Conferenza su Antonio Pansa, giovane pittore caprese.
Presentazione delle opere pittoriche raffigurate nell’opuscolo In
memoriam Pansa Antonio, Pittore Caprese (1958-1984).
A cura di Silvana Isidoro
Capri (NA), Centro Caprense “Ignazio Cerio”, venerdì 3 maggio 2013, ore 18.00
‘Sia nella figura che nel paesaggio non vorrei esprimere una malinconia sentimentale,
ma il dolore vero.
In breve, voglio fare tali progressi che la gente possa dire delle mie opere: “ sente
profondamente, sente con tenerezza” – malgrado la mia cosiddetta rozzezza e forse
persino a causa di essa…
Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico e
sgradevole, qualcuno che non ha posizione sociale né potrà mai averne una; in breve
l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere
mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno.’
(Vincent Van Gogh, L’Aia, 21 luglio 1882)
Ci sono cose delle quali solo i pazzi possono parlare. Potrebbe sembrare presunzione da
parte di chi sta dall’altro lato ad ascoltare. Ridotto in sintesi, le persone si definiscono
normali o, all’opposto, pazzi. E questo un pazzo, prima o poi, lo sa. Non c’è più folle di
chi sa di essere folle, estraneo alla normalità di chi è normale. Estraneo a chi non riesce
ad essere amato e accettato, così per quello che è, quella diversità. Tutto ciò crea nel
pazzo un profondissimo stato di malessere, incapacità di vivere in mezzo alla normalità.
Incapacità di gestire la propria vita, sentimenti ed emozioni che lo rendono schiavo di sé.
Il “pazzo consapevole” è colui che arranca a fatica in mezzo al mondo. Quello che si
sente finito, morto in mezzo ai vivi. Quello che lotta per guadagnarsi la vita, la stima, la
comprensione e l’amore degli altri. Questa è la storia di un pazzo che può avere un nome
come un altro. E l’Arte - una delle “più alte” manifestazioni dell’operato umano - può
essere storia di vita di un uomo folle, folle fino al suicidio.
Il piccolo opuscolo che raccoglie la memoria di Antonio Pansa, colui che resterà nella
Storia come giovane pittore caprese, adesso si apre a noi: ci racconta la sua vita sulla
Terra. Un’immagine grande del suo volto, in bianco e nero, il nome e cognome, nascita
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e morte, in un solo colpo visivo ce lo fanno vivo e morto, morto e vivo: come su una
lapide, limite tra un corpo morto che resta alla madre Terra e un’anima viva che resta al
Padre eterno. Voltiamo pagina e si apre una premessa, donataci da Don Vincenzo
Simeoli. Ci introduce a quest’uomo vissuto sulla “bella isola”, una premessa che ci fa
inscrivere in luogo preciso - l’Isola di Capri - punto della Terra che ha abbracciato gente
cosiddetta folle e gente cosiddetta normale; una premessa, quella di Don Vincenzo
Simeoli, che ci fa inscrivere la vita di quest’uomo anche in tempo preciso - ventisei anni
del tempo umano, dagli anni ’50 agli anni ‘80 – fino a ricondurlo attraverso la morte, ad
un tempo eterno. Divino: abbracciato in un luogo etereo da un Padre supremo, che in
accezione cristiana non lo respingerà.
Il piccolo opuscolo continua con la biografia di Antonio Pansa giovane pittore caprese,
donataci da Daniele Vuotto che, ancora attraverso le parole, ci fa passare per la vita di
quest’uomo: per la sua pittura, prima intrecciata - da una correlazione - a Van Gogh e al
suo maestro Perindani, poi espressione materica della sua assoluta essenza. E da qui,
oltre al suo “volo”, affidando egli stesso “la sua memoria” alla misericordia di Dio.
Voltiamo la pagina di questa breve biografia e attraverso tre fotografie diamo un volto
ad Antonio Pansa: bambino, ragazzo, uomo; sempre con un cenno di sorriso, su un
corpo un po’ chinato e lo sguardo verso l’alto. Come sempre nelle tre foto, il braccio e la
gamba sinistra avanti: le osserviamo e vediamo attraversare la vita di quest’uomo in noi
stessi.
