25. Le zone umide
• Definizione, classificazione, storia delle zone umide
• Funzioni delle zone umide
• Idro-dinamismo
• Fattori di criticità
• Interventi per la conservazione delle zone umide
• Esempi
Le zone umide
Zone allagate per tutto l’anno o solo in alcuni periodi
Transizione tra ambienti terrestri e acquatici
Depressioni naturali, terreni a scarsa permeabilità
…
Condizioni
di
allagamento
Peculiari
condizioni
fisico-chimiche
Peculiari
comunità
vegetali/animali
Definizioni
Ad esempio, secondo il Devoto-Oli (1990)
Palude
Acquitrino
Stagno
zona di varia estensione nella quale, essendo il terreno
impermeabile, l’acqua piovana non scorre e si ferma a
costituire bacini di raccolta di solito poco profondi
strato d’acqua che ristagna sul terreno, coperto spesso
da erbe palustri, o terreno dove l’acqua ristagna
raccolta d’acqua ferma di scarsa profondità ed
estensione
Da tali esemplificazioni è possibile rilevare come, nel linguaggio
comune, si tenda ad usare indistintamente i diversi termini
attribuendo loro, in definitiva, significati notevolmente generici e
simili.
Definizioni
Le definizioni, reperibili in letteratura, sono spesso funzionali agli
obiettivi per cui vengono formulate di volta in volta:
-
biologici
geologici
idrologici
ricreativi
economici
sociologici
ecc.
a conferma della difficoltà di proporre definizioni di carattere
generale.
Per le implicazioni ambientali connesse con le esigenze di
conservazione degli habitat per la fauna selvatica, si fa
riferimento, anche per i suoi risvolti di carattere giuridico
internazionale, alla cosiddetta “Definizione Internazionale”,
adottata dall’IUNC (Union for the Conservation of Nature and
Natural Resources) nella Convenzione di Ramsar, secondo la
quale art. 1 c.1:
“per zone umide si intendono
- distese di paludi,
- di torbiere o
- di acque naturali o artificiali, permanenti o temporanee, dove
l’acqua è stagnante o corrente, dolce, salmastra o salata, ivi
comprese distese di acqua marina la cui profondità, a marea bassa,
non superi i sei metri”.
L’art. 2, c. 1 precisa inoltre che:
“I confini di ogni zona umida dovranno essere descritti in maniera
precisa e riportati su di una mappa, essi potranno includere delle
zone rivierasche o costiere contigue alla zona umida ed isole o
distese di acqua marina di profondità superiori a sei metri a marea
bassa, circondate dalle zone umide, in particolare allorché dette zone,
isole o distese d’acqua, abbiano un’importanza in quanto habitat degli
uccelli acquatici”.
Tale definizione, a causa del chiaro obiettivo di individuare le zone
umide ai fini della loro idoneità a costituire habitat per gli uccelli
acquatici non esplicita dettagli sui diversi caratteri di natura
biologica, morfologica, idraulica, pedologica, ecc. che caratterizzano e
distinguono i diversi tipi di zone umide.
Caratteri che sarebbe comunque opportuno mettere in evidenza per
meglio definire le peculiarità essenziali di tali ecosistemi.
Altre definizioni
1. Adottata dalla U.S. Scientific Definition-Fish and Wildlife Service
(USA) secondo cui:
“… sono terre di transizione tra sistemi terrestri ed acquatici ove la
falda è usualmente in superficie o vicino ad essa e il terreno è
coperto da acque basse […].
Le zone umide devono avere uno o più dei tre seguenti attributi:
1) terre prevalentemente occupate da idrofite, almeno
periodicamente la terra supporta prevalentemente idrofite;
2) il substrato è costituito prevalentemente da suoli idromorfi non
drenati;
3) il substrato è “non suolo” e, ogni anno, è saturato con acqua o
coperto da acque basse durante il periodo vegetativo”
2. Definizione proposta da Zoltai al Canadian National Wetlands
Working Group del 1979:
“Aree dove prevalgono i suoli umidi, caratterizzate da livello di
falda prossimo o sovrastante il suolo minerale per la maggior parte
della stagione del disgelo e che supportano idrofite”.
