23
SET - OTT 2012
anno IV
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
INTERVENTI
“8th FIG Regional Conference 2012” Radisson Victoria Plaza Hotel Montevideo (Uruguay)
PROGETTI
“Palais Lumière Pierre Cardin”
PROTAGONISTI
GEOMATICA
Ugo Filippini, Geometra
Mappatura GPS delle Ippovie
ZOOM
Enrico Mattei
23
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SET - OTT 2012
anno IV
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
INTERVENTI
“8th FIG Regional Conference 2012” Radisson Victoria Plaza Hotel Montevideo (Uruguay)
PROGETTI
“Palais Lumière Pierre Cardin”
PROTAGONISTI
GEOMATICA
Ugo Filippini, Geometra
Mappatura GPS delle Ippovie
ZOOM
Enrico Mattei
23
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 23
GEOCENTRO/magazine
Periodico bimestrale
Anno IV N. 23
Settembre - Ottobre 2012
DIRETTORE
RESPONSABILE
Franco Mazzoccoli
[email protected]
COMITATO
Fausto Amadasi
Carmelo Garofalo
Leo Momi
Bruno Razza
Mauro Cappello
Lucia Condò
Gianfranco Dioguardi
Stig Enemark
Franco Laner
Norbert Lantschner
Pier Luigi Maffei
Franco Minucci
Elisabetta Savoldi
Marco Simonotti
Antonella Tempera
COORDINAMENTO
REDAZIONE
Claudio Giannasi
A.D. e IMPAGINAZIONE
Filippo Stecconi
Francesca Bossini
www.landau.it
EDITORE
Fondazione Geometri Italiani
Via Cavour 179/a
00184 Roma
Tel. 06 42744180
Fax: 06 42005441
www.fondazionegeometri.it
STAMPA
artigraficheBoccia
www.artigraficheboccia.it
Carta interni:
riciclata Cyclus Print gr. 100
RESPONSABILE
TRATTAMENTO DATI
Franco Mazzoccoli
PUBBLICITÀ
Fondazione Geometri Italiani
Via Cavour 179/a
00184 Roma
Tel. 06 42744180
Fax: 06 42005441
[email protected]
ABBONAMENTI 2012
Annuo: euro 50
Un numero: euro 10
Richiesta via e-mail
[email protected]
e versamento a:
Banca Popolare di Sondrio
Intestato a:
Fondazione Geometri Italiani
Codice IBAN: IT27 F056 9603 2270
0000 2132 X22
RICHIESTE VARIAZIONE
INDIRIZZO DI SPEDIZIONE
Tel: 06 42744180
COPYRIGHT
È vietata la riproduzione,
anche parziale, di articoli,
fotografie e disegni
senza la preventiva autorizzazione
Autorizzazione del Tribunale di
Roma n. 250 del 29 maggio 2003
7
EDITORIALE
OCCHIO
ALLA TERRA
8
di Franco Mazzoccoli
8
INTERVENTI
“8th FIG Regional
Conference 2012”
Radisson Victoria
Plaza Hotel
Montevideo (Uruguay)
Intervento di Fausto Savoldi
10
CIPAG/STRUMENTI
Il Building Manager:
una nuova
figura professionale
di Vincenzo Acunto
12
PROGETTI
“Palais Lumière
Pierre Cardin”
di Alessandro Cariani
12
26
33
26
35
44
GEOMATICA
Mappatura GPS
delle ippovie
e individuazione
siti di interesse
culturale. Un WebGIS
per il turismo equestre
di Cristina Castagnetti,
Alessandro Capra
Irene Bedostri, Tiziano Bedostri
33
PERSONAGGI
Le Lauree
di Meyra Moise
35
FOCUS
Carlo Rambaldi
Geometra
Scenografo
37
IDEE
“La parola
come utensile”
44
ZOOM
Le stazioni
di servizio Agip
Il modello
di Enrico Mattei
37
49
PROTAGONISTI
Ugo Filippini
Geometra
racconta i suoi progetti
66
AUTORI
“Il calcolo rapido
della trave continua”
Renato Scassa
Geometra
69
49
79
EDILIZIA
La sicurezza sul lavoro
per il committente
privato di lavori edili:
l’informazione
come fondamento
della sicurezza
Prima parte
di Giovanni Piga
74
74
88
MISURE
Il monitoraggio
dei vulcani attivi
di Danilo Reitano,
Susanna Falsaperla
Giuliana D’Addezio
79
IMPIANTI
Esempio di scelta
e dimensionamento
componenti:
cantiere edile
Quinta lezione
di Mauro Cappello
FORMAZIONE
Il cuneo
Macchina
onnipresente
nella carpenteria lignea
Semplice, potente
utile e bello
94
NEWS
96
BOOKS
di Franco Laner
66
Per questo numero si ringrazia
Online
69
La rivista è consultabile
agli indirizzi web:
www.fondazionegeometri.it
www.cng.it
www.cassageometri.it
Sezione “Geocentro”
Vincenzo Acunto
Irene Bedostri
Tiziano Bedostri
Alessandro Capra
Alessandro Cariani
Cristina Castagnetti
Giuliana D’Addezio
Susanna Falsaperla
Ugo Filippini
Giovanni Piga
Danilo Reitano
Centro di Documentazione Multimediale
della cultura giuliana, istriana, fiumana e
dalmata
Eni
Festival della mente – Sarzana
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
Crepe nei muri?
Cedimenti?
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EDITORIALE
OCCHIO
ALLA TERRA
di Franco Mazzoccoli
Direttore di GEOCENTRO/magazine
Il primo passo di Neil Armstrong sulla Luna, luglio 1969,
è stato in realtà meno importante del suo sguardo rivolto
alla Terra: “piccola e fragile sfera blu”.
Christian Brodhag
Proprio questa “sfera blu” ha ispirato la nostra copertina.
Per impegnare tutti a non smettere di guardare la Terra
la cui origine risale a 4,5 miliardi di anni fa ed il livello
dei mari era più alto di 70-90 metri e la temperatura
superiore di 10°C. Ci sono voluti circa 180 milioni di anni
alla natura per la trasformazione dell’anidride carbonica
dell’atmosfera, in risorse sotterranee di combustibili
fossili: petrolio e carbone. L’uomo compare sulla terra
circa 200.000 anni fa.
L’Umanità alla ricerca del profitto in tempi brevi ha
sfruttato e continua a farlo le risorse naturali. Oggi
siamo tutti chiamati a tener conto non dei risultati
del profitto, ma ai dati dell’ambiente, quindi ad una
economia impostata in funzione della Terra ed alla sua
sostenibilità. Eliminando le vecchie industrie inquinanti
o ristrutturandole con nuovi impianti ecocompatibili.
Questa trasformazione coinvolge le industrie delle
auto non più a benzina ma ad idrogeno, la produzione
dell’energia elettrica mediante l’eolica e quella solare.
Un sostanziale cambiamento di tutti i settori, da quello
agroalimentare, delle costruzioni, al riciclo dei rifiuti,
dell’acqua, che mettono in campo nuove figure di
Professionisti specializzati.
In questo momento di crisi pensare ad una economia
in sintonia con la Terra è un’opportunità di grande
investimento. Questa economia ha come base lo sviluppo
sostenibile che si fonda sulla equità sociale, l’efficienza
economica, la tutela dell’ambiente (risorse naturali).
Dobbiamo riflettere sul rapporto che l’essere umano ha
con la natura. Alla trasformazione di questa economia
in “economia compatibile” deve responsabilmente
partecipare ognuno di noi.
I Professionisti più a contatto ed a servizio dei cittadini,
hanno il compito di informarli e sensibilizzarli facendoli
partecipare alle decisioni nelle quali sono coinvolti.
A proposito del rapporto “essere umano-pianeta”, Fausto
Savoldi, nel suo discorso in Montevideo alla “8th FIG
Regional Conference 2012”, ha trattato questo tema
partendo dalle parole chiave, che per i Professionisti
Geometri sono “Territorio e Ambiente”, mettendo in
evidenza che la categoria da anni si batte per l’istituzione
di un sistema di formazione permanente su questi temi.
Restando nel tema, il progetto “Palais Lumière Pierre
Cardin” si propone come esempio di ecosostenibilità in
senso compiuto, con il più basso impatto sulle risorse
ambientali e sul sistema circostante dei trasporti di
merci e persone ed anche “coprendo” un ampio spettro
di energie rinnovabili: geotermico, solare ed eolico, per
soddisfare interamente il fabbisogno termico ed elettrico
complessivo annuale, non trascurando la separazione e lo
smaltimento dei rifiuti.
Sostenibilità e responsabilità, sono gli elementi alla base
del progetto “Turismo equestre” nato nel 2009 nella
regione Emilia Romagna realizzando la mappatura, con
GPS, del sentiero fruibile a cavallo ed anche per obiettivi
quali una più ampia fruibilità e per individuare siti di
interesse culturale-naturalistico. Così come illustrato
nell’articolo di Cristina Castagnetti, Alessandro Capra,
Irene Bedostri, Tiziano Bedostri.
Sfogliando questo numero di GEOCENTRO non potrà
non incuriosirvi l’attività sul “monitoraggio dei vulcani
attivi”, utile anche al monitoraggio dei terremoti, che
si svolge 24 ore su 24 in tre sale operative dell’Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): Roma,
Napoli, Catania.
Quanto vi ho raccontato sin qui non è che una parziale
e succinta anticipazione di quello che troverete in questo
numero di GEOCENTRO con il mio augurio di buona
lettura.
7
INTERVENTI
“8th FIG Regional
Conference 2012”
Radisson Victoria
Plaza Hotel
Montevideo (Uruguay)
Intervento di Fausto Savoldi
Presidente del Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri
Laureati
Cari colleghi,
prima di tutto, vi ringrazio molto per l’invito
inaspettato qui al vostro congresso. Credo che
sia la prima volta che un Geometra italiano abbia
la possibilità di offrire un piccolo contributo alla
discussione sul futuro della nostra Professione in Sud
America. Spero di essere all’altezza di questo privilegio.
Dal momento che siamo tutti Professionisti non vale
la pena fare una lezione accademica sulla storia ed
i fondamenti della Topografia: sono certo che sulla
questione siate più aggiornati di me!
Preferisco introdurre un diverso tipo di prospettiva.
Premetto che in Italia il ruolo del Geometra è incentrato
su tre attività principali: Topografia (ovviamente!); estimo
e progettazione edilizia.
Non a caso tutte queste competenze rientrano in una
stessa Professione.
È ovvio che la realtà europea è totalmente differente da
quella sud-americana.
Tuttavia, proprio questo ci consente di determinare il
nostro ruolo in modo indipendente ed in risposta alle
esigenze della società in cui viviamo.
Cosa caratterizza realmente il Mondo di oggi? Un fenomeno
comunemente noto come “GLOBALIZZAZIONE”.
Al di là dei paroloni, se ne può dedurre che qualsiasi
8
problema in una singola regione del Pianeta ha
un’influenza sulla realtà di tutto il Globo terrestre.
Per noi Professionisti le parole-chiave sono solo due:
TERRITORIO e AMBIENTE.
Il nostro Territorio va conosciuto e misurato: è necessario
valutarne le risorse e le potenzialità sia ai fini del mercato,
sia ai fini del suo utilizzo.
È necessario pianificarne l’uso.
Stiamo parlando di eco-sostenibilità ed è qui che entrano
in gioco le competenze del Professionista.
In primo luogo: cosa si intende per “sostenibilità” o
“sviluppo sostenibile”?
Se ci si basa sulla definizione del “POLICY
FRAMEWORK FOR SUSTAINABLE REAL ESTATE
MARKETS”, pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2010:
“Sustainable development: development that meets the
needs of the present without compromising the ability of
future generations so to face their own needs”.
In parole povere, non si può semplicemente togliere
alla Terra le risorse che essa offre. Alla data del 22 di
Agosto 2012, le ricerche hanno stabilito che l’Umanità
ha consumato tutto ciò che la Terra poteva dare. Da
tale data in poi abbiamo solo sottratto risorse che non
saranno più disponibili per i nostri figli o i nostri nipoti.
Credo sia molto significativa una metafora che aiuta a
visualizzare la condizione dell’Uomo: un bambino nasce
con la sua pelle; deve essere subito vestito; entra in una
casa; assume una sua identità culturale; viene a far parte
della totalità del Mondo. Sono le “5 pelli dell’Uomo”.
Fuori c’è l’Universo.
È un modo per esprimere il fatto che, dato che l’Umanità
è necessariamente votata allo sviluppo, questo sviluppo
va collocato in contesti che costituiscono una sorta di
schema di cerchi concentrici.
Non è possibile limitarci a considerare il nostro Pianeta
un mero sfondo rispetto al primo piano della nostra
esistenza. Il Territorio non è solo uno sfondo: è ciò che
fa risaltare il ruolo stesso dell’Uomo. Non possiamo
consentire che i colori di questo sfondo si sbiadiscano.
Le sfide sono molteplici.
La prima è l’inesorabile crescita della popolazione
mondiale.
Sull’intero Pianeta nascono 230.000 bambini ogni
giorno (la popolazione dell’intera Germania!). Se oggi
siano 7 miliardi, in pochi anni diverremo 10 miliardi!
Come poter gestire la disponibilità, ad esempio, delle
risorse idriche per garantire la produzione alimentare
necessaria ad una popolazione in continua crescita?
La seconda sfida: il cambiamento climatico.
Si tratta di un fattore che, a lungo andare, è destinato ad
influire sulle condizioni di vita di tutti.
Stando alle previsioni, la progressiva desertificazione,
l’aumento dell’effetto serra, il riscaldamento globale,
il graduale scioglimento dei ghiacciai ai Poli ed il
conseguente innalzamento del livello degli Oceani e
dei Mari rendono prioritario considerare il ruolo dei
topografi al fine di migliorare questa situazione di crisi.
La Topografia non può essere vista solo come una
semplice rappresentazione del Territorio.
Essa è piuttosto un modo di raccogliere dati indispensabili
per una corretta pianificazione volta ad uno sviluppo
sostenibile dell’ambiente in cui viviamo.
Un’equa e corretta rappresentazione del Territorio
deve poter divenire uno strumento di monitoraggio e
valutazione dei cambiamenti geo-climatici e dei rischi
sismici ed idro-geologici. Uno strumento in grado di
consentire l’elaborazione di dati ed informazioni utili
a migliorare la condizione di vita di coloro che abitano
questo Pianeta.
Al giorno d’oggi non si può più affermare che la
Topografia è solo questione di raccogliere misurazioni e
determinare confini.
Essa costituisce invece la chiave per un reale sviluppo
politico ed economico in tutto il Mondo. Una cartografia
globale e, lo sottolineo, condivisibile universalmente
attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, ci porta
a sapere con esattezza dove siamo e dove andiamo; ci
porta a poterci incontrare; ci porta a poter far fronte alle
situazioni di emergenza in modo efficace.
In 5 parole: ci porta a poter “vivere”.
Se un tempo anche in Italia il ruolo del Topografo
si limitava al confronto dei documenti del Registro
Catastale, ora, dato che abbiamo a che fare con la necessità
di uno sviluppo globale, la rilevanza di rappresentazioni
topografiche condivise diventa essenziale.
Il progresso della tecnologia diviene lo strumento di una
corretta gestione del Territorio. Proprio per il fatto che il
Territorio è il contesto in cui le persone vivono, diventa
indispensabile la figura di un Professionista che si faccia
carico anche degli aspetti socio-culturali.
Da anni in Italia, la nostra Categoria si batte affinché
venga istituito un sistema di “formazione permanente”
per tutti i Professionisti.
Se è vero che il Geometra italiano “è di famiglia” e quindi
conosce a fondo la propria realtà umana ed ambientale,
è anche vero che non possiamo permetterci di ignorare
le nuove possibilità di confronto e di apertura (tra noi e
verso i clienti) che la tecnologia ci offre di continuo.
A questo proposito, vorrei presentarvi un’indagine che il
CNG/GL ha commissionato ad un team di esperti nel
2010.
Il progetto è stato denominato “Euclide 2020. I Geometri
del futuro”.
Si tratta di una previsione basata sulle risposte ad un
questionario specifico sottoposto ad un vasto campione
di Professionisti e su di una successiva analisi da parte di
un gruppo di esperti in vari settori.
Lo scopo era quello di determinare quale potrebbe essere
l’evoluzione del ruolo del Geometra in Italia nei prossimi
10 anni.
Prima di tutto si è voluto chiarire ciò che possiamo
definire il macro-scenario:
• evoluzione sociale;
• tendenze economiche;
• variazioni del contesto demografico, delle tipologie
urbanistiche e del rapporto con il Territorio;
• influenza delle politiche pubbliche;
• evoluzione dei vari Ordini professionali.
È risultato evidente come la nostra Professione abbia
bisogno di una profonda trasformazione.
La necessità crescente di specializzazione rende
indispensabile da un lato acquisire competenze sempre
più settoriali e finalizzate, dall’altro lato saper creare studi
associati che coinvolgano vari tipi di Professionisti.
È questa la sola chiave per un contributo efficace allo
sviluppo, dato che l’esasperata concentrazione su di un
solo settore non può che generare una visione limitata e
di scarso impatto nel quadro globale.
Questo vale soprattutto per la Topografia.
Voglio ribadirlo con forza ancora una volta.
Misurare non basta.
Si tratta di conoscere da vicino la realtà umana e culturale
del Territorio.
Si tratta di garantire la certezza dei diritti di proprietà.
Si tratta di far comprendere alle persone ed alle Istituzioni
l’importanza del nostro lavoro.
Si tratta di condividere con i colleghi dati ed informazioni.
Si tratta di avere una visione “satellitare” dei problemi del
Mondo intero.
Si tratta di essere in grado di innovarsi ed aggiornarsi
di continuo, sfruttando tutta la tecnologia a nostra
disposizione.
Sono queste LE sfide!
E sono convinto che il senso di questo incontro sia per
Voi prepararvi ad affrontarle.
Lo siento mucho: no hablo español. Pero estoy intentando!
Gracias por todo y buena suerte por esta vostra reunion.
Thank you very much and good work!!!
9
CIPAG/STRUMENTI
Il Building Manager:
una nuova
figura professionale
di Vincenzo Acunto
Managing Director GROMA
Il grande tema che attraversa oggi il settore delle costruzioni,
e con il quale tutti gli operatori si devono confrontare, è
quello della trasformazione delle città, invece che della sua
espansione.
La sfida che il mercato della manutenzione pone al mondo
delle costruzioni diventa quindi sempre più complessa:
il “manutenere” anziché il “costruire” si presenta come
un grande mercato, rappresentabile come una grande
piramide, in cui dal microintervento, quello promosso dalla
famiglia che si trova all’apice, si passa progressivamente alla
riqualificazione dell’esterno degli alloggi, cioè degli edifici,
e da qui alla riqualificazione di intere parti di città, fino a
coinvolgere porzioni sempre più elevate del costruito. In
altre parole:
• interventi di manutenzione ordinaria degli alloggi;
• sostituzione di componenti di prodotto edilizio;
• riqualificazione e ristrutturazione interna di interi
edifici;
• restauro e conservazione del patrimonio storico
artistico;
• recupero strutturale di edifici;
• manutenzione straordinaria ed ordinaria di patrimoni
pubblici e privati;
• riqualificazione di spazi pubblici;
• recupero e riqualificazione di aree dismesse;
• recupero di parti di città.
Trovandoci di fronte ad un mercato complesso, è
necessario quindi sviluppare nuove figure professionali per
essere in grado di poter sfruttare appieno tutte le possibili
opportunità che questo mercato è in grado di offrire.
Ricordiamo infatti che, nonostante la sua complessa
articolazione, due sono gli elementi che accomunano le più
diverse attività di manutenzione:
• non servono aree nuove, si lavora su qualcosa che già
esiste;
10
•
agli attori che vi operano sono richieste nuove capacità
come quelle di erogare non solo prodotti e lavoro, ma
anche progettualità, informazione e servizio).
In questo scenario di evidente “evoluzione” e “rivoluzione”
di concetti, specializzazioni e professionalità, ci si pone una
serie di interrogativi, costanti, assidui, che ricorrono con
frequenza tra gli addetti ai lavori:
• quanto è giusto spendere per la manutenzione
immobiliare?
• quali interventi potrebbero migliorare gli standard
qualitativi degli immobili?
• come e chi può misurare il grado di efficienza
energetica degli immobili?
• si possono anticipare – quindi risolvere – le problematiche
di chi vive in quegli immobili?
• si possono monitorare e controllare i costi degli
immobili ed individuare le aree di ottimizzazione?
Tutte queste domande e la premessa iniziale hanno
risposta in una nuova figura professionale. Una figura
tecnica, specialistica, con competenze specifiche nel settore
immobiliare ed in particolare in quello della gestione, una
figura distante dalla definizione classica di “Amministratore
di condominio” più legato a ripartire spese (già sostenute)
che a definire e gestire quella da sostenere; una figura che è
ormai nota con il nome di “Building Manager”.
Il Building Manager a differenza del classico Amministratore
di Condominio non si occupa di tutti quegli aspetti
connessi a procedure contabili e/o amministrative, legali o
della morosità, dei pagamenti o delle scadenze, o meglio,
se ne occupa, ma in maniera residuale, grazie anche
all’evoluzione dei sistemi informatici. La prevalenza delle
attività di questa figura “Tecnica” sarà orientata a gestire
con maggiore efficacia gli aspetti Tecnico-manutentivi
di un “bene” immobiliare. A prevenire costi attraverso la
programmazione manutentiva, ad analizzare le migliori
soluzioni tecniche per meglio godere le 4 pareti che tutti
noi abitiamo ogni giorno (casa, ufficio, negozio, ecc.).
La Rete di Building Manager di GROMA
Per GROMA (Società di proprietà della CIPAG – Cassa
Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi
Professionisti, presieduta da Fausto Amadasi) il BM è stata
una figura innovativa dalla fine degli anni ’90, quando
si avviò a formare giovani professionisti che avessero
dimestichezza con le nuove strumentazioni informatiche
(perché tutta l’attività è tracciata informaticamente),
sulla “cultura” della manutenzione e con propensione
commerciale (avendo a che fare con fornitori di servizi e
di beni). Lo sviluppo di doti di diplomazia e di “problem
solving”, completavano le doti da coltivare nella neonata
rete di BM di GROMA.
Purtroppo non esistevano e non esistono percorsi
universitari dedicati a questa figura, anche se si promuovono
Master e corsi “fai da te”. L’aggiornamento costante e la
formazione continua sono però requisiti necessari alla
qualificazione di un BM per la sua attività che raramente
ha momenti di staticità o di consuetudine.
GROMA dispone oggi di un’ampia rete di Building
Manager composta da 36 professionisti attivi sul territorio
nazionale pronta ad espandersi a seconda del patrimonio
da gestire.
Quando incominciammo a fare le prime selezioni ed i primi
corsi di formazione sull’argomento e sulla qualificazione di
questa nuova figura professionale, c’era nei primi Building
Manager una difficoltà in aula con molti risolini sulla
terminologia utilizzata e uno scetticismo nei confronti
del mestiere con atteggiamenti di superiorità, il senso di
perdita di tempo, soprattutto da parte di professionisti più
avanti con l’età e magari più esperti e già formati su altri
argomenti e con formazione consolidata.
Il BM GROMA è un elemento fondamentale nella
gestione strategica dei patrimoni immobiliari in gestione.
Spesso amiamo definirlo come una telecamera orientata
sull’immobile da gestire. Perché il BM GROMA è scelto
per monitorare l’edificio o il complesso immobiliare nel
posto in cui vive e lavora. È suo dovere quindi conoscere.
Dove conosce la realtà dello stato dei luoghi, magari il piano
regolatore aggiornato del Comune, i migliori fornitori
di fiducia, le caratteristiche dell’area, insomma, il BM
gestisce un immobile dove è nato e che vede mediamente
tutti i giorni.
Tra i suoi compiti, tra l’altro, il BM:
• intrattiene i rapporti con i singoli inquilini curando
l’esatto adempimento degli obblighi contrattuali
(anche con visite periodiche e sopralluoghi) segnalando
per iscritto alla Proprietà eventuali inadempienze;
• provvede, mediante continuo e scrupoloso controllo,
ai sensi di legge, a che gli immobili ed i relativi
impianti siano sempre conservati in buono stato di
manutenzione, fornendo ogni assistenza tecnica ed
amministrativa, sia per i lavori di ordinaria che di
straordinaria manutenzione;
• cura la perfetta efficienza dei servizi di vigilanza,
custodia e pulizia dei singoli immobili, controllando
l’esatto adempimento, da parte del personale addetto,
di tutti gli obblighi contrattuali. Inoltre, nei confronti
delle imprese di pulimento, verifica che siano rispettati
i requisiti richiesti dalla vigente normativa per
espletare il servizio medesimo: obblighi contributivi,
assicurativi, previdenziali previsti dal vigente contratto
collettivo nazionale di lavoro;
• reperisce preventivi in relazione ai lavori di
manutenzione da eseguire e ad eventuali trasformazioni
e miglioramenti che la Proprietà decidesse di far
apportare agli immobili, curando la sorveglianza e
l’esatta esecuzione delle opere ed avvalendosi, ove
necessario, dell’opera di tecnici di sua fiducia, ferma
restando la Sua personale responsabilità;
• notifica immediatamente qualsiasi fatto che rechi
turbativa alle proprietà o pregiudichi il godimento
degli immobili da parte degli inquilini, intervenendo
opportunamente;
• comunica tempestivamente, entro i termini previsti
per la pubblicazione, le varianti di Piano Regolatore
Generale, e l’adozione di strumenti attuativi dello
stesso, che interessino, anche solo di riflesso, le
proprietà immobiliari amministrative affidategli;
• segnala ogni notizia circa eventuali opere nelle
proprietà pubbliche e private contigue che possano
originare servitù, arrecare danni o produrre limitazioni
al diritto di proprietà dell’immobile affidatogli;
• pone in essere, tutto quanto necessario ed opportuno
ai fini della perfetta efficienza e del miglior rendimento
dell’immobile;
• cura, nel caso di condominio e supercondominio, i
rapporti con i condomini e rappresenta la Proprietà
– su apposita delega – nelle riunioni delle assemblee
condominiali.
• denuncia tempestivamente tutti i sinistri alla
compagnia assicuratrice, informando contestualmente
la Proprietà circa l’ammontare del danno presunto.
Concorda successivamente, con il perito incaricato
dalla Compagnia stessa, la liquidazione dei danni,
comunicando alla Groma l’importo dell’indennizzo
definitivo.
Ma in particolare, il BM si occupa di tutte quelle attività
necessarie a “mantenere” o a “riportare” un bene esistente
(un’entità) in uno stato in cui possa eseguire la funzione
richiesta. E quando questa ha carattere “prestazionale”,
suscettibile quindi di modificarsi nel tempo, devono
intendersi comprese nella manutenzione anche le attività di
“ammodernare” e “trasformare”. In una parola, occuparsi
della conservazione dello stato funzionale e prestazionale
di un complesso.
Questa esperienza oggi è riconosciuta anche a livello
Europeo attraverso la richiesta di BM formati da GROMA
per il mercato Tedesco delle Facility. È infatti in fase di
definizione una partnership con la holding Tedesca
“RGM” per la fornitura di strumenti informatici e figure
professionali quali BM appartenenti alla rete di GROMA.
11
PROGETTI
“Palais Lumière
Pierre Cardin”
di Alessandro Cariani
Il progetto “Palais Lumière Pierre Cardin” si propone
di dare un nuovo e originale impulso allo sviluppo
economico e culturale di Venezia, promuovendo la nascita
di un polo dell’economia creativa di grande interesse per
la città e per il Veneto.
