GIUGNO 2013
Anno CXLVI
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RIVISTA
MARITTIMA
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
All’interno:
PRIMO PIANO
La Marina Militare oggi
Giuseppe De Giorgi
Corea del Nord:
Pioggia di primavera
o preludio di tempesta?
Alessio Patalano
RIVISTA
MARITTIMA
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
GIUGNO 2013 - anno CXLVI
REGISTRAZIONE
TRIBUNALE CIVILE
DI ROMA
N. 267
31 LUGLIO 1948
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3 S COMUNICAZIONE
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giugno prima di alcuni fascicoli precedenti. Il disservizio è stata causato dalla necessità di cambiare il regime amministrativo e burocratico con cui avveniva fino a oggi la stampa e la distribuzione della
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prevede il ritorno completo all’inserzione della pubblicità, ogni problematica amministrativa verrà superata e che la Rivista Marittima
potrà tornare a essere un mensile che esce puntuale tutti i mesi e non
a singhiozzo con ampi margini di crescita e miglioramento.
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Patrizio Rapalino
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2
Rivista Marittima-Giugno 2013
EDITORIALE
SUFFICIT ANIMUS
appiamo tutti che ogni 10 giugno la Marina Militare celebra la ricorrenza dell’affondamento della corazzata austro-ungarica Santo Stefano al largo dell’isola di Premuda, avvenuta proprio il 10 giugno del 1918 da parte del MAS 15, al comando del comandante Luigi Rizzo.
Man mano, però, che entriamo nei particolari relativi all’impiego degli uomini e dei mezzi della Marina nella Grande Guerra, diminuisce il numero di coloro che sono a conoscenza di altre importanti imprese. Non tutti sanno, anche se non certo i lettori della Rivista Marittima, che L’eroe di Milazzo, non era al suo primo successo: nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1917 aveva già affondato in porto a Trieste la corazzata Wien. Il successo, quando
è ripetuto, non è frutto di solo eroismo e fortuna, ma soprattutto di professionalità, di una attenta analisi della situazione, dell’aerea geografica e della scelta dei mezzi più idonei per
contrastare la minaccia. Ossia, dietro al successo dell’azione di Rizzo, c’è il successo della
pianificazione dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore dell’epoca.
Pochi sanno, anche tra di noi, che sempre grazie all’impulso dato dal Grande Ammiraglio, un nuovo mezzo stava muovendo i primi passi nella guerra sul mare: l’aereo. L’aviazione navale di cui oggi, in occasione della festa della Marina, festeggiamo i suoi 100 anni
stava facendo grandi progressi. Dall’esame dei numerosi rapporti di volo possiamo prendere atto che già durante la prima guerra mondiale l’aviazione di Marina attaccava regolarmente, di notte, le basi navali di Pola, Durazzo e Cattaro migliorando i propri sistemi d’arma e le tecniche di attacco, compreso l’impiego di idrovolanti siluranti.
Da un rapporto del tenente di vascello Casagrande su una missione speciale di infiltrazione in territorio nemico leggiamo: «in volo alle ore 3 dirigo per Cortellazzo. Giunto a Piave
vecchio vedo accendere successivamente i proiettori di Caorle, Grado, Salvore e Parenzo;
continuo in rotta per Punta Tagliamento […] Il motore, regolato con rallenty a soli 200 giri
non produce nessun rumore […] Riesco così a portarmi sulla verticale del tratto di canale
scelto per l’ammaraggio, a 10 km entro terra. La luna completamente coperta ostacola il riconoscimento della località e mi lascia molto incerto sulla possibilità di ammarare; a 200 metri di quota passo su Casoni Fumolo, che riconosco […] viro e riesco, lasciandomi cadere alla minima velocità, a prendere acqua senza incidenti […] approfittando dell’abbrivio dell’apparecchio attracco a terra alle ore 03.38. Sbarca a terra il tenente che compie una breve perlustrazione, mentre io aiuto il caporale a sbarcare il materiale e i piccioni. Alle 3.50 ridecollo allontanandomi basso, verso il Tagliamento. Sulla palude Sindacale faccio quota, indi dirigo per il ritorno […] Ammaro a S. Andrea alle 04.30».
Quindi, se dopo la guerra fosse stato possibile fare tesoro di tutta questa esperienza aeronavale, i Britannici avrebbero avuto possibilità inferiori di sorprenderci la notte del 11
novembre del 1940 a Taranto. Del resto in guerra l’audacia non è mai sufficiente. Lo stesso Gabriele D’Annunzio che combatté tra le fila degli aviatori di Marina spese ogni energia per migliorare l’efficacia degli apparecchi così come risulta in una sua lettera del 8 giugno 1918 al capitano di fregata Giulio Valli: «Tutte le mie sollecitazioni e tutti i miei sforzi a cui si uniscono quelli, sinceri, del Commissario non valgono ancora a ottenere gli apparecchi promessi […] Un apparecchio 600HP fornito di motori Isotta Fraschini V8 è pronto al collaudo. Si lavora a collocare gli stessi motori sul secondo apparecchio […] Non posso non congratularmi di avere insistito, e d’avere ottenuto il cambio dei motori. Il risultato supera la mia stessa aspettativa».
In una sua lettera del 22 giugno 1918 congratulandosi dell’audacia dei piloti assegnati
alla Prima Squadriglia Navale nonostante la «troppo lunga attesa dei nuovi strumenti di
guerra» chiude la lettera con il famoso motto
«SUFFICIT ANIMUS»
Patrizio Rapalino
S
Rivista Marittima-Giugno 2013
3
SOMMARIO
PRIMO PIANO
RUBRICHE
La Marina Militare oggi
Giuseppe De Giorgi
8
Cipro: un segnale per l’Europa
Alessandro Corneli
30
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
38
Lettere al Direttore
Osservatorio internazionale
Marine militari
Nautica da diporto
Ambiente marino
Scienza e tecnica
Che cosa scrivono gli altri
Recensioni
100
104
113
123
133
142
152
156
Alessio Patalano
L’applicazione di una strategia marittima
per uscire dalla crisi
Maurizio Bettini
46
Turchia, il Kemalismo è al capolinea
Massimo Iacopi
54
Il riscatto Curdo
Giuseppe Lertora
58
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Le isole del tesoro
Ezio Ferrante
62
L’Università di Genova e la Marina Militare
71
Massimo Figari - Arcangelo Menna
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
La Marina mercantile dell’Impero asburgico
80
Mario Veronesi
Alle origini dei legami
tra la Marina italiana e francese
Gilles Malvaux
86
STORIA E CULTURA MILITARE
Hanno rubato un sommergibile
Umberto Burla
Rivista Marittima-Giugno 2013
94
5
RIVISTA
MARITTIMA
Mensile della Marina dal 1868
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DIRETTORE RESPONSABILE
Capitano di Vascello
Patrizio Rapalino
REDAZIONE E UFFICI
Attilio De Pamphilis
Giovanni Ioannone
Vito Nicola Netti
Antonio Campestrina
Francesco Rasulo
Tiziana Patrizi
Gaetano Lanzo
Immagine tratta dal dipinto
«Vittoria su cielo e mare»
(Onori all’Aviazione di Marina Italiana
nel Centesimo anniversario) Olio su tela
del pittore di Marina Allan O’Mill.
A questo numero hanno collaborato
UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI
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6
Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi
Professor Alessandro Corneli
Dottor Alessio Patalano
Dottor Maurizio Bettini
Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
Generale (ris) Massimo Iacopi
Ammiraglio di Squadra (aus) Giuseppe Lertora
Capitano di fregata Arcangelo Menna
Professor Massimo Figari
Dottor Mario Veronesi
Tenente di vascello Gilles Malvaux
Dottor Umberto Burla
Dottor Enrico Magnani
Dottor Luca Peruzzi
Contrammiraglio (aus) Stephan Jules Buchet
Dottor Marcello Guadagnino
Contrammiraglio Claudio Boccalatte
Capitano di fregata Gianlorenzo Capano
Dottor Fulvio Aviani
Rivista Marittima-Giugno 2013
PRIMO PIANO
LA MARINA MILITARE OGGI
Il 19 giugno alle 14:30, presso l’Aula Commissione Difesa Camera,
le Commissioni riunite Difesa di Camera e Senato hanno svolto
l’audizione del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare
L’Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi.
GIUSEPPE DE GIORGI (*)
La Marina ha in forza:
— 30.923 militari, di cui 1.037 donne, e
9.981 civili (1);
— 60 navi;
— 26 unità del naviglio minore;
— 70 aeromobili.
(*) Dal 28 gennaio 2013 ha assunto la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina Militare. Dal 23 febbraio 2012 l’ammiraglio di Squadra De Giorgi ha ricoperto l’incarico di Comandante in Capo della Squadra
Navale della Marina Militare. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando Operativo di Vertice Interforze
della Difesa dal 2007 al 2009. Dal 28 agosto al 19 ottobre 2006 è stato Comandante dell’Operazione Leonte per l’immissione in Libano del contingente nazionale nella missione UNIFIL e, successivamente, dell’Interim Maritime Task Force sotto egida ONU, per questo è stato insignito della Medaglia d’Argento al Merito Militare, conferitagli dal Governo Libanese, per la stessa Operazione, il 20 marzo 2007 è stato premiato
quale «Militare dell’anno» presso lo Smithsonian National Air and Space Museum di Washington D.C..
8
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
La sua presenza si sviluppa principalmente su 3 poli aeronavali (La Spezia, Taranto e Augusta) e comporta un ritorno
economico sul territorio di 2,4 Mld€ annui, come riportato di seguito:
— Liguria Toscana - Militari 7.483 - Civili 3.068 - 842,5M€;
— Sardegna - Militari 896 - Civili 495 61,8M€;
— Centro Italia -Militari 5.334 - Civili
908 - 317,9M€;
— Sicilia - Militari 3.866 - Civili 997 267,5M€;
— Puglia - Militari 12.501 - Civili 4.181 897,4M€;
— Adriatico - Militari 843 - Civili 332 55,8M€.
L’attuale organizzazione prevede una
struttura centrale, che comprende lo Stato
Maggiore, gli uffici centrali e gli ispettorati, e una struttura periferica che comprende i comandi operativi, gli alti comandi
periferici e i comandi militari marittimi
autonomi, nonché l’Istituto Idrografico.
Al fine di razionalizzare la struttura e
ottimizzare le risorse disponibili, per meglio supportare lo strumento operativo, nel
2012 è stato avviato un processo di radicale ristrutturazione, che è destinato a concludersi entro l’inizio del 2014.
La nuova organizzazione si basa sulle
tre funzioni preminenti: operativa, logistica e formazione. Conseguentemente, accanto ai comandi operativi già esistenti,
vengono costituiti un Comando Logistico
(COMLOG) e un Comando Scuole
(COMSCUOLE), che assorbono rispettivamente le funzioni dei due ispettorati
omonimi. Con la creazione del Comando
Logistico, ubicato a Napoli, i Comandi Dipartimentali di La Spezia, Taranto e Augusta diventano Comandi Logistici di Area,
rispettivamente Nord, Sud e Sicilia, assumendo la responsabilità dell’intera funzioRivista Marittima-Giugno 2013
ne logistica che insiste nella loro giurisdizione, garantendo in tal modo l’unicità del
comando. Il Comando della Sardegna viene chiuso, mentre il supporto agli Enti
Centrali è assicurato dal Comando Logistico Area Capitale.
La riorganizzazione territoriale consentirà una riduzione dell’alta dirigenza e un
trasferimento verso l’area operativa del
25% del personale impiegato.
Il personale
L
a Marina ha in servizio 30.923 militari
a fronte dei 34.000 previsti (2), suddivisi
come segue:
— Ufficiali: 4.417 a fronte di un organico
di 4.500 (-1,8%);
— Sottufficiali: 16.730 a fronte di un organico di 13.576 (+23,2%);
— Graduati: 7.081 a fronte di un organico
di 10.000 (-29,2%);
— Truppa: 2.695 a fronte di un organico di
5.924 (-54,5%).
Le criticità che riguardano il personale
militare sono riassunte di seguito:
— insufficienza delle retribuzioni, specie
per i gradi più bassi, cui si aggiunge il blocco degli stipendi, che determina una forbice
tra responsabilità associate all’avanzamento di carriera e trattamento economico;
— limitata disponibilità di alloggi dell’amministrazione, aggravata dall’occupazione
abusiva di coloro che non hanno più titolo
per abitarvi, con conseguente difficoltà di
trasferimento delle famiglie e un incremento significativo del pendolarismo;
— collocazione sotto la soglia di povertà
del personale divorziato, specie quello
che percepisce gli stipendi più esigui e
che deve corrispondere gli assegni di
mantenimento all’ex coniuge, cui spesso
si sommano i debiti contratti a vario tito9
La Marina Militare oggi
Un immagine del CAVOUR e del GARIBALDI con altre unità navali.
lo (per esempio, il mutuo per la prima
casa);
— cronica insufficienza di copertura finanziaria per conferire il cd Compenso
Forfettario di Impiego (CFI) per le navigazioni protratte per più giorni; l’impossibilità di corrisponderlo in misura adeguata penalizza particolarmente la Marina,
perché limita di fatto la possibilità di far
navigare le navi, con una conseguente riduzione dell’addestramento che si ripercuote sul morale, oltre che sulla capacità
di operare in sicurezza;
— inadeguatezza delle indennità compensative per la condizione usurante e la peri10
colosità dell’attività svolta, in particolare
per il personale specialista come i sommergibilisti, gli incursori, i subacquei, i piloti e gli anfibi;
— difficoltà d’impiego del personale, per
l’insufficienza della copertura finanziaria
della Legge 86/2001, che stabilisce la corresponsione dell’indennità di trasferimento al personale trasferito d’autorità;
— vincolo degli arruolamenti, finalizzato
al contenimento della spesa, che ha comportato un generale invecchiamento della
Marina, la cronica insufficienza numerica
del ruolo truppa e un sottoimpiego qualitativo dei Sottufficiali.
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
Non meno critica è la situazione dei
quasi 10.000 impiegati civili, per il mancato riconoscimento della specificità del
loro ruolo, che è complementare a quello del personale militare ed è fondamentale per l’efficienza complessiva della
Marina.
Gli arsenali
Come accennato, le principali basi della
Marina sono ubicate a La Spezia, Taranto
e Augusta. Nelle stesse sedi sono collocati
gli arsenali, che impiegano complessiva-
Rivista Marittima-Giugno 2013
mente 2.500 addetti, così suddivisi:
— La Spezia, 796 addetti;
— Taranto, 1.434 addetti;
— Augusta, 270 addetti.
Gli obiettivi in questo settore sono quelli di svilupparne pienamente le funzioni e
di rilanciarne la produttività, aprendoli al
mercato civile e facendo ampio ricorso allo strumento delle permute. È inoltre importante stimolare una sana competizione
tra gli arsenali stessi che, concentrando i
loro sforzi sulle manutenzioni maggiori e
valorizzando le risorse umane organiche,
potrebbero riacquisire una maggiore autonomia d’intervento.
11
La Marina Militare oggi
Figura 1 – Ripartizione delle risorse d’investimento, comprensive del contributo MiSE, nel periodo
2007-2012.
Per conseguire questi obiettivi è tuttavia
necessario superare le seguenti criticità:
— mancato riconoscimento delle specificità professionali delle maestranze, con
conseguente difficoltà nella corresponsione di indennità e incentivi idonei, in
particolare per i gruisti, i pontonisti e i
palombari;
— blocco del turn over del personale, che
determinerà a breve il pensionamento senza sostituzione di quello più qualificato,
con la conseguente dispersione di un ingente patrimonio di competenze tecniche,
assai difficile da ricreare;
— carenza di operai specializzati (è il caso dei soli 3 palombari, indispensabili per
impiegare i bacini di carenaggio, e dei soli 2 equipaggi di pontoni sollevatori);
— innalzamento dell’età media (52 anni),
con conseguente carenza di manovalanza
per eseguire i lavori usuranti;
— obsolescenza delle infrastrutture e del
naviglio di supporto.
In merito, le priorità d’intervento sono:
12
— sbloccare il turn over (D.Lgs. 248/12),
per assicurare l’immissione di personale
più giovane in grado di acquisire le necessarie conoscenze prima del pensionamento
del personale più esperto, garantendo la
continuità nel tempo;
— avviare nuovamente la formazione, riaprendo le scuole allievi operai, promulgando il decreto attuativo sull’apprendistato, contemplato dalla legge Fornero (L.
Nr. 92 del 28 giugno 2012);
— reperire ulteriori risorse per finanziare
l’attività formativa a carico della Marina,
che al momento è limitata ai soli corsi di
sicurezza obbligatori (art. 6 del D.L.
78/2010);
— ridare impulso al piano di rinnovamento del naviglio di supporto portuale;
— accelerare il processo di adeguamento
del patrimonio infrastrutturale, snellendo
i processi burocratici che rallentano il
piano di rinnovamento (il cd «Piano
Brin», che è appena al 61% d’avanzamento dopo 6 anni).
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
La flotta
L’attuale consistenza della Flotta è di 60
navi. Si tratta di 1 portaerei, 4 unità anfibie
(di cui una portaelicotteri), 4 cacciatorpediniere, 11 fregate, 3 rifornitrici, 6 corvette, 10 pattugliatori, 10 cacciamine, 3 idrografiche (di cui 2 minori), 6 sommergibili
(di cui 2 di nuova generazione), 1 unità
supporto subacquei e 1 unità per ricerca
elettronica e telecomunicazioni.
Questa Flotta ha un’età media troppo
elevata, a fronte della vita operativa utile
delle navi militari che si attesta su 20 anni. In particolare, il Garibaldi ha 28 anni,
le 3 navi anfibie hanno in media 26 anni,
i 2 cacciatorpediniere Classe «Durand de
La Penne» 20, le fregate 31, le rifornitrici 30, le corvette 25, i pattugliatori Classe «Cassiopea» 23, la prima serie dei
cacciamine 30, mentre la seconda ne ha
21. La nave idrografica maggiore ha 38
anni, così come l’unità di supporto subacqueo, mentre i sommergibili della
Classe «Sauro», ancora in servizio, hanno in media 24 anni.
In estrema sintesi, la Flotta, già lontana
dalla consistenza ottimale, presenta le seguenti problematiche:
— 80% delle navi oltre la fine della loro
vita utile operativa;
— mancato adeguamento nel tempo dei sistemi imbarcati;
— sviluppo non organico della linea operativa, con un continuo assottigliamento
dovuto alle dismissioni senza sostituzione;
— rarefazione della presenza di navi nazionali nei bacini di interesse.
