L’Associazione Nazionale Subvedenti - Onlus Presenta: Leggi come vuoi e dove vuoi in tour Finito di stampare settembre 2011 Indice Introduzione 5 Stasera A che serve il vento Il vento Il cacciatore di aquiloni Il placido Don Il gabbiano Jonathan Livingston Risveglio del vento Divina Commedia Contro vento Aria e luce Vento nel vento Canne al vento 3 7 11 15 19 27 31 37 41 49 53 57 63 Introduzione Leggere è un po’ come viaggiare sulle ali della fantasia. Si può viaggiare in ogni direzione e conoscere nuovi luoghi e nuove persone. Leggere trascende il tempo e lo spazio. I libri ci trasportano in altri paesi e in altre dimensioni e ci regalano la possibilità di incontrare personaggi che possono diventare i nostri compagni di viaggio o maestri di vita. A volte li amiamo e a volte li odiamo un po’, ma tutti indistintamente ci regalano emozioni. Il piacere della lettura talvolta è così avvolgente che troviamo ogni momento libero per leggere, e non rinunciamo a questo piacere anche quando non possiamo farlo in maniera convenzionale... Alcune persone hanno problemi visivi che li costringono ad usare dei “mezzi” non convenzionali per leggere. Il progetto “Leggi come vuoi e dove vuoi” in tour- tanti modi di leggere anche e soprattutto in modo non convenzionale - si lega a filo doppio con una delle mission associative di A.N.S. Associazione Nazionale Subvedenti Onlus (che dal 1970 si occupa di sostenere tutti coloro che vivono la realtà della disabilità visiva). 5 Attraverso questo progetto, che prevede delle giornateevento in cinque biblioteche comunali rionali del Comune di Milano, intendiamo promuovere la cultura dell’ipovisione, l’abbattimento delle barriere percettive e la diffusione del piacere della lettura e soprattutto dimostrare come non sia sempre necessario “vedere dieci decimi” per “leggere” e apprezzare un libro. Ogni giornata-evento definita: “Leggi come vuoi e dove vuoi” in tour proporrà letture ad alta voce, con sintetizzatore vocale, al computer, con screen-reader, con display braille, e-book, brani letterari musicati e lettura animata per studenti con accompagnamento musicale. Riteniamo che unire la classica lettura ad alta voce ad intermezzi musicati sia un modo innovativo e accattivante per incrementare l’affluenza di pubblico e insieme trasmettere cultura sui diversi “mezzi” che possono essere utilizzati per leggere. Le quattro giornate-evento (più una conclusiva) del progetto: “Leggi come vuoi e dove vuoi” in tour si svolgeranno nel corso dell’anno 2011 e avranno come filo conduttore un viaggio nel mondo dei 4 elementi: aria, terra, fuoco e acqua. Associazione Nazionale Subvedenti - Onlus Milano, settembre 2011 Stasera Giuseppe Ungaretti Balaustra di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia. 7 A che serve il vento Lev Tolstoj … Senza il vento sarebbe impossibile macinare il grano dei mulini olandesi. Quando si è in un battello, se si vuol andare più in fretta, si prende una robusta antenna che si fissa verticalmente in mezzo al battello. A una certa altezza di questo palo è fissata una lunga asta di legno. All’asta si applica una tela alla quale si fissa una corda che si tiene in mano. Poi si distende la vela al vento. Il vento soffia nella vela, così forte che il battello si piega su un fianco, e il battello naviga col vento così rapidamente che sotto la prora l’acqua gorgoglia: e si direbbe che le rive fuggano veloci dietro il battello. … Nei luoghi abitati, l’aria si guasta. Senza il vento quell’aria viziata rimarrebbe ferma. Ma viene il vento, la disperde, e ne porta con sé dalle foreste e dai campi, altra buona, l’aria pura. Senza il vento, gli uomini non avrebbero aria sufficiente per respirare. Quando le bestie selvagge vanno per le foreste e le radure, si tengono sempre contro vento; drizzano le orecchie, fiutano ciò che si trova davanti a loro. Senza l’ausilio del vento, esse non saprebbero orientarsi con sicurezza. Il vento è necessario a quasi tutti gli alberi, ai cespugli o alle erbe, perché sull’albero, sul