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Un po’ di storia per capire
Virgilio nelle Georgiche esorta a concimare le sementi dei legumi
con nitrum mentre Teofrasto nelle sua Storia delle piante consiglia di macerare per una notte i semi dei legumi del νιτρον
(nitron). Plinio nella monumentale Storia naturale afferma che gli
orticoltori trapiantavano i cavoli, ponendo sotto alle radici alghe o
nitro pesto: “quanto se ne può prendere con tre dita”, ritenendo
che ciò acceleri lo sviluppo e la maturazione mentre altri spargevano sulle foglie seme di trifoglio oppure nitro pesto, per mantenere verdi le foglie nella cottura. Catone (Agricoltura) consiglia:
“se la vigna si è fatta magra, brucia sul posto i sarmenti ed ara nel
medesimo luogo”. A Roma, in tempi anteriori all’arrivo di prodotti
dalle colonie, il nitrum era prodotto evaporando le acque di
lisciviazione delle ceneri ricavate dal legno di quercia, del leccio,
del fico oppure dei sarmenti o dal greppo da vasi vinari. Si otteneva un sale nitrico, ricco di K2 CO 3 , da usarsi con cautela. In Egitto
invece si usavano le saline, alimentate con acqua del Nilo, anziché di mare, ottenendo un sale volatile di ammonio,
presumibilmente NH4 C1 o (NK4 )2 CO 3 o (NH4 )2 HCO 3 che veniva
usato anche come lievito nella panificazione. Infine Marrone (De
re rustica) pone tra i fertilizzanti il nitrum che si raccoglieva sulle
superfici dei muri (nitrato di Calcio), forse simile all’aponitrum di
cui parla Plinio, venduto a Roma e raccolto in cristalli dalle pareti
delle caverne.
Questo breve florilegio di citazioni di autori latini ci mostra che,
nell’antichità, i potenziali concimi inorganici erano molto preziosi
e venivano usati con parsimonia per le difficoltà di reperimento da
fonti esigue e difficilmente accessibili. L’agricoltura insomma badava a non disperdere, ma a recuperare ed utilizzare al meglio le
scarsissime risorse disponibili; d’altronde le produzioni agrarie all’epoca (ma fu così per tutto il medioevo e fino alle soglie dell’era
contemporanea) erano risibili, almeno stando alle stesse misure
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standard dei campi coltivati, dalla centuriazione alle “bocche” medioevali, al massimo, ad esempio, per il grano, di qualche quintale
per ettaro, paragonabile a quello attuale nei paesi del terzo mondo a fronte delle molte decine del mondo occidentale.
Le stesse varietà di piante coltivate dovevano essere ben poco
ricche ed i fabbisogni alimentari di massa potevano essere garantiti solo con coltivazioni estensive latifondiste, almeno per i generi
indispensabili, con mano d’opera a basso costo. La disponibilità
di fertilizzanti fino al termine della II° guerra mondiale era limitata
a pochi prodotti d’importazione esotica e alla produzione di concime organico con allevamenti di tipo poco più che familiare.
È assai interessante, al riguardo, leggere gli studi agronomici dell’epoca, che davano notevole importanza ai fenomeni di
denitrificazione naturale dai terreni agrari (ossia di restituzione
dell’azoto all’atmosfera ad opera di batteri presenti nei suoli), che
costituivano (e costituiscono) una perdita di azoto del 30% rispetto a quello fornito.
I nitrati oggi
L’azoto (N) è uno dei tre principali elementi fertilizzanti, assieme a
fosforo (P) e potassio (K). Con l’enorme sviluppo dell’industria di
sintesi, al termine della guerra, la produzione di concimi azotati ha
subito un incremento esponenziale in tutti i paesi industrializzati,
ottenendo fertilizzanti abbondanti e a bassissimo costo. L’agricoltura ha seguito questo sviluppo, con produzioni sempre crescenti. Si passò da tecniche agricole che miravano a minimizzare le
perdite di azoto, ad altre orientate alla massimizzazione della produzione, fornendo concime, a volte, fino al limite della fitotossicità.
È tra l’altro evidente lo scandaloso gap tra queste realtà e quelle
di un terzo e quarto mondo super sfruttato e spinto ben oltre i
limiti della sopravvivenza.
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Il problema è sicuramente complesso e articolato, ma è evidente
che da un lato l’eccesso di concimazione azotata ha portato ad
un’eccedenza dell’elemento nelle acque di circolazione superficiali
e sotterranee. Infatti le unità di azoto non utilizzate dalle piante,
né denitrificate, sono soggette a lisciviazione, con trasporto in
profondità ed ingresso nel ciclo dell’acqua globale e locale.
È tra l’altro da notare che l’eccessiva concimazione inorganica ha
impoverito i suoli dell’indispensabile substrato organico, con perdita di fertilità e della capacità denitrificante. Il bilancio, insomma,
è del tutto in perdita per il sistema nel suo complesso sia economico che ambientale.
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Le acque di Petrignano d’Assisi.
