Supporto tra pari in Polizia Municipale
Luca Pietrantoni, Gabriele Prati, Graziano Lori e Francesca Battagli
Materiale di aiuto scaricato dal sito di psicologia dell’emergenza dell’Università di Bologna
http://emergenze.psice.unibo.it/
Indice:
1. Premessa.
2. Prefazione.
3. Gli eventi critici di servizio.
a.
Testimonianze offerte dai pari (1).
i.
La traumatizzazione secondaria.
4. Le reazioni ad un evento critico.
a.
Testimonianze offerte dai pari (2).
5. La gestione dell’evento critico di servizio.
a.
Testimonianze offerte dai pari (3)
i.
I fattori di protezione da un trauma.
6. Come funziona il gruppo dei pari “il Cerchio Blu”.
7. Chi siamo.
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Premessa
Per indagare i livelli di stress post traumatico a seguito di eventi critici di servizio, data la
scarsità di studi sullo stress in polizia locale, nel 2004 è stata effettuata una ricerca nella
Polizia Municipale di Firenze in collaborazione con l’Università di Bologna, svolta attraverso la somministrazione di un questionario anonimo agli operatori di polizia municipale
di ogni grado presso le rispettive sedi di lavoro. I questionari raccolti sono stati 503 su un
totale di 850 appartenenti al Corpo di Polizia Municipale di Firenze e dai risultati della ricerca (consultabili al sito www.cerchioblu.eu), si è appurato una correlazione tra livelli di
stress post traumatico e fattori quali la cumulazione di altri eventi critici vissuti precedentemente, i livelli di autostima, i livelli di minaccia percepita, l’anzianità lavorativa, il genere
femminile, la scarsa facilità a rivolgersi agli altri e la scarsa presenza di sostegno sociale.
Dai risultati della ricerca è emerso inoltre la predisposizione a ricevere sostegno psicologico ed a fornirlo ai colleghi stessi. Data l’importanza di una prospettiva di intervento preventivo e di supporto, che può rivelarsi utile a ridurre il rischio che l’operatore di polizia municipale sviluppi patologie post traumatiche, in accordo con il Comando di Polizia Municipale
si è dato avvio al primo progetto italiano di un sistema di sostegno psicologico tra pari nella
Polizia Municipale denominato “Il Cerchio Blu”. Il progetto, che è stato finanziato in buona
parte con FSE, ha previsto la formazione nel sostegno psicologico, di trenta operatori di
polizia municipale che hanno dato la loro adesione volontaria, attraverso un percorso formativo di 160 ore di lezione tenuto da un team di docenti. Il gruppo di pari è stato ufficializzato all’interno del corpo di Polizia Municipale, ed attraverso delle precise procedure e sotto la costante supervisione dei docenti esperti nella salute mentale, avrà il compito di fornire
il proprio supporto ai colleghi in difficoltà derivante da eventi critici i servizio, dopo un patto reciproco di confidenzialità.
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Prefazione
Ci siamo chiesti perché abbiamo due orecchie e una bocca?
Perché dobbiamo ascoltare il doppio di quanto parliamo!
Zenone
Il lavoro svolto dagli operatori della Polizia Municipale è di grande importanza per
la comunità e proprio per questo può essere stimolante e fonte di orgoglio a livello
personale. Tuttavia nell’espletamento del proprio dovere gli operatori possono
affrontare situazioni critiche (ad esempio incidenti mortali, Trattamenti Sanitari
Obbligatori, aggressioni subite dagli operatori durante il servizio, conflitti a fuoco,
ecc…) le quali possono provocare nel soggetto un senso di disagio.
Questo libretto, suddiviso in tre parti, è il frutto di un lavoro svolto dal gruppo di 30
pari chiamato “Cerchio Blu” e operante all’interno della Polizia di Municipale di
Firenze.
La prima parte descrive gli eventi critici di servizio (ECS) riportando testimonianze
vissute dagli appartenenti al corpo di Polizia Municipale.
La seconda parte si occupa della reazioni e delle possibili conseguenze a livello
fisico e psicologico, che si possono presentare in seguito all’impatto con l’evento
critico, riportando le esperienze personali di alcuni colleghi, con i loro pensieri, le
loro emozioni e sensazioni.
Nella terza parte, infine, si discute delle strategie di gestione di situazioni lavorative
critiche, anche attraverso i racconti dei colleghi relativi alle modalità da loro
utilizzate per fronteggiare i segnali di stress.
Chi sono i pari e che cosa fanno?
I pari sono colleghi che hanno scelto di offrire, come parte del loro servizio, un ascolto e, più in generale, un aiuto agli altri colleghi che hanno affrontato situazioni
lavorative di particolare criticità. Il pari è una figura particolarmente importante
perché lavora all’interno del corpo e, in alcuni casi, può aver vissuto esperienze critiche durante la propria attività professionale.
I colleghi appartenenti al gruppo “Cerchio Blu” non sono solo spinti da
spirito volontaristico e solidale, ma sono stati selezionati ed
adeguatamente formati all’interno di uno specifico progetto. Inoltre sono
seguiti nei loro interventi da professionisti della salute e sono in contatto
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con i servizi esistenti sul territorio.
Ogni operatore della Polizia di Municipale di Firenze può contattare direttamente
il pari, grazie all’elenco dei nomi e recapiti telefonici presenti nel libretto.
