Se voi volete andare in pellegrinaggio nel
luogo dove è nata la nostra Costituzione,
andate nelle montagne dove caddero i
partigiani, nelle carceri dove furono
imprigionati, nei campi dove furono
impiccati.
Dovunque é morto un Italiano per
riscattare la libertà e la dignità, andate lì,
o giovani, col pensiero, perché lì é nata la
nostra costituzione.»
P. Calamandrei
“Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza”
Questo opuscolo è stato redatto per il corso di “Cittadinanza e Costituzione” dai
docenti Livia Dumontet. Lucia Prencipe. , Anna Schettino
Iniziamo dalla Storia Antica …
Nella Grecia antica intorno all‟ VIII secolo nasce la POLIS. Le
poleis erano piccole comunità rette da governi autonomi: tanti
piccoli stati indipendenti l'uno dall'altro. La conformazione
geografica del territorio greco, prevalentemente montuoso,
impediva facili scambi tra le diverse città e ciò favorisce il
carattere autonomo delle poleis. La polis era il vero e proprio
centro politico, economico e militare del mondo greco. Ogni polis
era organizzata autonomamente, secondo le proprie leggi e le
proprie tradizioni. La polis fu un modello di struttura tipicamente e
solamente greca che prevedeva l'attiva partecipazione degli
abitanti liberi alla vita politica.
In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la caratteristica
della polis non era tanto la forma di governo democratica od
oligarchica, ma l'isonomia. (dal greco isos: uguale e nomos: legge
rappresenta il concetto di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge. Tutti sono soggetti alla stessa legge; la rotazione e il
sorteggio nella partecipazione alle cariche politiche stanno ad
indicare che tutti hanno le stesse possibilità, e così trovano il loro
senso nella partecipazione alla comunità.
LA NASCITA DELLO STATO MODERNO
L‟organizzazione politica chiamata "Stato moderno" si è
sviluppata fra il 1400 e il 1600 in Europa.
Attualmente è il tipo di organizzazione politica più diffuso nel
mondo: ci siamo talmente abituati a essa che molti, sbagliando,
credono sia sempre esistita. Al contrario, tra l‟epoca antica e quella
moderna c‟è stato il Medioevo, periodo in cui l‟organizzazione
degli Stati era di tipo feudale. Durante il feudalesimo sul territorio
esistevano varie forme di potere organizzato: feudi, città, domini
ecclesiastici. Spesso perciò si aveva sullo stesso territorio e sulle
stesse persone la sovrapposizione e la concorrenza fra più poteri:
 il potere politico dei laici doveva fare i conti con
quello della Chiesa;
 il potere economico dei nobili feudatari doveva fare i
conti con quello dei vescovi e dell'imperatore.
Rispetto a questa situazione, lo Stato moderno diventa l'unica
organizzazione che accentra ed esercita il potere:
 prende decisioni
 impone regole e comportamenti che fa eseguire anche
attraverso l‟uso legittimo della forza (polizia, esercito).
Perché vi sia Stato in senso moderno debbono esserci:
 un'unica organizzazione politica che stabilisca le regole
per la convivenza e le faccia osservare utilizzando
eventualmente anche la forza;
 un popolo che abiti stabilmente su un territorio e sia
sottoposto solo a questo potere.
Nel nostro, come in molti altri Stati, questa organizzazione è una
persona giuridica, quindi è un soggetto di diritti e doveri.
LA PREMESSA DELLA NASCITA DELLO STATO
ITALIANO: I MOTI RISORGIMENTALI
In seguito ai moti risorgimentali (1821-1848) promossi dalle classi
borghesi, cui talora partecipò anche l'aristocrazia, nelle principali
città del Regno di Sardegna, Carlo Alberto prese una serie di
provvedimenti di stampo liberale:
 nel 1837 emanò il Codice Civile
 nel 1839 il Codice Penale
 nel 1847 riformò la disciplina della censura permettendo la
pubblicazione di giornali
politici
 creò una Corte di Revisione (Cassazione) per assicurare
una certa uniformità della giurisdizione nello Stato
 Aggiornò anche la composizione del Consiglio di Stato.