Studi ricerche e problematiche
Le indagini idrogeologiche conoscitive sull’area di Petrignano di Assisi
cominciano nel 1974 quando la Regione dell’Umbria, da poco formatasi, avvia il progetto di studio sugli acquiferi alluvionali regionali
alla ricerca di risorse idriche potabili.
Le società incaricate dello studio svolgono un piano di attività che
prevede la caratterizzazione del sottosuolo della Valle Umbra, associando indagini geofisiche, censimento pozzi e misure piezometriche
(valutazione del livello di falda, temperatura e conducibilità elettrica
dell’acqua), caratterizzazione chimico-fisica di base delle acque a
perforazioni di studio delle zone più significative.
Si delinea così il quadro delle potenzialità idrogeologiche dell’acquifero
e si individua la zona di Petrignano come ottimale per la captazione
di nuove risorse.
Il campo pozzi
Nel 1978, dopo la realizzazione di 9 pozzi complessivi nella piana tra
l’abitato di Petrignano e l’aeroporto di S. Egidio, è iniziato lo sfruttamento dell’acquifero prima graduale poi a regime, con circa 300 l/s
dati in concessione.
In genere si hanno 6 pozzi in funzione e 3 di riserva che vengono
attivati solo in caso di accresciuta domanda idrica o per sostituire
temporaneamente altri pozzi in manutenzione.
I prelievi potabili hanno modificato l’assetto idrodinamico della falda
che prima defluiva naturalmente verso sud, almeno per quello che
riguarda la parte più superficiale dell’acquifero, attivando anche un
richiamo di acque negli strati più profondi, in precedenza non interessati da prelievi.
La situazione si è mantenuta stabile a livello di risorse idriche per
circa un decennio, anche se le analisi chimiche indicavano valori
piuttosto alti di nitrati nelle acque immesse in acquedotto.
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I pozzi normalmente in esercizio risultano quelli
con minor tenore di nitrati: ciò dipende sia dalla
loro posizione rispetto all’alimentazione idrica che
dalla maggior diluizione degli inquinanti proprio
per il maggior prelievo.
Con l’avvio del Gruppo Nazionale Difesa dalle
Catastrofi Idrogeologiche del CNR, nel 1985, la
Regione Umbria intraprende nuovi studi conoscitivi per la caratterizzazione idrogeologica (studio delle acque superficiali e sotterranee) ed
antropica (studio delle attività umane e delle relative pressioni sul suolo) di dettaglio nell’area, e
per la definizione del problema emergente: i nitrati. In collaborazione con il Dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università degli Studi di
Perugia, vengono avviate campagne di
monitoraggio piezometrico, campionamenti chimici e elaborazioni su dati idrogeologici ed
antropici.
evoluzione dei nitrati al
campo pozzi di Petrignano
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stralcio della Carta di Vulnerabilità
all’inquinamento della Valle Umbra nord
(1990)
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7
Nel 1990 viene pubblicata la prima Carta di vulnerabilità all’inquinamento della regione che riguarda la Valle Umbra nord, la quale sintetizza lo stato delle conoscenze sull’area e definisce i livelli di vulnerabilità del sistema idrico sotterraneo.
L’obiettivo di base della Carta di Vulnerabilità è quello di fornire un
quadro quanto più completo e dettagliato possibile, compatibilmente
con la scala adottata, sia dell’attitudine del suolo a ricevere e a trasmettere inquinanti, sia dei fattori potenziali e reali d’inquinamento
che possono dare origine ad un fenomeno inquinante. Particolare
attenzione viene, inoltre, rivolta alle strutture idrauliche passibili di
inquinamento, rappresentate in generale dalle aree di approvvigionamento idrico, ed in particolare da tutte le opere di captazione,
adduzione e stoccaggio.
La realizzazione di una cartografia che consenta di valutare l’effettivo stato di salute delle risorse idriche presuppone, quindi, una profonda conoscenza di base del territorio di tipo sia idrochimico che
idrogeologico.
Appare subito evidente l’importanza di un simile strumento
cartografico, non solo ai fini di gestione della risorsa idrica e quindi di
pianificazione territoriale, ma anche a fini di prevenzione (tramite il
controllo e la previsione di fenomeni inquinanti sia diffusi che puntuali) e di utilizzo operativo nel caso di emergenze.
Nello stesso periodo vengono realizzate altre pubblicazioni che riguardano la problematica di Petrignano e le risorse idriche sotterranee in Umbria e che evidenziano lo stato di fragilità del sistema
idrogeologico dell’area ed il problema incombente dei nitrati.
La Regione Umbria si fa carico allora di coordinare un gruppo di
lavoro interdisciplinare che faccia il punto della situazione e fornisca
elementi significativi per la risoluzione del problema.
Tra il 1990 ed il 1993 si sviluppano varie attività di studio a carattere
idrogeologico, idrochimico, agronomico, pedologico (studio dei terreni agrari: loro formazione, struttura fisica, composizione chimica),
con la partecipazione anche finanziaria di varie istituzioni ed enti
locali, dall’Università all’ESAU (ora ARUSIA), dal Consorzio Acquedotti (oggi Umbra Acque) alla CESAP.
Le pratiche agricole attuali rappresentano la
principale fonte di contaminazione delle
falde di Petrignano utilizzate a fini potabili.