Poi, le immagini si interrompono e si apre la sequenza temporale delle sue opere
pittoriche. Scorrendo le pagine con le immagini delle opere di Antonio Pansa, sembra di
attraversare la sua vita artistica: un processo graduale di espressione “accademica” – per
gli influssi del maestro Perindani, per le influenze stilistiche di Van Gogh e forse di altri
artisti – che si trasforma in espressione di se stesso, nell’ultima opera. Spesso sono
colpita dal legame tra le opere di un artista e la sua stessa vita. Soprattutto quando l’arte
è espressione di follia. Certo, non tutti gli artisti sono folli o sono stati folli. Molte volte,
però, mi capita di leggere nelle opere di artisti folli il dramma della loro esistenzialità dal quale non sono riusciti a salvarsi – accomunandosi tutti nell’estremo gesto del
suicidio. Compio lo sforzo di pormi nella lettura delle opere di Antonio Pansa, con la
massima umiltà per il rispetto dell’uomo che è stato e per la difficile vita che ha avuto.
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La prima opera è Il girasole (tecnica mista collage/mosaico su
compensato, cm23x28). Mi sono chiesta, da subito, se già in età
adolescenziale – probabilmente quando è stata realizzata l’opera –
Antonio Pansa avesse studiato Van Gogh, magari alle scuole
medie: Van Gogh (1853-1890) – l’artista olandese di fine
Ottocento, per antonomasia conosciuto per i suoi girasoli – animo
inquieto e tormentato che comincia a dipingere natura e persone
con una forza espressiva nuova, infondendo nelle opere il proprio
coinvolgimento emotivo e i tratti della propria personalità.
L’opera Pansè (olio su tela cm20x30, 1976) che Toni (così si
firma l’artista) realizza a 18 anni, sono fiori dai colori accesi e
violenti, dalle forme abbozzate, dai contorni imprecisi che
rimandano ai caratteri stilistici di artisti del primo Novecento: in
particolare ai Fauves, che utilizzano colori accesi disposti in modo
“selvaggio” sulla tela, per essere espressione libera e sentita dello
stato d’animo (ad esempio, come si legge nelle opere di Maurice
de Vlaminck e André Derain).
La Marina Piccola Via Krupp (olio su tela cm30x40, 1976) che
realizza nello stesso
anno è un’opera dai connotati diversi dalla
prima.
Lo
stile
rimanda a quello del suo maestro ‘Carlo
Perindani, pittore del
mare’ (A. Federico, Il filo di Arianna, p.48,
La Campanina 2006)
che,
dalla
Lombardia
avvertita
‘l’inquietudine
proprio degli artisti…giunge a Capri nel
1924’ (op. cit. p.47) a 25 anni e, per oltre sessan’anni, qui rimane fino alla morte. Del
Perindani, possiamo vederne l’influsso perché anche qui, ‘i caratteri di un naturalismo
ottocentesco si fondono con un inquieto plasticismo moderno’ (A. Basilico Pisaturo,
Pittori a Capri 1850 – 1950, p.223, La Conchiglia 1997).
Nel ritratto di Zia Marcella (olio su tela cm 30 x 40, 1977) che realizza
dopo, a 19 anni, è l’immagine chiara e decisa di una giovane donna
nella sua bellezza pura e angelicata. Priva di orpelli. La figura è
strutturata soprattutto nelle linee del volto. I colori sono pochi e
essenziali, quelli usati per la figura si ritrovano anche nelle pennellate
sullo sfondo. Ciò che più colpisce sono gli occhi verdi - punto focale del
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dipinto - grandi fino a un’accennata sproporzione, verdi come la veste che avvolge il
corpo. Il volto roseo è esaltato dal bruno dei capelli. Dalla precisione dei lineamenti del
volto, il resto del corpo e lo sfondo sono trattati in modo abbozzato. Il capo torto in una
direzione, il corpo nell’altra, le linee d’ombra della veste in una direzione, le pennellate
sullo sfondo nell’altra, i capelli un po’ mossi: tutto esalta un movimento che si arresta
solo nello sguardo degli occhi. Nell’opera si legge la lezione dei precursori delle
Avanguardie, quella degli artisti di fine Ottocento che – seppur ancora legati al
“figurativo” – cominciarono ad abbandonare la perfezione della mimesi, per far largo ad
una rappresentazione espressiva.
La Natura morta (cm32x49, 1979), che realizza a 21 anni, è la
rappresentazione di frutta disposta in un piatto al centro della tela, in
parte anche all’esterno di esso, verso l’osservatore. Molto colpiscono i
colori utilizzati: sembrano essere tratti dalla stessa tavolozza che ha
utilizzato, tre anni prima, per i Pansè. Sono colori abbastanza forti e
irreali, contrastanti e complementari: i gialli ai viola, gli aranci ad
accenni di blu, accenni di rosso ai verdi. Gli stessi utilizzati per il soggetto della
composizione sono stemperati per lo sfondo. Le forme sono abbozzate, non c’è la
ricerca di un tratto preciso, che appare sempre morbido e curvilineo, mai spigoloso. Lo
stile potrebbe ricondurre a opere di fine Ottocento (con riferimenti alle nature morte con
frutta di Cézanne) oppure, un po’ oltre, a opere di inizio Novecento, di quando gli artisti
cominciarono ad infondere nella rappresentazione di soggetti naturali la propria
dimensione emotiva, attraverso forme e colori che restituiti in maniera un po’ irreale.