Un terzo della Flotta sopra descritta non
è normalmente disponibile, perché è soggetta all’esecuzione di manutenzioni programmate, cosa che riduce a circa 40 le
unità teoricamente impiegabili. A ciò si
aggiunge l’indisponibilità a seguito di avaRivista Marittima-Giugno 2013
rie, che cresce all’aumentare dell’età e che
l’insufficienza dei fondi d’esercizio rende
sempre più arduo fronteggiare.
Prendendo a riferimento anche la media
dell’indisponibilità di unità per avarie nell’ultimo quinquennio, il numero di navi
pronte si riduce a circa 20.
Le risorse
Col tempo, il problema di non ricevere
finanziamenti proporzionati alle reali necessità è divenuto cronico e ha finito col
penalizzare gravemente i settori dell’investimento, ovvero l’innovazione tecnologica, il ricambio dei mezzi (Figura 1) e del
funzionamento della Marina (Figura 2),
inteso come l’addestramento del personale, l’acquisizione del munizionamento e la
manutenzione dei mezzi.
Il fabbisogno per assicurare il livello
addestrativo e d’efficienza necessario è di
851M€. A fronte dei 417,5M€ allocati nel
2013 alla Marina in questo settore, si rileva un deficit di oltre 400M€.
Tale carenza di fondi incide direttamente sull’addestramento e sul mantenimento
in efficienza della Flotta, determinando un
precoce invecchiamento dei mezzi e una
maggiore onerosità dello strumento nel
suo complesso.
La Marina fronteggia oggi una sostanziale emergenza: la contrazione del potenziale operativo dello strumento, l’insufficienza delle scorte di munizionamento, la
progressiva riduzione della prontezza e
della disponibilità delle navi, il loro precoce invecchiamento, unito al progressivo
incremento dei costi di manutenzione e allo scarso addestramento, influiscono in
maniera determinante sulla capacità di assicurare l’efficace svolgimento delle attività fondamentali.
13
La Marina Militare oggi
Figura 2 – Evoluzione delle assegnazioni dei fondi assegnati alla Marina per il funzionamento
e il supporto diretto allo strumento aeronavale, comprensivi del cd «fuori area».
I compiti della Marina
L
a Marina è chiamata a svolgere le seguenti attività fondamentali:
— il controllo integrato degli spazi marittimi;
— l’attività di presenza e sorveglianza;
— la proiezione di capacità dal mare.
Per quanto attiene il controllo integrato
degli spazi marittimi, la Centrale Nazionale Interagenzia di Sorveglianza Marittima,
ubicata presso il Comando della Squadra
Navale (3), costituisce il cervello del Dispositivo Integrato Interministeriale di
Sorveglianza Marittima (DIISM), voluto
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
nel 2007. La Marina, su delega della Difesa, ha assunto l’ègida dello sviluppo tecnologico del sistema, finalizzato alla condivisione delle informazioni raccolte a vario titolo da tutte le amministrazioni dello
Stato che hanno interessi e responsabilità
14
sul mare, senza modificarne né limitarne
le competenze, ma razionalizzando e ottimizzando l’impiego delle risorse.
Per garantire la sicurezza marittima nazionale, è necessario che alla raccolta delle informazioni corrisponda un’adeguata
presenza e sorveglianza. Si tratta di un’attività svolta quotidianamente per garantire
la difesa dal mare del territorio nazionale,
delle navi mercantili e delle rotte di accesso ai porti; il libero uso delle linee di comunicazione marittime, il controllo dei
flussi migratori, la vigilanza pesca, la sorveglianza anti-inquinamento, quella dei siti archeologici sottomarini e la protezione
degli obiettivi strategici, quali le piattaforme offshore e le infrastrutture energetiche
d’interesse nazionale, anche nelle acque di
Nazioni straniere, in collaborazione con le
loro Marine.
Un’altra attività fondamentale che la
Marina è chiamata a svolgere è rappresenRivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
tata dalla proiezione di capacità. Alle peculiari caratteristiche di prontezza, d’autosufficienza logistica e d’elevata capacità di
comando e controllo, le navi uniscono
l’intrinseca libertà di movimento in alto
mare, non dovendo ottenere alcuna autorizzazione per l’attraversamento di uno
spazio aereo o di un territorio di un Paese
terzo. Né hanno bisogno della costruzione
di aeroporti o di campi militari a terra, in
prossimità della zona di operazioni. Esse
possono invece liberamente dislocarsi nelle acque prospicienti un’area di crisi, dove
la loro presenza svolge di per sé un’azione
di deterrenza e dissuasione, per essere
pronte se del caso ad agire e a modulare il
loro intervento secondo la volontà del Governo, per proiettare capacità militari.
Grazie alle intrinseche caratteristiche
duali, le navi militari possono esprimere
una molteplicità di capacità a supporto
della collettività:
— assistenza sanitaria alla popolazione
nazionale o di Paesi amici in caso di calamità, utilizzando il personale e le strutture
sanitarie di bordo;
— posto di comando della Protezione Civile, grazie alla disponibilità di postazioni
operative e di comunicazioni satellitari;
— fornitura di energia elettrica, acqua potabile e pasti caldi alle popolazioni delle
zone sinistrate;
— trasporto di traumatizzati, con elicotteri imbarcati e mezzi navali;
— trasporto di aiuti umanitari;
— evacuazione della popolazione da zone
pericolose;
— snodo di smistamento dei soccorsi e degli aiuti, indipendente dall’uso delle infrastrutture della zona sinistrata;
— ricerca e soccorso;
— sorveglianza e intervento antinquinamento.
Il tutto, in maniera autosufficiente e
Rivista Marittima-Giugno 2013
senza gravare sul territorio.
Le capacità sopra menzionate sono
espresse pienamente dalla Portaerei che,
per caratteristiche e dimensioni, rappresenta la nave militare con capacità di supporto alla collettività per antonomasia. Esse sono tuttavia peculiari di tutte le navi
della Marina e tendono a essere potenziate
nelle nuove costruzioni.
Le missioni
L
e peculiari capacità che sono state brevemente descritte sono state tutte efficacemente impiegate nelle operazioni che hanno coinvolto la Marina negli ultimi 35 anni:
— Vietnam (1979) – salvataggio in mare
dei profughi sfuggiti alla persecuzione politica;
— Irpinia (1980) – assistenza umanitaria e
distribuzione aiuti alla popolazione terremotata della Campania e Basilicata;
— Libano 1 (1982) – inserimento di una
forza di mantenimento della pace, a garanzia dell’incolumità della popolazione di
Beirut e del consolidamento del Governo
libanese;
— Libano 2 (1982-84) – inserimento di
una forza d’interposizione per ristabilire la
pace dopo il massacro di Sabra e Chatila;
protezione della forza di pace dal mare;
— Canale di Suez (1984) – sminamento e
bonifica del Canale di Suez, per ristabilire
la sicurezza della navigazione, interrotta a
seguito di alcune esplosioni subacquee;
— Girasole (1986) – difesa aerea avanzata
del territorio nazionale, a seguito dell’attacco missilistico libico contro Lampedusa;
— Golfo 1 (1987-88) – difesa delle nostre
navi mercantili in Golfo Persico, dopo
l’attacco subito dalla Motonave italiana
Jolly Rubino, durante il conflitto Iran15
La Marina Militare oggi
Gli uomini del San Marco mentre pattugliano un area a rischio.
Iraq;
— Golfo 2 (1990-91) – protezione della
forza multinazionale impegnata nella
guerra di liberazione del Kuwait e bonifica dai campi minati nel Golfo Persico;
— Somalia (1992-95) – assistenza umanitaria alla popolazione e inserimento di una
forza di pace per il ripristino della legalità,
impiegando per la prima volta un gruppo
Portaerei nazionale;
— Alba (1997) – assistenza umanitaria alla popolazione e inserimento di una forza
di pace per scongiurare il rischio di una
guerra civile;
— DINAK (1999) – proiezione di capacità
aeree dalla Portaerei Garibaldi, per fermare l’aggressione alla popolazione islamica
16
del Kosovo da parte della Serbia;
— Timor Est (1999) – assistenza umanitaria alla popolazione, colpita dalla guerra
civile;
— Enduring Freedom (2001-06) – proiezione di capacità dalla Portaerei Garibaldi
sull’Afghanistan, nell’ambito della guerra
al terrorismo, a seguito dell’attacco dell’11
Settembre;
— Antica Babilonia (2003-05) – mantenimento della pace e assistenza umanitaria
alla popolazione irachena al termine della
2a Guerra del Golfo;
— ISAF (2005-continua) – assistenza
umanitaria alla popolazione, sostegno al
Governo afghano e contrasto al terrorismo
internazionale, con l’impiego degli IncurRivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
sori, del «Reggimento San Marco» e degli
elicotteri delle Forze Aeree della Marina;
— Leonte (2006) – rafforzamento del contingente di pace in Libano e rimozione del
blocco navale israeliano impiegando il
gruppo Portaerei Garibaldi;
— White Crane (2010) – assistenza umanitaria alla popolazione di Haiti, colpita dal
sisma, impiegando la Portaerei Cavour;
— Unified Protector (2011) – protezione
della popolazione libica, nell’ambito dell’insurrezione contro il regime di Gheddafi,
impiegando il gruppo Portaerei Garibaldi.
Appare interessante approfondire alcune delle missioni citate, in quanto veri e
propri case studies, perché significative
del ruolo della Portaerei con la sua componente aerea imbarcata e, più in generale,
degli effetti della proiezione di capacità
della Flotta su terra.
È il caso dell’operazione Enduring
Freedom (2001), nella cui fase iniziale il
gruppo portaerei Garibaldi è stato l’unico
assetto nazionale impiegato in teatro, in
relazione all’indisponibilità di aeroporti o
basi terrestri. Gli «AV-8B» imbarcati hanno sviluppato oltre 900 ore di volo, partecipando alla campagna aerea sull’Afghanistan e operando da una distanza di oltre
1.500 Km dalla nave madre.
L’operazione Leonte (2006) è una chiara
prova dell’intrinseca prontezza, rapidità di
posizionamento, versatilità operativa e autosufficienza logistica delle Forze Navali.
Nata come una missione di rafforzamento del contingente di pace dell’ONU
in Libano, con l’inserimento di 1.000 uomini della Forza di Proiezione dal Mare,
essa è rapidamente evoluta in un’attività
di controllo delle acque libanesi, consen-
Il CAVOUR in navigazione diretto ad Haiti, sul ponte di volo si vedono tutti i materiali (container
e mezzi) per l’assistenza alla popolazione dopo il sisma.
Rivista Marittima-Giugno 2013
17
La Marina Militare oggi
tendo la rimozione del blocco navale
israeliano e il conseguente consolidamento della tregua tra Hezbollah e Israele. Anche in questo caso, la disponibilità della
Portaerei si è rivelata determinante per
proteggere la forza da sbarco, per difendere la Forza Navale e per estendere la capacità di controllo dal mare, consentendo di
avviare alla normalità le condizioni di vita di una popolazione stremata dagli effetti del blocco navale, disinnescando in tal
modo una seria minaccia alla stabilità del
governo libanese.
L’operazione in Libia (2011) rappresenta un ulteriore concreto esempio della versatilità e flessibilità d’impiego delle Forze
Navali. Nonostante la distanza relativa-
mente breve dall’Italia, la possibilità di posizionare la Portaerei a ridosso delle coste
libiche ha reso assai più vantaggioso l’impiego dei velivoli imbarcati rispetto a quelli provenienti dalle basi a terra, sia per il
minor costo orario in area d’operazioni, sia
per la possibilità di rimanervi più a lungo.
Gli elicotteri a lungo raggio della portaerei hanno rappresentato l’unico assetto
Combat SAR della NATO in grado di intervenire in tutta l’area d’operazioni.
Nei 78 giorni trascorsi continuativamente in mare, il Garibaldi ha così potuto
lanciare 8 sortite di «AV-8B» al giorno,
per un totale di 1.218 ore di volo, assicurando il 62% delle missioni di ricognizione e il 53% delle missioni di attacco al
L’approntaggio di un velivolo «AV-8B» sul ponte di volo di nave GARIBALDI.
18
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
suolo. Tutto questo, impiegando solo 4 aerei, 11 piloti, 60 specialisti e 6 addetti alle
informazioni intelligence.
L’operazione svolta ad Haiti (2010) merita una menzione particolare, perché rappresenta la prima missione operativa della
portaerei Cavour: una missione in soccorso della popolazione locale, che ha evidenziato le straordinarie capacità duali di
quella nave e, più in generale, dello strumento aeronavale.
Il Cavour è in grado d’imbarcare un posto comando della Protezione Civile, in
collegamento interattivo con il centro di
coordinamento nazionale «Sala Situazione Italia». La nave può accogliere 700
persone oltre l’equipaggio e offrire ottime
sistemazioni alloggiative, postazioni di lavoro, energia elettrica, mense e acqua potabile; essa assicura un’elevata mobilità e
reattività all’emergenza, l’indipendenza
logistica dal territorio sinistrato, una spiccata capacità di trasporto di mezzi ruotati
e cingolati oltre ai mezzi aerei imbarcati;
una struttura ospedaliera con due sale
operatorie, diagnostica, gabinetto odontoiatrico e tre sale degenza, oltre a un ampio eliporto mobile. Il tutto senza costi aggiuntivi derivanti dal cambio di configurazione della nave.
Si tratta di capacità che possono rivelarsi determinanti in qualunque tipo d’emergenza, anche sul territorio nazionale, che
può essere raggiunto in ogni sua località,
grazie agli elicotteri imbarcati che estendono il raggio d’azione della nave di oltre
200 km. Queste caratteristiche intrinseche,
unite alla velocità di trasferimento in zona,
hanno fatto della portaerei l’opzione ideale per aiutare concretamente la popolazione haitiana martoriata dal sisma. Tutto
questo potenziale è stato sviluppato in
tempi rapidissimi. Il Cavour si è infatti approntato in appena 48 ore ed è giunto in
Rivista Marittima-Giugno 2013
area di operazioni dopo soli 10 giorni dalla partenza, passando anche da Fortaleza,
in Brasile, per imbarcare un team di medici ed elicotteri di quel Paese.
In virtù dell’esperienza di Haiti, che ha
dimostrato sul campo la validità delle capacità della componente sanitaria del Cavour, è nata una durevole collaborazione
tra la Marina e la Onlus Operation Smile
Italia, specializzata in interventi chirurgici
a favore di bambini affetti da malformazione facciale.
Questa collaborazione, di cui la Marina
è particolarmente orgogliosa e che rappresenta un ulteriore esempio della versatilità
delle navi al servizio della collettività, offre alla Onlus l’opportunità di operare
ovunque sia presente la nave, in Italia e all’estero, portando l’aiuto dove serve e concentrando i propri sforzi sulle sole attività
chirurgiche, senza disperdere energie nella
creazione del supporto logistico, che a
bordo è sempre disponibile.
Il soccorso alla popolazione in caso di
calamità è una funzione che ogni nave, in
proporzione alle proprie capacità, è in
grado di assolvere. Tutte le navi, infatti
sono caratterizzate da autosufficienza logistica, rapidità di movimento e possibilità di fornire assistenza senza gravare sul
territorio.
Un esempio significativo è rappresentato dall’intervento in soccorso delle popolazioni della Campania e della Basilicata
colpite dal terremoto del 1980.
La Marina ha fatto convergere nel porto
di Napoli 3 navi, che vi sono rimaste per 4
mesi offrendo:
— 6 elicotteri imbarcati;
— gli unici eliporti funzionanti in Campania, costituiti dai ponti di volo delle unità;
— assistenza sanitaria a bordo e a terra;
— trasporto traumatizzati;
— trasporto aiuti umanitari.
19
La Marina Militare oggi
Lo scenario di riferimento
a) Dopo aver descritto le attività fonda-
mentali della Marina, assieme ad alcune
criticità che la affliggono, inerenti in particolare lo strumento operativo, appare utile
alzare lo sguardo e mettere a fuoco le caratteristiche dello scenario futuro.
La situazione internazionale è stata recentemente segnata da profondi e diffusi
cambiamenti, alcuni dei quali si sono verificati in prossimità dell’Italia, con l’avvento
della «Primavera Araba». Cambiamenti non
del tutto compiuti, ma epocali nella loro portata e sostanza, che si sono sviluppati nell’intero bacino del Mediterraneo e non solo,
interessando sia la già delicata area medioorientale, sia la regione sub-sahariana. Completano il quadro l’acuirsi della crisi nel
Golfo Persico, l’ascesa di nuove potenze regionali e lo spostamento del focus operativo
statunitense verso l’Oceano Pacifico, che ha
comportato una significativa riduzione della
presenza della US Navy nel Mediterraneo,
con la conseguente necessità di un’assunzione di maggiori responsabilità e di un più
gravoso impegno in termini di presenza e
sorveglianza marittima, da parte dell’Italia.
In tale contesto s’innesta una crescente
competizione internazionale per le risorse
energetiche e un prevedibile incremento
dei flussi migratori a causa di spinte demografiche, conflitti etnici e tribali e mutamenti climatici, provocati dalla progressiva desertificazione del nord Africa, che
acuisce le contese per l’accesso alle fonti
d’acqua potabile.
b) L’economia globale è destinata ad accrescere la sua dipendenza dal mare.
Già oggi, il 90% dei beni e delle materie prime transitano lungo le vie di comunicazione marittime. La popolazione mondiale è inoltre concentrata per oltre l’80%
in una fascia distante meno di 200 km dalla costa, con la conseguenza di renderla facilmente accessibile dal mare, sia per inFigura 3
Opportunità
e minacce
nell’area
d’interesse.
20
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
Figura 4;
Il rischio
di marginalizzazione
del Mediterraneo.
fluenzare in maniera favorevole una crisi,
sia per portare aiuto in caso di calamità. Vi
è infine un’accelerazione del fenomeno
della territorializzazione di ampie porzioni
dell’alto mare, finalizzata a sfruttarne le risorse in maniera esclusiva.
L’Italia è una Nazione a forte vocazione
marittima. Essa s’immerge con i suoi
8.000 km di coste al centro del Mediterraneo, un bacino che rappresenta appena
l’1% della superficie acquea globale ma
che è attraversato dal 20% del traffico marittimo mondiale.
Attraverso il mare, il nostro Paese
scambia il 54% delle merci e importa il
75% del petrolio e il 42% del gas necessario al proprio fabbisogno energetico; siamo i primi in Europa per quantità di merci
importate via mare (185 milioni di tonnellate); abbiamo la 11a flotta mercantile del
mondo per stazza (4) e la 3a flotta peschereccia in Europ (5), con oltre 12.700 pescherecci e 60.000 addetti.