L’attuale attività agricola è piuttosto lontana
dalle condizioni prevedibili con una
ottimizzazione delle pratiche e dei redditi
senza imposizione di vincoli.
Il tenore dei nitrati negli acquiferi studiati
evidenzia un trend di crescita ben marcato
nel corso dell’ultimo decennio: fattori
idrogeologici associati al fenomeno sono
riconducibili ad una maggiore ricarica
meteorica ed alla risalita del livello di falda
per un minor prelievo idropotabile.
I prelievi pubblici concentrati nelle falde
inferiori dalla fine degli anni ’70 hanno
indotto un richiamo idrico in profondità
dalla falda superiore, riducendo o annullando la stratificazione dei nitrati originariamente presente, e producendo un moto generale solo verso i pozzi (in passato la falda
superficiale andava verso sud).
Lo stabilizzarsi dei prelievi e dei livelli di falda
garantisce condizioni idrodinamiche favorevoli all’applicazione di un intervento di
riduzione dei carichi azotati sul suolo,
diminuzione dei fronti di richiamo in falda
(spartiacque dinamici) e minor spessore del
non saturo (minori tempi di transito) sono i
fattori principali.
Le quote piezometriche degli ultimi anni
sono il frutto di prelievi idrogeologicamente
compatibili in condizioni climatiche normali,
dell’ordine dei prelievi attuali (250 l/s).
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simulazioni del passaggio dei nitrati in falda da
condizioni naturali allo stato attuale e a quello
raggiungibile con interventi di risanamento
Il bacino di ricarica dell’acquifero ha una estensione di circa 2400
ettari. Il livello della falda acquifera varia da 6-7 metri dalla superficie del terreno nella zona di Pianello a oltre 20 metri di profondità
nella zona di Petrignano, con punte anche di oltre 35 metri nei periodi di maggiore sfruttamento della falda: nella sua zona centrale, lo
spessore dell’acquifero è di circa 80 metri.
Con gli studi vengono evidenziate le criticità del sistema, definite le
modalità di ricarica della falda e di contaminazione stessa,
evidenziando il ruolo dell’agricoltura e della rete fognaria incomple-
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ta nell’apportare nitrati alla falda.
Sulla base dei risultati prodotti, una commissione di esperti nominata
a livello regionale, definisce nel 1994, un piano operativo per il problema nitrati, sia per garantire acque potabili in rete che per tutelare
la risorsa idrica sotterranea.
A seguito di ciò viene realizzato un intervento tecnologico mirato a
ridurre la concentrazione dei nitrati in acquedotto: esso consiste in
un sistema di miscelazione delle acque prelevate a Petrignano con
quelle del nuovo campo pozzi di Cannara, le cui acque sono prive di
nitrati, ma presentano ferro e ammoniaca e devono pertanto essere
trattate.
Gli strumenti per la tutela della risorsa idrica sotterranea sono però
incompatibili con la struttura economica del territorio e l’intenso sfruttamento agricolo dello stesso. Nel 1995, prende avvio un progetto di
ricerca su questa tematica, finanziato nell’ambito del Progetto Strategico Ambiente e Territorio del CNR, Sottoprogetto “ Criticità della
disponibilità di risorse idriche a fini potabili”.
Con la collaborazione dell’Istituto di Economia Agraria (poi Dipartimento di Scienze Economiche ed Estimative) dell’Università di
Perugia, vengono realizzate ricerche specifiche in campo economico, agronomico ed idrogeologico, al fine di proporre soluzioni
ambientalmente e socialmente compatibili.
I risultati della ricerca vengono completati nel 1998 e presentati in
ambito nazionale al 3° Convegno Nazionale sulla Protezione e Gestione delle Risorse Idriche, organizzato da GNDCI (Gruppo nazionale difesa dalle catastrofi idrogeologiche del CNR) e ARPA Emilia
Romagna, a Parma nel novembre 1999.
Elementi fondamentali emergenti dallo studio sono il bilancio dell’azoto
al suolo, la stima delle perdite verso la falda e le modalità di
raggiungimento della stessa da parte delle acque di pioggia che si
infiltrano cariche di nitrati, la definizione delle condizioni ottimali per
il recupero qualitativo delle acque di falda e l’individuazione di direttrici da seguire per giungere ad un uso del suolo compatibile con
quello del prelievo idrico.
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La tipologia degli interventi possibili
La ricerca delle soluzioni possibili ha prospettato alcune modalità di
intervento per la risoluzione del problema dell’inquinamento da nitrati:
Interventi di tutela e risanamento del serbatoio acquifero, che
tendono alla riduzione dei processi di contaminazione ed al controllo della qualità delle acque di falda.
Possibile recupero qualitativo mediante abbattimento dell’azoto
residuo nel suolo.
Le elaborazioni a carattere agronomico ed economico hanno
evidenziato che è possibile modificare l’assetto colturale della zona
per ridurre considerevolmente i carichi di azoto lisciviato.
