in
una conferenza stampa ai primi di ottobre: “Visto che i media non dicono quello che abbiamo fatto, ci penseremo da
soli”. E così il regalo di italiani per Natale è già pronto. Le
misure per superare la crisi
economica (manovra e lotta
all’evasione fiscale), le emergenze risolte (terremoto de
L’Aquila, rifiuti in Campania,
salvataggio Alitalia), la lotta
alla criminalità organizzata, saranno illustrate in un bel libro
dalle pagine patinate con illustrazioni e grafici. Il tutto da
gustare comodamente seduti
sul divano di casa.
Ma non tutti sembrano felici di ricevere il cadeau di Palazzo Chigi. “Due anni di governo”, questo il titolo dell’opera, sta infatti scatenando
la fantasia degli internauti su
come reagire all’arrivo del plico governativo. Al Popolo
Viola va sicuramente la palma
della proposta più ecologica.
Il movimento nato nel 2009 in
occasione del No Berlusconi
day ha lanciato una campagna
per riciclare la carta del libro,
organizzando in tutta Italia
centri di raccolta. Punti fissi o
gazebo ad hoc per ricevere le
copie del libro e per informare i cittadini con un controopuscolo in cui si critica l’operato dell’esecutivo del Cavaliere. C’è poi chi ha messo a di-
Pagina a cura di Marco Cicala
sposizione il testo predefinito
di mail da inviare al sito internet di Palazzo Chigi. L’oggetto è eloquente: “Non voglio
il libro “Due anni di governo”.
E dopo un accenno al Codice
in materia di protezione dei
dati personali, si invita a destinare la somma risparmiata
al Ministero della Pubblica
istruzione e/o a quello del
Ministero della Sanità. Non
mancano poi proposte più
drastiche, come quella di Forza Nuova Pescara e Montesilvano, che propone di bruciare i libri in piazza così da “dare
fuoco alle menzogne scolpite
all’interno”, oppure quelle più
creative, che mirano a diffondere una copia pirata dell’opuscolo del Governo modificandone il contenuto.
Centro nevralgico di queste innovative forme di protesta è sicuramente il social
network Facebook, vero e
proprio megafono del dissenso. I gruppi a sostegno di
queste iniziative si moltiplicano di giorno in giorno e gli
utenti che aderiscono crescono continuamente. Tra le pagine più agguerrite spicca
quella intitolata “1000 modi
per usare il libro Due anni di
governo” dove gli internauti
hanno dato sfogo alla loro
fantasia. Origami e coriandoli tra le proposte più curiose.
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Primo Piano
A quindici anni dalla scomparsa dell’erede Agnelli, nuovi elementi in un libro di Giuseppe Puppo
Edoardo, un caso non ancora chiuso
Smentito il complotto sionista, ma non fu suicidio. Un teste decisivo
Una fiat Croma si allontana da Villar Perosa,
storica residenza estiva della famiglia Agnelli, in
provincia di Torino. Sono le 7.20 del15 novembre 2000. A bordo c’è Edoardo, primogenito dell’Avvocato. Agli uomini della scorta dice di voler fare un giro a Superga, da solo. Ma, secondo
i tabulati del Telepass, la sua meta è un’altra. Alle
8.59 la Croma imbocca la Torino-Savona, esce e
rientra un paio di volte dall’autostrada. Fino a
raggiungere il viadotto “Generale Franco Romano”, lungo il quale Edoardo lascia l’automobile ancora accesa. Settantatre i metri che lo separano dalla vallata dove verrà ritrovato il suo
corpo. Un volo archiviato dopo pochi giorni come
suicidio, e che dopo dieci anni continua a destare
interrogativi. L’ombra del delitto si insinua nel-
le piaghe di un caso che ha sconvolto l’Italia.
A dare l’allarme è Giuseppe Puppo, giornalista che due anni fa, con il suo “Ottanta metri
di mistero” riaprì il caso Agnelli. Ora un nuovo libro promette di aggiungere elementi inediti, nella speranza che le indagini vengano riaperte, per dissipare ogni dubbio sull’argomento.
«Non ho la presunzione di consuo libro le indagini non sono stasiderarmi un magistrato», dichiara
te riaperte?
a Reporter Nuovo Giuseppe Puppo.
«Io ho informato il procuratore
«I giornalisti possono solo dare
Bosone, che allora si occupò del
contributi per la ricerca della verità.
caso, sui nuovi elementi che le ho apÈ questo ciò che ho voluto fare, perpena illustrato. Ma non ho ricevuto
chè purtroppo dieci anni fa le indarisposte nella sostanza delle questioni,
gini non furono abbastanza approsolo dichiarazioni formali. Addirittura
fondite». Non esagera Puppo. QuelMaurizio Picozzi, attuale capo della
la mattina non ci furono dubbi:
Procura della Repubblica di Mondovì,
Edoardo si era suicidato, aveva dein provincia di Cuneo, ha da poco diciso di gettarsi dal viadotto. Non fuchiarato che non ci sono elementi sufrono controllati i tabulati telefonici,
ficienti per giustificare una riapertuné acquisite le cassette di sorvera delle indagini. A mio avviso, invece,
glianza di Villar Perosa e il compubasterebbe riprendere l’incartamenter di Edoardo, né tantomeno fu dito di dieci anni fa e leggere gli atti delsposta l’autopsia sul cadavere. «Nel’inchiesta. Senza andare troppo in là
gli anni, nessun libro», continua
con le ricerche. A questo proposito riPuppo, «nessuna inchiesta sull’arcordo che, in base a semplici congomento, salvo un documentario iragetture, dopo molti anni dal decesso,
niano che parla di un complotto siovenne riaperto il caso Tenco, morto
nista ai danni del rampollo Agnelli.
suicida durante il festival di Sanremo
Il mio libro è stato il primo tentatidel 1967. Non capisco perché in quevo di ricostruzione della vicenda».
sto caso nessuno voglia far luce sulC’è chi racconta che Edoardo si FINE DI UNA DINASTIA Il viadotto sotto il quale è stato trovato il corpo. A fianco Edoardo Agnelli con il padre
l’argomento».
fosse convertito all’Islam…
Resta dunque la memoria di
«No, assolutamente. Edoardo era gi della fisica che non possono essere macchina della polizia accorsa sul simo approfondiremo nuovi ele- Edoardo e tutti i misteri che la sua
una persona che cercava la verità dal in alcun modo spiegati. Chi precipita luogo con le ruote impolverate».
menti. Gliene anticipo uno: ho uno morte ancora trascina con sé…
punto di vista religioso. È vero che da altezze considerevoli perde le scarAltri indizi?
studio completo del professor Gui«Io sono contento, perchè ho
studiò l’Islam, ma si interessò a tut- pe, anche se si tratta di scarponcini
«Successivamente, mi sono reca- do Angeloni, perito grafologico del scoperto un personaggio straordite le religioni. Per quanto abbia da sci, ben saldi ai piedi. Edoardo to di persona sul luogo dell’omicidio Tribunale, sulle ultime annotazioni nario, Edoardo Agnelli, considerato
professato questa fede e si sia reca- aveva ancora indosso i mocassini al e ho potuto constatare che il terre- di morti suicidi. In circa 260 docu- eccentrico, irresponsabile, disinteto più volte in Iran, è da escludere momento del ritrovamento, e le no è pietroso, roccioso, duro. Inol- menti esaminati, è stato riscontrato ressato, addirittura incapace di prenche sia stato un musulmano orto- bretelle ancora allacciate. Inoltre, in tre, non fu disposta l’autopsia, e le un segno ricorrente nella grafia. Ma dere le redini della Fiat. Invece il radosso».
quei giorni zoppicava ed era so- tracce di terriccio che il cadavere pre- negli scritti di Edoardo non com- gazzo cercò a più riprese di entrare
Suicidio o omicidio, dunque?
vrappeso, per cui avrebbe impiega- sentava sotto le unghie non furono pare».
nella gestione aziendale, ma glielo
«Mi permetta innanzitutto di to non meno di 2 minuti per sca- analizzate. Penso che poi occorreMa chi avrebbe avuto interesse impedirono sebbene ne avesse le casottolineare che ho iniziato questa in- valcare il parapetto del viadotto. rebbe verificare le presenze di alcu- a uccidere l’erede Agnelli?
pacità. Tutte conoscenze derivanti dachiesta per caso, senza pregiudizi, Strano che nessuno lo abbia visto in ni “attori” che a vario titolo inter«Io non credo nel complotto sio- gli studi: al di là dell’istruzione umamentre seguivo il proun tratto autostradale vennero quel giorno sotto il viadot- nista ipotizzato nel donistica, infatti, aveva
cesso che vedeva Mardove, quel giorno, to, riguardo la loro titolarità a esse- cumentario iraniano.
grandi competenze in
«Sono circa venti transitavano circa otto re là, e la qualità del loro operato. An- Penso piuttosto che «Non è chiara la campo finanziario.
gherita Agnelli, sorella di Edoardo, impemacchine al minuto». cora, il certificato di morte redatto in qualcuno voleva estro- presenza di alcune Nei suoi scritti riuscì
gli elementi che
gnata a capire a quanC’è dell’altro?
loco parla di un uomo alto un me- mettere Edoardo dai
a prevedere con largo
confutano
persone accanto anticipo la bolla speto ammontasse il pa«Certo. Nella Cro- tro e 75 per 80 chili. Ma Edoardo era vertici Fiat. Costituiva
trimonio del padre.
culativa che sarebbe
la tesi ufficiale» ma abbandonata sul alto quasi due metri e pesava circa un pericolo, con il suo
al cadavere»
Lavorando sul web
ciglio dell’autostrada 100 chili. E potremmo continuare a modo di essere e di
scoppiata negli Usa,
ho scoperto l’esistennon fu rinvenuta al- lungo.».
pensare, che altre perdove è nato e creza del documentario iraniano. Ho in- cuna impronta digitale, neanche
Tutti questi elementi parlano sone, in malafede, facevano appari- sciuto, annunciò con circa dieci
cominciato a studiare e analizzare la quelle del proprietario (come se da soli…
re eccentrico, inaffidabile. Molti te- anni d’anticipo le speculazioni derivicenda. E ciò che ho trovato è sta- qualcuno avesse ripulito la vettura,
«E le assicuro che c’è ancora del- stimoni dicono che, a pochi giorni vanti dal turbocapitalismo e dalla gloto mezzo indizio che fa pensare al ndr). Ma a destare maggiori dubbi l’altro. Forse l’elemento più concre- dalla morte, gli venne addirittura chie- balizzazione. Intratteneva relazioni
suicidio e circa 20 elementi concre- sono le condizioni del cadavere al to lo abbiamo scoperto di recente: sto di firmare un documento nel qua- con personalità internazionali imti che confutano questa tesi. Ho sem- momento del ritrovamento. Di soli- Luigi Asteggiano,un pastore pie- le rinunciava ai suoi diritti nella ge- portanti, tra cui Henry Kissinger e
plicemente riportato ciò che ho tro- to, il corpo di chi precipita da una si- montese, dice di aver visto il cada- stione Fiat in quanto legittimo erede Colin Powell. Edoardo era convinvato».
mile altezza, all’impatto presenta vere di Edoardo già alle 8.30. Quin- di Gianni Agnelli, in cambio di beni to che un nuovo tipo di economia,
Può elencarci i più significativi? un effetto chiamato in medicina di tutti i movimenti dell’automobi- mobili e immobili, che rifiutò di si- in cui le aziende non servono gli in«Innanzitutto Edoardo non lasciò “sacco di noci” per cui c’è uno spap- le della vittima dopo questo orario re- glare. Questo getta una luce inquie- teressi degli speculatori finanziari ma
alcun biglietto, sebbene amasse scri- polamento completo dello scheletro, gistrati dai caselli autostradali sa- tante sulla vicenda. Quindi c’è ragione delle comunità nelle quali operano,
vere. Nulla lasciava trasparire un ma- assente nel caso di Edoardo. Secon- rebbero un depistaggio. Come vede di credere che chiunque voleva evi- era possibile. Un anticipatore dunlessere interno, né il suo comporta- do alcuni, la caduta fu attutita dal ter- non si tratta di considerazioni astrat- tare che Edoardo intervenisse nella que, che aveva tutte le intenzioni, olmento, né gli ultimi documenti da lui reno fangoso dovuto alla pioggia. Ma te. Nel libro che uscirà l’anno pros- gestione della Fiat abbia deciso di uc- tre che le capacità, di appropriarsi del
redatti prima della morte. Ma so- una fotografia risalente al giorno del
ciderlo».
ruolo che gli spettava di diritto, e che
Pagina a cura di Roberta Casa
prattutto ci sono elementi legati a leg- ritrovamento del cadavere ritrae la
Perché dopo la pubblicazione del gli è stato negato».