Il progetto prevede:
• la realizzazione del Palais Lumière, un nuovo
complesso polifunzionale di visibilità internazionale,
caratterizzato da un edificio di grande altezza e di
grande originalità architettonica, progettato da Pierre
Cardin con avanzati criteri di eco-sostenibilità;
• il recupero e la riqualificazione urbanistica e
paesaggistica di un’ampia area intorno al Palais
Lumière per circa 16 ettari, mediante la dismissione
degli edifici presenti in stato di degrado, la bonifica
dei suoli e delle acque inquinati dalle precedenti
attività industriali e la creazione di un grande parco
che metta in comunicazione Mestre e Marghera;
• la riorganizzazione della viabilità stradale circostante,
tramviaria e ferroviaria merci, con particolare
riguardo al traffico in ingresso e in uscita dalla zona
portuale.
12
Lo studio di fattibilità del progetto “Palais Lumière
Pierre Cardin” è stato trasmesso alla Regione del Veneto
(cfr. Protocollo Regionale n. 669579 del 24.12.2010) e
alla Direzione Urbanistica e Paesaggio (cfr. Protocollo
di Giunta n. 72148 del 14.02.2012) con istanza di
attivazione di un Accordo di Programma ai sensi dell’art.
32 della L.R. n. 35 del 29.11.2001.
Con DGR n. 417 del 20.03.2012 la Giunta Regionale
del Veneto ha dato avvio al procedimento relativo
all’Accordo di Programma tra Comune di Venezia
e Regione del Veneto per realizzazione del progetto
“Palais Lumière Pierre Cardin” descritto nel sopracitato
studio di fattibilità, dando atto che è stata verificata la
sussistenza dell’interesse regionale, così come espresso
nella Valutazione Tecnica Regionale n. 17 del 07.03.2012,
che recepisce e fa proprie le considerazioni e conclusioni
del Parere del Comitato previsto dall’art. 27 della L.R.
11/2004. La Giunta Regionale ha delegato il Dirigente
Regionale della Direzione Urbanistica e Paesaggio alla
sottoscrizione del sopracitato Accordo.
Il presente progetto preliminare fornisce la base tecnica
per la sottoscrizione dell’Accordo di Programma.
1. Palais Lumiére
2. Bolle Pierre Cardin
3. Piscina coperta
4. Silos parcheggio autoveicoli
5. Fermata linea tramviaria
6. Piazza-giardino sopraelevata
7. Piazza pedonale lastricata
8. Viabilità di progetto
9. Edificio esistente a servizio della darsena
Ubicazione del Palais Lumière
e area oggetto di recupero
urbanistico
Linea tramviaria di progetto
Percorso ciclopedonale di progetto
Descrizione degli interventi di progetto
L’elemento qualificante del progetto è il Palais Lumière
(Palazzo della Luce), un edificio di grande altezza e di
grande originalità architettonica, progettato da Pierre
Cardin con avanzati criteri di ecosostenibilità.
Il Palais Lumière è stato ideato per ospitare non solo un
Ateneo Internazionale della Moda sostenuto dallo stesso
Pierre Cardin, ma anche residenze, alberghi e ristoranti,
attività direzionali, commerciali, servizi, centri di
eccellenza e delle arti, poli di ricerca applicata, un centro
congressi e centri di istruzione superiore, per un totale di
circa 230.000 mq.
Ubicazione
Il Palais Lumière s’inserisce in un’area di Porto Marghera
di circa 16 ettari, con destinazione urbanistica direzionale/
commerciale, adiacente agli abitati di Mestre e Marghera.
Tale area confina a est con via del Commercio, a nord con
via della Libertà e la stazione Ferroviaria di Mestre, a ovest
con via dell’Elettricità e a sud con via delle Macchine e la
darsena del Canale Industriale Ovest.
Le coordinate dell’asse del Palais Lumière sono: latitudine:
N 45° 28’ 33”, longitudine: E 12° 14’ 15”
Come illustrato più avanti, gli interventi previsti
di sistemazione della viabilità stradale, ferroviaria e
tramviaria allargano l’area interessata dalle opere di
progetto a ovest fino a Piazzale Giovannacci, a sud
lungo via dell’Elettricità fino alla Strada Regionale 11
(via Padana) e a nord-est lungo via Torino fino a Forte
Marghera.
L’area di Porto Marghera è fra le aree più qualificate
per ospitare quest’opera, per la sua natura stessa, per
le sue dimensioni, per le funzioni di innovazione e
riqualificazione del territorio che si propone di svolgere.
Il Palais Lumière si propone, infatti, come esempio
di ecosostenibilità in senso compiuto: quindi sarebbe
improprio ubicarlo in un’area agricola da urbanizzare,
ma si deve preferire un’area da riqualificare e recuperare.
È una costruzione verticale, che distribuisce gli spazi in
altezza per favorire la massima estensione del verde al
suolo. Deve essere costruito e mantenuto con il più basso
impatto sulle risorse ambientali e deve prevenire l’impatto
sul sistema circostante dei trasporti di merci e persone.
Per la sua forma simbolica il Palais Lumière si propone
come elemento di raccordo/discontinuità fra terra e
acqua. L’area e le costruzioni accessorie che lo accolgono
si propongono come elemento di passaggio fra
l’urbanizzazione di Mestre e Marghera e le costruzioni
dell’area industriale e portuale.
L’area del Palais Lumière:
• si affaccia su un canale di Porto Marghera, il Canale
Ovest, garantendo il contatto diretto con la laguna
e rendendo possibile il collegamento acqueo con
Venezia insulare;
• è adiacente ai centri abitati di Mestre e di
Marghera (e quindi assicura la reciproca
13
ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
valorizzazione) e alla stazione di Mestre (e quindi è
un’area facilmente accessibile e fruibile, di immediata
urbanizzazione, rapidamente collegabile con Venezia
tramite i trasporti locali);
comprende estese aree da riqualificare ed è solo
parzialmente occupata da attività produttive e
commerciali in esercizio. Tali attività esistenti
in parte vengono lasciate a margine del piano di
riqualificazione al fine di ridurre le interferenze con
esse; le restanti possono trovare ricollocazione in aree
adiacenti.
L’area è situata in una posizione strategica di collegamento
tra le aree residenziali di Marghera e Mestre e l’area
produttiva di Marghera, tutte parti del territorio,
storicamente consolidate, in cui la morfologia e la
tipologia insediativa presentano caratteristiche peculiari
tali da rappresentare nell’insieme un valore storicotestimoniale da preservare e valorizzare.
In particolare ad ovest dell’area sorge il quartiere urbano
storico di Marghera, che divenne operativo dagli anni
‘20/‘30 con la realizzazione di un progetto urbanistico
(1922) chiamato “Città Giardino”. Nel corso dei decenni
tale quartiere si è sviluppato allontanandosi dall’idea
iniziale di progetto di area residenziale dotata di giardini
Archivio Ente Zona Industriale:
“Panoramica da Mestre della zona
industriale e delle barene”. 196; nel cerchio
a destra è indicata l’area in cui sorgerà il
Palais Lumière
14
ed orti ed oggi sta cercando di evolvere da periferia di
Venezia e Mestre a realtà con una fisionomia propria.
L’ubicazione in prossimità di tale area del Palais Lumière e
del parco di pertinenza fornirebbe un forte ed immediato
impulso al recupero dell’ambiente urbano del quartiere.
Al confine nord si trova il tracciato ferroviario della
linea Venezia-Milano e la Strada Regionale 11 (via della
Libertà), importanti arterie di collegamento tra Venezia e
l’entroterra veneto, a nord delle quali si sviluppa l’abitato
di Mestre.
Poco distante, oltre la stazione ferroviaria, trovano luogo
alcuni importanti interventi di valorizzazione urbana e
architettonica dell’entroterra veneziano, fra cui il nuovo
campus universitario dell’Università Ca’ Foscari in fase
di realizzazione lungo via Torino e, proseguendo verso
est, il Forte Marghera, per il quale è previsto un recupero
architettonico, e quindi il parco S. Giuliano.
L’ubicazione in quest’area del Palais Lumière presenta
una forte valenza di ricucitura del tessuto urbano di
Mestre e Marghera grazie agli interventi di progetto di
riorganizzazione del sistema viario e di realizzazione di
una grande copertura verde al di sopra dello snodo viario,
che consente di mettere in comunicazione i quartieri a
sud della ferrovia con quelli in fase di riqualificazione a
nord.
Il quartiere urbano di Marghera denominato
“Città Giardino”, ad ovest dell’area del Palais
Lumière
Per la localizzazione, nonché per le funzioni di cui
verrà dotato, il Palais Lumière costituisce poi elemento
di congiunzione tra l’ambito residenziale e quello
produttivo-direzionale. Non si dimentichi infatti che
immediatamente ad est del Palais sorgono le attività legate
alla cantieristica navale (Fincantieri) e il polo direzionale
del Vega Park in fase di espansione.
L’area interessata dagli interventi di riqualificazione
urbana previsti è oggi in larga parte dismessa e solo
parzialmente occupata da attività commerciali che
interessano in particolare il settore della logistica
(spedizioni, trasporti); non sono invece presenti nell’area
attività primarie industriali e di produzione.
Dal punto di vista della destinazione d’uso la Variante al
PRG per la Terraferma classifica la zona di categoria D2,
cioè adibita a “Zona commerciale, direzionale, ricettiva
e per l’artigianato di servizio”. In particolare rientra
nelle zone D2.a, che, con riferimento all’art. 29 della
Variante al PRG per Porto Marghera, consente le seguenti
destinazioni d’uso (punto 2, art. 14): “destinazioni
terziarie”:
• commerciale (attività di vendita all’ingrosso ed al
minuto nonché di somministrazione di alimenti e
bevande);
• direzionale (attività di produzione di servizi;
attività bancarie, finanziarie ed assicurative, attività
professionali);
•
•
•
•
per deposito merci al servizio di attività insediate
altrove;
ricettiva alberghiera;
ricettiva annessa alle attività produttive (foresteria);
artigianale di servizio.
La porzione più settentrionale dell’area è invece classificata
come RTS-2m, cioè zona mista residenza terziarioservizi; rientra dunque fra le aree per le quali è prevista
una utilizzazione sia per attività direzionali, commerciali
e ricettive sia per residenza. Tale area si estende anche
a nord, oltre la stazione ferroviaria di Mestre. Vi è poi
un’area classificata come SP, cioè rientrante fra le aree
per servizi alle attività produttive (parcheggi, verde ed
attrezzature di uso collettivo) ed un’area destinata a
parcheggio multipiano (PM), già realizzato.
Le destinazioni d’uso previste dal presente progetto
risultano dunque coerenti con le previsioni del PRG. Si
ritiene che in questa ubicazione il Palais possa diventare
un simbolo della rinascita del sistema culturale,
economico produttivo di Marghera, senza penalizzare e
interferire con le aree destinate alle attività industriali e
portuali esistenti, ma anzi valorizzando le iniziative di
sviluppo industriale e portuale in corso, che interessano
principalmente l’isola portuale, a sud-est dell’area di
intervento, e la cosiddetta penisola del Petrolchimico, a
sud.
15
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Estratto della Variante al PRG
per Porto Marghera/Terraferma
con ubicazione del Palais Lumière
titolo II - NORME DI ZONA - capo II
Le zone terziarie: zone territoriali omogenee D2
Articolo 29
La Zona commerciale, direzionale, ricettive e per l'artigianato di servizio di completamento (D2.a)
ha, quali destinazioni principali, quelle di cui al punto 2 del precedente art.14 (dovendo però la Sp,
avente la destinazione di cui al punto 2.1, essere contenuta nel 15% 22 di quella complessiva); quali
destinazioni compatibili, quelle di cui ai punti 1.1, 1.7, 3.2 e 4 del ricordato art.14. Gli insediamenti
aventi destinazione ricettiva alberghiera sono consentiti solo se abbiano una consistenza
complessiva, per ciascuno strumento urbanistico attuativo, non superiore all'8% dell'intera Sp e se
la Sp di ciascuna unità non sia inferiore ai 5.000 mq.
Estratto N.T.A. della Variante al
PRG per Porto Marghera (Art.29)
Nelle parti di detta zona soggette a strumento urbanistico attuativo obbligatorio, prima
dell'approvazione di detto strumento sono consentiti esclusivamente gli interventi di manutenzione
e di risanamento conservativo, senza possibilità di variare le destinazioni d'uso esistenti alla data
di adozione della variante per Porto Marghera. Gli strumenti urbanistici attuativi debbono rispettare
gli indici, la dotazione di standard e le prescrizioni di cui alla tabella allegata sub A alle presenti
norme; l'altezza massima non può eccedere i 18 m, salvo che si tratti di edifici con tipologia a torre
o lamellare, per i quali è consentita un'altezza massima di 30 m.
Nelle parti di detta zona non soggette a strumento urbanistico attuativo obbligatorio, gli interventi
edilizi possono comportare l'aumento della Sp sino ad un massimo del 25% di quella esistente alla
data di adozione della variante del PRG per Porto Marghera solo ove siano mantenute integralmente
le destinazioni di cui ai punti 1.1, 1.4, 1.5 e 1.7 del precedente art.14 esistenti alla data suddetta.
In caso di demolizione con successiva ricostruzione, ove quest'ultima non sia fedele riproduzione
dell'edificio o del manufatto preesistente, e/o in caso di ampliamento, vanno rispettati i seguenti
indici: Dc= 0 m o 5 m; Dz= 5 m; Df= 10 m; Ds= 10 m. Gli interventi di ristrutturazione edilizia od
urbanistica volti a consentire l'insediamento delle destinazioni principali di zona debbono essere
disciplinati da strumento urbanistico attuativo, nel rispetto dei seguenti indici: Ut= 1 mq/mq; Ds=
10 m (15 m rispetto a via F.lli Bandiera); Dc= 0 m o 5 m; Df= 10m; Hmax= 18 m (30 m in caso di
edifici con tipologia a torre o lamellare); standard primario non inferiore ai 4/10 della Sp; standard
secondario non inferiore ai 2/10 della Sp; lo standard eccedente detta soglia può essere -in sede
convenzionale- monetizzato, secondo quanto previsto dall'ultimo comma del precedente art.17.
22) Modifica introdotta per accoglimento dell'osservazione n.12 ed emendamento n. 5
16
Estratto della Variante al PRG per Porto Marghera: limite di
intervento e identificazione delle aree non soggette a Piano
Attuativo
Estratto N.T.A. della Variante al PRG per Porto Marghera
(Tabella sub A allegata agli Art. 29-30)
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Il P.A.T. e il P.U.A.
Il Comune di Venezia ha redatto il Piano di Assetto del
Territorio in copianificazione con la Regione del Veneto
e con la Provincia di Venezia, l’ha approvato in Consiglio
Comunale e ha avviato la procedura delle osservazioni.
L’area di progetto rientra tra le aree di “riqualificazione
e/o riconversione” (Art.29) dove sono ammessi interventi
volti al recupero e alla valorizzazione dei siti che
presentano carattere di degrado da attuarsi mediante Piani
Urbanistici Attuativi confermando pertanto gli indirizzi
di pianificazione dell’attuale P.R.G., secondo il quale
essa è inclusa tra le aree classificate D, “Zona territoriale
omogenea terziaria”, che comprende le destinazioni d’uso
commerciale, direzionale, ricettiva e per l’artigianato di
servizio e di completamento (D2a) e di espansione (D2b)
e suddivide l’area in diversi piani di recupero urbano di
iniziativa privata e di iniziativa pubblica.
La proposta di Accordo di Programma riguarda la
realizzazione di un grande complesso polifunzionale
d’interesse regionale quale polo di “economia creativa”
all’interno del quale si svolgeranno attività di operatori
provenienti da tutto il mondo secondo schemi d’uso già
in essere in edifici simili realizzati in altre capitali.
Pertanto le destinazioni d’uso ammesse dal P.U.A.
saranno quelle presenti nella città consolidata (Zone B)
piuttosto che quelle riferite alle sole zone produttive e così
i limiti inderogabili di densità fondiaria saranno quelli
indicati dalla legge nazionale per comuni superiori ai
duecentomila abitanti.
Data la rilevanza dell’intervento, la dotazione degli
standard urbanistici sarà maggiore di quanto prevede la
norma e il costo delle numerose quanto rilevanti opere
pubbliche o di uso pubblico sarà superiore agli oneri
di urbanizzazione dovuti per legge: l’intero costo delle
opere sarà sopportato dalla società Concept Crèatif Pierre
cardin committente dell’opera.
Estratto catastale e perimetro PUA legato all’intervento
del Palais Lumière
18
Il Parco e la Piazza aerea
La sistemazione esterna del Palais Lumière ha lo
scopo non solo di creare armonia visiva ed estetica
nel paesaggio, ma anche di restituire ai cittadini un
grande polmone verde limitrofo al quartiere urbano
di Marghera, che si collega, grazie alla copertura verde
che sovrappassa la ferrovia, con le aree residenziali di
Mestre. Il parco del Palais offre agli abitanti nuove
possibilità di vivere la propria città, riveste una funzione
sociale e toglie dal degrado urbano aree attualmente
molto critiche.
Il parco, che copre circa 10 ettari, parte a sud dallo
specchio acqueo del Canale Ovest e va salendo di quota
verso nord, creando un anfiteatro erboso attorno al
Palais. La quota massima è raggiunta in corrispondenza
dell’asse stradale e ferroviario Mestre-Venezia. Da
qui la Piazza aerea si divide in due rami che vanno
ad abbracciare Mestre, da una parte verso la stazione
ferroviaria, dall’altra verso via Torino, assicurando
così un collegamento pedonale, ciclabile e tramviario
circondato di verde e lontano dal traffico.
Impianti ecosostenibili per il fabbisogno energetico
Il Palais Lumière è stato progettato con l’obiettivo di
adottare i più avanzati criteri di ecosostenibilità e proporre
idee innovative. Per questo motivo copre un ampio spettro
di energie rinnovabili (geotermico, solare ed eolico), gestisce
con efficienza la separazione e lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani, e si fa promotore della mobilità sostenibile.
L’impianto di climatizzazione geotermico a bassa ed alta
entalpia è stato dimensionato per coprire interamente il
fabbisogno termico complessivo annuale del Palais Lumière.
Gli impianti di produzione di energia elettrica da
fonti rinnovabili, cioè quelli solare ed eolico, sono stati
dimensionati per coprire interamente il fabbisogno termico ed
elettrico complessivo annuale del Palais Lumière.
Il Palais Lumière adotta un avanzato sistema di gestione
dei rifiuti solidi urbani basato su una rete pneumatica di
raccolta differenziata ad ogni piano e un compattatore nei
locali tecnici alla base dell’edificio. Oltre agli innegabili
vantaggi economici e gestionali, dal punto di vista
ambientale il sistema progettato permette un risparmio in
CO2 emessa stimabile in circa 700 ton/anno.
Sezioni longitudinale sud-nord e
trasversale ovest-est del parco e della
piazza aerea del Palais Lumière
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
CTR, viabilità di progetto e perimetro PUA legato all’intervento
del Palais Lumière
Gli edifici satellite (bolle)
La proposta di un “campus” destinato a studenti,
ricercatori e visitatori, ma non solo, nasce dall’esigenza
di soddisfare anche in Veneto la crescente richiesta di
scambio culturale formativo giovanile internazionale.
Ciò tenendo conto della vicinanza con il nuovo polo
universitario in costruzione nella vicina via Torino.
L’area di Marghera, grazie al sistema di collegamento
20
veloce proposto all’interno dell’iniziativa e alla vicinanza
con aree ricreative e sportive, appare un sito ideale per
queste residenze temporanee destinate a persone di varie
nazionalità che vedono il “polo dell’economia creativa”
intorno al Palais come occasione di crescita culturale,
professionale, artistica. Gli edifici satellite (anche
denominati “bolle”) dislocati in alcuni punti del parco
verde vogliono accogliere questa esigenza.
La piscina coperta
L’edificio polifunzionale che ospita la piscina coperta
trova spazio nell’anfiteatro verde a est del Palais Lumière.
Le tribune ospitano 2.500 persone. La parete vetrata si
affaccia al parco e allo specchio acqueo del Canale Ovest.
Ubicazione dell’edificio polifunzionale con piscina coperta
Rendering degli edifici satellite nelle tre tipologie previste
(singolo, doppio, triplo)
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Rendering dell’edificio polifunzionale con piscina coperta
I parcheggi coperti esterni al Palais Lumière
Oltre ai due piani di parcheggi coperti ricavati sotto il
basamento del Palais Lumière, è previsto lo sfruttamento
dello spazio sottostante la Piazza aerea come parcheggi
multipiano coperti. L’acceso ai parcheggi avverrà verso
sud (2 piani fuori terra - 1.400 posti auto) e verso nord (3
piani fuori terra - 720 posti auto) dall’attuale sedime di
via della Pila.
I parcheggi saranno in diretta comunicazione con la
piazza/parco soprastante, con le strutture del Palais, con
le due fermate del tram e con i percorsi ciclo-pedonali che
mettono in comunicazione Mestre, Marghera e Venezia
ed in gran parte asserviti a sistemi di ricarica per vetture
elettriche dalle fonti rinnovabili installate sul Palais.
Ubicazione dei parcheggi coperti esterni al Palais Lumière
22
Rendering dei parcheggi coperti esterni al Palais Lumière
Il riordino della viabilità stradale, ferroviaria e tramviaria
Assieme alla realizzazione del complesso del Palais
Lumière è prevista la riorganizzazione della viabilità
circostante stradale, tramviaria e ferroviaria merci, con
particolare riguardo al traffico in ingresso e in uscita dalla
zona portuale, nonché la connessione alla stazione della
linea ferroviaria Mestre-Venezia e il prolungamento del
sistema di trasporto metropolitano di accesso al Palais
Lumière.
Riorganizzazione dei collegamenti stradali e ferroviari/
tramviari tra Mestre e Marghera
La proposta di riorganizzazione della viabilità e delle
linee tramviarie/ferroviarie è stata elaborata secondo tre
principi ispiratori:
1. Garantire un’accessibilità diretta ed agevole all’area
interessata dal Piano di Riqualificazione con
qualunque sistema di trasporto (Stazione Ferroviaria,
Aeroporto mediante la futura linea AV/AC,
Autostrada A4 e Tangenziale mediante il raccordo
veloce esistente, agglomerati urbani di Mestre e
Marghera, Siti Universitari nell’entroterra in fase di
costruzione, Centri Direzionali come il Vega Park
in fase di espansione e la stessa Città di Venezia
“Capitale della Cultura” attraverso le linee tranviarie,
ferroviarie e la viabilità locale);
2. Migliorare l’accessibilità ai centri direzionali e
commerciali dell’entroterra veneziano differenziando
il traffico leggero/urbano da quello pesante/
commerciale mediante la riqualificazione delle
seguenti direttrici di trasporto:
• riordino della viabilità urbana a ridosso dell’area del
complesso Palais Lumière lungo via della Libertà
• adeguamento funzionale di via dell’Elettricità
per il traffico commerciale con riordino della rete
viabilistica e ferroviaria
• nuova linea tramviaria di collegamento tra la linea
2 di Marghera e la Variante di via Torino-Vega Park
3. Ripristinare un’ideale continuità anche a livello
infrastrutturale tra i centri abitati di Mestre e di
Marghera, prevedendo la continuità delle direttrici
viabilistiche storiche C.so del Popolo-via F.lli
Bandiera-via Paolucci.
Alla ricucitura del “tessuto urbano” contribuisce
anche il prolungamento della linea tranviaria che di
fatto si propone, con il proprio anello di tracciato, di
riprendere ed inglobare all’interno del centro di
Mestre tale porzione dell’abitato di Marghera.
Ad integrazione della linea tranviaria viene prevista
anche una nuova rete di collegamenti ciclo-pedonali,
che attraverso la “piazza” sopraelevata al di sopra
del nodo viabilistico di via della Libertà e del parco
23
ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
ferroviario di Mestre, permettono la continuità delle
utenze “deboli” provenienti dalle direttrici principali
di Marghera quali via Rizzardi, via Durando e F.lli
Bandiera e quelle di Mestre, identificate in via Cà
Marcello e via Torino fino a Forte Marghera.
Compatibilmente con gli spazi esistenti, con i
vincoli plano-altimetrici stradali imprescindibili,
con la necessità di mantenimento di una adeguata
accessibilità a livello locale e con il rispetto delle
previsioni urbanistiche, si è impostata una viabilità
che disponga delle massime larghezze per le nuove
sezioni stradali previste.
Riordino della viabilità stradale, ferroviaria merci e tramviaria
(inquadramento sua via dell’Elettricità – tratto nord)
Recupero ambientale delle aree di intervento
A Porto Marghera grandi quantità di rifiuti industriali
misti a sedimenti di dragaggio sono stati abbancati in
passato con lo scopo di recuperare suolo dalla laguna e
destinarlo all’espansione industriale.
A questo inquinamento dei suoli si somma quello
derivante dalle attività industriali pregresse, che affligge
soprattutto le falde sotterranee.
Per bonificare terreni e falde gli operatori possono oggi
disporre di più sistemi integrati:
• Progetto Integrato Fusina (PIF): piattaforma di
24
trattamento delle acque civili, di falda e industriali;
• Vallone Moranzani: piattaforma polifunzionale di
trattamento, conferimento finale in discarica per
rifiuti non pericolosi e pericolosi resi stabili e non
reattivi;
• Impianti ALLES: piattaforma per il trattamento di
rifiuti anche pericolosi;
• Forno SG31: forno a letto fluido per il trattamento
termico di rifiuti.
Anche in questo caso tutte le opere di bonifica delle aree
saranno a carico della committenza.
Riordino della viabilità stradale, ferroviaria
merci e tramviaria (inquadramento sull’area
del Palais Lumière)
Costi, tempi e benefici
La realizzazione del Palais Lumière comporta una serie
articolata di investimenti rilevanti, per un totale stimato
dell’ordine di 1,4 miliardi di euro (importo previsto
per le opere principali, per quelle compensative e per
l’acquisizione delle aree, al netto dell’IVA).
Le opere saranno completamente finanziate dal
promotore Pierre Cardin tramite la società Concept
Crèatif Pierre cardin S.p.A..
Si prevede una durata complessiva dei lavori pari a 4
anni (da gennaio 2013 a dicembre 2016). L’utilizzazione
parziale dell’opera può essere programmata già da fine
2015.
L’iniziativa si qualifica come un importante strumento
di rilancio e rivitalizzazione dell’economia locale, tenuto
conto anche dell’attuale situazione di criticità dal punto
di vista economico/occupazionale dell’area.
La realizzazione dell’opera coinvolge i settori
dell’industria, delle imprese di costruzioni e dei servizi.
Gli interventi di progetto comportano un forte impulso
per l’occupazione veneta e veneziana in particolare: fin
dal 2013 nei settori delle costruzioni e della produzione
di beni ad alto contenuto tecnologico, e a partire dal
2016 nei settori dei servizi e dell’economia creativa.
Si prevede che l’intervento coinvolga a regime (dopo il
2016) un numero complessivo di circa 7.800 addetti, tra
occupazione diretta e indiretta nell’ambito del Palais e
delle strutture collegate.
Alessandro Cariani
Laureato in Ingegneria aerospaziale presso il Politecnico di Milano, si occupa inizialmente di termofluidodinamica sperimentale
e computazionale nel settore impiantistico civile e industriale ad alta tecnologia, collaborando con il Dipartimento di
Ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano.