3. Definizione proposta da Tarnocai poi adottata dal Canadian Wetland
Registry:
“Terre che presentano il livello di falda vicino, sopra o a livello del
terreno, terreno che si presenta saturo per un periodo
sufficientemente lungo da consentire processi acquatici o palustri
tipici di suoli idrici, della vegetazione acquatica e di vari tipi di
attività biologiche che si sono adattate ad ambienti umidi”.
La terza è stata adottata, dopo adeguate verifiche, dal Canadian
National Wetlands Working Group nel 1988 e, in tale occasione,
Zoltai ha proposto i valori dei livelli idrici estremi per determinare le
condizioni che attribuiscono ad un’area il carattere di zona umida, e
cioè:
• acque con modesta profondità (generalmente inferiore ai 2
metri);
• aree periodicamente inondate ma che presentano condizioni di
saturazione del suolo su tutto l’ecosistema
4. Definizione proposta dal Gruppo di lavoro “Wetlands”, 2003
(Direttiva 2000/60/CE)
Definizione universale, includendo caratteristiche idrologiche,
geologiche e biologiche:
“Le umide sono ecosistemi eterogenei ma con caratteristiche
distintive, dipendenti da inondazioni di acque dolci, salmastre o salate
a bassa profondità, costanti o ricorrenti, o da saturazione a livello del
substrato o in sua prossimità.”
Quindi, non esiste una definizione univoca di zona umida. Ciò
deriva dal fatto che si fa riferimento non ad un singolo ecosistema
ma ad un insieme di ecosistemi, le cui caratteristiche naturali,
condizionate dall’altitudine, dal clima dalla geologia, e dall’idrologia
sono estremamente variabili.
Pertanto ogni definizione appare generica se confrontata ai
caratteri specifici dei diversi ambienti acquatici a cui si applica.
Vi sono però 3 elementi comuni a tutte le aree umide:
1- la persistenza stagionale o permanente di acque superficiali o
di scarsa profondità;
2- le peculiari proprietà fisiche e chimiche del suolo;
3- la presenza di specie vegetali adatte all’ambiente umido
(idrofite) e l’assenza di vegetazione che non tollera elevata
umidità.
Le zone umide
Sono state considerate aree improduttive e malsane, estesamente
bonificate
Negli ultimi trenta anni, la tendenza si è invertita: numerosi
interventi sono stati fatti per ricostituire o conservare gli habitat
umidi
Benefici:
- naturalistici
- regimazione delle acque
- miglioramento della qualità delle acque
Le zone umide
Finalità
Convenzione di Ramsar (1971)
accordo per la protezione e la tutela di habitat sulle rotte
di migrazione degli uccelli
L'atto viene siglato nel corso della "Conferenza Internazionale sulla
Conservazione delle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici", promossa
da:
• l'Ufficio Internazionale per le Ricerche sulle Zone Umide e sugli
Uccelli Acquatici (IWRB- International Wetlands and Waterfowl
Research Bureau)
• con la collaborazione di:
- l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN
International Union for the Nature Conservation) e
- il Consiglio Internazionale per la protezione degli uccelli (ICBP –
International Council for bird Preservation).
L'evento internazionale determina una svolta importante nella
cooperazione internazionale per la protezione degli habitat,
riconoscendo l'importanza ed il valore delle zone denominate
"umide", ecosistemi con altissimo grado di biodiversità, habitat
vitale per gli uccelli acquatici.
prevede, all’art. 2, c. 6, che:
“Ciascuna Parte contraente terrà conto dei suoi impegni a livello
internazionale, ai fini della conservazione, della gestione e di un
razionale uso delle popolazioni migratorie di uccelli acquatici” e
auspica inoltre (art. 4 c. 2) che:
“Se una Parte contraente, per motivi urgenti di interesse
nazionale toglie una zona umida inclusa nella lista, o ne riduce
l’estensione, essa dovrebbe compensare, per quanto possibile,
qualsiasi diminuzione di risorse di zone umide, ed in particolare
dovrebbe creare nuove riserve naturali per gli uccelli acquatici e
per la protezione, nella stessa regione o altrove, di una parte
adeguata del loro habitat primitivo”.
