Per non dimenticare
“ Ora e sempre Resistenza “
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ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sala delle Conferenze Palazzo Marini –( Via
del Pozzetto )
Presentazione
Abbiamo voluto raccogliere e presentare alcuni aspetti significativi del contributo fornito dalle
donne alla lotta di Liberazione, accompagnati da una parziale documentazione, ma in grado di
fornire un quadro sufficientemente rappresentativo del contesto nel quale l’impegno delle donne si è
sviluppato.
Una sintesi per stimolare una migliore e maggiore conoscenza dello spaccato femminile, in quello
che è stato il periodo fondamentale per il riscatto e la rinascita del nostro Paese, ripercorrendo
vicende, nella stragrande maggioranza poco conosciute e ingiustamente relegate come apporto
secondario fornito dalle donne durante il regime e nella lotta per abbatterlo.
Il nostro è un tentativo volto anche a valorizzare e sostenere, condividendone le finalità e l’azione,
la meritoria opera che le associazioni partigiane, quelle dei deportati, quelle dei perseguitati politici,
dei mutilati ed invalidi dalla riconquistata libertà stanno continuamente portando avanti per non far
dimenticare quanti hanno lottato, pagando caro il loro generoso sacrificio, per la libertà e la
democrazia, consentendone a tutti noi oggi di poterne beneficiare. Vorremmo che la nostra ricerca
basata sul loro materiale riuscisse ad essere d’esempio per attivarne molte altre, in modo da
allargare l’area della conoscenza e come diceva spesso Sandro Pertini “gli anziani ricordino e i
giovani sappiano” per divenire un inesauribile motore di trasmissione della memoria.
Uniamo, quindi, alle situazioni e avvenimenti che hanno riguardato le persone, altre notizie di utilità
di ricerca: una bibliografia riguardante quasi esclusivamente l’impegno delle donne e di quanti sono
stati i difensori dei valori che hanno accompagnato tutto questo periodo storico e da questi
protagonisti consegnato alla storia; una serie di fotografie che testimoniano il sacrificio e l’impegno
che quella generazione ha dovuto affrontare per la lotta per la libertà.
Per la nostra storia diviene di particolare importanza evidenziare il fatto come e quanto le donne
non siano state protagoniste solo quando hanno combattuto in prima linea, ma anche quando come
madri, mogli, figlie e nonne hanno dato il loro sostegno alla lotta antifascista e contro l’oppressore
nazista. Basta leggere le toccanti lettere che i condannati a morte hanno scritto alle persone più care
per rilevare che queste sono state, in prevalenza, destinate alle donne della famiglia, non solo per
l’affetto che evidentemente li legava, ma soprattutto quale riconoscimento del ruolo e della forza
che per i loro uomini esse rappresentavano.
La donna nella vita quotidiana sotto il fascismo, e più ancora nel periodo bellico, ha combattuto le
privazioni, con le difficoltà della gestione dei figli e della casa, il dover essere spesso
contemporaneamente madre, moglie, sorella, compagna di lotta, il dover far fronte ai soprusi e ai
tentativi di sfruttamento dei piccoli o grandi ras del regime. La donna a casa come in guerra, nella
Resistenza o nella solitudine di una resistenza personale o familiare, sui posti di lavoro, affrontando
i pericoli, dell’essere staffetta, infermiera, impegnata nei GAP, nelle SAP, nelle GDD o in
montagna nella lotta armata, oppure organizzando scioperi contro la guerra e per il reperimento
degli alimenti, vivendo le dure privazioni del carcere, delle torture, pagando con le deportazioni
fino all’estremo sacrificio.
A tutte loro, alle 35.000 partigiane riconosciute, alle 20.000 patriote, alle 70.000 facenti parte dei
Gruppi di Difesa della Donna, alle 4653 arrestate e torturate, alle 2750 deportate, alle 2900 fucilate
o cadute in combattimento, alle centinaia di migliaia che in silenzio hanno sofferto, pagato e
contribuito alla vittoria sulla barbarie della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, avremmo
voluto dedicare uno spazio, ma purtroppo non è stato possibile; dunque, la testimonianza di poche
valga per tutte, a cui dedichiamo - con profondo rispetto, riconoscimento e gratitudine - questo
nostro lavoro, parte integrante del convegno che abbiamo contribuito a realizzare.
Per le fotografie, i documenti e le informazioni contenute nel testo, essendo questa testimonianza
una memoria condivisa, una memoria del Paese, che è patrimonio di tutti, si è deciso di non citare
nello specifico le fonti.
Roma 23 aprile 2007
L’Istituto di Studi Sindacali UIL
La presente pubblicazione è stata curata da Paolo Saija
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Ore 8,30 Registrazione partecipanti
Ore 9,00 Apertura lavori
Ore 10,45 Interventi di
Presiede
Giuliano VASSALLI
Presidente Emerito della Corte Costituzionale
Gianni SALVARANI
Vice Presidente Istituto Studi Sindacali UIL
Piero BONI
Partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare
Ore 9,15 Interventi di saluto:
Carlo LEONI
Vice Presidente Camera dei Deputati
Donatella LINGUITI
Sottosegretaria al Ministero per i diritti e le pari
opportunità
Antonio LANDOLFI
Storico, Vice Presidente dell’ANPPIA
Cinzia DATO
Deputata, componente dell’OSCE
Vittoria FRANCO
Senatrice, Presidente dell’Associazione Nazionale
Gramsci
Rosa RINALDI
Sottosegretaria al Ministero del lavoro
Ore 12,30 Testimonianze di:
Massimo PINESCHI
Presidente del Consiglio della Regione Lazio
Tina ANSELMI
Ex Ministra, staffetta partigiana
Vera MICHELIN SALOMON
Deportata, Vice Presidente ANED -Lazio
Marisa OMBRA
Staffetta partigiana
Ore 13,00 Conclusioni di:
Nirvana NISI
Segretaria Confederale UIL
Nel corso del convegno saranno lette dagli attori
Marisa Solinas e Leandro
Leandro Amato
le motivazioni con le quali sono state insignite di medaglia d’oro
le 19 donne che hanno eroicamente combattuto nella resistenza
ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sala delle Conferenze Palazzo Marini –( Via del Pozzetto )
IL SACRIFICIO DELLE NONNE, DELLE MADRI, DELLE SORELLE, DELLE SPOSE
E DELLE FIGLIE DURANTE IL FASCISMO, LA GUERRA E LA RESISTENZA E’
STATO QUELLO PAGATO PIU’ A CARO PREZZO, SPESSO SOFFERTO IN
SILENZIO E SEMPRE DONANDO, CON LA GENEROSITA’ DI CUI SOLO UNA
DONNA PUO’ ESSERE CAPACE, AI FAMILIARI E AGLI ALTRI, TUTTO L’AMORE E
L’OPERA CHE, PER IL RUOLO RICOPERTO IN CASA E NELLA SOCIETA’,
VENIVANO CHIAMATE AD ESERCITARE. UN SACRIFICIO CHE E’ STATO
TROPPO SPESSO SOTTOVALUTATO, POSTO SEMPRE IN SECONDO PIANO
RISPETTO A QUELLO DEGLI UOMINI E SOPRATTUTTO MAL RICOMPENSATO,
COME SE LE RESPONSABILITA’ E I DOLORI PROVATI DALLE DONNE FOSSERO
INFERIORI.
NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E IN OCCASIONE
DELL’ANNIVERSARIO DEL 25 APRILE LA UIL, L’ISTITUTO DI STUDI SINDACALI
E IN PARTICOLARE IL COORDINAMENTO FEMMINILE DELL’ORGANIZZAZIONE
HANNO VOLUTO CONTRIBUIRE A MANTENERE VIVA LA MEMORIA DEI TANTI
SACRIFICI COMPIUTI DA MILIONI DI DONNE.
PER RAGIONI DI SICUREZZA L’INGRESSO IN SALA SARA’ CONSENTITO SOLO ALLE
PERSONE CHE AVRANNO ANTICIPATAMENTE CHIESTO DI ESSERE INSERITI
NELL’ELENCO DEI PARTECIPANTI DEPOSITATO AL VARCO DI CONTROLLO.
PER GLI UOMINI E’ OBBLIGATORIA GIACCA E CRAVATTA,
LE OPERAZIONI DI REGISTRAZIONE AVRANNO INIZIO ALLE ORE 8,30
PREGASI CONFERMARE LA PARTECIPAZIONE ENTRO
MERCOLEDI 18 APRILE P.V.
ALLA SEGRETERIA DEL CONVEGNO
UIL VIA LUCULLO 6 - 00187 ROMA - TELEFONI 064753279 - 064753398 FAX 064753376
e-mail: [email protected]
19 MEDAGLIE D’ORO AL VALOR MILITARE
ALLE DONNE PARTIGIANE
(motivazioni e profili biografici)
Bandiera Irma, n. 1915 Bologna. Partigiana combattente.
Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si
batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a
feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata
accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna
delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di
liberazione.
Meloncello, 14 agosto 1944.
Nata da famiglia benestante ed educata ad alti sentimenti patriottici, dopo l’8 settembre 1943 entrò a
far parte delle organizzazioni clandestine della Div. Partigiani “Bologna”, VII Brig. G.A.P.
“Gianni”, ove assunse lo pseudonimo di “Mimma” e il compito di staffetta. Il 4 agosto 1944 venne
arrestata nello svolgimento di una missione che le era stata affidata. Dopo nove giorni di torture e
sevizie per indurla a svelare i nomi dei compagni di lotta e gli scopi della azione venne fucilata
proprio nei pressi della sua abitazione.
Bedeschi Ines, n. 1914 Conselice (Ravenna). Partigiana combattente.
Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane
operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i
compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli
cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente
torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta.
Nord Emilia (Parma) - Riva del Po (Parma), 1° ottobre 1943 - 28 marzo
1945.
Nata da famiglia di agricoltori, si dedicò ai lavori dei campi al
termine delle classi elementari. Dopo gli avvenimenti succeduti
all’armistizio dell’8 settembre 1943, la sua casa ospitò i maggiori esponenti
della Resistenza e ne divenne la staffetta, recando ordini, disposizioni ed
armi alle formazioni partigiane operanti nella Romagna e nel parmense.
Bianchi Livia, n. 1919 Melara (Rovigo). Partigiana combattente.
Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei
compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria
oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia
montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui
essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle
munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non
piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per
essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo
olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d'Italia.
Cima Valsolda, settembre 1943 - gennaio 1945.
Umile donna di casa, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 volle partecipare attivamente
alla lotta clandestina. Nella formazione partigiana “Ugo Ricci”, operante sulle montagne della zona
del Lario, col nome di battaglia “Franca” fu portaordini e combattente. Il 21 gennaio 1945, dopo un
violento combattimento, rifugiatasi con altri compagni di lotta in una casa di Cima di Porlezza fu
con essi costretta alla resa con la promessa di avere salva la vita. I prigionieri furono invece condotti
al cimitero locale e schierati contro il muro di cinta vennero falciati dalle armi automatiche. La
partigiana “Franca”, rifiutò la salvezza che le veniva offerta e si unì la gruppo dei condannati, nel
supremo sacrificio della vita.
Borellini Gina, n. 1919 San Possidonio (Modena). Partigiana combattente.
Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa alla causa della liberazione
d'Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi,
staffetta instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda,
comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito,
resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta
davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente
rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto.
Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con la quale
affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e
luminose prove di virile coraggio. Sorpresa la sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente
ferita ad una gamba nella disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di
soccorrer/a, sola riusciva a frenare la copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei
propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell’ospedale di Carpi, individuata dalla polizia
fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace
incrollabile nella decisione eroica. Amputatale la gamba, l'insurrezione la sottrae alla vendetta del
nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo.
Modenese, 8 settembre 1943 - aprile 1945.
Modesta e laboriosa donna di casa, dopo l’8 settembre 1943 si dedicò col
marito e con i fratelli alla lotta partigiana. Svolse in un primo tempo la
pericolosa missione di staffetta; poi fu una delle più capaci organizzatrici dei
“Gruppi di difesa della donna” incaricati di rifornire le formazioni partigiane
di viveri, medicinali e vestiario. Arrestata col marito e torturata, assieme a lui
resisteva senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Dopo la fucilazione
del marito avvenuta il 19 marzo 1945 non esitò ad impugnare le armi
entrando coraggiosamente nelle formazioni gappiste.
Appartenente alla Brig. “Remo” come ispettrice e con la qualifica gerarchica di capitano, fu ferita
nel combattimento di S. Possidonio da pallottola esplosiva il 12 aprile 1945 e subì l'amputazione
della gamba sinistra. La mutilazione e la perdita del compagno non intaccarono il suo forte animo.