Con i moti del 1820 inizia in Italia un lungo periodo di moti
rivoluzionari che va sotto il nome di Risorgimento alla fine del
quale il paese avrà la sua identità nazionale e si inserirà nel più
ampio contesto politico europeo.
Il fermento rivoluzionario in Italia ha inizio nel Regno delle due
Sicilie, dove viene chiesta al re Ferdinando I la concessione di una
Costituzione. Ferdinando I concede la Costituzione, ma in seguito
invoca l„aiuto militare dell'Austria. Nel marzo 1821 un esercito
austriaco invade il regno di Napoli e rovescia il governo
costituzionale. Nel marzo 1821 insorge il Piemonte. Viene
concessa una Costituzione. Vittorio Emanuele I abdica. Il
successore è Carlo Felice, uomo particolarmente reazionario, in
quel momento assente da Torino. Viene quindi nominato reggente
il principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano. Carlo Alberto
concede lo Statuto, ma ne condiziona l‟entrata in vigore dopo la
firma del re. Al suo rientro Carlo Felice sconfessa l'operato di
Carlo Alberto e restaura il regime assolutista.
Nel 1830 scoppiano nuovi moti, questa volta di carattere liberale.
I moti del 1848 in Italia coincidono con la Prima guerra di
Indipendenza. Il re piemontese, Carlo Alberto, dopo le incertezze
del 1821, si dichiarava adesso più vicino alle idee liberali e
sembrava volersi impegnare per l'Italia. Dopo i primi avvenimenti
tutti i sovrani italiani concessero le Costituzioni.
La Costituzione piemontese fu detta Statuto Albertino e divenne
la legge fondamentale del futuro Regno d'Italia. Queste
costituzioni erano state concesse dai sovrani e non votate dai
cittadini, ma, in quel momento, costituirono un deciso passo in
avanti.
Tra il 1848 e il 1849 si combatte la I guerra di Indipendenza.
Questa fallisce e si firma un armistizio con l‟Austria. Vittorio
Emanuele II succede a Carlo Alberto e mantiene in vigore lo
Statuto albertino.
Nel 1859 scoppia la II guerra di Indipendenza. La guerra viene
guidata dal Piemonte con l‟aiuto della Francia. Negli Stati italiani
vennero votati dei plebisciti per l' annessione al Regno di
Sardegna. L'Italia centrale approvò con il 97% di sì l'annessione al
Regno di Sardegna. Per conquistare l‟Italia meridionale fu
organizzata la spedizione dei mille, guidata da Giuseppe
Garibaldi.
I Mille sbarcarono a Marsala e in pochi giorni occuparono
Palermo. In seguito le truppe garibaldine sbarcarono in Calabria.
Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò a Napoli. L'esercito
piemontese, evitando Roma, si impadronì delle Marche e
dell‟Umbria.
Il 26 settembre 1860 Garibaldi e Vittorio Emanuele II si
incontrarono presso Teano (Caserta) dove Garibaldi salutò il
sovrano come re d'Italia, e gli offrì tutti i territori liberati.
Il nuovo Parlamento italiano si riunì per la prima volta a Torino il
17 marzo 1861.
Fu proclamato il Regno d'Italia, con capitale Torino. Lo Statuto
albertino venne esteso a tutta l'Italia. Lo Statuto era diviso in due
parti: nella prima gli articoli più importanti sancivano l'autorità
della monarchia e della figura del re riaffermando l'importanza
della religione cattolica, considerata l'unica religione ufficiale
dello Stato. Nella seconda parte altri articoli riportavano tutte le
garanzie: diritti e libertà già sancite dalle costituzioni francese,
inglese e americana.
IL NUOVO STATO
Che tipo di Stato era? Ecco alcune caratteristiche generali:
Economia: quasi esclusivamente agricola, di tipo tradizionale e
poco produttiva.
Sviluppo industriale: appena agli inizi e limitato ad alcune regioni
settentrionali.
Rete ferroviaria: quasi inesistente.
Debito pubblico: molto elevato, conseguenza delle spese sostenute
per le guerre di indipendenza.
La Costituzione del nuovo Stato si chiamava Statuto Albertino
ed era un'eredità del Regno di Sardegna. In esso era prevista una
posizione centrale per il Re rispetto agli altri organi costituzionali.
