L’Associazione Nazionale Subvedenti - Onlus
Presenta:
Leggi come vuoi e dove vuoi
in tour
Finito di stampare settembre 2011
Indice
Introduzione
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Stasera
A che serve il vento
Il vento
Il cacciatore di aquiloni
Il placido Don
Il gabbiano Jonathan Livingston
Risveglio del vento
Divina Commedia
Contro vento
Aria e luce
Vento nel vento
Canne al vento
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Introduzione
Leggere è un po’ come viaggiare sulle ali della fantasia.
Si può viaggiare in ogni direzione e conoscere nuovi
luoghi e nuove persone.
Leggere trascende il tempo e lo spazio.
I libri ci trasportano in altri paesi e in altre dimensioni e
ci regalano la possibilità di incontrare personaggi che
possono diventare i nostri compagni di viaggio o
maestri di vita.
A volte li amiamo e a volte li odiamo un po’, ma tutti
indistintamente ci regalano emozioni.
Il piacere della lettura talvolta è così avvolgente
che troviamo ogni momento libero per leggere, e
non rinunciamo a questo piacere anche quando
non possiamo farlo in maniera convenzionale...
Alcune persone hanno problemi visivi che li costringono
ad usare dei “mezzi” non convenzionali per leggere.
Il progetto “Leggi come vuoi e dove vuoi” in tour-
tanti modi di leggere anche e soprattutto in
modo non convenzionale - si lega a filo doppio con
una delle mission associative di A.N.S. Associazione
Nazionale Subvedenti Onlus (che dal 1970 si occupa di
sostenere tutti coloro che vivono la realtà della disabilità
visiva).
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Attraverso questo progetto, che prevede delle giornateevento in cinque biblioteche comunali rionali del
Comune di Milano, intendiamo promuovere la cultura
dell’ipovisione, l’abbattimento delle barriere percettive e
la diffusione del piacere della lettura e soprattutto
dimostrare come non sia sempre necessario “vedere
dieci decimi” per “leggere” e apprezzare un libro.
Ogni giornata-evento definita: “Leggi come vuoi e
dove vuoi” in tour proporrà letture ad alta voce, con
sintetizzatore vocale, al computer, con screen-reader,
con display braille, e-book, brani letterari musicati e
lettura animata per studenti con accompagnamento
musicale.
Riteniamo che unire la classica lettura ad alta voce ad
intermezzi musicati sia un modo innovativo e
accattivante per incrementare l’affluenza di pubblico e
insieme trasmettere cultura sui diversi “mezzi” che
possono essere utilizzati per leggere.
Le quattro giornate-evento (più una conclusiva) del
progetto: “Leggi come vuoi e dove vuoi” in tour si
svolgeranno nel corso dell’anno 2011 e avranno come
filo conduttore un viaggio nel mondo dei 4 elementi:
aria, terra, fuoco e acqua.
Associazione Nazionale Subvedenti - Onlus
Milano, settembre 2011
Stasera
Giuseppe Ungaretti
Balaustra di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia.
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A che serve il vento
Lev Tolstoj
… Senza il vento sarebbe impossibile macinare il grano
dei mulini olandesi.
Quando si è in un battello, se si vuol andare più in
fretta, si prende una robusta antenna che si fissa
verticalmente in mezzo al battello. A una certa altezza
di questo palo è fissata una lunga asta di legno. All’asta
si applica una tela alla quale si fissa una corda che si
tiene in mano. Poi si distende la vela al vento. Il vento
soffia nella vela, così forte che il battello si piega su un
fianco, e il battello naviga col vento così rapidamente
che sotto la prora l’acqua gorgoglia: e si direbbe che le
rive fuggano veloci dietro il battello.
… Nei luoghi abitati, l’aria si guasta. Senza il vento
quell’aria viziata rimarrebbe ferma. Ma viene il vento, la
disperde, e ne porta con sé dalle foreste e dai campi,
altra buona, l’aria pura. Senza il vento, gli uomini non
avrebbero aria sufficiente per respirare.
Quando le bestie selvagge vanno per le foreste e le
radure, si tengono sempre contro vento; drizzano le
orecchie, fiutano ciò che si trova davanti a loro. Senza
l’ausilio del vento, esse non saprebbero orientarsi con
sicurezza.