Si evidenziano, quindi, due strategie di azione per conservare gli
ambienti umidi visti nella loro dimensione ecosistemica:
azioni sul territorio al fine di mantenere o ricreare
condizioni ottimali per la vita della fauna selvatica;
azioni dirette sulle popolazioni animali attraverso
una loro corretta gestione.
Obiettivo della Convenzione di Ramsar
La Convenzione si pone come obiettivo
la tutela internazionale delle zone definite « umide »
Mediante:
•
•
•
•
l'individuazione e
la delimitazione,
lo studio degli aspetti caratteristici, in particolare, l'avifauna e
di mettere in atto programmi che ne consentano la conservazione
e la valorizzazione.
Quali obiettivi specifici dell'accordo, le Parti si impegnano a:
1. designare le zone umide di importanza internazionale del proprio territorio
da inserire in un elenco che potrà essere ampliato o ridotto a secondo dei
casi;
2. elaborare e mettere in pratica programmi che favoriscano l'utilizzo razionale
delle zone umide in ciascun territorio delle Parti;
3. creare delle riserve naturali nelle zone umide, indipendentemente, dal fatto
che queste siano o meno inserite nell'elenco;
4. incoraggiare le ricerche, gli scambi di dati e pubblicazioni relativi alle zone
umide, alla loro flora e fauna;
5. aumentare, con una gestione idonea ed appropriata il numero degli uccelli
acquatici, invertebrati, pesci ed altre specie nonché della flora;
6. promuovere delle conferenze;
7. valutare l'influenza delle attività antropiche nelle zone attigue alla zona
umida, consentendo le attività eco-compatibili.
Applicazione in Italia
La convenzione è stata recepita in Italia attraverso
La legge di ratifica D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448
Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide di
importanza internazionale soprattutto come habitat di uccelli
acquatici
D.P.R. 11 febbraio 1987, n. 184
« Esecuzione del protocollo di emendamento della convenzione
internazionale di Ramsar del 2 febbraio 1971 sulle zone umide di
importanza internazionale adottato a Parigi il 3 dicembre 1982 ».
Direttiva 409/79/CEE
Direttiva Uccelli: protezione e gestione di tutti i tipi di uccelli
selvatici presenti nel territorio europeo e dei loro habitat
Art. 4: importanza della protezione delle zone umide
Direttiva 43/92/CEE
Direttiva Habitat: conservazione di habitat naturali o naturaliformi
comprese le zone umide nelle loro varie tipologie
(Allegato I: tipi di habitat naturali di interesse comunitario la cui
conservazione richiede la designazione di aree speciali di
conservazione)
L.N. n. 157 del 1992
Art. 10: alle Regioni spetta il compito di provvedere al ripristino dei
biotopi alterati ed alla creazione di nuovi
Zone umide di importanza internazionale in Toscana
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Padule Diaccia Botrona
Lago di Burano
Laguna di Orbetello
Padule di Bolgheri
Padule Diaccia Botrona
Il Padule della Diaccia – Botrona è ciò che resta dell’antico Lago
Prile che occupava circa 12.000 ha.
Attualmente è costituito da una vasta area umida costiera, circa
700 ettari, di origine dolce ma che oggi tende al salmastro.
Il lago cominciò a interrarsi diventando una palude di acqua dolce di
cui oggi rimane il sito della Diaccia Botrona. Ad oggi, la condizione
salmastra determina la presenza di formazioni vegetali resistenti ad
alti valori di salinità.