Nel corso dei decenni successivi, tuttavia, il potere del sovrano
venne notevolmente ridotto a favore del Parlamento senza che
fosse necessario modificare lo Statuto (data la sua flessibilità).
Il Governo, anche se continuò a essere nominato dal Re, poté
governare solo con la fiducia del Parlamento. La Camera dei
Deputati elettiva divenne sempre più importante rispetto al
Senato di nomina regia. Contemporaneamente la società italiana
cambiò: si formarono i primi sindacati e i partiti politici, e
progressivamente fu ampliato il diritto di voto. I primi anni del
nuovo Regno sono caratterizzati da un‟alternanza al potere di
governi appartenenti alla Destra e alla Sinistra storica.
La loro azione politica si differenziava più nelle modalità che nei
contenuti di programma: i primi portavano avanti una politica
moderata, mentre i secondi erano più radicali.
Con il nuovo secolo la politica italiana è caratterizzata dall‟Età
giolittiana.
L‟Italia vive una fase di sviluppo industriale di progresso
economico. La società italiana, come quelle degli altri stati europei,
sta diventando rapidamente una società di massa. Nascono i primi
partiti politici di massa, organizzazioni che nascono ed operano
con l'intento di rappresentare ampie fasce della società e di
collegarle con le istituzioni. Pertanto, si propongono di farsi
concretamente portatori della volontà, degli interessi e delle
prospettive di una classe sociale o comunque di quote significative
della popolazione, per la quale cercheranno di soddisfare le
necessità all'interno delle istituzioni. (*1)
Nel 1912 viene varata la legge sul suffragio universale maschile.
Nel 1913 si svolgono le elezioni a suffragio universale maschile.
Giolitti si dimette nel 1914. Nel 1914 in Europa scoppia la I guerra
mondiale alla quale partecipa, dal 1915, anche l‟Italia. Il
dopoguerra, nonostante la vittoria, è caratterizzato da un diffuso
malcontento che porta in pochi anni all‟avvento del fascismo.
L’ITALIA FASCISTA
Il Fascismo è un movimento politico autoritario sviluppatosi in
Italia e in altri paesi europei a partire dal 1919. Rappresentò la
reazione ai profondi mutamenti politici e sociali dovuti alla Prima
Guerra Mondiale e al diffondersi delle dottrine socialiste. Il
Fascismo avrebbe protetto l‟Italia e la monarchia dal comunismo.
Benito Mussolini fondò il movimento “Fasci di combattimento”
da cui nacque il partito fascista. Nel 1925 Mussolini emanò le Leggi
“Fascistissime” con le quali vennero messi al bando tutti i partiti
tranne quello Fascista.
La Camera dei Deputati venne sostituita dalla Camera dei Fasci e
delle Corporazioni che rimarrà fino al 1943. Mussolini creò
attorno alla sua persona e al suo programma politico il consenso,
cioè l‟approvazione degli italiani, sia eliminando ogni forma di
opposizione, sia controllando la cultura e l‟informazione. Dal
1926 in Italia l‟opposizione al Fascismo diventa un delitto contro lo
Stato. L‟Italia era diventata un paese a regime dittatoriale.
Il 1° settembre 1939 scoppia la SECONDA GUERRA
MONDIALE. L‟Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 al fianco
della Germania. Nel luglio 1943 gli alleati, cioè le forze anglo –
americane, sbarcano in Sicilia, accolti dalla popolazione come dei
liberatori. Mussolini viene messo in minoranza e il maresciallo
Pietro Badoglio diventa capo del governo, mentre il duce è
arrestato. Il 3 settembre 1943 Badoglio firma l‟armistizio con gli
alleati che viene reso noto l’8 settembre 1943. L‟Italia non è più
alleata della Germania e i tedeschi assumono il controllo militare
nel Nord della penisola. Il re fuggì a Brindisi e gli italiani si
trovarono in una condizione drammatica: divisi in due, senza
patria, senza guide, occupati da eserciti stranieri:
gli anglo-americani a Sud, i tedeschi a Nord. L‟idea stessa di Patria
sembrava crollare… ma gruppi di uomini diedero vita alla
Resistenza. Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande
autonome, fu organizzato in brigate e divisioni dal Comitato di
liberazione nazionale (CLN).