Subito dopo la liberazione organizzò il movimento democratico femminile (VDI) a Concordia e fu
animatrice di ogni azione per il miglioramento delle condizioni economiche e per la emancipazione
della donna. Eletta Deputato al Parlamento per la I, II e III legislatura della Repubblica, la sua
attività parlamentare fu rivolta particolarmente, alla soluzione dei problemi dei combattenti, fra cui
quelli dei mutilati ed invalidi di guerra, partigiani e congiunti dei Caduti in guerra o per causa di
guerra. Ha ricoperto la carica di Consigliere ai Comuni di Concordia e di Sassuolo, nonché quella di
Consigliere alla Provincia di Modena. È stata Presidente della Associazione Nazionale Mutilati ed
Invalidi di guerra della Sezione di Modena e Membro del Comitato Centrale della stessa. Risiedeva
a Modena.
Capponi Carla, n. 1921 Roma. Partigiana combattente.
Partigiana volontaria ascriveva a sé l’onore delle più eroiche imprese nella
caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico
annidato nella cerchia dell’abitato della città di Roma. Con le armi in
pugno, prima fra le prime, partecipava a diecine di azioni distinguendosi in
modo superbo per la fredda decisione contro l’avversario e per spirito di
sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una
formazione
partigiana guidava audacemente i compagni nella lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e
destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Ammalatasi di grave morbo
contratto nella dura vita partigiana non volle desistere nella sua azione fino a fondo impegnata per
il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle
tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano.
Roma, 8 settembre 1943 - 6 giugno 1944.
Iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943 si dedicò attivamente alla lotta clandestina di resistenza. Nelle formazioni “G.A.P.”,
col nome di battaglia “Elena”, fu vicecomandante di una formazione partigiana operante in Roma e
nella provincia, a Valmontone, a Zagarolo e a Palestrina. Organizzatrice di numerosi atti di
sabotaggio, fra i quali l’incendio nell’interno della città di un autotreno carico di carburante
destinato a Cassino, partecipò il 23 marzo 1944 all’attentato di via Rasella contro una formazione
militare tedesca. Fu eletta nel 1953 deputato al Parlamento per la 2ª legislatura repubblicana per la
circoscrizione di Roma, Viterbo, Latina, Frosinone. Risiedeva a Roma.
Deganutti Cecilia, n. 1914 Udine. Infermiera volontaria della C.R.I., partigiana combattente.
Valorosa crocerossina, consapevole e cosciente delle tragiche ore attraversate dalla Patria
invasa prendeva immediatamente la via del dovere e dava, in terra Friulana, la sua entusiastica
attività al movimento della liberazione contro l’oppressione nemica.In lunghissimi mesi di lotta
senza quartiere, nella volontaria diuturna feconda ed appassionata fatica metteva in luce tutta la
sua purissima fede e dava ripetute prove dei sentimenti più nobili e delle virtù militari più salde.
Individuata dal nemico ed esortata a porsi in salvo preferiva continuare a svolgere la sua
multiforme attività patriottica finché veniva arrestata. Sottoposta a numerosi snervanti
interrogatori e a ripetute torture per costringerla a svelare le fila dell’organizzazione clandestina
che l’avversario sapeva a lei ben note, opponeva sempre un netto e deciso rifiuto anche quando i
maltrattamenti superarono ogni limite di umana sopportazione. Non una parola usciva così dalle
sue labbra. Condotta al supremo sacrificio, l’affrontava con la calma dei forti dando mirabile
esempio del come la gente Friulana sa servire la Patria e per Essa morire.
Zona d’operazione, giugno 1944 - aprile 1945.
Insegnante elementare a Castione di Strada dal 194, frequentò i corsi di infermiera
volontaria della C.R.I. presso il Comitato provinciale di Udine e prestò per qualche tempo servizio
nell’ospedale civile e in quello militare di Udine. Trasferita al posto di soccorso ferroviario, ivi si
trovava nel settembre 1943 quando militari e civili italiani venivano caricati nei carri bestiame e
deportati in Germania. Le dolorose scene alle quali assistette la spinsero a partecipare alla lotta di
resistenza e divenne partigiana. Affiancatasi al gruppo di assistenza ai feriti, disimpegnò anche
opera di collegamento collaborando attivamente con i radiotelegrafisti della Missione alleata.
Arrestata il 6 gennaio 1945 ad Udine sotto l’accusa di spionaggio e favoreggiamento del nemico, fu
fucilata a Trieste il 4 aprile successivo.
Degli Esposti Gabriella in Reverberi, n. 1912 Crespellano (Bologna). Partigiana combattente.
Due tenere figliolette, l’attesa di una terza, non le impedirono di dedicarsi con tutto lo
slancio della sua bella anima alla guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si
dimostrava instancabile ed audacissima combattente, facendo della sua casa una base avanzata
delle formazioni partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e
contribuendo alacremente alla diffusione della stampa clandestina. Accortasi di un rastrellamento,
riusciva ad allontanare gli sgherri dalla propria casa per breve tempo e, incurante della propria
salvezza, metteva al sicuro le figliole ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu
sottoposta alle torture più atroci per indurla a parlare, le furono strappati i seni e cavati gli occhi,
ma ella resistette imperterrita allo strazio atroce senza dir motto. Dopo dura prigionia, con le carni
straziate, ma non piegata nello spirito fiero, dopo aver assistito all’esecuzione di dieci suoi
compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso sulle labbra e cadeva invocando
un‘ultima volta l’Italia adorata. Leggendaria figura di eroina e di martire.
Castelfranco Emilia, 17 dicembre 1944.
Appartenente a modesta famiglia di lavoratori, originaria della frazione di Calcara del
comune di Crespellano, dopo l’8 settembre 1943 diede ogni sua attività alla lotta clandestina.
Staffetta partigiana con la qualifica di tenente, prestò servizio in una formazione facente capo alla
Div. “Walter Trabucchi Modena”.
Del Din Paola, n. 1923 Pieve di Cadore (Belluno). Partigiana combattente.
Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli nella formazione comandata dal
fratello, ad avvenuta morte di questi in combattimento, viene prescelta per portare al Sud
importanti documenti operativi interessanti il Comando alleato. Oltrepassate a piedi le linee di
combattimento dopo non poche peripezie e con continuo rischio della propria vita ed ultimata la
sua missione, chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo aver compiuto ben undici
voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a lanciarsi col
paracadute nel cielo del Friuli alla vigilia della liberazione. Nel corso dell'atterraggio riportava
una frattura alla caviglia ed una torsione alla spina dorsale, ma nonostante il dolore lancinante, la
sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con la Missione alleata nella zona per
consegnarle i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché
claudicante, passava ancora ripetutamente le linee di combattimento per recapitare informazioni ai
reparti alleati avanzanti. Bellissima figura di partigiana seppe in ogni circostanza assolvere con
rara capacità e virile ardimento i compiti affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di
sacrificio e sconfinata dedizione alla causa della libertà.
Zona di operazione, settembre 1943 - aprile 1945.
Figlia di ufficiale degli alpini combattente
della prima e della seconda guerra mondiale e
sorella di Renato caduto a Tolmezzo il 25 aprile
1944 e decorato della M.O. al V.M. alla memoria,
consegui la maturità classica nel Liceo di Udine e si
laureò in lettere presso l'Università di Padova nel
1945. Dopo l'8 settembre 1943 dedicò la sua
attività alla lotta partigiana. Alle dipendenze del
fratello comandante della “Prima banda di
montagna” del Gruppo Divisioni d'assalto
“Osoppo-Friuli”, allora in formazione, disimpegnò
le funzioni di staffetta rendendo preziosi servizi
anche nel campo informativo. Vincitrice di una borsa di studio, frequentò dal 1951 al 1953
l'Università di Pennsylvania in America conseguendo il titolo di “Master of Arts”. Insegnante di
lettere ad Udine nelle scuole medie. Risiede a Udine.
Enriques Anna Maria, n. 1907 Bologna. Partigiana combattente.
Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria; e nei pericoli e nelle ansie della lotta
clandestina ricercò senza tregua i fratelli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare
con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni,
superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel
giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice. Tratta dopo un mese dal carcere delle Murale,
il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti, cadeva uccisa
da una raffica di mitragliatrice: indimenticabile esempio di valore e di sacrificio.
Firenze, 15 maggio - 12 giugno 1944.
Laureata in lettere nel 1930, ed assunta come archivista negli Archivi di
Stato fu a Firenze dal 1932 al 1939. Allontanata dall’ufficio per ragioni razziali,
trovò rifugio in Vaticano dove venne impiegata nell’archivio di quella Biblioteca.
Propagandista animosa, organizzò i primi gruppi di resistenza politica del Partito
Democratico Cristiano, a Roma e poi a Firenze, quando nel 1943 raggiunse la
famiglia colà residente. A lei fecero capo, dopo l’armistizio, le organizzazioni
partigiane del livornese, della Lucchesia, della Val d’Orcia e della Val di Chiana e
servì di tramite per la trasmissione di notizie politiche e militari ai comandi alleati.
Si prodigò, inoltre, a favore di ebrei e ricercati politici. Pubblicò vari saggi sulla paleografia e su
argomenti di storia medioevale.
Lorenzoni Maria Assunta (Tina), n. 1918 Macerata. Crocerossina, partigiana combattente.
Purissima patriota della Brigata "V", martire della fede italiana, compì sempre più del suo
dovere. Crocerossina e intelligente informatrice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai
combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d'Italia. Allo scopo di
alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti
azioni, onde rendere possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per
scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi,
già altre volte portato felicemente a termine, la condusse verso la cattura e verso la morte.
Gloriosa eroina d'Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale.
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944.
Figlia del Segretario generale dell'Istituto internazionale
di agricoltura e Ordinario di economia politica nella
Università di Firenze, alla dichiarazione della seconda
guerra mondiale era laureanda nella facoltà di Magistero.
Crocerossina durante la guerra, dopo l’8 settembre 1943
entrò a far parte di uno dei gruppi della resistenza
operanti a Firenze che si fusero poi nella Brig. “V”,
costituitasi e mantenutasi apolitica fino allo scioglimento,
avvenuto nel settembre 1944. Conosciuta nell'ufficio
informazioni della Brig. con 1ª sigla “S.C. 28”, prese
parte alla organizzazione di altri gruppi di informazione a Milano e in altre località del Nord,
facilitando l'espatrio a numerosi ebrei e perseguitati politici. Durante i combattimenti svoltisi per
la liberazione di Firenze nell'estate del 1944, dopo avere più volte oltrepassate le linee nemiche
al di là del Mugnone e dell'Arno, veniva arrestata in un ulteriore tentativo per raccogliere
preziose notizie per gli alleati. Rinchiusa in una cantina della villa Cisterna, cadde l'indomani,
sotto una raffica di mitra tedesco in un tentativo di fuga durante l'interrogatorio.
Marchiani Irma, n. 1911 Firenze. Partigiana combattente.
Valorosa partigiana animata da grande ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo
del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo
di far ricoverare in luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata alla
deportazione e riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava
ai combattimenti di Benedello battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nella amorosa
assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida la morte,
offrendo fieramente il petto al piombo che troncava la sua balda esistenza. Pavullo nel
Frignano, 26 novembre 1944.
Ricamatrice e modista si interessò anche di pittura, lasciando buone prove come
ritrattista e miniaturista. L’8 settembre 1943 trovavasi nella zona del Frignano per motivi
di salute, tuttavia partecipò alla lotta clandestina di resistenza nelle formazioni partigiane
come staffetta ed informatrice, dai primi mesi del 1944. Dal maggio successivo entrò a far
parte definitivamente della Brig. “Roveda” della Div. “Modena”. Le sue capacità di
infermiera e di organizzatrice, nonché le sue eccezionali doti di combattente, le ottennero
la nomina a vice comandante del btg. “Matteotti” dove militò col nome di battaglia “Anty”.
Marighetto Ancilla, n. 1927 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente.
Generosa figlia del Trentino abbandonò la propria casa e la famiglia per rispondere
all’appello della Patria a cui già il padre aveva sacrificata la vita. Unitamente al fratello maggiore
divise i gravi rischi e i grandi sacrifici della lotta partigiana nella stagione più rigida e in zona
impervia e pericolosa. Durante un rastrellamento, con uno sci spezzato da raffiche nemiche, si
rifugiò sopra un albero. Individuata, scaricò la pistola sul nemico fino ad esaurimento delle
munizioni. Catturata e sottoposta a sevizie e torture non si piegò. Offertale salva la vita purché
denunciasse i propri compagni, rifiutava sdegnosamente sputando in faccia ai carnefici e gridando:
«Ammazzatemi, ma non tradirò mai i miei fratelli ».Il piombo nemico stroncò la sua eroica
esistenza.
Col del Tocco - Passo Broccone - Comune di Castel Tesino (Trento), 19 febbraio 1945.
Di modesta famiglia di contadini e di casari, alla dichiarazione dell’armistizio,
seguendo l’esempio del fratello maggiore, raggiunse sulle montagne del Trentino una
formazione partigiana del Gruppo Brigate “Gramsci” e precisamente il btg. “G. Gherlenda”
della Brig. “E. De Bortoli”. Fu fucilata in località Coazzo, appena diciottenne.