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12 Novembre 2010
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Economia
All’Eur il convegno di H2Roma “Il percorso del futuro da oggi al 2010”: unanimi conclusioni
Adesso un’altra auto è possibile
Esposte vetture ibride, elettriche e a idrogeno. Test per il pubblico
Ricerca e industria a confronto nell’ottava edizione
di H2Roma, il grande convegno annuale sulla mobilità sostenibile. Coordinata
da Fabio Orecchini, docente di Sistemi Energetici presso la facoltà di Ingegneria
dell’università “La Sapienza”,
l’iniziativa ha avuto come
cornice il Palazzo delle Fontane, all’Eur di Roma.
Convegni, workshop e
tavole rotonde si sono alternate nell’arco delle tre giornate durante le quali si è articolato l’evento. Molti i temi
trattati, dagli ultimi sviluppi
della ricerca a un futuribile
mondo senza petrolio e, nel
pieno spirito dello slogan
che caratterizza la manifestazione (“vedere, capire,
provare”), la possibilità di
toccare con mano (e guidare) i diversi prototipi messi
a disposizione dalle varie
case produttrici. Da Citroen
a Toyota, da Lexus a Porsche,
ormai tutti i marchi più prestigiosi del settore si sono
tuffati nel campo della sperimentazione tecnologica sul
terreno delle vetture ecologiche.
A contorno delle tavole
rotonde e delle varie prove su
strada, la GreenExpo, l’area
espositiva allestita all’interno
e all’esterno del salone, con
alcuni fra i modelli più interessanti delle vetture ecologiche di ultima generazione.
Molti i dati importanti
emersi dai singoli incontri.
Le auto a idrogeno, in particolare, sembrano avere un
futuro solare: l’ultima barriera rimasta da abbattere
ormai è data dalla distribuzione, perché ad oggi l’idrogeno al kg costerebbe ancora molto, forse troppo in
periodo di recessione.
I test drive hanno comunque evidenziato un progresso dell’ingegneria applicata al settore che ha dell’incredibile, se si pensa che
il fenomeno delle vetture
ibride e a idrogeno è piuttosto giovane rispetto al mercato di appartenenza.
Ad un pubblico già da
tempo sensibilizzato sulla
questione
ambientale,
H2Roma propone dunque
di toccare con mano la concretezza degli sviluppi tecnologici, dimostrando con i
fatti che un’altra auto è già
possibile.
4
12 Novembre 2010
CAYENNE HYBRID
MERCEDES F-CELL
LEXUS RX 450H
TOUAREG HYBRID
Stile e tecnologia
a consumi ridotti
Con il futuro
nelle nostre dita
Compromesso
fra città e viaggi
Il suv tedesco è stato uno
dei modelli più richiesti per il
test drive della H2Roma, ed è
facile intuirne i motivi: nascoste sotto la classe tipica
della Porsche lavorano infatti le tecnologie di domani.
In accensione, oltre all’eleganza degli interni, colpisce specialmente la silenziosità dell’abitacolo: a partire è, infatti, il motore elettrico, che spinge il veicolo
fino alla soglia dei 50 km/h.
L’ibrido propone un ottimo
equilibrio fra consumi, emissioni e prestazioni.
Assenza di emissioni nocive: questo l’ambizioso obiettivo della Mercedes, che presenta il nuovo modello della
sua serie di vetture a idrogeno. L’innovazione più importante è data dall’autonomia:
ben 400 km, contro i 180 della vecchia classe A del 2004.
L’accelerazione è poco marcata e la ripresa soffre dopo
curve molto strette.
Non si riscontrano però
altre differenze sostanziali
con le “cugine” inquinanti, e
questo forse è l’elemento che
colpisce più di tutti.
La 450 propone il comfort
e l’eleganza targate Lexus in
un suv di medie dimensioni,
e si rivolge principalmente ai
cittadini che combattono
quotidianamente con il traffico ma che non vogliono privarsi dell’occasionale viaggio
fuori porta. Acceso il motore elettrico, l’ottimo design
dell’abitacolo garantisce
un’assenza di rumore quasi
totale a consumi bassissimi, l’ideale per la città, mentre il sistema EV aiuta nella
spinta autostradale. Un ibrido per tutte le esigenze.
La sensibilità
nell’accelerazione
La Volkswagen produce un
suv ibrido assai peculiare,
per cura nella scelta dei componenti e per design.
La sensibilità dell’acceleratore è, come negli altri ibridi provati, assai elevata e perdona poco al guidatore: uno
stile di guida più pacato è imprescindibile per una politica
del risparmio, sia in termini
di consumo che di emissioni.
Con 27 centraline, 9 airbag
e un’elettronica fra le più sofisticate di sempre, questo
suv risulta estremamente piacevole e sicuro da guidare.
A colloquio con Fabio Orecchini, coordinatore di un’iniziativa che registra un crescente successo
Il confronto giova a ricerca e industria
“Mi sembra che i petrolieri stiano sottovalutando la portata del fenomeno”
Professor Orecchini, ormai H2Roma va avanti dal
2002, è un’iniziativa che
ha preso piede e l’attenzione di pubblico e media è
cresciuta esponenzialmente
nel tempo. Quale è stato secondo lei il fattore determinante di questo successo?
«H2Roma è un progetto
nato sicuramente al momento giusto. All’inizio si
pensava che le tecnologie
che andavamo analizzando
fossero troppo “in là” nel futuro; poi invece tutti hanno
capito che noi conoscevamo
a fondo ciò che accadeva
nei nostri laboratori e ciò che
accadeva nei laboratori dell’industria, e quindi sapevamo bene che loro avrebbe-
ro portato a breve nel mercato determinati prodotti.
La stampa si è accorta di questo anche in tempi non sospetti: quando abbiamo cominciato, infatti, l’ecologia
era un aspetto marginale
della ricerca di settore. Poi il
tema è diventato attuale e il
numero di riflettori puntati
sul nostro progetto è aumentato».
E così anche l’attenzione
dell’industria.
«H2Roma è un progetto
rafforzato da un’idea unica:
un salone su tecnologia e
mobilità saldamente nelle
mani della ricerca indipendente. Questa caratteristica è
unica al mondo: qui CNR ed
ENEA decidono i temi. La
grande industria accetta ed
anzi gradisce molto questo
“terreno neutro” per venirsi
a confrontare, e in questo
modo secondo me ci guadagniamo entrambi: noi come
ricerca indipendente perché
dimostriamo di poter e saper
parlare con l’industria, loro
perché dimostrano di sapere e voler dire la loro anche
in un terreno dove chiunque
può tranquillamente sostenere una tesi opposta».
Oggi chi sta effettuando
gli investimenti maggiori
nel settore?
«Guardi, una risposta
esatta a questa domanda forse non c’è, anche perché in
realtà parliamo di cordate: c’è
chi su una tecnologia è partito prima, come i giapponesi
sull’ibrido a fine anni 90, e
chi è rimasto più indietro e
sta spendendo adesso ma
non ha speso prima. Di sicuro c’è che gli investimenti oggi sono molto grossi».
I petrolieri come stanno
reagendo a questo cambio,
potremmo quasi dire “epocale” nel mercato automobilistico?
«Mi sembra che stiano
sottovalutando la portata del
fenomeno. Guardando le
Pagina a cura di Raffaele d’Ettorre
proiezioni al 2030 della IEA
(International Energy Agency) sul mercato del petrolio
e del gas, tutto sembra in
grande crescita, e questi sono
i numeri che loro leggono.
Per questo investono ancora nella ricerca di nuovi pozzi e nel migliore sfruttamento di quelli che hanno. I
segnali che vediamo noi invece sono contrastanti: dal
nostro punto di vista il loro
business è in pericolo, perché
le persone non vogliono più
il petrolio, non vogliono un
nuovo Golfo del Messico,
non vogliono più le guerre
per l’oro nero.
Sicuramente uno dei due
si sbaglia, o noi o loro. Staremo a vedere».
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Focus
I signori del denaro Panoramica sul complesso mondo degli istituti di credito in espansione
Sotto la banca l’Italia arranca
L’economista Manghetti: «I grandi gruppi non soccorrono le imprese»
Un paese dominato dalle banche. L’Italia economica, nonostante la crisi finanziaria, continua
a ruotare intorno ai suoi istituti di credito: Unicredit, Intesa Sanpaolo e gli altri big del mercato. I numeri più recenti della Banca d’Italia (del
2008) confermano che mettere i soldi in banca
resta in termini assoluti la forma privilegiata di
risparmio delle famiglie: oltre 1000 miliardi di
«Bisognerebbe domandarsi se le banche oggi stanno davvero promuovendo lo
sviluppo in Italia». Alla fine
dell’intervista, il dubbio che
l’economista e presidente della Cassa di Risparmio di Volterra, Giovanni Vanghetti, lascia in sospeso è questo: perché, come vanno ripetendo
Confindustria e le altre associazioni di categoria, in un sistema come quello italiano
sono le banche i veri signori
del denaro. E sulle loro spalle è sbilanciata la responsabilità di fornire alle imprese
italiane le risorse che servono per rilanciare l’economia.
I numeri della relazione
della Banca d’Italia dicono che
oggi nel paese operano 788
banche. Ma non tutte hanno
lo stesso peso: cinque, cioè
Unicredit, Intesa Sanpaolo,
Monte dei Paschi di Siena,
Banco Popolare e Ubi, controllano da sole oltre la metà
delle attività del sistema in
Italia. Accanto ad esse ci
sono moltissimi piccoli istituti
che operano soprattutto a livello regionale, o addirittura
provinciale. La crisi ha colpito
soprattutto i grandi, che hanno ridotto i loro prestiti,
mentre i piccoli hanno continuato ad espandere il credito, anche se meno che in
passato. E a rimetterci sono
state proprio le imprese: nei
12 mesi del 2009 hanno ricevuto il 3 per cento in meno
di finanziamenti.