Il vento è necessario a quasi tutti gli alberi, ai cespugli o
alle erbe, perché sull’albero, sul cespuglio o sull’erba si
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fermi un granello di polline, che provvederà alla
fecondazione…
… Il vapore si forma solo dove c’è acqua: sui ruscelli,
sulle paludi, sugli stagni e sui fiumi, ma soprattutto sul
mare. Senza il vento, questi vapori non si
muoverebbero e si condenserebbero in nubi sopra
l’acqua: ricadrebbero nel posto stesso donde si sono
innalzati.
La pioggia cadrebbe sul ruscello, sulla palude, sul fiume,
sul mare; non cadrebbe sulla terra, sui campi e sui
boschi. Senza il vento, dove c’è già acqua, ce ne
sarebbe ancora di più, ma la terra diverrebbe sempre
più arida.
Il vento
Márcia Theóphilo
Il vento continua
a divorare la notte
è là, reale e mutevole
dentro di lui la musica dei rami.
Il vento arriva
esplodono sonorità
sfogliano il suo corpo
fa ondeggiare i rami
corpo del vento avvolge e incurva
distende l'amato corpo
astratte e concrete le sue foglie
Si versano sinuose
cascate di vento dentro il bosco
Io danzo, e tu?
Risuona, balla, fischia e canta
è fra gli alberi
nasce come un frutto
nasce come un bambino
le sue risate hanno il ritmo
dell'acqua sulla pietra
prima dolce quasi monotona
dopo forte e piena di risonanze
Qualcosa di vago
fumo e sapori somiglianti.
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Il cacciatore di aquiloni
Khaled Hosseini
«Sono pronto» annunciai.
Il suo viso si illuminò. Alzò sopra la testa il nostro
aquilone, rosso con i bordi gialli, con incisa
sull'intelaiatura l'inconfondibile firma di Saifo. Si leccò le
dita e le tenne in alto per saggiare la direzione del
vento, poi partì come un fulmine. Il rocchetto si srotolò
nelle mie mani fino al momento in cui Hassan si fermò,
a un centinaio di metri. Teneva l'aquilone sopra la testa
come un atleta olimpionico la medaglia d'oro. Diedi due
strappi al filo, il nostro segnale, e Hassan lanciò
l'aquilone.
Schiacciato tra il laicismo di Baba e il conformismo
religioso dei mullah a scuola, non mi ero ancora fatto
un'idea personale di Dio. Ma quando un versetto del
Corano che avevo imparato alle lezioni di diniyat mi salì
alle labbra, lo recitai. Inspirai profondamente, espirai
con forza e tirai il filo. Un minuto dopo il mio aquilone
saliva veloce nel cielo come un grande uccello di carta.
Hassan applaudì e fischiò ammirato, poi ritornò di corsa
verso di me. Gli consegnai il rocchetto perché
riavvolgesse il filo rimasto a terra, mentre io lo tenevo
teso con le mani nude.
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In cielo si libravano già almeno due dozzine di aquiloni,
come squali di carta in cerca di una preda. Nel giro di
un'ora il numero era raddoppiato e il cielo era
punteggiato di rosso, azzurro, giallo. Il vento era
perfetto, soffiava con forza, facilitando le manovre di
ascesa e le discese in picchiata. Vicino a me Hassan
teneva il rocchetto. Le sue mani sanguinavano già. Ben
presto iniziarono i combattimenti e i primi aquiloni
abbattuti volteggiavano alla deriva.
Attraversavano il cielo come stelle cadenti, in un vortice
di code colorate, disseminando i quartieri di Kabul di
premi per i cacciatori. Li sentivo gridare mentre
saettavano per le strade.
Lanciavo sguardi furtivi a Baba sulla terrazza. Chissà
che cosa pensava. Si stava preoccupando per me? O
forse, in fondo al cuore, era contento di assistere
ancora una volta a un mio fallimento? I miei pensieri
erano in balia delle emozioni come gli aquiloni lo erano
del vento.
Attorno a me non facevano che cadere aquiloni, ma il
mio stava ancora volando, stava ancora volando! Baba
era sorpreso che io resistessi così a lungo? Se non tieni
gli occhi fissi al cielo sei spacciato. Un aquilone rosso si
stava avvicinando. Me ne accorsi giusto in tempo.
Ci fu una scaramuccia, ma io vinsi quando, persa la
pazienza, l'avversario cercò di tagliarmi da sotto.
Su e giù per le strade i cacciatori di aquiloni tornavano
trionfanti esibendo i loro trofei. Ma tutti sapevano che il
meglio del torneo doveva ancora arrivare. Il premio più
ambito volava ancora alto nel cielo. Tagliai un aquilone
giallo con una coda bianca a spirale. Mi costò una ferita
all'indice. Passai il filo ad Hassan, mi succhiai il sangue
che mi colava nel palmo e mi asciugai la mano sui
jeans.