Nella primavera del 1944 si costituì il primo governo di unità
nazionale che comprendeva il CNL e i partiti antifascisti. Durante
la primavera del 1945 vennero liberate molte città dell‟Italia
settentrionale. Il 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale
dell'Alta Italia emanò da Milano un proclama con cui assumeva
tutti i poteri civili e militari nelle regioni liberate.
La guerra era finita e l’Italia era libera.
L’ITALIA REPUBBLICANA
I partiti animatori della Resistenza avrebbero più tardi costituito
insieme i primi governi del dopoguerra. L'Assemblea costituente,
eletta nel 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum
istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti
del CLN che, in tale veste, elaborarono la Costituzione della
Repubblica Italiana, ispirata ai principi della democrazia e
dell'antifascismo. Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse un
referendum istituzionale indetto per determinare la forma dello
Stato dopo la fine del fascismo e della II guerra mondiale.
Per la prima volta in Italia votarono anche le donne. Il risultato del
referendum vide la vittoria
della Repubblica che fu proclamata ufficialmente il 18 giugno
1946.
Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello stato, i
cittadini italiani elessero anche i componenti dell‟Assemblea
Costituente che doveva redigere la nuova Carta Costituzionale e
che fino all'elezione del primo Parlamento della Repubblica svolse
anche le funzioni di assemblea legislativa. L‟ Assemblea
Costituente sotto la presidenza di Giuseppe Saragat iniziò
ufficialmente i lavori il 25 giugno 1946, il primo Presidente della
Repubblica fu Enrico De Nicola, la nuova Costituzione
repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
la Costituzione dava vita ad un sistema di tipo parlamentare, il
governo era responsabile davanti alla Camera dei deputati e al
Senato. Le due camere erano elette a suffragio universale e avevano
il potere legislativo.
Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione.
L‟articolo 1 fissa in modo solenne il risultato del referendum del 2
giugno 1946: l‟Italia è una repubblica.
I caratteri che distinguono la forma repubblicana da quella
monarchica sono soprattutto due:
 L‟elettività
 La temporaneità delle cariche pubbliche.
L‟accesso ad esse non avviene per ereditarietà e per appartenenza
dinastica, ma, appunto, per elezione, e la durata in carica non può
mai essere vitalizia (se si esclude il caso particolare dei pochi
senatori a vita) ma limitata ad un tempo fissato dalla legge, si tratti
del Sindaco di un piccolo Comune o del Presidente della
Repubblica.
Diventa chiaro, in questo modo, anche il significato etimologico
della parola repubblica: lo Stato non è un patrimonio familiare e
dinastico che si possa trasmettere ereditariamente come un
bene qualsiasi, ma è invece una “res publica”, appunto una
cosa di tutti.
Coloro che sono temporaneamente chiamati a svolgervi un
importante ruolo di direzione politica non ne sono i proprietari,
ma i servitori.
I governati non sono sudditi, ma cittadini che devono essere
messi in condizione di esercitare la loro sovranità.
Per questo l‟articolo 1 stabilisce il carattere democratico della
repubblica.
Con esso, conformemente all‟etimologia del termine democrazia
(dal greco: demos, popolo e kratìa, potere), si intende che la
sovranità, cioè il potere di comandare e di compiere le scelte
politiche che riguardano la comunità, appartiene al popolo.
È naturale che un simile ruolo non possa essere esercitato in forma
arbitraria.
L‟inciso “nelle forme e nei limiti della Costituzione” sta a indicare
proprio questo fatto.
Più precisamente, l‟esercizio effettivo della sovranità popolare
avviene in varie forme, specie il diritto di voto (art. 48 Cost.),
mediante il quale ogni cittadino sceglie i propri rappresentanti a
cui viene delegata non la sovranità, ma la cura effettiva degli affari
pubblici.
Il modello appena delineato prende perciò il nome di democrazia
rappresentativa e deve essere tenuto distinto da quello della
cosiddetta democrazia diretta, che di fatto può essere praticato
soltanto in comunità molto piccole.