Il cluster marittimo nazionale genera da
Rivista Marittima-Giugno 2013
solo il 3% del PIL(6) con un moltiplicatore economico d’investimento pari a 2,9
volte il capitale investito (7).
L’area d’interesse strategico nazionale
include le regioni da cui provengono le risorse necessarie al nostro fabbisogno
energetico (Golfo Persico, Mozambico,
Golfo di Guinea, Nord Africa e Medio
Oriente) e le vie di comunicazione marittime lungo le quali viaggiano le materie
prime che importiamo e i nostri prodotti
da esportazione.
Si tratta di un’area molto estesa, densa
di opportunità per la nostra realtà commerciale, ma anche di minacce che mettono a
repentaglio i nostri interessi (Figura 3).
È il caso della pirateria. È sotto gli occhi di tutti la gravità degli attacchi sferrati
anche contro le nostre navi mercantili.
Tendiamo tuttavia a sottovalutarne la
conseguenza indiretta, assai più grave, del
rischio di una marginalizzazione del Mediterraneo: senza un contenimento di questo
fenomeno, gli armatori potrebbero optare
21
La Marina Militare oggi
per rotte più sicure, circumnavigando l’Africa per evitare le acque della Somalia e
del Golfo di Aden, dove il fenomeno è particolarmente attivo. Lo spostamento in
Atlantico delle rotte mercantili avvantaggerebbe i porti commerciali nordeuropei, a
scapito di quelli nazionali (Gioia Tauro,
Taranto, Trieste, Genova e La Spezia), che
oggi rappresentano il punto d’ingresso di
significativi traffici commerciali verso
l’Europa (Figura 4).
Lo scenario delineato nella figura 4
conferma che il futuro centro di gravità
operativo ed economico è inequivocabilmente marittimo. È dunque sul mare che si
giocherà il destino dell’Italia:
— sul piano nazionale;
— come membro attivo e responsabile
della comunità europea e internazionale.
L’evoluzione della flotta
L
e sfide appena descritte richiedono una
Marina in grado di farvi fronte.
Tuttavia, da troppi anni l’assegnazione
dei fondi non ha consentito di sostituire le
navi al termine naturale della vita operativa, né di eseguirne in maniera adeguata le
necessarie manutenzioni.
Nello scorso decennio, sono state radiate 20 unità, sostituite da sole 10, mentre
entro il 2025 verranno radiate:
— 47 unità navali;
— 4 sommergibili;
— 14 unità del naviglio minore;
— 4 velivoli da pattugliamento marittimo, per un totale di 51 unità (senza considerare il naviglio minore) e degli ultimi
4 velivoli da pattugliamento marittimo a
lungo raggio, a fronte del previsto ingresso in linea di sole 8 fregate, 1 unità di
supporto subacqueo polivalente (USSP) e
2 sommergibili.
22
Nello stesso periodo, il programma non
ancora finanziato dallo Stato Maggiore Difesa prevede l’entrata in linea di due sole
altre navi (1 logistica e 1 anfibia). Senza
interventi correttivi e pur considerando
l’acquisizione di quest’ultime due navi,
entro il 2025 la Flotta si contrarrà dalle attuali 60 unità a 22 (Figura 5).
Tale consistenza, già di per sé inadeguata per i compiti che l’attenderanno, si ridurrà a meno di una ventina di navi mediamente impiegabili, a causa della fisiologica indisponibilità di quelle sottoposte alle
manutenzioni programmate.
Sottraendo da tale numero le navi non
disponibili a seguito di avarie, destinate a
divenire più frequenti in relazione sia all’età, sia alla carenza dei fondi per le manutenzioni, le navi pronte all’impiego si attesteranno su un valore medio di 10-13 unità.
In sintesi, entro il prossimo decennio la
Marina perderà la capacità di operare con
continuità nella maggioranza delle missioni e di assolvere i compiti d’istituto.
Considerazioni sull’evoluzione
della flotta
Per mantenere l’attuale consistenza della
Flotta, già in «sofferenza» a fronte dei
compiti (tralasciando per il momento le
considerazioni relative al naviglio minore), occorrerebbe introdurre in servizio 4-5
navi all’anno per 12 anni.
Per lo stesso periodo, è invece prevista
in media la costruzione di 1 nave all’anno,
con una riduzione della Flotta del 63% entro il 2025.
Appare quindi ineludibile adottare idonei provvedimenti correttivi mirati al mantenimento della sopravvivenza della Marina e più in generale della capacità marittima nazionale, intesa anche come cantieriRivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
80
70
60
50
40
30
20
10
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025
Figura 5 – La consistenza della Flotta negli anni.
stica navale.
Nonostante i vantaggi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle grandi organizzazioni internazionali di riferimento, quali la
NATO e l’UE, permane la necessità di disporre delle capacità essenziali per la tutela
degli interessi nazionali, per poter fronteggiare le emergenze in cui non si possa fare
sicuro affidamento sul concorso diretto degli Alleati. Peraltro, una credibile partecipazione a iniziative multinazionali a difesa
della pace e della sicurezza non può prescindere dalla disponibilità di assetti pregiati, che consentano di esprimere, anche se in
forma limitata, tutte le capacità necessarie
al contrasto delle diverse minacce prevedibili nel futuro. È inoltre importante conservare la capacità d’assumere il comando di
quelle operazioni internazionali che, in raRivista Marittima-Giugno 2013
gione della rilevanza degli interessi nazionali, richiedono che l’Italia svolga un ruolo
di primo piano. Ne consegue la necessità di
mantenere in linea una Flotta bilanciata in
tutte le sue componenti, anche se di consistenza ridotta. Tale Flotta dovrà inoltre poter esprimere con maggior efficacia le sue
intrinseche capacità duali, per consentire alla collettività di sfruttare l’investimento
dello Stato in navi, non solo nelle operazioni militari, ma in tutte le situazioni di necessità e urgenza (soccorso umanitario, intervento per calamità naturali, ecc.).
Riflessi sull’industria
Al di là della necessità di garantire la so-
pravvivenza della Marina, investire in na23
La Marina Militare oggi
vi comporta comunque dei notevoli vantaggi per il Paese.
La cantieristica militare è, infatti, fra i
settori più redditizi nei quali investire, perché rappresenta un volano economico, industriale, culturale e sociale difficilmente
eguagliabile. Essa coinvolge una vasta
gamma di settori industriali (metalmeccanico, siderurgico — il 90% dell’acciaio
utilizzato proviene da industrie italiane —
meccanica di precisione, elettronico, armamenti, robotica, ecc.). La cantieristica
militare rappresenta, inoltre, un patrimonio di competenze che merita di essere salvaguardato: si tratta di competenze funzionali alla produzione d’avanguardia anche
in settori civili, grazie al travaso delle conoscenze e delle capacità pregiate, necessarie alla produzione di equipaggiamenti
militari navali, di per sé complessi e densi
di tecnologia. Essi richiedono inoltre un
importante impegno nella ricerca e un severo controllo della qualità, per garantire
la necessaria sicurezza di funzionamento
anche in condizioni di impiego proibitive.
Queste competenze estremamente preziose, di cui ancora la nostra cantieristica dispone, sono difficilmente recuperabili una
volta abbandonate.
I cantieri navali generano un indotto
qualitativamente variegato e ben distribuito sul territorio nazionale, specialmente
nel caso di navi tecnologicamente avanzate come quelle militari, con un moltiplicatore d’occupazione calcolato in 1 a 6 (8)
(includendo il settore industriale relativo
al sistema di combattimento, comando e
controllo, ecc.) e con un moltiplicatore di
reddito di 3,43 (9).
Le navi sono un ottimo integratore d’innovazione, ma l’innovazione non s’improvvisa: ha bisogno di una forte progettualità a lungo termine ed è un investimento per il futuro. Il settore della cantieristica
24
militare è caratterizzato da una forte concorrenza internazionale ed è quindi importante gestire il margine di vantaggio nei
confronti delle nuove realtà industriali
(Corea, Spagna e Turchia), rimanendo
competitivi nei confronti dei concorrenti
storici (Francia, Germania, Gran Bretagna
e Olanda), in un momento che registra una
crescente domanda di navi militari, soprattutto da parte dei paesi emergenti.
Pertanto, se da un lato un programma di
costruzioni navali scongiurerebbe la
scomparsa della Flotta, dall’altro rappresenterebbe un validissimo strumento antirecessivo e un contributo alla soluzione
della crisi economica da inserire nel quadro di rilancio dello sviluppo del Paese, in
un settore made in Italy per il 90% e le cui
capacità cantieristiche sono impegnate appena per il 50% delle potenzialità.
Un ipotetico piano per la sopravvivenza
della capacità marittima nazionale, per un
investimento di 10 Mld€ spalmati in 10
anni, si tradurrebbe pressoché integralmente in PIL, trattandosi di produzione
nazionale, e comporterebbe:
— 25.000 posti di lavoro;
— 5 Mld€ di ritorno fiscale per lo Stato
(tasse e contributi), pari al 50% dell’investimento;
— 6,8 Mld€ di risparmio per le casse dello Stato, per il mancato ricorso alla cassa
integrazione guadagni (CIG) per circa
20.000 occupati;
— impatto di grande valore economico,
sociale e tecnico in via diretta e indiretta
(industrie collegate e commesse estere),
grazie alla distribuzione geografica del
lavoro, 55% al nord e 45% al centro-sud
(Figura 6);
— mantenimento e incremento di conoscenze ad alto contenuto tecnologico in un
settore di eccellenza nazionale;
— sostegno all’esportazione, attraverso la
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
Figura 6 – Distribuzione sul territorio dei benefici del programma navale.
promozione di prodotti innovativi e avanzati, sostenibili logisticamente nel tempo e
forti del connubio Marina Militare/cantieristica nazionale;
— coinvolgimento di un ampio spettro di
realtà imprenditoriali, incluse le piccole e
medie imprese, non solo nella fase di costruzione, ma anche in quella di supporto
in esercizio delle unità, per un periodo di
almeno 30 anni.
In sintesi:
— investimento -10 Mld€:
— tasse e contributi +5 Mld€:
— CIG non erogata +6,8 Mld€=:
— TOTALE +1,8 Mld€.
Rivista Marittima-Giugno 2013
Oltre a una ricchezza prodotta pari a
34,3 Mld€, di cui 18,86 Mld€ al nord e
15,44 Mld€ al centro-sud.
Le risorse necessarie potrebbero essere
reperite:
— nell’ambito della Difesa, modificando
la ripartizione delle assegnazioni fra le
Forze Armate, in conseguenza della ristrutturazione dello strumento militare e
dell’evoluzione dello scenario;
— nell’ambito degli altri dicasteri interessati (MIUR, MISE, Protezione Civile,
Ambiente ecc.), in ragione delle finalità
duali dei progetti e dell’alta valenza antirecessiva dell’intero programma;
25
La Marina Militare oggi
— mediante un provvedimento legislativo
pluriennale ad hoc, mirato al rilancio dello
sviluppo economico e sociale di settori
trainanti per il PIL, quale appunto la cantieristica militare (Fincantieri/Finmeccanica, assieme alle piccole e medie imprese
dell’indotto, tutte italiane).
Il ricorso a un provvedimento legislativo appare fondamentale per garantire un
continuum temporale all’investimento necessario per la sopravvivenza della Marina. Ciò infatti:
— offrirebbe all’industria nazionale le indispensabili garanzie per investire in sviluppo tecnologico e in occupazione, scongiurando la perdita delle capacità produttive, qualitative e quantitative, a favore della concorrenza internazionale;
— impegnerebbe i cantieri al 100% delle
loro potenzialità, evitando riduzioni nella
forza lavoro e scongiurando la perdita delle capacità produttive;
— terrebbe conto dei lunghi tempi di costruzione delle navi e d’addestramento dei
loro equipaggi;
— darebbe continuità d’indirizzo allo sviluppo dello strumento aeronavale.
La razionalizzazione
dello strumento navale
C
ome già fatto con il Cavour, nelle nuove costruzioni verrà data grande enfasi alle
capacità duali. La Marina sta sviluppando
una famiglia di navi innovative che, superando gli schemi tradizionali, assolveranno
i compiti di una varietà di navi diverse.
Un esempio è il progetto del pattugliatore d’altura multiruolo, destinato a sosti-
Figura 7 – La sostituzione di più classi di navi con un unico tipo di unità multiruolo.
26
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina Militare oggi
Figura 8 (in alto) – Pattugliatore d’Altura multiruolo in configurazione standard.
Figura 8 – Pattugliatore d’Altura multiruolo in configurazione per soccorso alla popolazione.
tuire le navi appartenenti a 6 classi diverse
(Figura 7), realizzando in tal modo delle
significative economie di scala, attraverso:
— standardizzazione dell’addestramento
del personale (corsi, ausili didattici, simulatori);
— unificazione linee logistiche, con ottimizzazione delle scorte;
— standardizzazione delle manutenzioni
(unica linea di supporto, ottimizzazione
impiego personale tecnico);
— interscambiabilità del personale appartenente a navi diverse.
Esso sarà caratterizzato da un basso costo realizzativo, una spiccata modularità
operativa e una notevole economicità di
gestione. La caratteristica duale dell’unità
sarà recepita sin dalle fasi di progettazione
così come la possibilità d’integrare agevolmente nuove capacità. Più in dettaglio,
la nave sarà caratterizzata da ampi spazi
Rivista Marittima-Giugno 2013
dedicati all’imbarco di materiali e impianti shelterizzati, che le conferiranno anche
una grande capacità di trasporto di aiuti
umanitari, oltre ad ampliare significativamente la sua flessibilità operativa (Figura
8). Inoltre, quando impiegata in operazioni di assistenza umanitaria, questa unità
potrà produrre energia elettrica e acqua
potabile in quantità tali da supportare una
piccola cittadina.
Una nave di elevate prestazioni di piattaforma, con un notevole potenziale di crescita e un’intrinseca facilità di modificarne
l’allestimento dei sistemi d’arma secondo i
requisiti operativi più diversi, sarebbe
molto appetibile anche alle Marine estere.
Questa nave sarebbe inoltre particolarmente adatta ad assicurare la presenza e la
sorveglianza, avendo anche buone capacità di intervento, nelle aree d’interesse e
lungo le linee di comunicazione marittime,
27
La Marina Militare oggi
con un costo d’esercizio molto contenuto:
un compito che rappresenta uno dei core
business delle Marine.
Analoghe considerazioni valgono per
le nuove unità anfibie, di supporto logistico e di supporto subacqueo polivalente,
anch’esse innovative nella concezione,
con una forte connotazione duale e caratterizzate da semplicità delle soluzioni costruttive, manutentive e d’allestimento,
tali da rendere anch’esse appetibili al
mercato estero.
Conclusioni
A
ppare evidente come quello attuale sia
uno dei periodi più difficili della storia post bellica della Marina. Tutti i settori risentono infatti di anni di sottofinanziamento,
a partire dal personale e includendo le infrastrutture e gli arsenali. Ma il problema
di fondo, ormai ineludibile, è la graduale
scomparsa della Flotta.
Da molti anni l’esiguità dell’assegnazione dei fondi ha precluso la possibilità di
sostituire le navi dismesse per vetustà.
Nell’ultimo decennio sono entrate in linea
solo 10 navi, a fronte della radiazione di
20. Entro il 2025, si prevede la dismissione di altre 51 navi, con il rischio concreto
della pressoché completa estinzione della
Flotta come forza combattente.
Contestualmente, la cantieristica nazionale militare, già oggi operante a solo il
50% della sua capacità produttiva, rischia
di veder disperdere irreversibilmente la
sua competitività e le conoscenze pregiate
di cui ancora dispone, con ripercussioni
drammatiche sull’occupazione.
Un eventuale piano di costruzioni navali
concorrerebbe non soltanto alla sopravvivenza della Flotta, ma salverebbe al contempo il settore strategico della cantieristica militare, scongiurando il rischio della cassa integrazione per circa 20.000 lavoratori e rilanciando una realtà d’eccellenza italiana.
Occorre pertanto avviare detto piano di
costruzioni con ogni possibile urgenza,
vincolandone l’attuazione a un provvedimento legislativo, sì da fornire affidabili
garanzie alle aziende coinvolte, affinché
possano a loro volta investire in occupazione e ricerca.
NOTE
(1) Situazione al 31 marzo 2013.
(2) Art. 799 del D.L. 15 marzo 2010 Nr. 66 – COM (Codice dell’Ordinamento Militare).
(3) A regime è prevista la connessione con la Sala Crisi della PCM, l’Unità di Crisi del MAE, la Sala Operativa del Dipartimento della Protezione Civile, la Sala Crisi e Centrale Antimmigrazione del Ministero dell’Interno, la Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto per conto del Ministero
dei Trasporti, la Centrale del Comando Generale della Guardia di Finanza e la Centrale dell’Agenzia delle
Dogane in ambito MEF, le Centrali Operative dei Carabinieri e della Polizia di Stato e le Sale Situazioni
dell’AISE e dell’AISI.
(4) Dati Lloyd's Register of Shipping e IMO.
(5) Dati Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
(6) Anno 2011.
(7) Dati Unioncamere-Camcom, «Secondo Rapporto sull’Economia del Mare 2013».
(8) Dati Fincantieri.
(9) «IV Rapporto sull’economia del mare» 2011 di Confitarma/Censis.
28
Rivista Marittima-Giugno 2013
PRIMO PIANO
CIPRO: UN SEGNALE PER L’EUROPA
ALESSANDRO CORNELI (*)
La crisi finanziaria di Cipro, cresciuta
per tutto il 2012 e culminata nel marzo
2013 con il piano di salvataggio messo a
punto dall’Eurogruppo, non solo ha scosso
l’area dell’euro, ma per una modalità particolare dell’uscita dalla crisi, e cioè una
temporanea sospensione del principio di
liberalizzazione del movimento dei capitali, ha suscitato un più ampio dibattito su
come far superare all’Eurozona la crisi in
cui è caduta da anni e che ne fa l’area meno dinamica rispetto agli Stati Uniti e all’Asia sinocentrica. Su questo si innesta un
principio di rinnovata guerra monetaria,
stimolata dalle decisioni dalle autorità politiche e monetarie degli Stati Uniti e del
Giappone di immettere grandi quantità di
liquidità per stimolare l’economia: politica
non seguita, almeno per il momento, dalle
autorità dell’Eurozona.