Dati che preoccupano Giovanni Manghetti. «In Italia c’è
un tasso di concentrazione
più alto che negli altri paesi
europei. L’obiettivo era superare l’estrema frammentazione del passato e creare grandi gruppi in grado di aiutare
meglio le imprese all’estero». Ma i nuovi istituti non
sono stati “digeriti” bene. «E’
come mangiare una buona
pietanza ma con troppi ingredienti: ti rimane sullo stomaco per diverse ore», chiosa Manghetti. Tutto alla fine
ha un nome preciso: la “finanziarizzazione” degli istituti. Cioè, ricavi pompati con
le plusvalenze, operazioni ri-
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euro tra depositi e obbligazioni. Ma gli istituti di
credito controllano anche il sistema dei finanziamenti alle aziende e, con la crisi, stanno entrando sempre più spesso nel capitale delle imprese. Ultimo esempio è l’Unicredit, che sta per
diventare l’unica proprietaria della società Italpetroli della famiglia Sensi, dopo anni di rate scadute. Mentre la holding del costruttore siculo-
milanese Salvatore Ligresti spera nei 140 milioni offerti dai francesi di Groupama per non essere “mangiato” dai creditori, Mediobanca e Unicredit in primo luogo. Ma qual è la situazione
attuale delle banche italiane? Ne abbiamo parlato
con l’economista e consigliere dell’Abi Gianni
Manghetti e con il presidente del Codacons Carlo Rienzi.
CONTESTATE
Attesa agli sportelli e vignetta
satirica. Mentre per Giovanni
Manghetti, le grandi banche
non sono vicine
alle esigenze
di imprese e famiglie
schiose con i derivati, e una
politica che ha privilegiato i
guadagni della speculazione
piuttosto che lo sviluppo del
credito alle imprese. «Una distorsione, perché si è creata finanza fine a se stessa che poi
è stata “divorata” nella crisi
americana».
Presidente di una piccola e
dinamica banca toscana, ma
anche consigliere dell’Associazione bancaria italiana e,
fino a non molti anni fa, an-
che professore di tecnica bancaria alla Luiss e consigliere di
amministrazione dell’Isvap,
Manghetti è un sostenitore del
“piccolo è bello”. E per questo, dal suo punto di vista, diventa prevedibile anche lo
strano fenomeno registrato
negli ultimi anni (almeno
fino allo scoppio della crisi)
che ha visto crescere molto le
banche locali e le loro filiali a
fianco dei grandi gruppi. «Le
piccole banche sono cresciu-
te di più delle grandi. Sembra
una contraddizione, ma non
lo è: perché stare sul territorio vuol dire avere un rapporto diretto con i propri
clienti, famiglie e imprese, e
riuscire a rispondere ai loro bisogni in modo più adeguato
di quanto possano fare funzionari di grandi banche mandati da Torino, Milano o Siena, per i quali le piccole e medie aziende sono poco più che
numeri».
Alla critica delle associazioni dei consumatori, secondo cui è mancata una
vera concorrenza che portasse a veri benefici per i consumatori in termini di costi
dei servizi finanziari e di interessi pagati ai semplici correntisti, Manghetti replica:
«La situazione attuale del sistema europeo è quella che
è. I tassi sono molto vicini
allo zero; 18 mesi fa erano al
5 per cento. Sui prestiti alle
imprese non si può spuntare niente, perché siamo
schiacciati dalla concorrenza internazionale, mentre
dal lato della raccolta, vista
la grande fame di denaro, la
forza è passata dalla parte dei
depositanti. Oggi non si può
dire: “correntisti di tutta italia unitevi”».
Manghetti è più preoccupato per la situazione internazionale. «La bolla finanziaria non è ancora scoppiata completamente. Gli istituti
sono legati l’un l’altro attraverso i derivati, e ci sono ancora soggetti potenzialmente detonatori, come lo è stata la Lehmann Brothers».
L’Italia fortunatamente è
meno esposta, come paese,
rispetto a Usa e Inghilterra.
Il vero compito delle banche
italiane, alla fine, deve essere la promozione dello sviluppo. «Serve la banca immaginata da Joseph Schumpeter, l’economista austriaco:
un organismo intelligente,
che fa analisi in modo che il
banchiere sappia confrontare le opzioni più convenienti ai fini della crescita del
reddito e della ricchezza di
un paese».
Il presidente del Codacons Rienzi: manca la concorrenza
I clienti? «Limoni da spremere il più possibile». Critico
come al solito, Carlo Rienzi,
presidente del Codacons, non
risparmia le accuse ai banchieri italiani.
Dottor Rienzi, le banche
sostengono che i correntisti
non sono penalizzati.
«E’ assolutamente falso.
Le politiche bancarie, lo dice
il termine stesso, sono tutt’altro che tese a favorire i correntisti, ma semplicemente
ad ingrossare le casse delle
banche».
Gli istituti però sostengono che la scarsa redditività
dei conti correnti è frutto delle politiche della Banca centrale europea, che tiene da
mesi l’euribor ai minimi e
quindi ha ridotto il margine
«Per i banchieri i clienti
sono limoni da spremere»
tra i tassi attivi e passivi su
cui Unicredit, Intesa e soci costruiscono i loro ricavi.
«E’ una visione di parte.
Non dobbiamo pensare solo ai
tassi di interesse, ma anche ai
costi che gli istituti di credito
addossano ai clienti, per qualsiasi tipo di servizio. Costi commissioni e balzelli vari che aumentano sia quantitativamente - con l’introduzioni di nuove e fantasiose commissioni - sia percentualmente, attraverso un incremento di
quelle già esistenti».
Che ne pensa della liberalizzazione della raccolta
del risparmio? L’apertura del
mercato italiano alla concorrenza delle filiali di banche
estere che si stanno aprendo
sul territorio si è tradotta in
vantaggi per le famiglie?
«Così avrebbe dovuto essere, ma non è stato, al punto che l’Antitrust ha avviato indagini sul settore bancario
proprio per capire le dinamiche concorrenziali esistenti
Pagina a cura di Francesco Alfani
nel settore. Addirittura il nostro timore è che vi siano veri
e propri cartelli, tesi a limitare la concorrenza e mantenere elevate le tariffe a danno degli utenti».
Fino all’esplosione della
crisi, era effettivamente più
facile ottenere un prestito,
come sostengono all’Abi?
«Anzitutto non bisogna
dimenticare che la colpa della crisi è da imputare prima di
tutto alle banche, anche se a
pagare, come al solito, sono
stati i cittadini. Vero è che gli
istituti di credito sono diven-
tati più accorti nell’utilizzo dei
propri fondi, e ottenere un prestito oggi richiede spesso di superare un percorso ad ostacoli».
Ma secondo lei cosa servirebbe davvero per garantire un vantaggio effettivo ai
clienti delle banche italiane?
«L’unico vero vantaggio sarebbe quello di creare una
vera concorrenza tra banche».
Come?
«Servono ribassi seri di
costi e commissioni. Serve anche aumentare i tassi di interesse pagati a chi fa depositi
o apre conti correnti. E devono aumentare in modo
massiccio gli sportelli degli
operatori stranieri sul territorio italiano».
12 Novembre 2010
5
Focus
I signori del denaro Con Pietro Reichlin l’analisi del ruolo dei controllori finanziari
La crisi è una lezione da imparare
Le istituzioni saranno più prudenti, i requisiti di capitale più rigorosi
FEDERAL RESERVE
Fu Wilson a istituirla
Autonoma dal 1981
È la Banca Centrale degli Stati Uniti
d’America, istituita dal presidente Woodrow Wilson nel 1913, con l’ approvazione
del Congresso, per fornire alla Nazione un
sistema finanziario e monetario più sicuro,
flessibile e stabile, gestendo i tassi di interesse sul dollaro. All’interno della Fed si distingue il Federal Open Market Committee,
l’organo di indirizzo della politica monetaria,
che influenza la quantità di moneta in circolazione. Le sue attività sono regolamentate dal Federal Reserve Act del 1913, creato sull’onda del panico per la grande crisi
bancaria del 1907. La Banca centrale regola
le situazioni bancarie per assicurarne la stabilità e proteggere i diritti dei consumatori,
contiene il rischio sistemico che può nascere
nei mercati finanziari e fornisce i servizi di
tesoreria per le istituzioni depositanti, il governo degli Stati Uniti e le istituzioni ufficiali
straniere, inclusa la supervisione del sistema dei pagamenti nazionale. Secondo lo
statuto delle banche nazionali americane,
gli istituti azionisti Fed, comprese banche
estere di levatura internazionale, sono suddivisi in 12 distretti. Appartengono al distretto
di New York anche la fallita Lehman Brothers, protagonista della crisi mondiale dell’economia del 2008, la Goldman Sachs e
la Rothschild di Londra.
Parte integrante dell’Eurosistema, la
Banca d’Italia ha una storia secolare: nata
alla fine dell’Ottocento come istituto di
emissione di banconote sul neonato territorio
nazionale, ha raggiunto la piena autonomia
dal governo con una legge del 1992 che attribuisce al suo governatore il potere di disporre di variazioni del tasso ufficiale di sconto senza concordarle con il Ministero del Tesoro. Già nel 1981, però, c’era stato il “divorzio” dallo Stato, con la soppressione dell’obbligo, prima gravitante sulla Banca d’Italia, a coprire i deficit pubblici attraverso l’acquisto di obbligazioni statali. Tuttavia, presta consulenza agli organi costituzionali in
materia di politica economica e finanziaria.
Lo status giuridico di ente pubblico esclude la possibilità di fallimento della Banca
d’Italia e, tramite il suo intervento nei casi
di crisi, la possibilità di fallimento delle
banche private, garantendo la stabilità dell’intero sistema bancario italiano. L’Istituto
promuove il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti attraverso la gestione diretta dei principali circuiti ed esercitando
poteri di indirizzo, regolamentazione e controllo propri della funzione di sorveglianza.
Tale attività, insieme all’azione di supervisione sui mercati, determina la stabilità del
sistema finanziario.
BANCA CENTRALE EUROPEA
Controllore dei prezzi
La Bce svolge un ruolo di monitoraggio
sistematico, in collaborazione con le banche centrali nazionali, degli andamenti
strutturali e ciclici nel settore bancario e finanziario dei sedici paesi dell’area dell’euro. Istituita nel 1992 con il Trattato di
Maastricht, ha lo scopo di gestire il sistema monetario comunitario e il potere d’acquisto della moneta unica, soprattutto attraverso il controllo dell’andamento dei
prezzi nell’ Eurozona e il contenimento del
tasso di inflazione di medio periodo a un
livello inferiore al 2 percento.
ùTra gli strumenti a disposizione della
Bce, oltre le operazioni di mercato aperto,
il più importante è la fissazione del Tur, tasso di riferimento interbancario, al quale le
banche possono scambiarsi il denaro.
Caratteristiche primarie di questo organo
di controllo finanziario sono l’autonomia e
l’indipendenza: gli obiettivi sono stati posti
dalla politica, ma gli strumenti e i percorsi
seguiti per il loro conseguimento sono tutti legati alla sua discrezionalità. Insieme alle
banche centrali nazionali fa parte del cosiddetto “Eurosistema”, che contribuisce
alla regolare conduzione delle politiche perseguite dalle autorità competenti in materia di vigilanza prudenziale sulle istituzioni creditizie e di stabilità del sistema finanziario.
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BANCA D’ITALIA
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SOTTO ACCUSA Riunione di banche centrali. Avrebbero dovuto limitare il leverage
I
controllori finanziari sono
considerati tra i principali
responsabili della attuale
crisi finanziaria. Ne parliamo con Pietro Reichlin, docente
di macroeconomia alla Luiss.
Professor Reichlin, ritiene
necessario un nuovo sistema di
regolamentazione? Quali le caratteristiche?