Terminiamo questa prefazione con le parole di alcuni pari del gruppo
“Il Cerchio Blu”:
“Lo stress emotivo dovuto ad un evento critico di servizio (ECS) può provocare delle reazioni particolari che coinvolgono la sfera emotiva, fisica, mentale, esistenziale e
non devono essere considerate delle reazioni anormali. Alcune di queste reazioni,
che possono manifestarsi subito o dopo qualche tempo e possono durare anche a
lungo, sono: la paura, con lo stomaco che si chiude, il cuore che accelera, il sudore
freddo, provare senso di impotenza, di inadeguatezza e di rabbia, quando senti che
l’evento che hai di fronte è più grande di te e non hai mezzi per affrontarlo, la disperazione e il dolore che si presentano sul momento e che persistono nel tempo, il rivivere le sensazioni legate all’evento attraverso parole, suoni e odori. Lo stress da evento critico può causare anche difficoltà di concentrazione, difficoltà ad addormentarsi o il risvegliarsi improvvisamente ricordando l’evento”.
“L’evento critico può accadere e lasciare una traccia più o meno profonda in
te che, similmente a tutti gli altri, reagisci in qualche modo. Qualunque sia il tuo
modo di reagire, non tenertelo dentro perché pesa. Piuttosto parlane per poter essere consapevole di quello che ti sta succedendo e perché l’esperienza vissuta porti
un’evoluzione in te. Non preoccuparti se non ti va di parlarne con chiunque, è una
cosa normale perché il valore dell’evento che hai vissuto merita di essere condiviso
con chi sa ascoltarti”.
“Col tempo e con l’aiuto di qualcuno le conseguenze negative di un evento
critico di servizio spesso tendono a passare e magari a lasciare un senso di crescita
personale in termini di maggiore sicurezza in se stessi, in termini di tranquillità, di
esperienza acquisita e per il valore che dopo darai a quello che ti circonda”.
“L’eccezionalità sta nell’evento, non nella reazione: ognuno subisce l’impatto
di un evento critico con reazioni e comportamenti diversi. Un evento è critico se per
te è critico e non esistono pensieri o reazioni sbagliate. Il disagio che
si può provare a seguito di un evento critico è naturale, far finta di
niente non vuol dire risolvere il problema ma far finta che non esista. Infatti non sempre le persone sono consapevoli di provare tale
disagio e non sempre sono disposte a rivolgersi a qualcuno cercando aiuto, ma il confronto con gli altri è un sostegno quasi sempre necessario per una
buona risoluzione delle difficoltà e manifestarle non è un sintomo di debolezza, ma
il primo passo verso la volontà di acquisire consapevolezza, attraverso il dialogo
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con chi ti è vicino, ma anche con chi condivide la tua stessa realtà. Frequentare amici
e
vivere situazioni che fanno stare bene può aiutarci, ma trovare
la forza di farsi ascoltare, di esprimere le proprie emozioni e
parlare per chiarire a sé stessi cosa si prova, è il primo passo per
superare il proprio disagio”.
“L’impatto con eventi traumatici vissuti all’interno della Polizia
Municipale può provocare reazioni e conseguenze che possono
essere meglio superate grazie al confronto con persone che condividono quella
stessa realtà. Lavorare in determinate professioni crea un senso di appartenenza e
coesione tra i colleghi, rispetto ad “estranei” che possono essere considerati incapaci
di comprendere queste esperienze. Può capitare che alcuni colleghi sentano la
necessità di raccontare al pari quei vissuti che possono aver lasciato un “segno”, in
modo da poterli condividere e affrontare. Ognuno di noi può crescere, arricchirsi e
fortificarsi anche grazie alla condivisione di esperienze traumatiche, fino a
riacquistare l’autostima e la serenità superando le situazioni critiche con le proprie
modalità personali”.
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GLI EVENTI CRITICI DI SERVIZIO
La vita quotidiana è diventata caotica, stressante al punto che non riusciamo più a
dedicare del tempo per ascoltarci; diamo così per scontato che quel “malessere”,
quel “nervosismo”, quel “disagio” che proviamo facciano parte del “gioco” della
vita.
Noi operatori della Polizia Municipale siamo particolarmente esposti a eventi che
sollecitano e amplificano sentimenti di disagio e spesso lo attribuiamo alla nostra
personalità, ma può essere la conseguenza di un evento critico vissuto durante il
servizio.
Che cos’è un evento critico di servizio?
E’ un evento che viviamo durante il servizio lavorativo che genera forti emozioni e
stress, che ci destabilizza perché mette a rischio reale o potenziale la nostra vita e/o
quella degli altri. Ci colpisce nella sfera dei sentimenti portandoci ad avere paura,
impotenza ed orrore. E’ un evento che sconvolge le capacità di adattamento dell’individuo producendo vulnerabilità e perdita di controllo.
A volte un evento critico (ECS) può durare solo alcuni secondi (es. sparatoria) mentre in altri casi può durare ore o giorni (es. operazioni di soccorso in seguito ad attentato).
Fra gli eventi critici vissuti durante il proprio servizio in polizia possiamo ricordare:
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rilevazione di un incidente stradale con morti e/o feriti gravi
subire un’aggressione in prima persona
effettuare un trattamento sanitario obbligatorio critico
essere coinvolti in una sparatoria
intervenire in caso di suicidio o tentato suicidio
prestare soccorso in seguito ad un disastro od attentato
assistere a casi di abuso fisico e/o sessuale su adulti o
su bambini
comunicare il decesso di una persona ai familiari
Questa lista non è certo completa poiché le situazioni critiche che si possono
incontrare nel lavoro in polizia sono molteplici.
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EVENTI CRITICI DI SERVIZIO
Sono da considerasi
“eventi critici professionali o di servizio”
tutti quegli eventi traumatici che,
per ragioni di servizio,
un operatore di polizia incontra
nel corso della vita professionale.
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Sono interventi che escono dalla normale routine.
Travolgono la nostra sensazione di controllo della realtà;
Comportano la percezione di una potenziale minaccia per se o per altri.