La crisi finanziaria 2012-2013
La Repubblica di Cipro, membro del-
l’Unione europea dal 1° maggio 2004, ha
attirato su di sé l’attenzione internazionale tra la fine del 2012 e i primi mesi del
2013 per la grave crisi finanziaria che l’ha
colpita e ha indotto i Paesi europei della
zona euro (Eurogruppo) ad approvare un
piano di salvataggio. Si tratta di una crisi
economica, dovuta alla caduta di settori
produttivi (immobiliare, turismo), che si è
ripercossa sul sistema finanziario a causa,
principalmente, delle perdite subite dalle
banche causato dal deprezzamento dei titoli di Stato della Grecia che esse avevano
accumulato nei loro depositi. A ciò si è aggiunto un forte aumento del deficit pubblico che aveva provocato un declassamento
dei titoli ciprioti sul mercato finanziario
internazionale.
Per tamponare la situazione, il governo
di Cipro aveva ottenuto, nel gennaio 2012,
un prestito di 2,5 miliardi di euro dalla
Russia per finanziare il suo debito e rifinanziare quello a lungo termine. Invano: il
13 marzo 2012, l’agenzia di rating
Moody’s aveva declassato Cipro, seguita
il 25 giugno dall’agenzia Fitch, spingendo,
lo stesso giorno, il governo di Nicosia a
chiedere l’intervento a proprio sostegno
del meccanismo europeo di stabilità e del
fondo europeo di stabilità finanziaria. Dal
25 luglio, la cosiddetta Troika (Commissione europea, Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea) iniziava a
discutere di un possibile piano di salvataggio. Il 30 novembre, d’intesa con la
(*) Esperto di geopolitica, autore di diversi volumi in materia, collabora a Il Foglio, È collaboratore della
Rivista Marittima dal 1982.
30
Rivista Marittima-Giugno 2013
Cipro: un segnale per l’Europa
Troika, Cipro annunciava alcune misure di
austerità: taglio nei salari dei servizi pubblici, aumenti dell’IVA, delle tasse sul tabacco, l’alcol, la benzina, i giochi d’azzardo, il settore immobiliare e i contributi per
la sicurezza sociale. Queste misure provocavano proteste e accenni di rivolta, denunziando un forte disagio sociale che
spingeva le autorità cipriote a tergiversare
nei negoziati con l’Eurogruppo il quale,
d’altra parte, modificava più volte il proprio piano di salvataggio.
Finalmente, nella notte tra il 15 e il 16
marzo 2013, l’Eurogruppo elaborava un
piano di salvataggio del settore finanziario
dell’isola del valore di 17 miliardi di euro.
Il piano prevedeva un aiuto di 10 miliardi
di euro, pari al 55% del Pil cipriota, e un
prelievo straordinario sui depositi bancari
del 6,75% sui depositi fino a 100.000 euro e di 9,9% su quelli superiori per arrivare a 5,8 miliardi di euro. Questo piano veniva rifiutato dai governanti dell’isola, ma
il 22 marzo il Parlamento cipriota accettava la ristrutturazione della seconda banca
del Paese, la Laiki Bank, attraverso la
creazione di una bad bank sulla quale far
confluire i titoli tossici. Seguiva così un
secondo piano il 25 marzo: garanzia per i
depositi inferiori a 100.000 euro, come nel
resto dell’Eurozona, trasferimento dei depositi inferiori a 100 euro e degli attivi di
buona qualità della Laiki Bank (di fatto liquidata) alla Banca di Cipro, trasformazione in azioni dei depositi di più di 100
euro della Banca di Cipro nella misura del
37,5% di tali depositi mentre il 22,5% restavano bloccati e gli uni e gli altri sarebbero stati tassati, ovvero avrebbero subito
un prelievo fino al 60% o anche oltre per
arrivare al traguardo di 5,8 miliardi di euro. Entro 90 giorni sarebbe stato stabilito
l’ammontare del prelievo. Il restante 40%
dei depositi resterà bloccata per sei mesi
Rivista Marittima-Giugno 2013
onde evitare prelievi massicci e il loro
eventuale trasferimento all’estero.
Rapidamente è stato tentato un calcolo
delle conseguenze di queste misure sull’economia del Paese. Secondo diversi istituti di analisi, esse comporteranno una recessione del 20%. È stato iniziato lo studio
dei provvedimenti atti a contenere questa
caduta e a rilanciare l’economia, come per
esempio vantaggi fiscali per le imprese i
cui utili verranno reinvestiti nell’isola.
Tutto questo si è svolto e si svolge in un
clima pesante di accuse di corruzione e favoritismi a personaggi politici e loro prossimi che sarebbero avvenuti durante i momenti peggiori della crisi e ciò con la complicità delle banche prima dell’approvazione del piano di ristrutturazione. Sono
state promesse indagini approfondite, le
cui conclusioni, quando verranno, difficilmente saranno accolte con piena soddisfazione. Nel frattempo sono state poste forti
limitazioni al movimento dei capitali. Solo le imprese potranno procedere con le
normali transazioni purché approvate da
una commissione. I singoli potranno prelevare fino a 300 euro al giorno, i pagamenti all’estero con le carte limitati a 5.000 euro al mese, rimesse bancarie all’estero vietate, i Ciprioti che lasciano l’isola non potranno portare con sé più di mille euro in
banconote. La Banca centrale di Cipro ha
assicurato un costante monitoraggio e la
modificazione delle regole in funzione
della situazione.
Come è stato riferito dai giornali, buona
parte dei depositi facevano capo a cittadini russi e Cipro era diventata un paradiso
fiscale all’interno dell’Eurozona, una piattaforma finanziaria nel Mediterraneo, a ridosso del Medio Oriente e meta preferita
di operatori finanziari russi. Mosca, infatti, ha protestato contro le misure imposte
dalla Troika, ma le proteste, dopo i primi
31
Cipro: un segnale per l’Europa
giorni, sono scemate: le imprese russe
operanti nell’isola, infatti, hanno subito
perdite, come i titolari di conti di deposito,
ma per le imprese a partecipazione statale
sono previsti aiuti, anche se caso per caso.
Secondo dati pubblicati dalla stampa, la
maggior parte dei 19 miliardi di euro di
depositi non bancari e non appartenenti a
cittadini dell’Eurozona apparterebbe a cittadini russi. Sul totale dei 38 miliardi di
euro di depositi stranieri detenuti dalle
banche cipriote, 13 miliardi apparterrebbero a istituzioni esterne all’Unione europea.
Il dibattito sulle ricette
D
i per sé, la crisi finanziaria di Cipro ha
dimensioni modeste, ma viene dopo quelle dell’Irlanda, del Portogallo, della Grecia, della Spagna e, in parte, dell’Italia. Bisogna poi distinguere tra crisi del sistema
bancario, che riguarda anche Germania e
Francia, e crisi economica. La prima è stata tamponata con l’assicurazione che la
BCE sarebbe intervenuta, praticamente
senza limiti, in caso di nuovi attacchi speculativi contro i debiti pubblici dei diversi
Paesi dell’Eurozona, ma questa assicurazione, che ha mantenuto relativamente
bassi gli spread, non si è tradotta in un sostegno delle banche alla ripresa economica: il 16-17 aprile, sia Mario Draghi, presidente della BCE, sia Christine Lagarde,
direttore del FMI, hanno sottolineato questa anomalia. Anzi, la loro è stata una vera
e propria accusa. Ma le banche, che hanno
visto diminuire il valore dei titoli pubblici
in deposito, che hanno subito perdite con i
titoli spazzatura e che hanno un volume di
crediti considerati inesigibili ancora elevato, restano prudenti: non solo concedono
poco credito alle imprese, ma lo fanno a
tassi elevati, scoraggiando la domanda e
32
mettendo in difficoltà chi, comunque, sottoscrive quei crediti. Ciò che dimostra
quanto siano collegate finanza e industria,
o attività produttiva in genere. Con la differenza, non secondaria, che la finanza ha
un largo margine di autonomia a livello
globale, mentre l’attività produttiva, che
dipende in buona misura dalle scelte di politica fiscale dei singoli governi, subisce
gli orientamenti di questi che, nell’Eurozona, sono ancora impostati sulla linea
dell’austerità.
La Germania, come è noto, sostiene che
ciascun Paese deve mettere in ordine i
conti in casa propria, tagliando anzitutto la
spesa pubblica per riportarla sotto il limite
del 3% del Pil e, per questa via, ridurre il
bisogno di indebitamento. Il punto è che
ogni singolo Paese è una «casa» diversa
con caratteristiche proprie per cui una regola generale — orizzontale, come si dice
— può non risultare la più efficace a livello complessivo. L’Italia, per esempio, ha
un debito pubblico elevato ma un debito
privato più ridotto della Germania o della
Francia o del Regno Unito per cui la stessa ricetta non ha gli stessi effetti. Riducendo la spesa pubblica, al di là della lotta
contro le inefficienze e egli sprechi, che è
una battaglia giusta e va combattuta comunque, si riduce anche un flusso di potere d’acquisto che si trasforma in una minore domanda di beni e servizi e provoca una
contrazione dell’offerta degli stessi, cioè a
livello produttivo, con la conseguenza che
i risparmi si trasformano in erogazioni della cassa integrazione e simili forme assistenziali. I risparmi pubblici che escono
dalla porta rientrano dalla finestra, ma in
questo circuito il sistema produttivo continua a indebolirsi e si allontanano i presupposti di una ripresa economica che dovrebbe consentire di rimettere i conti a posto
attraverso le maggiori entrate dello Stato
Rivista Marittima-Giugno 2013
Cipro: un segnale per l’Europa
per le imposte sulle attività produttive,
commerciali e previdenziali.
In questi anni è prevalsa la teoria che
un Paese con un debito pubblico superiore al 90% del Pil va in recessione. Non c’è
dubbio che se il debito pubblico comporta
un alto servizio del debito, cioè un elevato esborso per gli interessi (che dipende
dallo spread, ovvero dalla credibilità complessiva del Paese), si sottraggono risorse
agli investimenti produttivi e, se non la recessione, almeno la stagnazione economica è assicurata. Ma se il debito pubblico
elevato (negli Stati Uniti è al 100% del
Pil, in Giappone oltre il 250%, in Francia
al 92%, in Germania all’80%) non è legato ad alti tassi di interesse, la crescita non
è automatica: è molto bassa in Francia,
modesta in Giappone, un po’ più consistente negli Stati Uniti, si sta indebolendo
in Germania.
La critica alla politica dell’austerity
L
a teoria è quindi controversa e proprio
ad aprile essa è stata contestata da altri studi che, in fondo, rilanciano la teoria generale dello sviluppo che poggia su due elementi: gli investimenti e la produttività.
Ne segue, per quanto riguarda gli investimenti, che si trovano in migliori condizioni i Paesi che hanno investito e non quelli
che hanno usato il debito pubblico per la
spesa corrente (caso dell’Italia, della Spagna, della Grecia e in parte della Francia)
e per i quali il problema è di riorientare la
spesa, cosa comunque difficile per le conseguenze sociali e politiche. Poi c’è l’elemento della produttività, che dipende da
numerosi fattori: la capacità di innovare
delle imprese (decisioni di tipo manageriale ma legate alle disponibilità finanziarie e
alle dimensioni delle imprese stesse), il
34
mercato del lavoro (più o meno flessibile),
il regime fiscale (è annosa, in Italia, la
questione della riduzione del cuneo fiscale), l’efficienza burocratico-amministrativa dell’ambiente in cui le imprese operano, i vari input governativi. In Italia, è all’inizio la soluzione dell’annoso problema
dei ritardi con cui la Pubblica Amministrazione salda i crediti alle imprese che le
hanno fornito beni e servizi e che hanno
raggiunto un volume compreso tra i 90 e i
110 miliardi di euro: una situazione che ha
stressato decine di migliaia di imprese, costrette comunque a fare fronte alle scadenze fiscali, a chiedere prestiti sempre più
onerosi alle banche, a rinviare ammodernamenti e nuovi investimenti e, non ultimo, a innescare pratiche più o meno corruttrici. Questo handicap puramente italiano si sarebbe potuto evitare anche perché
ha aggravato la già consistente moria di
aziende che ha portato la disoccupazione
al preoccupante livello di oltre il 12%.
Sta di fatto, comunque, che la crisi ha
colpito tutti, anche se in diversa misura,
indipendentemente dai sistemi politicoistituzionali e dal colore dei partiti al governo. Gli elevati debiti pubblici, in alcuni
Paesi gonfiati dalla necessità di venire in
soccorso del sistema bancario (Stati Uniti,
Regno Unito, Germania, Francia, e più recentemente Spagna, Grecia, Portogallo e
Cipro), hanno escluso le ricette keynesiane: non si può stimolare la ripresa con altro debito pubblico. Da qui la scelta (americana e ora anche giapponese) di rifinanziare le banche nella convinzione che esse,
riempite di denaro fresco, finiranno per
prestarlo a chi vuole fare investimenti produttivi, con i conseguenti benefici di crescita dell’occupazione, aumento della domanda di beni e servizi e quindi anche dell’offerta: in breve, mettere in moto il circolo virtuoso dell’espansione economica.
Rivista Marittima-Giugno 2013
Cipro: un segnale per l’Europa
Questa ricetta non sembra dare i frutti nella misura sperata poiché questo flusso di
denaro viene utilizzato ancora in larga parte per fare investimenti speculativi sul
mercato finanziario, valutario e delle materie prime, che non produce occupazione
né sviluppo, ma arricchisce pochi poiché il
denaro si sposta dove ottiene i maggiori (e
più rapidi) profitti.
È evidente che la causa principale risieda nella mancata regolazione dei mercati
finanziari, nella persistenza del sistema
bancario ombra (shadow banking), nella
espansione dei paradisi fiscali. Un recente
studio ha sostenuto che i capitali depositati nei paradisi fiscali di tutto il mondo raggiungono l’enorme volume di 20-30.000
miliardi di dollari, cioè da un quinto a un
terzo dell’intero Pil mondiale di un anno.
Non solo sfuggono all’imposizione fiscale, riducendo le entrate degli Stati e costringendoli a fare debito pubblico, ma
non si indirizzano agli investimenti produttivi e quindi non contribuiscono a intaccare la disoccupazione. Aggiungiamo
che il presidente della UE, Van Rumpuy,
ha denunciato un’evasione fiscale nella
UE pari a circa 1.000 miliardi di euro: l’Italia, quindi, è in buona compagnia con i
maggiori Paesi europei poiché questi volumi di evasione non si raggiungono certo
nei piccoli Paesi. Si cerca di correre ai ripari anche se gli interessi da contrastare
sono, come indicano le cifre, enormi. Il
Lussemburgo — principale paradiso fiscale nel cuore della UE — ha deciso di ridurre il segreto bancario. Il caso di Cipro —
che ha coinvolto cifre irrisorie — è stato
quindi un segnale importante. Ma in Europa i paradisi fiscali sono numerosi: Svizzera, Paesi Bassi, Austria, Monaco, Andorra,
Liechtenstein. Ci sono poi le dipendenze
ex coloniali o ancora sotto la Corona del
Regno Unito. Le Isole Caymans, celeberRivista Marittima-Giugno 2013
rimo paradiso fiscale, hanno annunziato la
creazione di una banca di dati sulle società
che prendono la sede legale nel loro territorio. Diversi Stati, come il Lussemburgo
e Monaco, stanno trattando accordi bilaterali con i Paesi da cui proviene la maggiore parte dei capitali. Grandi flussi dalla Cina e dall’India si rivolgono ai paradisi fiscali sparpagliati negli Oceani Pacifico e
Indiano. Ma altri Stati recalcitrano: tra
questi, Svizzera, Libano, Panama ed Emirati Arabi Uniti. D’altra parte, ogni Paese
cerca di sfruttare al meglio le opportunità
che si presentano. Numerosi paradisi fiscali non potrebbero sopravvivere solo
grazie al turismo se chiudessero le loro attività bancarie compiacenti. Siamo solo all’inizio di un processo poiché le resistenze
non vengono solo dai piccoli Paesi che offrono comodi rifugi, ma dai soggetti che
svolgono i loro affari nei grandi Paesi dove si producono profitti ma scarseggiano
opportunità di ulteriori investimenti, quali
sono i nostri Paesi di antica industrializzazione. Analizzata sotto questo profilo finanziario, la crisi economica si presenta
come di difficile soluzione e conferma che
la ricetta basata sul «mettere in ordine i
conti in casa propria» è debole nella sua
impostazione poiché nessuno è completamente padrone in casa propria.
Una conversione ad alto rischio
L
a forza propulsiva della globalizzazione, a partire dalla metà degli anni Settanta
del secolo scorso, ha avuto numerosi propellenti, ma quello decisivo è stato la progressiva liberalizzazione della circolazione dei capitali anche perché i capitali, più
delle persone e degli impianti industriali,
sono mobili per natura: prima all’interno
di uno Stato, poi attraverso le frontiere.
35
Cipro: un segnale per l’Europa
Questa liberalizzazione ha avuto numerosi
effetti positivi e risponde a un principio logico: investire dove si può ottenere il massimo profitto; disinvestire dove i profitti
calano o le condizioni ambientali diventano meno favorevoli.
La principale conseguenza è che gli Stati, in particolare quelli dell’Europa continentale, in cui i governi erano abituati a
gestire la politica monetaria ed economica,
e l’opinione pubblica ancora si attende
questo da essi, hanno perduto gran parte
del loro potere e trovano grande difficoltà
a legittimarsi, rinviando la responsabilità
al «mercato». Fino a quando l’economia
tira, non resta che elogiare la situazione e
sostenere il principio «meno Stato, più
mercato». Ma quando, per una serie di vicende, e non ultima l’applicazione rigorosa della logica della libertà di movimento
dei capitali, nonché l’emersione di nuovi
grandi e forti concorrenti, le cose cominciano ad andare male, emergono i dubbi
sulla bontà di quel principio.
L’Unione europea sarebbe la struttura
adeguata per affrontare lo sviluppo di un
insieme di Paesi già fortemente integrati e
interdipendenti. Ma, paradossalmente, non
c’è un organismo che abbia la responsabilità di una vera e propria politica economica supernazionale (europea) mentre lo Statuto della BCE impone a questa il solo
obiettivo di impedire il sorgere di spinte inflazionistiche. Allora: gli Stati presi singolarmente non hanno più il potere di fare politica economica ma devono (o sono spinti
a) contenere la spesa pubblica; l’Europa
come tale non ha una politica economica e
non mette a disposizione strumenti finanziari comuni quali potrebbero essere gli
Eurobond. Invece è costretta a mettere a
punto dei meccanismi di intervento straordinario, qual è il Fondo salva-Stati, che obbliga tutti a partecipare al salvataggio ora
36
di questo ora di quel Paese in difficoltà.