«Il difetto principale dei sistemi di controllo è che si sono
concentrati su un particolare
settore finanziario, quello delle
banche commerciali. Di conseguenza, sono sfuggiti alla regolamentazione altri tipi di istituzioni finanziarie, come le banche
di investimento, che svolgono
un ruolo importante nell’intermediazione. È accaduto che gli
operatori finanziari hanno cercato di fare il cosiddetto “arbitraggio regolamentativo”, concentrando la propria attività su
settori in cui la regolamentazione era minore. Di fronte all’evoluzione del sistema finanziario
degli ultimi anni la regolamentazione è rimasta un po’ indietro.
Bisogna aggiornarla tenendo
anche conto dello sviluppo dei
contratti derivati».
Quali gli errori dei controllori?
«Oltre ad estendere la regolamentazione a tutto il comparto dell’intermediazione, avrebbero
dovuto limitare il leverage, il rapporto tra passività e capitale, più
di quanto non abbiano fatto.
Tutti i sistemi di controllo del rischio che vengono adottati dai
singoli istituti finanziari generalmente non considerano il cosiddetto “rischio sistemico”, cioè
il pericolo di corsa collettiva
alla vendita delle attività, che ha
effetti a catena e può generare
una crisi. Si tratta di fenomeni di
cui difficilmente può tener conto la singola istituzione finanziaria, ma che il controllore dovrebbe cercare di anticipare».
Con gli ultimi provvedimenti, gli istituti hanno aperto
i rubinetti del credito, iniettando liquidità nel sistema. Quali
sono i rischi di queste operazioni?
«Al momento la liquidità
iniettata non è utilizzata in pieno perchè le istituzioni finanziarie
sono molto prudenti. Il rischio
maggiore si presenterà quando il
mercato ripartirà, perchè tutta
«La Bce è più prudente
della Fed, non
essendosi presentati
grossi squilibri»
questa liquidità darà luogo ad un
eccesso di credito, che potrebbe
generare inflazione. Soprattutto
la Fed dovrà trovare il modo di
arginare l’ espansione di liquidità in maniera rapida, se ciò si verificasse. Un altro rischio è relativo agli squilibri sul mercato dei
cambi: il dollaro si sta deprezzando enormemente nei confronti delle altre valute, specialmente l’Euro e le monete asiatiche. Questo potrebbe generare
una guerra valutaria, per cui tutti cercano di evitare l’apprezzamento della valuta per non colpire il bilancio commerciale, ed
Pagina a cura di Ida Artiaco
eventualmente anche un ritorno
al protezionismo».
Quale è la situazione in Italia?
«La Banca d’Italia ha un
ruolo limitato, rientrando nell’Eurozona. La parte del leone la
fa la Bce, che è sicuramente più
prudente della Fed, anche perché
l’ Europa sta subendo la crisi in
maniera asimmetrica: la Germania va bene, a differenza di
paesi come la Spagna e la Grecia. Ma devo dire che finora la
Banca Centrale si è comportata
bene, non essendosi determinati
grossi squilibri. Dovrà, però,
fare attenzione al deprezzamento del dollaro, per non mettere
fuori gioco, rendendole poco
competitive, le economie del sud
Europa».
Immaginiamo il futuro: come
cambierà, secondo lei, il settore bancario in seguito alla crisi?
«Alcuni esperti, un po’ estremisti, propongono un ritorno
alla separazione tra banche
commerciali e banche di investimento, cercando di avere
una super regolamentazione
sulle prime e di tenere il credito al riparo dalle speculazioni
finanziarie. Io non credo però
che questo avverrà, e, volendo
essere ottimisti, non credo cambierà molto. Si può considerare questa crisi come una lezione da imparare: le istituzioni finanziarie saranno infatti più
prudenti in futuro e saranno imposti requisiti di capitale più rigorosi. Ciò potrebbe evitare di
farci ritornare in una situazione di recessione».
CONSOB
Vigila sulle anomalie
La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa è un’autorità amministrativa indipendente, dotata di personalità giuridica, la cui attività è rivolta alla tutela degli investitori, alla trasparenza e sviluppo
del mercato mobiliare italiano.
Istituita nel 1973 come organo di vigilanza sulle società quotate in Borsa, la Consob ha visto estendere nel tempo le sue
funzioni, in relazione al progressivo evolversi del mercato finanziario e della legislazione in materia, in particolare con
l’avvento del Testo Unico di Finanza del
1998.
Tra le sue funzioni, centrale è il controllo
delle informazioni fornite al mercato dalle
società quotate, attraverso l’accertamento di eventuali andamenti anomali delle
contrattazioni sui titoli interessati. Il finanziamento della Consob avviene in parte
mediante un fondo previsto nel bilancio dello Stato e in parte attraverso contribuzioni versate direttamente dagli organismi e
dagli operatori del mercato. Inoltre, annualmente (entro il 31 luglio) la Consob segnala al Ministro del Tesoro il proprio fabbisogno finanziario per l’anno successivo,
ed indica la previsione delle entrate contributive. Su tale base, il Ministro del Tesoro
determina l’ammontare annuo del fondo a
carico del bilancio statale.
Reporter
nuovo
Focus
I signori del denaro Una mattinata al Monte di Pietà di Roma, affollato a ogni ora del giorno
La banca dei nuovi poveri e non solo
Accanto a chi deposita catenine d’oro c’è chi riscatta o compra pellicce
Andrea Andrei
C’è un orologio digitale appeso al
muro, in alto, simile a quelli delle stazioni ferroviarie. Segna le 9.26 di lunedì 18 ottobre. Ma oggi è mercoledì, è il dieci del mese e siamo a novembre. E, soprattutto, sono le undici
passate. Dieci sportelli, un numerino
elettronico per fare la fila. In pratica,
quello che succede in una normale
banca, o alla posta, quando si vanno
a pagare le bollette. Ma la natura dello scambio in questo caso è molto diversa. Si fa un gran parlare della nuova povertà, di quelli che non riescono ad arrivare a fine mese. Ma difficilmente si riesce ad avere un quadro
definito della situazione finché non
la si guarda nel volto. E uno dei suoi
volti, uno dei più crudi, sta lì, nel cuore del centro storico di Roma, a due
passi da Campo de’ fiori e a quattro
dai negozi delle grandi firme di via dei
Condotti e via Frattina, circondato da
botteghe di compratori e venditori di
oro. Uno dei risvolti più espliciti dell’ultima crisi economica a Roma ha
un indirizzo, che è lo stesso da parecchi anni. Piazza del Monte di
Pietà è il luogo dove si trova la sede
dell’istituto del banco dei pegni, oggi
gestito dal gruppo Unicredit.
Il palazzo signorile che ospita il
LO SCAMBIO Dallo sportello banconote in cambio di oggetti personali d’oro
banco è in fase di ristrutturazione.
L’interno è spoglio, i soffitti sono alti
chilometri. Quando si attraversa
l’atrio si entra, quasi senza accorgersene, in una dimensione diversa,
estranea per chi non vi sia abituato.
Una dimensione in cui c’è chi ti avvicina e ti dice sottovoce che puoi lasciare il pegno a lui, che ti puoi fidare,
che se vuoi compra il tuo oro a quotazioni più vantaggiose.
Bisogna salire le scale per rag-
giungere il primo piano, dove sono
le casse. Ce ne sono due, una per depositare, l’altra per ritirare. Quest’ultima è piena di gente, nell’altra c’è una
fila di una ventina di persone. Ci sono
anziani, ragazzi poco più che maggiorenni, giovani coppie di sposi. C’è
anche Giada, una donna sulla quarantina, accompagnata dalla madre.
È qui da un’ora ed è quasi il suo turno. Racconta che la prima volta che
mise piede qui dentro fu traumatico,
che era subito prima dell’estate e che
in questa stanza si faceva fatica ad entrare. «Forse perché le persone in quel
periodo hanno bisogno di soldi per
le vacanze», dice. Molti usano il
banco anche soltanto come deposito, in particolare per le pellicce, perché lì vengono ben conservate. «Almeno qui le cose stanno al sicuro»,
sospira Giada, «e poi ci sono più tutele. Anche se ogni volta ho un’angoscia tremenda di dimenticare la scadenza per il riscatto o di perdere i moduli. Se sbagli anche di un solo giorno, va tutto all’asta». E così diventa
impossibile avere indietro le proprie
cose, il che succede nel cinque per
cento dei casi. Arrivata alla cassa, Giada lascia cadere sul banco un mucchietto di catenine. La cassiera le guarda, le soppesa con le mani, ci giocherella un po’ mentre Giada compila
i moduli e poi le mette sulla bilancia.
Per l’oro danno 8,40 euro al grammo.
Le lascia qualche banconota.
Seduto ad aspettare c’è anche Luciano. Non veniva qui da due anni.
Ora vive a Firenze. Spiega che «lì non
c’è niente di simile al monte dei pegni. Ma se tutto va bene, fra poco mi
riprendo tutto».
Se al primo piano si nutre ancora
la speranza di poter tornare, a piano
terra, di speranze, non ce ne sono più.
Ci sono le sale esposizione, dove vengono raccolti i beni non riscattati.
In quelle vetrine giacciono gioielli
di ogni tipo, ma anche pellicce e oggetti di arredamento. Pezzi di vita vissuta, vecchie glorie del passato di cui
si andava fieri. Come una serie di
splendidi manufatti orientali in avorio intarsiato e pietre preziose, ognuno dei quali ha una base d’asta che
può arrivare anche a ventimila euro.
Viene da pensare dove potevano trovarsi prima, quale bellissimo salone
arredavano. E adesso sono lì, alla mercè di singolari personaggi armati di
taccuino e lente d’ingrandimento, che
esaminano gli oggetti che proveranno ad aggiudicarsi alla prossima asta
nella sala accanto, per poi rivenderli nei propri negozi o in chissà quale mercato.
Ogni cosa è ben ordinata e ha il
suo cartellino descrittivo. Non ha il
marchio della gioielleria, ma quello
della Banca di Roma. Un simbolo che
compare anche sulle stampelle per le
pellicce. C’è un cartello, in particolare.
“Anelli fede oro incisi opacizzati. Base
d’asta: 140 euro”. Stanno adagiati sul
velluto bianco di una vetrinetta. Legati tra loro, abbracciati l’uno all’altro, forse per l’ultima volta. Dentro,
solo poche parole. “Ettore e Maria
6-7-92”.
Il fenomeno dell’usura in ascesa con un giro di affari di 100 miliardi di euro
I cravattari braccano mamme e papà
Emiliana Costa
Un giro di affari stimato intorno ai cento miliardi di
euro, portato avanti dall’ “amico dell’amico” che nel momento di difficoltà, invece
della solita spalla su cui piangere, offre un prestito a tasso
vantaggioso. Prestito che si trasforma, però, in una vera e
propria condanna con interessi da usura. Il fenomeno sta
diventando un’emergenza sociale, che sembra coinvolgere
in Italia oltre 150 mila esercizi commerciali all’anno, senza contare le famiglie che non
riescono ad arrivare a fine
mese. “La situazione – spiega
Fabio Picciolini, segretario
nazionale dell’associazione
consumatori Adiconsum – si
è aggravata negli ultimi due
anni, a causa della crisi economica e di una politica che
non ha premiato gli stipendi
fissi. Il salario di un operaio
non supera i 1.300 euro, difficile arrivare così alla quarta
settimana”. Nel mirino dei
cosiddetti cravattari, dunque,
Reporter
nuovo
non ci sono più solo giocatori d’azzardo incalliti o imprenditori sul lastrico. Ma
sempre più mamme e papà
che non riescono a mantenere i propri figli, senza dimenticare i single e i genitori separati. “Non si cade più nelle
mani degli strozzini per pagare
le finanziarie o le rate della
legge n. 108 del ’96 non permette ai privati di concedere
denaro e stabilisce una pena
che va da uno a sei anni di reclusione per il reato di strozzinaggio.