cespuglio o sull’erba si 11 fermi un granello di polline, che provvederà alla fecondazione… … Il vapore si forma solo dove c’è acqua: sui ruscelli, sulle paludi, sugli stagni e sui fiumi, ma soprattutto sul mare. Senza il vento, questi vapori non si muoverebbero e si condenserebbero in nubi sopra l’acqua: ricadrebbero nel posto stesso donde si sono innalzati. La pioggia cadrebbe sul ruscello, sulla palude, sul fiume, sul mare; non cadrebbe sulla terra, sui campi e sui boschi. Senza il vento, dove c’è già acqua, ce ne sarebbe ancora di più, ma la terra diverrebbe sempre più arida. Il vento Márcia Theóphilo Il vento continua a divorare la notte è là, reale e mutevole dentro di lui la musica dei rami. Il vento arriva esplodono sonorità sfogliano il suo corpo fa ondeggiare i rami corpo del vento avvolge e incurva distende l'amato corpo astratte e concrete le sue foglie Si versano sinuose cascate di vento dentro il bosco Io danzo, e tu? Risuona, balla, fischia e canta è fra gli alberi nasce come un frutto nasce come un bambino le sue risate hanno il ritmo dell'acqua sulla pietra prima dolce quasi monotona dopo forte e piena di risonanze Qualcosa di vago fumo e sapori somiglianti. 15 Il cacciatore di aquiloni Khaled Hosseini «Sono pronto» annunciai. Il suo viso si illuminò. Alzò sopra la testa il nostro aquilone, rosso con i bordi gialli, con incisa sull'intelaiatura l'inconfondibile firma di Saifo. Si leccò le dita e le tenne in alto per saggiare la direzione del vento, poi partì come un fulmine. Il rocchetto si srotolò nelle mie mani fino al momento in cui Hassan si fermò, a un centinaio di metri. Teneva l'aquilone sopra la testa come un atleta olimpionico la medaglia d'oro. Diedi due strappi al filo, il nostro segnale, e Hassan lanciò l'aquilone. Schiacciato tra il laicismo di Baba e il conformismo religioso dei mullah a scuola, non mi ero ancora fatto un'idea personale di Dio. Ma quando un versetto del Corano che avevo imparato alle lezioni di diniyat mi salì alle labbra, lo recitai. Inspirai profondamente, espirai con forza e tirai il filo. Un minuto dopo il mio aquilone saliva veloce nel cielo come un grande uccello di carta. Hassan applaudì e fischiò ammirato, poi ritornò di corsa verso di me. Gli consegnai il rocchetto perché riavvolgesse il filo rimasto a terra, mentre io lo tenevo teso con le mani nude. 19 In cielo si libravano già almeno due dozzine di aquiloni, come squali di carta in cerca di una preda. Nel giro di un'ora il numero era raddoppiato e il cielo era punteggiato di rosso, azzurro, giallo. Il vento era perfetto, soffiava con forza, facilitando le manovre di ascesa e le discese in picchiata. Vicino a me Hassan teneva il rocchetto. Le sue mani sanguinavano già. Ben presto iniziarono i combattimenti e i primi aquiloni abbattuti volteggiavano alla deriva. Attraversavano il cielo come stelle cadenti, in un vortice di code colorate, disseminando i quartieri di Kabul di premi per i cacciatori. Li sentivo gridare mentre saettavano per le strade. Lanciavo sguardi furtivi a Baba sulla terrazza. Chissà che cosa pensava. Si stava preoccupando per me? O forse, in fondo al cuore, era contento di assistere ancora una volta a un mio fallimento? I miei pensieri erano in balia delle emozioni come gli aquiloni lo erano del vento. Attorno a me non facevano che cadere aquiloni, ma il mio stava ancora volando, stava ancora volando! Baba era sorpreso che io resistessi così a lungo? Se non tieni gli occhi fissi al cielo sei spacciato. Un aquilone rosso si stava avvicinando. Me ne accorsi giusto in tempo. Ci fu una scaramuccia, ma io vinsi quando, persa la pazienza, l'avversario cercò di tagliarmi da sotto. Su e giù per le strade i cacciatori di aquiloni tornavano trionfanti esibendo i loro trofei. Ma tutti sapevano che il meglio del torneo doveva ancora arrivare. Il premio più ambito volava ancora alto nel cielo. Tagliai un aquilone giallo con una coda bianca a spirale. Mi costò una ferita all'indice. Passai il filo ad Hassan, mi succhiai il sangue che