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Testimonianze offerte dai pari del Cerchio Blu.
“Sono stata inviata dalla Centrale su un incidente grave, arrivata sul posto il
coinvolto era deceduto. Tutt’intorno confusione, gente che si avvicina a curiosare.
Siamo diversi colleghi, ognuno con i propri compiti. Cerchiamo di gestire la
situazione al meglio. C’è tensione nell’aria fra noi e i curiosi. La resa del personale
medico, che come atto finale stende un candido lenzuolo, ci mette di fronte a tutta la
nostra vulnerabilità. Le informazioni si susseguono: è un ragazzo giovane, padre da
poco tempo che si sarebbe sposato il mese successivo. L’angoscia mi assale, sono
partecipe al dolore e già cerco il modo migliore per comunicare la disgrazia ai
familiari. Di fronte a questo evento tutte le mie sicurezze si “sbriciolano” ed io
provo un sentimento d’impotenza e profonda sofferenza”.
“In occasione della semifinale di calcio dei mondiali del 2006 Italia-Germania,
veniamo comandati in servizio di viabilità nella Piazza Ferrucci. Al termine della
trasmissione della partita sui maxi-schermi allestiti nella Piazza Poggi, io e la collega
siamo stati circondati da una folla di persone in preda all’eccitazione per festeggiare
l’importante vittoria della nazionale italiana ed improvvisamente, non riuscendo
più a sostenere la chiusura della strada, ci siamo allontanati dopo aver avvisato la
Centrale Operativa. L’iniziale euforia dei manifestanti, si è trasformata rapidamente
in episodi di violenza di massa nei confronti di privati e del personale in divisa. Veniamo avvicinati da persone che chiedono aiuto per un cittadino costretto all’interno
di un veicolo con targa tedesca che i manifestanti avevano preso di mira danneggiandolo con bastoni, bottiglie e calci. L’imprevedibilità della situazione, dovuta alla
velocità di sviluppo degli eventi e l’esplosione di una violenza non arginabile, ha
scatenato in noi una sensazione di impotenza ed una percezione reale del pericolo e
per istinto di sopravvivenza ci siamo diretti a bordo del
mezzo di servizio, per cercare di raggiungere le altre
forze di polizia per mettersi in sicurezza, ma la folla ha
circondato il veicolo di servizio iniziando a scuoterlo.
Preso dalla paura per la nostra incolumità personale e
ormai cosciente dell’impossibilità di avere un aiuto esterno, ho reagito effettuando
delle manovre improvvise ed accelerate del veicolo per crearmi un varco tra la folla,
la quale tuttavia continuava a scatenare la sua violenza nei confronti degli altri veicoli in transito e di quelli in sosta. Non dimenticherò mai la paura e la sensazione di
pericolo provate, anzi andranno a fare parte del bagaglio personale dell’esperienze
vissute “con la divisa”. Certo è che dopo 19 anni servizio mi sono reso conto che l’esperienza e la professionalità non sono sufficienti ad affrontare situazioni di pericolo “improvvise ed imprevedibili”. Ho capito che la routine ci porta a sottovalutare il
pericolo, quasi a pensare “…tanto a me non succederà mai…”, che la paura è utile
se usata per agire con cautela, aumentare lo stato di allerta e mobilitare la propria
forza di sopravvivenza.
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“E’ una sera d’estate, i turisti e i fiorentini affollano le vie del centro. Sono di
pattuglia anti-abusivismo quando vedo dei venditori e mi fermo per allontanarli,
ma improvvisamente sono buttata a terra da uno di loro. Nessuno corre in mio
aiuto, rimanendo fermi a godersi “lo spettacolo” e le vetrine illuminate. Ho paura,
guardo la collega e leggo nei suoi occhi lo stesso mio sentimento. La rabbia mi parte
da dentro ed esplode in tutta la sua totalità quando riesco a chiedere aiuto alla
Centrale. Le sirene e i lampeggianti mi anticipano l’arrivo dei colleghi. Li vedo…e
solo allora noncurante della divisa che indosso inizio a piangere”.
“E’ domenica, tutti allo stadio, e mischiati ai tantissimi tifosi ci sono anche i
soliti violenti. Uno di loro lancia una bottiglia all’interno dell’auto della polizia che
sta transitando per i controlli di routine. L’auto si incendia e i due agenti per mettersi in sicurezza istintivamente si accostano al margine destro e scendono dall’auto.
Nel frattempo l’evento richiama l’attenzione dei passanti, anche perché alcuni veicoli che si trovavano a fianco dell’auto della polizia incendiata stanno a loro volta
prendendo fuoco. Nell’attesa dei Vigili del Fuoco i presenti inveiscono contro i poliziotti quasi a colpevolizzarli per aver provocato l’incendio delle auto in sosta. Mi
sono immedesimato in quei poliziotti perché poco prima ero passato di lì con l’auto di servizio; ho provato paura, perché poteva accadere a me, ed ho provato
sentimenti di rabbia per come i cittadini hanno giudicato il gesto istintivo dei poliziotti di mettersi in sicurezza”.