Mentre nel primo caso, proprio delle grandi democrazie moderne,
il cittadino è rappresentato dagli eletti, nel secondo caso l‟esercizio
della sovranità è diretto e non richiede il meccanismo della delega
e della rappresentanza. Se ne può avere un esempio nella
democrazia ateniese del V secolo a.C., purché non si dimentichi
che la diretta partecipazione di tutti gli uomini liberi agli affari
dello Stato era resa possibile anche dall‟esclusione legale delle
donne, degli schiavi e degli stranieri da ogni forma di attività
politica.
Una Repubblica fondata sul lavoro
Il primo articolo sottolinea in modo particolare, oltre l'identità
repubblicana dello Stato, come la Nazione sia fondata sul lavoro.
Prima di arrivare alla forma tuttora vigente, vennero esposte varie
proposte.
La prima, presentata dal deputato Mario Cevolotto ometteva la
formula "...fondata sul lavoro" e venne presentata il 28 novembre
1946.
Questa, però, non piacque alla quasi totalità dei membri
dell'Assemblea e venne definita algida e carente dei tratti precisi del
nascente Stato Italiano. Fu Aldo Moro a chiedere di inserire un
riferimento al lavoro.
Palmiro Togliatti presentò una seconda proposta: "L'Italia è una
Repubblica democratica di lavoratori". Ma anche questo
emendamento venne bocciato.
Ma fu il democristiano Amintore Fanfani a presentare la formula
attuale che fu appoggiata dal Partito Comunista Italiano e dal Partito
Socialista Italiano.
L'articolo 1 della Costituzione Italiana venne approvato nella sua
interezza il 22 marzo 1947 dando finalmente un'identità alla
nascente Repubblica.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Viene qui affermato il principio personalista, che colloca la
persona umana, nella sua dimensione individuale così come in
quella sociale, al vertice dei valori riconosciuti dall‟ordinamento
giuridico.
L‟individuo è considerato parte integrante della comunità, inserito
perciò in una rete di rapporti sociali, nel cui ambito si creano le
condizioni per lo sviluppo della sua personalità. Le “formazioni
sociali” come la scuola, i partiti, i sindacati, le collettività locali, le
confessioni religiose, la famiglia) risultano, dunque, fondamentali
per la crescita dell‟individuo e questo spiega perché, sulla base del
principio pluralista, ad esse vengono riconosciuti e garantiti gli
stessi diritti dell‟individuo. In pratica, risulterebbe contraria alla
Costituzione qualsiasi legge
destinata a sottoporre a controlli di polizia le attività di una qualsiasi
associazione. La norma, comunque, ponendo sullo stesso piano i
singoli e le formazioni sociali, presuppone anche l‟idea che nessuna
libertà collettiva possa prescindere dalla libertà dei singoli.
Nella parte finale dell‟articolo viene affermato il principio
solidarista, in virtù del quale ogni cittadino ha il dovere di operare a
vantaggio della comunità (ad esempio, rispettando l‟obbligo di
contribuire alle spese pubbliche, sancito dal successivo art. 53),
partecipando attivamente alla vita politica, economica e sociale del
Paese. Proprio l‟adempimento di questi doveri “inderogabili”
trasforma l‟individuo in cittadino responsabile.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Con la fine della seconda guerra mondiale e il tramonto del
Fascismo, nasce in Italia l‟esigenza di costruire uno Stato capace di
garantire ai cittadini non già una semplice uguaglianza formale
(tipica dei sistemi liberali), bensì un‟uguaglianza che potesse in
questi termini permettere agli stessi di godere effettivamente di una
parità, altrimenti sostanzialmente negata dai sistemi costituzionali
formalistici come, per esempio, nello Statuto Albertino.
Così, in sede costituente, venne elaborato il princìpio di cui all‟art. 3
Un princìpio importante, poiché supera il criterio dell‟uguaglianza
formale e definisce un nuovo criterio di parità fra i cittadini: quello
dell‟uguaglianza sostanziale.