mi colava nel palmo e mi asciugai la mano sui jeans. Un'ora dopo il numero degli aquiloni sopravvissuti era sceso da una cinquantina a circa dieci. Il mio era tra questi. Sapevo che la parte finale del torneo sarebbe durata a lungo, perché i ragazzi che avevano resistito fino a quel punto erano in gamba e non sarebbero caduti facilmente in un trabocchetto. Verso le tre del pomeriggio nel cielo era apparsa una nuvolaglia che aveva nascosto il sole. Le ombre si allungavano. Il pubblico sui tetti si proteggeva dal freddo con coperte e scialli. Gli aquiloni adesso erano una mezza dozzina, e il mio stava ancora volando. Mi facevano male le gambe e mi era venuto il torcicollo. Ma a ogni aquilone che cadeva nel mio cuore si accendeva una nuova speranza. Tenevo gli occhi fissi su un aquilone azzurro che da un'ora seminava il terrore. «Quanti ne ha tagliati?» chiesi. «Ne ho contati undici» rispose Hassan. «Sai di chi è?» Hassan fece schioccare la lingua e alzò leggermente il mento, con un gesto che gli era tipico. Non ne aveva la più pallida idea. L'aquilone azzurro ne tagliò uno color porpora disegnando nel cielo due ampi cerchi. Nei dieci minuti successivi ne abbatté altri due, cui diedero la caccia orde scatenate di ragazzini. A distanza di mezz'ora in cielo erano rimasti solo 21 quattro aquiloni. Il mio stava ancora volando. Sembrava che ogni folata di vento soffiasse in mio favore. Non mi ero mai sentito così fortunato, così padrone di me stesso. Era eccitante. Non osavo guardare il tetto di casa. Dovevo concentrarmi, giocare il tutto per tutto. Un quarto d'ora dopo, il sogno che il mattino mi era sembrato impossibile era diventato realtà. Eravamo rimasti in due: io e l'aquilone azzurro. L'atmosfera era tesa come il filo smerigliato che impugnavo con le mani sanguinanti. La gente pestava i piedi, batteva le mani, fischiava e scandiva: «Boboresh! Boboresh! Taglialo! Taglialo!» Tra quelle voci c'era anche quella di mio padre? La musica era assordante. Dalle terrazze e dalle porte aperte delle case si spandeva un odorino di mantu al vapore e di pakora fritto. Io, però, sentivo solo il pulsare del sangue alle tempie. Vedevo solo l'aquilone azzurro. Annusavo solo il profumo della vittoria. Salvezza. Redenzione. Se Baba si sbagliava e c'era un Dio, come mi insegnavano a scuola, allora lui mi avrebbe fatto vincere. Non sapevo per cosa stesse lottando il mio avversario, forse solo per il diritto di vantarsi. Ma questa per me era la sola opportunità di essere guardato e non soltanto visto, di essere ascoltato e non soltanto udito. Se Dio esisteva, doveva guidare il vento, farlo soffiare in mio favore in modo che con uno strattone io potessi liberarmi del mio dolore e del mio tormento. Avevo sopportato troppo. Ed ecco che improvvisamente la speranza diventava certezza. Avrei vinto. Era solo questione di tempo. Una folata di vento fece alzare il mio aquilone. Ero in vantaggio. Mi portai sopra quello azzurro e mantenni la posizione. Il mio avversario sapeva di essere nei guai. Tentò una manovra disperata per liberarsi di me, ma io non glielo permisi. La folla intuiva che la gara stava per concludersi. «Taglialo! Taglialo!» «Ci sei quasi, Amir agha! Ci sei quasi» gridò Hassan ansimando. Chiusi gli occhi e allentai la presa sul filo. Il vento lo faceva scorrere tra le mie dita incidendo tagli profondi. E poi... Non ebbi bisogno di ascoltare il boato della folla. Né di vedere quello che accadeva attorno a me. Hassan urlava di gioia e mi abbracciava. «Bravo! Bravo! Amir agha!» Aprii gli occhi e vidi l'aquilone azzurro scendere in una spirale impazzita, come una ruota che si fosse staccata da un'automobile in corsa. Cercai di dire qualcosa, ma nessun suono mi uscì dalle labbra. Mi sembrava di lievitare, di guardare me stesso dall'alto. Giacca di pelle nera, sciarpa rossa, jeans sbiaditi. Un ragazzino magro, pallido, piccolo per i suoi dodici anni. Le spalle strette e un accenno di occhiaie sotto gli occhi castano chiaro. La brezza gli scompigliava i capelli. Alzò lo sguardo verso di me e ci scambiammo un sorriso. Un secondo dopo urlavo a perdifiato in un turbinio di colori e suoni. Gettai il braccio libero attorno alle spalle di Hassan e insieme ci mettemmo a saltellare, ridendo tra le lacrime. «Hai vinto Amir agha! Hai vinto!» 