Un anno dopo, a 22 anni, realizza Venezia Canal Grande (olio su
tela cm40x35, 1980). Il soggetto è diverso dalle opere precedenti e,
come già riportato da Danele Vuotto, ‘riproduce il Canal Grande di
Venezia (nel quale si nota, nel primo periodo pittorico, l’influsso del
noto pittore Carlo Perindani, suo vicino di casa) avvolto in
un’atmosfera invernale’ (Daniele Vuotto, In memoriam Pansa
Antonio Pittore Caprese, pag.3). E’ noto, infatti, come oltre alle
marine capresi, il maestro Perindani fosse solito rappresentare anche
paesaggi e vedute di altri luoghi fra i quali Venezia. I colori
dell’opera sono pochi ed utilizzati in diverse tonalità, dai chiari agli scuri: spicca il
verde, il rosa, il bruno, l’azzurro dello sfondo; sembrano colori tratti dalla tavolozza di
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Zia Marcella (di tre anni precedente), in toni diversi, per dare forme e contenuti diversi.
Le forme e lo stile ricordano tratti impressionisti.
Nello stesso anno realizza i Girasoli (olio su tela cm40x50, 1980). Con quest’opera
ritorna lo stesso tema della prima opera Il girasole, realizzata con tecnica mista
collage/mosaico. E ritorna il parallelo a Van Gogh con chiari segni di reinterpretazione
delle opere del grande artista.
Van Gogh, stabilitosi nel
sud della Francia a 35 anni,
nel 1888, per tutta l’estate e
fino all’inverno del 1889
dipinse la sua serie di
Girasoli in vaso, che
doveva raccogliere un
numero di circa 12 tele. Era
un uomo istintivo dalla
personalità ambivalente: tenero e sensibile ma anche violento ed egoista. Attraverso la
pittura ha voluto rappresentare il proprio stato d’animo, esprimere la propria condizione,
caricando con colori accesi e spesso irrealistici l’espressione della sua tormentata
esistenza. I girasoli, che ha rappresentato con il giallo cadmio, volevano portare gioia e
allegria (come appare dalle lettere scritte al fratello); tuttavia, mostrati in tutte le fasi di
fioritura fino all’avvizzimento, sono stati interpretati dai critici – nelle forme contorte
dei petali e degli steli – anche come segno di tormento. Tutta l’espressività dell’artista
veniva evidenziata anche dalla tecnica utilizzata: imprimere molto colore sulla tela, con
pennellate anche ruvide e violente. Come vedremo successivamente – attraverso il
parallelo, con un’altra opera di Antonio Pansa – a 37 anni, pose fine al dolore
esistenziale col suicidio.
Un artista influenzato da Van Gogh, che realizza più opere sui girasoli, è il tedesco Ernst
Ludwing Kirchner (1880 – 1938). Ne I girasoli del 1909 troviamo i tratti caratteristici
della sua pittura. Fu membro principale del gruppo Die Brücke (Il Ponte) che dette vita
all’Avanguardia artistica dell’Espressionismo tedesco: riteneva che il compito dell’arte
fosse quello di svelare e far emergere la drammatica realtà del mondo interiore, così
come aveva anticipato Van Gogh. Con i suoi I girasoli, Kirckner - a circa venti anni di
distanza da quelli di van Gogh – è andato oltre: la deformazione delle forme naturali, le
linee spezzate, i violenti contrasti cromatici diventano tratti più forti di quelli di Van
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Gogh. L’intento di Kirchner era quello di esprimere nelle sue opere la sofferta
condizione dell’uomo moderno – vittima di una società priva di valori morali e spirituali
(a causa anche delle condizioni sociali e politiche dell’epoca) – con una pittura dalle
forme e dai contenuti duri, volutamente sgradevole. Attraverso le opere, Kirchner riuscì
benissimo a restituire tutto il suo stesso dolore esistenziale, al quale pose fine – come
Van Gogh – col suicidio.