Scenari produttivi ottimali consentono, secondo i modelli idrogeologici
per la simulazione del trasporto dei nitrati in falda, una riduzione dei
carichi azotati distribuiti di circa il 30-40% cui può corrispondere
una diminuzione dell’azoto residuo (lisciviato in falda) di circa il 50-60%.
Il sottosuolo è in grado di rispondere efficacemente ed in tempi
sufficientemente brevi alla nuova situazione agricola (3-4 anni).
La superficie agricola su cui intervenire consiste in circa 2400 ha. e
rappresenta la principale area di ricarica del sistema idrico di alimentazione del campo pozzi di Petrignano.
La falda acquifera utilizzata a fini potabili può risentire del nuovo
equilibrio in tempi medio-brevi (4-5 anni) e ridurre i tenori in nitrati
su valori accettabili (sotto i 50 mg/l) nell’arco di 7-8 anni.
Le linee guida da utilizzare per tradurre i risultati delle indagini in
una azione che tenga conto di tutte le componenti sociali ed economiche, sono le seguenti:
1. Ridurre le superfici investite a colture maggiormente
impattanti e promuovere pratiche agricole ecocompatibili (agricoltura biologica, agricoltura con ridotto uso di input chimici, impiego
di colture intercalari, Codice di Buona Pratica Agricola, introduzio-
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ne di rotazioni di lunga durata, riforestazione, set-aside);
2. Ridurre i volumi di acqua di irrigazione mediante tecniche
più efficienti; passaggio a colture meno idroesigenti, e controllo dello stato di saturazione del suolo.
3. Eliminare la contraddizione dovuta all’erogazione di
compensazioni ai redditi degli agricoltori per la coltivazione di talune
specie altamente impattanti e appoggiare il principio della cross
compliance (Agenda 2000, in merito alla riforma della Politica
Agricola Comunitaria) che prevede la possibilità di subordinare la
concessione degli aiuti al perseguimento di obiettivi di carattere
ambientale o di vincoli.
4. Sensibilizzare le associazioni degli agricoltori e gli agricoltori stessi alla problematica nitrati mediante attività di concertazione,
favorendo una maggiore disponibilità all’accettazione delle misure
attuabili.
5. Dare un supporto tecnico agli agricoltori per definire il
fabbisogno reale di fertilizzati e le migliori modalità di distribuzione,
evidenziando i molteplici apporti esistenti (acqua di irrigazione di
falda, fissazione atmosferica, letamazioni, residui, ecc…)
6. Individuare l’area di alimentazione principale del campo
pozzi come zona vulnerabile ai fini della Direttiva Nitrati (676/91) e
prevedere, pertanto, dei programmi di azione, come avvenuto poi
con la Dichiarazione di vulnerabilità del settembre 2002.
7. Individuare ed appoggiare le entità preposte all’applicazione e controllo della normativa, fornendo mezzi adeguati ed idonea
formazione.
Gli interventi attivati: IL PROGETTO LIFE
Dopo aver valutato le varie opzioni tecnicamente ed economicamente fattibili, si è deciso di adottare quelle che apparivano maggiormente efficienti ed efficaci per intervenire sulle problematiche
legate alla risorsa idrica del campo pozzi.
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Lo studio agro-economico ha condotto alla definizione di un sistema
integrato di gestione del territorio finalizzato al miglioramento delle
caratteristiche qualitative delle acque di falda. Il progetto di mediolungo termine, da realizzarsi mediante interventi tecnico-amministrativi
che portino ad una riduzione dei carichi azotati nel sottosuolo, si basa
sulla valutazione tecnico-economica delle trasformazioni colturali possibili in relazione all’entità e velocità della “risposta” dell’acquifero.
Da questi elementi, alla luce delle nuove direttive e politiche in campo ambientale ed agricolo, prende avvio la proposta di un Progetto
Life da presentare alla Comunità europea, per l’intervento di
risanamento dell’area interessata dal prelievo idrico sotterraneo di
Petrignano.
Cosa è il LIFE
LIFE è uno strumento che sostiene in modo specifico lo sviluppo e
l’attuazione della politica ambientale della Comunità Europea. I progetti di dimostrazione LIFE-AMBIENTE devono perseguire in modo
specifico:
1) Pianificazione e valorizzazione del territorio: integrare la dimensione ambientale e dello sviluppo sostenibile nella pianificazione e
valorizzazione del territorio, compreso l’ambiente urbano e costiero.
2) Gestione delle acque: promuovere la gestione sostenibile delle
acque sotterranee e superficiali.
I progetti di dimostrazione devono sperimentare una soluzione
innovativa di un problema ambientale e dare risultati pratici e concreti; devono, inoltre, essere attuati in modo tale da consentire di
valutare la fattibilità tecnica ed economica di un’introduzione su larga scala.
Life ambiente non ha per obiettivo la ricerca né gli investimenti a
favore di tecnologie o infrastrutture esistenti, ma si prefigge di colmare le lacune tra i risultati delle attività di ricerca e sviluppo e la
loro applicazione su vasta scala.
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Il progetto, per l’area di Petrignano, viene approvato nel giugno 2001
e prende ufficialmente avvio a settembre 2001.
E’ finanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Umbria.