“Il nostro sportello antiusura – spiega Picciolini – è
dedicato ai nuclei familiari
colpiti da un sovra-indebita-
«Non si cade più nelle mani degli strozzini per
pagare le finanziarie o
le rate della macchina, ma per sopravvivere»
macchina, ma per sopravvivere”, aggiunge Francesco Iorio, responsabile del fondo
anti-usura dell’Adiconsum.
Ma quand’è che scatta il
tasso illegale? In Italia, il limite
oltre il quale gli interessi sono
considerati usurari viene stabilito ogni tre mesi dal ministero del Tesoro e varia a seconda del tipo di prestito richiesto. Tuttavia, gli unici enti
che possono “far credito” sono
le banche e le finanziarie. La
mento al quale non riescono
più a far fronte. Forniamo
loro le garanzie per richiedere prestiti agli istituti di credito,
con un tetto massimo di 25
mila euro. Una forma di prevenzione rispetto al denaro
poco pulito che può provenire da privati senza scrupoli.
Tuttavia, oggi riusciamo ad
aiutare solo una famiglia su
quattro, a causa delle richieste
sempre più pressanti”. Negli
ultimi dieci anni l’Adicon-
sum si è occupata di 13 mila
casi e il trend è in aumento.
Non è tutto. Se fino al 2008 le
domande di credito si aggiravano intorno ai 12 mila euro,
oggi, a causa della crisi economica, superano i 18 mila. “Il
reddito delle famiglie italiane
– aggiunge Picciolini – è praticamente fermo da sei anni,
con una crescita dello 0,6 per
cento”. Tra i clienti dello sportello, in aumento anche il numero degli immigrati che provano ad aprire un’attività in
proprio, ma che poi non riescono a far fronte alle spese.
“Le vittime dell’usura – racconta Iorio, responsabile del
fondo Adiconsum – si rivolgono a noi per interrompere
un’emorragia economica. Molto spesso, però, sono restie
nell’ammettere di essere cadute nella rete. Per questa ragione ci avvaliamo dell’aiuto
di psicologi”. Fondamentale
anche il lavoro delle forze
dell’ordine, che ogni anno
stanano centinaia di “cravattari”. Cravattari che, però, si
ingegnano e scovano nuovi
CRAVATTARI Un piccolo “aiutino” con interessi alle stelle
modi per estorcere denaro.
L’ultima frontiera del ricatto cresce tra i chicchi di caffé. Gli usurai impongono ai
creditori, titolari di bar e ristoranti, forniture a prezzi che
possono superare dieci volte
quelli di mercato. Una strategia che obbliga, nel giro di pochi mesi, gli imprenditori a rincarare i listini. Fino alla scelta estrema di cedere la licenza
ai criminali. Tra gli strozzini,
poi, ci sono quelli che alle minacce preferiscono il pugno
duro. Una banda di usurai
romani si avvaleva dell’ “aiuto” di un ex campione di box,
Mauro Galvano, pronto a sferrare raffiche di pugni ai malcapitati inadempienti. Senza
dimenticare il “tassista strozzino”, che nella Capitale era diventato il punto di riferimento per i conducenti di auto
bianche in difficoltà. L’usura,
dunque, compie passi avanti.
“Per arginare l’emergenza –
conclude Picciolini – è necessaria una politica economica
che ponga fine al sovra-indebitamento delle famiglie”.
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Focus
I signori del denaro Le grandi banche d’affari Usa e i subprime: fenomenologia di un disastro
Quei colossi dai prestiti d’argilla
Oggi si rischia nuovamente di rientrare nello stesso pericoloso circolo
Chi pensa che i mutui subprime appartengano
ai manuali di storia, si dovrà ricredere. Hanno causato una crisi che il Fondo Monetario Internazionale ha stimato in 4mila miliardi di dollari, eppure
sono tornati con il benestare dell’amministrazione Obama. Infatti, l’approvazione dell’ultima riforma finanziaria, la Dodd-Frank Bill, firmata nel
luglio 2010 dal presidente degli Stati Uniti, il Se-
nato ha bocciato un emendamento presentato dall’onorevole Robert Corner. Proponeva di ridurre la
possibilità di erogare mutui a famiglie poco affidabili. E così, anche oggi, si rischia nuovamente di
entrare in un pericoloso circolo: prima le banche
concedono mutui alle famiglie in difficoltà, poi il
debito viene venduto ai risparmiatori, ingannati dai
giudizi positivi delle agenzie di rating. Tre anni fa
il cerchio si chiuse con un’importante flessione degli indici borsistici e la scomparsa delle banche d’affari più note: Lehman Brothers, Goldman Sachs e
Morgan Stanley. Di prospettive e storia dei mutui
subprime abbiamo parlato con Adriano Bonafede,
caposervizio di Affari e Finanza di Repubblica, e
il preside della Facoltà di Economia dell’università
di Tor Vergata, Michele Bagella.
«La Federal Reserve non ha
vigilato sulle operazioni»
«Servono maggiori controlli
sui grandi gruppi bancari»
Lorenzo d’Albergo
Francesco Alfani
Bonafede, secondo molti
economisti, le banche americane non avrebbero mai
dovuto concedere mutui
alle famiglie ad alto rischio
di insolvenza. È una posizione condivisibile?
«No, non si può negare ad
un’intera fetta di popolazione la possibilità di accendere un mutuo. Il problema è
un altro: i subprime sono stati inventati dalle grandi banche d’affari come Goldman
Sachs e Lehman Brothers
per moltiplicare la leva finanziaria. Attraverso questo tipo di mutui, gli istituti di credito hanno aumentato il loro patrimonio. Così
hanno potuto prestare più
soldi e produrre una liquidità
aggiuntiva, quella moneta
solitamente creata dalle banche centrali. Ma queste operazioni erano coperte da garanzie fallaci, quelle dei mutui subprime. Quindi le banche hanno creato un castello di carte. Caduta la prima,
è cominciato a crollare un intero sistema».
Perché le agenzie di rating hanno permesso alle
banche d’affari di vendere
prodotti legati ai mutui subprime?
«Quando i titoli legati ai
mutui subprime sono stati
impacchettati in panieri da
vendere agli investitori, le
agenzie di rating hanno giudicato la loro affidabilità.
Spesso questi derivati si sono
guadagnati una tripla “A”, un
giudizio che solitamente si
dà a un investimento sicuro.
All’acquisto di titoli di stato
di una nazione come la Germania, non certo a questi
prodotti finanziari dalle gambe d’argilla. Le agenzie di rating, dei soggetti privati,
sono state e ancora oggi
sono messe sotto accusa per
questi giudizi sballati. Sicu-
Obama ha fatto le mosse
giuste. Michele Bagella, preside a Roma all’Università di
Tor Vergata e docente di economia monetaria, promuove
il piano promosso a luglio
dall’amministrazione democratica per evitare una nuova
crisi finanziaria.
Professor Bagella, ritiene che le banche americane
abbiano agito correttamente
nella gestione di titoli legati ai mutui subprime?
«C’è stato sicuramente un
eccesso di azzardo morale
da parte degli istituti di credito. Le banche sapevano
che i mutui venivano impacchettati in portafogli di
prestiti e venduti a comuni investitori. Non hanno tenuto
nella giusta considerazione il
profilo di rischio dei clienti.
Se fossero state più attente al
rischio di credito e alla possibilità di avere restituito il
prestito effettuato, credo che
la bolla non sarebbe stata
così devastante».
Come mai allora le autorità di vigilanza hanno permesso che i mutui subprime
venissero cartolarizzati e
venduti liberamente sul mercato?
«La vendita di questo tipo
di titoli negli Stati Uniti è
sempre stata legale. Avendo
alle spalle un’ipoteca sulle
abitazioni acquistate con i
soldi del mutuo, i subprime
erano ritenuti titoli “coperti”
e quindi relativamente sicuri. Ad ogni modo, una legge
che risale all’inizio degli anni
80 consentiva di venderli
senza nessuna forma di controllo, purchè gli acquirenti
fossero degli investitori istituzionali: fondi pensione,
fondi di investimento, che in
linea di principio avrebbero
dovuto prestare molta attenzione alla loro valutazione».
La Sec però ha messo
8
12 Novembre 2010
IN BILICO «Pensavo che stessimo semplicemente comprando
una casa!». Si legge nella didascalia di una rivista americana
ramente più grave, però, è
stata la quasi totale assenza
di controlli pubblici».
Infatti, sono le banche
centrali che dovrebbero essere tenute a controllare fenomeni del genere.
«La Federal Reserve non
ha vigilato sulle operazioni
delle grandi banche d’affari.
Ripeto, sono mancati i con-
«Hanno lasciato
andare il cavallo
senza briglie»
trolli pubblici. I vertici della banca centrale americana
hanno lasciato andare il cavallo senza briglie e poi si
sono accorti troppo tardi
che correva all’impazzata.
Pensavano di poterlo domare. Invece, si è persa la possibilità di governare la crisi».
E anche l’Europa è stata
inghiottita dalla crisi dei
mutui subprime. Questa tipologia di prestito è diffusa
soprattutto nei paesi anglosassoni, Stati Uniti e Inghilterra, mentre non lo è
negli altri grandi paesi industrializzati. Perchè? C’è
una differenza di tipo “culturale”?
«In America c’è una società
più liberistica, dove i poteri
pubblici tendono a non far pesare la propria presenza. In
Europa, invece, i controlli
delle banche centrali sono
molto più forti. Basti pensare
alla rigidità di alcuni provvedimenti delle banche centrali di Francia, Germania, Italia
e Spagna. Negli Stati Uniti le
maglie dei controlli sono molto più larghe: si può fare
qualsiasi cosa purché non sia
vietata. Allora le banche erogano mutui a una fetta di
clientela non perfettamente sicura. In parte, lo stesso discorso vale per la Gran Bretagna. Londra è una piazza
molto finanziarizzata, mentre
quelle europee sono molto
più tradizionaliste».
Anche le banche europee,
però, hanno usato il trucco
della leva finanziaria.
«Si sono indebitate per far
contrarre altri debiti. E quando succedono queste cose,
c’è sempre uno che rimane
con il cerino in mano. Una
volta spento dalla recessione,
si è innescata una reazione a
catena che ha finito per ripercuotersi su tutti».
INSTABILI «In questi giorni ci capita di vedere molti più problemi
di questo tipo alle fondamenta!»
sotto inchiesta Goldman
Sachs per frode. Il suo comportamento non rientrava
nella cornice della legge?
«La Goldman è una società quotata. I suoi bilanci
devono essere veritieri e le
singole poste devono essere
prezzate correttamente. L’intervento della Sec non ha
messo in discussione l’emis-
«La vendita dei
subprime è sempre
stata legale»
sione di derivati. Evidentemente l’ipotesi è che ci sia stata una consapevole sopravvalutazione dei titoli derivati del suo patrimonio, un
comportamento scorretto forse dal punto di vista contabile. Ma sicuramente in generale la responsabilità riguarda tutte le banche del sistema. Questi titoli erano
usati come liquidità pura,
come la moneta; li si prendeva senza pensarci troppo».
E’ stato giusto salvare le
banche?
«Lo Stato doveva intervenire per evitare che si sfa-
sciasse tutto. C’è stato un
momento di panico in cui è
crollata la fiducia del cittadino comune nei confronti del
sistema bancario: la gente
stava già preparando la corsa
agli sportelli».