Menguzzato Clorinda, n. 1924 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente.
Valorosa donna trentina, fu audace staffetta, preziosa informatrice, eroica combattente,
infermiera amorosa. Catturata dai tedeschi oppressori, sottoposta ad atroci sevizie, violentata
dalla soldataglia, lacerate le carni da cani inferociti, con sublime fierezza opponeva il silenzio alle
torture più strazianti, e nell'ultimo anelito gridava agli aguzzini: « Quando non potrò più
sopportare le vostre torture mi mozzerò la lingua con i denti per non parlare ». La brutalità teutone
poté violarne il corpo, ma non piegarne l'anima ardente e l'invitto coraggio. La leonessa dei
partigiani rimane fulgido esempio delle più nobili tradizioni di eroismo e di fede delle donne
italiane.
Castel Tesino, 10 ottobre 1944.
Appartenente a modesta famiglia di contadini, esercitava il mestiere di venditrice
ambulante. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu testimone un giorno, nella stazione di
Trento, della triste scena presentata da un convoglio ferroviario carico di soldati italiani diretti
ai campi di concentramento in Germania. Impressionata dalle umiliazioni inflitte ai nostri
soldati, non esitò a scegliere quella strada che doveva poi costarle la vita a soli 19 anni.
Raggiunte in montagna le prime formazioni partigiane, cui si aggregò in seguito anche il
fratello, fu coraggiosa staffetta nel btg. “Gherlenda” della Div. “Gramsci”, nota come la
“Garibaldina Veglia”.
Pratelli Parenti Norma, n. 1921 Massa Marittima (Grosseto). Partigiana combattente.
Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano
infieriva la rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo né piegò la sua volontà di
soccorritrice, di animatrice, dì combattente e di martire. Diede alle vittime la sepoltura vietata,
provvide ospitalità ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani e
nei giorni del terrore, quando la paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con lo
esempio di una intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe la fiducia ai forti. Nella notte
del 22 giugno, tratta fuori dalla sua casa, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi carnefici,
spirò, sublime offerta alla Patria, l’anima generosa.
Massa Marittima, giugno 1944.
Ispirata da sentimenti cristiani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, seguendo l’esempio
del marito, partecipò alla lotta clandestina di resistenza con l’entusiasmo dei suoi giovani anni.
Militò nel rgpt. “Amiata” della III Brig. “Garibaldi” operante nella zona di Massa Marittima. Nella
piccola trattoria gestita dalla madre ebbe occasione di avvicinare ed indurre a disertare, per
raggiungere le formazioni partigiane, numerosi prigionieri di nazionalità straniera al seguito delle
truppe tedesche. Tradita da uno di questi, un mongolo emissario del nemico, la sera del 22 giugno
1944, quando già le unità germaniche erano in ritirata, fu arrestata in casa insieme con la madre. La
mattina successiva fu rinvenuto il suo corpo straziato dalle fucilate.
Rosani Rita, n. 1920 Trieste. Partigiana combattente.
Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo la dura
vita di combattente. Fu compagna, sorella, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai
arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle
sofferenze della rude esistenza, pur di portare a
compimento le delicate e rischiosissime missioni
a lei affidate. Circondata la sua banda da
preponderanti forze nazifasciste, impugnava le
armi e, ultima a ritirarsi, combatteva
strenuamente finché cadeva da valorosa sul
campo, immolando alla Patria la sua giovane
ed eroica esistenza.
Monte Comune, 17 settembre 1944.
Di origine cecoslovacca, insegnante
nella scuola elementare ebraica a Trieste, per
sfuggire alle persecuzioni razziali, fu costretta ad abbandonare la città dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943. Rifugiatasi a Portogruaro, partecipò attivamente alla lotta clandestina di resistenza,
quindi, nel febbraio 1944, si portò a Verona dove costituì, insieme a pochi altri, la formazione
“Aquila” della Brig. “Pasubio”. Combatte in Valpolicella e nella zona di Zevio fino al giorno del
suo cosciente sacrificio. Per il suo virile comportamento fu assunta dalla comunità ebraica quale
simbolo della virtù e della forza d’animo del popolo d’Israele.
Rossi Modesta in Polletti, n. 1914 Bucine (Arezzo). Partigiana combattente.
Seguiva il marito nelle impervie montagne dell’Appennino Tosco-emiliano e con lui
divideva i rischi, i pericoli e i disagi della vita partigiana, animata e sorretta dalla fede e
dall’amore per la Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di
prendere parte attiva alla lotta rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo.
Arrestata dai tedeschi resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire parola che
potesse essere rivelazione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme
alla sua, l’esistenza di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al
seno materno.
Zona di Solaia (Arezzo), 11 settembre 1943 - 29 giugno 1944.
Appartenente a numerosa famiglia di modestissimi agricoltori, dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943, per quanto giovane madre, volle seguire il marito impegnato nella lotta clandestina
di resistenza sulle montagne dell’Aretino.
Tonelli Ve(i)rginia, n. 1903 Castelnuovo del Friuli (Pordenone). Partigiana combattente.
Partigiana animata da profonda fede e dotata di elevate doti intellettive ed organizzative,
svolgeva a lungo importanti rischiosi incarichi di collegamento fra varie formazioni partigiane e
gli organi direzionali del movimento di resistenza del Veneto e della Lombardia. Ricercata
attivamente, veniva catturata a Trieste e sottoposta per venti giorni ad atroci, inumane sevizie allo
scopo di conoscere le preziose notizie in suo possesso. Vista l'impossibilità, grazie all'eroico spirito
di sacrificio della martire, di trarre le informazioni richieste, gli aguzzini, esasperati, la bruciavano
viva. Sublime esempio di cosciente sacrificio in nome della libertà della Patria.
Trieste, 29 settembre 1944.
Appartenente a famiglia numerosa di lavoratori, frequentò la Scuola per Infermiere.
Donna coraggiosa e dotata di alto spirito di sacrificio, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
entrò a far parte del Movimento di Resistenza disimpegnando con abilità e audacia le più
difficili missioni. Il 17 settembre 1944, incaricata dal Capo della Delegazione Provinciale del
Comando Generale Brigate “Garibaldi” di Udine di una nuova importante missione, partì per
Trieste, in treno, ove appena giunta fu arrestata dalla polizia tedesca.
Vassalle Vera, n. 1920 Viareggio (Lucca). Partigiana combattente.
Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d'animo e di carattere, all'atto dell'armistizio,
incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per
essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d'istruzione presso un ufficio
informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato
dai tedeschi. Con altro compagno R. T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava
e faceva funzionare un servizio di collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell'appennino
toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di
carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque lanci
da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a
fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina.
Pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose
notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni
circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle donne
italiane.
Italia occupata, settembre 1943 - luglio 1944.
Diplomatasi nell'Istituto magistrale di Pisa ed abilitata all'insegnamento, era impiegata
presso la Cassa di Risparmio di Lucca. Dopo l'8 settembre 1943, in seguito alla dichiarazione
dell'armistizio, aderendo alla proposta del cognato Manfredo Bertini, decorato poi di M.O. al
V.M. alla memoria, di collaborare con gli anglo-americani, abbandonò impiego e famiglia.
Raggiunta Montella dopo avventuroso viaggio attraverso le linee nemiche fu messa a
disposizione dell'”Office of Strategic Service” (Ufficio Informazioni della 5ª Armata alleata)
e incaricata di svolgere azione informativa e di collegamento con le formazioni partigiane in
territorio occupato dai tedeschi. Dopo aver frequentato a Taranto un apposito corso di
addestramento, il 18 gennaio 1944, munita di una radiotrasmittente, partiva da Bastia in
Corsica con una motosilurante sbarcando qualche ora dopo nei pressi di Orbetello. Raggiunta
Viareggio e presi contatti con esponenti del C.L.N. di Firenze, si prodigò in azioni di
sabotaggio e d'informazione, facilitando aviolanci di armi alle formazioni partigiane.
Individuata il 2 luglio dai tedeschi la stazione trasmittente, riuscì col radiotelegrafista che
l'accompagnava a sfuggire alla cattura. Si aggregò alla formazione partigiana “Marcello
Garosi” ed ottenuta altra radio operò fino alla liberazione di Lucca, passando poi a Siena.
Nominata insegnante elementare, risiedeva a Cavi di Lavagna (Genova) dove è deceduta nel
novembre 1985.
Versari Iris, n. 1922 Portico S. Benedetto (Forlì). Partigiana combattente.
Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle
tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo
posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante oppressione
dell'invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma
partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida prese parte attiva a
numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida
combattente. Durante l'ultimo combattimento, circondata con altri
partigiani in una casa colonica isolata, ferita ed impossibilitata a
muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l'accerchiamento e,
impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro
sortita. Dopo aver abbattuto l'ufficiale nemico che per primo entrò nella
casa colonica, consapevole della sorte che l'attendeva cadendo viva nelle
mani del crudele nemico, si diede la morte. Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che
aveva nutrito iella sua breve ma gloriosa esistenza.
Terra di Romagna, 9 settembre 1943 - 18 agosto 1944.
Nata da famiglia di modesti contadini, frequentò le scuole elementari. Dopo la dichiarazione
dell’armistizio dell’8 settembre 1943, entrò a far parte della formazione partigiana “Battaglione
Corbari” e si distinse nella rischiosa attività di portaordini per assicurare i collegamenti fra i nuclei
partigiani operanti sui monti della Romagna. Arrestata dai tedeschi riuscì a fuggire ma, per
rappresaglia, i suoi genitori furono presi e deportati in Germania e del padre non ebbe più notizie.
Durante un combattimento fu gravemente ferita alle gambe e per non cadere nuovamente in mani
tedesche preferì darsi la morte.
MEDAGLIE D’ARGENTO AL VALOR MILITARE
ALLE DONNE PARTIGIANE
CHIARINI SCAPPINI RINA
(Operaia)
Nata ad Empoli (Firenze) il 16 dicembre 1909, morta a Empoli il 20 ottobre 1995.
A 11 anni aveva dovuto smettere di frequentare la scuola, per contribuire, dopo l’arresto del padre
antifascista, alle necessità della sua famiglia. Era poi stata assunta, come operaia, in una vetreria e
già qui aveva preso a collaborare col "Soccorso Rosso". Nel 1926 la giovane si era iscritta al
Partito comunista clandestino. Nell’aprile del 1943, quando Remo Scappini uscì dal carcere, Rina
poté sposarlo. I coniugi si spostarono a Milano e qui Rina visse i rischi della lotta clandestina,
come anche quando andarono a Genova, dove la donna fu valida collaboratrice (con il nome di
battaglia di "Clara"), del Comando regionale delle Brigate Garibaldi. Il 6 luglio del 1944, Rina
cadde nelle mani della polizia fascista. Portata nella famigerata Casa dello studente di Genova, la
donna fu sottoposta a pesanti interrogatori e sevizie, nonostante fosse in avanzato stato di
gravidanza. Perse dolorosamente il suo bambino, ma non si lasciò sfuggire la minima ammissione.
Il Tribunale militare fascista il 29 luglio del 1944 la condannò alla pena capitale insieme ad altri
cinque coimputati. La donna si salvò, ma di lì a poco fu di nuovo condotta, con altri trenta patrioti
genovesi, davanti ai giudici, che la condannarono a 24 anni di reclusione. Tradotta nel lager di
Bolzano, nel marzo del 1945 riuscì ad evadere con una compagna di prigionia. Raggiunse
fortunosamente Milano e di qui, la sera del 26 aprile, raggiunse Genova, dove le truppe tedesche si
erano arrese. Rina si è sempre impegnata per la pace e la giustizia sociale. Oltre che della Medaglia
d’argento al valor militare, "Clara" è stata decorata della Stella d’oro al valore partigiano,
conferitale dal Comando generale delle Brigate Garibaldi.
LUSSU JOYCE
(Intellettuale)
(SALVADORI GIOCONDA)
Nata a Firenze l’8 maggio 1912, morta a Roma il 4 novembre 1998
Joyce Lussu nacque come Gioconda Salvadori da genitori marchigiani,
entrambi con ascendenze inglesi. Il padre Guglielmo, docente
universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer, malmenato
e più volte minacciato dalle camicie nere, fu costretto all’esilio. Si
trasferì in Svizzera nel 1924 con la moglie Giacinta e i tre figli. Joyce
visse così all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi ed ambienti
cosmopoliti, maturando un’educazione non formale. Con i fratelli,
comunque, continuò gli studi conseguendo la licenza di Liceo Classico
con esami da privatista nelle Marche, tra Macerata e Fermo. Studiò
filosofia a Heidelberg e si laureò prima in lettere alla Sorbona, poi in
filologia a Lisbona. Dal 1933 al ’38, intraprese rischiosi viaggi in Africa
e compose le sue prime poesie, apprezzate anche da Benedetto Croce.