“Durante un servizio notturno mancano pochi
minuti a mezzanotte quando transitando in piazza della
Stazione io e la mia collega vediamo un taxi che sta
facendo retromarcia sulla rampa di accesso. Capiamo
subito che c’è qualcosa che non va e ci avviciniamo per
capire cosa sta accadendo. Ci vogliono pochi istanti per
arrivare e una volta lì troviamo quattro persone che si stanno affrontando con colli
di bottiglia. Istintivamente scendiamo dal veicolo di servizio ed intimiamo alle
persone di fermarsi, ma nonostante la mia risolutezza e la divisa una persona inizia
ad avvicinarsi a me con fare minaccioso con la bottiglia rotta in mano. In quei
secondi interminabili avevo già impugnato l’arma di ordinanza e indeciso se fare
fuoco o meno vedo sempre più vicina la persona che per niente intimorita continua
a puntarmi con il solo scopo di impedirmi di fare il mio dovere. Quando mi rendo
conto che la persona è ormai molto vicina faccio un passo in avanti e lo colpisco con
un calcio per renderlo inoffensivo e riesco a colpirlo alla bocca dello stomaco, tanto
da farlo accasciare al suolo e immobilizzarlo ammanettandolo. La collega nel
frattempo ha richiesto aiuto ma il tempo non scorre e i minuti sembrano diventati
ore. Ci siamo sentiti soli ad affrontare l’evento e abbiamo provato un senso di
sollievo nel momento in cui abbiamo sentito le sirene dei colleghi che stavano
arrivando in nostro aiuto. Solo il giorno dopo a casa ripensando a quanto mi era
accaduto mi sono reso conto del rischio corso da me e dalla collega provando un
senso di paura e rabbia”.
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Noi abbiamo riconosciuto come critici gli eventi che abbiamo vissuto e sopra
elencato, tu quali aggiungeresti?
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Che cos’è la traumatizzazione
secondaria
Sofferenza
altrui
Operatore di
polizia
L’operatore si espone personalmente
agli stessi dolori del soggetto traumatizzato,
come se fosse “contagiato dal trauma”.
possono svilupparsi così reazioni tipiche
dello stress traumatico,
come orrore, rabbia, vulnerabilità, dolore.
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LE REAZIONI AD UN EVENTO CRITICO DI SERVIZIO
Lo stress emotivo dovuto ad un evento critico di servizio può provocare delle reazioni particolari che coinvolgono la sfera emotiva, fisica, comportamentale, cognitiva e non devono essere considerate delle reazioni anormali. Tali reazioni, che possono manifestarsi subito o dopo qualche tempo dall’impatto con l’evento e possono
durare anche a lungo, vengono considerate a tutti gli effetti reazioni normali a situazioni anormali.
Per fare degli esempi elenchiamo alcune delle reazioni che i 30 pari hanno aver provato e che hanno riferito durante le lezioni in aula.
Reazioni Comportamentali.
-
Evitamento di luoghi, situazioni o stimoli che ricordano in qualche modo l’evento critico
Aumento o diminuzione nel consumo di cibo e/o di alcol
Cambiamento nella frequenza delle attività svolte quotidianamente
Sentirsi iperattivi o al contrario poco attivi
Rinuncia ad attività prima considerate piacevoli
Reazioni Cognitive.
-
La sensazione di rivivere le sensazioni legate all’evento attraverso parole, suoni e odori
Difficoltà nella concentrazione
Problemi di memoria
Difficoltà nel prendere decisioni
Senso di impotenza o inadeguatezza
Reazioni Emotive.
-
Diminuzione della qualità della propria vita emotiva, in altre parole non si provano più allo stesso modo le emozioni positive che si provavano un tempo
Irritabilità e facilità a scoppi di rabbia
Sentimenti di ansia generale o di paura
Sentimenti di tristezza
Cambiamenti di umore: si passa velocemente dalla gioia alla tristezza
Reazioni Fisiche.
-
Problemi legati al sonno, come ad esempio la difficoltà ad addormentarsi o il risvegliarsi improvvisamente ricordando l’evento
Nausea
Problemi all’apparato gastrointestinale
Senso di stanchezza o di poca energia
Diminuzione del desiderio sessuale
Questo elenco di reazioni comprende le reazioni più comuni anche se quelle
possibili sono molte di più. Ognuno, infatti, ha il proprio modo personale di
reagire ad un evento critico e non deve essere considerato un segno né di
debolezza né di vigliaccheria.
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L’evento critico può accadere e lasciare una traccia più o meno profonda in te che,
similmente a tutti gli altri, reagisci in qualche modo. Qualunque sia il tuo modo di
reagire, non tenertelo dentro perché pesa. Piuttosto parlane
per poter essere consapevole di quello che ti sta succedendo e perché l’esperienza vissuta porti un’evoluzione in te.
Sentirai il bisogno di parlarne solo con chi riesce veramente a capirti. Non preoccuparti se non ti va di parlarne con
chiunque, perché il valore dell’evento che hai vissuto merita di essere condiviso con chi sa ascoltarti. Col tempo e con
l’aiuto di qualcuno le conseguenze negative di un evento
critico di servizio spesso tendono a passare e magari a lasciare un senso di crescita
personale in termini di maggiore sicurezza in se stessi, in termini di tranquillità, di
esperienza acquisita e per il valore che dopo darai a quello che ti circonda.
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Qui di seguito si riportano altre testimonianze relative a reazioni ad eventi critici di
servizio vissute in prima persona dai pari.
“Arriviamo sul luogo del sinistro dove un uomo di
circa 60 anni su uno scooter aveva probabilmente
avuto un malore ed era caduto violentemente a terra.
Dopo l’arrivo dell’ambulanza il medico cercò di
rianimarlo, purtroppo senza successo. L’uomo abitava
nella zona dove era successo l’incidente, emergeva la
necessità di informare i parenti in modo da evitare che gli stessi giungessero sul
luogo senza preavviso. Da una parte c’era la drammaticità della comunicazione ai
familiari e la preparazione degli stessi al riconoscimento della salma presso
l’obitorio, dall’altra c’era da espletare tutte le procedure tecniche inerenti il sinistro,
come ad esempio attendere il Nulla Osta del Magistrato per il trasporto della salma
a Medicina Legale. La mia fatica è stata quella di rivestire questo doppio ruolo che
dovevo svolgere contemporaneamente.