A partire dal 1997 si occupa di ricerca e sviluppo nel settore energetico con particolare attenzione all’ambito della progettazione
di sistemi di scambiatori di calore ad alta efficienza integrati a sistemi in geotermia avanzata, di progettazione di impiantistica
industriale “ZeroEmission” e di sistemi di desalinizzazione e potabilizzazione non osmotica per grandi impianti industriali
e residenziali.
Dal 2008, grazie ad accordi di collaborazione tecnologica fra la società Modutech S.r.l. e la Maison Cardin, collabora
direttamente con Pierre Cardin allo sviluppo di sistemi a impatto energetico zero di design integrati in recuperi di strutture
architettoniche o ad integrazioni energetiche “ghost” in nuovi progetti quali il Palais Lumière.
25
GEOMATICA
Mappatura GPS
delle ippovie
e individuazione
siti di interesse
culturale
Un WebGIS
per il turismo
equestre
di Cristina Castagnetti, Alessandro Capra
DIEF, Università di Modena e Reggio Emilia
Il progetto “Turismo equestre” nasce nel 2009 e si
pone l’obiettivo di potenziare un settore di nicchia,
quello dell’equiturismo, in continuo ampliamento e
caratterizzato da aspetti fondamentali per gli Enti di
gestione del territorio, ovvero sostenibilità e responsabilità,
aumentando, inoltre, le opportunità di sviluppo
lavorative del Tecnico di equitazione di campagna, figura
professionale licenziata dalla Federazione Italiana Sport
Equestri (FISE).
Questo progetto, che pone al centro dei suoi obiettivi
l’utente finale, è stato avviato nell’ottica di un turismo
equestre sostenibile, ecocompatibile, responsabile ed
accessibile Tra i principali attori, il Comitato EmiliaRomagna della Federazione FISE, i Tecnici di equitazione
di campagna e il Laboratorio di Geomatica dell’Università
di Modena e Reggio Emilia.
Il presente articolo illustra le prime fasi sperimentali
del progetto e la progettazione delle attività da svolgere
nell’imminente futuro, tra cui la tabellazione dei percorsi
“test” e la pubblicazione del prototipo di piattaforma
26
online. Non mancherà una discussione sulle principali
problematiche giuridiche connesse alla divulgazione e
fruizione di un simile progetto.
Obiettivi del progetto
Le finalità del progetto riguardano primariamente i
seguenti aspetti:
• mappatura mediante strumentazione GPS (Global
Positioning System) della sentieristica realmente fruita
e transitabile a cavallo nella regione Emilia-Romagna;
• individuazione dei siti di particolare interesse
naturalistico e/o culturale;
• creazione di un database dei percorsi facilmente
aggiornabile;
• progettazione di un WebGIS (Web Geographic
Information System) al servizio dell’utente finale dal
quale sia possibile scegliere i percorsi in base al grado
di difficoltà, oltre a poter scaricare le traiettorie e
tutte le informazioni correlate al singolo tragitto.
Ambizione della sperimentazione iniziale è anche la
photo©shutterstock.com/Mark Kuipers
Irene Bedostri, Tiziano Bedostri
FISE, Federazione Italiana Sport Equestri - Comitato
Emilia-Romagna
definizione di una metodologia standardizzata per la
mappatura di nuovi percorsi da parte dei tecnici della
Federazione FISE che si dovranno occupare in futuro
di ampliare il database creato in questa prima fase
sperimentale. A questo scopo sono stati tracciati una serie
di percorsi “test” utilizzando contemporaneamente un
ricevitore tipo Garmin e un ricevitore geodetico a doppia
frequenza al fine di valutare l’affidabilità della traiettoria
fornita dal Garmin nelle situazioni più difficoltose.
Proprio quest’ultimo aspetto ha reso fondamentale la
sperimentazione per confrontare le soluzioni di diverse
tipologie di ricevitori e per definire una metodologia
standardizzata per la mappatura dei percorsi e
l’aggiornamento del database. I rilievi sono stati eseguiti
in modalità cinematica con due ricevitori a confronto:
un Garmin con soluzione basata su correzioni EGNOS e
un Leica 1200 che costituisce la soluzione di riferimento
ottenuta in post-elaborazione. (Figura 2)
Mappatura GPS
La prima fase della sperimentazione si è concentrata sullo
studio e sulla sperimentazione della modalità più idonea
per l’esecuzione dei rilievi in funzione delle esigenze di
accuratezza per le traiettorie e i percorsi da inserire nel
database e fondamentali per la costruzione del WebGIS.
A tal scopo è stato scelto un percorso “test” per valutare
l’affidabilità del ricevitore Garmin fornito in dotazione
ai tecnici FISE per la costruzione/l’aggiornamento del
database. L’obiettivo di precisione finale per queste
applicazioni è di qualche metro (indicativamente al
massimo 2 m).
I rilievi “test” sono stati eseguiti a cavallo, come mostrato
in Figura 1, nel mese di dicembre al fine di minimizzare
la copertura fogliare. Queste particolari condizioni
operative presentano certamente alcune difficoltà come
ad esempio la visibilità satellitare ridotta per la presenza
di montagne e soprattutto la difficoltà nella stima di
altezza dell’antenna a causa del movimento ondulatorio e
sussultorio del cavallo.
Figura 2. I ricevitori utilizzati nella sperimentazione iniziale:
Garmin GPSMAP 60CSx e Leica GX1230 con antenna AX1202
Figura 1. Esecuzione dei rilievi da parte dei tecnici FISE.
L’ing. Irene Bedostri durante l’esecuzione dei test atti a valutare la
qualità dei ricevitori Garmin rispetto a un ricevitore
in doppia frequenza
Il calcolo di post-elaborazione della traiettoria di
riferimento è stato eseguito mediante il software GrafNav
rivelatosi, rispetto ai più comuni software commerciali,
in grado di fissare l’ambiguità anche in situazioni
particolarmente difficoltose.
Dal confronto delle soluzioni ottenute mediante le due
tipologie di ricevitori (visualizzate in Figura 3) si evince
che la traiettoria fornita dal Garmin è rimasta entro i 2
m da quella di riferimento nella maggior parte dei casi.
Si evidenziano differenze anche di 5,6 metri riscontrate
nelle situazioni più disagevoli. In quei casi però anche la
soluzione di riferimento non può essere considerata tale a
causa del mancato fissaggio dell’ambiguità.
Individuazione dei siti di interesse culturale/naturalistico
Altra finalità molto importante del progetto è
l’individuazione di siti di interesse culturale, intendendo
questo termine nella sua più vasta accezione. Si intende
censire, infatti, i siti di interesse storico, artistico e
naturalistico/geologico perché sia il paesaggio sia la storia
sono ritenuti dai fautori del progetto, come punti chiave
per un turismo sostenibile ed ecocompatibile.
Si riportano in Figura 4 alcuni esempi di siti di interesse
nell’Appennino modenese, zona in cui è stata avviata
questa sperimentazione. Altro aspetto estremamente
interessante è la riscoperta delle antiche vie di transito, le
cosiddette ippovie storiche.
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Legenda
percorso rilevato con ricevitore commerciale
percorso rilevato con ricevitore geodetico
idrografia principale
formazioni boschive a prevalenza latifoglie
abitati
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Figura 3. I due ricevitori a confronto: in giallo la traiettoria
fornita dal ricevitore commerciale Garmin. In rosso il percorso di
riferimento fornito dal ricevitore geodetico in doppia frequenza.
Nelle zone a maggior copertura fogliare è presente la sola soluzione
Garmin; nessuna soluzione di riferimento è presente in quei tratti
Figura 4. Alcuni esempi di siti di interesse culturale
nell’Appennino modenese, la Torre di Montecenere e il Ponte
d’Ercole. Un esempio di monografia del sito di interesse
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Il WebGIS per il turismo equestre
L’obiettivo principe del progetto “Turismo equestre” è
creare un Sistema Informativo Geografico (GIS) per il
turismo equestre che sia in grado di divulgare questa forma
di fruizione ecosostenibile del territorio, ad oggi settore
di nicchia. Per una maggiore divulgazione si è pensato
di progettare un WebGIS che potesse beneficiare delle
potenzialità offerte dal web.
La procedura di creazione del GIS ha visto i seguenti passe
salienti:
• i tracciati, ottenuti in WGS84, vengono poi
trasformati nel sistema UTM ED50* (specifico
sistema di riferimento cartografico adottato dalla
Regione Emilia-Romagna);
• i dati rilevati vengono archiviati in un database
continuamente aggiornato di nuovi percorsi grazie alla
formazione dei tecnici FISE che, dotati di Garmin,
mappano i percorsi. Al rientro scaricano e controllano
il tracciato;
• upload sulla piattaforma online con interfaccia web su
Google Earth (per ora ad accesso limitato) dei tracciati
con possibilità di visualizzarli a seconda del grado di
difficoltà;
• realizzazione di un livello del GIS non pubblicato
online e non accessibile al pubblico, finalizzato ad un
uso esclusivo della FISE per monitorare lo sviluppo
del progetto (tenere traccia dei tecnici che mappano
i singoli percorsi, di quando eseguono i rilievi, ecc.).
I servizi e prodotti per gli utenti invece sono:
• potranno accedere ai servizi ed effettuare le operazioni
di download a seguito di registrazione al sito (ciò
permette un controllo degli accessi da parte della
Federazione FISE);
• possibilità di scaricare il tracciato in .kml (anche altri
formati saranno in futuro disponibili) e caricarlo sul
proprio palmare semplicemente e rapidamente;
• visualizzazione dei percorsi su tavole in base al grado
di difficoltà del percorso, in base alla lunghezza
o al profilo altimetrico (selezioni personalizzabili
dall’utente); è possibile anche far apparire una
mappa con indicazione dei siti di interesse culturale
attraversati;
• possibilità di scaricare la curva altimetrica del tracciato
e valutarne la fattibilità in base alla propria esperienza;
• possibilità di scaricare monografie e schede descrittive
dei siti arricchite di informazioni storiche e geologiche.
Alcuni esempi dei prodotti e delle tavole che si possono
costruire a partire dal GIS sono riportare in Figura 5.
Figura 5. Un esempio di tavola estratta dal GIS contenente
i percorsi mappati nel territorio regionale classificati per anno
di esecuzione
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Legenda
percorso rilevato con ricevitore commerciale
percorso rilevato con ricevitore geodetico
idrografia principale
formazioni boschive a prevalenza latifoglie
abitati
Conclusioni e sviluppi futuri
Il progetto “Turismo Equestre” è nato nel 2009 in EmiliaRomagna e si è sviluppato anche grazie a una tesi di laurea
specialistica a cura dell’Ing. Irene Bedostri sviluppata presso
il Laboratorio di Geomatica dell’Università di Modena e
Reggio Emilia, Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”.
Nell’ambito di questa tesi, la sperimentazione condotta ha
messo a punto la metodologia di mappatura dei tracciati e i
contenuti per la formazione dei tecnici FISE ad un corretto
uso della strumentazione.
Allo stato attuale il progetto consiste nel database che,
costruito per l’archiviazione di dati, viene costantemente
aggiornato dai tecnici FISE. Il loro contributo nell’ambito
del progetto è fondamentale in quanto si occupano di
censire e mappare nuovi tracciati al fine di continuare ad
aggiornare il database delle ippovie e promuoverne una
fruizione sostenibile.
Lungo i percorsi si individuano, inoltre, i siti di interesse
culturale che vengono documentati con monografie
contenenti informazioni storiche e geologiche. Il
Figura 6. Il dettaglio di un percorso con l’indicazione dei siti di
interesse sovrapposto al DTM (Modello Digitale del Terreno)
GIS diventa poi WebGIS grazie alla progettazione e
realizzazione di un prototipo di piattaforma online su base
Google Earth attualmente ad accesso limitato (fase di test).
Nella sperimentazione si sono incontrate alcune difficoltà
tra cui l’impossibilità di stimare correttamente l’altezza
dell’antenna a causa del moto ondulatorio del cavallo o la
presenza di copertura fogliare di cui risentono fortemente
la strumentazione GPS di natura geodetica e l’utilizzo di
software di elaborazione. I ricevitori commerciali offrono
precisioni senz’altro inferiori ma adeguate all’applicazione
(mappatura di sentieristica finalizzata a un GIS per la
fruizione del territorio) per cui sono richiesti alcuni metri
nella soluzione finale.
Esistono inoltre alcuni problemi di natura giuridica non
trascurabili:
• responsabilità nei confronti degli utenti non
accompagnati (legata alla pubblicazione online dei
tracciati);
• accessibilità ai percorsi e transito: ai fini del turismo
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ANNO IV
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il tracciato deve insistere su strade pubbliche aperte e
ad accesso libero, non sono ammessi percorsi su strade
poderali;
• la maggior parte dei tracciati, soprattutto le ippovie
storiche di grande interesse, insiste su strade poderali e
ciò ne limita fortemente l’effettiva fruizione;
• esiste un vuoto di legislazione e per ora l’Ente si deve far
carico coi proprietari per ottenere l’accesso al transito;
• nelle aree private non è concessa la tabellazione del
percorso.
Per il futuro il progetto prevede alcuni sviluppi mirati a
promuoverlo e possibilmente a trovare i finanziamenti
necessari per una serie di attività tra le quali, ad esempio, la
tabellazione del percorso. In tal senso si partirà da tracciati
“test” accessibili al transito con l’inserimento di cartelli di
descrizione del percorso (in particolare il grado di difficoltà)
e di monografia / schede per la “musealizzazione” del sito
di interesse culturale (storico, geologico, biologico). Si
intende, a scopo turistico e di promozione territoriale,
effettuare una ricerca e mappatura dei sentieri storici,
testimonianza delle antiche vie di transito nella Regione
Emilia-Romagna. Un ulteriore passo consiste nella
pubblicazione della piattaforma online (previa valutazione
degli aspetti giuridici citati).
Alessandro Capra
Professore Ordinario di Geomatica e Direttore del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” presso l’Università degli Studi
di Modena e Reggio Emilia. I suoi interessi di ricerca nel settore della Geomatica riguardano: la topografia e la geodesia
(applicazioni di sistemi GPS e GNSS, rilievi laser scanning ) la fotogrammetria e le applicazioni LIDAR (aerea e terrestre),
il telerilevamento, le applicazioni del rilievo ai beni culturali, il monitoraggio di strutture e di versanti instabili. È autore e
coautore di 150 pubblicazioni e di memorie presentate a Convegni. Chief Officer del Geoscience Standing Scientific Group
(GSSG) dello SCAR (Scientific Committee on Antarctic Research) per il periodo 2008-2012. Editor-in chief della rivista
Applied Geomatics. Presidente della SIFET (Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia).
Cristina Castagnetti
Nata nel 1982 a Reggio Emilia, consegue nel 2006 la laurea in Ingegneria ambientale all’Università di Modena e Reggio
Emilia e, successivamente, il titolo di dottore di ricerca con tesi sull’utilizzo di sistemi integrati GPS/piattaforma inerziale/
sensori a basso costo per la navigazione terrestre in applicazioni di agricoltura di precisione. Dal 2006 svolge attività di ricerca
presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia riguardo i sistemi integrati e la fusione di
dati multi-sensore sia per attività di monitoraggio del territorio sia di strutture. Nell’anno accademico 2010-2011 è docente di
Geomatica per l’archeologia all’Università di Bologna. Attualmente svolge assistenza ai corsi di Geomatica e Geomatica per
il monitoraggio all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Irene Bedostri
Nata ad Aosta nel 1982, a 18 anni consegue il primo titolo federale (FISE) di abilitazione all’istruzione dell’equitazione. Negli
anni successivi acquisisce esperienze nell’equitazione di campagna e come atleta nelle discipline olimpiche. Nel 2010 si laurea
in Ingegneria ambientale all’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulla mappatura GPS della sentieristica a
cavallo, mettendo a frutto le sue esperienze sia in campo equestre che in campo ingegneristico e integrandole in un progetto
all’interno della FISE Emilia Romagna. Si è occupata del censimento e della gestione dei dati riguardanti la sentieristica
regionale raccolti sul campo da un team di tecnici di equitazione di campagna.
Tiziano Bedostri
Nato a Toano (RE) nel 1957 inizia a montare a cavallo all’età di 9 anni prediligendo l’equitazione di campagna. A trent’anni
si dedica al turismo equestre intraprendendo poi l’iter formativo per divenire professionista presso la FISE. Dal 1993 partecipa
ai campionati regionali della Valle d’Aosta conquistando titoli di Campione regionale in diverse discipline (Dressage, Salto
ostacoli, Completo ed Endurance). Negli anni ’90 intraprende l’attività di Tecnico/Istruttore dedicandosi alla formazione del
settore giovanile. Nel 2008 avvia un centro di equitazione a Polinago nell’Appennino modenese e dal 2009, su incarico del
Comitato FISE dell’Emilia Romagna, diviene Referente dell’Equitazione di campagna e del Turismo equestre, occupandosi
della formazione dei Tecnici del settore.
32
PERSONAGGI
Le Lauree
di Meyra Moise
La sua terza laurea l’ha conseguita ad 89 anni. 110 e lode,
con una tesi in Scienze filosofiche, presso l’Università di
Verona, intitolata: “Francesco Patrizi, l’enciclopedia del
sapere”. Uno studio approfondito e appassionato dedicato
ad un filosofo platonico del XVI secolo con cui condivide
la stessa origine e sorte, l’isola di Cherso, oggi croata, che
entrambi sono stati costretti ad abbandonare.
Meyra Moise, chersina, è un esempio illuminante di
amore per la cultura e, soprattutto, di come lo studio
possa essere un percorso “aperto” che si svolge per tutto
l’arco della vita.
Professoressa dal 1946, dopo avere conseguito la laurea in
Lettere a Padova, Meyra ha svolto con passione e grande
volontà, sfidando e superando le dure prove postegli dalla
vita e dalla storia, il lavoro di insegnante.
Poi, una volta in pensione, dopo un periodo di meritato
riposo, superata l’età di 80 anni, la forza di credere e
di desiderare l’ha spinta a realizzare un antico sogno
“laurearmi in filosofia, cosa che volevo fare già tanti
anni fa, quando mia mamma mi dissuase e mi esortò a
dedicami con impegno all’insegnamento dal momento
che avevo già una laurea”. Una motivazione, come ha
spiegato, anche animata anche dalla volontà e il piacere “di
frequentare l’università, cioè di vivere quotidianamente
l’esperienza della presenza alle lezioni assieme ad altri, cosa
che da giovane non avevo mai potuto fare, perché avevo
sempre studiato sui libri e sulle dispense presentandomi
poi agli esami”.
E così Meyra si è iscritta ed ha cominciato a frequentare
i corsi dicendosi, costantemente, “Provo, provo”. Un
incoraggiamento, verrebbe da dire, che interpreta lo
spirito insieme di modestia e tenacia di una donna
abituata a lottare per quello in cui crede.
E che la porta a conseguire la seconda laurea ad 85 anni
nell’ottobre del 2008 e, nei mesi scorsi, la terza.
La sua, d’altra parte, è una storia davvero particolare.
Meyra discende da parte paterna dalla famiglia Moise
di Cherso, da parte materna dalla famiglia Misetich di
Ragusa (Dubrovnik). I Moise, nobili, agiati e colti, sono
presenti a Cherso fin dal 1300, e noti per la partecipazione
di due membri della famiglia alla battaglia di Lepanto e
per l’abate, educatore, linguista, Giovanni Moise, nato e
vissuto sempre a Cherso nell’800, conosciuto e stimato
da tutto il mondo della cultura del suo tempo per la
sua “Grammatica della lingua italiana” che gli meritò
l’inserimento nell’Accademia della Crusca.
Non meno importante la famiglia della madre di Meyra,
Lieposava Misetich, figlia del dott. Rocco Misetich,
di Spalato (Split), che esercitò la professione di medico
e fu per un certo periodo medico di corte del re del
Montenegro, padre della regina Elena, moglie del re
d’Italia Vittorio Emanuele III.
Di ottimi natali, come si dice, la vita di Meyra venne
sconvolta prima dalla guerra e poi dalla successiva
occupazione dell’Istria da parte della Jugoslavia. “Sono
una profuga istriana”, ricorda. “Nel 1948 sono venuta in
Italia con un barcone, come fanno oggi gli esuli dell’Africa,
senza niente; ho perso due case, un palazzo a Fiume e
molti campi. La guerra e l’occupazione dei partigiani di
Tito, comunisti leninisti che ce l’avevano a morte con
i cattolici, hanno rovinato la mia giovinezza: a ventitré
anni sono stata arrestata, ero insegnante al liceo classico
di Fiume e frequentavo la chiesa, quindi il regime temeva
che potessi trasmettere agli alunni dottrine ‘sbagliate’.
In carcere mi hanno chiesto di scegliere: Dio o il lavoro.
Ho scelto Dio. La fede mi ha sostenuto nei momenti
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
peggiori della mia vita: ho perso due figlie, una delle quali
era cieca dalla nascita”.
Una volta in Italia, dopo un duro periodo in un campo
profughi, Meyra viene chiamata dal Provveditorato agli
studi di Gorizia (“fu come un balsamo all’anima – ricorda
– anche se ciò significava il distacco dai miei. Insegnare
per me è stata sempre una missione da vivere nella gioia,
donando il meglio di me stessa”) e avvia, così, la sua
carriera di insegnante che la porterà in diverse città del
Paese. Nel 1954 sposa il veronese prof. Severino Lucchi e
va con lui ad abitare nella sua casa di famiglia di Parona
di Valpolicella, alle porte di Verona, dove vive tuttora. Da
quest’unione nascono tre figli, ma solo uno sopravvive,
dandole quattro nipoti.
Con grande energia, parallelamente all’attività di
insegnamento, si dedica alla danza classica: una delle sue
passioni e alla poesia. Declinando, inoltre, la propria fede
nella disponibilità verso gli altri, occupandosi di persone
in difficoltà, economiche e d’altro genere.
Poi, su consiglio e stimolo di un sacerdote il ritorno
allo studio e alla “scuola”. Dopo l’ultima laurea, Meyra
Moise è assurta, come si dice, all’onore delle cronache
suscitando l’interesse dei media. A chi le ha chiesto se era
stato difficile ricominciare a studiare ha risposto: “No, ho
un’ottima memoria e un buon metodo: faccio il riassunto
di appunti e libri e, poi, il riassunto del riassunto,
evidenziando i punti chiave. Frequentando tutte le lezioni
ho fatto meno fatica. È stato un bel periodo, non mi ha
stancato: a volte mi domando come ho fatto, andando
avanti e indietro con l’autobus quasi tutti i giorni. Questi
anni di studio mi hanno allungato la vita”.
Importante, nell’esperienza, per Meyra, il rapporto
con i giovani compagni. “Mi hanno trattato non come
un’anziana – dice – ma come una ragazza di vent’anni:
mi offrivano il caffè, mi accompagnavano in ascensore...
Sono stati generosi e pronti ad aiutarmi. Ho imparato a
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conoscere meglio i ragazzi d’oggi e a capire cosa cercano:
hanno bisogno di testimoni. Secondo me sono migliori di
quanto sembrino”.
Con parole di lode verso i docenti che ha avuto modo di
frequentare (“sono davvero competenti, forse più bravi di
quelli che avevo a Padova, tant’è che quando uscivo dalla
lezione era come se avessi già studiato mezzo programma
d’esame. E mi hanno sempre trattata come tutti gli altri
allievi”) Meyra ha trovato, come era naturale, un’università
diversa da quella frequentata oltre sessant’anni prima. “È
meno severa. Io che ero studiosissima, da ragazza non ho
mai avuto la lode; in questi anni invece ho preso quasi tutti
trenta e lode. Ne ho parlato con uno dei miei professori
e lui mi ha risposto che si sono dovuti abbassare un po’
i toni perché gli studenti, oggi, arrivano dalle scuole
superiori meno preparati di una volta. Forse nei licei ci
sono troppi indirizzi diversi, e questo non avvantaggia
i ragazzi”. Giovani ai quali dà un consiglio sentito: “di
tenere duro. Con una laurea si ha una possibilità in più,
anche in questa crisi”.
Ancora attiva, dà ripetizioni gratuite agli studenti
bisognosi delle scuole elementari, medie e superiori e, in
parrocchia, fa parte del Consiglio pastorale, è ministro
straordinario e porta l’Eucarestia ai malati ogni primo
venerdì del mese.
Tutte le estati ritorna alla sua isola. “Dopo la caduta del
regime, ci hanno restituito una piccola rimessa che era il
deposito della nostra barca; mio fratello, che è mancato
l’anno scorso, l’ha sistemata e ne ha ricavato una casetta.
Il palazzetto dove abitavamo è stato nazionalizzato e
adesso è in degrado”.
È contenta di quello che ha fatto: “posso dire di non aver
buttato via neanche un quarto d’ora della mia vita. Mi
sono sempre ricordata delle parole di Gesù: ‘Amatevi gli
uni gli altri’. Questo ha dato un valore diverso alle cose
che ho fatto”.
photo©wikipedia.org/Sl-Ziga
Cherso
FOCUS
Carlo Rambaldi
Geometra
Scenografo
Come preannunciato nell’Editoriale del scorso numero,
pubblichiamo il testo dell’intervista del 27 novembre 2001
fatta a Carlo Rambaldi, nella sede CIPAG (Cassa Italiana
di Previdenza e Assistenza Geometri Liberi Professionisti), da
Giuseppe Caterini, all'epoca Direttore di GEOCENTRO.
Carlo Rambaldi, Geometra-Scenografo, iscritto dal 1951 al
1991, prima al Collegio di Ferrara e poi – dal ’57 – a quello
di Roma, fu accompagnato da Pino Baudille, all’epoca
Presidente del Collegio di Roma e anche Consigliere di
Amministrazione della CIPAG. Giuseppe Caterini pose a
Rambaldi le seguenti domande.
Dunque il famosissimo Maestro Carlo Rambaldi, è
anche Geometra. Perché scelse questo corso di studi?
Intanto, se permetti, diamoci del tu. Abbiamo tutti e due
i capelli bianchi, anche se tu sei più giovane di me. Sì sono
Geometra e ne sono onorato. La scelta fu mia, ma dalla
mia famiglia incoraggiata e ben accetta. Negli anni ’40
era un titolo di studio importante e prestigioso; anche
ora, ma allora di più. Per le materie che si studiavano, la
serietà e la completezza dei curricula professionali e gli
sbocchi di lavoro era il diploma tecnico più importante
– forse anche ora, non so – ma allora sì. Era considerato
una vera e propria laurea. Ricordo che agli esami di
stato di abilitazione – come sai anche tu – si sostenevano
cinque prove scritte; italiano, costruzioni, topografia,
estimo e contabilità e agli orali c’erano anche il diritto,
agraria e storia. Gli esami scritti – ricordo – finivano
per noi, uno, due giorni dopo di quelli del liceo classico,
dello scientifico e delle industriali. E nel corso di studi
c’erano disegno geometrico e architettonico, matematica,
chimica, fisica, scienze naturali e trigonometria. Insomma
si sgobbava e i professori erano molto preparati e molto
esigenti. Il Geometra – ricordo – era il tecnico che
veniva consultato e incaricato di più sia dai privati che
dalle amministrazioni pubbliche. Non ce n’erano molti
e lavoravano tutti. Gli Ingegneri e gli Architetti poi
erano proprio pochi e si occupavano di grandi opere,
di commesse veramente importanti: grandi palazzi
pubblici e privati, cattedrali, grandi viadotti, avvalendosi
naturalmente dell’opera dei Geometri. Anche mio fratello
Werter, due anni più piccolo di me, è Geometra, iscritto
al Collegio di Ferrara dal 1952 al ’93. Lui ha esercitato la
professione a tempo pieno per tutti questi anni con buoni
risultati, ora è vostro pensionato. Voi della Cassa dovreste
darla anche a me la pensione: sono stato iscritto dal ’51 al
’91. Scherzo, naturalmente, ormai ho avuto la restituzione
dei contributi annullando così la mia posizione.