L'area ospita il maggior numero di uccelli acquatici svernanti in
Toscana e rappresenta un importante sito per numerose specie
floristiche rare.
Il Padule presenta una profondità media di 30 – 40 cm e comunica
con il mare e con il fiume Bruna tramite canali.
La palude è divisa nelle due zone, di diversa ampiezza, della Diaccia
e della Botrona dall‘argine che congiunge Casa Ximenes ai Ponti di
Badia, presso l'Isola Clodia.
La zona più vicina al fiume Bruna ha meglio conservato le
caratteristiche di palude d‘acqua dolce, mentre la parte restante si
è nel tempo trasformata in una laguna salmastra, con conseguenti
modificazioni nella vegetazione e nella fauna ospitata.
Nel progetto originario del 1765, la casa Ximenes doveva servire alla
regolamentazione del flusso delle acque del Padule attraverso delle
paratoie poste sotto le arcate del ponte.
Padule Diaccia Botrona
Lago di Burano
Si trova lungo la costa tirrenica nel comune di Capalbio (GR)
Estensione: 410 km2
Riserva naturale dello Stato dal 1980
Il Lago di Burano è:
- Zona Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione
di Ramsar,
- Riserva Naturale Statale,
- Zona di Protezione Speciale ai sensi della Direttiva Uccelli 79/409/CEE,
- Sito di Importanza Comunitaria proposto ai sensi della Direttiva
Habitat 92/43/CEE.
Il lago di Burano è collegato al reticolo idrografico superficiale
circostante sia nella zona di levante, a sud; che nella zona di ponente, a
nord.
Nella zona di levante il lago riceve le acque provenienti dal Canale
della Bassa che, a sua volta, prima dell’ingresso nel lago, ricevono,
mediante una idrovora, le acque provenienti dal Canale acque basse
di levante.
Quest’ultimo drena tutta la zona pianeggiante
meridionale formatosi in seguito a successivi riporti di terreno che
hanno progressivamente ridimensionato l’estensione del lago in
questo versante; il Canale della bassa invece scorre per un buon
tratto parallelamente al Nuovo Allacciante di Acque alte, che riceve i
dreni della zona bassa di Capalbio.
Dal lato Nord, zona di ponente, il lago riceve direttamente le acque
del Fosso Melone e, tramite una idrovora, tutte le acque provenienti
dall’ex padule della Tagliata, zona pianeggiante a nord del lago.
Il Fosso Melone, oltre a drenare tutte le acque del bacino imbrifero
settentrionale, raccoglie le acque del Lago di S. Floriano e riceve gli
scarichi degli impianti di depurazione di Capalbio Scalo e di un
residence limitrofo, per un carico complessivo di circa 1000 abitanti
equivalenti.
Infine, il lago di Burano mantiene una comunicazione con il mare
tramite lo sbocco di Burianaccio, ma a causa dell’ insabbiamento
naturale, la foce resta per gran parte dell’ anno chiusa.
Il monitoraggio (fine anni ’90), pur non evidenziando una situazione
preoccupante, indicava la necessità di interventi mirati da una parte
alla diminuzione dell’apporto di nutrienti e di sostanza biodegradabile
(in particolare dalla zona di ponente) prevedendo una più efficace
depurazione degli scarichi civili insistenti nell’area e dall’altra al
miglioramento nella circolazione delle acque con interventi di natura
idraulica (escavazione dei fondali, miglior collegamento con le acque
marine, ecc.) che potessero mitigare gli effetti legati alla variabilità
nel contenuto di ossigeno disciolto, con una alternanza di situazioni di
quasi anossia e situazioni di sovrassaturazione stressante per
l’ecosistema.
Elenco degli interventi a breve termine
Elenco degli interventi a medio e lungo termine
Laguna di Orbetello
Classificata zona umida di importanza internazionale con Decreto
Ministeriale 9 Maggio 1977, ed è protetta ai sensi della Convenzione
di Ramsar.