Da qui due tesi divergenti. Secondo la
prima tesi, occorre più Europa, occorre
una politica fiscale e bancaria unica e
uniforme, occorre un governo europeo a
pieno titolo che gestisca la politica economica e non solo quella monetaria, che finisce, quest’ultima, per scontrarsi con quella degli Stati Uniti e del Giappone (e forse
in futuro anche con quella della Cina). Che
cosa ostacola la realizzazione di questo
obiettivo? La risposta è: la diversità delle
diverse «case». I problemi variano da Paese a Paese, ciò che è bene e possibile per
uno non lo è per un altro. Così risorgono i
nazionalismi, per fortuna disarmati, ma
non meno devastanti; i sospetti reciproci e
le accuse; le pressioni ritenute indebite; gli
interessi definiti egoistici, che ora si addensano principalmente sulla Germania
dove però l’opinione pubblica è ferma sulla convinzione che «i Tedeschi non devono pagare per gli errori e gli sprechi degli
altri», cui si risponde che la Germania ha
tratto dall’unione più vantaggi degli altri e
quindi dovrebbe mostrarsi generosa e solidale. Per la seconda tesi, l’adozione dell’euro è stata un errore: bloccando la possibilità di svalutazioni competitive, e togliendo ai governi la gestione della politica economica, ha rafforzato i più forti e indebolito i più deboli: i primi, custodi della
gabbia, i secondi dentro la gabbia.
Così non se ne esce. Sono in molti a
sperare che, dopo le elezioni politiche tedesche del prossimo settembre, il governo
di Berlino farà quelle concessioni che, per
motivi elettorali, non ha potuto ancora fare. Ma è solo una speranza. Una chiara volontà tedesca — non in negativo, ma in positivo — non è ancora chiaramente emersa. Ne è prova la riluttanza di Berlino a
formalizzare una unificazione del sistema
fiscale e bancario che comporterebbe una
Rivista Marittima-Giugno 2013
Cipro: un segnale per l’Europa
radicale ristrutturazione del sistema bancario tedesco. Ma questa riluttanza è diffusa anche in altri Paesi dove i poteri politici hanno come principali interlocutori ormai quasi esclusivamente i propri sistemi
bancari nazionali, avendo partiti, sindacati
e imprenditori perso gran parte del loro
potere contrattuale.
Qualcosa comunque deve cambiare e
proprio dalla soluzione del caso cipriota è
venuto un segnale. Per la prima volta, e
comunque con applicazione a una realtà
economica molto modesta, è stato sospeso,
temporaneamente, il principio della libertà
Rivista Marittima-Giugno 2013
di movimento dei capitali, offrendo al governo di Nicosia l’opportunità di riprendere a gestire, almeno in parte, la politica
economica attraverso piani di sviluppo per
uscire dalla recessione. Se si collega questa decisione alla denunzia di Van Rumpuy
sull’evasione fiscale e ai dati sulla consistenza dei paradisi fiscali, è possibile che
qualcosa cominci a muoversi anche perché
la posta in gioco è molto elevata: la legittimità stessa di governi e quindi la loro capacità di raccordarsi con l’opinione pubblica prima che tendenze irrazionali e violente prendano il sopravvento.
37
PRIMO PIANO
PIOGGIA DI PRIMAVERA
O PRELUDIO DI TEMPESTA?
La Corea del Nord tra Retorica Militarista
e Insicurezza Nucleare
ALESSIO PATALANO (*)
N
ella penisola coreana, l’arrivo della primavera è stato segnato da una pioggia di
provocazioni da parte del governo della
Repubblica democratica popolare. In una
mossa senza precedenti, il regime Pyongyang ha, in pochi giorni, ripudiato il
cessate il fuoco del 1953, tagliato ogni forma di comunicazione diretta con Seul, e
minacciato di far uso del proprio arsenale
missilistico per colpire la capitale del Sud e
altri bersagli sensibili, incluse le basi militari americane nella regione (1). Le autorità
nord coreane hanno accusato gli Stati Uniti di aver causato l’approntamento delle
batterie missilistiche, da sessant’anni ragione primaria della persistente frattura
della penisola col sostegno offerto al regime sud coreano. In quest’occasione, una
serie di manovre condotte annualmente dagli Stati Uniti con la Corea del Sud cui quest’anno hanno partecipato anche due bombardieri nucleari «B-2» avrebbero forzato
Pyongyang a minacciare rappresaglie (2).
Indipendentemente dalle pretese di
Pyongyang, la pioggia di provocazioni è
arrivata alla fine di un inverno in cui una
coltre di freddo era già calata tra il regime
stesso, Seul, e Washington. Il successo di
un terzo test nucleare condotto il 12 febbraio 2013, nonché il lancio due mesi prima di un missile balistico «Unha-3» per la
messa in orbita di un satellite, avevano costituito agli occhi della comunità internazionale i due allarmanti atti all’origine delle più vigorose esercitazioni congiunte tra
forze americane e sud coreane (3).
I test missilistico e nucleare, condannati con fermezza da autorità politiche nella
regione, hanno spinto la comunità internazionale a rispondere con rinnovata risolutezza al comportamento nord coreano. Il 7
marzo 2013, il consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite ha appoggiato l’inasprimento delle sanzioni contro il Paese, passando all’unanimità la risoluzione 2094. Il
principale obiettivo dell’iniziativa è stato
il blocco delle attività economico-finanziarie e l’accesso a beni di lusso da parte
(*) Insegnante di Sicurezza e Strategia Militare dell’Asia Orientale presso il Departimento di War Studies
del King’s College di Londra. Le sue aree d’interesse primario riguardano la storia militare e la strategia del
Giappone e della Cina dalla fine del XIX secolo. Ha pubblicato su riviste scientifiche e professionali in italiano, inglese e giapponese; il suo libro più recente è intitolato Maritime Strategy and National Security in
Japan and Britain: From the First Alliance to 9/11 (Brill/Global Oriental, 2012). Può essere contattato via
email al: [email protected].
38
Rivista Marittima-Giugno 2013
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
d’individui e società ritenute vicine alle
Forze Armate coreane (4). Gli Stati Uniti e
la Cina, che in precedenza aveva costantemente manifestato supporto al governo di
Pyongyang, hanno avuto un ruolo primario nella redazione della risoluzione. A
questo proposito, secondo autorevoli accademici cinesi, il diverso atteggiamento cinese sarebbe stato sintomatico di un crescente senso di frustrazione di Pechino nei
confronti del regime e di un crescente isolamento politico dello stesso (5).
L’escalation delle tensioni di questi ultimi mesi ha suscitato domande sulla sostanza della retorica militarista nord coreana, spingendo osservatori e analisti a temere una possibile ripresa delle ostilità
sulla penisola. Quanto reale è il rischio di
una nuova guerra in Corea? Qual è il rapporto tra l’attuale accresciuta aggressività
di Pyongyang e le provocazioni del recente passato? E quale significato bisogna attribuire agli eventi degli ultimi quattro mesi? Lo scopo di questo contributo è di fornire una risposta «a caldo» a queste domande sulla base delle prime informazioni
disponibili in merito.
In particolare, l’obbiettivo è quello di
cercare di contestualizzare gli avvenimenti
degli ultimi mesi nell’ambito dell’evoluzione della diplomazia militare e nucleare
nord coreana dall’ascesa del nuovo leader,
Kim Jong-un. La penisola coreana non è
certamente al riparo dal rischio di un conflitto armato, ma le ultime provocazioni coreane non vanno interpretate come il possibile preludio di una nuova guerra. Il regime
di Pyongyang sta attraversando una delicata fase di transizione. I toni abrasivi e le
azioni aggressive della Corea del Nord sono da considerarsi più come delle «scosse
d’assestamento», espressione del consolidamento di potere del nuovo leader, Kim
Jong-un, e di una grammatica diplomaticoRivista Marittima-Giugno 2013
militare già praticata in passato, che di una
rinnovata volontà di guerra.
Riscattare l’immagine militare
del Paese: il test di aprile 2012
I
n questo senso, il primo elemento da considerare riguarda il contesto nel quale è avvenuto il test di dicembre scorso. Il significato del lancio va, infatti, compreso in relazione a un simile test avvenuto il 13 aprile 2012, fallito clamorosamente a seguito
della prematura caduta in mare del vettore
andato in pezzi dopo poco più di un minuto dal lancio (6). Il fallimento tecnico del
vettore a lunga gittata, noto nella versione
missilistica armata testata in aprile come
Taepodong-2, aveva di fatto danneggiato
l’immagine del Paese e della politica del
Songun (priorità dell’Esercito). Questa politica, adottata nel 1994 dall’allora leader
Kim Jong-il, si fonda sulla messa a disposizione delle risorse economiche nazionali
per lo sviluppo della capacità bellica coreana dando alla possanza militare priorità assoluta negli affari di Stato. Il fallimento del
lancio di aprile, preceduto dall’insuccesso
di altri due test dello stesso tipo di vettore
nel 2006 e nel 2009, rischiava di consolidare i dubbi sulla sostanza del programma
missilistico coreano, e sull’efficienza militare del Paese (7).
Sin dall’adozione della politica del
Songun, l’arsenale missilistico di
Pyongyang — insieme al programma nucleare del Paese — ha rappresentato il fiore all’occhiello della diplomazia militare
del regime. La mancanza di successi nei
diversi lanci, e il fatto che il test di aprile
avesse avuto luogo in occasione delle celebrazioni della nascita di Kin Jong-il, principale promotore della diplomazia missilistico-nucleare del Paese, avevano contri39
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
buito a indebolire la credibilità militare coreana e a incrementare la pressione sull’establishment. Alla pressione già accumulata, il fallimento del lancio di aprile ha aggiunto un’ulteriore dimensione. Il test era
stato il primo condotto sotto la direzione
del nuovo leader, aggiungendo alle incertezze sulle capacità militari coreane, quelle sulla figura di Kim Jong-un, sulla sua
giovane età, e sulle sue capacità di offrire
una leadership militare all’altezza di quella paterna.
Nei mesi subito successivi al lancio di
aprile, indiscrezioni sullo stato di transizione del regime coreano e di una possibile
crisi politica interna sono state confermate
da una serie di improvvisi cambi ai vertici
militari. A metà luglio, le incertezze sul
rapporto tra Kim Jong-un e l’establishment
militare avevano ritrovato slancio nella
stampa internazionale all’inaspettata notizia di un cambio ai vertici delle Forze Armate. Il congedo del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Ri Yong-ho,
per «ragioni di salute» è stato seguito dalla
nomina dello generale Hyon Yong-chol.
Poco conosciuto tra gli osservatori internazionali, il general Hyon era stato scelto
principalmente poiché ritenuto politicamente vicino al nuovo leader (8). A questa
nomina hanno fatto seguito ulteriori cambi,
confermando le ipotesi della volontà di
Kim Jung-un di consolidare la propria posizione e rafforzare l’obbedienza delle alte
sfere di comando delle Forze Armate.
Alla luce di questa parabola evolutiva, il
test di dicembre ha rappresentato un momento particolarmente significativo per il
regime e il nuovo leader. Un successo in
tempi brevi dal fiasco di aprile erano condizioni essenziali per il giovane dittatore.
La riuscita del lancio del 12 dicembre
2012, avvenuto solo due giorni dopo l’annuncio di problemi tecnici con il vettore
40
missilistico, ha offerto la risposta più efficace alle incertezze dei mesi precedenti. In
particolare, giunto a quasi un anno di distanza dalla morte di Kim Jong-il, il test ha
simbolicamente confermato la centralità
della famiglia di dittatori nella vita politico-militare del Paese, e contribuito a marcare il passaggio del testimone tra padre e
figlio. L’indomani del test, Kim Jung-un
aveva dimostrato all’opinione pubblica internazionale, e soprattutto alle sfere militari e la popolazione nord coreana che il regime era forte e capace come non mai.
Dal punto di vista prettamente tecnico,
il successo del test non ha solo riscattato
gli scarsi risultati dell’aprile precedente,
provando l’evoluzione del programma
missilistico coreano, ma ne ha anche rinnovato il valore politico-diplomatico, riaprendo il dibattito internazionale sulla pericolosità del deterrente convenzionale del
Paese. In particolare, il successo nel lancio
di un vettore missilistico multistadio
estenderebbe di fatto la capacità convenzionale coreana in termini di gittata dei
propri ordigni. Infatti, la versione militare
del vettore lanciato in dicembre, il «Taeponding-2», permetterebbe alla Corea del
Nord di raggiungere obiettivi fino a un
massimo di 6.000 km, ponendo di fatto
parte dell’Australia e dell’Alaska all’interno del proprio raggio d’azione (9).
La retorica militarista e la dialettica
delle provocazioni nucleari:
l’escalation di febbraio 2013
Circostanze interne a parte, le provoca-
zioni militari di tipo convenzionale non
hanno mai cessato di far parte della dialettica nord coreana. Tuttavia, nel corso degli
anni Novanta l’equilibrio militare tra Nord
e Sud si è modificato a netto vantaggio di
Rivista Marittima-Giugno 2013
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
Seul. In uno studio dettagliato di quarant’anni di diplomazia militare coreana,
lo specialista Narushige Michishita ha evidenziato come i risultati sud coreani negli
scontri a fuoco lungo la Zona Demilitarizzata Coreana (ZDC) del febbraio 1997, e
nelle azioni navali nelle vicinanze della
Linea Limite del Nord (LLN) del giugno
1999 e 2002, siano stati sintomatici di una
presa di coscienza nord coreana del crescente divario tecnologico militare (10).
D’altra parte, l’affondamento della corvetta sud coreana Cheonan nel marzo 2010 e
il
bombardamento
dell’isola
di
Yeonpyeong nel dicembre successivo,
hanno confermato la volontà di
Pyongyang di non voler perdere nessuna
opportunità per dare prova della propria risolutezza e preparazione militare, della
propensione del regime ad accettare scelte
rischiose, e del ruolo della diplomazia militare nelle interazioni esterne.
In questo contesto, la scelta di accelerare il programma nucleare ha, in parte,
svolto la funzione di controbilanciare il
progressivo disequilibrio in ambito convenzionale. L’alleanza della Corea del
Sud con gli Stati Uniti e la protezione militare, e soprattutto nucleare, offerta da
Washington, hanno da sempre contribuito
a esasperare il problema della sicurezza
per la Corea del Nord. L’enfasi posta dal
regime sulla necessità di munirsi di un dispositivo nucleare nel corso degli ultimi
due decenni, per quanto difficile da comprendere e condividere da parte di un osservatore esterno, è tuttavia il riflesso di
una percezione della sicurezza in cui l’esistenza stessa della Corea del Nord è, da
sempre, stata sotto costante minaccia.
Con lo sgretolarsi del margine relativo in
termini di capacità militari convenzionali, specialmente sul piano tecnologico,
non ha fatto che contribuire ad accentua42
re le ansie del regime.
Basti pensare che nel 1994, le assicurazioni dell’amministrazione Clinton di non
avere alcuna intenzione di attaccare la Corea del Nord militarmente erano state necessarie per convincere il regime ad accettare di compiere i primi passi verso la denuclearizzazione. Nel 2001, l’irrigidimento
delle posizioni dell’amministrazione di
George W. Bush dovuto ai sospetti rispetto
al reale impegno coreano nei confronti del
processo di denuclearizzazione ha portato
Pyongyang a riconsiderare la propria posizione ufficiale. Nel 2003, il regime ha denunciato i trattati di non-proliferazione e ripreso con slancio il programma nucleare —
che in realtà, non era mai stato completamente interrotto. Nella primavera dello
stesso anno, fonti attendibili avevano infatti riportano che il Paese aveva completato il
riprocessamento di 8.000 barre di combustibile, una quantità sufficiente per realizzare diverse bombe (11).
Dal 2003, la perseveranza di
Pyongyang nel perseguire il disegno di
uno scudo protettivo nucleare è stata dimostrata dai test sotterranei del 2006, del
2009 e del 12 febbraio 2013. In particolare, secondo gli osservatori dell’Organizzazione per il Trattato sul Bando Complessivo dei Test Nucleari di Vienna, le tre
esplosioni avrebbero mostrato dei segni di
progresso, avendo generato esplosioni
progressivamente sempre più importanti.
Tale progresso spiegherebbe in parte la decisione del governo nord coreano di cambiare, nel maggio 2012, la costituzione
specificando che è un Paese nucleare. In
particolare, il test di febbraio sembrerebbe
avere generato un’esplosione sotterranea
del doppio della potenza del test del 2006,
nonostante l’ordigno fosse più contenuto
(12). Secondo parte dei servizi dell’intelligence americana, l’esplosione di febbraio
Rivista Marittima-Giugno 2013
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
contribuirebbe ad avvalorare la tesi che la
Corea del Nord è sempre più vicina a possedere le capacità tecniche per miniaturizzare il proprio materiale nucleare in una
testata nucleare (13).
L’agenzia di stampa nord coreana KCNA ha dichiarato che il test era stato condotto in risposta all’atteggiamento «incautamente ostile» degli Stati Uniti nei confronti della Corea del Nord. In particolare,
nei giorni successivi all’esplosione, le autorità nord coreane hanno ulteriormente
precisato che la decisione di condurre le
esercitazioni annuali con la Corea del Sud,
denominate Key Resolve e Foal Eagle, sarebbe stata considerata come un’ulteriore
espressione delle ostilità americane nei
confronti di Pyongyang e avrebbe provocato nuove ritorsioni. La decisione di
Washington e Seul di proseguire con il
programma delle esercitazioni, e quella di
Washington di rigettare la retorica militarista nord coreana quale premessa alle evoluzioni della sicurezza nella penisola dispiegando i bombardieri «B-2» durante le
esercitazioni hanno contribuito a infiammare ulteriormente la situazione.
Infatti, nelle settimane successive, la
Corea del Nord ha minacciato di colpire
gli Stati Uniti, ha annunciato la chiusura
dell’area di sviluppo congiunto con la Corea del Sud e fatto evacuare i lavoratori
sud coreani, ha notificato alle rappresentanze diplomatiche straniere dell’imminenza delle ostilità, e ha annunciato nuovi
lanci missilistici spostando alcune batterie
di missili «Musudan» (ritenuti capaci di)
lungo la costa orientale del Paese. Allo
stesso tempo, gli Stati Uniti, hanno inviato
l’incrociatore anti-missile USS John McCain e la piattaforma radar «SBX-1» in
prossimità della costa nord coreana per
monitorare il movimento delle batterie
missilistiche, e annunciato il rischieramenRivista Marittima-Giugno 2013
to di un’unità anti-missile del tipo
THAAD (Terminal High Altitude Area
Defence) a Guam per fare fronte alla minaccia missilistico nucleare coreana (14).