Cosa pensa del piano
Obama per la riforma delle
leggi che regolano il mercato finanziario?
«Mi sembra un ottimo
progetto. D’altronde noi abbiamo un sistema iper regolamentato per tanti aspetti
della vita produttiva; è più
che giusto estendere le regole per tutelare una risorsa
fondamentale come il risparmio. Il Financial Stability Board è stato messo insieme proprio per cercare di fare evolvere le legislazioni nazionali
e raggiungere due obiettivi:
evitare rischi sistemici e, soprattutto, prestare maggiore
attenzione ai grandi gruppi.
Fino a ieri partivamo dalla
convinzione che tutti gli operatori del mercato finanziario
fossero uguali. Ma non è
così. Una delle grandi novità
del piano è riconoscere che
esistono soggetti in grado di
diventare essi stessi, con le
loro attività, una fonte di rischi per il sistema».
Reporter
nuovo
Mondo
Dove va lo Yemen: i terroristi lasciano la tradizione. Intervista a Daniele Mastrogiacomo
Al Qaeda ora cerca nuovi Bin Laden
Necessario più lavoro di intelligence. Le difficoltà del musulmano Barack
Emiliana Costa
«Al Qaeda si sta riorganizzando». A sostenerlo è
Daniele Mastrogiacomo, inviato speciale di Repubblica,
in risposta alle domande di
Reporter Nuovo sulla questione dello Yemen, dopo i
recenti pacchi bomba inviati dal Paese a diversi leader
europei. «Il santuario del
terrore più famoso del mondo – aggiunge - si allontana
dalla tradizionale guida di
Osama Bin Laden e del dottore Ayman al-Zawahiri, cercando rifugio in altri territori.
Oltre allo Yemen, anche la
Somalia e il triangolo Mauritania, Mali e Niger rappresentano nuove realtà dove
l’organizzazione sta prendendo piede. Fermo restando che Bin Laden potrebbe
essere ancora vivo, nascosto
in una provincia delle zone
tribali a cavallo tra Afghanistan e Pakistan».
E’ appena stato bocciato
a Bruxelles il piano tedesco
che prevedeva una lista nera
degli aeroporti a rischio. Il
parlamento europeo ha fatto la scelta giusta?
«Sarebbe necessario imporre agli aeroporti regole
più ferree. In questo caso le
autorità yemenite non sono
state in grado di bloccare i
GEO-TERRORE Nella mappa lo Yemen, la nuova “casa” di Al Qaeda e il Golfo di Aden, crocevia del mercato petrolifero. Sulla destra, Osama Bin Laden
pacchi pericolosi. Si può arrivare quindi a “embargare”
alcuni scali temporaneamente, ma credo che il problema del terrorismo vada risolto in altro modo».
Obama nello Yemen valuta nuove opzioni militari.
Si tratta di un modo per delegare il controllo delle operazioni all’intelligence scavalcando il governo yemenita?
«Questo è un eterno pro-
blema. C’è la questione della sovranità da rispettare,
ma allo stesso tempo scarsa
fiducia nell’amministrazione
locale. Accade anche con il
Pakistan. Nonostante gli ingenti finanziamenti che gli
Usa inviano al Paese, il governo ha un atteggiamento
ambivalente. Nel caso dello
Yemen, da un lato gli americani continuano a inviare i
soldi per rafforzare le forze di
sicurezza interne. Ma dal-
l’altro, ritengono che sia ora
di colpire le “zone rosse” segnalate dai servizi segreti».
A nove anni dall’11 settembre il terrore viaggia ancora in aereo. I cargo sembrano essere i mezzi meno
sicuri. Come porre rimedio a questa situazione?
«La soluzione è quella di
attuare controlli meticolosi,
anche a scapito della velocità nelle azioni di carico merci. Le misure di sicurezza,
però, non hanno effetto se
non sono supportate da un
efficace lavoro di intelligence. Gli ultimi pacchi bomba
sono stati scoperti grazie
alla soffiata di un pentito di
Al Qaeda».
Il leader di Al Qaeda,
Anwar al Awlaki, si trova attualmente nello Yemen e
ha incitato i suoi a uccidere tutti gli americani. Si
tratta di una reale minaccia
post 11 settembre?
Il paese è ancora in ginocchio ma, secondo gli istituti internazionali, il peggio è alle spalle
La Grecia ci prova a uscire dalla crisi
Ida Artiaco
“Ven iparsi salìo”. I greci
avranno ripetuto spesso questa frase dallo scoppio della
crisi finanziaria che ha colpito le penisola ellenica all’inizio del 2010. Nella loro
lingua, musicale e senza tempo, queste parole significano
“non c’è più niente”. Parole
antiche, dall’ascendenza
omerica, che fotografano la
tragedia moderna di un paese che, dopo oltre un decennio di crescita costante, ha
subito una brusca inversione
di tendenza, con un prodotto interno lordo inferiore
all’1 percento e un debito
pubblico superiore al 113
percento. Una recessione senza precedenti dovuta, secondo gli esperti, da un lato
agli effetti della crisi economica internazionale, dall’al-
Reporter
nuovo
tro a elementi di debolezza per i prossimi tre anni in se- però, fermato a 250 milioni.
interna, tra cui un’ economia guito al piano di aiuti per 110 Qualche greco ha smesso di
inefficiente e fortemente re- miliardi concesso dall’Euro- fumare, molti sono passati al
golamentata, povera di un si- gruppo. Non solo: sono pre- mercato parallelo gestito dai
stema di liberalizzazioni e visti tagli e congelamenti sul contrabbandieri italiani.
concorrenza, e un mercato piano occupazionale, sala- L’obiettivo è scongiurare la
del lavoro troppo rigido. Per riale e pensionistico, anche previsione di alcuni econonon parlare della dilagante nel settore privato, oltre a un misti, secondo i quali il decorruzione
bito pubblico
in settori
greco arriverà
come quel- La situazione è difficile: i prestiti e i consumi sono entro tre anni
lo dell’assial 150 percendrasticamente calati, il mercato delle auto si è
stenza sanito del prodottaria pubbli- dimezzato, quello degli elettrodomestici è in stallo to interno lorca. Nonodo. I prestiti e
stante, sei
consumi
condo la Banca Centrale Eu- aumento intorno al 10 per sono drasticamente calati: il
ropea e il Fondo Monetario cento delle imposte su car- mercato delle auto si è diInternazionale, il peggio sia buranti, alcol, beni di lusso e mezzato, quello degli eletormai alle spalle, il paese è sigarette. Basti pensare che trodomestici è in pieno stalancora in ginocchio e conti- oggi il prezzo di un pacchet- lo. Secondo Eurostat i preznua quotidianamente a fare i to di Malboro gold è stato zi al consumo sono calati delconti con la manovra di au- portato a 3,80 euro, con la lo 0,5 percento, ma non basterità da 30 miliardi di euro, speranza di incassare a fine sta. Anche il mercato imche il governo socialista di anno 1,13 miliardi. Nei pri- mobiliare sta attraversando
George Papandreu ha varato mi sei mesi il gettito si è, un periodo di crisi, mentre i
commercianti stanno mettendo in atto una vera e propria fuga, dal momento che
circa il 17 percento dei negozi
ha chiuso i battenti negli ultimi dieci mesi. Una vera e
propria macelleria sociale.
Ma, anche se le misure di austerity adottate dal governo
sono risultate impopolari,
come testimoniano i quattro
scioperi generali che si sono
svolti ad Atene e hanno paralizzato l’intero paese, esistono buoni presupposti per
essere ottimisti. Nell’opinione pubblica sta crescendo la
consapevolezza che ostacolare le riforme di fatto porta
solo alla tutela dei privilegi di
cui beneficiano soltanto poche persone. Anche perché
solo con questi interventi
governativi si può effettivamente scongiurare il default
della Grecia.
«Questo è un momento di
stanca. Al Qaeda è in difficoltà e ha bisogno di apparire
sulla scena mediatica. Dopo
le “missioni del terrore” in
Iraq e in Afghanistan, l’organizzazione ha bisogno di
trovare una nuova collocazione come guida per la lotta jihadista a livello mondiale. Si tratta, dunque, di
propaganda per diffondere
nuovi obiettivi capaci di attrarre la popolazione».
Al Qaeda punta a impadronirsi del Golfo di Aden,
nello Yemen, crocevia del
mercato petrolifero. Un
espediente per “soffocare”
Israele?
«E’ una forma di condizionamento economico e
commerciale non solo di
Israele, ma di tutti i grandi
Paesi, dagli Usa alla Cina. In
questo modo, controllerebbero il passaggio del 40 per
cento delle merci a livello
mondiale».
Alla conferenza stampa
di Bombay, Obama ha chiarito che non intende iscrivere il Pakistan tra i Paesi
terroristici, perché si tratta
di un grande Paese che va
aiutato. Cosa c’è dietro questa dichiarazione?
«Ci sono sicuramente le
origini musulmane del presidente, una sua particolare
sensibilità verso la causa religiosa. Ma anche una vera e
propria strategia politica. Il
Pakistan è un alleato fondamentale degli Usa nella regione, sia per la guerra in Afghanistan che per i rapporti con l’Iran».
12 Novembre 2010
9
Cronaca
Italia pecora nera dell’e-commerce mondiale. Spedizioni perse, danni e arrivi a rilento
I pacchi dall’estero, un buco nero
Le proteste di venditori e acquirenti su eBay. Sotto accusa Poste Italiane
Lorenzo d’Albergo
“We don’t ship to Italy”, non spediamo in Italia. Basta una frase, bastano cinque parole, per diventare la
pecora nera dell’e-commerce mondiale? Sì, in particolar modo se vengono ripetute 32mila volte. Tante
sono le inserzioni pubblicate su eBay,
la piazza di compravendita on-line
più frequentata del mondo, che tagliano fuori l’Italia dal villaggio globale.
Nei forum messi a disposizione degli utenti dalla piattaforma di shopping virtuale, i power-seller, i venditori con il più alto numero di transazioni riuscite, sanno con chi prendersela. «Effettuiamo spedizioni verso 89 nazioni e in otto anni abbiamo i venditori è quello di dover rimborraggiunto il 100 per cento di transa- sare la merce spedita, senza neanche
zioni concluse positivamente in 88 averla più indietro. Oppure di perdere
paesi. Soltanto in Italia - racconta in credibilità. Su eBay esiste il sistel’utente Recordrat, specializzato nel ma dei feedback: l’acquirente può
commercio di dischi musicali e film dare un giudizio negativo, ovvero
da collezione - siamo al 47 per cen- contribuire alla cattiva fama di un
to. Perchè? Perchè i pacchi conti- venditore, se il pacco viene consenuano a sparire nel buco nero italia- gnato in ritardo o se la descrizione
no?». In Australia c’è
nell’inserzione non
chi ha trovato la dracorrisponde all’oggetstica soluzione al proto effettivamente riceIn trentaduemila
blema. «Ci sono due
vuto.
inserzioni su eBay
rimedi. Non vi affidaNaturalmente, non
te al disastrato sistema si pratica l’embargo sono solo i commerpostale italiano e specianti a vivere nel terverso l’Italia
dite i vostri oggetti trarore di avere a che fare
mite corriere privato.
con il nostro servizio
Oppure, più semplipostale. Cancellato dal
cemente, eliminate dalla vostra ru- mondo delle compravendite on-line,
brica i clienti italiani». «Purtroppo anche l’utente italiano che cerca l’afqualcosa non funziona nel nostro si- fare in rete è disperato. Gli eBayer nostema doganale», risponde ai due un strani scrivono guide, si scambiano
imbarazzato eBayer di Milano.
i numeri di telefono dei centri di smiInviare merce da un paese extra- stamento dei pacchi e consigli per
comunitario verso il nostro paese è, combattere un nemico comune: le
infatti, una vera e propria scom- dogane.
messa. E di ogni scommessa bisogna
In ognuno dei quattro magazzini
calcolare il rischio. In questo caso, per - Roma, Genova, Lonate Pozzolo, in
GENOVA
Uno dei più grandi
gateway di Poste
Italiane si trova nel
capoluogo ligure.