Dopo i primi accertamenti, con la collega ci siamo guardati negli occhi e siamo
andati prima ad avvisare il figlio e poi, insieme a lui, la moglie dell’uomo, che in
quel momento era al lavoro.
Mi sono immedesimato nella persona che riceveva la comunicazione, avevo
difficoltà a trovare le parole e l’atteggiamento giusto. Alla fine del servizio mi sono
sentito sfinito, ma non me la sentivo di tornare a casa e con uno sguardo d’intesa
con la collega abbiamo sentito la necessità di andare a prendere una pizza per poter
scaricare la tensione vissuta insieme. Per diversi giorni ho rivissuto il momento
della comunicazione ai parenti e le loro reazioni”.
“Domenica mattina, il sole splende, sono di servizio, ma per fortuna non ci sono
molte richieste di intervento. Dalla Centrale passano un incidente ad un’altra
pattuglia e noi, che siamo nei paraggi, ci offriamo di intervenire in ausilio, senza
avere la minima informazione sul tipo di incidente. Dopo pochi secondi siamo sul
posto e la scena che ci si presenta è di un ragazzo ancora col casco in testa immobile
sull’asfalto, la sua moto in mille pezzi sparpagliati su tutta la carreggiata.
L’ambulanza ancora non è arrivata e ci rendiamo conto che il motociclista è molto
grave e noi non sappiamo cosa fare, ci sentiamo completamente inadeguati. Non
riuscivo a controllare le mie emozioni di fronte al ragazzo moribondo per terra,
riuscivo solo a dire: -“Respira…per favore respira”. Avevo bisogno di parlare al
cellulare con la mia mamma per un conforto immediato. La mattina dopo quando
mi sono svegliata ho pensato: -“Oddio l’incidente”, probabilmente ho rivissuto la
morte del mio ragazzo avvenuta in maniera analoga. Mentre ero sul sinistro mi
sembrava di vedere un film, non mi sembrava reale quello che stava succedendo.
A distanza di un anno cerco ancora di evitare la strada dove è avvenuto l’incidente e
mi accade ancora di rivedere l’immagine del giovane morto e di risentire il suo
respiro.
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Ho cercato di condividere con i colleghi la mia esperienza e ho trovato un collega
che mi ha ascoltato e mi ha aiutato a liberarmi e a capire che quello che provavo
era una reazione “normale”.
“Ero entrata da solo un mese nel Corpo di P.M., già sentivo il mio ruolo ma mi mancava l’esperienza. Fuori servizio, passando sul marciapiede vidi marito e moglie uscire con le buste dal supermercato che avevano l’auto in doppia fila. Mentre la moglie entrava in macchina, il marito metteva le buste nel bagagliaio e appena aprì la
portiera per entrare in macchina, un’altra auto lo travolse trascinandolo per molti
metri. Pensai di intervenire ma non sapevo come.
Poco dopo arrivò una pattuglia per i rilievi. L’esito dell’incidente era molto grave.
Per molte notti ho continuato a sentire le grida della moglie che urlava angosciata:
“Francesco, Francesco”. Dopo una settimana appresi che la persona era deceduta.
Mi capita ancora di sentire la voce della moglie che chiama il marito”.
“Effettuammo un controllo da effettuare in un seminterrato nel centro storico, a seguito di una segnalazione della presenza di numerosi extracomunitari. Era mattina,
io e il collega andammo all’indirizzo insieme altri colleghi pronti ad intervenire in
caso di emergenza.
Avevo paura, sentivo un vuoto nello stomaco, le mani sudate e le gambe mi tremavano mentre mi avvicinavo a quella porta. Avevo paura perché ero sicura che
mi sarei trovata in una situazione di pericolo, extracomunitari clandestini magari
armati di coltelli e pronti a tutto. Pensavo solo al pericolo e a mia figlia.. Cosa mi sarebbe successo? La porta era aperta, entrammo e lo spettacolo che mi trovai di fronte fu sconcertante, non avevo mai visto niente di così triste.
In un attimo la paura diventò disperazione, senso di inadeguatezza e di impotenza.
Nessun extracomunitario pericoloso, solo una povera giovane donna incinta di sette
mesi sdraiata per terra su una coperta, in una stanza senza luce, senza finestre,
umida e sporca, l’aria impregnata di cattivo odore.
Non dimenticherò mai quello spettacolo, le lacrime di quella ragazza e la parola
“Scusa” che continuava a ripetere guardandomi.
Per giorni non riuscivo a pensare ad altro, non riuscivo ad addormentarmi perché
mi vedevo davanti quella scena straziante. Avevo bisogno di parlare, di sfogare la
rabbia che sentivo. Ho parlato in famiglia, con gli amici, mi sono sfogata ed ho
pianto. Mi sono accorta di quanto è importante tirare fuori le proprie emozioni
senza vergognarsi delle reazioni che si hanno”.
“Lungo i binari vi erano un gruppo di persone nordafricane. Nel momento in cui
arrivai queste persone si voltarono e mi vennero tutte incontro, uno col coltello
scappò ed una persona insanguinata mi venne incontro, chiedendomi aiuto. La cosa
per me era inaspettata, ho provato paura e non sapevo cosa fare, mi tremavano i
muscoli e temevo contaminazioni col sangue. Dopo, con l’arrivo di ausilio, quando
tutto si è acquietato, ho iniziato a riflettere su quello che è successo e che invece
poteva succedere e mi sono detta che “era andata bene, per fortuna”.