Insieme al fratello Max, Joyce entrò a far parte del movimento "Giustizia e Libertà" e nel 1938
incontrò Emilio Lussu - mister Mill – con cui si sposò e con lui visse la drammatica e spericolata
vicenda della clandestinità, nella lotta antifascista. La Francia occupata dai nazisti, la Spagna, il
Portogallo, la Svizzera, l’Inghilterra, furono il teatro di rischiose missioni come staffetta
partigiana, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia. Raggiunse, in
questa militanza nelle formazioni di G.L., il grado di Capitano.
Il suo impegno intellettuale e politico continuò dal dopoguerra fino agli ultimi anni della sua vita,
occupandosi dei diritti civili delle culture più emarginate. Cercò di diffondere, soprattutto tra i
giovani, la memoria storica, base della consapevolezza e responsabilità morale. Ha lasciato oltre
20 opere scritte sui temi che più l’hanno coinvolta e interessata.
MUSU MARISA
(Giornalista)
Nata a Roma il 18 aprile 1925, morta a Roma il 3 novembre 2002. All’inizio del 1942 la liceale del
"Mamiani" era entrata nell’organizzazione clandestina del PCI, insieme alla sua compagna Adele
Maria Jemolo. L’anno dopo, a settembre, Marisa era stata tra i protagonisti della battaglia per la
difesa di Roma. Con l’occupazione nazista iniziò la sua attività nella Resistenza. Con il nome di
"Rosa" era entrata nella formazione dei GAP, guidata da Franco Calamandrei. Tra le tante azioni
portate a termine da questo gruppo ci fu l’attacco del 23 marzo del ’44 ad una colonna di nazisti in
via Rasella, durante il quale "Rosa" ebbe il compito di assistente armata degli altri partigiani.
Trascorse due settimane, dopo altre azioni portate a termine, "Rosa" ed altri gappisti caddero nelle
mani della polizia. Per loro fortuna, ad arrestarli furono dei commissari che erano in contatto col
CLN. Facendoli passare per comuni rapinatori, i due funzionari fecero rinchiudere gli uomini e la
ragazza nel carcere giudiziario. La ragazza, che era già stata condannata a morte dal Tribunale di
guerra nazista, riuscì, prima che la sua vera identità fosse scoperta, a farsi trasferire, fingendosi
malata, all’Ospedale San Camillo. Di qui evase grazie all’aiuto di alcuni medici antifascisti. Dopo
la Liberazione Musu ha lavorato nel partito comunista italiano. Si è occupata di problemi della
scuola ed è stata giornalista.
TERRADURA WALKIRIA
Nata a Gubbio, dopo ripetuti tentativi, da parte dell’OVRA, di arrestare il padre avvocato, Walkiria
si ritrovò con lui in fuga nella zona tra i monti del Burano. In questa zona tra gli Appennini
dell’alta Umbria e delle Marche si costituirono molte bande di partigiani. Il padre di Walkiria si
unì insieme a Samuele Panichi, formando una banda insieme ad altri fuggitivi. Di questo nucleo di
partigiani Panichi divenne comandante (e la banda prese il suo nome) ed il padre divenne
commissario politico. Ben presto si aggiunsero altri elementi ed altre donne, tra cui la sorella
Lionella, liberata dal carcere di Perugia. Walkiria, si addestrò alle armi e cominciò a combattere.
L’attività non conobbe tregua: sabotaggi, incursioni, combattimenti, turni di guardia, raccolta di
informazioni e soprattutto dover vincere il pregiudizio e la discriminazione da parte degli altri
partigiani per essere una giovane donna combattente. Successivamente la banda confluì nel 5°
Brigata Garibaldi “Pesaro”, che contava 5 battaglioni. Walkiria venne assegnata al 5°. Quando il
distaccamento divenne numeroso, fu necessario creare delle squadre e Walkiria divenne la capo
squadra (a 18 anni) della sua. Questa fu chiamata “il Settebello”. Un giorno, ad Apecchio, attaccò
ed annientò, con un altro partigiano, un convoglio militare tedesco di passaggio. Quest’azione le
valse la decorazione con la medaglia d’argento al valor militare.
L’IMPEGNO E LA LOTTA
BREVE ELENCO DI DONNE CHE SI SONO DISTINTE NELLA RESISTENZA
ABBA’ GIUSTINA
Nata a Rovigno (Istria) nel 1903. Morta a Rovigno il 24 settembre 1974, operaia.
Occupata alla Manifattura Tabacchi di Rovigno, nel 1942 la Abbà, che proprio quell’anno si era
iscritta al Partito comunista clandestino, organizzò con altre sue compagne di lavoro un riuscito
sciopero "contro la fame e la guerra". La Milizia fascista e i carabinieri intervennero, repressero la
manifestazione ed arrestarono Giustina e le compagne che più si erano esposte. Rilasciata, la
tabacchina fu presto tra i fondatori del Movimento popolare di liberazione di Rovigno. Giustina
Abbà fu anche la prima donna italiana ad entrare nel movimento partigiano dell’Istria, a fianco del
padre e del figlio.
ALESSI MARIA LUISA
Nata a Falicetto (Cuneo) il 17 maggio 1911, impiegata.
Nella Resistenza cuneese la conoscevano come Marialuisa. Il suo nome completo si apprese
soltanto il 26 novembre del 1944, quando i fascisti la fucilarono sul piazzale della stazione di
Cuneo insieme ai partigiani Pietro Fantone, Ettore Garelli, Rocco Repice e Antonio Tramontano.
Maria Luisa Alessi, l’impiegata, era diventata un’antifascista attiva sin dal 1935, quando si era
iscritta al Partito comunista. Dall’8 settembre 1943 divenne un’animatrice della Resistenza. Fu
staffetta partigiana della 181a Brigata "Morbiducci" operante in Val Varaita, dove assolse
numerose e pericolose missioni. L’8 settembre del 1944, forse per una soffiata, fu catturata dai
brigatisti neri della "Lidònnici". Condannata a morte, fu fucilata circa tre mesi dopo.
ALLASON BARBARA
Nata a Pecetto (Torino) il 12 ottobre 1877. Deceduta a Torino il 20 agosto 1968, scrittrice e critica
letteraria.
Dopo aver iniziato gli studi universitari a Napoli ed averli conclusi a Torino, con una laurea in
letteratura tedesca, la Allason prese, attraverso Piero Gobetti, i primi contatti con l’antifascismo
torinese. Nel 1929, avendo espresso con una lettera la sua solidarietà a Benedetto Croce, che aveva
parlato al Senato contro i Patti Lateranensi, fu allontanata dall’insegnamento. Entrate in vigore le
leggi eccezionali fasciste, partecipò all’attività clandestina del gruppo torinese di "Giustizia e
Libertà" e, tra il 1930 e il 1934. In quel periodo assolse anche delicati incarichi cospirativi, tra i
quali il collegamento tra le organizzazioni antifasciste di Torino e Milano e il tentativo, fallito, di
far evadere Ernesto Rossi dal carcere. Nel 1934, in occasione del processo a Leone Ginzburg e
Sion Segre fu arrestata dalla polizia e incarcerata per alcuni mesi. Negli anni del fascismo
trionfante non venne mai meno il suo impegno contro il regime.
ALTOBELLI ARGENTINA
Nata ad Imola nel 1866. Morta nel 1942.
Nacque, mentre il padre combatteva per l’unità d’Italia. Affidata a degli zii paterni crebbe con
l’ideale della libertà alimentato da un’ininterrotta lettura dei testi che formarono la sua, non
comune per l’epoca, passione politica. Argentina fu l’espressione compiuta del movimento
d’emancipazione femminile che si confrontava con le disperanti esistenze delle mondariso, delle
braccianti, delle contadine. Mazziniana, aderì successivamente al socialismo, grazie agli scritti di
Andrea Costa. Amica di Anna Kuliscioff e Rosa Luxemburg, viaggiò per tutta l’Italia del centro
nord per organizzare conferenze e tenere comizi nella stagione delle lotte contadine. Il matrimonio
con Abdon Altobelli nel 1899 e due figli non interferirono nella sua luminosa opera di elevazione
delle masse rurali e delle donne in particolare. Frutto del suo lavoro fu il rinnovo del patto agrario
imposto a Val Cornia e preso a modello per il contratto nazionale. Nel 1900 venne eletta segretaria
nazionale della Federterra e nel 1912 fu chiamata a far parte del Consiglio Superiore del Lavoro.
Antifascista, dopo l’avvento del regime s’impiegò presso l’Istituto di previdenza sociale e, dal suo
posto di lavoro, continuò a diffondere la sua fede socialista e ad alimentare la resistenza al regime.
ANSELMI TINA
Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, insegnante
La guerra partigiana determinò le scelte successive della Anselmi. Tina Anselmi, infatti, decise da
che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani portati al martirio
dai fascisti. Divenne così staffetta della brigata autonoma "G. Battisti" e del Comando regionale
del Corpo volontari della libertà. Nel 1944 si iscrisse alla DC e - non si era ancora laureata in
lettere - partecipò attivamente alla vita del suo partito. Nel dopoguerra Tina Anselmi fu dirigente
sindacale, vice presidente dell’Unione europea femminile. Parlamentare, fece parte di
Commissioni, presiedette per due volte la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2,
fu tre volte ministro e tre volte sottosegretaria.
ARATA MARIA
Nata a Massa Carrara il 14 dicembre 1912. Deceduta a Milano il 12 febbraio 1975, insegnante.
Nel 1926 suo padre, Emilio, che era segretario generale della provincia di Massa e Carrara, fu
obbligato, perché socialista, a rinunciare all’incarico. Si trasferì così con la famiglia a Milano,
dove Maria si laureò e divenne assistente di Botanica all’Università. La giovane insegnante passò
poi al Liceo “Carducci”, con l’incarico di professoressa di Scienze naturali. Fu in questo ambiente
che Maria Arata entrò in un gruppo antifascista clandestino, del quale facevano parte studenti ed
insegnanti. Dopo l’8 settembre 1943, Maria si dedicò alla diffusione di stampa clandestina, alla
raccolta di fondi per sostenere le formazioni partigiane operanti nel Milanese, al procacciamento di
documenti falsi per ebrei e per renitenti alla leva della RSI. Il 4 luglio del 1944, la professoressa fu
arrestata dalla GNR e dopo un primo interrogatorio, fu rinchiusa nel carcere di San Vittore e poi
passata nel “braccio” gestito direttamente dai tedeschi. Dopo due mesi la deportazione, prima nel
campo di Bolzano e poi, in Germania, nel lager di Ravensbrück. Riuscita a sopravvivere, la Arata
fu liberata il 30 aprile del 1945 dalle truppe sovietiche. Nell’agosto dello stesso anno il ritornò in
patria.
BERTANI BICE
Nata a Reggio Emilia il 17 giugno 1921. Muore il 22 aprile del 2000.
Partecipò attivamente alla Resistenza reggiana dal 10 luglio 1944 al 25 aprile 1945, con il nome di
battaglia “Romilda”. Era inquadrata nella 77a Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Il lavoro di
staffetta che le era stato affidato dalle formazioni SAP, consisteva nel portare ogni giorno i
rapporti dei partigiani delle zone di S. Prospero, Mancasale, Pratofontana, Cavazzoli Nord al CNL
di Sesso. Dopo l’eccidio a Villa Sesso le fu assegnato l’incarico di scrivere a macchina, in una casa
di latitanza, il materiale per il Fronte della Gioventù.
BRAMBILLA PESCE ONORINA
Nata a Milano il 27 agosto 1923,
impiegata.
Gia tra il marzo 1943 ed il 1944, nel
pieno della guerra, aveva contribuito
all’organizzazione
degli
scioperi
realizzati a Milano. Era il 12 settembre
1944, quando “Sandra” - una delle
dirigenti milanesi dei “Gruppi di difesa
della donna” - (questo il suo nome di
battaglia) cadde nelle mani dei fascisti
repubblichini. Per due mesi fu
sottoposta a pesanti interrogatori in
quella che era, allora, la “Casa del
Balilla” di Monza, ma la ragazza non si
lasciò sfuggire nulla di compromettente.
L’11 di novembre “Sandra” fu prelevata
dalla cella nella quale fu tenuta in
isolamento e fatta salire su un autobus
che la portò due giorni dopo al campo
di concentramento di Bolzano-Gries.
Nel campo, Onorina Brambilla (numero
di matricola 6087), restò sino alla
liberazione, avvenuta il 29 aprile del
1945.
BUCARELLI TOSCA
Nata a Firenze il 4 ottobre 1922. Morta a Firenze il 14 gennaio 2000.
Era giovanissima, quando entrò a far parte dei Gruppi d’Azione Patriottica, ma si fece subito
apprezzare per il suo coraggio. Fu scelta, quando i GAP decisero di compiere un attentato nel
pieno centro di Firenze. Obiettivo era il bar "Paskowsky", ritrovo abituale dei comandanti tedeschi
e dei caporioni fascisti. La ragazza quel giorno (era l’8 di febbraio del ‘44) era in compagnia di un
gappista sperimentato (Antonio Ignesti). L’ attentato non riuscì e, mentre nel parapiglia, il ragazzo
riuscì a fuggire la sua compagna restò nelle mani dei fascisti.