ARPA Umbria ha il ruolo di gestore del progetto mentre ARUSIA,
Umbra Acque e Regione Umbria figurano come partner.
Obiettivi del progetto
Il Progetto intende agevolare l’introduzione di tutte le misure applicabili
nella zona e l’ottimizzazione dei sistemi produttivi con l’obiettivo di
promuovere una metodologia integrata di gestione del territorio che consenta il recupero qualitativo della falda acquifera, attraverso la definizione di appropriati modelli sostenibili a livello sociale,
economico ed ambientale.
Il progetto cerca il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i
soggetti interessati (istituzioni regionali e locali, produttori, operatori economici, associazioni di categoria e settoriali), nella certezza
che un approccio di tipo verticistico che comporti l’adesione obbligatoria da parte dei produttori non porterebbe al risanamento della
falda.
L’intervento sostiene nell’area la diffusione di misure agro-ambientali (agricoltura biologica, agricoltura con ridotto uso di input
chimici, Codice di Buona Pratica Agricola, ottimizzazione delle pratiche culturali e dei trattamenti) nella ricerca, entro 6-8 anni, di un’inversione di tendenza passando da un aspetto curativo (depurazione
delle acque) ad uno preventivo (minor contaminazione), e la promozione di sistemi e filiere agricole a ridotto impatto ambientale.
Questo per facilitare l’applicazione di un vincolo normativo (area
vulnerabile), in perfetta sintonia con la direttiva nitrati (676/91) e le
norme nazionali di recepimento della medesima (D.L.gs 152/99 e
D.L.gs 258/00).
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Il progetto infine punta al rafforzamento delle sinergie istituzionali regionali riunendo in un unico intervento i vari soggetti che
operano nel settore e nel comprensorio in campo agricolo ed ambientale.
I modelli definiti nell’ambito del progetto, nel rispetto degli obiettivi e
della filosofia del programma LIFE, saranno replicabili a livello locale ed internazionale in contesti e problematiche simili e saranno oggetto di una specifica azione divulgativa e promozionale in ambito
regionale, nazionale ed europeo.
Risultati attesi
II risultato generale previsto è la gestione sostenibile ed integrata
dell’intera area entro cinque anni e il recupero qualitativo della
falda acquifera.
Gli impatti agro-ambientali che si intende conseguire sono:
la diffusione di specifici piani di fertilizzazione e di buona pratica
agronomica (500 ha in tre anni);
la riconversione colturale entro il 3° anno di almeno il 25% della
superficie agricola (circa 500 ha);
la riduzione del contenuto di nitrati in uscita dal sistema suolo del 3050% entro cinque anni.
Essi si affiancano ad altri risultati sul piano socio-economico ed istituzionale quali:
- la definizione di modelli produttivi e di filiere sostenibili a livello
sociale, economico ed ambientale;
- l’aumento della sensibilità di produttori ed operatori economici verso le problematiche ambientali;
- il rafforzamento del dialogo e del rapporto tra istituzioni e territorio;
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- l’armonizzazione delle politiche ambientali locali con gli orientamenti europei;
- il miglioramento della qualità e della gestione delle risorse idriche
potabili.
La normativa nazionale (Art. 19 e Allegato 7 DLgs 152/99 e successive modifiche) ha recepito la direttiva comunitaria sui nitrati
(676/91) ed ha stabilito che, a prescindere dall’utilizzo potabile, le
risorse idriche sotterranee vulnerate da nitrati debbano essere risanate e mantenute integre per il futuro.
Non si tratta quindi di risolvere il problema della concentrazione dei
nitrati nelle acque immesse in acquedotto, ma è obbligatorio procedere ad interventi di recupero e tutela.
A tal fine il Decreto prevede che vengano istituite su proposta della
Regione le “Aree vulnerabili da nitrati” e successivamente definiti
ed avviati i “Piani di azione” per la loro tutela.
I piani di azione devono dimostrare efficacia nelle risposte al problema e devono essere monitorati.
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L’attuale situazione dei nitrati
Ai punti di monitoraggio della falda presenti nell’area facienti parte della rete regionale, con
analisi periodiche semestrali, si è aggiunto un
reticolo di campionamento specifico per i nitrati
di trenta pozzi.
La situazione nel 2002 ha fornito la seguente
zonazione:
Zona A: Valori dei nitrati superiori anche a 100
mg/l pari al doppio del limite massimo consentito. Area che insiste direttamente sul campo pozzi
di Petrignano. Zona di massima attenzione.
Zona B: Con valori simili alla precedente registrati tra 75 e 100 mg/l. Situata leggermente a
nord della zona A insiste in modo indiretto sul
campo pozzi di Petrignano. Come la precedente
è valutata di massima attenzione.
Zona C: Valori dei nitrati meno elevati, tra 50 e
80 mg/l, ma sempre superiori al limite massimo
consentito. A sud del campo pozzi, dovrebbe
avere minore incidenza diretta sull’inquinamento dell’acquifero pur rappresentando un fenomeno di rischio evidente.
Zona D: Presenta fenomeni puntuali in eccesso
dei valori dei nitrati. Può contribuire per le dinamiche e caratteristiche geopedologiche ed
idrogeologiche dell’area all’inquinamento
dell’acquifero del campo pozzi.