Girasoli di Antonio Pansa, è un’opera realizzata circa novant’anni dopo la serie di
Girasoli in vaso si Van Gogh e, quindi, circa settant’anni dopi I Girasoli di Kirchner. I
fiori variano nel numero, rispetto a quelli di Van Gogh e a quelli di Kirchner. I tratti
della rappresentazione sono molto più dolci di quelli di Van Gogh, distanti dalla durezza
di quelli di Kirchner (al quale il dipinto si accomuna solo nel colore blu del vaso). Il
giallo dei petali è scuro ma non “acido” o violento. Ci sono foglie - delle quali una
caduta - che raramente compaiono in quelli di Van Gogh. Dietro al vaso, è un testo
scritto aperto. Ciò che accomunerà Antonio Pansa a Kirchner e a Van Gogh - che prima
di lui dipinsero lo stesso tema - sarà la stessa forma di tragica morte.
A quattro anni di distanza dai Girasoli, a 26 anni, Antonio Pansa
dipinge Capri, Arco Naturale (olio su tela cm50x60, 1984). La
mano che realizza quest’opera si stacca quasi del tutto da un certo
“accademismo” precedente. Viene restituito quel famoso elemento
architettonico naturale dell’Isola di Capri che volge a Sud-Est, sul
mare, in modo completamente nuovo. In esso si legge il dramma
esistenziale del suo pittore, in gesti probabilmente liberi e scevri di condizionamenti
stilistici. Come ha scritto Daniele Vuotto, ‘un Arco Naturale che davvero dà le vertigini,
infatti nella profonda insenatura dell’arco brilla una trasparente acqua smeralda
illuminata dal sole’. (op. cit.). E’ la prima opera di Pansa che sicuramente rimanda alla
drammaticità dei tratti degli Espressionisti tedeschi, o alle deformazioni delle figure di
Edward Munch (l’artista che, attraverso la pittura, tra fine Ottocento e inizio Novcento,
rappresentava i drammi della psiche umana): più di tutto, nel tratto della propria firma,
in basso a destra, completamente irriconoscibile.
Dello stesso anno è l’ultima opera Mare con gabbiani (olio su tela
cm30x40 – 1984): l’opera più emblematica e – a mio avviso – più
significativa di Antonio Pansa. Come ancora ha scritto Daniele Vuotto
‘un tramonto sul mare con gabbiani, accennato con poche macchie di
colore’ (op. cit.). Non è più la marina dei diciotto anni, quella nella
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quale potevamo vedere gli influssi del Perindani. E’ un’opera “irrazionale”, dove gli
elementi naturali sono a stento riconoscibili in tratti grossolani e forme abbozzate, dove
il colore aiuta a identificare gli elementi di roccia, mare e gabbiani. Spiccano tonalità di
verde e di blu del mare che si alternano, si mischiano e si sovrappongono in modo
confusionale; lasciano interpretare: in primo piano, forme che potrebbero essere rocce
emergenti dal mare (anche se mi danno l’impressione di essere bagnanti in fuga); da un
lato al centro , un tratto scuro di costa; sullo sfondo, un cielo azzurro e un tramonto
arancio in pochi tratti, che si riflette anche sul mare. Più di tutto, ciò che colpisce sono i
gabbiani, che quasi si confondono – per i tratti abbozzati e duri – con quelli del mare.
Osservando questi gabbiani, non possiamo non
ricondurre la memoria visiva ai corvi
minacciosi dell’ultima opera di Van Gogh. A
ventisei giorni prima della sua morte, Van
Gogh aveva dipinto Campo di grano con volo
di corvi (1890): un campo di grano dai toni
cupi; uno stormo di corvi, dal fondo della
composizione, arriva fin quasi in primo piano: con la propria presenza indica un
presagio di lutto, che riflette il momento di profonda angoscia dell’artista. Gli uccelli
vengono rappresentati con pochi tratti di colore nero e tutto il dipinto è realizzato con
pennellate rabbiose e violente. Accostiamo Il mare di Pansa al Campo di Van Gogh, i
corvi ai gabbiani. Pare leggere: le stesse
linee violente e spezzate, lo stesso
dramma, la stessa irrazionalità, la
vicinanza alla stessa tragica morte.
L’opera pittorica di Antonio Pansa, probabilmente, non è andata “oltre” nella Storia
dell’Arte, non ha creato un nuovo artista con un nuovo stile; tuttavia, l’ultimo dipinto,
riesce a mostrare l’uomo che l’ha realizzato – in tutta la sua umanità – a chi possa
osservarlo e attraversarne la memoria: soprattutto, a chi possa affidare alla coscienza le
possibilità e le modalità di amare.
Capri (NA), 3 maggio 2013
Silvana Isidoro
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