A questo punto ci si domanda: che differenza c‟è? Anche lo Statuto
Albertino (che era uno statuto liberale), garantiva l‟uguaglianza fra i
cittadini. E dunque? Dove ha innovato effettivamente la
Costituzione repubblicana? Be‟, chiaramente una cosa è dire “tutti i
cittadini sono uguali davanti alla legge”, senza però prevedere
strumenti tali a garantire in concreto questa uguaglianza; altra cosa è
affermare “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e lo Stato si
impegna a rimuovere tutti gli ostacoli economici e sociali che
impediscono questa uguaglianza”.
La differenza dunque sussiste ed è una differenza fondamentale. Lo
Statuto Albertino garantiva l‟uguaglianza, ma lasciava al mercato,
alla libertà e volontà del singolo, e in ultimo alla società, il compito
di eliminare gli ostacoli che impedivano in concreto l‟effettivo
raggiungimento del risultato egualitario. Così veniva a verificarsi il
paradosso di una società formalmente egualitaria, ma
sostanzialmente diseguale. Il regime fascista, d‟altro canto, non
attenuò certamente le profonde diseguaglianze sociali, sebbene
molte misure adottate dal sistema corporativo avevano proprio un
simile obiettivo. E questo perché il Fascismo partiva da
un‟ideologia che tendeva ad appiattire il sistema sociale ed
economico al princìpio dello Stato Etico. Perciò, comprimendo la
libertà e l‟iniziativa, comprimendo l‟autotutela dei lavoratori e
dunque delle classi più deboli, impediva in concreto lo sviluppo di
tutti quei meccanismi poi attuati nel più progredito sistema
repubblicano, informato al princìpio dello Stato Sociale. Ecco
dunque che arriviamo all‟art. 3 della Carta Costituzionale, del quale
un primo importante metaprincìpio desumibile è l‟impedimento per
il legislatore di emanare norme che creino diseguaglianza fra i
cittadini in base al sesso (e all‟orientamento sessuale), alla razza,
alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche e alle condizioni
personali e sociali. In questi termini, qualsiasi provvedimento
legislativo violativo di un sifatto princìpio può e deve essere tacciato
di incostituzionalità (da qui l‟illegittimità costituzionale di molte
leggi del sistema corporativo e del precedente sistema liberale).
D‟altro canto, il princìpio di uguaglianza sostanziale, previsto dalla
nostra costituzione, non si traduce affatto – come apparentemente
potrebbe credersi – in un‟uguaglianza assoluta che alla fine
andrebbe a negare lo stesso princìpio. Infatti, al princìpio stesso è
sottesa la consapevolezza che l‟uguaglianza potrà essere garantita
effettivamente solo se si prende coscienza che tutti i casi uguali
devono essere trattati in modo eguale e che tutti i casi diversi
devono – per converso – essere trattati in modo diverso.
Eppure, anche questa consapevolezza non è sufficiente. Non a caso,
il secondo comma dell‟art. 3 estende e concretizza il princìpio di
uguaglianza, rendendolo effettivamente perseguibile. La norma
infatti stabilisce che lo Stato (e pure le Regioni, le Province, i
Comuni e gli altri enti pubblici) deve rimuovere gli ostacoli di
ordine sociale ed economico che di fatto limitano l‟uguaglianza e la
libertà dei cittadini, e che impediscono perciò la realizzazione della
persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all‟organizzazione politica, economica e sociale della nazione. Il che
significa che l‟uguaglianza non può essere vista solo come
limitazione negativa all‟azione statale (lo Stato non può emanare
leggi che creino diseguaglianze!), bensì pure come una imposizione
allo Stato e agli enti pubblici di compiere azioni positive volte alla
rimozione delle diseguaglianze (l‟autorità pubblica deve emanare
leggi che elimino discriminazione e ineguaglianze). Ciò significa, in
altre parole, che non è sufficiente che in una società ogni cittadino
sia eguale dinanzi alla legge (uguaglianza formale), è pure
necessario che tale uguaglianza sia effettiva (uguaglianza
sostanziale). Esempio: l‟istruzione. Non è abbastanza che ogni
ragazzino abbia il diritto di istruirsi e andare a scuola, ma è
necessario che lo possa fare concretamente. Perciò, se la famiglia
non ha le risorse economiche per mandare il proprio figlio a scuola,
lo Stato deve prevedere risorse economiche per tali famiglie
disagiate (borse di studio, libri di testo gratuiti ecc...).