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L’area di Petrignano e le principali
produzioni agricole
La collaborazione con le associazioni di categoria e l’analisi dei dati
delle domande PAC dell’area nel periodo 2000-2002 hanno permesso di definire le principali produzioni agricole in atto nell’area di intervento e la tendenza evolutiva delle coltivazioni praticate.
Nel 2002 le superfici seminate a mais hanno superato quelle del
frumento tenero, consentendo alla coltura di diventare quella maggiormente coltivata nell’area (con un incremento del 19,64% rispetto al 2000).
Un’espansione importante è stata registrata anche per il frumento
duro (+43,56%) probabilmente avvenuta quasi interamente a scapito del tenero.
L’orzo è invece sostanzialmente stabile, mentre una riduzione considerevole nei tre anni è avvenuta a carico del girasole che passa
da 355 a 170 ettari (-52,19%).
Tra le colture industriali nell’area si registra la coltivazione di barbabietola e tabacco, entrambe in lieve diminuzione, che assieme sommano tra 110 e 120 ettari coltivati l’anno.
La soia, legata ad un numero ridotto di produttori specializzati, ha
subito forti variazioni nei tre anni con un incremento considerevole
nel 2001 ed una altrettanto forte riduzione nel 2002. Infine uliveti e
vigneti coprono circa il 3% dell’area.
Nelle aree irrigabili, la rotazione maggiormente rappresentata nella
zona, alterna il frumento al mais e molto diffusa è la coltura del mais
ripetuta sullo stesso appezzamento per più anni.
Leguminose e foraggiere (includendo la medica) appaiono in aumento nel triennio, anche se nel 2001 erano in forte calo rispetto
l’anno precedente. Da segnalare, in ogni modo, che l’insieme di queste
colture ha superato il 10% dell’area totale in considerazione.
Allo scopo di approfondire le informazioni riguardanti le tecniche
agronomiche adottate nell’area è stata predisposta dall’ARUSIA
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una scheda di rilevamento specifica, sottoposta a 11 aziende individuate dalle Associazioni di categoria, disponibili ad ospitare anche
eventuali prove dimostrative.
Sono stati rilevati complessivamente 26 processi produttivi riferiti
alle colture di girasole (1), mais insilato (2) e da granella (7), barbabietola (2), tabacco (2), soia (1), frumento tenero (5) e duro (4), orzo
(2).
Di ciascuno sono state evidenziate le lavorazioni effettuate, le materie prime utilizzate, gli aspetti economici in termini di reddito lordo
ottenuto.
A fronte delle rese medie riportate per le diverse colture, risulta
generalmente che il quantitativo medio d’unità di azoto/ettaro impiegato è inferiore alle dosi di riferimento previste dal Codice di Buona
Pratica Agricola. Solo per la coltura del grano duro tale dose di riferimento viene superata.
L’apporto di azoto è assicurato prevalentemente dall’uso di nitrato
ammonico e urea in copertura e da fosfato biammonico nelle
concimazioni in pre-semina, effettuate nella quasi totalità dei processi produttivi rilevati.
Discorso a parte merita il letame, impiegato da pochi per il mais, del
quale spesso gli agricoltori non sanno quantificare l’apporto. Il prodotto organico è considerato come fattore “positivo” per la fertilità
del terreno e a ridotto impatto ambientale e raramente le dosi di
concime distribuite tramite la letamazione sono conteggiate ai fini
del piano di fertilizzazione.
Con riferimento alla pratica irrigua, dalle interviste realizzate nell’area si evince che il mais riceve mediamente 4-5 adacquate effettuate con irrigatori semoventi. In un caso si sta utilizzando l’impianto
a goccia per ottimizzare l’uso dell’acqua, mentre in un’altra azienda
si ricorre all’irrigazione per scorrimento.
Difficilmente i produttori riescono a quantificare i volumi distribuiti
in termini di mc/ha, tendendo con più facilità a valutare le ore di
19
irrigazione per ogni intervento.
Le fonti di approvvigionamento risultano essere il fiume Chiascio,
tramite autorizzazioni specifiche, e l’attingimento da pozzi superficiali e profondi.
Dagli incontri sono inoltre emerse due tecniche interessanti per il
risparmio idrico e l’ottimizzazione delle fertilizzazioni: l’adozione di
varietà di mais a ciclo breve e la pratica della fertirrigazione congiunta al sistema di irrigazione a goccia.
Le due metodiche combinate permettono secondo i produttori intervistati un risparmio interessante sia in termini idrici sia di fertilizzante
distribuito. Entrambe le tecniche saranno allo studio nell’ambito della fase dimostrativa del progetto LIFE.
Il dato dichiarato per i composti azotati però non considera a livello
aziendale una serie d’apporti non quantificati come quello dell’azoto
meteorologico e quello derivante dall’uso di acque per l’irrigazione
ad elevato contenuto di azoto, che alterano a volte in modo sensibile
il quantitativo massimo azotato distribuito per ettaro.