23 «Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!» Non riuscivo a dire altro. Poi vidi Baba sul tetto. Era in piedi e dimenava i pugni, tra grida e applausi. Quello fu il momento più felice dei miei dodici anni di vita. Mio padre finalmente era orgoglioso di me. Poi mi resi conto che ci faceva dei cenni convulsi. Capii immediatamente. «Hassan, noi...» «Lo so» disse sciogliendosi dall'abbraccio. «Inshallah, festeggeremo dopo. Ora do la caccia all'aquilone azzurro per te.» Lasciò cadere il rocchetto e schizzò via come un razzo, trascinando nella neve l'orlo del suo chapan verde. «Hassan» urlai. «Torna con l'aquilone azzurro!» Arrivato in fondo alla strada si fermò e con le mani attorno alla bocca mi gridò: «Per te questo e altro». Poi sorrise nel suo modo speciale e sparì dietro l'angolo. Dovevano passare ventisei anni prima che io rivedessi, su una polaroid sbiadita, quello stesso sorriso spensierato. Il placido Don Micail Sciolochov Soffiava un forte vento di sud-est: veniva da lontano e durante la notte si era stancato, pure portava al mattino il caldo rovente dei deserti dell’oltre Caspio. Cadendo sulla riva sinistra prosciugò la rugiada dei prati, dissipò la nebbia e fasciò d’una foschia rosea e soffocante le balze dei monti del Don… Tiepide frusciavano sotto la carezza del vento le foglie foderate di bianco degli orni e quelle pesanti, bizzarramente frastagliate, del rovere; dal folto dei giovani tremoli veniva un concerto di rumori; lontano un cuculo cantava con voce triste, a qualcuno, gli anni che gli rimanevano da vivere; la pavoncella chiedeva insistentemente, sorvolando il laghetto: “- Cii-vi? Ciivi”… e di sotto il cespuglio di biancospino filtrava l’odore afro e fermentato del fogliame macerato dell’anno precedente… … Il vento soffiava più forte piegando verso ovest le cime dei pioppi e dei salici. Oscillavano i bianchi tronchi degli orni contornata d’una massa argentea di fogliame in agitazione. Il vento, abbassandosi, investiva il cespuglio di biancospino sotto il quale dormiva Acsinia. Come uno stormo di uccelli verdi, spaventati, le foglie volavano in su, con un fruscio disordinato, lasciando 27 cadere le rosee foglie piumate. Coperta dal fogliame appassito di biancospino, Acsania dormiva e non sentiva il minaccioso rumore della foresta… Il gabbiano Jonathan Livingston Richard Bach Jonathan volteggiava lentamente sopra le Scogliere Remote, e osservava il suo discepolo. Fletcher Lynd, giovane e acerbo, era quasi perfetto come allievo. Era forte e leggero e veloce e, quel che più contava, era divorato dalla passione del volo. Eccolo là che arriva, grigia piccola meteora, eccolo che esce da una picchiata, e sfreccia a centocinquanta miglia all'ora davanti al suo istruttore. Ed ecco che ora cabra repentino e tenta un mulinello verticale lento, in sedici movimenti staccati successivi. E li enumera a uno a uno a voce alta, i vari passaggi da una fase all'altra. «... otto ... nove ... dieci... mamma mia come rallento ... undici... vorrei poter frenare forte come te ... dodici... mannaggianoncelafopiù ... tredici... 'stiultimitremovimenti... quattor... aaaaak!» Era arrivato alla scampanata finale (aveva cabrato quasi in verticale perdendo velocità fino al limite dello stallo) ma non gli era riuscita anche perché s'era troppo innervosito per la paura di non farcela: sicché cadde all'indietro, capitombolando, ed entrò in una vite rovescia. Alla fine si riprese, ansimante, un trenta metri più sotto. 