È un antico braccio di mare situato tra la costa toscana ed il
Monte Argentario, separato dal mare aperto dai due tomboli
completi della Giannella (a Nord-Est) e della Feniglia (a SudOvest) che, partendo dalla costa maremmana, raggiungono le
pendici dell’Argentario.
Un terzo tombolo incompleto, prolungato artificialmente fino
all’Argentario mediante un viadotto la divide in due bacini. Su questo
terzo tombolo corre la strada statale 440 e sorge il centro abitato di
Orbetello.
La laguna ha un’estensione totale di 25.25 km2 ed suddivisa in due
bacini comunicanti, quello di Ponente ad ovest e quello di Levante ad
est con una superficie rispettivamente di 15.25 and 10.00 km2.
Ha un’escursione di marea estremamente modesta da 10 a 45 cm.
La profondità media dell’intero bacino è di circa 1 m, con variazioni
da 40 a 170 cm.
La laguna di Orbetello, come molte altre lagune costiere, è soggetta
da decenni a processi di forte eutrofizzazione che si manifestano
essenzialmente con lo sviluppo di macroalghe e fitoplancton.
Le cause di tali processi eutrofici sono da attribuire alla forte
antropizzazione del territorio costiero e allo sviluppo delle attività
produttive.
L'inquinamento è sostanzialmente dovuto all'accumulo della sostanza
organica immessa dagli scarichi civili e dalle attività produttive,
rappresentate essenzialmente dalle itticolture intensive.
Per questi problemi, a partire dal 1992 con l'ordinanza n. 2380/FPC
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato disposto un
Commissariamento Straordinario per la tutela e gestione della
Laguna di Orbetello dichiarata "area a rischio ambientale".
Il ricambio naturale delle acque lagunari con quelle marine
avviene attraverso le tre aperture presenti in laguna.
Tali canali sono stati dotati di idrovore che consentono anche un
regime di circolazione forzata delle acque.
In condizione di circolazione naturale, i flussi entranti ed uscenti
sono regolati dalle maree, peraltro con escursioni molto modeste
dell'ordine di circa 40 cm.
In tale regime, considerando anche il basso fondale lagunare, solo i
venti riescono a movimentare e ricambiare efficacemente l'acqua
della laguna con quella marina.
In estate, in assenza di vento, viene spesso attivato il regime di
circolazione forzata delle acque, con due bocche chiuse e flussi
entranti in laguna regolati dalle idrovore e con la terza bocca aperta
con il flusso regolato dalla marea.
Lo scambio forzato, inizialmente pari a 8000 l/s è stato
incrementato installando nuove idrovore, passando ad un flusso di
16000 l/s.
Per quanto riguarda gli scarichi civili e delle itticolture, sono state
delimitate per mezzo di argini due aree periferiche della laguna che
hanno lo scopo di abbattere il carico eutrofizzante presente nei reflui
per mezzo di bacini di lagunaggio/fitodepurazione.
Zone umide naturali
LAGHI
Profondità
dell’acqua
>2m
Grandi laghi interni:
Area > 3 km2
Piccoli laghi interni: Area
< 3 km2
Interni
Acque dolci
Dimensioni e caratteristiche varie
Collocazione a quota inferiore a 750 m s.l.m.
Montani
Acque dolci
Dimensioni e caratteristiche varie
Collocazione a quota superiore ai 750 m s.l.m.