Hai fatto qualche esperienza professionale di Geometra?
Sì. Appena conseguito il diploma ero stato assunto al
Comune di Vigarano. Fu un primo impatto con la
vita di categoria e con i tanti problemi tecnici della
gente. Dopo alcuni mesi però optai subito per la libera
professione e mi iscrissi all’Albo, come ho detto. Con
grande preoccupazione di mia madre che invece allora
vedeva bene il posto fisso, il pane sicuro. La mia le sembrò
una scelta sconsiderata. Feci alcuni lavori interessanti.
In particolare ricordo alcune progettazioni non pagate
e, per conto di un’impresa di un Ingegnere, il rilievo e
il progetto di una strada di quattro chilometri. Aspetto
ancora le competenze. Solo dopo seppi che quell’impresa
aveva l’abitudine di non pagare nessuno. Poi passai al mio
lavoro attuale che mi attrasse e assorbì completamente.
Il corso di Geometra con la riforma universitaria e anche
per l’equipollenza dei titoli in Europa, sta per essere
elevato di tre anni e il titolo diventa laurea triennale o
di primo livello. Tu, che hai fatto gli studi negli anni
’40 e che hai un’esperienza di lavoro e di vita fuori da
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
nostri confini nazionali, come vedi questa modifica?
Nell’evoluzione tecnologica, politica e sociale ritieni che
la figura e il mestiere del Geometra possano e debbano
avere un futuro?
Pur essendo ormai lontano da molti anni dall’Italia seguo
con interesse le vicende del nostro Pase, in cui ritorno
spesso per lavoro e per motivi affettivi. L’Italia resta
sempre la mia patria, perciò mi tengo aggiornato, però
con una visione più ampia rivolta non solo all’Europa ma
al mondo. Ebbene in questa ottica, ritengo proprio dì sì, la
figura professionale e l’opera del Geometra è e potrà essere
necessaria alla società italiana e mondiale per secoli, se è
vero come è vero che c’è stata dall’antichità più remota.
Ma a guardare bene ha saputo rinnovarsi, reinventarsi. Ed
è ciò che deve fare adesso. Intanto mi pare necessario che
abbia un ciclo di studi universitario completo, senza altri
percorsi alternativi, con una laurea di base, ma anche con
l’altra di livello superiore specialistica in materie specifiche
per quanti hanno voglia di continuare, e ciò per essere
alla pari degli altri titoli, del resto come avviene – che io
sappia – in quasi tutti gli altri Paesi del mondo. Vanno
ricercati ambiti e spazi nuovi per la professione, evitando
il più possibile la sovrapposizione di competenze con le
altre categorie concorrenziali. In un Paese libero, oggi che
nascono nel mondo nuove discipline, nuovi studi e nuovi
titoli, non credo che non ci sia spazio per il Geometra che
è una figura tradizionale e importante nel settore tecnico.
Spetta a voi dirigenti saper trovare percorsi formativi e
nuovi sbocchi professionali, adeguandosi ai tempi senza
nostalgie.
Nelle tue ideazioni e realizzazioni scenografiche hai
tratto vantaggio dagli studi tecnici compiuti?
Eccome! Dal disegno alla geometria, dalla fisica alla
trigonometria, all’ottica e soprattutto dall’impostazione
tecnico-pratica polivalente degli studi che ti dà una
formazione articolata e composita abituandoti alla
soluzione concreta dei vari problemi che ti si presentano. Il
resto è passione e, perché no, un po’ di fortuna. Trovarsi il
giorno giusto al posto giusto, incontrare la persona giusta,
pensare positivo, lavorare sodo e imbroccare l’idea giusta
che il pubblico di quel momento s’aspetta.
Tu per i tuoi mostri meccanici sei nella realtà quello che
nella fiaba è mastro Geppetto per Pinocchio. Mi dici
come hai avuto queste idee così originali di King Kong,
Alien e soprattutto E.T., e come hai proceduto nella
realizzazione?
Mah, erano i tempi in cui cominciavano a piacere il
fantastico e l’horror, perciò di volta in volta dai registi e
produttori mi venne chiesto di inventare qualcosa di nuovo,
di moderno, gradito al pubblico. Così ho fatto mettendoci
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di mio, della mia fantasia, del mio immaginario. Qualcosa
che evidentemente la gente gradiva. In particolare E.T.
è scaturito dalle precedenti esperienze. Il regista Steven
Spielberg mi chiese di creare un personaggio futuristico
per un film di fantascienza. Così in tre giorni mi inventai
questo mostricciattolo sui generis dall’età indefinibile, né
giovane né vecchio, dalla faccia e movenze agili in cui si
può intravvedere un gatto. Dapprima sullo schermo la
faccia non rendeva bene, così pensai di allungargli il muso
e il collo e l’effetto piacque molto a Spielberg e poi alla
gente. E i costi sono stati abbastanza contenuti. Tre mesi
di riprese per il film; per la realizzazione meccanica del
soggetto abbiamo lavorato in 12 e in 8 per animarlo. Il
film è costato 11 milioni di dollari, e ha incassato 690
milioni. Tempi, costi e persone impiegate sarebbero stati
di gran lunga maggiori con mezzi informatici.
Immagino che i guadagni siano stati adeguati al
successo?
Direi di sì. Si possono dire. Tanto le tasse sono state
pagate fino al centesimo. Per King Kong ero a stipendio:
3.000 dollari alla settimana nel ’76. Per E.T. un milione e
quattrocentomila dollari nell’ ’83, di cui circa un quarto
si può considerare netto.
Più i diritti d’autore, naturalmente?
Solo sulla produzione dei giocattoli; sulla proiezione del
film no.
Di questo progetto di Museo Virtuale d’Italia e della
consulenza per il Ministero dei Beni Culturali sarai
contento?
Beh, sì. Ho già qualche idea per la testa. Poi si vedrà,
quando il progetto sarà meglio definito.
Anticipaci qualcosa
Vedi, vorrei lavorare al progetto così come fa il Geometra.
La formazione m’è rimasta, no? Per esempio per gli antichi
monumenti come il Colosseo dare l’idea alla gente, oltre
che dalle grandezza e dell’epoca dell’opera, anche della
fatica umana, delle quantità dei materiali, dei tempi e dei
costi impiegati per la sua realizzazione. Quante migliaia
di uomini, quanti anni, quanti metri cubi di travertino,
sia grezzo che messo in opera. Insomma in dettaglio tutte
le notizie per arrivare all’opera finita. Nello svolgimento
di questo lavoro torneranno di nuovo molto utili le mie
conoscenze costruttive apprese nel corso di studi di
Geometra.
Ottimo incipit per un impegno così importante. Auguri
di cuore, Maestro
Grazie, ma che Maestro! Carlo.
IDEE
“La parola
come utensile”
Questo il titolo dell’intervento, qui pubblicato in estratto,
tenuto dallo scrittore Erri De Luca, nell’ambito del Festival
della Mente 2102, svoltosi a Sarzana, dedicato al tema
“La conoscenza come valore assoluto e imprescindibile” e
promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
e dal Comune di Sarzana.
“Queste manifestazioni, inventate dai piccoli centri come
Sarzana, raccolgono molte persone e molta attenzione e io
penso che questo dipenda dalla necessità di contrappeso
delle parole correnti. Abbiamo delle parole correnti che
circolano nella nostra società che hanno perso di peso, di
consistenza, di responsabilità.
La parola politica ma anche la parola economica sono
diventate parole pubblicitarie, che valgono il momento
in cui vengono pronunciate e che devono servire,
semplicemente, a raggranellare il consenso provvisorio
di quell’istante. Subito dopo possono essere smentite,
travisate, tradite, senza che il titolare di quella parola falsa
ne subisca delle conseguenze, che ne perda di prestigio, di
autorità o di credibilità.
Dunque c’è una svalutazione della parola pubblica,
anche di quella privata. Oggi qualcuno dice ‘io ti amo’ e
poi, subito dopo, ‘ma no, ho cambiato idea, non ti amo
più’. Anche una parola solenne come questa, quella di
impiegare il verbo ‘amare’ per rivolgersi ad una persona,
rientra in questa specie di riduzione di senso e di peso.
Allora, ecco che ci sono delle occasioni come queste
nelle quali si ha voglia di sentirsi raccontare delle storie
con delle parole che valgono esattamente la storia che
stanno raccontando, che pesano tanto quanto la storia
che stanno raccontando. Che portano la responsabilità di
quel piccolo momento di scambio e di intrattenimento.
Questa parola viene qui ascoltata con questo desiderio,
che è un desiderio antico perché tutta la storia della nostra
civiltà è stata prima di tutto una storia orale. Gli antenati
si sono trasmessi l’esperienza, la conoscenza, il mestiere,
le scoperte, le parole affettuose, le parole con cui rivolgersi
alle divinità, se le sono tramesse così, con la voce, con dei
riti e con la voce che accompagnava il canto.
In questo modo la storia dell’umanità ha fatto rimbalzare
la sua pallina da una generazione all’altra, sempre più
grande, aumentando di consistenza, di peso, di varietà,
questa parola iniziale che le generazioni hanno inventato
per comunicarsela.
È uno strumento di comunicazione questa parola, sicuro,
ma uno strumento di comunicazione totale, che è molto
legato alla voce, al corpo che la pronuncia. Mia mamma
mi diceva: ‘ma che è capitato a questo mondo che prima
la gente, le persone, credevano ad una divinità e poi,
tutte insieme, si sono messe a smettere di credere a quella
divinità per credere ad un’infinità di chiacchieroni, di
oroscopi, di indovini, di pubblicitari. Una quantità di
trafficanti, di venditori all’incanto, strilloni di strada. Si
sono messi a credere alle storie. E anche tu – mi diceva –
tu non credi e però se trovi qualcuno che ti racconta una
storia, rimani lì a bocca aperta e gli credi’.
E io le dicevo: ‘Sì è così. Io credo, però per credere ho
bisogno di vedere quella persona. Di vedere i suoi occhi
che, in quel momento, mentre la stanno dicendo quella
storia, stanno svariando nella memoria per ripescarla.
Ho bisogno di vedere i suoi piedi come sono messi e la
sua voce come la dice. Ho bisogno, quindi, di credere
a quell’insieme fisico che ho davanti. Allora sì, credo,
oppure smetto di credere all’improvviso se trovo qualche
stonatura fisica, qualcosa che in quel momento non
funziona in quella trasmissione. Allora smetto di credere.
Questo mi spiega perché sono non credente. Sono un
lettore assiduo e un traduttore di quelle pagine della
Bibbia, addirittura andate a pescare nel proprio formato
originale, che si sono formate col tempo e attraverso le
traduzioni, indebolite, affievolite. Sono passate, come
secondo l’età, da buoni denti che dovevano sgranocchiarle
ad un formato un po’ più morbido, adatto alle gengive
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
successive della tarda età. Sono un lettore di quelle storie,
ma non credente, perché a me manca la voce di quelle
storie, le labbra che muovono quelle linee, quelle sillabe. E
siccome ce le devo mettere io le labbra e la voce non posso
e non riesco a credere.
Ma prima di parlare di questo magnifico strumento di
comunicazione tra una divinità e le creature, cominciò
a raccontare cosa è stato per me avere a che fare con le
parole. Che razza di strumento sono state. Allora, intanto,
sono nato in una città, Napoli, di Dopoguerra. Ogni
città ha bisogno di essere precisata nel suo tempo, nella
sua ora, nel suo momento. Quel luogo è profondamente
cambiato, come tutti i luoghi del nostro Paese, come tutta
questa nostra società e geografia che è stata trasformata.
Ma, appunto, sono nato in quel posto nel Dopoguerra. E
allora lì si parlava semplicemente, un dialetto, una parlata.
Io ho imparato diverse lingue, curioso dei vocabolari
e degli alfabeti degli altri, ma non posso imparare un
secondo dialetto. Il dialetto è uno solo, è una lingua
madre. Se uno perde quella lingua madre non può
diventare figlio adottivo di un’altra lingua madre, di un
altro dialetto. Rimane sempre approssimato per difetto,
un figlio di secondo letto di quel dialetto.
Dunque c’era quel napoletano che avevo intorno, ed era
un napoletano di voci, cantate, strillate, bestemmiate,
accarezzate, vendute. Voci che dovevano passare attraverso
i muri, che pure erano poca cosa. I nostri muri di tufo
non sono stati capaci di difendere e di separare. Il tufo,
materiale vulcanico, non se lo immaginava, nella sua
storia, di essere utilizzato come materiale di separazione,
come materiale isolante. È il contrario. Il tufo è materiale
poroso, traspirante e anche, dal punto di vista acustico,
trasparente; le voci passano da un muro all’altro, da una
casa all’altra, da un vicolo all’altro.
Napoli è stata un’esperienza acustica per me, nella
mia infanzia. L’orecchio era l’organo principale di
quell’informazione che mi raggiungeva attraverso la
parola. La parola esterna che era una parola che non
andava a dormire mai, era insonne, veloce, tronca. Del
resto, i dialetti sono sempre più corti dell’italiano che è
arrivato dopo e se l’è presa comoda. Qualunque nostro
dialetto in confronto ad una pagina dell’italiano è più
breve, proprio perché l’italiano non è stata una lingua
immediata. L’abbiamo raggiunta, come lingua nazionale
e della nostra Unità, in un tempo successivo. Non
napoletani abbiamo il verbo più veloce al mondo. Andare
si dice ‘i’. Più svelto di così, non si può. L’inglese, con ‘go’
già ci mette il doppio del tempo…
Dunque, questo dialetto che era corto, affannato, veloce.
Che stava dentro l’acustica e che mi costringeva anche a
difendermi da quelle voci che non la smettevano mai. Per
mio temperamento di bambino, nato per sbaglio su quel
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Golfo, geneticamente più tarato per un fiordo norvegese
e invece finito dentro un vicolo di Napoli, quell’acustica
e quelle parole che avevo intorno mi costringevano
a nascondermi da qualche parte. Dove mi potevo
nascondere? Certo non mi potevo tappare le orecchie.
Non si poteva fare questo gesto osceno nei confronti
dell’unica comunicazione che arrivava da fuori, le voci.
Questo gesto di opposizione sarebbe stato svergognato e
spietato da parte di quel bambino.
E allora c’era un punto nella casa dove non mi arrivavano
quelle voci. Era uno stanzino, una piccola stanza gremita
dai libri di mio padre, dove io sono cresciuto dormendo
dentro quella stanza. Lì c’era una protezione da quelle
voci. Non facevo niente di irregolare o di scostumato
andandomi a chiudere là dentro. Anzi, un poco solleticavo
il desiderio di mio padre di fare di me un lettore, perché
lui è stato un appassionato divoratore di libri. Ed è stato
così appassionato da dover condividere il destino di
Borges, lo scrittore argentino che, nell’ultima parte della
vita, diventò cieco. E parlò della magnifica ironia di Dio
che gli diede, tutta insieme, i libri e la notte.
La stessa cosa capitò a mio padre che non aveva le parole
per definire ‘magnifica’ l’ironia della divinità, e non aveva
nessun contatto, del resto, con la divinità, ma che si piegò
a quella mutilazione facendosi leggere i libri da quelli che
aveva intorno. Da mia madre, mia sorella, da me, qualche
volta. Quel padre vedeva di buon occhio il fatto che quel
marmocchio di figlio suo si andasse a rintanare dentro il
ripostiglio dei libri.
Era un equivoco. Non mi piacevano i libri, mi piaceva
il loro materiale isolante. Quella bella materia spessa
che ricopriva le pareti. Quella tappezzeria affettuosa che
mi salvava dall’acustica intorno. Poi dopo, lentamente,
ho cominciato a staccare pezzi di quella tappezzeria
e ci ho messo il naso dentro e ho cominciato a leggere
quell’immensa stesura della conoscenza. Ma all’inizio per
me quello era semplicemente un modo per difendermi
dalle voci.
Ma c’erano anche voci che volevo sentire ed erano le voci
delle donne. Le donne raccontavano. Uno come me, nato
in quel periodo, non sentiva tanto parlare gli uomini.
Gli uomini in quel periodo non avevano tanta voglia di
raccontare la maledetta guerra che avevano attraversato.
La loro sorte di soldati, spesso alleati e complici, per
forza, dei peggiori boia della storia dell’umanità. Che
erano passati attraverso le sconfitte, le prigionie, o le
fughe, le latitanze, le clandestinità. Eh, non avevano
voglia di raccontarla quella pesante umiliazione della loro
gioventù. Della loro gioventù presa e calpestata.
E invece le donne sì. Le donne non solo avevano voglia
ma avevano diritto. Ho capito dopo perché avevano il
diritto, loro, di parlare e non gli uomini. Ho capito dopo
che questo dipendeva dal fatto che era stata inventata nel
1900 la guerra moderna. E la guerra moderna, a dispetto
e a differenza di tutte le altre guerre del passato, distrugge
più di indifesi, di civili, di tutte le età, donne, vecchi,
bambini, che di soldati. Questo è il suo puntuale fatturato,
di tutte le guerre moderne, Afghanistan compreso, in cui
ci abbiamo messo le nostre zampe supplementari. E che
dovremo ritirare presto.
Vedete, il 1989 è stato l’anno, si dice, della caduta
del Muro di Berlino, ma è stato anche l’anno in
cui le truppe della Russia Sovietica si sono ritirate
dall’Afghanistan, per sconfitta. È stato l’anno in cui,
allora, io ho sentito di congratularmi e poi in seguito di
celebrare quell’anniversario scrivendo che per me l’evento
più importante era stato quello in cui quelle truppe
avevano smesso di intervenire fuori dai loro confini.
Dunque, per questi motivi, dovrò festeggiare anche il
ritiro dell’ultimo soldato straniero da quel suolo che ha
ricacciato, regolarmente, tutte le truppe straniere che si
sono presentate a occuparlo.
Storicamente è andata così, l’Afghanistan non è
espugnabile, militarmente né materialmente. Solo
Emergency è riuscito a piantare il suo piede di ospedali
in Afghanistan è lì rimanere. Lì continuare a curare i
feriti, di tutte le parti lese, perché ogni ferito appartiene al
reparto delle parti lese, senza distinzione.
Allora, questa guerra moderna, che distrugge molte più
vite di indifesi che di soldati, è materialmente, per forza di
cose, una guerra criminale. Una guerra che commette più
crimini che battaglie. E i crimini della guerra moderna
che è toccata ai miei genitori e alle donne, che sono toccati
a loro, al di là dei crimini sistematici di annientamento di
comunità, sono stati il bombardamento aereo della città.
I bombardamenti aerei di una città sono l’atto terroristico
per eccellenza, perché vogliono distruggere il numero più
alto possibile di vite indifese, nel mucchio, a casaccio,
all’improvviso. Rispetto a questo, tutto ciò che noi
chiamiamo sotto la voce terrorismo è una sfumatura. Il
bombardamento aereo della città di Napoli che, anche se
ha finito la guerra un po’ prima delle altre città italiane,
è comunque la città che ha incassato più bombardamenti
aerei della Seconda guerra mondiale. Quella città è stata
martellata, in quel modo, dal cielo, a distruggere tutto
quello che poteva trovare il suo obiettivo. Obiettivo
libero, perché all’inizio si bombardava all’incirca nella
zona del Porto, all’incirca nella zona della Ferrovia. Negli
ultimi mesi dell’estate del ’43 si bombardava ad obiettivo
libero ad alta quota. Quindi con l’impossibilità persino
della segnalazione da parte della sirena d’allarme.
Ecco questa evidenza della guerra moderna mi ha
dimostrato e fatto capire che il fronte principale delle
guerre erano le retrovie, erano le città dove le donne
hanno retto e resistito all’urto maggiore della distruzione.
Le donne, dentro le città.
Per gli uomini la guerra poteva anche finire l’8 settembre
del ’43, quelli che non sono stati fatti prigionieri, quelli
che non sono stati fucilati, quelli che non sono stati
spediti al lavoro obbligatorio e gratuito dentro le fabbriche
tedesche. Ma per le donne la guerra è finita solamente
nell’aprile del ’45. Non si sono potute congedare sino a
che non è finita completamente la guerra.
Su di loro è pesato il carico maggiore della guerra
moderna. È così, regolarmente, per tutte le guerre in
corso. Su di loro. E allora ecco perché quelle donne di
Napoli, naturalmente, spontaneamente, sentivano di
avere il diritto di raccontare quelle storie. Ma quelle storie
erano violente, atroci, volgari, infami. E allora non erano
storie adatte per le orecchie delle creature, dei bambini,
dei marmocchi. E così noi venivamo allontanati da quei
racconti. Ma che vuoi allontanare in un palazzo, in una
casa di Napoli...
Quelle voci che non volevo sentire gridare, quelle voci le
volevo invece sentire sussurrare. E le sentivo dietro quei
muri che chiudevano poco e facevano passare i fiati e
le voci dietro le porte e gli infissi che chiudevano male.
Quelle voci napoletane.
Ecco, lì, quelle parole che si raccontavano, quelle storie,
entravano per la via maestra dentro l’orecchio. L’orecchio
teso che passava il tempo a sentire, ascoltare, quei racconti.
E quell’orecchio piano piano si trasformava e diventava
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l’organo principale della conoscenza. Tutto quello che era
successo di importante, di decisivo, nelle storie delle vite
precedenti, veniva trasmesso a me attraverso quelle voci
che dentro l’orecchio si diramavano in tutti gli altri sensi.
Era così attento quell’ascolto, che poteva informare anche
tutti gli altri sensi.
Attraverso quel racconto a voce io potevo sentire con il
naso, potevo odorare, potevo toccare, gustare, vedere.
Essere travolto dalle loro commozioni, dalle loro collere,
dalle loro vergogne, dalle loro confessioni, che passavano,
immediatamente, dalle loro voci ai miei sensi. Le
mettevano in scena dentro di me, le rappresentavano, le
allestivano.
Ecco quelle voci diventavano il mio teatro interno, che
arpeggiava tutti i miei nervetti di ragazzino, di bambino.
Sono figlio di quel posto non perché sono residente lì,
ma perché quelle voci mi hanno reso proveniente da quel
posto. Hanno formato tutto il mio scheletro sentimentale,
tutta la mia capacità di reagire alle cose del mondo.
Vengo dalle voci di quelle donne. Provengo da
quell’acustica, magnifica, che sempre mischiava al tragico
il contrappeso del comico, del ridicolo, del buffo. Perché
quel tragico andava sgambettato all’improvviso per
poterlo poi rendere digeribile. Perché è così che si sono
smaltiti i lutti, le perdite. Attraverso il racconto ripetuto
e ripetuto dalle voci che oscillavano, cambiavano, anche
modificavano le versioni, qualche volta. Aggiungevano o
toglievano, cambiavano di tono.
La voce umana è il più perfetto strumento musicale
che esista. Credo che tutti gli altri strumenti cerchino
semplicemente di imitarla. Quelle voci umane mi hanno
determinato l’ascolto. Hanno fatto di me una persona
capace di ascolto. La prima vocazione di una capacità di
ascolto è quella di stare zitti. Prima statti zitto, sennò non
serve a niente. Se parli non serve a niente.
Avevano diritto, loro, di parlare e gli uomini di tacere. E
la storia di mio padre, in guerra, lui partito alpino, nella
fanteria alpina, sui monti della Grecia e dell’Albania, da
quella storia lui è tornato indietro muto. Ha raccontato
solamente di una sua speciale gratitudine e tenerezza nei
confronti delle montagne. Quelle gli hanno salvato una
parte, una parte piccola, della sua maledetta gioventù, in
quella guerra. Quello mi ha trasmesso, uno sguardo di
affetto nei confronti delle montagne, che ha fatto di me,
poi, un praticante delle scalate e di alpinismo.
Così come ha fatto di me uno che scrive storie. Il fatto
di essere stato dentro la stanza dei suoi libri. Di avere
cominciato da lì a sfogliare quella biblioteca, quella
enciclopedia della conoscenza che erano i libri. E poi
anche il suo rammarico di non avere operato nella
Resistenza. L’8 settembre del ’43 si è trovato in licenza
a Napoli per casa bombardata e come tutti si è tolto la
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divisa, si è imboscato e subito dopo la Liberazione si è
occupato degli affari suoi.
E però si è riempito gli scaffali di libri di quella storia che
gli era passata addosso, di cui era stato contemporaneo, e
della quale non aveva capito niente. Succede così, ai poveri
testimoni di una storia. Che non sono gli spettatori di
una storia. Perché lo spettatore si muove da casa, acquista
il biglietto. Sa esattamente a che cosa va ad assistere.
Ma il testimone, è il malcapitato che all’improvviso si
trova in mezzo alla confusione, alla concitazione di un
evento gigantesco. E il 1900 è stato abbondante di eventi
giganteschi, dalle emigrazioni, alle guerre, alle rivoluzioni.
Ecco uno che è stato contemporaneo di questi eventi
giganteschi da testimone, è stato quello che ci ha
capito meno di tutti. È quello che si è trovato coinvolto
dentro questo vortice, ha cercato un po’ di ripararsi, di
proteggersi, insomma, di scamparla. Il testimone, ha
poco da raccontare. E quando racconta, spesso, cambia
quello che ha visto e sentito, perché era in condizione
di percezione alterata in quel momento. Non era lo
spettatore.
E allora mio padre, dentro a quella storia di cui non
aveva capito niente, cercava i pezzi per poterla ricostruire
e intenderla. E dunque quella sua storia per me era un
atto di accusa nei suoi confronti. Era anche un bisogno di
rispondere a quello che lui non aveva fatto. Allora penso,
come figlio – perché siccome non ho avuto figli, sono
rimasto figlio –, che si è figli dei propri genitori quando si
eredita il loro debito, quando si eredita la loro omissione,
il loro rammarico. Quello che avrebbero voluto fare e
non hanno potuto o saputo fare. Ecco io perseguitato,
per la mia vita evidentemente, senza progetto, senza
programma, ho proseguito le cose lasciate in sospeso da
mio padre. E sono diventato suo figlio per questo.
E poi c’erano quei libri che parlavano delle storie grandi,
grandiose che erano successe. Poi libri di romanzi, di
narrativa. Non c’erano libri per bambini o per ragazzi,
mio padre non ne comprava. Però mi permetteva di
guardare, di aprire, di sfogliare quella sua biblioteca. E
allora leggevo le storie delle persone adulte, dei grandi.
Per un marmocchio entrare dentro quelle storie era
entrare dentro il meccanismo degli adulti. Di quei giganti
che sembravano conoscere tutto, governare le proprie
sorti, e invece erano dei marmocchi cresciuti storti, male.
Venuti incerti, indifesi, pieni di dubbi. Eppure dovevano
sembrare così perfetti, così compiuti. Dovevano dare il
tono, dovevano dirigere la casa, la città, la famiglia, i
palazzi. E poi, a guardarli, a leggere dentro quelle loro
storie, erano friabili come delle meringhe, si sbriciolavano
all’interno.