La destinazione è, per "Toschina", "Villa Triste", base della "banda Carità". I fascisti la
interrogarono, la picchiarono, la torturarono, le procurarono gravi lesioni, per le quali soffrì tutta la
vita, ma la ragazza non parlò. Fu trasferita al carcere di Santa Verdiana. Mesi in snervante attesa
dell’esecuzione o della deportazione. Poi, il colpo di mano dei GAP, che liberarono la "Toschina"
e altre sedici antifasciste detenute.
BUFFULINI ADA
Nata a Trieste il 28 settembre 1912. Deceduta a Milano il 3 luglio 1991, medico radiologo.
Cresciuta in una famiglia della borghesia irredentista triestina, Ada Buffulini fu una delle poche
donne italiane, della sua generazione, laureate in Medicina. A Milano (dove, negli anni 30, si era
trasferita per frequentarvi l’Università) venne in contatto con il movimento antifascista. Proprio
mentre preparava la specializzazione, Ada conobbe Lelio Basso, segretario del Partito socialista e,
quando fu annunciato l’armistizio, il suo impegno antifascista si fece totale. Progettò e organizzò
un giornale socialista rivolto alle donne, “La Compagna”, che uscì per la prima volta nel luglio
1944, proprio all’indomani dell’arresto di Ada. La Buffulini rimane due mesi in una cella di San
Vittore senza che, nei quotidiani interrogatori, i nazifascisti riuscissero a strapparle qualche utile
informazione. Due mesi dopo, il trasferimento in autobus al “campo di transito” di Bolzano. Lei fu
impiegata come medico, nell’infermeria del campo e ciò le consentì, oltre che a curare i malati, di
organizzare un Comitato clandestino di resistenza, che provvide ad assistere i prigionieri ed a
mantenere i contatti con le loro famiglie. Quando le SS sospettarono che Ada nel campo non si
limitasse a fare il medico, la rinchiusero nelle “Celle”, dove fu trattenuta dalla metà di febbraio del
1945, sino alla fine della guerra. Per tre settimane restò a Bolzano, per soccorrere i malati rimasti
nell’infermeria del campo, ma anche per contribuire all’organizzazione del Partito socialista nella
città. Poi tornò a Milano.
CABASSA ENRICHETTA
Nata a Parma nel 1916. Morta a Palanzano (Parma) l’8 marzo 1945, sarta.
Lavorò in una sartoria di Parma, in borgo del Carbone, che il titolare, Giovanni Cordani, trasformò
in un centro di smistamento della stampa antifascista. La donna, che ebbe il marito disperso in
guerra, decise di impegnarsi nella Resistenza, anche per contribuire alla conclusione del conflitto.
Le fu così affidato il compito di staffetta, diventando punto di riferimento del Comando NordEmilia per mantenere i collegamenti con le varie formazioni partigiane. Quando i sospetti dei
fascisti finirono per appuntarsi sulla Cabassa, la giovane sarta fu mandata in montagna ed
inquadrata nella 143a Brigata Garibaldi "Aldo". "Silvia", così fu conosciuta nella Resistenza, si
trovò a Palanzano, nei locali della Banca di risparmio di Parma, occupati dal Comando di
raggruppamento, quando fu investita dallo scoppio accidentale di una bomba, morendo.
CEVA BIANCA
Nata a Pavia nel 1897. Deceduta a Milano nel 1982, insegnante e letterata.
Sin dal 1930, nello stesso anno in cui morì in carcere il fratello minore Umberto, Bianca Ceva fu in
contatto con esponenti dell’opposizione democratica al fascismo, da Benedetto Croce a Ferruccio
Parri. Per le sue idee fu allontanata dall’insegnamento nel 1931 e poté tornare a scuola soltanto con
la caduta di Mussolini. Pochi mesi dopo Bianca entrò subito nella Resistenza, militando nel Partito
d’Azione. Nel dicembre del 1943 la professoressa fu arrestata e nell’agosto del 1944 comparve
davanti al Tribunale militare di Milano, che la rinviò al Tribunale Speciale. Ma i giudici fascisti
non riuscirono a condannarla. Bianca, infatti, nell’ottobre evase dal carcere e si unì ai partigiani
dell’Oltrepo Pavese, collaborando alla lotta armata.
CHERCHI ANNA
Nata a Torino il 15 gennaio 1924,. Deceduta a Torino il 7 gennaio 2006.
Già il 7 gennaio del 1944 i tedeschi, assistiti dai fascisti di Salò, avevano bruciato la casa dei
Cherchi, che facevano i contadini nelle Langhe. Anna riuscì a fuggire e cominciò la sua lotta come
partigiana combattente sino a che il 19 marzo 1944, la ragazza, durante un rastrellamento tra Carrù
e Dogliani, fu catturata dai tedeschi. Una notte in una prigione improvvisata, poi, in treno, il
trasferimento a Torino. Per un mese Anna Cherchi fece la spola tra l’albergo Nazionale, base delle
SS, e le carceri Nuove. Per un mese, ogni giorno, fu torturata, ma nemmeno con le scariche
elettriche l’ufficiale nazista che la interrogava riuscì a farla parlare. Poi il trasferimento, in carro
bestiame, da Torino al lager di Ravensbrück, l’immatricolazione con il numero 44.145, i patimenti,
le sevizie (i nazisti, nel gennaio del 1945, dopo averla portata per la bisogna nel lager di
Sachsenhausen, le estrassero, senza anestesia, ben quindici denti sani), il lavoro coatto. Il
trasferimento nel sottocampo di Berlin-Schonefeld con nuova immatricolazione (numero 1.721) e
nuovi patimenti, sino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa il 28 aprile 1945. Nell’estate del
1945, riuscì a rientrare in Italia, dopo una lunga, estenuante marcia, quasi sempre a piedi, da
Ravensbrück a Bolzano.
DE GIOVANNI EDERA FRANCESCA
Nata a Monterenzio (Bologna) nel 1924. Fucilata a Bologna il 1° aprile 1944, domestica.
Edera crebbe in una famiglia di antifascisti ed antifascista rimase, anche quando andò a servizio
presso una facoltosa famiglia bolognese. Con il fascismo ancora imperante, non aveva esitato a
polemizzare pubblicamente con un gerarca
del suo paese di origine; ciò le valse venti
giorni di carcere. Caduto Mussolini, prima
ancora che la Resistenza si organizzasse, con
altri giovani di Monterenzio impose alle
autorità del paese che il grano ammassato
nei
depositi
fosse
distribuito
alla
popolazione. Dopo poco tempo, Edera
divenne un’attiva organizzatrice dei gruppi
di partigiani che, su suo impulso, avrebbero
costituito la 36a Brigata Garibaldi. Il 30
marzo del 1944, durante un’azione di
prelevamento di armi effettuata nel centro di
Bologna con altri partigiani, Edera fu
catturata dalla polizia che fu avvertita da un delatore. Torturata per un giorno intero, la ragazza non
si lasciò sfuggire la più piccola informazione e all’alba del 1° aprile fu fucilata contro il muro di
cinta del Cimitero in via della Certosa. Prima che i suoi carnefici sparassero, Edera gridò:
"Tremate. Anche una ragazza vi fa paura!".
D’ESTE IDA
Nata a Venezia il 10 febbraio 1917. Morta a Venezia il 9 agosto 1976, insegnante.
Laureatasi a Ca’ Foscari nel 1941, Ida D’Este insegnò regolarmente francese sino al 1943, anno in
cui incontrò Giovanni Ponti che, dopo l’armistizio, era diventato un autorevole membro del CLN
veneziano e, in quanto tale, introdusse Ida prima nella Resistenza e poi in politica. Alla giovane
venne affidato il compito di fare la "staffetta" tra i comitati provinciali di Venezia, Padova,
Vicenza e Rovigo e di mantenere i collegamenti tra Ponti e Alessandro Cancan. Nel gennaio del
1945, la staffetta partigiana cadde nelle mani della polizia. Arrestata con altri membri del CLN, Ida
fu detenuta e torturata dalla banda Carità a Palazzo Giusti a Padova. Fu, quindi, deportata a Campo
Tures, presso Bolzano. La Liberazione evitò alla giovane il trasferimento in Germania. Nel
dopoguerra Ida D’Este, organizzò nella regione il movimento femminile della Democrazia
cristiana
DRADI BRUNA
Nata ad Alfonsine (Ravenna) il 13 luglio 1927, partigiana.
Fu la prima donna ad aver riconosciuto il grado di sergente dell’Esercito italiano. Seguendo gli
insegnamenti del padre partecipò, a soli diciassette anni, alla Resistenza nel Ravennate, militando
nella Brigata “A. Tarroni”. La Dradi si trasferì, poi, a Potenza e dal 1950 risiede in Basilicata, dove
si è sempre impegnata sui temi del lavoro e della condizione femminile.
FIBBI GIULIETTA LINA
Nata a Fiesole (Firenze) il 4 agosto 1920, operaia tessile, dirigente sindacale e politica.
La sua famiglia dovette lasciare Fiesole ed emigrare in Francia per sottrarsi (era il 1923), alle
persecuzioni e alle violenze fasciste. Operaia tessile a Lione, la Fibbi aveva soltanto 15 anni
quando decise di iscriversi alla Federazione giovanile comunista francese e a 17 anni fu dirigente
dell’Unione delle ragazze francesi nella regione del Rodano. All’inizio della seconda guerra
mondiale Lina fu arrestata dalla polizia francese e internata nel campo di Rieucros. Nel 1941 Fibbi,
su indicazione del PCI, chiese di essere rimpatriata. La richiesta fu accolta, ma appena Lina arrivò
a Ventimiglia fu arrestata dalla polizia italiana: sei mesi di carcere a Firenze, poi, in assenza di
prove a suo carico, il provvedimento di due anni d’ammonizione e la sorveglianza speciale. Con la
caduta del fascismo, fu chiamata ad operare nel servizio clandestino della direzione del PCI
dell’Interno. Quando a Milano si costituì il Comando generale delle brigate Garibaldi entrò a farne
parte e cominciò il lavoro di organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, ma prevalentemente
si occupò dei collegamenti e di delicate missioni per conto del Comando delle Garibaldi. Dopo la
liberazione, la Fibbi assolse svariati compiti di direzione politica e sindacale.
FILIPPINI-LERA ANNA ENRICA
Nata a Roma il 27 luglio del 1914.
Entrò in contatto con gli ambienti antifascisti nella seconda metà degli anni Trenta. Nel '37-'38
s'impegnò nella raccolta di fondi per le Brigate in Spagna. Nel '40 s'iscrisse all'Università di Roma,
alla facoltà di scienze biologiche. Alla fine del '42 collaborò alla redazione e alla diffusione del
giornale clandestino comunista "Pugno chiuso". Dopo l'8 settembre del '43, entrò nel comitato
studentesco di agitazione, distribuendo volantini e svolgendo attività di propaganda, e
successivamente aderì alla cellula del PCI di Piazza Vittorio, diventando responsabile del lavoro
femminile del VI Settore. Fu arrestata il 14 febbraio del '44 dalla Gestapo, dietro denuncia, nella
sua abitazione. Interrogata a via Tasso, fu poi rinchiusa nelle carceri di Regina Coeli, nel terzo
braccio tedesco. Il 23 marzo del '44 fu processata dal Tribunale militare tedesco e condannata a tre
anni di carcere duro, da scontare in
Germania. Il 24 aprile del '44 fu portata a
Firenze su un camion e lì caricata su un
carro bestiame. Raggiunse Monaco il 1°
maggio e fu detenuta nel carcere di
Stadelheim. Da Monaco fu trasferita per
un giorno a Dachau, ma riportata a
Monaco perché "non ebrea" e perché
"regolarmente processata e condannata
da un Tribunale militare tedesco". Infine
il 29 maggio fu destinata al carcere
femminile di Aichach (Alta Baviera),
dove si trovò tra prigioniere politiche
provenienti da ogni parte d'Europa, e
anche tra detenute per reati comuni. Fu
liberata dalle truppe americane il 5
maggio del '45. Rientrò in Italia il 2
giugno.
FISCHLI DREHER ELENA
Nata a Milano il 28 giugno 1913,
infermiera.