Il progetto LIFE adottando specifici piani di fertilizzazione con i quali
calcolare accuratamente apporti e fabbisogni delle colture ha tra
l’altro l’obiettivo di ottimizzare questa componente della produzione
agricola, minimizzando gli sprechi sia agronomici sia economici.
Nell’area, per il periodo considerato, è stato applicato il regolamento
2078/92 misura A1.1 (riduzione di concimi), su circa 740 ettari pari
al 32% del totale delle superfici. Queste informazioni, comparate
agli elevati livelli di nitrati presenti nelle acque profonde, confermano che per ridurre l’impatto di questi elementi sono necessari un
impegno di lungo periodo e modalità di concimazione probabilmente
più restrittive rispetto al solo Codice di Buona Pratica Agricola, per
ottenere risultati significativi e migliorativi.
Inoltre, il semplice intervento sulle quantità di concime apportato
non sarebbe sufficiente a modificare drasticamente gli impatti attuali, richiedendo un intervento integrato che coinvolga l’insieme delle
tecniche produttive impiegate.
Si è già accennato alla riduzione del ciclo di alcune colture (mais in
20
particolare) ed all’ottimizzazione delle irrigazioni. Sembrano inoltre
possibili interventi sulla copertura del terreno con l’introduzione di
alcune colture, tipo il favino, che permettono di non lasciarlo scoperto per periodi troppo lunghi favorendo l’approfondimento nel suolo
dei nitrati.
Altre tecniche che potranno essere sperimentate nell’area investono la ricerca di nuove colture da inserire o reintrodurre nelle rotazioni di base adottate.
Alcuni produttori hanno ad esempio manifestato interesse verso la
coltivazione di sorgo da granella, mentre in altri casi sembra possibile una più intensa utilizzazione di colture foraggere.
Collaborazioni tecniche e scientifiche avviate con la Facoltà di Scienze
Agrarie dell’Università di Perugia e incontri tenuti con i produttori
hanno permesso di selezionare alcune ipotesi sperimentali e dimostrative che saranno testate e valutate nell’area attraverso il progetto LIFE.
Ipotesi di PROVE DIMOSTRATIVE
1.
2.
3.
4.
Piano di fertilizzazione basato su 2 applicazioni in copertura, con la fissazione di tre differenti livelli massimi di azoto, tutti inferiori alle dosi previste dal Codice di Buona Pratica Agricola (180 Kg/ha per il frumento
tenero e 140kg/ha per il frumento duro)
Promuovere la sostituzione del frumento tenero con quello duro, in
quanto meno esigente
Interramento stoppie
Obiettivo 50-55 ql/ha
21
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Selezione di varietà a ciclo breve (classe 400-500)
Aratura consigliata non superiore a 30 cm di profondità
Controllo quantitativo del letame
Semina precoce
Verifica dei volumi d’adacquamento
Irrigazioni per stadio fisiologico con schema predefinito
Irrigazioni utili a riportare alla capacità di campo i primi 50-60 cm di
terreno
8. Non concimare alla semina e somministrare applicazioni in copertura
fino a quantitativi massimi di azoto inferiori alla dose prevista dal Codice di Buona Pratica Agricola (280 kg/ha)
9. Raccolta con umidità della granella al 25% (risparmio su essiccazione)
10. Obiettivo di resa 70- 80 ql/ha
11. In alcuni campi utilizzare concimi a lento rilascio di’azoto in confronto
con urea
12. Interramento stocchi
1.
2.
Oltre alle prove precedenti, introduzione di un erbaio di graminacea
come cover crop
Stessa prova da programmare in caso d’alternanza dopo frumento
22
1.
In alternanza con il mais non irriguo
2.
Consumatore d’azoto (verificare dosi per la coltura successiva)
1.
Inserire dopo frumento leguminose da granella
(favino, pisello ecc)
2. Riduzione dopo leguminose della dose azotata
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Il monitoraggio sul suolo
Nella fase operativa del progetto, della durata di 30 mesi (febbraio
2002-settembre 2004), è prevista la realizzazione e messa in opera
del sistema di osservazione della migrazione dei nutrienti associati
ai fronti umidi in uscita dal suolo verso la falda.
Siccome la falda è piuttosto profonda (oltre 20 metri in gran parte
dell’area) è necessario analizzare la situazione prevalentemente nel
non saturo, limitando le osservazioni in falda alle zone dove essa è
più superficiale (a nord di Petrignano) e laddove esistono piccole
falde sospese.
L’ARPA, in collaborazione con il Consorzio Acquedotti (ora Umbra
Acque) ha avviato l’installazione di sistemi manuali ed automatici
di monitoraggio delle acque nel suolo e nel non saturo (pozzipiezometro nelle falde sospese, lisimetri e tensiometri in condizioni
vadose), con determinazione del contenuto in nitrati per evidenziare
gli effetti della riconversione agricola sul livello di rilascio di inquinanti in falda.
In fase di analisi preliminare dell’operazione, era stato valutato il
costo della realizzazione di 8 pozzetti piezometrici strumentati con
sonde di livello, di conducibilità e temperatura e di 10 stazioni di
misura con lisimetri, tensiometri e sonde di umidità, e relativo collegamento al sistema di registrazione e trasmissione remota.