Costieri
Acque dolci o a bassa salinità
Dimensioni e caratteristiche varie
Distanza inferiore ai 10 km dalle coste con o senza comunicazione diretta col
mare
FIUMI
Sponde, alvei e zone strettamente limitrofe ai loro corsi
Estuari e Delta
STAGNI
Acque piatte simili a quelle dei laghi
Portata d’acqua continua, anche se variabile durante l’anno
Profondità non superiore ai 2 m
ACQUITRINI
Acque stagnanti con fenomeni di impaludamento
Portate discontinue
Acque non perenni
TORBIERE
Zone di accumulo lento e continuo di sostanze vegetali
In depressioni dove si accumula acqua con conseguente formazione di torba
LAGUNE
Acque marine incuneate nella terraferma
Comunicazione continua o saltuaria col mare
Alta o media salinità
VALLI DA PESCA
Acque in prossimità delle coste
Salinità variabile
Delimitazione con argini naturali o artificiali
Destinazione prevalente: itticoltura
LITORALI ED ACQUA MARINE
COSTIERE
Zone litoranee
Acque marine costiere con profondità, durante la bassa marea, inferiore a 6 m
Laghi
Da un punto di vista morfologico, i laghi si presentano come
ambienti acquatici in cui l’acqua raggiunge profondità considerevoli
(superiore a 2 m).
A tali profondità, quando la luce non riesce a filtrare a
livello del fondo, non sono garantite le condizioni di
sviluppo della vegetazione in quanto viene inibita
l’attività fotosintetica.
All’interno dei laghi la presenza di alghe e piante acquatiche
risulta dunque discontinua e, particolarmente le loro zone centrali,
risultano quindi libere dalla vegetazione.
Tali zone appaiono anche quelle meno adatte ad ospitare varie
specie animali (soprattutto uccelli, anfibi, rettili e mammiferi) che
qui non trovano sufficienti risorse alimentari e aree di rifugio.
dove le sponde digradano dolcemente, si
sviluppa una rigogliosa vegetazione riparia che
consente l’instaurarsi di comunità vegetali ed
animali più consistenti e complesse.
Nelle zone
di margine
dove le sponde scendono a picco nell’acqua,
la ricchezza vegetazionale risulta molto meno
evidente tanto che appare molto difficile ritrovarvi
siti di nidificazione o di alimentazione.
interni e costieri
appaiono spesso molto produttivi e
con elevata biodiversità
Laghi
montani
data la loro oligotrofia, determinata da
condizioni climatiche non ottimali,
ospitano un numero molto minore di
specie.
scorrono in
pianura
sulle sponde dei fiumi riesce ad
affermarsi una ricca e diversificata
vegetazione riparia che ospita
numerose specie animali.
Fiumi
scorrono in
montagna
Si assiste ad una scarsa
produttività primaria
dell’ecosistema e a condizioni
ambientali molto più selettive per
la fauna sia ittica che ornitica che
ne risulta quindi negativamente
influenzata.
Zone
palustri
•
•
•
•
paludi
stagni
acquitrini
torbiere
ambienti molto diversificati perché costituiti da:
- zone con diverso grado di profondità delle
acque,
- zone solo periodicamente sommerse,
- ambienti ripariali e zone asciutte
Questo alternarsi di diverse realtà ambientali crea i presupposti
ecologici per la vita di molte specie animali e vegetali che si
stabiliscono nei microhabitat a loro più idonei.
In pratica, le zone palustri vedono al loro interno la formazione di
numerose fasce ecotonali di passaggio tra ambienti acquatici,
terrestri e zone allagate con differente profondità delle acque.
Le paludi rappresentano gli ambienti umidi che meglio si prestano ad
ospitare numerose e diversificate popolazioni animali.
Tuttavia questi ecosistemi, per i labili equilibri ecologici presenti al
loro interno, necessitano di particolare attenzione e quindi di misure
speciali mirate alla loro gestione e conservazione nel tempo.
Lagune
La laguna è un bacino costiero dominato dalle maree,
separato dal mare da un cordone litorale (insieme di lidi),
ma comunicante con esso attraverso bocche (foci).
Sono caratterizzate da un movimento di acque interno
regolato dall’andamento delle maree che provoca così
un’elevata dinamica di alternanza tra ecosistemi terrestri e
marini.
Sono spesso delimitate da lembi di terraferma, costituiti
da detriti fluviali e/o marini, chiamati in genere “tomboli”.