Di famiglia valdese, Elena dovette
interrompere gli studi perché non iscritta
alla "gioventù fascista" e quando si mise
a lavorare, appena le sue idee politiche venivano scoperte, perdeva il posto. Si avvicinò alla
Resistenza e nel novembre del 1943, data di nascita dei "Gruppi di difesa della donna", si dedicò al
movimento. Delle imprese compiute si ricordano: come riuscì a non farsi catturare dai fascisti che
erano andati a cercarla in ospedale; come da Varese, dove si era rifugiata presso amici elvetici che
le proposero il passaggio in Svizzera come rifugiata politica, tornò a Milano con i capelli tinti ed
una nuova acconciatura; come fece a liberarsi, durante un rastrellamento, di un plico di documenti
compromettenti, "dimenticati" nel cesto di una fioraia e poi recuperati; come riuscì a trovare un
rifugio per Ferruccio Parri, presso amici genovesi a Milano, ai quali avrebbe poi mandato un
comunicato ufficiale che diceva: "Sono molto lieta di annunciarvi che il vostro ospite di allora è
l’attuale presidente del Consiglio". Dopo la Liberazione fu la prima donna in Italia ad aver
ricoperto un incarico pubblico: assessore all’Assistenza e Beneficenza a Milano.
FLOREANINI DELLA PORTA GISELLA
Nata a Milano il 3 aprile 1906. Morta a Milano nel 1993, insegnante di pianoforte e storia della
musica.
Floreanini aderì nel 1934 al movimento Giustizia e Libertà e nel 1936 entrò nel Psi. Per un paio
d’anni diffuse stampa clandestina e, soprattutto, raccolse aiuti per sostenere le famiglie dei
perseguitati politici. Fu costretta ad emigrare clandestinamente in Svizzera perché finì nel mirino
dell’Ovra. Nel 1942 Gisella passò nelle file dei comunisti italiani. L’anno successivo, subito dopo
la caduta del fascismo, la Floreanini rientrò in Italia. Dopo l’8 settembre, prima cooperò con
Eugenio Curiel e poi svolse compiti di collegamento tra le formazioni partigiane e la Svizzera. Qui
fu arrestata nel giugno del 1944. Tre mesi dopo, scarcerata, rientrò in Italia e raggiunse subito la
neonata Repubblica dell’Ossola. Vi organizzò i Gruppi di difesa della donna (Gdd) e venne
nominata commissario aggiunto all’assistenza. Quando la Repubblica dell’Ossola cadde, fu Gisella
che si preoccupò con successo dell’evacuazione dei bambini in Svizzera. Conclusa l’operazione,
riattraversò il confine e in pieno rastrellamento, raggiunse il comando delle brigate valsesiane. Da
lì diresse l’attività di assistenza ai combattenti del Cusio e del Verbano. All’insurrezione fu Gisella
che, come presidente del CLN di Novara, trattò la resa del locale comando tedesco. Dopo la
Liberazione la Floreanini è stata membro della Consulta nazionale e deputata alla Camera.
FOA LISA
Nata a Torino nel 1923, intellettuale.
Figlia dell'antifascista socialista Michele Giua - professore di chimica ed esperto di esplosivi, che
nel 1935 fu condannato, uscendo dal carcere nel 1943 - Lisa studiò al Liceo d'Azzeglio
interrompendo l'università per la guerra. Nella Resistenza prese parte da Milano alla lotta
partigiana occupandosi della diffusione della stampa e del trasporto delle armi. Nell'estate del 1944
a Milano, insieme a un'amica, tutte e due incinte, fu catturata dalla banda Koch. Riuscirono a farsi
ricoverare in Ospedale e di lì a scappare grazie ad un gruppo di partigiani.
Divisa, abbastanza spensieratamente, fra socialismo, azioniamo, e comunismo, nel dopoguerra si
iscrisse al PCI. Andò a vivere a Roma ed ebbe tre figli, Anna, Renzo e Bettina, con Vittorio Foa di
cui fu moglie per parecchi anni.
GALEOTTI BIANCHI GINA
Nata a Mantova il 4 aprile 1913. Caduta a Milano il 24 aprile 1945, ragioniera.
Gina Galeotti Bianchi cominciò giovanissima – nel 1933 - la sua attività antifascista. Nel 1943 era
stata arrestata e deferita al Tribunale Speciale per essere stata tra gli organizzatori a Milano degli
scioperi del marzo contro la guerra. Incarcerata per quattro mesi, fu liberata con la caduta del
fascismo il 25 luglio e dopo l’8 settembre entrò subito nelle organizzazioni della Resistenza. Fece
parte, in particolare, del Comitato provinciale di Milano dei "Gruppi di difesa della donna", si
impegno nel servizio informazioni e si dedicò all’assistenza delle famiglie degli antifascisti caduti.
Lia, questo il "nome di battaglia" di Gina Galeotti Bianchi, morì proprio nei giorni della
Liberazione di Milano. Pur incinta di otto mesi, "Lia" si stava recando all’ospedale di Niguarda,
dove doveva incontrare alcuni partigiani feriti, lì ricoverati sotto false generalità. Fu falciata da una
raffica di mitra, sparata da un camion carico di soldati tedeschi in fuga e incappati in un posto di
blocco partigiano.
GALLICO SPANO NADIA
Nata a Tunisi il 2 giugno 1916. Deceduta a Roma il 19 gennaio 2006, parlamentare e dirigente
comunista.
Nacque in una famiglia d’emigrati in Tunisia (il padre Renato, avvocato, collaborò, alla stampa
antifascista locale in lingua italiana). Nel 1938, aveva aderito al Partito comunista. Il suo impegno
nella Resistenza al nazifascismo divenne totale con l’occupazione tedesca della Francia, tanto che,
durante il regime collaborazionista di Petain, fu condannata per la sua attività politica. Nadia, così
come il marito Velio Spano, riuscì a sottrarsi alla cattura e a raggiungere fortunosamente l’Italia
liberata. Dalla Liberazione e sino alla morte si è impegnata sui problemi di politica internazionale,
del Mezzogiorno e della questione femminile. Fu eletta all’Assemblea costituente e fu
parlamentare.
IOTTI NILDE
Nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Morta a Roma il 3 dicembre 1999, insegnante,
parlamentare.
Il padre - un sindacalista socialista che faceva il deviatore alle Ferrovie e che, durante la dittatura,
era stato perseguitato dai fascisti - aveva voluto che la figlia Leonilde - per tutti Nilde - studiasse.
La ragazza si era così laureata (in Lettere e Filosofia, all’Università Cattolica di Milano) e, per
alcuni anni, insegnò all’Istituto tecnico industriale di Reggio Emilia. Dopo l’8 settembre 1943
entrò nelle file della Resistenza, diventando organizzatrice dei "Gruppi di difesa della donna” nella
provincia di Reggio. Dopo la Liberazione, la Iotti si iscrisse al PCI, entrando negli organismi
dirigenti nazionali. Fin dalle prime libere elezioni fu eletta parlamentare. Presidente di
Commissione, nel 1979 – prima donna - fu eletta Presidente della Camera dei deputati.
MARTINI CARLA MARIA LILIANA
Nata a Boara Polesine, Rovigo 7 agosto 1926. Croce al Merito di guerra.
Fu arrestata il 14 marzo 1944. Fece parte, assieme alle sorelle Teresa, Lidia e Renata,
dell'organizzazione di Armando Romani (ex ufficiale pilota) e padre Placido Cortese (frate
francescano conventuale), che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, aiutò prigionieri alleati
evasi ed ebrei ad arrivare in Svizzera, dove c'era un comando alleato (si stima che l'organizzazione
riuscì a salvare più di trecento persone). Assieme a lei fu arrestata la sorella Teresa ed entrambe
furono condotte dapprima nel carcere di Venezia per poi essere portate nei lager di Mauthausen
(dove Liliana compì i 18 anni), Linz e Grein. Rientrò ammalata a Padova nel 1945.
MICHELIN SALOMON VERA
Nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923 da famiglia protestante di ufficiali dell’Esercito della
Salvezza, bibliotecaria.
Alla maggiore età, Vera scelse di trasferirsi a Roma (1941) dove lavorò come segretaria economa
nella scuola professionale "Colomba Antonietti". Dopo l’8 settembre 1943, entrò nella resistenza
non armata e in particolare nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione. Compito di
questi gruppi ristretti di giovani fu quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro
l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università, finalizzato anche ad impedire lo
svolgimento regolare delle lezioni e degli esami perché accessibili soltanto a quei giovani in grado
di presentare l’autorizzazione del costituendo esercito della Repubblica di Salò. Vera aderì alla
cellula del Partito comunista di piazza Vittorio. Il 14 febbraio 1944, dietro delazione, un
commando di SS si presenta in via Buonarroti e arresta tutti i presenti. Tutto il gruppo è trasferito
in Via Tasso. Soltanto Vera rimane nella cella femminile per gli interrogatori. Raggiungerà gli altri
a Regina Coeli. Il 22 marzo si svolge il processo al gruppo, davanti al Tribunale Militare Tedesco:
tutti assolti i ragazzi invece Vera fu condannata a tre anni di carcere duro, da scontarsi in
Germania. Tornano comunque tutti a Regina Coeli, dove sono testimoni della selezione per la
strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 d’aprile Vera fu avviata in Germania, prima in camion e poi in
carro bestiame. Arrivò a Monaco di Baviera dove, dopo una sosta nel KZ di Dachau, fu
immatricolata nella prigione di Stadelheim (Monaco). Trascorso circa un mese, fu trasportata nella
sede definitiva della detenzione: il Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera) dove fu liberata
dalle truppe americane il 29 aprile 1945. Tornò in Italia arrivando a Milano il 2 giugno.
MILLU LIANA
Nata a Pisa il 21 dicembre 1914.
Deceduta a Genova il 6 febbraio
2005, maestra elementare, scrittrice.
Liana Millu, nel 1937, era una
maestrina di Livorno. Oltre che
insegnare
ai
bambini
delle
Elementari,
collaborò
con
il
quotidiano Il Telegrafo, diretto da
Giovanni Ansaldo. L’anno dopo, per
le leggi razziali, perse l’impiego
nella scuola e la collaborazione al
giornale. Visse di lavoretti precari e
mal pagati, sicché, nel giugno del
1940 decise di trasferirsi a Genova. Fu qui che, dopo l’8 settembre 1943, Liana diventò un membro
attivo della Resistenza. Entrata nell’Organizzazione "Otto", l’insegnante ebbe il delicato compito
di comunicare informazioni e codici operativi. Il suo impegno fu bloccato nel marzo del 1944,
quando, a Venezia, venne arrestata e deportata ad Auschwitz. Liana Millu riuscì a sopravvivere e a
tornare in Italia, ma la drammatica esperienza segnò la sua esistenza. Sopravvissuta ai campi di
sterminio nazisti, dedicò la vita alla memoria della Shoah.
MORONI SAGAN GINETTA
Nata a Milano nel 1925. Deceduta nell’agosto 2000 ad Atherton, in California.
Era ancora studentessa quando i fascisti, nel 1943, arrestarono i suoi genitori, entrambi medici. Il
padre, cattolico, fu fucilato; la madre, ebrea, internata morì ad Auschwitz. Ginetta Moroni entrò
subito nella Resistenza come staffetta, la cui principale attività era quella di aiutare ebrei ed
antifascisti a riparare in Svizzera. Catturata dalle Brigate Nere a Sondrio nel 1945, Ginetta restò
nelle mani dei fascisti per 45 giorni. Sottoposta ad ogni sorta di violenze riuscì, nonostante le
iniettassero anche sodio e pentothal, a non tradire i suoi compagni, che riuscirono a liberarla in
modo rocambolesco, consentendole di tornare alla sua attività di corriere clandestino. Si calcola
che Rosetta fosse riuscita, sino alla Liberazione, ad assicurare la salvezza ad oltre 300 persone. Nel
1945 si trasferì a Parigi e poi andò in America dopo aver sposato Leonard Sagan.
MURATTI MASSONO LUCILLA
Nata a Tricesimo (Udine) il 5 settembre 1988. Morta ad Udine il 4 aprile 1964.
Figlia di un aristocratico patriota e cospiratore triestino che aveva partecipato alle campagne
garibaldine, Lucilla sposò il generale Massone. Dopo l’8 settembre 1943 si rese utile nell’ospedale
civile di Udine e alla stazione ferroviaria, assistendo i soldati italiani che venivano deportati in
Germania. Prese quindi contatto con il locale CLN ed entrò nelle Brigate Osoppo, con il nome di
copertura di “Giustina”. Incaricata del servizio di controspionaggio, si prodigò soprattutto
nell’allestimento di ospedali da campo. Fu arrestata e rinchiusa nel carcere del Coroneo nel
febbraio del 1945, mentre stava organizzando a Trieste i contatti con la Resistenza,. Vi restò dieci
giorni. Quando fu rilasciata, ritornò a Udine. Il 23 aprile 1945 si arruolò nella Brigata
“Miglioranza”. Dopo la Liberazione fu attivissima monarchica e si prodigò molto nella campagna
referendaria del 1946.
NEGRI INES
Nata a Savona l’8 ottobre 1916. Uccisa dai fascisti a Savona il 19 agosto 1944.
Ines fu una giovane antifascista che, subito dopo l’armistizio, entrò nei Gruppi di difesa della
donna e divenne staffetta partigiana. Nell’agosto del 1944 in provincia di Savona arrivarono i
primi contingenti della Divisione della fanteria di marina "San Marco", ma non tennero conto del
fatto che non pochi degli arruolati accettarono l’ingaggio per sottrarsi alla prigionia in Germania.