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“Sono inviata per un TSO e sul posto mi informano che il paziente è un bambino di
13 anni. Negli occhi dei genitori vedo un disperato bisogno di aiuto, misto ad una
sorta di vergogna. Cerco di tranquillizzarli ma dentro di me sento un senso di
impotenza perché potrei essere io al loro posto. Il mio modo di affrontare la
situazione fa sì che il bambino, all’inizio non disposto ad ascoltare nessuno e
chiusosi in camera, in un secondo momento apra spontaneamente la porta facendosi
avvicinare ed aiutare”.
“Mi avevano assegnato un intervento tranquillo, arrivai sul posto e tutto si trasformò in un evento straordinario e pericoloso…quella mattina non avrei mai immaginato di dover usare l’arma. Una volta finito il lavoro torno a casa, era tardi, avvisai i
miei cari, poi spensi il telefono e mi isolai dal resto del mondo, nell’intimità di casa
mia e dei miei affetti. Ho avuto modo così di ricordare e riflettere, di riconsiderare il
comportamento tenuto e i rischi corsi (ancor’oggi rifarei tutto alla stessa maniera).
Ho sentito tanto il bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che mi capisse e
che mi ascoltasse, ho provato a farlo nel mio ambiente di lavoro … poi ho trovato ascolto in colleghi di altre forze di polizia e in un amico”.
“Siamo in auto, un normale giro di controllo in un pomeriggio
noioso, quando improvvisamente dico al mio collega:
“Guarda c’è una rapina all’armeria. Scappano…!!”. Partiamo
all’inseguimento, l’adrenalina sale alle stelle, non guido ma
devo tenere d’occhio dove scappano i rapinatori. La macchina
corre veloce e con essa i rischi ma in quel momento non mi preoccupa perché stiamo
facendo un gesto importante, penso. Impugniamo anche le armi e tutto finisce bene,
la loro era una scacciacani. Con la fine della vicenda mi calmo un po’ ma il rilassamento avviene solo a casa a notte inoltrata. Tante volte mi è tornato in mente tutto
l’episodio, ancora oggi me lo ricordo nei dettagli, ripenso ai rischi corsi di venire feriti o uccisi o di farlo a nostra volta, e mi chiedo anche se avevamo fatto bene il nostro lavoro. I primi tempi provavo un senso di rabbia nei confronti di chi aveva innescato tutto quell’episodio denso di pericoli…“almeno li potessimo strozzare…”,
poi mi è sbollita”.
“Guardi vigile! Là sul ponte c’è un uomo che si vuole buttare!
Ci avviciniamo e con un senso di angoscia ci mettiamo a parlare con quest’uomo
sulla spalletta del ponte riuscendo a portarlo sul marciapiede.
Tutto sembra finire qui, ma dopo pochi minuti, sentita la sirena dei soccorsi, l’uomo
risale sulla spalletta e senza lasciarci il tempo di agire si lancia nel fiume. Aveva 23
anni. Quando si buttò provai un senso di rabbia verso me stesso per non aver fatto
in tempo a bloccarlo, poi l’impotenza per non poterlo subito estrarre dall’acqua. Il
tempo pareva non passare mai ed i soccorsi non arrivare mai. Dopo la vicenda io e il
mio collega eravamo sconcertati e furono gli stessi genitori del ragazzo a cercare di
consolarci spiegandoci i disagi psicologici di cui il figlio soffriva da diverso tempo”.
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LA GESTIONE DELL’EVENTO CRITICO DI SERVIZIO
“… poter avere la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare quelle che posso cambiare
e la saggezza di distinguere fra le due…”
Serenity Prayer
Ognuno subisce l’impatto di un evento critico con reazioni e comportamenti diversi.
L’eccezionalità sta nell’evento, non nella reazione. Non esistono pensieri o reazioni
sbagliate.
Il disagio che si può provare (a seguito di un evento critico) è naturale, far finta di
niente non vuol dire risolvere il problema ma far finta che non esista.
Non sempre le persone sono consapevoli di essere in affanno rispetto ad un problema e non sempre sono disposte a rivolgersi ad altri cercando aiuto, ma il confronto
con gli altri è un sostegno spesso necessario per una buona risoluzione delle difficoltà.
Manifestare il proprio disagio non è sintomo della debolezza di una persona, ma è il primo passo verso la volontà di acquisire la consapevolezza, attraverso il dialogo e
il confronto con chi ti è vicino, anche con chi condivide la
tua stessa realtà.
Frequentare amici e vivere situazioni che fanno stare bene può aiutarci ma parlare per chiarire a sé stessi cosa si prova, trovare la forza di
esprimere le proprie emozioni, trovare la forza di farsi ascoltare, è il primo passo
per superare il proprio disagio.
Anche in quest’ultima parte riportiamo alcune esperienze vissute in prima persona
dai pari relative alla gestione di eventi critici.
“Dopo il “peggiore” incidente che ho rilevato, alla fine di una lunghissima giornata,
sono tornata a casa, ho cenato con il mio compagno e le mie figlie, ma parlare con
loro non era abbastanza. Dopo cena quindi chiamo il collega
che aveva condiviso con me quella esperienza e con lui siamo andati in birreria e, seduti ad un tavolino davanti ad un
boccale di birra, abbiamo parlato per ore dell’accaduto, trovando supporto l’uno nell’altro. Tornando a casa era come
se il macigno che mi opprimeva il cuore fosse più leggero.
Mentre aspetto che le macchine che tenevano in vita il collega fossero staccate,
accompagno, non da sola, sua madre a sbrigare le ultime pratiche prima del
funerale; dentro di me non c’erano voci ma solo il silenzio totale che mi opprimeva.