In pratica, questi ambienti possono essere definiti come
“grandi stagni di acqua salmastra” in cui il grado di salinità
dipende oltre che dall’entità delle acque dolci in entrata
provenienti da corsi d’acqua interni, anche dall’alternanza
delle condizioni climatiche stagionali.
stagno
costiero
è un bacino non dominato dalle maree, separato dal
mare da un cordone litorale (freccia litorale, tombolo) e
comunicante con esso mediante varchi.
Nel Mediterraneo, per la
scarsa forza delle maree,
si sono formati
prevalentemente
stagni costieri.
Zone umide artificiali
Le zone umide di origine artificiale comprendono tutti quegli ambienti
che traggono origine da azioni di marcata trasformazione del territorio
da parte dell’uomo.
Creazione di nuove zone umide
Testimoniano un manifesto intendimento di ricostruzione ambientale
Valorizzazione ambientale di opere finalizzate a scopi del tutto
diversi
invasi artificiali per uso irriguo, le casse di espansione dei corsi
d’acqua, le ex cave di inerti, i canali, le saline, ….
ZONE UMIDE ARTIFICIALI
CASSE DI ESPANSIONE
DEI FIUMI
Bacini creati artificialmente per accogliere temporaneamente
le acque di piena dei fiumi
INVASI DI RITENUTA
Bacini artificiali per la raccolta e l’accumulo delle acque dei
fiumi, dei torrenti o di semplici impluvi, usate per scopi
irrigui, industriali, ecc.
CAVE DI INERTI
Bacini generati dall’escavazione di materiali inerti (sabbie,
ghiaie, argille), alimentati da acque di falda o da corsi
d’acqua
CANALI E CORSI D’ACQUA
CANALIZZATI
Corsi d’acqua artificiali o dei quali sono state modificate
pesantemente le caratteristiche dei letti e degli argini
fino a far perdere loro gli originali caratteri naturali
SALINE
Bacini per la produzione di sale
VASCHE DI COLMATA
Bacini, in genere residui da interventi di bonifica, che non
hanno raggiunto il riempimento definitivo mediante la
tecnica della colmata
ZONE UMIDE A GESTIONE
FAUNISTICO VENATORIA
Bacini realizzati per prevalenti scopi faunistico-venatori
RISAIE
Aree allagate periodicamente per la coltivazione del riso
PRATERIE ALLAGATE
Praterie soggette alla pratica stagionale dell’allagamento
BACINI ARTIFICIALI PER
L’ITTICOLTURA O LA PESCA
SPORTIVA
Specchi d’acqua artificiali nei quali viene praticato
l’allevamento di specie ittiche o la pesca
BACINI INDUSTRIALI
Aree allagate, vasche o invasi dimessi o ancora in uso
realizzati per usi industriali
STAGNI PER LA FAUNA E LA FLORA
SELVATICHE
Bacini ottenuti per allagamento di superfici per favorire
l’avifauna acquatica
Lago per irrigazione in
Maremma
Lago artificiale da caccia nella piana
fra Firenze e Sesto Fiorentino
Evoluzione storica delle zone umide
Sono state utilizzate le potenziali attitudini agricole delle aree
palustri, riducendone le originarie caratteristiche di naturalità.
Successivamente, molti di questi terreni sono stati sottratti
anche alle attività agricole ed hanno perso definitivamente
ogni segno di origine naturale, divenendo sede di aree
urbane, industriali, ecc.
Le zone umide sopravvissute sono minacciate dall’inquinamento
derivante dall’immissione nei crateri di sostanze in grado di
alterarne e danneggiarne gli equilibri biologici.
agenti
inquinanti
squilibri
idraulici
azoto e fosforo provenienti dalle acque reflue di
origine urbana ed agricola, metalli pesanti, ecc.