Allora quei libri davano una strana capacità di intendere
gli adulti dall’interno. Ad un marmocchio davano questo
delirio di potenza. Di sapere che dietro quella loro facciata
c’era il vuoto. Il vuoto di case bombardate, il vuoto di
quello che avevano perduto. Ho amato quei libri perché
mi davano questa capacità di conoscenza del mondo degli
altri, del mondo degli adulti. E mi davano questa capacità
di giudicare e di accusare. Senza rivolgere nessuna
parola. All’esterno ero docile e inerte, ma dentro di me,
continuamente si svolgeva un tribunale nei confronti di
quel mondo che avevo intorno.
Quelle parole mi davano uno strumento di conoscenza
ma anche di demolizione. Mentre costruivo dentro
di me, anche demolivo quello che avevo intorno. E
nessuna parola detta dagli adulti era, per me, presa per
buona. Andava verificata, controllata, contraddetta.
Dentro di me, continuamente, avveniva questo spirito di
contraddizione che non si è più spostato. Si è piantato al
centro della mia conoscenza, anche della mia scrittura.
Sono continuamente assistito da uno spirito di
contraddizione che contraddice anche quello che scrivo
e che mi permette di corrispondere a quello spirito, a
doverlo soddisfare continuamente per non essere respinto,
come gli adulti, da quello stesso spirito di contraddizione.
Quello spirito di contraddizione della realtà dell’evidenza
che poi, quando ho avuto l’età di ragione e sono andato
via di casa, me lo sono trovato intorno. C’era un’intera
generazione, un mondo, che aveva trasformato quel mio
spirito di contraddizione in una forza di trasformazione.
Perché il 1900 si è spostato con le rivoluzioni. Questo
è stato lo strumento politico con cui si sono mosse le
storie e i destini del 1900. I popoli del mondo hanno
cambiato il loro destino nel 1900 attraverso lo strumento
delle rivoluzioni, in tutti i continenti, dall’Asia all’Africa,
all’Europa, alle Americhe. Se la sono scansata solo
l’Oceania e l’Antartide. La presenza di questo strumento
politico, dello spirito di contraddizione che sono state
le rivoluzioni del 1900, poi me lo sono trovato intorno.
Ma finché stavo dentro a quella casa, quello spirito di
contraddizione riguardava quei libri da cui provenivo, che
mi trasformavano, mentre che mi formavano.
Ecco, racconto storie ambientate anche in quel luogo.
Storie dell’infanzia, di adolescenza. Ma non posso
dire che sono dei racconti di formazione. Per uno che
è cresciuto a Napoli, in quel periodo, l’esperienza di
quei bambini non era un’esperienza di formazione. Era
un’esperienza di continua resistenza alle deformazioni
dovute alle condizioni oggettive del mondo intorno. Il
fatto che avevamo la più alta mortalità infantile d’Europa,
il fatto che i bambini, anche quelli che superavano quella
soglia di sbarramento, poi andavano a lavorare a 4, 5, 6
anni, anche a costo zero, gratuitamente pur di non stare
in mezzo ai piedi a casa. Pur di ricevere un boccone da
qualche parte, pur di non pesare a casa. Non era una città
per bambini, quella città di allora.
Il mondo che ho conosciuto, la natura che ho conosciuto,
l’ho conosciuta d’estate quando sbarcavo sopra un’isola
e allora lì avevo a che fare con le parole, che non capivo.
Le parole che riguardavano la natura non le capivo.
Bisognava che le imparassi in quel tempo dello stato brado
in cui un bambino veniva preso e lasciato agli elementi, a
inselvatichirsi, a scalzarsi subito per cominciare a formarsi
il callo sotto al piede, la seconda buccia della pelle che era
come quella del serpente. Quella di prima cadeva tutta
quanta a pezzi, a bolle, a piaghe. E poi si formava sopra,
invece, la seconda pelle, quella buccia di carrubo, che
resisteva, era più consistente, e che dava a quel bambino
l’esperienza della libertà e della natura.
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Quella natura non era lì per accoglierci. Era lì gigantesca,
potente, immensa. Se ne infischiava di noi, meravigliosa.
Ecco la bellezza che ho conosciuto da bambino, quella
bellezza fisica, buttata a profusione, scialacquata e anche
calpestata da noi. Quella bellezza gigantesca non era una
decorazione, un arredo di natura. Era una forza interna,
un’energia, la più potente energia di natura che stava
dentro le cose della natura, e spingeva, dal basso verso
l’alto. Tutta quella bellezza di quel Golfo, di quell’isola, di
quelle fumarole, di quelle insenature, tutta quella bellezza
era stata formata dalla potenza di cataclismi e catastrofi
gigantesche.
La bellezza era quella forza che aveva buttato tutto all’aria
e aveva lasciato quel residuo della potenza della sua energia
che era pronta a scatenarsi ancora. Perché abitavamo e
abitiamo sotto un vulcano attivo e catastrofico. Abitanti
d’azzardo di quel luogo.
La bellezza che ho conosciuto la dovevo conoscere lì.
Non dentro quella città, ma fuori. Appena sbarcato sopra
quell’isola. Le parole che riguardavano la voce mare, cielo,
stelle, le ho sapute da bambino, addosso, con gli occhi
spalancati, con tutti i pori aperti che ricevevano quelle
notizie, precise, inesorabili. Non le potevo più confondere
con niente quelle parole. Non erano più disegni, era quel
corpo gigantesco su cui stavo e che avevo intorno.
Dunque sono uno che viene da un mucchio di parole
a voce, dalle migliori parole a voce, e poi dalle parole
scritte. E la differenza era che c’era una lingua di mezzo.
In mezzo c’era il passaggio dal napoletano all’italiano.
L’italiano era quella lingua che mio padre voleva parlare,
in casa, e pretendeva che si parlasse in casa, con lui,
solamente senza accento. Ed era una lingua perciò
paterna, patria. Ecco, io non sono un patriota. Non
sono sensibile all’inno, alla fanfara, alla bandiera. Sono
un patriota della lingua. Quella lingua è la mia patria,
italiana. E nessun esilio può fare di me un apolide in
italiano. Io sono piantato dentro questa lingua e residente
dentro questa lingua italiana. Ci abito, l’ho voluta abitare
perché è stata la mia lingua seconda. La lingua dei libri,
di mio padre. La lingua che se ne stava zitta dentro i libri
e veniva parlata sottovoce in casa, con mio padre. Era una
lingua opposta al napoletano.
E perciò quando ho cominciato a scrivere le mie storie,
e ho cominciato presto a usare questo utensile per me
stesso, le dovevo scrivere in italiano. L’italiano era quella
lingua seconda che poteva accogliere le esperienze in un
tempo successivo, distante, anche fisicamente, in un altro
luogo, in un altro posto.
Poi leggo, da qualche parte, in un diario di Kafka, solo
più tardi: ‘ vedi ciò che hai visto’. Così è anche per me
nella scrittura. Solo più tardi posso scrivere quello che
mi è passato attraverso il corpo e l’esperienza. Non sono
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uno che riesce ad inventare granché, posso dire che non
invento quasi niente. Pesco, volentieri, e unicamente dal
tempo passato, dal tempo accaduto, con quel pizzico di
innesco elettrico che mi dà un ricordo.
Capita a noi tutti di ricevere la scossa elettrica di un
ricordo improvviso, ma, passa subito. Come la bellezza
di una sorpresa, come la scoperta di una verità, che è
entusiasmante nel momento in cui viene pronunciata e
subito dopo è già ovvia, appassita. Ecco il ricordo è così,
improvvisamene è emotivo, commuove e poi subito dopo
svanisce.
Ma ecco che uno che ha il tempo di afferrare quel ricordo
e di spenderlo per iscritto e di mettersi a scrivere quella
storia di quel momento, ecco che quel ricordo dura,
prosegue, si impianta. Diventa il luogo in cui il passato si
riconvoca, si trova un’altra volta insieme.
Ecco a me piace di trovarmi insieme a quelle persone
del passato. Più passa il tempo e più quelle persone sono
assenti. Finite chissà dove, disperse. Senza che io possa
stabilire una distanza da loro. Succede con i lutti come
per l’ergastolo, non scadono. Almeno a me succede così.
Più vivi e più ci resti. E per me, nei confronti dei lutti,
sono rimasto sempre al giorno 1, perché così sono i giorni
dell’assenza. Non si possono contare, non fanno numero.
Non hanno mucchio e non fanno spessore, almeno per
me.
Ma quello che non può fare l’esperienza, perché sono
incapace di questa stratificazione del tempo, lo può fare la
scrittura, per me. Con la scrittura io sto di nuovo, riesco a
stare di nuovo una seconda volta con quelle persone, con
quel tempo e raccontarlo. Certo non è una cronaca, non è
una riproduzione del tempo passato. È sempre un punto
di vista laterale, di uno che la sta raccontando dall’interno,
non la capisce neanche tanto bene. La vede dal suo punto
di vista, come la vedeva allora. E però mentre la riscrive,
mentre la fa accadere una seconda volta, perché questo
faccio quando scrivo una storia, la faccio accadere una
seconda volta, non ne posso cambiare i connotati, non
ho poteri di trasformazione dei passati. Neanche il buon
Dio lo può fare. Il passato non è trasformabile, non è
modificabile. Tranne che dagli storici… C’è un proverbio
polacco – i polacchi sono degli esperti in questo genere di
trasformazioni della storia – che dice proprio questo: ‘Da
noi solo il futuro è certo, il passato cambia sempre’.
Nei confronti di quel passato che faccio avvenire una
seconda volta e non mi posso prendere la libertà di
cambiargli i connotati e fargli fare un’altra fine, di
aggiungere una seconda fine, una variante, però posso
farla avvenire in maniera più concentrata, più densa, dove
le persone riescono a scambiarsi l’essenziale di quel tempo.
Tralasciando tutto quello che intorno c’era e faceva parte
della vita corrente, che sembrava anche importantissimo,
ma non era decisivo. Riesco a trattenere, semplicemente,
il resto.
Allora per me, questo tipo di scrittura, questi racconti che
faccio io, sono come quel residuo di cristalli di sale che
si trova in una pozza prosciugata, in mezzo agli scogli.
Tutta l’acqua della vita è evaporata. Ci rimane solo quel
residuo solido.
La scrittura per me è questo resto lasciato dalla vita che io
vado a raccogliere. Come uno che va dietro ai raccoglitori.
Uno che va a spigolare. La vita ha già mietuto e io vado
a raccogliere il resto. Se si tratta di una vigna, vado a
racimolare quello che è rimasto a terra. Il resto di quel
tempo passato.
Così faccio con le parole, uso le parole in questo modo
per farle diventare il posto dove il mio passato si rincontra
un’altra volta. E si scambia un’ultima stretta. Un’ultima
intenzione e intensità.
La parola è stata lo strumento con cui la divinità
monoteista si è decisa di stare nel Mediterraneo. Si è
andata a scegliere un piccolo buco nel Mediterraneo, un
angolino insignificante, secondario, laterale, al riparo
dalle grandi correnti e dalle grandi potenze della storia
di quel tempo. E lì è andata a piantare il suo seme arido,
secco, di parole.
Che cosa aveva quella divinità per sbancare il mondo
delle divinità di allora? Il politeismo più brulicante della
geografia umana stava nel Mediterraneo. Che aveva
quel monoteismo per spiantare tutti i culti precedenti?
Aveva la parola, parlava. Parlava continuamente. Aprite
quell’antico testamento, il verbo più abbinato al soggetto
divinità, ai nomi di Dio, è il verbo ‘dire’. ‘Disse’, ‘disse’…
Continuamente. È così importante quel verbo, che si
trova all’inizio della frase. Precede anche il soggetto.
Non importa il soggetto. In quel momento, importa la
comunicazione, il dire. La volontà di trasmettere.
Quella divinità si mette a parlare. Parla anche quando
non c’è nessuno. E tutti i giorni della creazione sono
preceduti dalle parole della divinità perché quelle parole
servono alla divinità come utensile per fare avvenire il
mondo. Il mondo avviene con quelle parole. Non basta
che le pensi o che le desideri, che le voglia. Le deve dire, le
deve pronunciare. È il dire della divinità che precede tutti
gli atti della creazione, anzi sono l’atto della creazione. Al
momento in cui lo dice, la creazione avviene.
E allora là sopra quella scrittura sacra del monoteismo sta
collocata la funzione più alta che la parola possiede, quella
di diventare immediatamente fatto compiuto, opera
realizzata. Quella parola della divinità fa avvenire le cose.
I profeti, con le loro parole, non fanno delle previsioni del
tempo, ma mettono un’urgenza dentro al futuro perché
si compia in quel modo. L’annuncio di un messaggero a
una donna sterile non è semplicemente un buon augurio
ma è direttamente la fecondazione di quel grembo chiuso.
Quelle parole fanno avvenire la vita e il mondo.
Ecco perché in quella lingua, e solo in quel vocabolario,
esiste un termine che vuol dire sia ‘parola’ che ‘cosa
compiuta’. Legate dentro un solo termine. Solo in quella
lingua può esistere questa cosa perché lì questa divinità ha
raggiunto la sintesi più alta di quello che può combinare
una parola. Fare avvenire le cose, immediatamente, sotto
la sua pronuncia.
E quel popolo ha conservato nelle sue scritture qualcosa
che dice così: ‘finché le parole sono nella tua bocca, tu
sei il loro signore. Quando escono dalla tua bocca, tu sei
il loro servo’. Questo è quello che mi auspico dal futuro.
Che le parole riescano a portare questa responsabilità. Di
reggere le cose, di fare avvenire le cose”.
Erri De Luca
Scrittore, giornalista, traduttore, ha svolto diversi lavori tra Africa, Francia e Italia
come operaio, muratore, studiando da autodidatta lo yiddish e l’ebraico, traducendo
alcuni testi della Bibbia.
Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989); Una nuvola come tappeto
(1991); Aceto, arcobaleno (1992); In alto a sinistra (1994); Alzaia (1997); Tu, mio (1998);
Tre cavalli (1999); Montedidio (2001); Il contrario di uno (2003); Mestieri all’aria
aperta (con Gennaro Matino, 2004); Solo andata (2005); In nome della madre (2006);
Almeno 5 (con Gennaro Matino, 2008); Il giorno prima della felicità (2009); Il peso della farfalla (2009); E disse (2011); I pesci
non chiudono gli occhi (2011); Il torto del soldato (2012).
Ha curato, sempre per Feltrinelli: Esodo/Nomi (1994); Giona/Ionà (1995); Kohèlet/Ecclesiaste (1996); Libro di Rut (1999); Vita
di Sansone (2002); Vita di Noè Nòah (2004) e L’ospite di pietra di Puškin (2005). Per Giuntina, Le sante dello scandalo (2011)
Per Drago Edizioni, A piedi, in bicicletta (2012).
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ZOOM
In occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa
di Enrico Mattei pubblichiamo un’intervista a Lucia Nardi,
Responsabile Attività culturali ENI, che ripercorre le tappe
principali della nascita e dello sviluppo del modello ideato
dall’allora Presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi
per le nuove stazioni di servizio Agip, contraddistinte
dall’inconfondibile marchio del cane a sei zampe. Esempi
di progettazione e marketing che hanno contribuito a
trasformare il modo di viaggiare in automobile negli anni
del boom economico.
Il famoso cane a sei zampe, marchio dell’Agip e oggi
dell’Eni, chi l’ha pensato e come è nato?
Agli inizi del 1952 – quando ormai la nascita di Eni
è certa – Enrico Mattei, non ha ancora un logo per
due prodotti di punta della sua azienda, la benzina
Supercortemaggiore e la bombola Agipgas. Ben cosciente
di dover risolvere questa mancanza, decide di fare un
investimento economico importante per l’epoca: un
concorso con un montepremi di dieci milioni di lire
per i due marchi dei relativi cartelloni pubblicitari
e la colorazione della colonnina di distribuzione del
carburante.
Mattei stabilisce in prima persona – come è solito fare
– le modalità di svolgimento del concorso, i tempi, i
premi, persino la giuria. Nell’aprile del 1952, dopo un
rapido consulto con Alberto Alì e Marcello Boldrini, il
bando è pronto. Nel maggio viene pubblicato sulla rivista
Domus, allora diretta da Gio Ponti, considerata la rivista
di architettura e arredamento più importante in Italia.
Il bando fissava al 31 luglio 1952 il termine ultimo di
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presentazione delle opere secondo una serie di requisiti
standard: per i cartelloni, era necessaria una misura di
100 centimetri per 70, la consegna su superficie rigida
e un motto. Per i marchi, un foglio ripiegato di 40
centimetri per 20 contenente all’interno il marchio a
colori e in bianco e nero.
La giuria vanta un parterre di grande qualità: oltre a due
rappresentanti dell’Agip e al segretario Dante Ferrari,
giornalista, compaiono Mario Sironi, pittore e parte attiva
del gruppo Novecento, Mino Maccari, incisore che ha
animato con i suoi disegni numerosi periodici tra i quali
la rivista aziendale Eni “Il Gatto Selvatico”, Gio Ponti
architetto e designer cui sarà affidata successivamente la
progettazione di alcuni oggetti d’arredo dei MotelAgip,
Antonio Baldini, scrittore e presidente in quegli anni
della esposizione Quadriennale d’Arte di Roma, e
Silvio Negro, giornalista e curatore di numerose mostre
fotografiche.
Tra il maggio e il luglio del 1952 arrivano alla segreteria
del concorso oltre 4.000 elaborati. Il numero dei
partecipanti, i continui impegni dei giurati, impediscono
alla commissione di esprimere un verdetto in tempi
rapidi. È soltanto l’8 settembre infatti che la commissione
giudicatrice (ad eccezione di Gio Ponti che non riuscirà a
rientrare in tempo da un viaggio di lavoro in Argentina)
si decide finalmente a dare avvio ai propri lavori.
Un resoconto dettagliato di questa operazione ci racconta
un vero tour de force: il primo giorno la giuria lavora
ininterrottamente fino alle 21.30. Il giorno successivo
fino alle venti e quello ancora dopo fino alle 1.30 della
mattina. Alla fine una votazione che il verbale sottolinea
Foto © Archivio storico ENI, Roma
Le stazioni
di servizio Agip
Il modello
di Enrico Mattei
Foto © Archivio storico ENI, Roma
“a grande maggioranza” dichiara i vincitori. Per il
cartellone Supercortemaggiore – che di lì a poco invaderà
le strade italiane – viene prescelto il cane a sei zampe dello
scultore Luigi Broggini (presentato tuttavia al concorso
dal milanese Giuseppe Guzzi) accompagnato dal motto
“3X3”, per il cartellone Agipgas il bozzetto del veneziano
Enzo Rota, per il marchio Supercortemaggiore, il
bozzetto presentato dai due artisti Carlo Dradi e Fulvio
Pardi (anche se Giuseppe Guzzi viene nuovamente scelto
e si piazza al terzo posto), e infine per il marchio Agipgas
quello del torinese Egidio Matta. Molto si è detto sulla
storia del cane a sei zampe.
Nelle numerose biografie dedicate negli anni al presidente
di Eni si è spesso creato leggende attorno al marchio.
In realtà i verbali del concorso e la ricostruzione della
sua storia sfatano una volta per tutte il racconto che il
cane di Broggini non avesse vinto alcun concorso e che
Enrico Mattei l’avesse personalmente ripescato tra gli
esclusi. Sfatano anche, una volta per tutta, l’altra storia
spesso riportata, che il cane avesse originariamente 4
zampe e che Enrico Mattei ne avesse fatte aggiungere
altre due, con un sorprendente tocco di fantasia e
originalità. Non è neanche vero, tuttavia, che Enrico
Mattei fu completamente ignaro rispetto a quanto si
andava decidendo sul marchio. Se è vero infatti (e molte
persone del suo entourage di allora lo confermano) che al
presidente di Eni il cane, la sua forma strana e aggressiva,
le sei zampe, la colorazione forte, la fiamma rossa
piacevano eccome, è altrettanto vero che ebbe una parte
per niente marginale nel decidere di utilizzare questa
grafica non solo per i cartelloni pubblicitari ma anche
per il marchio. Già alla fine del 1952 infatti, il cane a
sei zampe rappresenta “la potente benzina italiana” sulle
pagine dei principali quotidiani e su molte riviste di vario
contenuto, a tiratura nazionale.
Questo marchio ha identificato tutte le stazioni di
servizio Agip. Quali i professionisti coinvolti nel
progettarle con le regole di Mattei?
L’investimento nell’immagine non si ferma all’ideazione
di loghi e cartelloni, ma abbraccia un’idea di reinvenzione
assai più vasta. Contemporaneamente alla ricerca di nuovi
strumenti pubblicitari viene messo a punto anche un
progetto per una stazione di servizio tipo. Nel giugno del
1953 Mattei informa i suoi collaboratori dell’introduzione
di nuove architetture per la rete stradale.
L’incarico di elaborare un progetto tipo viene assegnato
a Mario Bacciocchi, architetto milanese, su incarico
personale di Mattei, probabilmente in virtù di una
pluriennale amicizia e un rapporto di fiducia. L’architetto,
oltre a mettere a punto i prototipi delle stazioni di servizio
è impegnato per l’ente anche nella progettazione della
sede amministrativa e direzionale con annessi quartieri
residenziali e infrastrutture per i dipendenti, Metanopoli,
ubicata alle porte di Milano.
L’elemento distintivo che maggiormente caratterizza
la stazione di servizio di Bacciocchi – anche detta “la
Bacciocca” – è la sua copertura aggettante sviluppata
in un pezzo unico in calcestruzzo, partendo dalla
parete retrostante che funge da contrappeso e dispone
di una sua corta pensilina retrostante. La copertura poi
si estende in una pensilina che si getta sia in avanti che
in alto, finendo con una piega verso li basso. Lo slancio
dinamico della vistosa copertura rende immediatamente
riconoscibile la costruzione, diventando una sorta di
“marchio architettonico”.
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ANNO IV
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Per le prime stazioni quali i progetti scelti e gli autori?
Fino al 1968 i progetti sono sempre firmati da Bacciocchi:
vengono realizzate tuttavia 13 varianti dello stesso
modello che vanno dal più semplice, la sola pensilina,
passando dalle varie dimensioni (piccolo, medio, grande)
del chiosco con o senza pensilina, della stazione di
rifornimento fino ad arrivare alla stazione di servizio.
Con il crescere della dimensione, anche i servizi diventano
più articolati: accanto a quelli strettamente inerenti
all’automobile come grassaggio, lavaggio e officina, sono
“di serie” anche telefono, wc, bar, tabacchi, tavola calda
fino al “RistorAgip”; nelle stazioni di servizio grandi è
prevista anche una abitazione per il gestore.
Il fabbricato è rivestito di strette mattonelle con profilo
in rilievo in ceramica color avana; sulla piccola pensilina
retrostante è installato un box luminoso con la scritta
“Agip”, mentre la curvatura finale verso il basso funge
da display per la scritta “Supercortemaggiore”. Solo dal
1960 al nome di Bacciocchi si unisce quello del grafico
Marcello Nizzoli, autore insieme con Mario Oliveri
anche del primo palazzo uffici a Metanopoli, che disegna
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un nuovo tipo di erogatore. Il nuovo erogatore Nizzoli
disponeva di un display dagli angoli arrotondati ed è più
basso e compatto rispetto alle colonnine in uso allora,
conferendogli un’immagine più al passo con i tempi.
Quali le particolarità di questi progetti e, più in
generale, quale il “modello”, pensato da Mattei, che poi
si è affermato?
L’unico modello che si afferma è il “modello Bacciocchi”.
La possibilità di integrare una serie di attività intorno al
rifornimento rappresenta una rivoluzione copernicana
per l’Europa (mentre negli States era già diffusa). La
predisposizione al customer service contribuisce a dare il
via a quella trasformazione della valenza simbolica della
stazione di servizio che si esprime anche semanticamente
nel passaggio dalla “stazione di rifornimento” alla “stazione
di servizio”, dal luogo di utilità ad un luogo di piacere
basato sul consumo, diventando così un vero e proprio
simbolo del boom economico. Un concetto commerciale
questo che l’Agip incarna non solo al meglio, ma anche
come una delle prime compagnie petrolifere in Europa.
Foto © Archivio storico ENI, Roma
Uno dei primi modelli di stazione Agip progettati dall’architetto
Mario Bacciocchi, 1953
Foto © Federico Patellani
Oltre agli aspetti progettuali quali le principali
innovazioni in termini di “filosofia” e servizi nelle nuove
stazioni?
La filosofia alla base di tutte le stazioni Agip è stata
senza dubbio quella dell’attenzione al cliente, oggi si
chiamerebbe con un termine di marketing, customer care.
Il customer care se possibile va persino oltre il customer
service, è letteralmente l’attenzione ai bisogni e alle
necessità dell’automobilista. Per Mattei il rifornimento
doveva essere solo una delle attività possibili. La
trasformazione delle aree di rifornimento carburanti
in aree di “servizi” segna così l’inizio di una nuova era
dove la sosta rappresenta un momento piacevole per
l’automobilista che può usufruire delle opportunità
offerte da motel, bar, ristoranti, piccoli market, officine
di riparazione.
Per perfezionare questo servizio al cliente l’azienda
costituisce anche un severo regolamento per la gestione
degli impianti di rifornimento. Memorabile è la scena del
film di Francesco Rosi “Il caso Mattei” in cui il presidente
Eni si infuria con il personale di un impianto Agip in
Sicilia trovato da lui in cattive condizioni, rimproverando
loro per il danno così apportato all’immagine dell’Agip.
Per recuperare lo svantaggio delle altre società petrolifere
anche in campo della formazione dei propri addetti alle
pompe, l’ente decide di istituire a Metanopoli una scuola
professionale per i gestori. Il materiale formativo viene
edito nelle più svariate lingue, dall’inglese all’amarico,
per i gestori che arrivano a Metanopoli dai lontani
paesi in cui è attiva l’Agip. Per stimolare il senso di
appartenenza alla “grande famiglia” e per perfezionare
il customer care viene distribuita inoltre una rivista con
l’eloquente titolo “Buon lavoro, amici!”, che informa i
gestori su eventi aziendali e fatti tecnici, dispensa consigli
per un buon rapporto con il cliente e per l’abbellimento
floreale dell’impianto. La rivista continua ad esistere fino
Stazione di servizio Agip con servizio di assistenza stradale. Roma,
Ponte Libertà, 1959
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ad oggi sotto il titolo “Professione gestore”. I numerosi
servizi rappresentano il fiore all’occhiello dell’Agip e
un surplus nel confronto dei concorrenti, necessario
per poter tenere testa nella competizione della corsa al
cliente con le compagnie petrolifere estere dominanti sul
mercato italiano
Dalle stazioni di servizio ad una catena di Motel il
perché di questa evoluzione e quali furono i progettisti?
Le aree di servizio negli anni Cinquanta divennero presto
punti di ristoro e di svago, non solo per gli automobilisti.
Vi erano ristoranti e bar per chi volesse trovare conforto
nei viaggi più lunghi e addirittura furono creati dei motel:
i motelAgip (il primo fu realizzato a Metanopoli).
I motelAgip, sempre a firma di Bacciocchi e poi anche
di Nizzoli, erano delle strutture accoglienti ideate per chi
viaggiava per strada e aveva bisogno di sentirsi a casa. Mattei
sapeva che alla motorizzazione e al nuovo movimento
turistico non corrispondeva una attrezzatura alberghiera
adeguata. Particolarmente scarso di attrezzature era il
Mezzogiorno, verso il quale invece si stava indirizzando
una notevole parte del turismo motorizzato.