Lo compresero le organizzazioni della Resistenza e, in particolare, quelle delle donne. Fu così che
anche tra quei soldati cominciarono le diserzioni. Il 16 agosto del 1944, ad Albisola Mare, nei
pressi di Villa Faragiana, Ines Negri, che accompagnava in montagna militari della "San Marco",
fu arrestata. Dopo tre giorni di feroci torture, la giovane donna fu condannata a morte e subito
fucilata. La stessa sorte toccò, una settimana dopo, a Clelia Corradini. La risposta delle donne
savonesi venne con un comunicato del bollettino "Noi Donne", nel quale si annunciò che, da quel
momento, le donne sarebbero entrate nelle formazioni partigiane, partecipando direttamente alle
azioni di guerriglia. Il nome di Ines fu dato ad una Brigata garibaldina
NISSIM LUCIANA
Nata a Torino nel 1919. Deceduta a Milano nel 1998, laureata in medicina.
Nonostante le leggi antiebraiche, Luciana Nissim riuscì a conseguire, nel 1943, poco prima della
caduta del fascismo, la laurea in medicina. Dopo l’armistizio, Luciana decise di raggiungere in
Valle d’Aosta un piccolo gruppo di partigiani di Giustizia e Libertà. Dopo pochi mesi Nissim
venne arrestata con i compagni di lotta. Il 13 dicembre del 1943 fu rinchiusa nel carcere di Aosta.
Poco dopo fu trasferita nel campo di Fossoli, da dove, il 22 febbraio del 1944, partì con un
convoglio di circa cinquecento persone con destinazione Auschwitz. Luciana grazie alla sua laurea
venne assegnata per qualche tempo all’infermeria del campo. Sopravvisse al lager e tornò in Italia.
OLIVA ELSA
Nata a Piedimulera (Novara) l’11 aprile 1921. Deceduta a Domodossola l’11 aprile 1994.
Nacque in una famiglia antifascista. Frequentata soltanto la quarta elementare, a otto anni, fu
messa "a servizio". Ragazzina irrequieta, aveva solo 14 anni quando, con il fratello Renato, si
allontanò di casa e se ne andò in Valsesia. Poi si trasferì ad Ortisei. Elsa non nascose le sue idee,
tanto che fu presa di mira dalla polizia. Fu così che ritenne più conveniente andarsene in un centro
più grande. A Bolzano riuscì a farsi assumere all’Anagrafe del Comune, dove rimase fin dopo
l’armistizio. Fu quello il momento dell’impegno totale nella Resistenza. Elsa partecipò alla difesa
della caserma di Bolzano contro i tedeschi, organizzò la fuga di militari internati dagli occupanti,
procurò certificati falsi a molti soldati, perché potessero sottrarsi alla cattura, poi distrusse
l’archivio dell’Anagrafe, perché non restassero tracce del suo operato. Sino al novembre del 1943,
la ragazza partecipò coraggiosamente, con gli antifascisti locali, ad azioni di sabotaggio contro i
tedeschi, ma finì per essere arrestata. Era in viaggio per Innsbruck, dove avrebbero dovuto
processarla, quando riuscì a fuggire e a raggiungere, Domodossola dove i suoi si erano nel
frattempo trasferiti. Ricercata dalle SS, nel maggio del 1944 la ragazza si unì, come infermiera, ai
partigiani della 2a Brigata della Divisione "Beltrami", ma presto divenne partigiana combattente.
Nell’ottobre lasciò la "Beltrami", raggiungendo un altro fratello, Aldo, che militava nella "Banda
Libertà". Nuovamente cambiò formazione. Elsa entrò nella Brigata partigiana "Franco Abrami"
della Divisione "Valtoce", che ebbe la sua base sul Mottarone. Le affidarono il comando di una
squadra chiamata "Volante di polizia" e che presto, dal nome di battaglia di Elsa, sarà chiamata
"Volante Elsinki”. L’8 dicembre 1944 fu catturata dai fascisti, che la portano in una loro caserma
di Omegna. La ragazza era certa della fucilazione e decise quindi di simulare il suicidio, ingerendo
del sonnifero. Portata in ospedale, dopo le cure, con l’aiuto di una suora e di un prete, riuscì a
fuggire. Ritornata tra i partigiani della "Valtoce", continuò la lotta armata sino alla Liberazione.
Per questo, alla smobilitazione, le fu riconosciuto il grado di tenente
OMBRA MARISA
Nata ad Asti nel 1925. Intellettuale.
Di famiglia operaia, Marisa Ombra all’indomani del settembre 1943, fece la scelta di entrare nella
Resistenza. Il padre, Celestino Ombra (Tino fu il suo nome di battaglia) fu organizzatore dei primi
gruppi partigiani. Dopo il suo arresto e la sua liberazione ad opera dei partigiani, fu trasferito nelle
Langhe. A 19 anni, nel 1944, Marisa insieme alla madre
ed al resto della famiglia, si trasferirono nella zona dove
operava il padre - commissario di brigata - tra le Langhe
ed il Monferrato. Nel gruppo partigiano delle Brigate
Garibaldi dove entrò, le diedero l’incarico di staffetta di
collegamento (Lilia fu il suo nome di battaglia) tra gli
altri gruppi sparsi nel territorio. Fece parte dei Gruppi di
difesa della donna. Dopo la Liberazione fece parte
dell’UDI. L’8 marzo 2007 è stata insignita del titolo di
Grande Ufficiale della Repubblica.
ORIANI MARCELLINA
Nata a Cusano Milanino (Milano) il 26 marzo 1908.
Deceduta a Cusano Milanino il 22 dicembre 2000,
filatrice.
Aveva soltanto undici anni quando cominciò a lavorare.
Nel 1928, occupata come operaia nella azienda tessile
S.A.S.A. di Cusano, organizzò uno sciopero che le
valse l’immediato licenziamento. Da quel momento
ebbe inizio il pieno impegno politico: con l’adesione al
Partito Comunista d’Italia illegale, con l’attività di
diffusione della stampa clandestina, con la raccolta di
fondi per il "Soccorso Rosso" - che provvedeva ad
aiutare le famiglie in difficoltà degli antifascisti
perseguitati dal regime. Per sei anni la giovane operaia riuscì a svolgere la sua attività, poi – era il
1934 – Oriani fu arrestata. Il 20 maggio 1935 fu processata dinanzi al Tribunale speciale che la
condannò a dieci anni per "costituzione di associazione comunista, appartenenza alla medesima e
propaganda sovversiva". In carcere a Roma e a Perugia sino al 1938, quando uscì per amnistia,
Marcellina diventò, per altri tre anni, una "sorvegliata speciale", ma riuscì a riprendere i contatti
con il suo partito. Nel novembre del 1943, a Legnano, organizzò uno sciopero delle operaie delle
fabbriche tessili e nel gennaio 1944 quello delle maestranze della "Franco Tosi". Nel 1944,
Marcellina fu a Milano, dove dette un grande contributo alla riuscita degli scioperi del marzo. Ma
dovette allontanarsi dalla città e si spostò in Liguria. Organizzò a Genova e a Savona i "Gruppi di
Difesa delle Donne", che affiancarono le attività della Resistenza. Per farlo, Oriani assunse diverse
identità e non si sottrasse da operazioni di guerriglia rischiose.
PERON MARIA
Nata Borgorico di Sant’Eufemia (Padova) nel 1915. Deceduta a San Bernardino Verbano (Novara)
il 9 novembre 1976, infermiera.
Nella prima infanzia rimase orfana del padre. Adolescente si trasferì con la famiglia a Ravenna,
dove conseguì il diploma di infermiera. Si spostò in Lombardia, lavorando a Niguarda, l’Ospedale
Maggiore di Milano, alle dirette dipendenze del primario chirurgo in sala operatoria. Cattolica
praticante, Maria, dopo l’8 settembre 1943, entrò in contatto con la Resistenza milanese per il
tramite dei prigionieri politici che, dall’infermeria del carcere di San Vittore, bombardata, furono
trasferiti a Niguarda. Cominciò così la collaborazione dell’infermiera con i GAP e
l’organizzazione della fuga dall’ospedale di ebrei e antifascisti, avviati all’espatrio clandestino o
alle formazioni partigiane. Nel giugno del 1944, quando i fascisti scoprirono l’organizzazione,
l’infermiera riuscì a sottrarsi alla cattura calandosi da una finestra dell’ospedale e si diede alla
macchia in Val d’Ossola, aggregandosi alle formazioni combattenti. Per tutti i mesi della guerriglia
Maria, girò con una sorta di divisa ricavata da equipaggiamento militare, sulla quale cucì una
grande croce rossa. Organizzò infermerie, ospedali da campo, curò i partigiani feriti e anche i
nazifascisti catturati, prodigandosi in ogni modo. Rimarrà nel Verbano dopo la Liberazione,
esercitando la sua professione di infermiera.
PETEANI ONDINA
Nata a Trieste il 26 aprile 1925. Deceduta a Trieste il 3 gennaio 2003, ostetrica, libraia,
sindacalista.
Durante la Seconda guerra mondiale, la giovanissima Peteani lavorò nei Cantieri navali di
Monfalcone. Qui prese i primi contatti col movimento antifascista clandestino. Prima ancora
dell’armistizio dell'8 settembre 1943 Ondina, con conseguente coerenza, decise di aggregarsi come
staffetta alle prime formazioni partigiane che si andavano costituendo nel Monfalconese e sul
Carso triestino. Arrestata due volte dalla polizia fascista, la Peteani riuscì a fuggire. L’11 febbraio
1944 a Vermegliano (Gorizia), dov’era in missione, finì nelle mani dei nazifascisti, che la
portarono a Trieste. Segregata nel Comando delle SS, la ragazza fu trasferita al carcere del
Coroneo. Nel mese di marzo lasciò il carcere, per essere deportata ad Auschwitz (numero di
matricola 81672). Successivamente, la trasferirono nel campo di Ravensbrück. Dei lager Ondina
conobbe tutti gli orrori. Nell’ottobre del 1944, Ondina fu trasferita in una fabbrica di produzione
bellica ad Eberswalde, presso Berlino. Nello stabilimento riuscì a far rallentare il ciclo produttivo.
A metà aprile del 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni, che avrebbe dovuto
riportarla a Ravensbrück, Ondina fuggì dalla colonna di prigionieri. Riuscì a rientrare in Italia a
luglio, dopo aver percorso fortunosamente 1300 chilometri.
PETRACCO NEGRELLI LAURA
Nata a Trieste l’8 agosto 1917. Iimpiccata a Trieste il 23 aprile 1944, insegnante.
Terminati gli studi al "Petrarca" di Trieste si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Padova. Nel 1939 la
giovane insegnante si sposò ed ebbe un figlio. Laura, animata da ideali di libertà e giustizia sociale,
nonostante le cure del bambino, dal 1943 si impegnò nel movimento comunista clandestino
triestino. La giovane insegnante non si limitò a svolgere lavoro politico tra gli studenti e gli operai
triestini, ma organizzò anche il movimento che prese il nome di "Gioventù antifascista italiana". Il
19 aprile del 1944 l’insegnante fu arrestata dai tedeschi, di fronte ai quali la coraggiosa donna non
esitò a riaffermare la sua fede democratica. Tre giorni dopo - Laura si trovava ancora in una cella
del "Coroneo" - i partigiani del IX Korpus sloveno effettuarono un attentato contro la "Casa del
soldato tedesco", che era ospitata nella sede del Conservatorio. I nazisti reagirono con una
spaventosa esecuzione: cinquantuno detenuti italiani e sloveni, tra i quali Laura Petracco Negrelli,
furono prelevati dal carcere, trasportati in via Ghega, impiccati alle balaustre delle scale e alle
finestre del Conservatorio e lì lasciati appesi per giorni.
PIPPAN NICOLETTO MARIA
Nata a Lussak (Fiume) il 28 gennaio 1907, operaia tabacchina.
Emigrata in Francia con la famiglia, Maria si iscrisse al Partito comunista che, nel 1931, la inviò in
Italia per svolgervi clandestinamente attività antifascista. Individuata dalla polizia, l’anno dopo la
ragazza fu arrestata. Confinata a Ponza, poi in Sardegna, alle Tremiti e, infine, a Ventotene, nel
1934 fu condannata a quattro mesi di carcere dal Tribunale di Napoli e, nel 1935, ad altri otto mesi
per attività antifascista svolta mentre era al confino. Le condanne non riuscirono a fiaccare Maria,
che nel 1936 aveva sposato, proprio a Ponza, l’antifascista Italo Nicoletto. Rilasciata dal confino,
la giovane donna dovette espatriare per sfuggire a un nuovo mandato di cattura. Raggiunta la
Francia, Maria vi riprese l’attività antifascista tra gli emigrati italiani. Nel 1942, per incarico del
Centro estero del suo partito, rientrò in Italia per ricostituire, con altri compagni, la Federazione
comunista di Brescia. Dopo l’8 settembre 1943, Maria prese parte alla guerra di Liberazione nelle
file della Resistenza bresciana
PISONI INES
Nata a Trento nel 1913. Deceduta a Cognola (Trento) il 4 ottobre 2005, partigiana, scrittrice,
dirigente sindacale e politica.