In quel momento lei mi ha aiutato dando voce a quel silenzio, parlandomi di lui,
della bella persona che era, ed in un momento di condivisione emotiva che andava
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oltre la tragedia che stavamo vivendo, mi sono “sbloccata” e solo da quel momento
ho capito cosa era successo ed ho cominciato a “metabolizzare” l’accaduto. E’ stato
lì che le emozioni e i sentimenti, fino ad allora resi muti dallo sconcerto, hanno
ripreso voce”.
“Non è molto che ho preso servizio al reparto territoriale, è sabato pomeriggio e la
centrale operativa mi avvisa che dovevo fare un TSO ed io, che non so neanche cosa
fosse, comincio a chiedermi: “cosa dovrò fare, questa persona starà già male a
sufficienza senza che io ci metta del mio, ci saranno i medici presenti. Cosa posso
fare io che loro non hanno ancora fatto?”. Una serie di dubbi mi passano per la
mente e la collega non è in condizioni migliori delle mie. Quando giungiamo
all’abitazione, il medico è presente e ci informa che si tratta di una donna; il fratello
è lì che ci guarda, come per chiederci aiuto.
Ero molto impaurita, la donna si era chiusa in una stanza e non intendeva venire
con noi… abbiamo parlato io lei e la collega, e poi parlato ancora, fino a raggiungere
un accordo: lei sarebbe venuta con noi, ma nella nostra auto. Arrivati davanti alla
porta del reparto psichiatrico, lei non voleva lasciarci ma ad un certo punto, dispiaciuta si volta e disse… “ora vado da sola”. La tristezza nel vedere quella vita, distrutta da una storia che poteva capitare a tutti, ci ha seguite e, rientrando al reparto
io e la collega abbiamo parlato e parlato a lungo, rincuorandoci del fatto che eravamo riuscite a convincere la nostra donna a fidarsi di noi, in quel poco tempo che avevamo a disposizione.
Il giorno successivo, nel compilare il rapporto di servizio, io e la collega abbiamo
rivissuto insieme quell’evento, ce lo siamo nuovamente raccontato, entrambe avevamo avuto delle forti emozioni che avevano turbato la serata precedente. Avevo pensato di non essere preparata o adatta a quel
ruolo, ma mentre la collega parlava sentivo che anche lei aveva vissuto
lo stesso disagio.
Condividere le mie emozioni mi faceva sentire che non ero sola e
parlarne mi aveva fatto capire che in fondo a quella esperienza
negativa c’era una cosa positiva: eravamo riuscite a non usare la forza
e se avevamo potuto farlo quella volta, c’erano buone possibilità che ci
riuscissimo di nuovo”.
“Mi viene richiesto, dopo aver visionato il filmato relativo ad una persona in vita, il
riconoscimento della salma presso l’obitorio. Il corpo della vittima ha un’ampia
ferita all’altezza del torace. Sono accompagnato da un Ispettore che mi delega
totalmente il riconoscimento della salma.
Alla fine del turno chiamo un amico per parlare dell’accaduto in quanto mi sono
sentito solo e caricato di una responsabilità enorme. Così facendo riduco l’intensità
delle emozioni provate e ne ho maggiore consapevolezza. Ritengo comunque
normale provare queste sensazioni di abbandono, di orrore di fronte allo strazio del
corpo e mi propongo di reagire all’evento, accettando che fatti simili possono
capitare nello svolgimento della normale attività operativa”.
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“Durante un posto di controllo viene intimato l’alt ad un motociclista, ma questo si
allontana a forte velocità. Inizia un inseguimento che più volte mette a repentaglio
l’incolumità dei protagonisti e dei cittadini-spettatori. L’azione termina per una
rovinosa caduta del motociclista che, successivamente, risulta essere un minorenne
su un motoveicolo rubato. Accompagnato al Comando viene raggiunto dai genitori
che, informati sulla gravità dell’accaduto, comunicano al figlio che tale
comportamento avrà come punizione l’annullamento della
festa di compleanno.
Provo immediatamente una rabbia nei confronti di questi
genitori, che, a mio avviso, minimizzano eccessivamente
l’accaduto. Vista la situazione non ritengo opportuno
intervenire anche perché non ne ho titolo e decido di
allontanarmi, dedicandomi ad altre mansioni lavorative piacevoli, per non esternare
eccessivamente i miei sentimenti e superare questo momento critico. La sera,
tornato a casa, racconto l’accaduto a mia figlia minorenne e successivamente mi
dedico ad attività manuali, che abitualmente mi provocano soddisfazione e
piacere, perché mi danno la possibilità di creare qualcosa con le mie abilità.
Successivamente riduco la rabbia accumulata e provata dall’evento sopra
descritto cercando il lato ironico dei fatti, sdrammatizzandoli”.
“Durante un intervento vengo inviato in un immobile a causa della presenza di un
cane che crea disagi ai condomini. Giunto sul posto un inquilino
mi informa che l’animale sporca l’androne condominiale e, a questo punto, contatto il proprietario del cane che, a causa di problemi deambulatori, apre la porta di casa e lascia uscire il cane. L’animale, cane di grossa taglia e apparentemente aggressivo, esce
dall’immobile ed aggredisce una turista che non si è accorta di
nulla. Riesco ad afferrare e trattenere il cane con l’aiuto di una terza persona. Il cane successivamente viene soppresso.