Il 18 aprile scorso, in un’azione volta a
rallentare la spirale di tensioni, il regime di
Pyongyang ha annunciato di essere pronto
a riaprire il dialogo sulla sicurezza nella
penisola coreana. Le precondizioni date
per intavolare il dialogo sono state la rimozione delle nuove sanzioni delle Nazioni
Unite, la fine delle esercitazioni militari
congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti.
In riferimento a queste ultime, la nota ufficiale nord coreana ha specificato che gli
Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi a
non farsi coinvolgere in nessuna «prova
generale per una guerra nucleare» poiché
«il dialogo e le simulazioni di guerra non
possono mai andare d’accordo» (15). Rigettate da Seul e Washington come incomprensibili, le richieste nord coreane sembrerebbero confermare l’idea che, a guidare le azioni del regime, sarebbero più le
ansie sull’insicurezza del Paese, che un
vero e proprio desiderio di guerra. L’idea
sarebbe comprovata dalla richiesta della
Corea del Nord, riportata dalla stampa il
23 aprile, di voler essere riconosciuto come un Paese nucleare dagli Stati Uniti, rifiutando richieste di rinunciare al programma nucleare quale gesto preliminare
per riprendere il dialogo (16).
Conclusioni: Nuovo regime, nuovo
statuto, vecchia strategia
È
la penisola coreana più vicina oggi al
rischio di una guerra di quanto non lo fosse un anno fa? Probabilmente no. La Corea
del Nord ha, nel tempo, fatto uso costante
di strategie rischiose e di una retorica spavalda e aggressiva. La minaccia dell’uso
43
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
della forza è una componente essenziale
della diplomazia di Pyongyang. In questo
senso, la spirale di tensioni degli ultimi
mesi va valutata nell’ambito dei termini
della dialettica tra le due coree e gli Stati
Uniti, una dialettica in cui la percezione di
vulnerabilità e di «accerchiamento militare» della Corea del Nord sono essenziali
per comprenderne le azioni.
Per questo stesso motivo, le minacce
nord coreane di azioni e ritorsioni militari
non vanno sminuite come espressioni di
sola retorica. La perseveranza dei lanci
missilistici, dei test nucleari, nonché le
azioni militari e navali dell’ultimo decennio, sono una prova evidente della volontà
del regime di continuare nel solco tracciato dalla politica del songun. Ciò suggerisce che in futuro Pyongyang continuerà a
mettere in atto azioni militari se e quando
il regime si sentirà minacciato, ovvero se
avrà l’occasione o la necessità di mostrare
la risolutezza del proprio strumento militare. Data la natura contestata della LLN dal
punto di vista del diritto internazionale, è
probabile che la frontiera marittima occidentale tra le due Coree rimarrà un’area
primaria di azioni e scontri, mentre le esercitazioni congiunte annuali tra Stati Uniti e
Corea del Sud continueranno a rappresentare un fattore irritante nella sicurezza della penisola.
Allo stesso tempo, sul piano politico interno, questo è stato un anno delicato per
la Corea del Nord. Il cambio della guardia
alla direzione del regime e l’ascesa di
Kim Jong-un, accelerata dalla morte improvvisa del padre, ha probabilmente con-
tribuito a manifestazioni di forza più enfatizzate. In particolare, la necessità di consolidare la propria leadership e di confermare le proprie credenziali militari e quelle del Paese, sono stati due importanti fattori che hanno condizionato il suo bellicoso comportamento.
C’è tuttavia un cambiamento importante
che va registrato in relazione agli avvenimenti degli ultimi due test. Entrambi si sono conclusi con successo, e la Corea del
Nord ha provato di essere capace di mettere in orbita un satellite, e di aver prodotto
un ordigno nucleare più potente e compatto di quelli testati in passato. La posizione
ferma del regime di non voler negoziare
l’abbandono del programma nucleare quale precondizione per il dialogo con le controparti americane e sud coreane è oggi l’espressione di una sicurezza ritrovata, e della possibilità di poter contare su di un più
forte terreno negoziale.
Per queste ragioni, il destino delle due
Coree e la sicurezza della penisola coreana
resteranno ancora in bilico nel prossimo
futuro e continuerà a essere difficile avanzare previsioni precise sul percorso che il
nuovo leader Kim Jong-un sceglierà per il
proprio Paese. Ciò che sembra certo è che
il regime di Pyongyang continuerà a perseguire la logica del detto latino si vis pacem, para bellum. Fino a quando questo
stesso non avrà garanzie sicure di essere al
riparo della potenza militare e nucleare
americana, la sicurezza delle armi — convenzionali e non — continuerà a rappresentare un obbiettivo primario nel calcolo
politico della sua leadership.
NOTE
(1) «North Korea ends armistice with South amid games on both sides of the border», in The Guardian, 11
marzo 2013, http://www.guardian.co.uk/world/2013/mar/11/north-korea-declares-end-armistice (28 marzo
2013); BBC News, 27 marzo 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-21950139 (28 marzo 2013);
44
Rivista Marittima-Giugno 2013
Pioggia di primavera o preludio di tempesta?
«North Korea threats: US move missile defences to Guam», BBC News Asia, 04 aprile 2013,
http://www.bbc.co.uk/news/world-us-canada-22021832 (04 aprile 2013).
(2) Choe Sang-hun, «North Korea threatens US over joint military drill» «North Korea cuts military hotline with south», in International Herald Tribune, 23 febbraio 2013, http://www.nytimes.com/2013/
02/24/world/asia/north-korea-threatens-us-over-military-drill.html?_r=0 (23 febbraio 2013); Tom Shanker
e Choe Sang-hun, «US runs practice sortie in South Korea», in The New York Times, 28 marzo 2013,
http://www.nytimes.com/2013/03/29/world/asia/us-begins-stealth-bombing-runs-over-southkorea.html?_r=0 (28 marzo 2013).
(3) «North Korea’s nuclear tests», BBC News Asia, 12 febbraio 2013, http://www.bbc.co.uk/news/worldasia-17823706 (28 marzo 2013).
(4) «UN adopts tough new North Korea sanctions after nuclear test», BBC News Asia, 7 marzo 2013,
http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-21704862 (28 marzo 2013).
(5) Zhu Feng, «North Korea’s step too far?», China US Focus, 10 aprile 2013, http://www.chinausfocus
.com/foreign-policy/north-koreas-step-too-far/ (14 aprile 2013).
(6) Choe Sang-hun, «North Korean rocket fails moments after liftoff», in The New York Times, 12 aprile
2012, http://www.nytimes.com/2012/04/13/world/asia/north-korea-launches-rocket-defying-world-warnings.html?pagewanted=all (28 marzo 2013).
(7) A questo proposito, uno recente studio della propaganda nord coreana suggerirebbe che la retorica del
regime avrebbe quale ispirazione primaria il militarismo giapponese piuttosto che il marxismo-leninismo.
B. R. Meyers, The Clearest Race: How North Koreans See Themselves and Why it Matters, New York,
Melville House, 2010).
(8) «North Korea: “Purge” sees general confirmed as army chief», BBC News Asia, 18 luglio 2012,
http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-18897142 (18 luglio 2012).
(9) Jonathan Marcus, «Key step in North Korea’s missile ambitions», BBC News Asia, 12 dicembre 2012,
http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-20694331 (28 marzo 2013); «North Korea’s missile programme
says», CNN, 12 aprile 2013, http://edition.cnn.com/2013/04/11/world/asia/koreas-tensions (12 aprile
2013).
(14) Barbara Starr, Jethro Mullen e K.J. Kwon, «US moves warship, sea-based radar to watch North Korea», CNN, 2 aprile 2013, http://edition.cnn.com/2013/04/01/world/asia/us-north-korea-radar (2 aprile
2013); «North Korea threats: US move missile defences to Guam», op. cit; Ewen MacAskill e Justin McCurry, «North Korea nuclear threats prompt US missile battery deployment to Guam», The Guardian, 4
aprile 2013, http://www.guardian.co.uk/world/2013/apr/03/us-missile-defence-system-guam-north-korea
(4 aprile 2013).
(15) «North Korea lists terms for talks with US and S Korea», BBC News Asia, 18 aprile 2013,
http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-22195453 (18 aprole 2013).
(16) «North Korea demands to join nuclear club», The Guardian, 23 aprile 2013,
http://www.guardian.co.uk/world/2013/apr/23/north-korea-demands-nuclear-club (23 aprile 2013).
Rivista Marittima-Giugno 2013
45
PRIMO PIANO
L’APPLICAZIONE DI UNA STRATEGIA
MARITTIMA PER USCIRE DALLA CRISI
8.500
7.000
5.500
4.000
2.500
1.000
1997-99
2000-02
2003-05
Crediti
2006-08
Debiti
Bilancia dei pagamenti italiana dei trasporti marittimi prima della crisi del 2009
(Fonte Confitarma su dati Banca d’italia).
MAURIZIO BETTINI (*)
Per un Paese come l’Italia, che registra il
54% del proprio commercio estero circolare sulle rotte marittime, dovrebbe essere
una «vocazione naturale» quella di dotarsi
di una strategia marittima integrata. Si in-
tende una strategia che tenga unite la politica portuale, l’armamento, la cantieristica,
la logistica, la pesca, le attività estrattive
marine e lo sviluppo della Marina Militare. La questione è decisiva in quanto la
(*) È phd (Doctor of Philosophy) in Storia della società europea. Esperto di economia marittimo-portuale ha
collaborato con istituzioni pubbliche e private e con le autorità portuali di Livorno e Bari. Autore di numerosi libri e saggi sui porti e la logistica, ha pubblicato articoli sulle riviste Porti&Logistica e Portonuovo.
46
Rivista Marittima-Giugno 2013
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
strategia marittima ha un peso significativo nella costruzione del quadro macroeconomico sia per quanto concerne l’equilibrio della bilancia dei pagamenti (di cui fa
parte la bilancia dei noli); sia per quanto
concerne la crescita strutturale di capitale
sociale fisso; sia per quanto concerne la
formazione dei prezzi alla produzione e al
consumo; sia per quanto concerne — infine — la composizione e lo stimolo della
domanda interna.
Al contrario, la politica pubblica ha da
tempo intrapreso il progressivo abbandono
di interi settori della strategia marittima al
loro destino, alla morte per consunzione.
Basti osservare, in Europa, il diverso comportamento di Italia, Francia e Germania
in un settore strategico come quello cantieristico. La Germania era ben piazzata nella costruzione di medie e piccole navi porta contenitori, ma essa è da sempre minacciata e costantemente cerca di resistere.
Dal 1998, essa ha visto passare la sua quota di mercato dal 14 al 6%. Quanto alla costruzione di navi per il trasporto di gas naturale liquefatto GPL, naviglio molto sofisticato, dove l’Europa aveva un vantaggio
significativo, la Corea e la Cina hanno assunto quote significative. Il governo francese reagì, dal canto suo, al via libera dato
dalla commissione europea all’acquisizione della quota di controllo (39,2%) dei
cantieri norvegesi Aker Yards da parte dei
Coreani della STX Shipbuilding. Il governo francese non ha esitato a acquistare
quote dei Chantiers de l’Atlantique di
Saint Nazaire (gli Chantiers fanno parte
del gruppo AKER). E un altro colosso, il
gruppo Alstom, partecipato anch’esso dallo Stato, ha mantenuto il 25%. Nel novembre 2008 Parigi dichiarò che avrebbe assunto una partecipazione grazie a un aumento di capitale (che difficilmente sarebbe stato approvato in sede europea) del
Rivista Marittima-Giugno 2013
33,3% con una contemporanea riduzione
della quota dei Coreani al 50,01% e di Alstom al 16,7%. In altre parole si tratta della difesa pubblica di un know how.
Diversa la situazione in Italia dove, a
differenza dei cantieri STX per esempio
che producono navi speciali a elevato contenuto tecnologico, Fincantieri si è ridotta
a essere una società di gestione nella quale la parte navale è ridotta al 20%. Un assemblatore di impianti alberghieri e cabine
su nave. La progettazione si è ridotta e si è
circoscritta alla nicchia delle navi da crociera, lasciando da parte ciò di cui oggi si
chiede di più nel mondo: bulk carrier, chimichiere, portacontenitori, navi off shore
per l’energia. Si tenga presente che una
grande nave off shore costa di più e il valore è all’80% navale. Con le navi da crociera invece si produce in cantiere solo il
20% il resto sono mobilio, rubinetterie, accessori; mentre la produzione ad alto valore aggiunto (impiantistica, motori, compressori), che rappresenta il 40%, è importato dalla Germania. La progettazione navale di Fincantieri si mantiene viva solo
nel settore militare.
Anche in un settore strategico come
quello dei porti, la carenza di una azione
programmatica si fa sentire. Il settore portuale italiano potrebbe essere solo l’ultimo
tassello, che viene a mancare, in un puzzle
sempre più complicato da ricostruire. Sulla carte le idee ci sarebbero. Ma tra il dire
e il fare manca la concretezza. L’alternativa è il fiorire di iniziative locali più o meno guidate dalle interessate mani delle
grandi compagnie di navigazione. E per
capire quanto siano grandi basti pensare
che l’86% della flotta portacontenitori è
detenuta dai primi 20 gruppi mentre solo
dieci anni fa tale quota era del 56%. Da solo, il colosso Maersk detiene il 16% della
flotta mondiale.
47
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
Vi è un rischio in più: organi di governo
centrale e locale, ora nell’ansia di recuperare atavici ritardi infrastrutturali ora soccombendo a interessi clientelari e localistici, potrebbero inciampare, con progetti infrastrutturali sovradimensionati, in un eccesso di capacità produttiva che rischia di
moltiplicare e consolidare gli effetti della
crisi sui traffici, poiché oggi la questione
vera non è più come un tempo quella di rispondere «ai grandi traffici» con i «grandi
porti». La questione è un’altra e può essere posta così: servono grandi porti, duplicati di porti, sovrapposizioni di terminal
contenitori, oppure servono porti più efficienti all’interno di una catena logistica?
Le scelte infrastrutturali faraoniche
sembrano condizionate ancora da analisi
ottimistiche sulla ripresa futura dei traffici contenitori, per esempio. Stime elaborate da Drewry prevedono nel periodo
2011-2015 una crescita a tassi medi annui
del 7,1% (cfr. Cassa Depositi e Prestiti,
Porti e logistica, maggio 2012). Solo a
pochi osservatori sembra, invece, non
sfuggire che la crisi che stiamo attraversando non sia congiunturale, ma strutturale e che, a essa, le principali compagnie
di navigazione — come la Maersk —
stiano reagendo con il ritiro di navi dal
servizio, con il low steaming e con la demolizione di quelle più vecchie. In realtà,
gli armatori prevedono una crescita del
settore intorno al 3-4% annuo per molti
anni a venire rispetto ai tassi del 9-10%
del periodo pre-crisi. E se i porti di transhipment italiani sono soggetti (come tutti gli altri presenti nel bacino del Mediterraneo) a subire le scelte strategiche dei
grandi trasportatori internazionali che
scalano i porti meno costosi, modificando
le proprie rotte se necessario (si ricordi
nel 2011 l’abbandono di Gioia Tauro da
parte di Maersk a favore di Tangeri e Port
48
Said nonostante la riduzione delle tasse di
ancoraggio nello scalo calabrese); così
non è per i porti gateway. Questi porti
giocano la propria competitività su elementi strutturali. Solo per citarne due: la
dimensione del mercato economico di riferimento; le reti di connessione stradale,
ferroviaria, fluviale, aeroportuale. È un
dato tanto noto da non far più clamore,
ormai; anche quando i colli di bottiglia e
le pecche strutturali minacciano proprio
la competitività dei nostri maggiori scali.
Ora, osservando i dati del traffico contenitori a livello mondiale e nazionale, possiamo constatare che l’andamento del movimento dei containers in Italia crolla assai
prima della crisi internazionale, iniziata
nel 2009, (nel 2008: -0,6% in Italia; +4,3%
nel mondo), si acuisce di più nell’anno
della crisi (nel 2009: -9,8% in Italia, -8,9%
nel mondo) e recupera meno nell’anno
della ripresa (nel 2010: +2,55 in Italia; +
12,3% nel mondo). E se questo può essere
spiegato con la contrazione dei consumi
interni, la riduzione del Pil industriale e
quindi la riduzione della domanda aggregata, ciò, tuttavia, non può costituire un
alibi e non è sufficiente per spiegare il
quadro completo, poiché molto risiede anche nella performance logistica italiana.
Nonostante la vexata qæstio circa la
reale relazione di concorrenza tra i porti
del Northern Range e i porti gateway dell’Italia settentrionale, è pur vero che una
porzione di mercato — posto appena oltre
l’arco alpino — può essere contesa dai
porti italiani a quelli nord europei. Un ruolo chiave sembra poter essere svolto da
Genova verso la Svizzera, la Germania
meridionale e l’Austria e da Trieste verso
l’Austria e i Paesi dell’Europa baltica e
centrale. I dati positivi sul movimento dei
contenitori nel 2008-2011 sembrano fornire alcuni elementi di coerenza con questo
Rivista Marittima-Giugno 2013
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
Tabella 1
MOVIMENTO CONTAINER PORTI GATEWAY ITALIANI 2008-2011 (TEU)
2008
2009
2010
2011
Var %
Var %
2011/10
2011/09
1.766.605 1.533.627 1.758.858
1.847.102
5,02
20,44
Genova
La Spezia 1.246.139 1.046.063 1.285.155
1.307.000
1,70
24,94
Livorno
778.864
592.050
628.489
637.798
1,48
7,73
Venezia
379.072
369.474
393.913
458.363
16,36
24,06
Trieste
335.943
277.245
281.629
393.000
39,55
41,75
Italia
10.449.783 9.426.321 9.669.692
9.449.437
-2,28
0,25
Fonte: relazioni annuali di Confitarma.
quadro (vedasi Tabella 1).
Questa valutazione è confortata dalla
scelta — compiuta in modo perspicace nel
1998 — di un grande terminal operator,
come Port of Singapore Authority (uno dei
tre GTO puri, non europei, con Hutchison
Port Holding di Hong Kong e Dubai Port
Authority), di insediarsi nei porti di Genova VTE (Voltri Terminal Europa), Venezia
VeCon (Venice Container Terminal) e Civitavecchia RTC (Roma Terminal Container). Quando PSA acquisisce il 60% del
terminal genovese, lo fa con volumi di
throughput molto prossimi al piano di impresa iniziale (547.000 teu su 750.000).
L’ingresso della società di Singapore in
Italia, a Genova, avviene quindi osservando le potenzialità di crescita del terminal e
conferma l’orientamento dei GTO mondiali a investire nel Mediterraneo. Dopo
una prima fase di radicamento del contenitore, Genova giocava la carta della internazionalizzazione. PSA era infatti in contatto con un numero notevole di porti con
traffici container fortemente in crescita e
all’epoca PSA Corporation poteva vantare
un volume di contenitori lavorati che era
passato da 7.550.000 teu nel 1992 a
14.120.000 nel 1997.