Qui arrivano dai
duemila ai tremila
pacchi al giorno
provincia di Varese, e Roserio, nel milanese - arrivano tra i duemila e i tremila pacchi al giorno. Magazzini
che non possono, però, essere definiti quali vere e proprie dogane.
Della gestione di questi giganteschi
porti del commercio on-line si occupa
Poste Italiane. I funzionari dell’Agenzia delle dogane possono accedere a questi centri solo per eseguire
controlli a campione. Il servizio di
sdoganamento dei pacchi postali è
quindi offerto direttamente da Poste
Italiane in regime di domiciliazione,
ovvero senza più l’obbligo di far
ispezionare al personale delle dogane le merci provenienti da paesi extra-comunitari.
«Premesso che la normativa doganale è particolarmente complessa
- spiega l’avvocato Giuseppe Calabi,
esperto di diritto commerciale e collaboratore di NetComm, consorzio
che promuove lo sviluppo dell’ecommerce in Italia - è difficile dare un
quadro completo della situazione. Si
può però tranquillamente affermare
che la lentezza burocratica e, più in
generale, la scarsa efficienza delle do-
stema di pagamento collegato a
eBay, li costringe a restituire la somma incassata al termine dell’asta. Basta che chi ha comprato inoltri al sistema il reclamo entro 45 giorni dalla spesa. Una volta rimborsato il
cliente, per il venditore inizia un
nuovo, indeterminato, periodo di attesa: il pacco fermo in dogana dovrebbe essere rispedito al mittente.
«La merce dovrebbe tornare indietro - spiega Calabi - dipende dagli accordi presi da Poste Italiane con i fornitori di servizi postali esteri. Si dovrebbero soltanto pagare, o quanto
meno negoziare, i costi di rientro».
Ma sul forum di eBay fioccano le lamentele: gran parte dei pacchi provenienti da paesi extra-comunitari
gane scoraggiano gli utenti e il nu- non torna al mittente e il venditore
mero di italiani che si rivolgono al- perde tempo, soldi e merce spedita.
l’e-commerce stenta a decollare». Il Perde la voglia di trattare con poproblema arriva al momento della tenziali acquirenti italiani.
consegna della spedizione, il passo
E l’Italia rischia di rimanere agli
successivo al custom clearing, ovve- ultimi posti nella classifica dell’ero quando il pacco entra in uno dei commerce anche per i prossimi
quattro centri di smistamento di Po- anni. La digitalizzazione dei prodotti
ste Italiane e viene registrato dal culturali, che, grazie alle nuove tecpersonale. A questo
nologie, si può già tocpunto la merce ordicare con mano, portenata finisce nel “buco
L’avvocato Calabi: rà con sé nuovi pronero” degli hub itablemi. Secondo l’av«Rischi anche per vocato Calabi, la prosliani. Ritardi, bolle
per lo sdoganamento l’avvento dell’editoria sima grande discusspesso compilate in
sione nel mondo dell’edigitale»
modo errate e, nel
commerce sarà quella
peggiore dei casi, danrelativa all’editoria dineggiamenti o smargitale. «Gli e-book
rimenti degli oggetti acquistati su in- scontano un’aliquota superiore riternet sono all’ordine del giorno.
spetto a quella prevista per i libri carGli eBayer vivono nell’incertezza: tacei, per i quali è previsto un tratpossono trascorrere giorni, setti- tamento particolare per quanto rimane, addirittura mesi, prima di ri- guarda il pagamento dell’Iva. L’incevere un pacco che abbia avuto la dustria dei contenuti digitali, in visfortuna di passare per uno dei sta di una prossima grande espanquattro centri gestiti dal servizio po- sione, è già molto preoccupata da
stale italiano. E più passa il tempo, questa situazione e non tarderà a farpiù i venditori tremano. Paypal, il si- si sentire».
Dopo il concorso-beffa con oltre 3.000 partecipanti per 200 posti da notaio
Chiara Aranci
Una casta sempre più
chiusa ed elitaria quella dei
notai. Una professione antica che nel corso degli anni ha
conquistato sempre più prestigio. Per via dell’accesso
difficile e sempre più selettivo alla professione, per via
dell’autorevolezza, per via
dei compensi elevati che richiede ogni sigillo di notaio:
nell’ultimo concorso sfumato per presunte irregolarità
durante le prove i concorrenti sono stati 3300. Un
numero alto se si considera
che i posti a disposizione erano solamente 200.
In epoca romana il notarius era lo schiavo che ave-
10
12 Novembre 2010
Perchè quel sigillo è tanto ambito?
va il compito di scrivere velocemente le note. Con Carlo Magno gli atti stipulati dal
notaio danno certezza dei
rapporti giuridici e sotto
questo profilo si è sviluppata la professione attuale, che
è quella di un ufficiale pubblico che ha la funzione di
garantire la validità dei contratti e dei negozi giuridici,
attribuendo pubblica fede
agli atti e sottoscrizioni apposte alla sua presenza. Solo
nei paesi dove vige il civil
law (76 su 192, tra cui la
Cina) esiste la figura del notaio di tipo latino, mentre nei
paesi di common law le funzioni notarili sono svolte
dagli avvocati.
Tra le certezze che offre la
professione di notaio vi è sicuramente il compenso economico. Il tariffario è stabilito dal Consiglio Nazionale
del Notariato e segue criteri
proporzionali per il valore
dell’atto che si va a stipulare.
Nei costi di un atto notarile
rientrano l’ammontare delle
imposte e delle tasse che il
notaio riscuote per lo Stato,
delle spese che devono essere sostenute presso pubbliche
amministrazioni per la pre-
parazione dell’atto e dei successivi adempimenti e gli
onorari spettanti al notaio per
l’attività che svolge ma anche
la garanzia che la regolarità di
un atto notarile possa evitare futuri contenziosi in tribunale. Ma forse sempre più
rientrano nei costi del notaio gli anni passati a studiare
per prepararsi al concorso,
spesso anche usufruendo anche di costose scuole private, a cui si accede dopo una
laurea in giurisprudenza e diciotto mesi di praticantato
presso uno studio notarile.
Chi arriva al concorso lo
fa con l’estrema convinzione
di potercela fare perchè il
concorso è complicato e richiede una preparazione di
alto livello. Oggi, la mancanza di un mezzo fluido,
come gli ultimi fatti di cronaca hanno dimostrato, per
accedere a una delle professioni più ambite e che gode
ancora oggi di un prestigio
storico, rende la corsa al sigillo sempre più competitiva
e molti, attratti anche dai ragguardevoli compensi dedicano anni della propria vita
a inseguire l’abilitazione. Forse un’implicita volontà da
parte di chi è già dentro, di
mantenere ristretta quella
che è per antonomasia “la casta ” anche se sul territorio le
sedi da coprire sono ancora
circa millecinquecento. Bisogna sfatare un luogo comune per cui solo i figli dei
notai avrebbero accesso alla
professione. Se nel passato
questo poteva essere vero, e
ciò accadeva per mantenere
in vita l’attività dello studio
e tramandare la professione
di padre in figlio, oggi sono
solo il 17, 5 percento di chi
esercita la professione è figlio
di notai, una percentuale
molto minore rispetto ad altre professioni come quella
dell’avvocato o dell’architetto.
Reporter
nuovo
Costume & Società
Sempre più intenso
sui siti internet
e nelle caselle email
il bombardamento
di lanci con storie
di ogni genere
in arrivo da ogni
parte del mondo:
luoghi esotici e
testimonianze visive
dalle realtà
più diverse tra loro
Il girotondo delle emozioni
Sono in aumento gli entusiasti (e innocui) untori telematici dell’allegato
Sorridenti donne soldato,
vecchie pubblicità degli anni
Cinquanta, colorati carri ornati
di fiori e frutta. Immagini che
scorrono una dopo l’altra, che
fanno viaggiare nel tempo e
nello spazio, esplorare luoghi
esotici, rivivere momenti memorabili o solamente sorridere per un attimo. Tutto senza
muoversi dalla propria sedia e
dal proprio computer. Tutto
grazie ai tanti file dalla provenienza pressoché sconosciuta
che riempiono ogni giorno le
nostre caselle di posta elettronica. Chi di noi, aprendone
uno, non si è mai chiesto:
“Ma da dove arriveranno? Chi
e perché inventa queste postmoderne catene di Sant’Antonio in cui, però, non si chiede nulla in cambio?”
L‘uomo è un animale sociale, sentenziava Hobbes. Che
è anche una mosca prigioniera del virtuale, lo ha aggiunto
Baudrillard due secoli e mezzo dopo. E in uno spazio così
anonimo e selvaggio come è il
web, in cui ogni individuo si riduce ad una combinazione di
numeri ed impulsi elettrici, an-
IN RETE
Quattro
esempi di
fotomontaggi
tratti da una
delle
numerose email dedicate
a pubblicità
che hanno
ricevuto premi:
Burger King,
Pepsi, Nike e
Bayer
che il navigatore più solitario
non può fare a meno di ancorarsi nel porto sicuro dell’altro,
condividendo con amici e conoscenti pensieri, parole, informazioni, emozioni. Così,
nell’era postmoderna dell’ipervelocità, l’homo ludens va
alla ricerca di un modo rapido
ma efficace per mantenere la
sua rete di relazioni, augurando buona giornata o facendo ridere con storielle divertenti, stupendo con meravigliosi tour virtuali di città lontane o rilassando con piacevole
musica classica. L’importante è
esserci.
Ad esaudire ogni esigenza
ludica ci pensano dei siti internet che, con un certosino lavoro di catalogazione in base
agli argomenti, raccolgono
gallerie fotografiche per tutti i
gusti. Amore, cuccioli di animali, frasi di personaggi famosi
che donano pillole di saggez-
za in musica. Oppure basta andare su YouTube, un potenziale contenitore infinito di divertimento, scaricare un video
e allegarlo a una mail. E il gioco è fatto. Ma c’è anche chi,
per passione o per lavoro,
crea la propria personale presentazione in Power Point e la
manda ad amici e conoscenti.
A diffondersi, in poco tempo,
ci penserà da sé: come un virus (il messaggio) che si espande a suon di starnuti (i destinatari che a loro volta diventano mittenti), l’allegato contagerà sempre più persone,
fino a diventare un vero e
proprio pezzetto di cultura
indipendente (un meme).
I primi a sfruttare questa
potenzialità virale del web,
neanche a dirlo, sono stati i
pubblicitari, che per raggiungere un consumatore sempre
più bombardato di messaggi,
hanno inventato un tipo di
marketing - virale, appunto che veicola video e siti internet apparentemente innocui
ma che poi si rivelano pubblicità. Sicuri di voler aprire
l’allegato?
Parla Elio Mauro, che si definisce allegatomane: «Ne ricevo da tutto il mondo»
Un modo per divertirci tra amici
Allegati come pezzi di sapere erranti,
come memi (questo il nome Richard
Dawkins ha coniato per le unità di evoluzione culturale ne “Il gene egoista”) che si
propagano in tutto il mondo. Ne parliamo
con Elio Mauro, ex dirigente Iri, un «allegato mane», come si è definito lui stesso.