Gli aspetti progettuali hanno tenuto conto di due elementi fondamentali nella realizzazione del sistema di monitoraggio:
1.
l’ubicazione delle stazioni deve essere definita in funzione
delle tipologie colturali in atto e previste, della tipologia di suolo presente ma soprattutto della disponibilità dell’agricoltore a far realizzare l’opera nel proprio terreno;
2.
le stazioni devono essere approntate in modo che il loro
posizionamento non modifichi lo svolgimento delle pratiche colturali
nella porzione di terreno interessata rispetto al resto del campo, ossia la strumentazione deve monitorare una situazione quanto più
indisturbata possibile sia a livello degli strati di suolo che delle coltu-
profilo di umidità nel suolo
24
re soprastanti.
la soluzione adottata è stata quella (riportata nel disegno della pagina a lato), di un pozzetto dotato di coperchio mobile, posizionato nel
suolo, ove convergono i cavi dei sensori ed i tubi dei lisimetri. Dal
pozzetto si dipartono 2 scavi di circa 3 metri di lunghezza, profondi
50-60 cm, all’interno dei quali si sono effettuati i fori per posizionare
lisimetri, tensiometri e sonde di umidità.
Tutti i cavi e tubi in uscita dai sensori sono stati inseriti in rivestimenti di protezione fino al pozzetto. I fori dei sensori sono stati opportunamente condizionati e sigillati con materiale impermeabile ed il
terreno superficiale (strato arabile) è stato rimesso in posto in modo
da ripristinare le condizioni naturali.
Nella fase iniziale del progetto, fino a gennaio 2003, sono state
realizzate 15 stazioni di monitoraggio su falda e suolo in corrispondenza dei campi dimostrativi ove viene svolta la sperimentazione
agronomica, con la messa in automatico di misure tensiometriche e
di contenuto idrico (in media 9 sensori a stazione) su 10 stazioni e
l’installazione di 30 lisimetri per il campionamento di acque nel non
saturo sulle stesse stazioni fino alla profondità di 6 metri. Su 5 stazioni si è realizzato un piezometro con misure in continuo di livello
idrico e di conducibilità elettrica.
Si è avviato a dicembre il primo campionamento dei lisimetri per
l’analisi dei tenori di nitrati.
Nel corso del 2003 (entro marzo-aprile) è previsto il completamento
delle stazioni fino ad un totale di 10 sul suolo ed 8 in falda.
Per ciascun campo dimostrativo verranno inoltre installati lisimetri
di superficie per ognuna delle 3 parcelle sperimentali e per il campo
testimone: quindi sono previsti 3 lisimetri per ciascuna stazione sul
suolo e 4 su quelle in falda.
Si avranno in totale circa 90 lisimetri ed 8 piezometri da campionare
mensilmente, su cui effettuare le analisi dei nitrati, mentre i dati in
automatico affluiranno direttamente alla Direzione e saranno validati
ed elaborati mensilmente.
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Tutte le informazioni saranno poi utilizzate per le attività dimostrative del progetto, al fine di mostrare i reali risultati delle tecniche
applicate o di quanto succede normalmente in campo.
Gli stessi agricoltori potranno essere guidati sui luoghi delle stazioni
di monitoraggio per azioni dimostrative.
Schema d’istallazione
della stazione di monitoraggio sul suolo
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Le prospettive del progetto LIFE
Dallo scorso ottobre il progetto LIFE Petrignano ha avviato le attività dimostrative di pieno campo e nel mese di dicembre ha lanciato
i primi incontri con i produttori dell’area per sensibilizzarli al problema e coinvolgerli nella ricerca delle soluzioni tecnicamente ed economicamente più appropriate e sostenibili.
Le prove di campo saranno condotte fino a settembre 2004 data di
chiusura del progetto. In questo periodo sarà possibile realizzare
prove ripetute per almeno quattro stagioni colturali, prove che saranno associate al monitoraggio costante dei nitrati in superficie ed
in profondità.
I risultati delle prove, vagliati da un comitato tecnico scientifico con
il supporto dell’Università di Perugia, forniranno le basi tecniche ed
economiche per la definizione di modelli sostenibili applicabili e
diffondibili a livello aziendale.
L’approccio scelto dall’ARPA Umbria e dai suoi partners, che privilegia la massima partecipazione dei produttori alle scelte produttive da adottare, cerca di garantire il livello più alto di adottabilità dei
modelli prescelti e la rapida diffusione nell’area di pratiche ecocompatibili.
Questa procedura ed i tempi di esecuzione previsti offriranno infine
la possibilità al progetto LIFE di cooperare con le istituzioni regionali nella definizione dei piani di azione programmati a seguito della
dichiarazione di vulnerabilità dell’area dello scorso settembre 2002,
piani che dovranno essere definiti entro 12 mesi dalla avvenuta dichiarazione.
In questo processo il progetto LIFE Petrignano si propone quindi
come un momento di informazione, confronto e ricerca di soluzioni
appropriate nel pieno rispetto della propria filosofia di intervento e
degli orientamenti del programma LIFE Ambiente della Commissione Europea.
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