Un'ora dopo il numero degli aquiloni sopravvissuti era
sceso da una cinquantina a circa dieci. Il mio era tra
questi. Sapevo che la parte finale del torneo sarebbe
durata a lungo, perché i ragazzi che avevano resistito
fino a quel punto erano in gamba e non sarebbero
caduti facilmente in un trabocchetto.
Verso le tre del pomeriggio nel cielo era apparsa una
nuvolaglia che aveva nascosto il sole. Le ombre si
allungavano. Il pubblico sui tetti si proteggeva dal
freddo con coperte e scialli. Gli aquiloni adesso erano
una mezza dozzina, e il mio stava ancora volando. Mi
facevano male le gambe e mi era venuto il torcicollo.
Ma a ogni aquilone che cadeva nel mio cuore si
accendeva una nuova speranza.
Tenevo gli occhi fissi su un aquilone azzurro che da
un'ora seminava il terrore.
«Quanti ne ha tagliati?» chiesi.
«Ne ho contati undici» rispose Hassan.
«Sai di chi è?»
Hassan fece schioccare la lingua e alzò leggermente il
mento, con un gesto che gli era tipico. Non ne aveva la
più pallida idea. L'aquilone azzurro ne tagliò uno color
porpora disegnando nel cielo due ampi cerchi. Nei dieci
minuti successivi ne abbatté altri due, cui diedero la
caccia orde scatenate di ragazzini.
A distanza di mezz'ora in cielo erano rimasti solo
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quattro aquiloni. Il mio stava ancora volando. Sembrava
che ogni folata di vento soffiasse in mio favore. Non mi
ero mai sentito così fortunato, così padrone di me
stesso. Era eccitante. Non osavo guardare il tetto di
casa. Dovevo concentrarmi, giocare il tutto per tutto.
Un quarto d'ora dopo, il sogno che il mattino mi era
sembrato impossibile era diventato realtà. Eravamo
rimasti in due: io e l'aquilone azzurro.
L'atmosfera era tesa come il filo smerigliato che
impugnavo con le mani sanguinanti. La gente pestava i
piedi, batteva le mani, fischiava e scandiva: «Boboresh!
Boboresh! Taglialo! Taglialo!» Tra quelle voci c'era
anche quella di mio padre? La musica era assordante.
Dalle terrazze e dalle porte aperte delle case si
spandeva un odorino di mantu al vapore e di pakora
fritto.
Io, però, sentivo solo il pulsare del sangue alle tempie.
Vedevo solo l'aquilone azzurro. Annusavo solo il
profumo della vittoria. Salvezza. Redenzione. Se Baba si
sbagliava e c'era un Dio, come mi insegnavano a
scuola, allora lui mi avrebbe fatto vincere. Non sapevo
per cosa stesse lottando il mio avversario, forse solo per
il diritto di vantarsi. Ma questa per me era la sola
opportunità di essere guardato e non soltanto visto, di
essere ascoltato e non soltanto udito. Se Dio esisteva,
doveva guidare il vento, farlo soffiare in mio favore in
modo che con uno strattone io potessi liberarmi del mio
dolore e del mio tormento. Avevo sopportato troppo. Ed
ecco che improvvisamente la speranza diventava
certezza. Avrei vinto. Era solo questione di tempo.
Una folata di vento fece alzare il mio aquilone. Ero in
vantaggio. Mi portai sopra quello azzurro e mantenni la
posizione. Il mio avversario sapeva di essere nei guai.
Tentò una manovra disperata per liberarsi di me, ma io
non glielo permisi. La folla intuiva che la gara stava per
concludersi. «Taglialo! Taglialo!»
«Ci sei quasi, Amir agha! Ci sei quasi» gridò Hassan
ansimando.
Chiusi gli occhi e allentai la presa sul filo. Il vento lo
faceva scorrere tra le mie dita incidendo tagli profondi.
E poi... Non ebbi bisogno di ascoltare il boato della folla.
Né di vedere quello che accadeva attorno a me. Hassan
urlava di gioia e mi abbracciava.
«Bravo! Bravo! Amir agha!»