«Solitamente - rivela Mauro a Reporter
Nuovo - mi arrivano cinque o sei allegati
al giorno ma ne rispedisco solo due». Un
bel numero, che presuppone un attento lavoro di selezione dei materiali più interessanti. «I miei fornitori più prolifici
sono vecchi amici che abitano all’estero: belgi, olandesi, americani… Ma anche una italiana che li riceve dal Sudafrica. Su internet la globalizzazione c’è da decenni…».
Che tipi di allegati riceve e decide di
Reporter
nuovo
rispedire?
«Intanto ci sono le gallerie fotografiche
che raccolgono i soggetti più vari: paesaggi, animali, opere d’arte, spesso create dagli stessi autori per pubblicizzarsi. Poi ci
sono i filmini, la maggioranza dei quali si
trova su YouTube, e le barzellette che fanno il giro del mondo: la stessa storiella su
Berlusconi, per esempio, la ritrovo in francese su Sarkozy. Poi ci sono gli allegati con
messaggi politici e persino quelli per bambini. Insomma, c’è una gamma infinita di
soggetti e modi di rappresentare eventi».
Per quale motivo manda mail con questi allegati?
«Avendo vissuto all’estero ho amici in
Pagina a cura di Giulia Cerasi
tutto il mondo e questo è un modo per tenerci in contatto, per divertirci insieme. Per
l’80 percento invio e-mail con contenuti divertenti. Poi ci sono le informazioni di vario genere, come ad esempio sulla salute.
E qui bisogna stare attenti perché girano
molte bufale. Questo è il lato negativo».
Cosa si aspetta da chi riceve queste
mail?
«In primo luogo reciprocità: se io mando allegati ma nessuno me li rimanda il
meccanismo non funziona. E poi è un
modo per dire a una persona lontana “ti
penso, ti voglio bene”. Ma sempre in maniera personale: ad ogni allegato aggiungo un commento mio, una chiave di lettura e quindi trasformo l’allegato standard
in un messaggio su misura».
FANDANGO
Col web 2.0
operazione
di marketing
Un tavolo di legno
grezzo con diversi oggetti poggiati sopra: due
tavole di Rorschach, un
santino, un chiavetta
usb, un cellulare. Un’immagine misteriosa, corredata da un simbolo
ancor più oscuro che
solo chi ne era a conoscenza poteva identificare come una X e una Y
intrecciate. Di che si tratta? Della campagna pubblicitaria, tutta virale,
lanciata dalla casa editrice Fandango per promuovere il nuovo libro
di Sandro Veronesi, già
autore di “Caos calmo”.
Per suscitare curiosità e
passaparola intorno all’uscita del libro, “XY”
appunto, avvenuta il 21
ottobre scorso, sono state sfruttate tutte le potenzialità del web 2.0,
disseminando qua e là
indizi da decifrare: un
enigmatico sito internet,
frasi e immagini su Facebook, ma soprattutto
alcuni video (piuttosto
inquietanti) che a partire da YouTube hanno
fatto il giro dell’Italia (e
non solo) sulle e-mail di
tanti curiosi. Un’operazione di viral marketing
di tutto rispetto, che in
sei mesi ha ottenuto ottimi risultati. Nelle sole
prime 24 ore, oltre
10.000 persone hanno
visitato e commentato
il sito di XY sulle pagine
ufficiali del progetto sui
social network. Ancora
nessuno può sapere
quante copie in più la
campagna regalerà al libro, di certo c’è che finalmente il web e i suoi
utenti sono stati “usati”
dall’editoria libraria in
modo innovativo. La parola ora passa ai lettori.
12 Novembre 2010
11
Costume & Società
In Italia boom delle riviste patinate. Ce ne sono 83 e vendono molto di più dei quotidiani
L’irresistibile fascino del gossip
Il conduttore Gianni Ippoliti: «Taroccano le foto, e i lettori applaudono»
Francesco Alfani
Se siete snob vi potete dedicare alla
lettura delle sobrie “Gioia”, “A” o “Vanity Fair”. Oppure vi piace proprio affacciarvi dal buco della serratura: in
quel caso, vi rivolgerete a qualcosa di
più aggressivo, come un “Eva tremila”, una “Cronaca vera” o un “Vip”.
Volete ancora altro gossip? Scegliete
a caso tra questi: “Di Tutto”, “Donna
Più”, “Tutto di tutti”, “Vivo”, “Vera”,
“Di Più Tv”, “Visto”, “In”, “Grazia”,
“Chi, “Gente”, “Novella Duemila”. Se
volete la cronaca rosa, siete nel paese giusto e nel momento giusto.
Lo sa bene Gianni Ippoliti, giornalista Rai che da ormai sette anni tiene una “rassegna stampa rosa” nel
corso della trasmissione “Mattino
in Famiglia”, su Raidue, in cui scherza sull’invasione della cronaca di costume nelle edicole italiane. «Siamo
arrivati a 83 testate», ci racconta,
«molte delle quali nate recentemente. Una iperdiffusione che penalizza
la qualità dell’informazione».
I settimanali che spifferano le in-
INVASIONE Le edicole sono piene di settimanali di costume
discrezioni sul “divorzio” tra Fabrizio Corona e Belen Rodriguez o intervistano un miracolato da Padre Pio,
infatti, vanno bene. Il caso più eclatante è quello di “Di Più Tv”, che, fondata nel 2005, ha rapidamente scalato
le posizioni in classifica e oggi, con
una tiratura di oltre 600 mila copie,
sta davanti ad ammiraglie come
“Chi”, “Gente” e “Donna Moderna”.
Ma per vendere usano tutti i mezzi,
come, ad esempio, un uso “creativo”
delle foto.
«I settimanali abusano di immagini di repertorio totalmente decontestualizzate; il politico con la
giacca quando è estate, o abbronzato in inverno», racconta divertito Ippoliti. «Leggi che tra Christian Vieri e Melissa Satta è tornato il sereno,
e sopra c’è una foto di Bobo con la
faccia inc... Ma come si fa?».
Sfruttare gli archivi non è l’unica
pecca delle riviste rosa. «C’è anche
il photoshop, che per me è la forma
di manipolazione più esilarante, o se
vuoi la più grave. Leggi “splendida
come una ventenne”, e ti domandi:
splendida chi? Anche perché quando confronti la foto ritoccata con l’originale, spuntano rughe, borse, volto sfigurato da lifting o da operazioni sbagliate».
Gli imputati non sembrano prendere male le critiche. «Arrabbiarsi?
Figurati. Siamo sempre alle solite, tutti vogliono essere citati. Anche perché la rassegna stampa fa segnare il
picco di share della trasmissione».
Del resto, il settore gode oggi di un
ottimo stato di salute, confrontato
con il panorama generale della carta stampata. A ottobre è apparso sulla scena anche il primo free press che
si occupa solo di costume. “Io Spio”,
questo il nome della testata, si trova
nei bar e nelle stazioni della metropolitana di Roma e Milano, e già alla
seconda uscita è andato esaurito in
sole tre ore, convincendo l’editore,
Mario Farina, a portare la tiratura del
settimanale da 800 mila copie a 1 milione. La cronaca rosa sembra pagare: “Io Spio” vende gli spazi pubblicitari sulle sue colonne a 8 mila euro
a pagina.
Dopo il caso Califano un’analisi sulla società che tutela i diritti d’autore
Questa Siae vale solo per i Bixio
Vengono favoriti i vari vertici della produzione artistica
Chiara Aranci
Roberta Casa
«Non so bene come funzioni la Siae, so solo che prendo circa diecimila euro a semestre che misteriosamente
non aumentano nè diminuiscono». Il “povero” Franco Califano non ha dubbi: di diritti
d’autore non si vive, e il cantante ha invocato la legge Bacchelli per porre rimedio all’indigenza che, dopo una vita
forse troppo spericolata, gli vieta una dignitosa vecchiaia. E allora, come funziona la Siae?
La Società Italiana Autori ed
Editori, si definisce “ente pubblico a gestione privata”, che
si occupa di incassare e ripartire i diritti d’autore, ovvero
l’utilizzazione esclusiva dell’opera (riproduzione, esecuzione, diffusione) e i diritti morali (paternità, integrità, pubblicazione) riconosciuti dalla
legge del 1941. La normativa
istituì per la prima volta in Italia la tutela dei “prodotti” di carattere creativo in tutti i settori dell’arte.
Chi vuole tutelare l’utilizzo
della propria opera può rivolgersi alla Siae, diventandone
12
12 Novembre 2010
socio pagando una tassa d’iscrizione di 220 euro, che va rinnovata ogni anno. Costo, circa 90 euro. La capillarità dell’ente fa sì che molti decidano
di rivolgersi alla Siae, che segue l’utilizzazione delle opere
comunque e dovunque. Una
sorta di “securitate” del pro-
web terreno fertile, grazie al
passaggio al digitale. Capostipiti di questo nuovo modo di
tutela, la licenza “creative commons” e il sistema di archiviazione di file denominato
marcatura temporale, entrambe gratuite.
Nel caso della Siae, invece,
Piccoli e grandi soci hanno lamentato poca
chiarezza nella gestione
e nella ripartizione delle entrate
dotto, che sembra utilizzare gli
stessi meccanismi della vecchia polizia di regime per
quanto riguarda l’impenetrabilità e la poca trasparenza.
Piccoli e grandi soci hanno
spesso, infatti, lamentato poca
chiarezza sia nella gestione
che nella ripartizione delle
entrate, specialmente nel settore musicale. C’è addirittura
chi sostiene l’inutilità dell’ente, dal momento che il compito
di sorveglianza potrebbe essere svolto dalla Guardia di Finanza. Per non parlare delle
nuove formule di tutela del diritto d’autore, che trovano sul
la convenienza nell’associarsi
è soltanto per chi è sicuro di
trarne vantaggi economici.
Per coloro al di fuori del mercato musicale su larga scala,
l’iscrizione rappresenta una
perdita, che non verrà mai
sanata da un guadagno futuro.
Perché i meccanismi di ridistribuzione dei guadagni sono
contorti e favoriscono i vertici dell’associazione, composti
proprio dai grandi “signori”del mercato musicale. Ad
esempio, nel 2001, uno dei più
grandi editori musicali italiani faceva parte del consiglio di
amministrazione della Siae.
Si tratta di Franco Bixio, figlio
di Cesare Andrea, meglio conosciuto per aver scritto canzoni di enorme successo come
“Mamma”, “Parlami d’amore
Mariù” e molte altre. Proprio
il Cda decise di prevedere una
maggiorazione sugli introiti
delle canzoni “evergreen”. E
per un curioso caso, il maggior
beneficiario fu proprio lo stesso Franco.
Ma da dove arrivano i soldi per pagare i diritti? Nel
campo musicale i guadagni
provengono dal controllo sulle riproduzioni di un brano registrato, dai passaggi in radio
ai concerti, fino alle feste private in locali pubblici. Ma la cifra viene ridistribuita secondo
statistiche campionarie, frutto
di logiche commerciali, e non
tra gli autori della musica effettivamente eseguita in quelle occasioni. In più, parte del
denaro è assorbito da costi
strutturali della stessa Siae, a
discapito degli artisti.
In molti esprimono il dubbio che ci si trovi di fronte a un
vero e proprio “ente inutile”,
che sottrae risorse e crea molti più problemi di quanti ne risolva.
IMPOVERITO Franco Califano ha chiesto la legge Bacchelli
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Cazzullo: «Silvio fa male all`Italia» Edoardo, un