Questa è la ragione per cui si optò anche in Italia per la
diffusione di motel soprattutto se dislocati in zone poco
conosciute e suggestive. I piccoli edifici, generalmente
lontani dai centri abitati, dovevano permettere alle
macchine e ai viaggiatori una sosta altrimenti impossibile.
Senza raggiungere la diffusione e le proporzioni dei
villaggi per automobilisti americani, anche i motelAgip
potevano assolvere una importantissima funzione,
rendendo veramente accessibili località che finora erano
rimaste escluse dai principali itinerari. Tutto era studiato
e curato nei minimi dettagli, il servizio Agip era il meglio
che l’italiano e lo straniero potessero trovare lungo lo
Stivale. Le nuove aree di servizio erano concorrenziali
anche nei prezzi, imposti per tutti i gestori, non solo della
benzina Supercortemaggiore, ma anche del caffè al bar e
delle stanze dei motel che praticavano il prezzo di un tre
stelle pur appartenendo alla categoria dei quattro stelle.
Veduta del Motel Agip. Firenze, Italia, 1963
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Foto © Archivio storico ENI, Roma
ANNO IV
PROTAGONISTI
Ugo Filippini
Geometra
racconta
i suoi progetti
Nato nel 1931 a Brescia, ho abitato, fino al 1962, nel pieno
degli anni del “boom”, al Quartiere Leonessa, in quella
che al tempo era la periferia sud di una città in piena
espansione. Un quartiere costruito in periodo fascista per
i dipendenti del Comune. A quel tempo il progettista si
ispirò vagamente alle opere di architetti viennesi di fine
Ottocento.
Dopo gli studi di fanciullezza, l’approdo all’Istituto per
Geometri “Niccolò Tartaglia” per gli studi superiori. Il
Diploma arriva nel 1951 a conclusione degli esami di
Stato all’Itg “De Simoni” di Sondrio. Tempi difficili,
quelli del dopoguerra, in un Paese che faticosamente
cercava di uscire dal dramma delle conseguenze, umane
e materiali, del conflitto mondiale. Difficile ottenere un
posto. Così cominciò la trafila “sofferta” come Geometra
responsabile di cantiere, alcuni dei quali gestiti dal
Ministero dei Lavori Pubblici. Fra questi, i lavori per la
realizzazione di una strada a nord del Vittoriale degli
Italiani, a Gardone Riviera, per il collegamento con la
periferia di Salò. I lavori per il raccordo furono diretti dal
sottoscritto e portati a termine.
Fu poi la volta dei lavori di allargamento di due
principali vie, nel nucleo antico di San Felice del Benaco;
con la demolizione di parte dei vecchi edifici e la loro
successiva riedificazione più arretrata. Tempi duri, con la
consapevolezza che con i suddetti lavori si acquisiva poco
o nulla al fine della professione.
Il giro d’orizzonte si focalizzò orientandomi verso lo
Studio del Geometra Luigi Paterlini, a quel tempo noto
nella città del Cidneo. Venni assunto e vi rimasi fino al
1962. Gettai, così, le basi della professione con l’ausilio e il
conforto saldo e sodale della serietà e professionalità dello
stesso Paterlini, figura integerrima e speciale, cui devo
moltissimo. Un maestro che non si dimentica, divenuto
tra l’altro, Segretario e Presidente del Collegio di Brescia.
Negli anni a seguire, l’avventura della libera professione,
durata fino al 2010. Agli inizi, lavorai con un Architetto
realizzando con lui un palazzetto a Lumezzane, grosso
centro industriale della Valle Trompia. Ancora, per un
piccolo complesso industriale a Collebeato, alle porte di
Brescia e infine ad una piccola chiesetta posta sulla vetta
del Monte Maddalena, la montagna dei bresciani.
In seguito, l’avvio di uno Studio con altri due professionisti,
un Ingegnere e un Architetto, e il ritorno al mio “studiolo
anomalo-anonimo” in quel di Bovezzo, che mi lasciava
vedere l'esterno da una piccola finestra con grata.
Non ho mai ambito ad avere uno Studio importante e,
men che meno, rappresentativo. Ho seguito sin qui quello
che l’istinto mi ha dettato. Ho sempre pensato che la
professione non fosse duro lavoro, bensì passione, piacere
di lavorare, di sperimentare e di conoscere, valori che
ancora non sono sopiti.
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Villa a Memmo di Collio - Alta Val Trompia
Progettata e realizzata agli inizi della libera professione
(1962) su incarico di un piccolo artigiano.
La Villa sorge su un poggio prospiciente una piccola
piazza di un modesto agglomerato di case di montagna.
Il proprietario, con mia meraviglia, fece scrivere a grandi
lettere ed in dialetto: “La Cà de Memm”. Forse voleva
minimizzare l’intervento nei confronti della gente
montanara.
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Ville a Salò - Frazione Villa
Progettate e costruite verso i primi anni ‘70, per conto di
un’Agenzia Immobiliare di Salò.
Le unità furono due e simili.
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Ville a San Felice del Benaco
Progettate per un numero di tre unità simili,
nel 1972 ed ultimate dopo oltre un anno, con
iniziativa immobiliare di mio fratello.
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Ville a Moniga del Garda
Costruite verso il 1974 ed ultimate poco dopo, per conto
di due fratelli commercianti con negozi in Brescia.
I progetti di tutte le Ville furono condizionati dalla
necessità di adattare sistemi costruttivi tradizionali del
tempo.
Progetti che dovevano passare al “vaglio” della
Soprintendenza dei Beni Culturali e del Paesaggio di
Milano, ove spesso ci si doveva recare per discuterli.
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Breve descrizione delle caratteristiche costruttive delle
Ville illustrate
Le camere ed i servizi, furono studiate secondo dimensioni
minime (erano per lo più seconde case, o meglio case per
vacanze o per fine settimana).
In ogni soggiorno pranzo, con la realizzazione di una
zona soppalcata, è stato facile, mediante il vuoto creatosi
su tali zone, mettere in evidenza la struttura della
copertura lignea all’interno, oltre a percepire all’esterno e
caratterizzare il volume e la sagoma di ogni unità.
Le strutture verticali furono prevalentemente in laterizio
porizzato; le tramezze interne in semplice laterizio.
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La Villa di Memmo ha la base in pietra locale lavorata a
spacco di cava. Con fuga vuota. Il soppalco di ogni villa
era composto da un piano di calpestio in doghe di larice
larghe e stagionate; affrancate alla grossa orditura portante
di travi squadrate d’abete. Le pareti esterne furono per lo
più tinteggiate bianche a base di calce. Gli infissi esterni
ed interni colorati con pigmenti “noce chiaray”, come la
struttura a vista della copertura.
Nella Villa di Memmo, per il clima rigido d’inverno,
furono posti in opera infissi esterni “accoppiati” tipici
dell’ “Ampezzano”. I vetri doppi o vetro-camera, tipo
“Termopan”, non erano ancora stati inventati.
Complesso a Brescia in via Gualla
Progettato sempre all’inizio della professione, era il 1963,
e terminato alla fine del 1965. Non possiedo alcun grafico
della progettazione tranne una prospettiva del complesso
che fu edificato solo nel corpo a sinistra.
A tutte le facciate fu applicato, per la prima volta a Brescia,
un “rivestimento plastico”, che poi alla fine non si rivelò
adatto perché poco traspirante.
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Tecna – Corpo Direzionale in Zona industriale a Brescia, in
via G. Di Vittorio
La progettazione iniziò nel 1980 e successivamente ci fu
l’edificazione. La destinazione industriale era ed è tutt’ora
di “Trattamento termico” di materiali acciaiosi. All’inizio
era composto da tre capannoni con struttura metallica
ciascuno di mt. 18,00 x 80,00, con in testata il corpo
uffici in muratura e c.a.
Il tutto crollò con la nevicata del 1985. Rimase intatto il
corpo uffici al rustico, che venne completato con i servizi
degli operai e la loro mensa nel 1990, unitamente alla
realizzazione di un “giardinetto zen”.
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Tecna corpo direzionale
Giardino zen nell'interno della zona uffici
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Il design degli interni
Non ho mai trascurato la sistemazione distributiva degli
arredi che ho sempre fatto realizzare su miei disegni con
molta cura dei particolari, dei materiali e delle scelte
cromatiche.
Negozio “AMICA” sul Corso Palestro a Brescia
Realizzato nel 1975, “AMICA” negozio di calzature con
delle strutture espositive, corpi illuminanti e particolari
soluzioni che suscitarono molto interesse e che ancora
oggi sono di attualità.
Cascinetta a Carzano di Monte Isola – Lago di Iseo
La progettazione avvenne nel 1990 e l’opera completata
verso il 1992.
La “ex cascinetta” si insedia, se pur su un'isola di
lago, in una vasta area di proprietà caratterizzata da
numerosi terrazzamenti, realizzati nel tempo, con muri
sapientemente costruiti con pietre a secco contornati da
ulivi ed altre essenze spontanee.
Il piccolo edificio si presentava in stato di abbandono da
alcuni anni e subito si valutarono le numerose difficoltà,
fra le quali la impervia dislocazione e gli onerosi trasporti
laustri che si sarebbero dovuti affrontare per una seria
ristrutturazione.
Con distanze notevoli da realizzare, si portarono tutti i
servizi essenziali.
Si sottopose il piccolo progetto alla Soprintendenza dei
Beni Ambientali della Lombardia, ricadendo Monte Isola
in zona di notevole interesse paesistico.
Si procedette all’attento restauro delle antiche strutture
murarie in pietra, esterne ed interne, che erano in lento e
progressivo disfacimento, con particolari intonaci a base
di calce purissima. L'intervento edilizio non ha alterato
che in minima parte le originarie strutture murarie, non
ha modificato la dimensione né tantomeno la sua sagoma.
L'umile antica opera è servita da suggerimento nella
elaborazione del progetto. Si sono mantenuti i livelli
preesistenti dei piani: quello “alto” e quello “basso”,
mettendoli in comunicazione con una scala lignea.
Al piano “basso”, scavando in roccia, è stata realizzata una
stanza per comporre compiutamente l'unità abitativa.
L'angolo di roccia affiorante nella piccola stalla è stato
ripulito e messo in risalto nella nuova camera matrimoniale.
La rustica ed appena accennata forometria bifora, un
tempo realizzata per arieggiare il piccolo fienile, ha dato
l'idea per creare ampie vetrate fisse, nel nuovo soggiornopranzo, quasi a farvi entrare il lago sottostante e le
montagne circostanti.
Stessa veduta si gode dal piccolo soppalco, la cui balaustra
avvolta con reti da pescatore, lascia intravedere la totale
realizzazione
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Soppalco con balconata avvolta con rete da pesca
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Diverse e tante sono state le opere realizzate sui miei
progetti e pubblicate su riviste del settore. “Dentro Casa”
dedicò un servizio dell'Arch. Stefania Vanoglio sulla
ristrutturazione da me progettata e diretta di un rustico
a Montisola (Brescia) di cui avevo curato anche il design
degli interni. La stessa rivista pubblicò un servizio sulla
“Cascina Zabelli”, le cui soluzioni progettuali ed anche di
sistemazione interna avevano valorizzato un appartamento
all'interno di un vecchio complesso agricolo.
Avrei da raccontare ancora... altri progetti, ma sono molto
contento di vederne pubblicati taluni su Geocentro, il
magazine della mia categoria professionale. Non posso
invece non raccontare di aver partecipato tempo fa ad una
Mostra Fotografica Regionale organizzata dalle Acli di
Brescia e dal Cinefotoclub sul tema “Il lavoro umano” e di
aver vinto il Primo Premio con questa foto che sintetizza
l'attività del Costruire che alla base ha il Progettare.
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AUTORI
“Il calcolo rapido
della trave continua”
Renato Scassa
Geometra
Nel dicembre del 1971, il Prof. Ingegnere Giovanni
Battista Ormea, Docente dell’Università di Cagliari,
scrisse nella presentazione:
“L’opera tratta i sistemi iperstatici con notevole semplicità
di forma, con appropriato linguaggio tecnico e razionale
continuità d’esposizione.
Dopo alcune premesse, sulla deformazione delle travi e della
relazione fra momenti flettenti e linea elastica, l’autore
riporta alcuni teoremi di geometria differenziale sui quali si
appoggia la scienza delle costruzioni.
Le premesse che tendono a chiarificare la netta distinzione
che esiste fra le travi vincolate iperstaticamente, e quelle a
semplici vincoli statici, sono esposte in forma molto chiara,
accessibile anche a chi non ha profonde cognizioni della
materia.
Il raffronto fra le formule analitiche e risultati grafici
mediante l’applicazione di Mohr è molto indovinata e tende
ad illustrare il procedimento analitico col quale si è giunti ai
risultati finali, i quali trovano applicazione in una casistica
veramente pregevole e forse unica nei testi di costruzione
inquantochè tutti gli schemi possibili di travature sulle varie
ipotesi di carico sono riportati nell’opera.
Alle formule generali corrispondenti ai vari esempi, vengono
aggiunte appropriate Tabelle, nelle quali in funzione dei
rapporti fra le variabili interessate, è facile ottenere momenti
flettenti e sforzi di taglio nelle varie sezioni delle travi.
Il lavoro è nuovo nel suo genere, perché estende i dati in un
campo che altri trattati consimili non contemplano.
Dal punto di vista pratico l’opera costituisce un ottimo
formulario di consultazione e certamente interesserà molti
progettisti”.
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Questa Rubrica presenta testi i cui autori sono Geometri
che, nel corso degli anni, hanno contribuito e contribuiscono
a diffondere la cultura tecnica nei diversi campi.
Il testo di 155 pagine, stampato dalla E.C.C.E. (Edizioni Centro
Calcoli Elettronici) di Castell’Alfero d’Asti, nel 1976, grazie al
contributo nella spesa del Collegio dei Geometri di Asti, contiene: 25
Tavole; 24 Tabelle con 55.000 coefficienti precalcolati; 198 disegni
e schemi; 52 esercizi per le più svariate condizioni di carico, per
qualsiasi numero di campate, per qualsiasi condizione di vincolo
photo©shutterstock.com/Losevsky Photo and Video
Prefazione dell’Autore Renato Scassa
“I progressi scientifici della ricerca da un lato e quelli
tecnologici dall’altro, hanno collaborato strettamente
per porre in atto, in questi ultimi tempi, nuove teorie
di calcolo e la disponibilità di materiali dotati di più
spiccate e sicure prestazioni.
Il calcolatore aggiornato sulle nuove teorie e sulle
caratteristiche degli attuali materiali disponibili,
ha, pertanto, la possibilità di realizzare strutture
notevolmente più economiche che in passato e dotate di
un adeguato grado di sicurezza anche nel tempo.
Queste possibilità rivestono oggi carattere di capitale
importanza, specie nel nostro Paese ove è in corso una
preoccupante crisi economico-produttiva che potrà
essere superata soltanto se da parte di tutti, ciascuno
nel proprio campo di azione, si porranno in atto tutte
le provvidenze atte a ridurre i consumi e ad evitare
gli sprechi. Questo asserto è valevole, ed in modo più
sentito ed accentuato, anche nel settore delle costruzioni.
È intuitivo che l’applicazione delle nuove teorie e dei nuovi
procedimenti nel campo della statica delle costruzioni
in un rapporto con l’adozione di materiali a più alte
prestazioni, impongono una maggiore cura e precisione
del calcolo e l’abbandono di quelle approssimazioni
di comodo molte volte adottare in passato fidando sui
larghi margini di sicurezza insiti nell’altrettanto largo
spreco di materiali.
Nella giusta considerazione dell’apporto di economia
offerto dalla continuità delle moderne strutture
che, attraverso a questa continuità, sono chiamate a
collaborare l’una con le altre nel migliorare le prestazioni
statiche del complesso, lo scrivente ha ritenuto che
rivestisse particolare interesse il calcolo delle strutture
iperstatiche in genere e quello della trave continua in
particolare.
Per tale ragione, nella convinzione di fare cosa utile al
calcolare di strutture e di schemi statici, è stato concepito
e redatto questo volume.
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Tenuto presente che nel calcolo delle strutture
iperstatiche e delle travi continue si intrecciano infinite
combinazioni di geometria differenziale con elementi di
meccanica applicata dalla cui azione combinata derivano
le sollecitazioni cui vanno soggette le singole strutture;
avuto inoltre debito riguardo al fatto che tali intrecci
ed azioni combinate impongono al calcolatore una
continua ponderazione e valutazione che, prolungata
può determinare stanchezza e rischi di errori materiali
e concettuali; lo scopo che si è prefisso l’opera è stato
quello di trasformare un affaticante calcolo ponderato
in un semplice e piano calcolo meccanico guidato, nel
quale sia facile e rapido il raggiungimento del risultato
finale.
Nella prima parte del volume sono esposti in modo conciso
i principi teorici riguardanti le strutture iperstatiche, ivi
compreso il Teorema di Mohr e conseguente corollario
da cui deriva l’equazione di Clapeyron dei tre momenti
mercè la quale, note le condizioni di carico e le luci
delle campate nonché le condizioni di vincolo delle due
estremità della trave continua, è possibile calcolare i
momenti negativi su ogni appoggio. Per questa prima
fase del calcolo sono indicate formule risolutive per
le più svariate condizioni di vincolo e, tenuto conto
della possibile sommatoria degli effetti, di ogni più
varia condizione di carico. Apposite Tabelle offrono
coefficienti destinati ad abbreviare i calcoli relativi.
Per la seconda fase del calcolo diretta alla ricerca degli
sforzi di taglio alle estremità sinistra (A) e destra (B) di
ogni campata, dell’ascissa nella quale il taglio si azzera
ed il momento di campata raggiunge il valore massimo
ed il valore di questo momento massimo, in apposite
Tavole, ciascuna inerente ad una data condizione di
carico, sono riportate le formule la cui risoluzione porta
alla conoscenza degli elementi sopracitati.
Anche in questa fase il calcolo è reso facile e rapido
dall’introduzione nelle formule di numerosi coefficienti
W contenuti in estese Tabelle nelle quali i valori dei
detti coefficienti sono funzione di alcune variabili che
rispecchiamo le condizioni di carico.
Completa l’opera una serie di oltre 50 Esercizi destinati
ad offrire la dimostrazione pratica dell’impiego sia delle
numerose formule che delle Tabelle, dei Coefficienti e
delle Tavole.
Nella speranza che il volume offra effettivamente al
calcolatore quei servigi che sono stati oggetto delle
intenzioni del compilatore e che, pertanto, riveli la
sua utilità a favore di più accurati calcoli statici circa
le sollecitazioni che investono le strutture costruttive,
lo scrivente sarà grato a quanti vorranno segnalare
eventuali manchevolezze o possibilità di perfezionamenti
e completamenti”.
Renato Scassa
Nato a Portacomaro (Asti) il 22.11.1902. Consegue nel 1923 il Diploma di Perito
Agrimensore presso il Regio Istituto Tecnico Giobert di Asti.
Iscritto nel 1940 al n°96 all'Albo dei Geometri della Provincia di Asti nel quale riveste
la carica di Consigliere dal 1959 al 1974.
Nel 1973 nominato Consulente dal Consiglio Nazionale dei Geometri presso il Consiglio Superiore dei LL.PP. per la
regolamentazione della legge sul Cemento Armato.
è autore anche dei seguenti testi: “Calcolo a rottura del cemento armato” (Sezioni rettangolari ed a T inflesse – 144 Tabelle
con 100.000 coefficienti precalcolati); “Nuove tecniche di calcolo e di esecuzione del cemento armato” (Teoria di calcolo
– Formulari – Tabelle – Tensione semplice – Pressione semplice – Pressoflessione – Tensoflessione – Flessione semplice –
Taglio – Torsione – Coazioni varie – Effetti termici – Ritiro – Flange – Fessurazione – Deformazione – Norme di corretta
esecuzione).
Iscritto nell'Albo d'Oro del Collegio dei Geometri di Asti. Conferita inoltre l'Onorificenza di “Cavaliere della Repubblica
Italiana”. Muore all'età di 90 anni.
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EDILIZIA
La sicurezza sul lavoro
per il committente
privato di lavori edili:
l’informazione
come fondamento
della sicurezza
Prima parte1
di Giovanni Piga
Quanto sia necessaria per qualsiasi tipo di società la
condivisione di regole tra i suoi componenti non può che
essere chiaro a tutti. Un sistema dove le regole sono certe e
condivise è fondamentale in particolare per le professioni
tecniche.
Questo è ancora più vero se ci occupiamo di sicurezza sul
lavoro, un campo in cui il rispetto delle regole insieme
con la scelta accurata di professionisti ed esecutori delle
opere può consentire di salvare vite umane.
In questo campo, tra coloro che più di altri sono stati
individuati come responsabili della corretta applicazione
di regole, generali e specifiche, necessarie per la salute dei
lavoratori e la prevenzione degli incidenti nei luoghi di
lavoro, troviamo il committente: il soggetto per conto
del quale l’intera opera viene eseguita, individuato dalla
giurisprudenza come perno intorno al quale ruota l’intero
sistema della sicurezza.
Tuttavia pur riconoscendo al committente questo
importante ruolo, norme cogenti e giurisprudenza, che
impongono ai professionisti e agli esecutori, dai vertici
delle imprese fino all’ultimo operaio, l’obbligo della
formazione, non tengono in considerazione il fatto che
1 La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata nel prossimo
numero di GEOCENTRO/magazine
la maggior parte dei committenti ben poco conosce di
sicurezza sul lavoro.
È come voler affidare la guida di un veicolo a una persona
che non solo non ha la patente, ma non ha neanche idea
di cosa sia il codice della strada.
Il problema non era certo sfuggito al legislatore, che
nella prima emanazione del Testo Unico sulla sicurezza
individuava progettisti e direttori dei lavori come
responsabili dei lavori ai fini della sicurezza.
Tutta una serie di ragioni, che qui tralasciamo di ripetere,
evidenziarono la difficile applicabilità di tale norma che
infatti con il decreto successivo fu modificata.
Informare il committente
È evidente, quindi, la necessità di rendere edotto il
committente dei suoi doveri in materia di sicurezza sul
lavoro e delle conseguenti gravi responsabilità sia legali
che morali che ne derivano.
Questo onere oggi purtroppo ricade quasi esclusivamente
sui tecnici, i quali, pur non essendovi tenuti, si fanno
carico di questo compito per venire incontro alle esigenze
dei propri clienti, ma non è raro che la disinformazione
e conseguente sottovalutazione dei problemi da parte del
committente sia causa di contrasti con i professionisti
incaricati, siano essi coordinatori o direttori dei lavori.
Quindi, dal punto di vista dei tecnici, interagire con un
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Il sistema per la salute e la sicurezza dei
lavoratori nei luoghi di lavoro
committente consapevole, con il quale poter avere un
confronto costruttivo ai fini di una corretta progettazione
e pianificazione delle opere, non può che costituire un
vantaggio.
Esiste inoltre una vasta tipologia di opere per le quali
non è necessario il supporto di alcun tecnico. In questi
casi si può sperare di raggiungere un livello accettabile di
prevenzione dei rischi solo affidandosi alla buona volontà
di committente ed esecutori dei lavori, sempre che siano
in possesso di una conoscenza almeno di base delle norme
relative alla sicurezza sul lavoro.
Quanto detto evidenzia l’assoluta necessità di evitare di
lasciare l’informazione dei committenti solo alla buona
volontà dei tecnici professionisti o al caso.
La guida per il committente
Si dovrebbe dunque informare il committente.
La guida che viene illustrata in queste pagine e che tratta
esclusivamente dei cantieri mobili di lavori privati, si
propone di offrire un contributo alla risoluzione di questo
problema.
La guida, pensata non solo per la “signora Maria” ma
anche per il “professor Giuseppe”, che non si sono mai
occupati di edilizia, può essere un valido aiuto anche per
70
il tecnico che si trovi nella necessità di dare informazioni
al proprio committente.
La pubblicazione è organizzata in cinque capitoli.
Il primo introduce in forma estremamente semplificata
i concetti e la terminologia specifici della sicurezza e si
conclude invitando a seguire il percorso della sicurezza,
oggetto del secondo capitolo, che guida il committente
passo dopo passo nell’individuazione ed esecuzione di
tutte le azioni e gli atti richiesti dalla normativa vigente.
Il terzo capitolo oltre ad approfondire alcuni dei concetti
precedentemente trattati, fornisce un riepilogo delle
sanzioni previste nel caso di mancato rispetto delle norme.
Gli ultimi due capitoli propongono alcune schede di
aiuto per l’esecuzione dei vari adempimenti e uno stralcio
delle norme del Testo Unico sulla sicurezza di maggiore
interesse per il committente.
Un committente informato
Scopo della guida è quello di informare il committente
ma nello stesso tempo di renderlo consapevole dei propri
limiti, in modo da fargli capire che, nel caso non fosse
in possesso delle conoscenze necessarie, non dovrebbe
prescindere dalla nomina di un responsabile dei lavori
tecnicamente competente quale è il Geometra.
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In questa sequenza sono
mostrate le pagine del primo
capitolo della guida, dedicato
ai concetti di base
Una opportunità professionale
Considerando le complesse competenze multidisciplinari
oggi necessarie nell’edilizia, questo ruolo potrebbe anche
svilupparsi e articolarsi per offrire un servizio più completo.
Con una specifica delega del committente e all’interno di
un programma di spesa concordato, il tecnico potrebbe
operare da un lato come responsabile dei lavori ai fini della
sicurezza, dall’altro come project manager che gestisce
72
scadenze, budget, approva materiali e impianti, verifica e
predispone le necessarie documentazioni.
Tutto ciò sarebbe senz’altro un servizio importante per il
committente ma non dovrebbe costituire un nuovo onere,
in quanto i compensi per questa attività potrebbero essere
recuperati dai minori costi per progettista e direttore dei
lavori, ai quali questo committente tecnicamente competente
faciliterebbe notevolmente il lavoro.
Una riflessione per il futuro
Osando con la fantasia si potrebbe anche pensare ad
una ulteriore estensione delle attribuzioni di questa
figura professionale, che assumendosi responsabilità di
certificatore, potrebbe fare da tramite tra i cittadini e
le amministrazioni pubbliche, garantendo gli uni e gli
altri sulla corretta applicazione della mole di norme che
gravano sull’edilizia.
Utopia? Forse. Ma questa figura professionale da
affiancare al progettista e al direttore dei lavori, non
sarebbe poi così difficile da realizzare e, opportunamente
normata, potrebbe snellire la burocrazia e risolvere tanti
problemi.
In questo momento di discussione sulle professioni è
necessario guardare al futuro sforzandosi di superare gli
schemi noti ed esplorando nuove possibilità.
Giovanni Piga
Nato nel 1954 a Lanusei, in Ogliastra, storica regione della Sardegna, consegue il
diploma di Geometra a Sassari nel 1973. Lavora per alcuni anni presso imprese edili.
Nel 1981 s’iscrive all’allora denominato Albo dei Geometri della Provincia di Nuoro
e inizia la libera professione occupandosi, anche in collaborazione con altri Studi, di
rilievi topografici, lottizzazioni di zone di espansione, progettazione e direzione lavori
di edifici di vario genere e importanza.
Dal 1996, con una struttura societaria, si occupa di comunicazione per aziende ed enti, didattica museale e archigrafia.
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MISURE
Il monitoraggio
dei vulcani attivi
di Danilo Reitano, Susanna Falsaperla - INGV OE
Catania
Giuliana D’Addezio – INGV Roma
L’Italia è un territorio ad alto rischio sismico e vulcanico.