Insegnante, cattolica, si impegnò nella lotta contro i nazifascisti, trasferendosi in Romagna. A
Ravenna, con Valeria Vochenhausen (“Antonia”), fu una delle maggiori dirigenti provinciali del
partito comunista clandestino e l’organizzatrice dei Gruppi di difesa della donna. Soltanto dopo la
Liberazione “Serena” (questo il nome di battaglia che aveva scelto) tornò a Trento da Alfonsine.
Nel dopoguerra Ines Pisoni si impegnò a Roma nel lavoro politico e sindacale.
RAVERA CAMILLA
Nata ad Acqui Terme (Alessandria) il 18 giugno 1889. Morta a Roma il 14 aprile 1988, insegnante.
Nel 1927 fu eletta segretaria del Partito Comunista d’Italia, partito che aveva contribuito a fondare
nel 1921 e nel quale aveva assunto la guida dell’organizzazione femminile, fondando anche il
periodico La compagna. Camilla Ravera resse la segreteria del PCdI sino al 1930 quando, rientrata
clandestinamente in Italia dalla Francia, fu arrestata e condannata a quindici anni e mezzo,
trascorsi tra carcere e confino sino alla caduta del fascismo.
Fu l’ultima dei confinati a lasciare Ventotene e con Terracini, fu espulsa dal suo partito per aver
condannato il patto Ribbentrop-Molotov. Riacquistata la libertà, Camilla Ravera riuscì a
raggiungere dopo molte peripezie i suoi famigliari, che erano sfollati a San Secondo di Pinerolo.
Dopo l’8 settembre 1943, sapendo di essere di nuovo ricercata, riparò in un casolare sulle colline,
che diventò presto luogo di incontri politici clandestini. Dovette abbandonarlo quando i fascisti
cominciarono a dare alle fiamme tutti i casolari della zona. Rientrata a Torino dopo la Liberazione,
fu riammessa nel PCI e divenne consigliera comunale. Camilla Ravera ha lasciato molte
pubblicazioni ed è stata la prima donne italiane nominate senatore a vita.
ROCHAT JERVIS LUCILLA
Nata a Firenze il 22 dicembre 1907. Deceduta a Torre Pellice (Torino) il 23 febbraio 1988,
insegnante.
Il nonno Giovanni e il padre Luigi furono valdesi e socialisti. Lucilla, che si laureò in Letteratura
inglese all’Università di Firenze, militò nel movimento giovanile valdese e quando sposò
Guglielmo Jervis si trasferì ad Ivrea con il marito, dirigente tecnico dell’Olivetti. Dopo l’8
settembre 1943 i coniugi, che avevano due figli, si impegnarono nella Resistenza e, mentre
“Willy” (che sarebbe stato ucciso dai tedeschi), si batteva come commissario politico delle
formazioni Giustizia e Libertà operanti in Piemonte, Lucilla assolse a compiti di collegamento e di
propaganda.
ROLFI BECCARIA LIDIA
Nata a Mondovì (Cuneo) l’8 aprile 1925. Deceduta a Mondovì il 17 gennaio 1996, maestra
elementare.
Al
momento
dell’annuncio
dell’armistizio, insegnava in un
paesino della Val Varaita. La
“Maestrina
Rosanna”,
come
l’avrebbero chiamata i suoi
compagni,
aderì
subito
al
movimento partigiano, diventando
staffetta della costituenda XV
Brigata Garibaldi “Saluzzo”. Il 15
aprile 1944 Lidia Rolfi fu
arrestata dai fascisti a Sampeyre
(Cuneo). Rinchiusa prima nel
carcere di Saluzzo, fu poi
trasferita alle Carceri Nuove di
Torino. Vi restò sino alla notte tra
il 25 e 26 giugno, quando i
nazifascisti ne decisero la
deportazione
in
Germania.
Rinchiusa
nel
lager
di
Ravensbrück,
la
giovane
insegnante riuscì a sopravvivere,
sino al sopraggiungere degli
Alleati. Liberata rientrò in Italia il
1° settembre 1945.
ROMANO GRAZIELLA (LALLA)
Nata a Demonte (Cuneo) l’11 novembre 1906. Deceduta a Milano il 26 giugno 2001, scrittrice.
Partecipò alla Resistenza entrando nel movimento Giustizia e Libertà. Quella che sarebbe poi stata
una delle maggiori scrittrici e poetesse italiane del Novecento si trovava, durante la guerra, nel suo
paese natale. Vi era riparata, con il figlio, da Torino dove insegnava storia dell’arte. A Demonte
entrò nei “Gruppi di difesa della donna”.
SCARAZZATI GIUNTOLI DIRCE
Nata a Milano il 15 dicembre 1920. Deceduta a Empoli (Firenze) il 21 aprile 2002, domestica.
Per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti, la sua famiglia nel 1931, aveva dovuto riparare in
Belgio. Si trasferirono in Francia e diventarono agricoltori. Nel 1936, la ragazza aveva preso i
primi contatti con la cellula comunista clandestina del paesino dove abitava e dove era "andata a
servizio". Due anni dopo, Dirce si trasferì a Parigi, entrando a tempo pieno nell’organizzazione del
Centro estero del PcdI. Nella primavera del 1939 la ragazza fu incaricata di rientrare in Italia, per
collegarsi con l’organizzazione clandestina di Ancona, ma cadde nelle mani dell’OVRA.
Incarcerata, resistette agli interrogatori, poi fu trasferita al carcere di Marassi, a Genova, e deferita
al Tribunale speciale. Processata con altri ventiquattro imputati di varie regioni, il 2 febbraio 1940
Dirce Scarazzati fu condannata a otto anni di reclusione per "associazione e propaganda
sovversiva". Scontò la pena nel Carcere di Trani. Liberata il 23 agosto del 1943, la giovane
raggiunse Milano e qui, dopo l’8 settembre, riprese la lotta antifascista. Organizzò la propaganda,
mantenne i contatti tra il CLN e le fabbriche. Poi passò a Torino, dove diventò "staffetta" delle
formazioni partigiane. Quando, finalmente, l’Italia fu liberata, la ragazza tornò nella sua città
natale.
SPIAZZI PIUBELLI ONILDA
Fucilata a Cazzano di Tramigna (Verona) il 29 luglio 1944, contadina.
Essere madre di un renitente alla leva fu la sola colpa di Nilde, come la chiamavano in paese. Il
figlio Luigi, infatti, si diede alla macchia e quando i fascisti, la sera del 28 luglio, si presentarono
nella povera casa degli Spiazzi Piubelli, non vi trovarono che la mamma. Con le percosse,
tentarono di farsi dire dove si fosse rifugiato il ragazzo con altri suoi compagni, ma da Nilde non
ottennero la minima indicazione. Trasferita nella sede del municipio, Onilda per tutta la notte fu
torturata dai suoi aguzzini, che non riuscirono a cavarle una parola di bocca. L’indomani, l’eroica
donna fu vista uscire, barcollante e sorretta dal parroco, dall’edificio del Comune. Era attorniata
dai suoi torturatori, che la piazzarono contro un muro e la fucilarono per il suo silenzio. Contro
quel muro resta ora una semplice lapide.
TITONEL DAMINA
Nata a Refrentolo (Treviso) il 1° luglio 1923, casalinga.
Aveva soltanto due anni quando la sua famiglia di contadini socialisti furono costretti ad emigrare
per trovare un lavoro e per sottrarsi alle aggressioni fasciste. Si trasferirono in Francia, a Monclair
d’Agenais. Durante il regime di Vichy, Damina entrò nella Resistenza francese. Staffetta della 35a
Brigata “Francs-Tireurs-Partisan Main d’ouvres Immigrées” intitolata a Marcel Langer, la giovane
donna, nel maggio del 1944, cadde nelle mani dei tedeschi. Incarcerata a Tolosa, Damina vi fu a
lungo interrogata e, inutilmente, percossa e torturata. Nel luglio del 1944 i tedeschi decisero di
deportarla e la staffetta fu internata nel lager di Belsen. Liberata dalle truppe sovietiche nell’aprile
del 1945, Damina Titonel tornò a Monclair
VIGANO’ RENATA
Nata a Bologna il 17 giugno 1900. Deceduta a Bologna il 23 aprile 1976, infermiera e scrittrice.
Ebbe la passione della medicina e sognò di fare il medico, ma per le difficoltà economiche
interruppe il liceo. Fu così che Renata, prese un "posto nella classe operaia", facendo prima
l’inserviente e poi l’infermiera negli ospedali bolognesi. Ma questo suo lavoro al servizio di chi
aveva bisogno, non le impediva di scrivere, l’altra sua passione. Sino all’8 settembre del 1943
Viganò continuò a lavorare in ospedale e a scrivere. Con l’armistizio scelse, insieme al marito ed
al figlio, di partecipare alla lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino
alla Liberazione, di volta in volta l’infermiera, la staffetta garibaldina, la collaboratrice della
stampa clandestina.
VIVODA ALMA
Nata a Chiampore di Muggia (Trieste) il 23 gennaio 1911. Morta a Trieste il 28 giugno 1943,
esercente. Prima Caduta della Resistenza italiana.
Alma Vivoda, Maria nella clandestinità, iniziò presto l’attività antifascista, anche perché "La
Tappa" – la trattoria di Muggia di proprietà del padre – era diventata punto di riferimento per gli
antifascisti della zona. Dopo che le autorità fasciste imposero la chiusura dell’esercizio, Alma e il
marito si dedicarono completamente alla lotta per la libertà. Affidato ad un collegio di Udine il
figlio Sergio, Alma e Luciano scelsero la clandestinità. Maria divenne una delle dirigenti più attive
dell’organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e
le formazioni partigiane dell’Istria. Fu nella primavera del ’43, che il marito fu arrestato e, per le
sue precarie condizioni di salute, ricoverato. Maria ne organizzò l’evasione. Attenta ai problemi
dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, Alma promosse la diffusione della stampa
clandestina ed arrivò a curare di persona la redazione del foglio "La nuova donna". Anche per
questo Alma fu braccata dalla polizia fascista, che aveva posto sulla sua testa una taglia di 10.000
lire dell’epoca. Il 28 giugno del '43, durante una missione alla Rotonda del Boschetto (Trieste), fu
riconosciuta da un carabiniere. Nello scontro a fuoco che ne seguì, Alma fu ferita alla tempia.
Trasportata all’ospedale, vi spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era
stata catturata insieme a lei. All’indomani della morte di Alma Vivoda, il nome della prima donna
italiana caduta nella Resistenza fu assunto da un battaglione autonomo della 14a Brigata Garibaldi
"Trieste" (Divisione Garibaldi "Natisone").
VOLTOLINA CARLA
Nata a Torino il 14 giugno 1921. Deceduta a Roma il 6 dicembre 2005, giornalista e psicologa.
Figlia di un ufficiale dell’Esercito fu, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, una
promettente sportiva, tanto che aveva vinto alcuni trofei di nuoto. Dopo l’annuncio dell’armistizio,
la ragazza divenne un’attiva partigiana nelle formazioni "Matteotti", prima nella sua città natale e
poi nelle Marche. Qui Carla fu arrestata dalle SS durante un rastrellamento. Riuscita ad evadere
con la collaborazione di un medico, raggiunse Roma, dove collaborò nella redazione della stampa
clandestina. Con la liberazione della Capitale, Carla raggiunse il Nord ancora occupato e a Torino
incontrò Sandro Pertini, che sposò due anni dopo. Da Torino, nuovo spostamento a Milano, dove
fu attiva sino alla Liberazione. Per il suo impegno nella Resistenza Carla Voltolina fu iscritta al
Distretto militare di Roma come combattente, decorata con la Croce di guerra.
ZANINETTI LIBANO ANDREINA
Nata a Vercelli il 18 giugno 1904. Deceduta a Vercelli il 30 aprile 1982, ragioniera.
Dopo il diploma, fu assunta come impiegata a Vercelli, nell’Ufficio provinciale dell’economia
(oggi Camera di commercio). Col fascismo ancora imperante, la giovane impiegata aderì al neo
costituito Partito d’Azione. Fu così che, subito dopo l’armistizio, entrò nella Resistenza. Col nome
di copertura di “Anna”, Andreina Zaninetti s’impegnò nell’attività di appoggio ai prigionieri di
guerra anglo-americani, collaborando con l’Ufficio informazioni e l’Ufficio falsi delle formazioni
di “Giustizia e Libertà”. Rappresentò il PdA nell’Unione Donne Italiane. Dopo la Liberazione fu,
sino al suo scioglimento nell’agosto del 1947, molto attiva nel Partito d’Azione
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Le donne e la Resistenza