31 «Perdi tempo, Jon, con me! Ho i riflessi troppo lenti. Sono troppo scemo. Provo e riprovo, ma non ci riesco mai.» Jonathan guardò giù e gli fece un cenno col capo. «Non ci riuscirai no, finché forzi così la cabrata. Fletch, hai perso quaranta miglia all'ora nella fase iniziale. Devi essere più sciolto. Deciso ma scioltissimo, hai inteso?» Planando si portò accanto al giovane. «Adesso ci proviamo insieme, in formazione. E sta' attento a quella cabrata. Dev'essere scorrevole, il passaggio.» In capo a sei mesi, Jonathan aveva sei allievi, tutti esuli e reietti, ma pieni di passione. E curiosi di quella novità: volare per la gioia di volare! Tutti loro riuscivano meglio nella pratica, però, che non nella teoria: più lesti a eseguire gli esercizi che ad afferrarne l'arcano perché celato in essi. «Ciascuno di noi è, in verità, un'immagine del Grande Gabbiano, un'infinita idea di libertà, senza limiti» spiegava loro Jonathan, la sera, sulla spiaggia. «E il volo di precisione è un passo avanti verso l'espressione della nostra più vera natura. Noi dobbiamo lasciar perdere, scavalcare tutto ciò che ci limita. Ecco il perché di questi nostri esercizi di volo rallentato, volo veloce, volo acrobatico...» Ma a questo punto i suoi discepoli già dormivano, esausti dopo l'intensa giornata di voli. Essi amavano molto addestrarsi, godevano dell'ebbrezza dell'aria, avevano una sete di cose nuove che, di lezione in lezione, si faceva soltanto più forte. Ma nessuno di loro, neppure Fletcher Lynd, riusciva a capacitarsi che i voli del pensiero possano essere tanto reali quanto i voli nel vento e con le penne. «Il vostro corpo, dalla punta del becco alla coda, dall’una all'altra punta delle ali,» diceva loro Jonathan, ancora, «non è altro che il vostro pensiero, una forma del vostro pensiero, visibile, concreta. Spezzate le catene che imprigionano il pensiero, e anche il vostro corpo sarà libero.» 33 Risveglio del vento Rainer Maria Rilke Nel colmo della notte, a volte, accade che si risvegli, come un bimbo, il vento Solo, pian piano, vien per il sentiero, penetra nel villaggio addormentato. Striscia, guardingo, sino alla fontana; poi, si sofferma, tacito, in ascolto. Pallide stan tutte le case, intorno; tutte le querce, mute. 37 Divina Commedia Inferno (V Canto) – Paolo e Francesca Dante Alighieri Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch'a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 41 E come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. […] Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega!». Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere, dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov' è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettüoso grido. «O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. 43 Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand' io intesi quell' anime offense, china' il viso, e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disïato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com' io morisse. E caddi come corpo morto cade. 45 Contro Vento Malika Ayane Gli occhi bruciano Niente vedono, Solo quello che c'è Sogni, lacrime Specchi, pozze limpide Sai, Trema in bilico Tutto quello che c'è Cambierà Questa notte è per te Tra le dita solo tu passerai Cambierà, verrà un fulmine e accenderà Aria e vento E si vedrà, Schiarir intorno a te 49 Tempo sbriciola Giorni, sorsi piccoli Vai, solo un passo e avrai tutto quello che c'è Cambierà Ogni stanza è per te dalle dita negli angoli scenderai Cambierà Schiena dritta contro il vento E si vedrà, Spioverà intorno a te Aria e Luce Ania Fammi respirare, aria e luce dentro le ossa fammi entrare. Dammi terra e sale, di parole e pane sazia questa fame. E quando tutto intorno è fiato e vento spingiti anima... Con le mie ali spalanco cieli in un volo aperto vedrai, e con le mie mani scavo sentieri d'aria e luce, aria e luce. Splendi oltre i fiumi, e sulla riva scura dei miei occhi nudi. E quando notte avanza al vento lancia il cuore, musica. Con le mie ali spalanco cieli in un volo aperto vedrai, 53 e con le mie mani scavo sentieri d'aria e luce, aria e luce. Con le mie mani scavo sentieri d'aria e luce, aria e luce. Con le mie ali spalanco cieli in un volo aperto vedrai, e con le mie mani scavo sentieri