Provo paura per me, per la turista e per il momento di particolare pericolosità
generale in quanto non c’è certezza di riuscire a trattenere l’animale. Al termine
dell’operazione, ancora scosso, rientro in sede e sento la necessità di sfogarmi, ma
trovo un ambiente ostile dove i colleghi, invece di comprendere il mio stato di
agitazione, suggeriscono proprie soluzioni di intervento che aggravano ancora di
più il mio stato d’animo, creando sensi di colpa ed inadeguatezza. Ad un primo
momento di isolamento e riflessione, utile a stemperare ansia e stress, arrivo ad un
secondo momento, necessario per poter esternare i miei sentimenti e lo stato di
disagio e di agitazione. Cerco un collega/amico con il quale riesco a condividere i
sentimenti provati e, successivamente, fare un’analisi dell’accaduto. Inizialmente
il collega/amico ha ascoltato il mio disagio, aiutandomi ad esplorare ed essere
consapevole del mio stato emotivo. Poi, analizzando la situazione, riesco a
raggiungere la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile, anche se ho
sottovalutato alcuni piccoli aspetti”.
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Quali possono essere considerati
fattori di protezione al trauma
nelle professione di aiuto e soccorso
¾ Le motivazioni che stanno alla base della scelta di una
professione di aiuto.
¾ Le proprie conoscenze rispetto al trauma.
¾ Il sostegno reciproco e il supporto tra colleghi
¾ La giusta distribuzione dei compiti con gli altri operatori.
¾ L’identità dell’operatore (la personalità, i valori..).
¾ Le attuali circostanze di vita (private, familiari, ecc..).
¾ Le risorse (il gruppo, le relazioni sociali).
¾ Il proprio stile di coping.
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COME FUNZIONA IL GRUPPO DEI PARI “IL CERCHIO BLU”.
Gli appartenenti al Gruppo dovranno dare supporto ai colleghi che hanno vissuto
un “evento critico di servizio”, e non interverranno nei casi di disagi di natura personale o privata. Questo perché il gruppo è formalizzato all’interno del Corpo, ed è
indirizzato alle problematiche che possono derivare dall’attività professionale.
Nel caso in cui un appartenente venga contattato da un collega che vive una difficoltà non derivante dall’attività professionale, può prospettare al collega la possibilità di rivolgersi ad un professionista.
Se l’appartenente al gruppo, per libera scelta, decidesse di supportare il collega,
questo potrà essere fatto fuori dall’orario di lavoro e senza alcun collegamento a
quanto svolto nel gruppo.
Se l’ appartenete al gruppo sarà chiamato per intervenire a supportare un collega
durante l’orario di servizio, questi potrà dedicarsi all’incontro, purché ne sia stato
preventivamente informato il proprio superiore e non sia incompatibile con inderogabili attività di servizio; diverso sarà per il collega che ha richiesto il supporto, il
quale potrà incontrarsi con l’appartenente al gruppo sia durante il suo turno di servizio, nel rispetto delle disposizioni suddette, sia libero dal servizio.
Prima dell’inizio dell’azione di supporto al collega che ne ha fatto richiesta, l’appartenente al gruppo informerà della garanzia del rispetto della riservatezza di quanto
verrà riferito.
L’intervento di supporto non verrà mai svolto sul posto dell’evento critico di servizio, poiché i disagi che ne derivano emergono più frequentemente a distanza di
tempo (24/48 ore successive all’evento) e non vi sono i criteri dell’emergenza; inoltre nel corso delle operazioni vi sono tutte le attività da espletare nell’immediatezza
( si pensi ai rilievi di incidente stradale).
Il luogo ove effettuare l’incontro potrà essere liberamente scelto, usufruendo anche
di spazi disponibili presso le sedi lavorative.
Per quanto attinente alla presenza in servizio, ed a possibili protrazioni orarie per
dare supporto, gli appartenenti al gruppo osserveranno le disposizioni contenute
nella procedura sulle timbrature (OdS-PG-CO-PER-003-02).
L’intervento degli appartenenti al gruppo dovrà avvenire esclusivamente dopo il
verificarsi di un evento critico di servizio (24/48 ore dopo il verificarsi dello stesso o
in seguito alla richiesta di supporto di un collega); non si dovrà avere, quindi, alcun
tipo di azione preventiva o di preallarme.
L’intervento del pari, dopo che si è verificato un evento critico di servizio, compreso
il sistema di contatto con il collega prevede due modalità: ogni qual volta un collega
ha vissuto un evento critico di servizio, o percepisce situazione di disagio derivante
da un intervento di servizio, può direttamente rivolgersi ad un appartenente al
gruppo sulla base dell’elenco dei nominativi e dei relativi recapiti, mediante libera
scelta.
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successivamente al verificarsi di eventi critici di servizio generici, sulla base delle
note giornaliere redatte dalla Centrale Operativa, l’Ufficio Servizio Prevenzione e
Protezione, avuta comunicazione dell’evento avvenuto e dei nominativi del personale coinvolto, contatterà l’appartenente/i al gruppo secondo il criterio della vicinanza fisica al/i collega/i coinvolto/i ( es. stessa sede lavorativa), oppure attivando
gli appartenenti in servizio. Il contatto avverrà con modalità non invasiva, proponendosi al/i collega/i coinvolto/i dall’evento con disponibilità; in caso di rifiuto di
supporto, gli appartenenti al gruppo non dovranno assolutamente insistere, ma rispettare la scelta.
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Chi Siamo:
Alinari Silvia
Bartolotti Francesca
Cai Gianni
Caponi Silvia
Cavina Lucia
Cartaginese Monica
Corte Silvia
Cresci Cristina
Datteri Lucia
Di Maggio Cinzia
Donati Massimo
Failli Simona
Fantoni Roberta
Focardi Sebastiano
Gonnelli Nicoletta
Magheri Laura
Mancin Massimiliano
Manetti Gessica
Mariani Francesco
Mauro Piazzini
Meini Chiara
Michelozzi Massimo
Niccoli Sonia
Paviglianiti Francesco
Pesucci Giovanni
Saponaro Emanuele
Susisi Alessandra
Traversi Moira
Ventura Antonio
Verrusio Patrizia
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