Del resto, la strategia di posizionamento nel Mediterraneo poggiava sulla centralità del bacino lungo le rotte internazionaRivista Marittima-Giugno 2013
Var %
2011/08
4,56
4,88
-18,11
20,92
16,98
-9,57
li e, poiché si stimava da parte di tutti i
commentatori, all’inizio del nuovo millennio, che il flusso mondiale dei containers
fosse in aumento per oltre il 6% l’anno, si
riteneva che il bacino potesse riceverne
una quota parte significativa. La crescita
del traffico di containers, infatti, avrebbe
dovuto superare — nei porti nord-europei
— i 50 milioni di teu nel 2010; mentre nell’Europa mediterranea l’aumento del traffico avrebbe dovuto superare i 40 milioni
di teu, con circa 13 milioni di transhipment (tra Nord e Sud Europa). Le stime
sono state parzialmente smentite, complice la crisi, in quanto il traffico container
nei principali porti europei ha raggiunto
nel 2010 i 64.350.000 teu di cui
22.162.000 (34,4%) nei porti dell’Europa
mediterranea.
E se oggi si discute se il Mediterraneo
abbia ancora un peso e un ruolo da giocare lungo le rotte Far East-Europa, che conferirebbero a esso una nuova centralità
(particolarmente dubbioso pare Sergio Bologna nel suo libro Le multinazionali del
mare 2010; più ottimista appare invece lo
studio della CDP, Porti e logistica 2012),
oppure in realtà non sia ormai tagliato fuori da una nuova logistica dei traffici, che
privilegerebbe sia la rotta di Capo Buona
Speranza (Maersk e car carriers) sia — in
ulteriore alternativa — la rotta Far East49
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
West Coast USA (via Panama allargato)Nord Europa, appare del tutto evidente che
il sistema portuale italiano non possa attendere e rassegnarsi a non competere anche sui traffici residuali che verso il Mediterraneo si orienteranno. Una competizione, però, che sembra dover essere centrata
non più sul gigantismo portuale come
specchio del gigantismo navale, ma sulla
maggiore integrazione della catena logistica e con recuperi di produttività lungo tutto il flusso produttivo (non solo sul tratto
del terminal portuale).
Sulla relativa centralità del Mediterraneo, in relazione con alcuni porti italiani e
la domanda espressa dai loro retroterra,
qualche conforto destano le cifre del movimento del traffico contenitori nel medio
periodo. I dati di Trieste con il suo retroterra orientato verso l’Europa centro-orientale. Ma pure Venezia. In questo scalo il 5860% del traffico è operato dal PSA-VeCon
il quale riceve (import) per il 71% da: Far
East (55%), mar Rosso-Golfo Persico e India; e invia (export) per l’89% nel: Far
East (73%), India e mar Rosso-Golfo Persico. Tutto questo movimento in importexport è concentrato per circa l’85% nel
raggio di 100 km dal porto, quindi a servizio del sistema produttivo della piccola
media impresa veneta, e per la parte restante verso quello lombardo. L’intermodalità si fonda sulla gomma essendo assolutamente concorrenziale su queste brevi
tratte. Il treno viene invece utilizzato soprattutto per riposizionare i contenitori
vuoti delle compagnie. Un sistema produttivo macro-regionale servito, però, in
aspra concorrenza con un altro piccolo terminal contenitori veneziano — il VIT —
collegato con Mantova attraverso un sistema di chiatte portacontenitori fluviali.
Nel VIT pesa molto l’apporto di traffico
conferito dal socio (Marinvest srl) legato a
50
un grande ocean carrier come MSC. Se il
movimento dei contenitori a Venezia nel
2012 conforta dal punto di vista della crescita (+17%), disegna inequivocabilmente
una sovrapposizioni e una frammentazione di offerta portuale tra piccoli. È fatto
noto il molteplice passaggio da VeCon a
VIT di un carrier importante come COSCO. Ma è di questa competitività che il
sistema ha bisogno per recuperare sulle
percentuali residuali di traffico che confluirà nel Mediterraneo?
Anche a Genova il traffico contenitori è
in buona ripresa dopo il tonfo del 2009. Ed
è proprio Genova che traina i traffici contenitori italiani nel 2012 (+12%); mentre
nel mar Ligure è uno stillicidio di segni
negativi: da Savona (-56%), a La Spezia (4,6%) a Livorno (-14%).
Un ruolo fondamentale, sotto la Lanterna, è giocato dal VTE che movimenta dal
58 al 60% del volume complessivo del
porto, manipolando (import/export) i contenitori diretti soprattutto verso il Far East
(30%), l’America settentrionale (23%) e
l’America meridionale e centrale (12%).
E molto, quindi, del destino del porto
contenitori genovese si gioca proprio sulla
banchina di Voltri, la quale recentemente
non solo ha accolto la prima nave da oltre
13.000 teu (Maersk Eindhoven), ma si è
anche dotata di due nuove cranes (un investimento da 14 milioni di euro) con le quali sarà possibile lavorare fino alla diciottesima fila di containers sulle navi, realizzando importanti indici di produttività: 23,5
movimenti/h (25/h al VeCon di Venezia).
Una produttività che sembra sostenuta — a
livello di sistema genovese — anche dal
recentissimo processo di rilascio informatico dei buoni di consegna (delivery orders)
che ottimizzerà e velocizzerà il lavoro degli agenti marittimi e spedizionieri.
Lo scatto di reni del terminal genovese
Rivista Marittima-Giugno 2013
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
Tabella 2
MOVIMENTO TRAFFICI CONTENITORI NEL PORTO DI GENOVA E DI VENEZIA (TEU)
Genova-VTE
Genova-totale
VTE% Venezia-VeCon Venezia-totale
VeCon%
1.070.093
1.855.026
58
210.682
329.512
64
2007
2008
1.009.485
1.766.605
57
221.902
379.072
58
2009
885.276
1.533.627
58
215.466
369.474
58
2010
980.948
1.758.858
56
232.967
393.913
59
2011
1.140.123
1.847.102
62
269.126
458.363
59
2012
1.242.947
2.064.806
60
207.406
429.893
48
sembra tuttavia non aiutato da problemi
infrastrutturali (il cono aereo sul terminal)
e dai colli di bottiglia ferroviari che appaiono disegnare un lay out produttivo che
produce diseconomie: una grande bocca
che è capace di ingoiare navi (quasi mille
l’anno) e carichi; ma uno stomaco piccolo
che è incapace di digerire rapidamente tutto il traffico. È del 20% la quota di contenitori che lascia il terminal su ferro. Il resto si nuove su gomma: 1.500/.2000 camion al giorno, nei giorni di massimo lavoro. Sono 9 i binari presenti dentro il terminal; ma è uno quello che collega il terminal alla stazione ferroviaria di Voltri. E
questo non è un problema di PSA ma di
chi governa le banchine. Però questa insufficienza, per altro nota da lustri, permette di lavorare solo 22 treni al giorno, a
causa dell’ora di tempo necessaria alla manovra. La soluzione sarebbe costruire un
secondo binario che dovrebbe elevare almeno al 30% la quota su rotaia, per essere
in linea con gli standard europei. Quanto
traffico in più potrebbe indirizzare verso
Voltri la presenza di un sistema ferroviario
efficiente? Molto, probabilmente. Di più,
se su Genova si concentrasse la precisa
scelta politica di specializzazione nei traffici container. Scelta inesistente e contraddetta dalle costruzione di nuove infrastrutture, a poche centinaia di chilometri, pagate dallo Stato, che semplicemente dupliRivista Marittima-Giugno 2013
cheranno e frantumeranno l’offerta. Una
antica perplessità, quella sulla dannosa duplicazione di offerta di servizio lungo la
costa ligure (Savona-Vado; Genova-Voltri,
La Spezia), che aleggiava già sul «Progetto Pilota» dei porti liguri agli inizi degli
anni Ottanta.
Non può far meraviglia allora se gli indicatori di performance logistica siano
molto negativi per il sistema portuale italiano. È stato calcolato il tempo di consegna delle merci sui flussi intercontinentali
sulla tratta Singapore-Milano via Genova
o via Anversa. Nonostante le 800 miglia
marine risparmiate esiste una variabilità
maggiore nei tempi di consegna (20-28
giorni via Genova; 25-27 giorni via Anversa) causati dai 3-11 giorni necessari all’attraversamento del porto ligure, rispetto ai
3-5 giorni del porto di Anversa. Questo
non è poca cosa a fronte di quanto detto in
precedenza sulla strategia anti-ciclica degli ocean carriers: low steaming per risparmiare sui costi del carburante con l’idea di
recuperare tempo sul lavoro a terra.
In sintesi, se prendiamo per buone le
ipotesi interpretative (che corrispondono
poi a strategie precise, molto concrete delle grandi compagnie di navigazione), che
vedono nella attuale fase i segni di una crisi strutturale non congiunturale con un effetto sui trasporti mondiali dovuto alla diversa divisione del lavoro mondiale e a
51
L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi
una nuova logistica dei traffici internazionali, allora è plausibile attendersi tassi di
crescita del trasporto marittimo assai meno
entusiasmanti rispetto ai pronostici: 3-4%
contro 7% l’anno.
Ciò significa che le risposte, sul piano
della competitività, non possono essere né
il «gigantismo» portuale, né la frammentazione dell’offerta; ma la programmazione
pubblica. Un porto grande può essere un
porto inefficiente. Oggi i dati ci parlano di
medi porti in grande difficoltà sui traffici
contenitori; porti che tuttavia progettano
allargamenti o nuovi piattaforme destinate
ai contenitori o che, addirittura, si vorrebbero affacciare su questo mercato. È il
dramma della lacuna della politica pubblica che non governa la specializzazione a
livello di cluster, pensando che sia la mano invisibile del mercato ad allocare razionalmente le risorse laddove servono («la
nave va dove è la merce»), giocando spesso su una consueta agguerrita concorrenza
tra piccoli, su flussi di poche centinaia di
migliaia di teu, senza pensare che il porto
52
è un bene pubblico che non si ammortizza
rapidamente.
Esiste una sottoutilizzazione di capacità
produttiva che deve essere recuperata prima di fantasticare nuove opere che pesano
sulla spesa pubblica, specie in tempo di
crisi, e che drenano risorse da interventi
infrastrutturali significativi sulle reti vecchie e inadeguate: strade, canali, ferrovie.
Terminal con collegamenti ferroviari inadeguati (a Genova), terminal senza collegamento diretto della rete ferroviaria alle
banchine (a Livorno). Il costo della logistica tradizionale è oggi superiore dell’11%
in Italia rispetto alla media europea, con
un gap di competitività di sistema stimato
intorno ai 12 miliardi di euro. È qui che
devono essere recuperati i margini di miglioramento. Sarebbe illusorio concentrare
l’attenzione unicamente alla produttività
banchina, alla sua capacità operativa, senza equilibrare ciò che sta dietro: una grande bocca, appunto, con uno stomaco piccolo; questo è oggi l’insieme dei porti italiani (con qualche rara eccezione).
Rivista Marittima-Giugno 2013
PRIMO PIANO
TURCHIA, IL KEMALISMO
È AL CAPOLINEA
Kemal voleva laicizzare la Turchia per poterla modernizzare.
Ma non poteva cancellare in un sol colpo una tradizione millenaria.
Racconto di un fallimento.
MASSIMO IACOPI (*)
I
l XX secolo sarà ricordato per la Turchia
come quello di un lungo periodo di scontro fra la tradizione islamo-ottomana e il
nazionalismo-modernista. I fatti degli ultimi tempi mostrano segni evidenti che la
tradizione islamica, lungi dall’essere stata
battuta, sta uscendo vittoriosa dal lungo
confronto e allo stesso tempo trasformata.
A partire dal XVII secolo il vecchio impero ottomano era entrato in pieno declino. Il
secolo seguente è stato quello della sua
agonia e della sua dissoluzione, fenomeno
che provoca una reazione nazionalista all’interno del suo Esercito, quella dei «Giovani Turchi», fondati intorno al 1895.
Il loro scopo era quello di salvare quello che rimaneva dell’Impero, prendendo
esempio dall’Occidente. Nel 1908, l’annessione della Bosnia Erzegovina da parte
dell’Austria e l’indipendenza della Bulgaria vengono vissute dai Giovani Turchi come un’intollerabile umiliazione. Nell’apri-
le 1909, il generale Enver Pashà costringe
il Sultano Abdul Hamid II ad abdicare e dà
inizio alla modernizzazione del Paese, facendo appello all’aiuto dei Tedeschi. Ma i
disastri per la Turchia sono ben lungi dall’essere terminati. Nel 1911, gli Italiani
occupano la Libia, nel 1912, i Serbi, i Bulgari, i Greci e i Montenegrini scacciano le
ultime vestigia della presenza ottomana
sul territorio europeo. Entrati nella prima
guerra mondiale dall’ottobre 1914 a fianco dei Tedeschi, i Turchi ottengono un significativo successo sui Dardanelli, ma
successivamente essi sono costretti a ritirarsi ovunque, nel Caucaso, in Armenia
(dove perpetrano orribili massacri) e ancora, successivamente, in Siria. Coinvolti
nella sconfitta, nell’ottobre 1918, i Giovani Turchi sono costretti a scomparire dalla
scena politica. Il nuovo Sultano Mehemet
VI, più preoccupato della sua incolumità e
dei suoi beni personali, accetta il disastro-
(*) Generale dell’Esercito Italiano in riserva. Laureato in Scienze Strategiche e specializzato in Geopolitica, socio di numerosi sodalizi tra i quali l’Istituto di Storia nautica portoghese e Reggente di un sistema premiale riconosciuto dal Ministero della Difesa. Autore di pubblicazioni a carattere Storico Militare e di numerosi articoli di stampa su argomenti di carattere vario, pubblicati su periodici a livello nazionale e su giornali e periodici a livello regionale. Insignito del Premio Giornalistico Internazionale INARS Ciociaria, sezione scrittori nel 2007, collabora con la Rivista Marittima dal 2008.
54
Rivista Marittima-Giugno 2013
Turchia, il Kemalismo è al capolinea
so Trattato di Sevres che, siglato in Francia il 10 agosto 1920, sanziona la dissoluzione dell’Impero, a beneficio delle Potenze alleate. È proprio in questo momento
che viene a imporsi sulla scena politica ottomana il generale Mustafà Kemal, brillante ufficiale che ha conseguito autonomamente il controllo dell’Anatolia. Forte
della nomina a Generalissimo e a Capo del
Governo da parte di un’Assemblea Nazionale, appositamente riunita, egli dichiara
decaduto il sultano.
Di fronte a questi fatti gli Alleati lasciano mano libera ai Greci, che lanciano
un’offensiva militare in Anatolia, ma, contro ogni aspettativa, Kemal riporta una serie di vittorie sugli Ellenici, tanto da riuscire persino a cacciarli da Smirne, in mezzo a una nuova serie di massacri.
Riuscito in tal modo a riconquistare un
territorio coerente con i propri obiettivi,
Kemal ottiene nell’ottobre del 1922 la firma di un armistizio favorevole alla Turchia e nel 1924, mentre il Sultano Mehemet VI fugge all’estero, decreta anche
l’abolizione del Sultanato.
Proclamato Ghazi (Vittorioso), dopo la
sua vittoria di Smirne, Kemal dà inizio a
una rivoluzione, il cui scopo è quello di
estirpare ogni traccia della religione mussulmana, considerata un ostacolo insormontabile sulla strada della modernizzazione del Paese.
Il 3 marzo 1924 viene abolito il Califfato e Kemal, diventato presidente della Repubblica e Ataturk (Padre dei Turchi), ma
esercitando di fatto una dittatura appoggiata sull’Esercito, conduce con energia una
campagna di laicizzazione dello Stato in
tutti i settori. Le Confraternite religiose
vengono abolite, così come viene interdetto l’uso del Fez. Nel 1926, viene adottato
il calendario occidentale, nel 1928 è introdotto l’uso dell’alfabeto latino, mentre nel
Rivista Marittima-Giugno 2013
1931 entra in uso il sistema metrico decimale. La condizione delle donne è, in linea
di principio, notevolmente modificata con
l’abolizione della poligamia, l’adozione
del divorzio e l’introduzione del diritto di
voto (1934). Tuttavia il laicismo di Kemal
presentava aspetti di una certa ambiguità.
Esso, a differenza dei repubblicani francesi con il cattolicesimo, non ripudiava effettivamente l’Islam, ma voleva solamente
che lo Stato fosse completamente indipendente dalla religione e che anzi fosse in
condizione di controllarne la sua struttura,
nominandone i capi. Il regime crea, a tal
fine, un Ufficio degli Affari Religiosi, il
Diyanet, in modo da controllare il clero,
anche nella segreta speranza di rendere la
religione compatibile con i valori della
nuova Repubblica turca.
In effetti, la storia ha sempre evidenziato che non si può cancellare in un solo
colpo una tradizione millenaria. L’Islam
riesce a sopravvivere a due diversi livelli: in quello della religione formale, controllata dallo Stato, ma soprattutto in
quello della religione popolare delle masse. L’insegnamento religioso, proibito,
diviene clandestino, riuscendo comunque
a sopravvivere.
La morte di Kemal nel 1938 non influisce minimamente sulla situazione di fatto,
perché i suoi discepoli rimangono al potere nell’Esercito e nello Stato. Bisognerà
attendere l’introduzione del multipartitismo degli anni Cinquanta, per assistere a
un ritorno progressivo delle Confraternite
nello spazio pubblico e politico turco, fra
le tante: la Naqsbandiya e la Nurçu. I partiti politici emergenti sono costretti a fare i
conti con i movimenti religiosi, per poter
beneficiare del loro sostegno e proprio da
quel momento comincia a crescere un processo di clientelismo elettorale favorevole
ai religiosi mussulmani. Il decennio se55
Turchia, il Kemalismo è al capolinea
guente, vede la comparsa delle fondazioni
religiose, le Takif. Questo ritorno in forze
dell’Islam si accompagna a delle importanti modificazioni, conseguenza dell’influenza (economica) del fondamentalismo
islamico d’origine saudita.
Frantumando l’Hanbalismo o la scuola
prevalente dell’Islam dell’Impero ottomano, Kemal aveva di fatto e indirettamente
aperto la via a un’altra scuola molto più
dura e soprattutto più tradizionalista.