d'aria e luce, aria e luce. Se solo tu vuoi. Vento nel Vento Rolando Attanasio Spazzandosi con tutto Attraversandomi spostandoci Gonfiando l'aria nell'aria. d'aria Avvicinandosi veloce lontano qui Nella città che fugge d'uomini nella pioggia schizza E poi trattieni il respiro Di vento vola veloce la donna triste nel vento Dal vestito coperta, resta ferma e muto il vento allargando tutto Nel vento c'è l'infinito è l'infinito è vento Nel cielo c'è vento, sulla terra c'è vento, sul mare. C'è vento. c'è respiro. c'è pallore Veloce c'è. e veloce è il vento ora Ovunque arrivato attraversandoti forte Sull'onda dell'onda ingrossandola 57 Aria respiro e aria voglio pura Lontano orizzonte nelle mie vene pulsa Trasparente si sente, sul cemento correndo. aria Attraverso le antenne laggiù Miliardi di miliardi di respiri sospiri quaggiù Infiniti pulviscoli e pensieri trasportati nel vento Maestoso respiro d'aria libera Che liberamente c'è. e c'è. poi scappa subito Nessuno può arrestarsi, forse nessuno, oggi Come la mia anima, ed è mia l'anima che vola via Voli via simile al vento Silente torni a rinascere come respiro o singhiozzo libero D'aria... Aria nel vento d'aria nell'aria vai Rifugiandoci nell'ombra protetta noi piccoli uomini Ascolto il fischio del vento dietro la porta La vita è un soffio Va via tornado e tornando va via Da qui verso l'eterno o verso una direzione Bianca nuvola diventerai Al tramonto rosa Diradata nel vento lontano È tutto cambia nella vita È già sereno 59 Canne al vento. Grazia Deledda Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l'argine primitivo da lui stesso costruito un po' per volta a furia d'anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall'alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca Collina dei Colombi. Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d'acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent'anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d'India che lo chiudono dall'alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo. Il servo non guardava al di là del poderetto anche perché i terreni da una parte e dall'altra erano un tempo appartenuti alle sue padrone: perché ricordare il passato? Rimpianto inutile. Meglio pensare all'avvenire e sperare nell'aiuto di Dio. E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno faceva ricoprir di fiori tutti i mandorli e i peschi della valle; e questa, fra due file di colline bianche, con lontananze cerule di monti ad occidente e di mare ad oriente, coperta di vegetazione primaverile, d'acque, di 63 macchie, di fiori, dava l'idea di una culla gonfia di veli verdi, di nastri azzurri, col mormorìo del fiume monotono come quello di un bambino che s'addormentava. Ma le giornate eran già troppo calde ed Efix pensava anche alle piogge torrenziali che gonfiano il fiume senz'argini e lo fanno balzare come un mostro e distruggere ogni cosa: sperare, sì, ma non fidarsi anche; star vigili come le canne sopra il ciglione che ad ogni soffio di vento si battono l'una all'altra le foglie come per avvertirsi del pericolo. [….] "Sì", mormorò donna Ester, curvandosi all'orecchio di Efix. "Ella lo odia al punto che m'ha fatto giurare di non nominarlo più. Quando venne ultimamente per dirci che sposa Grixenda e per consigliare Noemi ad accettare Predu, ella lo cacciò via terribile come l'hai veduta adesso. Ed egli andò via piangendo. Ma dimmi, dimmi, Efix", proseguì accorata, "non è una gran cattiva sorte la nostra? Giacinto che ci rovina e sposa quella pezzente, e Noemi che rifiuta invece la buona fortuna. Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?" "Sì", egli disse allora, "siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento." "Sì, va bene: ma perché questa sorte?" "E il vento, perché? Dio solo lo sa." "Sia fatta allora la sua volontà", ella disse chinando la testa sul petto: e vedendola così piegata, così vecchia e triste, Efix si sentì quasi un forte. E per confortarla pensò di ripeterle uno dei tanti racconti del cieco. 65