La sua particolare posizione nel complesso sistema
geodinamico del Mediterraneo, ha dato origine a
sistemi di faglie attive responsabili di terremoti anche di
magnitudo elevata e di vulcani tra i più attivi al mondo.
In particolare, apparati vulcanici potenzialmente in
grado di produrre eventi eruttivi con pesanti ricadute
sociali sono presenti nell’area campana, con il Vesuvio e
i Campi Flegrei, e nell’area siciliana con l’Etna, le isole
Eolie e Pantelleria.
La differente composizione dei magmi di questi apparati
è responsabile dei diversi stili eruttivi, prevalentemente
esplosivi o eff usivi. Condizioni di attività persistente
con continuo degassamento e frequenti esplosioni
stromboliane e/o fontane di lava sono caratteristiche di
vulcani come l’Etna (Figura 1) e lo Stromboli.
La condizione di “quiescenza” determina, invece,
lunghi periodi di riposo durante i quali si rilevano
principalmente attività idrotermali e fumaroliche come
74
quelle attualmente osservate al Vesuvio, Campi Flegrei,
Vulcano e Pantelleria.
Sebbene possa essere intuitivo il pericolo del risveglio di
un vulcano a lungo quiescente e caratterizzato da attività
di tipo esplosivo, non vanno tuttavia sottovalutati i
gravi problemi derivanti anche da fenomeni eruttivi
apparentemente “minori” come le emissioni di cenere.
Ad esempio, in anni recenti le fontane di lava che hanno
interessato la zona craterica etnea – ben lontana dai centri
abitati pedemontani – hanno indotto la ripetuta chiusura
dell’aeroporto di Catania per l’abbondante emissione di
cenere, arrecando gravi disagi nonché perdite finanziarie
ingenti a causa della cancellazione dei voli.
In questa situazione di potenziale emergenza e
vulnerabilità riveste particolare importanza la presenza
sul territorio di un sistema di ricerca, monitoraggio e
sorveglianza che oltre allo studio e alla ricerca scientifica
sia in grado di fornire informazioni e interpretazioni su
fenomeni eruttivi di rilievo per la collettività.
photo©Alfio Amantia
Figura 1. L’Etna come appariva nel corso dell’eruzione del
novembre 2002. In primo piano è visibile l'osservatorio di Pizzi
Deneri a quota 2.950 m sul livello del mare
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
Nasce nel 1999 con l’obiettivo di raccogliere in un
unico polo le principali realtà scientifiche nazionali
nei settori della geofisica e della vulcanologia. Oltre
alla sede centrale di Roma, l’Ente si articola in sezioni
che operano in varie città italiane: Milano, Bologna,
Pisa, Napoli, Catania e Palermo. È attualmente la più
grande istituzione europea nel campo della geofisica
e vulcanologia e coopera con numerose università ed
altre istituzioni di ricerca nazionali e internazionali.
La missione principale dell’INGV è il monitoraggio e
lo studio dei fenomeni geofisici nelle due componenti
fluida e solida del nostro pianeta.
All’INGV è inoltre affidata la sorveglianza sismica del
territorio nazionale e delle zone di vulcanismo attivo,
attraverso reti strumentali tecnologicamente avanzate. I
segnali acquisiti sono trasmessi in tempo reale alle tre
sale operative di Roma, Napoli e Catania, dove personale
specializzato, presente 24 ore su 24, elabora i dati per
ottenere i parametri principali degli eventi in atto.
Al verificarsi di un evento importante o potenzialmente
risentito dalla popolazione, entro pochi minuti viene
informata la Protezione Civile.
Il monitoraggio
Rappresenta il punto di convergenza delle attività di
ricerca multidisciplinari e costituisce il presupposto
conoscitivo fondamentale per la definizione delle attività
di sorveglianza più efficaci e mirate.
In particolare, monitorare un vulcano attivo significa
individuare e misurare fenomeni che possono essere
indotti direttamente o indirettamente dal movimento di
magma in profondità e che quindi possono rappresentare
dei precursori di un evento eruttivo.
Allo stesso modo, nel caso di condizioni eruttive
conclamate, il rilevamento delle variazioni di parametri
chiave è fondamentale per una interpretazione scientifica
quanto più possibile corretta e completa, in grado di
fornire informazioni utili alle autorità competenti sulle
possibili evoluzioni del fenomeno.
L’attività di monitoraggio di aree a rischio vulcanico
viene effettuata attraverso alcuni percorsi, che si possono
così sintetizzare:
• l’individuazione delle aree oggetto di studio;
• la realizzazione di una rete di sensori – meglio se di
varia tipologia – per un approccio multidisciplinare;
• la posa in opera di un sistema di alimentazione/
trasmissione dei dati di tipo continuo o temporaneo
per l’uso di stazioni mobili;
• l’invio dei parametri acquisiti ad un centro di
raccolta nel quale personale specializzato esegue
opportune analisi, valuta il superamento di soglie
prestabilite, attiva comunicazioni/allarmi quando
necessario.
L’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania dell’INGV
ha il compito di svolgere attività di monitoraggio e
sorveglianza dei principali vulcani attivi siciliani,
ovvero l’Etna, le isole Eolie con il vulcano Stromboli, e
Pantelleria.
Il territorio siciliano oggetto di studio è suddiviso
in aree ben definite dove sono state installate varie
tipologie di stazioni di misura. A titolo di esempio, una
tipica installazione di una stazione multidisciplinare
per misure in continuo prevede, una volta individuato
un sito adeguato, la realizzazione di un sistema di
alimentazione elettrica, generalmente attuato attraverso
pannelli solari e batterie, il posizionamento sul terreno
di uno o più sensori, un sistema in grado di raccogliere
opportunamente il segnale prodotto ed un apparato di
trasmissione dati.
La rete presente sul vulcano più alto d’Europa – l’Etna
– è formata da circa 150 stazioni, suddivise per tipologia
come riportato in Figura 2.
Nel dettaglio sono presenti:
• sensori sismici (49) e accelerometrici (4) utili al
monitoraggio dei terremoti;
• le reti che studiano le deformazioni lente del suolo
(36 sensori GPS, 11 clinometri, 4 estensimetri),
ovvero le variazioni areali dovute ad intrusione/
risalita di magma;
• le reti geochimiche per l’analisi dei gas vulcanici (9);
• la rete di telecamere (l’occhio attivo sui vulcani) in
grado di acquisire sia nel visibile che nell’infrarosso
termico per un totale di 7 sensori;
• la rete infrasonica (con 11 sensori) che effettua il
monitoraggio delle esplosioni a bassa frequenza
tipiche delle aree vulcaniche.
Questo complesso sistema di sensori richiede una
manutenzione affidata a personale esperto in grado di
operare sul campo nel corso di tutto l’anno, anche in
difficili condizioni di lavoro in quota durante i mesi
invernali (l’Etna è alto 3.350 metri sul livello del mare
e le stazioni sommitali vicine alle zone crateriche attive
raggiungono quota 3.000 metri) o durante le emergenze,
quando l’attività sul campo in aree con flussi di lava a
temperature di oltre 1.000 °C è possibile solo grazie a
speciali attrezzature.
I dati raccolti dalle reti di monitoraggio sono trasmessi
in tempo reale attraverso le più avanzate tecnologie di
comunicazione dati: reti cablate a banda larga, reti WiFi,
vettori satellitari e radio comunicazioni (Figura 3).
La Sala Operativa dell’INGV-Osservatorio Etneo
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ANNO IV
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Figura 2. Mappa dell’Etna con la disposizione della rete
multiparametrica
Figura 3. Catena di trasmissione dei dati in tempo reale
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photo©Alfio Amantia
rappresenta il centro di monitoraggio e controllo
dei segnali provenienti dalle stazioni remote: essa
è da considerarsi un sistema ad alte prestazioni che
garantisce il funzionamento H24 per 365 giorni l’anno
(Figura 4). Una volta ricevuti i segnali, questi vengono
acquisiti, elaborati, immagazzinati ed immediatamente
visualizzati presso la Sala Operativa e resi disponibili agli
utenti.
Due unità di personale operano sempre nelle 24 ore,
in turni di 8 ore ciascuno. Il personale turnista, così
costituito, è coadiuvato da varie unità di personale
esperto, disponibile in condizione di reperibilità. Per le
sue caratteristiche, la Sala Operativa è da considerarsi un
sistema ad alta affidabilità (nata per applicazioni mission
critical), ovvero deve possedere requisiti di robustezza,
indipendenza elettrica, ridondanza dei suoi componenti
etc.
Ma la sua funzione principale si esplicita durante i
contesti di emergenza, dove essa diviene un vero e proprio
Centro di gestione delle emergenze con il compito di
assicurare il corretto flusso delle informazioni, attraverso
comunicazioni scientificamente validate, agli organi di
Protezione Civile, alle Prefetture ed alla collettività.
Un sistema così articolato può essere garantito solo
da un numero elevato di unità di personale, di alta
specializzazione e di differente estrazione: geologi, fisici,
chimici, ingegneri, informatici, tecnici, amministrativi,
tutti concorrono al corretto funzionamento di attività
molto articolate come quelle affidate all’INGV.
In particolare, durante le emergenze, a seguito di
significative variazioni dei parametri monitorati e
superate opportune soglie, in Sala Operativa scattano
degli allarmi (visivi/acustici) dovuti ai sistemi esperti
presenti che sono di supporto ai turnisti ed indicano
una possibile variazione dello stato di uno dei vulcani
monitorati.
Fatte le opportune verifiche, di concerto con l’esperto
reperibile (in questo caso un vulcanologo) i turnisti
attivano le procedure di comunicazione agli Enti preposti
attraverso aggiornamenti continui sull’evoluzione del
fenomeno, seguono le fasi di interesse, si interfacciano
con le autorità competenti per la elaborazione di
analisi di dettaglio utili alla migliore descrizione delle
fenomenologie in atto.
Figura 4. La Sala Operativa dell’INGV-Osservatorio Etneo
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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
L’attività divulgativa dell’INGV: l’esempio del Festival
della Scienza di Genova
Oltre alle attività di ricerca e monitoraggio, l’INGV
ogni anno organizza attività divulgative e informative
per portare la scienza fuori dalla cerchia ristretta degli
addetti ai lavori. La cronaca degli ultimi anni testimonia
come in Italia si verifichino frequentemente terremoti a
volte distruttivi ed eruzioni vulcaniche che provocano
allarme. È quindi particolarmente importante diffondere
la conoscenza dei fenomeni geofisici che investono il
Pianeta Terra e mostrare ai cittadini cosa viene fatto per
studiare e monitorare terremoti e vulcani.
Conoscere i fenomeni naturali che danno origine a
questi eventi, apprendere il corretto comportamento da
mantenere quando ci troviamo coinvolti e soprattutto
sviluppare il concetto essenziale di prevenzione è un
primo passo per arrivare ad una significativa riduzione
dei danni prodotti da eventi naturali. Tutto questo
viene fatto cercando di organizzare eventi e attività che
possano incuriosire, interessare e coinvolgere il pubblico
di tutte le età.
Uno degli eventi divulgativi a cui l’INGV partecipa
ogni anno è il Festival della Scienza di Genova dove
quest’anno, nei 10 giorni di svolgimento, 2.000 bambini
e ragazzi sono stati “scienziati” per un giorno con le
attività organizzate nell’ambito del progetto “Che
laboratorio vulcanico: le rocce dell’Etna raccontano”
(Figura 5). Un’esperienza affascinante per capire i
processi “nascosti” all’interno di un vulcano e per
comprendere i rischi e gli effetti sull’ambiente associati a
questo spettacolare fenomeno naturale.
Le attività divulgative, come tutte le attività descritte,
richiedono competenza e professionalità, oltre ad una
grande passione. Molte di esse non potrebbero essere
svolte senza il contributo del personale dell’Ente con
contratto a tempo determinato.
L’attuale situazione di grande incertezza e disagio ha
ripercussioni in tutto l’Ente. Il nostro augurio è che a
breve la situazione si risolva positivamente, permettendo a
tutti di continuare a svolgere con serenità, professionalità
e passione il proprio lavoro.
Figura 5 – Festival della Scienza di Genova 2012, allestimento dell’INGV
“Che laboratorio vulcanico: le rocce dell’Etna raccontano”
78
photo©Emanuela Bargelli
ANNO IV
FORMAZIONE
Il cuneo
Macchina
onnipresente
nella carpenteria
lignea
Semplice, potente
utile e bello
di Franco Laner
Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura
all’Università Iuav, da anni tiene un corso di
“Tecnologia delle costruzioni di legno”.
Credo che ognuno di noi quando scrive di cose tecniche
pensi di aver qualcosa da dire perché ha studiato, capito
ed anche – spero! – perché ha fatto. Altrimenti perché
scrivere? Ma ogni volta che si scrive, ovvero si cerca di
mettere ordine intorno ad un argomento, qualche cosa
di nuovo vien fuori, assolutamente insospettato all’inizio!
Occupandomi del cuneo, mai avrei pensato di dedicare
alcune righe all’alfabeto cuneiforme, adottato dai Sumeri
a partire dal 4.000 a. C. Il cuneo che avevo ed ho in
mente è la macchina semplice (1).
Chiedendomi però perché i cunei della scrittura abbiano
tutti la punta verso destra, oppure verso il basso, ho
pensato al gesto di impugnare lo stilo o lo scalpello. In
entrambi i casi, immaginando che allora come ora pochi
sono i mancini, è inevitabile che nell’incidere il cuneo si
inizi con la punta per poi affondare ed allargare la forma.
Il gesto è possibile solo andando verso sinistra o dall’alto
verso il basso. Perciò si legge da destra verso sinistra! La
logica sottesa è quella indotta dal gesto tecnico e non
quello della logica mentale! Forse qualcuno ha già fatto
questa osservazione.
1. P : R = t : l
Quanto più piccolo è t (o quanto maggiore è l),
tanto il potere di P sarà grande!
79
ANNO IV
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Ma a me poco importa, perché ci sono arrivato da solo e
nella piccola, presunta scoperta, sta spesso la soddisfazione
del lavoro di scrivere che altrimenti sarebbe troppo duro e
privo di gratificazione (2 e 3)!
2. Scrittura cuneiforme
3. L’archetipo della scrittura da destra verso sinistra potrebbe
dipendere dal gesto tecnico: con la destra si impugna il martello e
con la sinistra lo stilo o lo scalpello. Il cuneo ha inizio dalla punta
e quindi è logico proseguire da destra verso sinistra. Il disegno è di
Romano Burelli. Quale onore! Ma anche a ciò serve l’amicizia!
80
Provo a cambiare registro e tornare alla macchina cuneo!
Vi è mai successo che un semplice foglio di carta vi abbia
leggermente tagliato un dito? Come può un così debole
materiale, la carta, tagliare?
Ecco dunque la forza della forma: il cuneo!
Il cuneo penetra, allarga, si fa posto anche quando sembra
impossibile!
La punta della radichetta entra nella pietra e la spacca,
la prua della nave fende l’acqua, ma anche lo strato di
ghiaccio! L’arco a sesto acuto del gotico è un cuneo che
sembra voler penetrare il cielo. La lama del pugnale
squarcia la carne e spacca il cuore. Il vomere dell’aratro
dissoda la terra e la prepara al seme.
Ancor prima di definire il cuneo come macchina semplice
e definirne le caratteristiche mi viene da parlare della sua
forza evocativa, prima che meccanica. Mi sembra che
poche cose, come appunto il cuneo, siano in grado di tener
così bene insieme due opposti, come l’utile ed il bello, la
razionalità e l’evocazione, la forza e l’astuzia, necessità e
grazia, o se vogliamo, ingegneria ed architettura.
Ora cambio registro davvero!
Il cuneo è un prisma che ha per sezione un triangolo
isoscele. Più allungato è, meglio è. Se diciamo t la base del
triangolo, l il suo lato obliquo, P ed R rispettivamente la
potenza applicata su t e la resistenza offerta dal materiale
in cui si vuole far penetrare il cuneo, la condizione di
equilibrio (prescindendo dagli attriti) è:
P:R=t:l
La penetrazione del cuneo richiede dunque una potenza
tanto minore, quanto più grande è l (oppure quanto più
piccolo è t). La lama del coltello rappresenta un ottimo
esempio!
Il cuneo è senza dubbio fra i primissimi utensili dell’uomo:
è presente negli oggetti di percussione, di taglio, nelle asce
di pietra, nei raschietti, nella punta delle frecce e delle
lance. Soprattutto è un utensile atto a sollevare, smuovere,
schiacciare e bloccare. È così diffuso e connaturato in ogni
civiltà che le sue applicazioni si affinano, si complicano e
diventano base per nuove sinergie ed invenzioni. Spesso
se ne perde la forma primitiva e semplice. Ad esempio
nell’incastro a coda di rondine i cunei sono quattro ma
bisogna fermarsi un attimo per riconoscerli (4).
4. Incastro a coda di rondine. Pochi riconoscono in questo incastro
l’azione di quattro cunei!
81
ANNO IV
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
La semplice forma del torchio giapponese (5a), serrato
grazie ai cunei contrapposti fa capire quanta potenza possa
essere – con semplicità – messa a servizio di strumenti
utili per il quotidiano.
La tecnica se ne è servita a piene mani ed in quella delle
costruzioni gli esempi sono innumerevoli, sorprendenti,
magnifici.
Tra le tante applicazioni del cuneo ho privilegiato negli
esempi quelle che inducono stati di coazione. Più che la
descrizione sull’utilità valga l’eloquenza dell’immagine e
la soddisfazione che il lettore ne trae capendo l’intelligenza
sottesa.
Accanto alla figura del torchio, ho schizzato l’impiego del
cuneo per aumentare l’attrito fra il tenone e la mortasa ed
unire saldamente le parti, o per non far uscire il martello
dal manico.
Il cuneo è stato usato per fendere la pietra. In questo
caso non si usa solo la potenza, ma anche, se il cuneo è
di legno, viene sfruttata la proprietà del legno di dilatarsi
trasversalmente qualora lo si bagni (5b e 5c).
5a, 5b, 5c. Eloquenti impieghi del cuneo. Oltre al cuneo, per
spaccare la roccia, viene impiegata la bagnatura del legno che
ingrossandosi spinge ed aumenta l’azione del cuneo
L’impiego del cuneo nella carpenteria lignea è sempre
presente. Nei sistemi di giunzione a dardo di Giove, il
cuneo è impiegato per serrare le due travi da unire, ma
soprattutto, infilato nell’apposita sede centrale, spinge
le due facce contrapposte dove i carpentieri, con la
sega, le rifilano (6). Ed in opera, due cunei contrapposti
metteranno in coazione la giunzione a dardo di Giove!
Questa unione è storicamente presente presso molte
popolazioni sia nella carpenteria navale, sia in quella
civile. È una tecnica di giunzione che potrebbe diventare
di nuova attualità con l’impiego di macchine a controllo
numerico.
6. Unione a dardo di Giove; 6bis. Trave composta con biette
contrapposte ed in coazione per impedire lo scorrimento
longitudinale
82
Anche nel “ciavariol”, apparecchio usato per interrompere
l’appoggio di una trave al muro, ad esempio se c’è
una canna fumaria, funziona grazie ai doppi cunei
contrapposti e con grande semplicità, senza ricorrere a
costose, brutte e pericolose scarpe metalliche (7).
7. Il “ciavariol” è una delle tecnologie più semplici ed efficaci di
collegamento di elementi lignei nel piano
Ogni volta infatti che legno ed acciaio vengono a contatto,
a causa delle inevitabili condense provocate dall’acciaio,
iniziano sul legno attacchi biotici.
L’impiego del cuneo per mettere in tensione catene e
tiranti di acciaio ha nel dardo di Giove il suo archetipo
(8).
8. Giunzione per tirantature metalliche. Si capisce che l’archetipo è
il ligneo dardo di Giove
83
ANNO IV
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Nelle illustrazioni dei libri di carpenteria lignea il cuneo
è onnipresente, e così negli utensili del carpentiere. Ad
esempio nella pialla, dalla lama, al fermo, al regolatore
di taglio. La figura 9, tratta da “L’architettura pratica” di
Giuseppe Valadier, fa vedere un doppio uso del cuneo, sia
per stringere –precomprimere – le tavole, sia per mettere
in perfetta bolla i listelli del pavimento.
9. Da Valadier. Nella tavola che illustra la posa di un pavimento
si può vedere un doppio uso del cuneo: per mettere in bolla e per
precomprimere lateralmente l’assito
In modeste e semplici applicazioni il cuneo è presente.
(10)
In altre occasioni ho attirato l’attenzione sullo
straordinario impiego di cunei per bloccare il monaco
con la catena (11) o per legare muri contrapposti (12).
10. Impiego del cuneo per serrare una condotta idrica
11. Intelligente unione del monaco con la catena. Nella grande
tradizione della carpenteria lignea la capriata era concepita
“chiusa”, non cioè col monaco staccato dalla catena come teorizzato
nell’ottocento, che ha schematizzato la capriata come arco a tre
cerniere
84
12. Impiego di cunei lignei per legare muri contrapposti
Infine mi piace riportare l’impiego di due macchine
semplici, leva e cuneo. Come si deduce dai bassorilievi sia
assiri, sia egiziani, il doppio cuneo che si viene a formare
fra lo sguincio della slitta e la punta della leva ha non ha
l’effetto di sollevare, bensì di smuovere e far avanzare la
slitta con l’ingente peso (13).
13. L’arcano che permette di smuovere ingenti pesi. L’alleanza in
questo caso è fra la leva ed il cuneo e per capire il meccanismo si
immagini l’azione della leva la cui punta è sagomata a cuneo, che
scivola sul cuneo contrapposto dato dallo sguincio della slitta
85
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Pochissimi studiosi avevano capito che non di sola leva si
trattasse, ma di una mirabile combinazione, spiegata dal
compianto amico Raffaelle Santillo. La potenza del cuneo
e della leva non si sommano, bensì si moltiplicano con il
risultato di vincere l’attrito di primo impatto.
Se non si capiscono i principi di base della meccanica
classica, si rischia spesso di gridare al miracolo o di
interrogarsi invano di fronte ad indecifrabili arcana.
Uno dei maggiori impieghi del cuneo, tutti sanno, è nella
realizzazione di archi, volte e cupole.
Ogni concio è un cuneo che esplica la sua azione grazie
alla gravità.
Nelle figure 14, 15 e 16 ho riportato tre applicazioni
proposte per stupire gli “sprovveduti”. Villard de
Honnecourt propone un doppio arco senza il ritto
centrale, mentre l’architrave del portale del Duomo
di Prato ci stupisce con l’alternanza di cunei rovesci o
paralleli. Ultimo l’inganno di Giulio Romano. Ogni
volta sembrano negate le leggi di natura, come quella di
gravità, ma il protagonista è il cuneo che mantiene il suo
tecnema, anche se il morfema sembra negarlo!
Non dimentichiamo che la parola macchina, dal greco
machanà, significa appunto inganno, astuzia!
Riappropriamoci dunque di questa macchina!
14. Vuoi – chiede Villard de Honnecourt – costruire un doppio
arco appoggiato su due colonne, anziché su tre? La spiegazione del
disegno non ha bisogno d’altro!
15. Conci contrapposti dei portali del Duomo di Prato. La
spiegazione me l’ha fornitail compianto Salvatore Di Pasquale
86
per il duomo di Prato: photo©wikipedia.org/I, Sailko
ANNO IV
Ho iniziato questo articolo sul cuneo con la notazione
dell’alfabeto cuneiforme. Voglio chiuderlo con una
osservazione ad una favola di Esopo. Mi riferisco a “I
boscaioli ed il pino”. Racconta Esopo che alcuni boscaioli
stavano spaccando un pino, appena tagliato e lo facevano
senza difficoltà grazie ai cunei ricavati dallo stesso albero.
E il pino esclamò: “Non me la prendo tanto con la scure
che mi ha abbattuto, quanto con questi cunei che sono
della mia stessa sostanza!”.
È ben vero che i maltrattamenti degli estranei non sono
così dolorosi come quelli inferti dai famigliari, ma voglio
assicurare il pino: “Non è la tua materia che ti fende,
ma la forma, la macchina cuneo, ovvero l’inganno degli
uomini!”.
Esopo scrive nel VI secolo prima di Cristo: come sei
attuale, caro CUNEO!
16. L’ultima figura non è solo un omaggio al genio inventivo di
Giulio Romano. Nel visitare la Mostra “La forza del bello” allestita
a Palazzo Te a Mantova (2008) l’occhio si è fermato sul concio del
triglifo che sembra cadere! Siamo sulla stessa linea degli espedienti
costruttivi proposti da Villard de Honnecourt o del Duomo di
Pisa, che dimostra il totale controllo del cuneo nell’arco. Altre
volte ho visitato Palazzo Te, ma non mi ero mai accorto di questo
particolare. Allora, scrivere sul cuneo, è perlomeno servito a me!
87
IMPIANTI
Esempio di scelta
e dimensionamento
componenti:
cantiere edile
La categoria dei Geometri è sovente chiamata a ricoprire
il ruolo di Direttore dei Lavori, soprattutto nell’ambito
degli interventi afferenti alla tematica dell’edilizia privata.
Nella sua veste di Direttore dei Lavori il Geometra
deve quindi sovrintendere, prima ancora dell’inizio del
processo produttivo, alle operazioni di installazione
del cantiere edile messe in atto da parte della Ditta
appaltatrice dell’intervento.
Stante il regime delle responsabilità in capo alla figura del
Direttore dei Lavori, diventa estremamente importante
per il Geometra conoscere le indicazioni contenute nella
normativa e far applicare le disposizioni tecniche della
buona “regola d’arte”, anche nel settore impiantistico.
La corretta esecuzione dell’impianto elettrico è un
prerequisito fondamentale per ridurre fortemente il
rischio di incidenti “elettrici”, in un ambiente così severo
(acqua, pioggia, polveri, ecc.) come quello del cantiere
edile.
Nella sfortunata ipotesi di un incidente elettrico in
cantiere, dimostrare all’Autorità Giudiziaria di aver
vigilato e correttamente fatto applicare le disposizioni
recate dalle leggi e dalle normative tecniche, è
fondamentale per evitare incriminazioni per “colpa grave”
o “scarsa diligenza professionale”.
In forza delle precedenti considerazioni illustro un
esempio di impianto elettrico, installato a servizio di un
cantiere edile di piccole dimensioni per la ristrutturazione
di una villetta.
La tipologia è quella di un cantiere installato in un’area di
lato 30 metri per 30 metri sul cui suolo insiste una villa di
due piani da ristrutturare completamente.
88
30
13
13
di Mauro Cappello
Ingegnere e Ispettore Verificatore
del Ministero dello Sviluppo Economico
GEOCENTRO/magazine pubblica la lezione del ciclo
dedicato al tema degli impianti elettrici per illustrarne
la normativa, la componentistica, le metodologie di
dimensionamento, le regole basilari d’installazione ed infine
le verifiche da eseguire prima della messa in esercizio.
30
Quinta lezione
Qg
Ig
FORNITURA
DI CANTIERE
Figura 1 - Cantiere edile
La principale normativa tecnica di riferimento è
costituita dalla serie delle seguenti norme CEI:
• CEI 64‐8: impianti elettrici utilizzatori a tensione
nominale non superiore a 1000 V in c.a. e 1500 V
a c.c.
• CEI 64‐17: guida all’esecuzione degli impianti
elettrici nei cantieri
• CEI EN 60529: gradi di protezione degli involucri
• CEI 81‐1: protezione delle strutture dai fulmini
• CEI 81.3: valori medi dei fulmini a terra in Italia
• CEI 81‐4: valutazione del rischio dovuto al fulmine
Il dimensionamento dell’impianto prevede:
• analisi della potenza;
• scelta e dimensionamento dell’interruttore generale;
• scelta dei cavi e relativo dimensionamento;
• dimensionamento quadri elettrici.