E questo affinché si attui l‟effettiva uguaglianza tra chi – benestante
– non ha problemi economici che gli impediscono di istruirsi e chi,
invece, per simili problemi, in concreto non può.
In conclusione, il princìpio di uguaglianza è un fattore di estrema
civilità che già costituì nell‟ottocento una vera rivoluzione nella
società, poiché di fatto veniva superato il sistema assolutistico che
invece fomentava profonde diseguaglianze classiste (nobili, clero,
borghesia e contadini/operai). Eppure, sebbene fortemente
innovativo, tale princìpio – formalisticamente inteso – non era di
fatto soddisfacente, perché garantiva soltanto le classi medie
(borghesia), le uniche dotate di sufficiente autonomia economica per
far valere i propri diritti. Ecco perché – dopo il culmine dei regimi
nazifascisti – tale princìpio ha trovato nuova linfa, evolvendosi
ulteriormente verso una sostanzialità che di fatto ha sancito il
definitivo progresso sociale e l‟innalzamento del livello di benessere
dell‟intera collettività. Non a caso, il secondo comma parla di
sviluppo della persona umana e di partecipazione di tutti i lavoratori
(si presume di ogni livello) all‟organizzazione sociale, politica ed
economica del paese Italia.
(*1) Approfondimento sui partiti di massa
Il XX secolo è stato caratterizzato, tra le altre cose, dall‟avvento dei
partiti di massa che hanno avuto la caratteristica di essere
“pluriclasse” per taluni versi come i movimenti di ispirazione
cristiana e quelli socialisti.
Questi partiti sono organizzati e stabili competono per garantirsi la
“appartenenza” degli elettori mediante una comunicazione
essenziale e semplificata, per slogan e manifesti, fondata su
meccanismi identitari elementari. Ma questo concetto meglio si
adattava ad un elettorato semialfabeta o fortemente dipendente da
richiami etico-religiosi o ideologicizzati ed ebbero l‟effetto porre un
limite al sistema democratico di derivazione liberale in quanto
fecero emergere, fra le due guerre mondiali, i totalitarismi che
imposero una rottura autoritaria dei concetti e delle idee che si erano
formati tra l‟800 e il „900.
Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da
una medesima finalità politica ovvero da una comune visione su
questioni fondamentali dello gestione dello Stato e della società o
anche solo su temi specifici e particolari. L'attività del partito
politico si esplica nello spazio della vita pubblica e, nelle attuali
democrazie rappresentative, ha per "ambito prevalente" quello
elettorale.
I partiti nascono nel momento dell‟affermazione della democrazia e
quindi quando il governo diventa responsabile verso il voto degli
elettori.
Nascono con la Rivoluzione inglese del „600, ma si affermano con il
diffondersi della Rivoluzione industriale, la formazione di una
società di massa e l'allargamento del suffragio elettorale fino ad
essere universale. Si distinguono generalmente in partiti di centro,
destra e sinistra. Questa distinzione trova la sua origine nella
collocazione dei deputati negli emicicli parlamentari fin adi tempi
della Rivoluzione francese: il centro era sinonimo di "moderazione",
la destra di "conservazione" e la sinistra di "progresso".
Nella storia politica europea, ed in particolare quella italiana, dalla
metà dell'800 agli inizi del '900 la scena politica era dominata da
partiti politici tutti di stampo "liberale". Tali partiti, in quanto
espressione dei ceti sociali medio-alti, erano attenti, in particolar
modo, a ridurre il potere statale ed ad accentuare la libera iniziativa
locale.
Con la crescita del proletariato, composto soprattutto da piccoli
artigiani, braccianti ed operai, cominciano a diffondersi le teorie
socialiste che troveranno, poi, in Karl Marx il loro più compiuto
teorizzatore.
Nasce così l'idea di uno Stato laico, se non ateo, svincolato dalla
tradizione borghese, unico detentore del potere e attento ad
assicurare la più completa uguaglianza tra i cittadini.
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