Aprii gli occhi e vidi l'aquilone azzurro scendere in una
spirale impazzita, come una ruota che si fosse staccata
da un'automobile in corsa. Cercai di dire qualcosa, ma
nessun suono mi uscì dalle labbra. Mi sembrava di
lievitare, di guardare me stesso dall'alto. Giacca di pelle
nera, sciarpa rossa, jeans sbiaditi. Un ragazzino magro,
pallido, piccolo per i suoi dodici anni. Le spalle strette e
un accenno di occhiaie sotto gli occhi castano chiaro. La
brezza gli scompigliava i capelli. Alzò lo sguardo verso di
me e ci scambiammo un sorriso.
Un secondo dopo urlavo a perdifiato in un turbinio di
colori e suoni. Gettai il braccio libero attorno alle spalle
di Hassan e insieme ci mettemmo a saltellare, ridendo
tra le lacrime. «Hai vinto Amir agha! Hai vinto!»
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«Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!» Non riuscivo a dire
altro.
Poi vidi Baba sul tetto. Era in piedi e dimenava i pugni,
tra grida e applausi. Quello fu il momento più felice dei
miei dodici anni di vita. Mio padre finalmente era
orgoglioso di me.
Poi mi resi conto che ci faceva dei cenni convulsi. Capii
immediatamente. «Hassan, noi...»
«Lo so» disse sciogliendosi dall'abbraccio. «Inshallah,
festeggeremo dopo. Ora do la caccia all'aquilone
azzurro per te.» Lasciò cadere il rocchetto e schizzò via
come un razzo, trascinando nella neve l'orlo del suo
chapan verde.
«Hassan» urlai. «Torna con l'aquilone azzurro!»
Arrivato in fondo alla strada si fermò e con le mani
attorno alla bocca mi gridò: «Per te questo e altro».
Poi sorrise nel suo modo speciale e sparì dietro l'angolo.
Dovevano passare ventisei anni prima che io rivedessi,
su una polaroid sbiadita, quello stesso sorriso
spensierato.
Il placido Don
Micail Sciolochov
Soffiava un forte vento di sud-est: veniva da lontano e
durante la notte si era stancato, pure portava al mattino
il caldo rovente dei deserti dell’oltre Caspio. Cadendo
sulla riva sinistra prosciugò la rugiada dei prati, dissipò
la nebbia e fasciò d’una foschia rosea e soffocante le
balze dei monti del Don…
Tiepide frusciavano sotto la carezza del vento le foglie
foderate di bianco degli orni e quelle pesanti,
bizzarramente frastagliate, del rovere; dal folto dei
giovani tremoli veniva un concerto di rumori; lontano un
cuculo cantava con voce triste, a qualcuno, gli anni che
gli rimanevano da vivere; la pavoncella chiedeva
insistentemente, sorvolando il laghetto: “- Cii-vi? Ciivi”… e di sotto il cespuglio di biancospino filtrava l’odore
afro e fermentato del fogliame macerato dell’anno
precedente…
… Il vento soffiava più forte piegando verso ovest le
cime dei pioppi e dei salici. Oscillavano i bianchi tronchi
degli orni contornata d’una massa argentea di fogliame
in agitazione. Il vento, abbassandosi, investiva il
cespuglio di biancospino sotto il quale dormiva Acsinia.
Come uno stormo di uccelli verdi, spaventati, le foglie
volavano in su, con un fruscio disordinato, lasciando
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cadere le rosee foglie piumate.
Coperta dal fogliame appassito di biancospino, Acsania
dormiva e non sentiva il minaccioso rumore della
foresta…
Il gabbiano Jonathan Livingston
Richard Bach
Jonathan volteggiava lentamente sopra le Scogliere
Remote, e osservava il suo discepolo. Fletcher Lynd,
giovane e acerbo, era quasi perfetto come allievo. Era
forte e leggero e veloce e, quel che più contava, era
divorato dalla passione del volo.
Eccolo là che arriva, grigia piccola meteora, eccolo che
esce da una picchiata, e sfreccia a centocinquanta
miglia all'ora davanti al suo istruttore. Ed ecco che ora
cabra repentino e tenta un mulinello verticale lento, in
sedici movimenti staccati successivi. E li enumera a uno
a uno a voce alta, i vari passaggi da una fase all'altra.
«... otto ... nove ... dieci... mamma mia come rallento
... undici... vorrei poter frenare forte come te ...
dodici... mannaggianoncelafopiù ... tredici...
'stiultimitremovimenti... quattor... aaaaak!»