Analisi della potenza elettrica
Il cantiere che viene ipotizzato nell’esempio è da
considerare di piccole dimensioni, infatti per le esigenze
di una ristrutturazione edilizia le macchine elettriche che
si decide di utilizzare sono:
P = 1.800 [W]
• 1 betoniera • 1 sega circolare P = 1.100 [W]
P = 1.600 [W]
• 1 montacarichi • riserva di potenza
per apparecchi mobili
P = 1.300 [W]
Nella predisposizione dell’impianto elettrico del cantiere
si deve sempre pensare ad una riserva di potenza elettrica
necessaria per garantire l’alimentazione degli apparecchi
portatili quali: trapani, seghetti alternativi, avvitatori,
ecc. Nell’esempio in argomento si impone una riserva di
potenza elettrica pari a 1,5 [kW].
La potenza installata ammonta a:
Pinst = 1.800 + 1.100 + 1.600 + 1.300 = 5.800 [W] = 5,8
[kW].
Il valore della potenza installata è tale da richiedere
certamente una fornitura di energia elettrica monofase,
sufficiente per le necessità di potenza riscontrate, tuttavia
il tecnico dovrà decidere quale taglia richiedere al Ente
elettrico, scegliendo tra le possibilità offerte.
Nella Tabella 1 sono richiamate le taglie di energia
(monofase) fornite:
Potenza elettrica
(Pel)
Potenza massima Corrente nominale
(Pmax=Pel*1,1)
(I=Pmax /Vcosφ)
1,5
1,65
8,0
3,0
3,30
16,0
4,5
5,00
24,0
6,0
6,60
32,00
10
11,00
53,00
Si rammenta che l’Ente rende sempre disponibile una
“riserva” del 10% sul valore nominale quindi i valori
di potenza effettivamente disponibili all’utente sono
stati calcolati nella seconda colonna, mentre nella terza
colonna è indicato il valore della corrente nominale che
ne deriva.
Si potrebbe procedere con l’applicazione dei coefficienti
di contemporaneità alle apparecchiature ipotizzate,
tuttavia stante l’esiguo valore di potenza installata, al
fine di evitare periodici fuori servizio dell’impianto per
scatti dell’interruttore limitatore o dover costringere le
maestranze alla “turnazione” di certe lavorazioni, si decide
di procedere alla richiesta di una fornitura monofase di
potenza pari a 6,0 [kW].
Nella lettera di richiesta fornitura si esplicita anche la
richiesta di informazioni in merito alla corrente di corto
circuito da considerare ai fini della scelta dell’interruttore
generale.
Schema di impianto
Lo schema di impianto prevede ovviamente a monte
(immediatamente a valle del gruppo di misura installato
dall’Ente) un interruttore generale a protezione della linea
elettrica, scelto in modo da avere una corrente nominale
maggiore della corrente nominale della linea.
Un quadro generale (QG) situato all’esterno della
palazzina e collegato all’interruttore tramite una linea
(L1) lunga 12 metri (Figura 2).
Dal quadro generale si diramano quattro linee di cui
una (L2) che alimenta un quadro prese collocato al 1°
piano, una che alimenta un quadro prese collocato nel
locale seminterrato (L3), una che alimenta direttamente
il montacarichi elettrico (L4) ed infine una linea (L5)
dedicata all’alimentazione della betoniera di cantiere. La
massima caduta di tensione percentuale ammessa è del
4%.
Tabella 1 – Taglie di potenza elettrica monofase fornite dall’Ente
elettrico
Figura 2 - Schema a blocchi
dell’impianto di cantiere
89
ANNO IV
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Scelta componenti e relativo dimensionamento
Scelta interruttore generale
Data la corrente d’impiego pari a 32 Ampere per una
potenza contrattuale di 6 [kW] e considerato che le taglie
commerciali degli interruttori sono le seguenti:
6 [A] -10 [A] - 16 [A] - 20 [A] - 25 [A] - 32 [A]- 40 [A]
ne consegue che nel caso sarà necessario selezionare un
interruttore avente corrente nominale pari a 40 [A].
L’interruttore sarà del tipo a 2 poli protetti (2P) ed avrà
un potere di interruzione pari a 6.000 [A] ovvero 6,0 [kA]
Per garantire la selettività rispetto ad altri interruttori
differenziali posti a valle, ovvero preservare l’impianto
dal fuori servizio totale per effetto di un guasto di
isolamento su un utilizzatore, che porti all’intervento del
differenziale generale, si prevede un modulo differenziale
di tipo S (selettivo) la cui corrente differenziale nominale
IΔn sia almeno 3 volte quella dell’interruttore a valle.
Quindi, se per il dispositivo a valle la corrente differenziale
nominale è IΔn = 0,03 [A], per il modulo a monte (a servizio
dell’interruttore generale) si dovrà pensare almeno ad:
IΔn = 0,03 * 3 = 0,09 [A]
la scelta deve quindi essere fatta nel campo degli
interruttori differenziali denominati a bassa sensibilità,
che sono quelli aventi IDn maggiore di 0,03A, anche essi
hanno taglie standard che sono: 0,1A; 0,3A; 0,5A; 1A;
2A; 5A.
Considerate le taglie standard, la decisione oscilla tra la
taglia 0,1 [A] e 0,3 [A], ai fini di una maggior sicurezza
nel coordinamento delle protezioni differenziali, si opta
per un modulo differenziale avente IΔn = 0,3 [A].
Riassumendo, l’interruttore generale sarà un
magnetotermico differenziale monofase avente le seguenti
caratteristiche tecniche:
• tensione nominale: 230 [V]
50 [Hz]
• frequenza:
• In:40 [A]
• Icc:6,0 [kA]
• Poli protetti:
2P
• IΔn:0,3 [A]
Scelta cavo linea L1 e dimensionamento della sezione
Dimensionamento in funzione della portata del cavo (Iz)
Per selezionare il cavo di alimentazione del quadro
generale si fa riferimento alla sezione 5.2 della norma
64-17 e considerata una posa del cavo in modalità fissa,
specificamente su fune, si decide di utilizzate il cavo
bipolare N1VV-K.
Considerato che la portata del cavo Iz > Ib deve essere
maggiore della corrente di impiego della linea, che per
la linea L1 è di 32 [A], nella Tabella 3 recante valori delle
portate, si vede che con riferimento a cavi bipolari, tipo
di posa B4, isolamento PVC, la sezione da scegliere è
quella di 6 mm2 alla quale corrisponde, per le specifiche
condizioni di posa, una portata Iz = 46 [A].
Tabella 3 – Valori della portata dei cavi multipolari relativamente
alla sezione ed al tipo di posa in aria
Rif.
portata
PORTATA (A)
B1
B2
B3
B4
90
Posa
Cavi in
tubo incassato parete
isolante
Cavo in
tubo in
aria
Cavi in
aria libera
distanziato
da parete/
soffitto o
su passerella
Cavi in aria
fissati a
parete o a
soffitto
Isola- Condutmento tori attivi
PVC
EPR
PVC
EPR
PVC
EPR
PVC
EPR
Sezione espressa in mm2
1,5
2,5
4
6
10
16
25
35
50
70
95
120
150
185
240
300
2
14
18,5
25
32
43
57
75
92
110
139
167
192
219
248
291
334
3
13
17,5
23
29
39
52
68
83
99
125
150
172
196
223
261
298
2
18,5
25
33
42
57
76
99
121
145
183
220
253
290
329
386
442
3
16,5
22
30
38
51
68
89
109
130
164
197
227
259
295
346
396
2
16,5
23
30
38
52
69
90
111
133
168
201
232
258
294
344
394
3
15
20
27
34
46
62
80
99
118
149
179
206
225
255
297
339
2
22
30
40
51
69
91
119
146
175
221
265
305
334
384
459
532
3
19,5
26
35
44
60
80
105
128
154
194
233
268
300
340
398
455
2
22
30
40
51
70
94
119
148
180
232
282
328
379
434
514
593
3
18,5
25
34
43
60
80
101
126
153
196
238
276
319
364
430
497
2
26
36
49
63
86
115
149
185
225
289
352
410
473
542
641
741
3
23
32
42
54
75
100
127
158
192
246
298
346
399
456
538
621
2
19,5
27
36
46
63
85
112
138
168
213
258
299
344
392
461
530
3
17,5
24
32
41
57
76
96
119
144
184
223
259
299
341
403
464
2
24
33
45
58
80
107
138
171
209
269
328
382
441
506
599
693
3
22
30
40
52
71
96
119
147
179
229
278
322
371
424
500
576
È quindi rispettata la condizione fondamentale che prevede
un valore di corrente nominale dell’interruttore (In)
maggiore della corrente di impiego (Ib) della linea e minore
della portata del cavo scelto:
I b < In < I z
La condizione viene rappresentata graficamente nella
Figura 3:
Ib = 32
[A]
In = 40
[A]
Iz =
[A]
46
Figura 3 - Dimensionamento dell’interruttore generale
Verifica della caduta di tensione
Per la verifica della caduta di tensione si adotterà la
formula semplificata:
ΔV = KLI/1000
dove:
• K rappresenta un coefficiente che esprime la
caduta di tensione in funzione della lunghezza
della linea, espresso in [mV1/mA];
•
•
L è la lunghezza della linea espressa in [m];
I è la corrente di impiego della linea.
Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione
6 mm2, le tabelle dei costruttori di cavi danno il valore
di K= 7,21 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla
linea sarà:
ΔV = KLI/1000 = 7,22*12*32/1000 = 2,77 [V]
la caduta di tensione percentuale:
ΔV% = (2,77/230)*100 = 1,2 %
Ciò significa che dal quadro generale alle linee terminali
dell’impianto di cantiere la caduta di tensione percentuale,
massima ammessa sarà del 2,8%.
Verifica dell’energia passante
La linea è sempre protetta giacché la verifica grafica
relativa alla curva dell’energia passante dell’interruttore
e del cavo mette in luce che l’energia tollerata dal cavo
è maggiore di quella che l’interruttore lascerebbe fluire
durante l’apertura del circuito.
Scelta cavo linea L2 e dimensionamento della sezione
La linea L2 parte dal quadro generale (QG) e si dirama
lungo un intero lato dell’edificio (l=13 m), raggiungendo
la facciata opposta a quella del QG, quindi a metà
prospetto (l=7 m) sale di circa 5 m per passare dalla
finestra e raggiungere il quadro prese del 1° piano.
La lunghezza della linea è L = 13 + 8 + 5 = 26 metri, essa
è caratterizzata da una posa fissa a parete che consente
di ridurre sensibilmente il rischio di danneggiamenti del
cavo e di incidenti al personale impegnato. Si conferma la
scelta del cavo N1VV-K idoneo per posa fissa.
Dimensionamento in funzione della portata del cavo Iz
Il quadro prese ospita 4 prese interbloccate di In = 16 [A]
pertanto sarà necessario valutare un cavo con portata
maggiore di tale valore.
Tornando alla Tabella 3 si sceglie un cavo avente sezione
2,5 mm2 cui corrisponde una portata di 27 [A]2.
Verifica della caduta di tensione
Per la verifica della caduta di tensione si adotterà ancora
una volta la formula semplificata:
ΔV = KLI/1000
Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione
2,5 mm2, le tabelle dei costruttori di cavi danno il valore
di K= 17,20 [mV/mA] pertanto la caduta di tensione sulla
linea sarà:
ΔV = KLI/1000 = 17,20*26*16/1000 = 7,15 [V]
la caduta di tensione percentuale:
ΔV% = (2,77/230)*100 = 3,11 %
La caduta di tensione percentuale è superiore al valore
ammesso (2,8%) ne consegue che è necessario scegliere
un cavo di sezione superiore e procedere nuovamente al
calcolo con i nuovi valori.
Si sceglie quindi un cavo di sezione 4 mm2 cui corrisponde
un valore K = 10,70 [mV/mA].
La caduta di tensione sulla linea sarà:
ΔV = KLI/1000 = 10,70*26*16/1000 = 4,45 [V]
la caduta di tensione percentuale:
ΔV% = (2,77/230)*100 = 1,93 %.
Quindi la caduta di tensione totale, dal punto di consegna
alle prese 1 piano, sarà:
ΔV tot = ΔV L1 + ΔV L2 = 1,20 + 1,93 = 3,13 % inferiore al
valore massimo previsto.
2
1
mV = millivolt - 1x10-3 Volt
In corrispondenza della sezione 1,5 mm2 la portata era di 19,5
[A], essa sarebbe stata troppo vicina al valore della corrente di
intervento
91
ANNO IV
| n. 23 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2012
Scelta cavo linea L3 e dimensionamento della sezione
La linea L3 alimenta sempre un quadro corredato di
4 prese interbloccate con corrente nominale di 16 [A]
(proprio come la linea L2) solamente che la sua lunghezza
è di circa 11 metri.
La posa è sempre del tipo a parete, lungo il prospetto della
palazzina.
Dimensionamento in funzione della portata del cavo
Come per la linea L2 dalla tabella 3 si sceglie un cavo
avente sezione 2,5 mm2 cui corrisponde una portata di
27 [A], ampiamente superiore al valore nominale delle
protezioni del quadro.
Verifica della caduta di tensione
Applicando ancora una volta la formula semplificata:
ΔV = KLI/1000
Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ)=0,9, sezione
2,5 mm2, si ottiene il valore di K = 17,20 [mV/mA]
pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà:
ΔV = KLI/1000 = 17,20*11*16/1000 = 3,02 [V]
la caduta di tensione percentuale:
ΔV% = (3,02/230)*100 = 1,31 %
Scelta cavo linea L4 e dimensionamento della sezione
La linea L4 alimenta il montacarichi caratterizzato da
una potenza elettrica di 1.600 [W], quindi la relativa
corrente di impiego sarà:
Ib = P/V cos(φ) = 1600/(220*0,9) = 1600/198 = 8,1 [A]
Dimensionamento in funzione della portata del cavo
Sfruttando ancora la facciata della palazzina si ipotizza
una posa a parete pertanto si può ancora fare ricorso
alla Tabella 3, da cui si ricava che è necessario utilizzare
un cavo di sezione S = 2,5 mm2 cui compete un valore
di portata pari a Iz = 27 [A] che ben si colloca rispetto
al valore della corrente nominale della protezione da
installare, ovvero 16 [A].
Verifica della caduta di tensione
La linea che alimenta il montacarichi percorre tutto
un lato dell’edificio quindi sale di un piano, per una
lunghezza di circa 15 metri.
Applicando ancora la nota formula semplificata:
ΔV = KLI/1000
Per i cavi bipolari, fattore di potenza cos(φ) = 0,9, sezione
2,5 mm2, si ottiene il valore di K = 17,20 [mV/mA]
pertanto la caduta di tensione sulla linea sarà:
ΔV = KLI/1000 = 17,20*15*16/1000 = 4,13 [V]
la caduta di tensione percentuale:
ΔV% = (3,02/230)*100 = 1,8 %
92
Impianto di terra
Per fare le giuste considerazioni in merito all’impianto di
terra è necessario conoscere la natura del terreno e le sue
caratteristiche elettriche. La Tabella 2 elenca le principali
tipologie di terreni con i rispettivi valori di resistenza
elettrica.
Nel caso dell’esempio, si è in presenza di un terreno di
tipo “argilloso sabbioso” cui corrisponde un valore di
resistenza elettrica che va da 25 a 105 [Ω*m].
Sapendo che la norma 64-8, per i cantieri prescrive un
valore di tensione pari a 25 [V] in caso di guasto (per
gli altri casi detto valore è pari a 50 [V]) e considerando
che la corrente di dispersione del differenziale a monte
dell'impianto è pari a IDn = 0,3 [A], ne consegue che il
massimo valore ammesso per la resistenza di terra è pari a:
RT = 25/IDn = 25/0,3 = 83,33 [Ω].
Per garantire la sicurezza dei lavoratori all'interno del
cantiere è quindi necessario operare in modo tale da
ridurre il valore della resistenza di terra RT.
Per raggiungere l’obiettivo di una resistenza di terra
inferiore al valore prescritto dalle norme è necessario
pensare all’installazione di un picchetto di terra in
metallo tramite infissione.
La resistenza di un picchetto metallico è pari a:
Rp =
4L
r
ln
d
2pL
Tabella 2 - Caratteristiche elettriche dei vari terreni
Roccia/Materiale
Resistività [Ω*m]
Argille marne grasse
3 - 30
Argille marne magre
10 - 40
Argille sabbiose, silt
25 - 105
Sabbie con argille
50 - 300
Sabbia, ghiaia in falda
200 - 400
Sabbia, ghiaia asciutta
800 - 5000
Calcare, gesso
500 - 3500
Arenaria
300 - 3000
Granito
2000 - 10000
Gneiss
400 - 6000
Rifiuti domestici
12 - 30
Fanghi industriali
40 - 200
Plume contaminato
1 - 10
Olio esausto
150 - 700
che, se (d/L)>100, viene sommariamente approssimata
con la relazione
Rp =
r
L
Per il cantiere in esame si prevede di operare l’infissione
di un dispersore verticale (picchetto) avente diametro
3 cm e lunghezza 2 m pertanto applicando la formula
semplificata si ottiene:
RT = 105/2 = 52,5 [Ω]
valore assolutamente adeguato alle esigenze di sicurezza
del cantiere, salvo verifiche con misure strumentali. In
caso negativo occorrerebbe pensare all'infissione di un
secondo picchetto a distanza minima di 4 metri dal
primo.
Il picchetto deve infine essere collegato al nodo del quadro
principale tramite conduttore di rame avente sezione pari
a Sp = 16 mm2.
Figura 4 - Schema unifilare
dell’impianto di cantiere
93
NEWS
EVENTI
Made expo 2012, numeri
in tenuta nonostante la crisi
A MADE expo 2012 il mondo delle costruzioni ha
dimostrato la sua capacità di reagire alla crisi e ha
lanciato messaggi importanti alle istituzioni e al mercato.
Le 231.729 presenze (-8,6%), di cui 31.235 estere
rappresentano, secondo gli organizzatori, “un risultato
concreto in uno scenario economico internazionale
ancora in difficoltà” e con 1.532 espositori MADE expo
si conferma l’evento privilegiato in cui convergono gli
operatori italiani e internazionali di riferimento per il
settore delle costruzioni e del progetto.
Al centro della manifestazione, la riqualificazione edilizia
e la messa in sicurezza del territorio, l’ecosostenibilità e
la salvaguardia dell’ambiente, il risparmio energetico, le
tecnologie innovative e i materiali performanti, tematiche
queste ultime affrontate all’interno del progetto SMART
VILLAGE con un panel di relatori di caratura mondiale.
L’edizione 2012 dell’evento milanese (17-20 ottobre) è
stata anche occasione per lanciare proposte concrete come
la Carta di Identità degli Edifici – CIE che contenga tutte
le informazioni utili per valutare la qualità e la sostenibilità
dell’immobile di riferimento.
CITTA’ INTELLIGENTI
Bologna, Trento e Parma
i centri urbani più smart d’Italia
Ad affermarlo è uno studio realizzato da FORUM PA
e presentato nell’ambito di “Smart City Exhibition”,
manifestazione tenutasi in ottobre a Bologna che ha visto
partecipare sindaci, ministri, amministratori e cittadini
per definire un modello di smart city uguale per tutti
destinato in primo luogo a migliorare la qualità della vita
e a far ripartire l’economia.
La studio, denominato “ICity rate”, ha coinvolto 103
capoluoghi di provincia, con l’obiettivo di individuare
la città italiana più smart, più intelligente e più vicina
94
La prossima edizione di MADE expo, che si terrà dal
2 al 5 ottobre 2013, segnerà una svolta nella strategia
espositiva che conferma la graduale trasformazione della
manifestazione avviata già quest’anno. Tre saranno le
linee di azione fondamentali: biennalità, specializzazione
e internazionalità. Con questa riorganizzazione MADE
expo, a partire dal 2013, avrà una cadenza biennale e
si terrà negli anni dispari, con un’offerta merceologica
suddivisa in sei saloni verticali e con lo sviluppo di
progetti di relazione e incontri internazionali per favorire
l’export e la penetrazione delle aziende del settore verso
nuovi mercati.
ai cittadini, stilando una classifica in base ad oltre cento
indicatori, raggruppabili in sei macro aree destinate
all’efficienza del sistema economico, all’ambiente, alla
governance, alla mobilità, alla socialità ed ovviamente
alla qualità della vita.
Se ai primi posti della classifica si sono piazzate Bologna,
Parma e Trento, seguite da Firenze, Milano, Ravenna,
Genova, Reggio-Emilia, Venezia e Pisa, la prima città
del Sud e Isole è Cagliari, posizionata solo al 43° posto,
seguita da Lecce (54°) e Matera (58°). Fanalini di coda
Caltanissetta, Crotone ed Enna.
Un netto divario, fra Nord e Sud, quindi, che, come
hanno rilevato gli autori dello studio, “in prospettiva si
spera di ridurre anche grazie ai finanziamenti già assegnati
con il primo bando del MIUR esclusivamente rivolto alle
regioni dell’obiettivo convergenza”.
AMBIENTE
Pile: il 40% dell’energia
finisce nel cestino
Sprecati 900.000 kWh all’anno
Secondo un rapporto della Duracell, nota azienda
produttrice di pile, redatto con la collaborazione
dell’European Recycling Platform (ERP), una volta
su tre gli accumulatori alcalini vengano gettati con
all’interno ancora il 40% dell’energia utilizzabile. Ogni
anno, ha valutato la società, finiscono nei cestini circa
200 milioni di batterie per un totale di 900.000 kWh
sprecati in 12 mesi, equivalenti alla quantità di energia
necessaria per alimentare a pieno regime circa 300.000
abitazioni per un’ora. Dati che offrono una fotografia
preoccupante di come gli italiani si rapportino
all’energia, viene da pensare, per noncuranza e scarsa
informazione.
Sempre da Duracell (che si è attivata per offrire soluzioni
che aiutano il consumatore a capire quando è realmente
arrivato il momento di acquistare nuove pile) si rileva,
infatti, che spesso quando i dispositivi smettono di
funzionare, non sempre le pile al loro interno sono
effettivamente esaurite. È comune, per esempio, che
alcuni dispositivi ad alto consumo, tra cui la fotocamera
digitale, a volte smetta di funzionare quando la pila ha
ancora disponibile più del 60% della sua energia che
potrebbe essere utilizzata per il funzionamento dei
giocattoli per bambini o un telecomando.
INNOVAZIONE
“PLANTOID”, progetto europeo
per la realizzazione
di robot ispirati alle piante
Progetto europeo coordinato dal Center for MicroBioRobotics (CMBR) dell’Istituto Italiano di
Tecnologia, “PLANTOID” ha l’obiettivo di progettare
e realizzare robot ispirati alle piante – detti appunto
“Plantoid” – i quali, combinando una nuova generazione
di tecnologie hardware e software, saranno capaci di
imitare il comportamento delle radici.
“La robotica ispirata alle piante è un campo del
tutto innovativo” ha dichiarato Barbara Mazzolai,
Responsabile scientifica del progetto e Coordinatrice del
CMBR . “Il progetto si propone da una parte di condurre
studi avanzati sul comportamento degli apici radicali, e
di conseguenza delle loro caratteristiche chimico-fisiche
e meccaniche, e dall’altra di fornire modelli e primi
prototipi di radici robotiche che li imitino, con un focus
particolare sulla capacità penetrativa, esplorativa ed
adattativa”.
Ogni Plantoide sarà costituito da un apice radicale
munito di sensori, attuatori e unità di controllo, e da un
tronco robotico, collegati meccanicamente tra loro da
una struttura allungata. L’obiettivo finale del progetto è
di realizzare una rete di radici robotiche sensorizzate, che
riproducano la capacità di esplorazione, di adattamento
ambientale e di coordinazione tipica dei vegetali, e
forniscano un modello di pianta artificiale equiparabile
al mondo naturale anche in termini di efficienza
energetica e di sostenibilità.
95
BOOKS
“Conca d’oro”
Nascita, vita e morte
di un paesaggio
Il libro di Giuseppe Barbera (edizioni Sellerio) è il
racconto della vita della Conca d’oro di Palermo dalle sue
origini. La storia di un paesaggio, completa da ogni punto
di vista. Narra l’epopea del giardino di orti, frutta e alberi,
coronato dai monti rosa-violetto e fermato dal mare, su
cui sorse la città, coltivato dai millenni e cancellato in
cinquant’anni dal cemento e dalla mafia.
Ma va anche oltre il caso specifico, facendo della Piana un
esempio memorabile, modello di comprensione sintetica
delle leggi dell’interazione in cui consiste il paesaggio: dove
questo è sì l’evoluzione della natura plasmata dall’uomo,
ma cessa come evoluzione quando la natura è cancellata.
La Conca d’oro – come si legge nella presentazione del
libro – fu l’opera dei palermitani; “laboratorio perenne
di diversità biologica”; archetipo, con le sue infinite
combinazioni, di un modo di civilizzazione. Tanto da
trasmettere la certezza che la sua agonia cementizia, sia
l’agonia della civiltà cittadina.
Come la biodiversità che racconta, Conca d’oro contiene
tutta la sovrabbondanza possibile di naturalismo,
geografia, mitologia, poesia e storia. È un’opera di scienza,
ma anche delle memoria perché nella terra del Parco della
Favorita vivono ancora i mandarini sradicati dal giardino
“La storia del mondo
in 100 oggetti”
L’intuizione di MacGregor
L’idea, stuzzicante, è quella di raccontare la storia della
civiltà umana sulla Terra attraverso 100 oggetti.
Una sfida raccolta brillantemente, con questo volume
(edito in Italia da Adelphi), da Neil MacGregor, Direttore
del British Museum, che ha “trasposto” su carta le cento
puntate di una sua trasmissione radiofonica messa in
onda dalla BBC.
Il racconto si svolge in venti sezioni, composte da 5 capitoli
ciascuna, che raccolgono testimonianze di epoche lontane
96
familiare, quando l’autore, appena adolescente, assistette
al primo avanzare della distruzione.
Giuseppe Barbera è professore di Colture Arboree
nell’Università di Palermo. Oltre a numerose pubblicazioni
scientifiche, è autore di diversi libri tra i quali, Ficodindia
(con P. Inglese, 2002, Menzione speciale, Premio
Grinzane Cavour, Giardini Hanbury) e Abbracciare
gli alberi (2009). Per conto del FAI è stato responsabile
scientifico del recupero della Kolymbetra (Parco della
Valle dei Templi) e del giardino Donnafugata nell’isola
di Pantelleria.
e recenti. Dalla mummia di Hornedjtef alla lampada
solare, passando per oggetti diversissimi, armi, strumenti,
simboli, monete, opere d’arte che, attraverso un’attenta
indagine storica attenta ai dettagli e alle modalità d’uso,
consentono all’autore di risalire allo spirito del tempo in
cui i vari manufatti hanno visto la luce.
E di dare corpo ad una sorta di enciclopedia che si
può leggere come un romanzo, o visitare come una un
personalissimo museo portatile “da percorrere una stanza
dopo l’altra, seguendo le connessioni che la nostra guida
di volta in volta ci indica, oppure stabilendone di nostre,
attraverso il tempo e lo spazio: finché le rifrazioni di questa
stupefacente macchina ottica non ci costringeranno a
vedere anche il presente con occhi diversi”.
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