- sovra-sfruttamento delle acqua di falda
- alterazione nella idrologia dei bacini idrografici
Zone umide: funzioni
Funzioni
biologico-naturalistiche
Funzioni
idrauliche
Diversità e numerosità delle
specie animali selvatiche
Regolazione dei deflussi di piena
Diversità e numerosità delle
specie vegetali
Conservazione di specie
minacciate o in via di estinzione
Esportazione spaziale e
temporale di sostanze
Immagazzinamento di sostanze
(torbiere)
Ricarica delle falde
Stabilizzazione di sponde e linee
di costa
Zone umide: funzioni
Funzioni
miglioramento della qualità
delle acque
Ritenzione dei sedimenti
Funzioni
sociali
Ricreazione
Risorse vegetali
Ritenzione e trattenimento di
sostanze inquinanti
Trasformazione e rimozione di
sostanze nutritive
Risorse animali
Educazione e ricerca
Conservazione di tradizioni
storiche e culturali
Aspetti estetico-paesaggistici
La valutazione delle zone umide
Comprende le seguenti fasi:
• classificazione della zona umida
• caratterizzazione ambientale della zona umida e dei territori circostanti
• accertamento delle funzioni della zona umida e dei territori circostanti
• identificazione degli impatti, in atto o potenziali
• previsione degli effetti degli impatti, in atto o potenziali
• determinazione delle emergenze ambientali locali
• determinazione delle emergenze paesaggistiche
• individuazione delle specie vegetali ed animali rare o minacciate di estinzione
• individuazione delle valenze socio-economiche della zona
Classificazione della tipologia di valutazione delle zone umide
informale
1
mono-funzionale
2
formali
1a Informale
(o sintetica)
ampia scala
3
poli-funzionale
piccola scala
Si basa su criteri soggettivi fondati sull’esperienza e
sulla conoscenza complessiva delle caratteristiche di
un particolare ambiente.
È una valutazioni che prevede indagini e ricerche
ridotte effettuate da persone di grande esperienza
con profonda conoscenza dell’area specifica.
1b Formale
Si basa sul rilevamento, l’organizzazione e l’analisi
di informazioni derivanti da approfondite ricerche e
rilievi relativi ad interi bacini.
Attività
- classificazione,
- caratterizzazione della zona umida e delle zone
limitrofe,
- accertamenti delle funzioni palustri,
- identificazione delle cause di impatto e dei loro
effetti in atto, o presumibili, sulle funzioni di base
della zona.
2a
2b
3a
Monofunzionale
Polifunzionale
Ampia
scala
3b Piccola
scala
Prende in esame una sola, o più funzioni
analizzate indipendentemente.
Considera le interazioni delle diverse funzioni
riferibili alle varie componenti ambientali
nell’ambito di un sito specifico.
Funzione dell’ampiezza del campo di indagine
Funzione dell’ampiezza del campo di indagine
Esempi di valutazione di tipo formale
1. “Habitat Assessment Technique” (HAT)
Si basa sul seguente presupposto: ambienti che ospitano un più
elevato numero di specie e nei quali si rinvengono specie di uccelli più
rare hanno un maggior valore (Cable et al., 1989).
Il valore che riflette la diversità e l’unicità è calcolato basandosi sulla
comparazione fra i dati dell’area in esame e quelli relativi allo stato di
ciascuna specie in comprensori omogenei di più ampi dimensioni, ma
ricadenti nello stesso distretto geografico.
Tale metodo di valutazione implica la realizzazione di inventari completi
della vegetazione e della fauna in zone campione ove, in particolare,
vengono condotti censimenti degli uccelli nidificanti.
2.“Habitat Evaluation Procedure” (HEP)
Metodo particolarmente indicato per la valutazione dell’idoneità degli
habitat ad ospitare fauna acquatica e terrestre (U.S. Fish and Wildlife
Service, 1980).
Questo metodo consente di attribuire un valore globale all’habitat
esaminando, su una superficie campione, almeno cinque specie indicatrici
tipiche dello specifico habitat.
In tal modo, si analizzano i diversi habitat sulla base di parametri misurabili
fino ad ottenere dei valori, espressi da un numero compreso fra 0 e 1
definito come “Habitat Suitability Index (HSI)”.
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25. Le zone umide - Centro Studi Naturalistici ONLUS