Era arrivato alla scampanata finale (aveva cabrato quasi
in verticale perdendo velocità fino al limite dello stallo)
ma non gli era riuscita anche perché s'era troppo
innervosito per la paura di non farcela: sicché cadde
all'indietro, capitombolando, ed entrò in una vite
rovescia. Alla fine si riprese, ansimante, un trenta metri
più sotto.
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«Perdi tempo, Jon, con me! Ho i riflessi troppo lenti.
Sono troppo scemo. Provo e riprovo, ma non ci riesco
mai.»
Jonathan guardò giù e gli fece un cenno col capo. «Non
ci riuscirai no, finché forzi così la cabrata. Fletch, hai
perso quaranta miglia all'ora nella fase iniziale. Devi
essere più sciolto. Deciso ma scioltissimo, hai inteso?»
Planando si portò accanto al giovane. «Adesso ci
proviamo insieme, in formazione. E sta' attento a quella
cabrata. Dev'essere scorrevole, il passaggio.»
In capo a sei mesi, Jonathan aveva sei allievi, tutti esuli
e reietti, ma pieni di passione. E curiosi di quella novità:
volare per la gioia di volare!
Tutti loro riuscivano meglio nella pratica, però, che non
nella teoria: più lesti a eseguire gli esercizi che ad
afferrarne l'arcano perché celato in essi.
«Ciascuno di noi è, in verità, un'immagine del Grande
Gabbiano, un'infinita idea di libertà, senza limiti»
spiegava loro Jonathan, la sera, sulla spiaggia. «E il volo
di precisione è un passo avanti verso l'espressione della
nostra più vera natura. Noi dobbiamo lasciar perdere,
scavalcare tutto ciò che ci limita.
Ecco il perché di questi nostri esercizi di volo rallentato,
volo veloce, volo acrobatico...»
Ma a questo punto i suoi discepoli già dormivano,
esausti dopo l'intensa giornata di voli. Essi amavano
molto addestrarsi, godevano dell'ebbrezza dell'aria,
avevano una sete di cose nuove che, di lezione in
lezione, si faceva soltanto più forte. Ma nessuno di loro,
neppure Fletcher Lynd, riusciva a capacitarsi che i voli
del pensiero possano essere tanto reali quanto i voli nel
vento e con le penne.
«Il vostro corpo, dalla punta del becco alla coda,
dall’una all'altra punta delle ali,» diceva loro Jonathan,
ancora, «non è altro che il vostro pensiero, una forma
del vostro pensiero, visibile, concreta. Spezzate le
catene che imprigionano il pensiero, e anche il vostro
corpo sarà libero.»
33
Risveglio del vento
Rainer Maria Rilke
Nel colmo della notte, a volte, accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento
Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.
Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi, si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case, intorno;
tutte le querce, mute.
37
Divina Commedia
Inferno (V Canto) – Paolo e Francesca
Dante Alighieri
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
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E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
[…]
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
43
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
45
Contro Vento
Malika Ayane
Gli occhi bruciano
Niente vedono,
Solo quello che c'è
Sogni, lacrime
Specchi, pozze limpide
Sai,
Trema in bilico
Tutto quello che c'è
Cambierà
Questa notte è per te
Tra le dita
solo tu passerai
Cambierà, verrà
un fulmine
e accenderà
Aria e vento
E si vedrà,
Schiarir
intorno a te
49
Tempo sbriciola
Giorni, sorsi piccoli
Vai, solo un passo e avrai
tutto quello che c'è
Cambierà
Ogni stanza è per te
dalle dita
negli angoli scenderai
Cambierà
Schiena dritta
contro il vento
E si vedrà,
Spioverà
intorno a te
Aria e Luce
Ania
Fammi respirare,
aria e luce dentro le ossa fammi entrare.
Dammi terra e sale,
di parole e pane sazia questa fame.
E quando tutto intorno è fiato e vento
spingiti anima...
Con le mie ali
spalanco cieli
in un volo aperto vedrai,
e con le mie mani
scavo sentieri
d'aria e luce,
aria e luce.
Splendi
oltre i fiumi,
e sulla riva scura dei miei occhi nudi.
E quando notte avanza al vento lancia il cuore, musica.
Con le mie ali
spalanco cieli
in un volo aperto vedrai,
53
e con le mie mani
scavo sentieri
d'aria e luce,
aria e luce.
Con le mie mani
scavo sentieri
d'aria e luce,
aria e luce.
Con le mie ali
spalanco cieli
in un volo aperto vedrai,
e con le mie mani
scavo sentieri
d'aria e luce,
aria e luce.
Se
solo tu
vuoi.
Vento nel Vento
Rolando Attanasio
Spazzandosi con tutto
Attraversandomi spostandoci
Gonfiando l'aria nell'aria. d'aria
Avvicinandosi veloce lontano qui
Nella città che fugge d'uomini
nella pioggia schizza
E poi trattieni il respiro
Di vento vola veloce la donna triste nel vento
Dal vestito coperta, resta ferma e muto il vento
allargando tutto
Nel vento c'è l'infinito è l'infinito è vento
Nel cielo c'è vento, sulla terra c'è vento, sul mare.
C'è vento. c'è respiro. c'è pallore
Veloce c'è. e veloce è il vento ora
Ovunque arrivato attraversandoti forte
Sull'onda dell'onda ingrossandola
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Aria respiro e aria voglio pura
Lontano orizzonte nelle mie vene pulsa
Trasparente si sente, sul cemento correndo. aria
Attraverso le antenne laggiù
Miliardi di miliardi di respiri sospiri quaggiù
Infiniti pulviscoli e pensieri trasportati nel vento
Maestoso respiro d'aria libera
Che liberamente c'è. e c'è. poi scappa subito
Nessuno può arrestarsi, forse nessuno, oggi
Come la mia anima, ed è mia l'anima che vola via
Voli via simile al vento
Silente torni a rinascere come respiro o singhiozzo
libero
D'aria...
Aria nel vento d'aria nell'aria vai
Rifugiandoci nell'ombra protetta noi piccoli uomini
Ascolto il fischio del vento dietro la porta
La vita è un soffio
Va via tornado e tornando va via
Da qui verso l'eterno o verso una direzione
Bianca nuvola diventerai
Al tramonto rosa
Diradata nel vento lontano
È tutto cambia nella vita
È già sereno
59
Canne al vento.
Grazia Deledda
Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva
lavorato a rinforzare l'argine primitivo da lui stesso
costruito un po' per volta a furia d'anni e di fatica, giù in
fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera
contemplava la sua opera dall'alto, seduto davanti alla
capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa
sulla bianca Collina dei Colombi.
Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là
scintillante d'acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix
considerava più suo che delle sue padrone: trent'anni di
possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di
fichi d'India che lo chiudono dall'alto in basso come due
muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla
collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo.
Il servo non guardava al di là del poderetto anche
perché i terreni da una parte e dall'altra erano un
tempo appartenuti alle sue padrone: perché ricordare il
passato? Rimpianto inutile. Meglio pensare all'avvenire e
sperare nell'aiuto di Dio.
E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno
faceva ricoprir di fiori tutti i mandorli e i peschi della
valle; e questa, fra due file di colline bianche, con
lontananze cerule di monti ad occidente e di mare ad
oriente, coperta di vegetazione primaverile, d'acque, di
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macchie, di fiori, dava l'idea di una culla gonfia di veli
verdi, di nastri azzurri, col mormorìo del fiume
monotono come quello di un bambino che
s'addormentava.
Ma le giornate eran già troppo calde ed Efix pensava
anche alle piogge torrenziali che gonfiano il fiume
senz'argini e lo fanno balzare come un mostro e
distruggere ogni cosa: sperare, sì, ma non fidarsi
anche; star vigili come le canne sopra il ciglione che ad
ogni soffio di vento si battono l'una all'altra le foglie
come per avvertirsi del pericolo.
[….]
"Sì", mormorò donna Ester, curvandosi all'orecchio di
Efix. "Ella lo odia al punto che m'ha fatto giurare di non
nominarlo più. Quando venne ultimamente per dirci che
sposa Grixenda e per consigliare Noemi ad accettare
Predu, ella lo cacciò via terribile come l'hai veduta
adesso. Ed egli andò via piangendo. Ma dimmi, dimmi,
Efix", proseguì accorata, "non è una gran cattiva sorte
la nostra? Giacinto che ci rovina e sposa quella
pezzente, e Noemi che rifiuta invece la buona fortuna.
Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il
mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca
così, come canne?" "Sì", egli disse allora, "siamo proprio
come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché!
Siamo canne, e la sorte è il vento."
"Sì, va bene: ma perché questa sorte?"
"E il vento, perché? Dio solo lo sa."
"Sia fatta allora la sua volontà", ella disse chinando la
testa sul petto: e vedendola così piegata, così vecchia e
triste, Efix si sentì quasi un forte. E per confortarla
pensò di ripeterle uno dei tanti racconti del cieco.
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opuscolo ARIA A5