Dopo la parentesi della laicità kemalista, prodotto d’esportazione occidentale,
completamente estraneo alla tradizione popolare turca, vengono a riaffacciarsi sulla
scena elettorale nazionale una generazione
di reislamizzati che, per certi aspetti, giustificano il successo elettorale islamista del
1996 e del 2002. È il fenomeno detto delle
«Generazioni Madrasa» (le scuole coraniche di villaggio o di quartiere).
Il colpo di Stato militare del 1980 segna un momento marcante della storia
turca quello della sintesi islamo-nazionalista. Da questo momento la laicità kemalista comincia a essere solo un ricordo. Il
decennio del primo ministro Ozal (19831993), segna lo sviluppo economico,
sempre più crescente, delle Confraternite
nella società turca e tale fenomeno si accompagna alla reintroduzione ufficiale
dell’insegnamento della religione (proprio nel momento in cui l’Occidente lo
rende facoltativo) e alla creazione di potenti mezzi mediatici, sottoposti alla loro
influenza: il giornale Turkiye e la catena
televisiva TRGT, principali veicoli dell’ideologia islamista.
Il nuovo dato geopolitico degli anni Novanta, il crollo del comunismo e il risveglio mondiale dell’Islam, accelerano la
reislamizzazione della società turca. L’identità nazionale viene a essere ridefinita
su delle basi decisamente etiche e religio56
se. Un’attenzione tutta nuova viene rivolta
in direzione del mondo turcofono, nei Balcani, nel Caucaso, in Asia Centrale e persino in Cina.
L’Islam, un tempo religione dell’antico
impero ottomano, viene ormai impiegata
come strumento politico da parte di un regime rimasto ufficialmente laico.
Dal 1995 il Diyanet invia dei consiglieri
religiosi in tutte le Ambasciate dell’Asia
centrale, del Caucaso e dei Balcani. Il
Gruppo di Contatto dell’Organizzazione
della Conferenza islamica, creata nel 1992,
è stato diretto da Mustafà Aksin, che è stato anche il rappresentante permanente della Turchia presso le Nazioni Unite. Nel
corso del conflitto bosniaco, quest’organismo ha giocato un intenso ruolo di
lobbying a danno dei Serbi e dei Croati.
Questo riposizionamento politico del governo turco verso l’esterno contribuisce a
modificare la percezione che i Turchi hanno del loro pensiero ottomano. Questo non
viene più visto e sentito come un fattore
d’arretramento o di decadenza ma, anzi al
contrario, come un modello glorioso e da
ammirare.
Ormai gli islamisti turchi non hanno più
bisogno di un collegamento elettorale in
Turchia. Essi sono sufficientemente potenti per conseguire autonomamente i loro
obiettivi con un loro partito. Il Refaah Partisi o Partito della Prosperità, fondato da
Necmettin Erbakan, riesce a vincere una
prima volta le elezioni del 1996. I militari
intervengono qualche mese più tardi, per
cercare di frenare un movimento che ormai non sono più in grado di controllare.
Fatica quasi sprecata. Gli islamisti fanno
un ritorno trionfale alle urne del 2002 sotto i colori dell’AK Partisi (Partito della
Giustizia e della Prosperità) di Recyyp Erdogan. La società turca in pochi decenni è
stata nuovamente reislamizzata e si può
Rivista Marittima-Giugno 2013
Turchia, il Kemalismo è al capolinea
pertanto concludere che il tentativo kemalista di laicizzazione dello Stato è ormai al
capolinea e la sua storia viene pertanto a
confermarsi come appena una parentesi
nella lunga e millenaria tradizione islamica della Turchia.
L’ultimo atto di questo processo può essere individuato nella recente modifica,
tramite referendum, della Costituzione turca, con la pietosa scusa di voler aderire alle richieste europee. Con questo atto gli
islamisti hanno tolto di mezzo l’unico strumento che ancora si opponeva sulla loro
strada per pieno controllo dello Stato: l’Esercito, al quale Kemal aveva attribuito la
scrupolosa difesa della Costituzione e della laicità dello Stato. La successiva epurazione dei vertici delle Forze Armate, perché considerati responsabili di complotto
contro lo Stato non è stata che la logica
conseguenza del referendum.
La questione armena
G
li Armeni, eredi di una ricca e lunga
storia, occupano nel XIX secolo la regione, spartita fra gli imperi ottomano, russo
e persiano, che va da Dyarbakir ed Erzurum a Ovest fino a Gandja oltre il lago Sevan a Est. Frammischiati fra i Kurdi, i Turchi, i Georgiani o gli Azeri, essi sono maggioritari solamente nella regione del lago
Van e l’unità del popolo armeno nasce primariamente dalla comunione di lingua e di
religione, piuttosto che dall’occupazione
di un territorio chiaramente delimitato. La
progressione a Sud del Caucaso dell’Impero degli Zar porta alla formazione di
un’Armenia russa, distinta da quella ottomana. Dopo la guerra russo-turca del
1877-1878, le autorità ottomane percepiscono come una minaccia la presenza di
una minoranza armena nell’Est anatolico.
Rivista Marittima-Giugno 2013
Nel periodo 1894-1896 numerose rivolte
dei partiti rivoluzionari armeni scatenano
l’intervento della gendarmeria turca, che
massacra 300.000 Armeni, mentre altri
100.000 cercano scampo nella Transcaucasia russa. Un violento pogrom anti armeno si scatena contemporaneamente anche a Istambul. A partire dal 1905 Armeni
e Azeri si oppongono in Azerbaigian in
territorio russo, ma la rivoluzione dei Giovani Turchi e il loro programma riformatore fanno nascere delle speranze nel 1908,
subitamente deluse. Una volta iniziata la
guerra del 1914, la situazione degli Armeni d’Anatolia orientale diventa drammatica. La rivolta che scoppia nell’aprile 1915
e le vittorie riportate dai Russi nella regione, inducono il governo ottomano ad applicare una repressione massiccia. Le elites locali vengono eliminate e la massa
della popolazione diventa oggetto di una
deportazione generale verso la Siria che
provoca almeno 800.000 vittime, conseguenza dei massacri perpetrati dai Kurdi e
delle spaventose condizioni in cui avviene
la deportazione della popolazione. Le vittorie russe del 1916-1917 riportano nelle
regioni di Erzurum, di Trebisonda e di Erzincan una parte degli Armeni che erano
fuggiti, ma il ritorno degli Ottomani costringe gli Armeni a un nuovo esodo verso
la Transcaucasia. Il Movimento kemalista,
impegnato nella riconquista di tutta l’Asia
Minore, non tiene in alcun conto delle promesse contenute nel Trattato di Sevres
(agosto 1920), che prevedeva la costituzione di una Grande Armenia fra la Cilicia
e l’Est anatolico. L’Armenia dovrà attendere la fine dell’Unione Sovietica per ritrovare la liberta e la piena sovranità nazionale che, di fronte alla Turchia e a un
Azerbaigian ostile, appare alquanto precaria, costringendola di fatto a rivolgersi verso il suo protettore naturale russo.
57
PRIMO PIANO
IL RISCATTO CURDO
Nel pentagono dell’Iraq e della guerra siriana
GIUSEPPE LERTORA (*)
A
distanza di poco più di un anno da quando le forze Statunitensi hanno lasciato l’Iraq,
ed esattamente a 10 anni dalla caduta di Saddam Hussein e del suo feroce regime, la situazione sociale e civile nel paese non è certo delle migliori sotto il nuovo e contestato
governo di al-Maliki. Appena la NATO e gli
Stati Uniti sono partiti, si sono scatenate
vendette nei confronti delle varie etnie e della popolazione civile, con una pericolosa deriva verso la situazione di Stato fallito. Il
premier presiede un sistema corrotto e violento che reprime senza scrupoli i pregressi
oppositori e anche la popolazione, impiegando in modo surrettizio le forze istituzionali di sicurezza e la polizia di stato. Il sogno
di un Iraq governato da politici retti e obiettivi, eletti dal popolo, sta scomparendo;
mancano spesso i servizi sociali basilari,
compresa l’energia elettrica, l’acqua potabile, l’assistenza sanitaria; le sparatorie e gli
attacchi faziosi continuano senza sosta,
creando un clima di paura e di latente terrore per il futuro: l’Iraq è così spinto, ogni
giorno che passa, verso una nuova guerra civile. Obama si è preoccupato di garantirsi la
benevolenza e i buoni rapporti con le autorità di Bagdad, specialmente col primo Ministro, per assicurarsi un’uscita onorevole e
in parte un ritiro sicuro delle sue forze da
quel teatro, ma del resto che ha lasciato, non
gliene importa granché. La corruzione e l’illegalità galoppano; gli attentati kamikaze,
anche quelli nella stessa Bagdad, si moltiplicano; recentemente un commando suicida
ha causato oltre trenta morti nel Ministero
della Giustizia, e gli attentati sono dell’ordine di decine il giorno (dall’inizio dell’anno
si stimano oltre 800 vittime): quasi peggio di
quando c’erano gli occupanti Americani!
L’acrimonia fra i politici, i gestori della cosa
pubblica e la violenza nelle città crea un effetto destabilizzante a tutto campo; il primo
responsabile è Maliki, ma anche l’opposizione fa di tutto per portare l’Iraq nel caos
incontrollato. Il partito religioso sciita mostra tutta la sua animosità per vendicarsi e
anche il partito sunnita, integralista e nazionalista, è sempre più intollerante nei confronti degli uomini religiosi e avversari politici. Il triangolo si chiude con i Curdi che
aspirano a mantenere la loro autonomia nella parte settentrionale del paese, contrastando la nascita di un potente governo centrale
che, per i notevoli interessi in gioco, potrebbe tentare di impossessarsi delle loro riserve
energetiche e minerarie usando la forza come già fatto negli ultimi vent’anni. In pratica la coesione governativa è spaccata in più
parti; ogni politico tenta di accaparrarsi
(*) Ammiraglio di squadra in ausiliaria che ha culminato la carriera da Comandante in Capo della Squadra
Navale. Il suo profilo professionale è caratterizzato da impieghi marcatamente operativi, sia navali che nel
settore areonavale, con alterne destinazioni finalizzate alla formazione degli Ufficiali, nonchè periodi dedicati alla progettazione, costruzione e allestimento di nuovi bastimenti. È laureato in Scienze Marittime e
Navali presso l’Università di Pisa e collabora con la Rivista Marittima dal 2003.
58
Rivista Marittima-Giugno 2013
Il riscatto Curdo
quanto più potere possibile, ignorando le
conseguenze del proprio comportamento,
lontano dal tutelare le nuove Istituzioni e dal
sostanziare una società dei diritti e delle libertà fondamentali. Che sono sempre più limitate; da quella di potersi muovere liberamente per le incrementate aree off-limits come la blindata «Zona Verde» intorno alla capitale, alle recinzioni di filo spinato, ai posti
di blocco assurdi che impongono soste infinite con il traffico impazzito che paralizza il
centro; alla censura che imperversa in particolare sui libri stranieri che sono banditi, all’abbigliamento femminile castigato, ecc..
Oltre alla minaccia del terrorismo, sta crescendo la protesta sunnita — minoranza religiosa — nella parte occidentale del Paese,
con evidenti sconfinamenti e presenza attiva
nella guerra civile siriana: sussiste l’elevata
probabilità che l’ostilità crescente tra la
maggioranza sciita e la minoranza sunnita,
scoppi da un momento all’altro in un aperto
e devastante conflitto. L’Iraq è tornato prigioniero di Rais diversi da Saddam, con una
serie di gravi problemi sociali e di una forte
corruzione: un pantano generalizzato che è
difficile da superare. Tuttavia, man mano
che ci si sposta verso Nord nella regione curda, l’atmosfera cambia e si percepiscono una
maggiore serenità sociale e una certa stabilità, anche per la crescente fiducia nell’economia da parte di grandi società petrolifere
(Exxon, Total, Chevron, Gazprom, ecc.) che
avevano siglato importanti contratti di esplorazione con il Kurdistan. Ciò ha innescato
un trend verso una maggiore autonomia dal
governo centrale e centralizzato di Maliki,
rendendo tesi i rapporti con il Presidente regionale curdo Barzani, e allontanando le
possibili soluzioni nelle dispute sull’energia,
sul territorio in generale, e sulle risorse.
I tentativi separatisti curdi iniziano da
lontano, nei secoli, propendendo sempre
verso una dipendenza turca, piuttosto che da
Rivista Marittima-Giugno 2013
Bagdad; la loro vita non è stata facile, essendo sparpagliati anche nell’ultimo secolo fra
quattro Nazioni, la Turchia, l’Iran, la Siria e
l’Iraq, e vessati soprattutto sotto il regime di
Saddam durante la guerra con l’Iran, con un
accanimento particolare contro quel popolo
oggetto di genocidio, distrutto sistematicamente a decine di migliaia, con l’impiego di
gas velenosi. Solo nel ’91 ebbero un pò di
tregua, con la guerra del Golfo, in cui furono stabiliti una no Fly-zone e un santuario di
sicurezza nel Nord dell’Iraq, garantendo loro, per la prima volta, una sorta di protezione internazionale. Nel ’92 i Curdi riescono
quindi a organizzare elezioni parlamentari
con una legislazione pressoché autonoma,
anche se tale esperimento, oltre a non piacere agli Iracheni, non andava a genio neppure ai Turchi che temevano una negativa influenza sulle minoranze curde nel loro paese. Un’altra grande occasione per l’indipendenza e l’instaurazione di uno Stato democratico decentralizzato curdo, avviene nel
2003, quando gli Stati Uniti occuparono l’Iraq; ma la cosa non andò in porto perché furono loro offerte posizioni sensibili e di rilievo nel nuovo governo iracheno, come il
Presidente e il Premier curdo, ingabbiandoli. Nonostante abbiano sempre sostenuto
che sarebbero rimasti in quel governo a condizione che fosse attuato uno stato federale
e democratico, rispettoso della piena dignità
delle minoranze, come la loro, curda: la loro aspirazione restava comunque quella di
uno Stato indipendente, con una propria costituzione. Con l’avvento di al-Maliki lo stato di conflitto con i Curdi separatisti si è fatto più forte ed evidente per diversi motivi,
anche perché Washington spingeva per costruire un governo unitario a Bagdad. Ma le
risorse e l’economia hanno giocato un ruolo
ancora più importante e prevalso sui principi; contro l’unificazione politica dell’Iraq
giocava la scoperta d’ingenti giacimenti di
59
Il riscatto Curdo
petrolio e gas, specie nella zona di Kirkuk
che consentiva ai curdi di operare autonomamente nel loro sfruttamento in contrasto
con i piani del governo centrale. In un’alternanza di situazioni complicate del «come»
trasferire il petrolio, se attraverso l’oleodotto che da Kirkuk arriva sulle coste del Mediterraneo Orientale a Ceyhian, oppure verso Bagdad per interessi di parte, resta il fatto che i Curdi, con il loro controllo diretto
sulle compagnie Statunitensi, hanno raggiunto una produzione di petrolio di assoluto rilievo. Da un lustro ormai, dal 2008, il
Governo di Erdogan ha cambiato strategia
nei confronti del Kurdistan, fino allora visto,
da un lato, come una necessaria barriera
contro l’influenza iraniana, dall’altro come
un «invito» secessionista alle frange di etnia
curda in Turchia. Da quel momento, proprio
il governo turco, ha stabilito relazioni economiche con il Governo Regionale Curdo,
incoraggiando gli investimenti nella regione
stessa, creando così ulteriori attriti con l’Iraq
di Maliki, convinto sempre di più che lo
stesso sia una «lunga manu» dell’Iran. Anche la crisi siriana ha spinto sempre più la
Turchia ad abbracciare la causa curda fino al
punto che Ankara ha promesso a Barzani
che le forze turche avrebbero protetto i Curdi in caso di attacco di Bagdad. La situazione si presenta davvero ancora più fluida dopo che Maliki ha annunciato piani per costituire un nuovo comprensorio militare a
Kirkuk per tenere sotto controllo la regione;
mentre Barzani si spinge sempre più lontano da Bagdad colloquiando con Ankara per
sfruttare al meglio le proprie risorse petrolifere. In effetti, esiste un flusso regolare di oltre un milione di barili di petrolio l’anno
che, attraverso un oleodotto in costruzione
verso la Turchia, rappresenta un buffer sunnita curdo contro gli sciiti di Maliki; di più,
c’è una promessa non troppo larvata da parte curda di bloccare i terroristi iraniani e
60
quelli di al-Qaeda provenienti dall’Iraq, verso il conflitto siriano. Per ora gran parte del
greggio è trasferito con camion-autobotti a
Mersin in Turchia, senza che nulla transiti
più negli oleodotti iracheni.
Restano in piedi, tuttavia, per il Governo
turco almeno due pericoli: la disintegrazione dell’Iraq potrebbe rafforzare il dominio
iraniano nella regione e un Kurdistan indipendente darà fiato e forza alla minoranza
curda in Turchia. In particolare, nel corso
degli anni, soprattutto Damasco ha sempre
avversato l’ipotesi della creazione di un’entità autonoma curda, poiché pericolosa per
la stessa sicurezza della Siria, nonostante
l’asilo offerto a suo tempo al leader del
PKK, Partito dei Lavoratori Curdi, Ocalan.
La caduta del regime di Assad avrebbe potuto dare maggiori spazi di manovra allo
stesso PKK, con la possibilità che, con la
nuova ristrutturazione del paese, la minoranza curda avrebbe potuto mutuare un’entità autonoma simile a quella creata nel
Nord Iraq, dopo la caduta di Saddam. È ovvio che una simile circostanza, con la possibilità di «fusione» delle due province autonome in un’entità esclusivamente curda, abbia messo in allarme soprattutto la Turchia.
Da qui si comprendono, fra gli altri motivi
strategici ed economici, i comportamenti di
Erdogan nei confronti della Siria: da un lato
Ankara non ha mai svolto un ruolo di mediazione fra le parti nel conflitto siriano, dall’altro — anche dopo l’abbattimento dell’aereo dell’aviazione militare turca in spazi
internazionali — minaccia ritorsioni di ogni
tipo, ma poi sta a guardare cosa dice la NATO, l’ONU, ecc.. Non più tardi della scorsa
estate, durante una serie di movimenti di
truppe curde provenienti dall’Iraq per unirsi
ai rivoltosi siriani, Ankara ha formalmente
ribadito la totale contrarietà alla nascita di
uno stato curdo, a prescindere che questo
fosse collocato nel Nord dell’Iraq o della SiRivista Marittima-Giugno 2013
Il riscatto Curdo
ria. La crisi in Siria, con i pesanti ma ondivaghi riflessi sulla Russia e sugli Stati Uniti, sembra essere assai più complessa di
quanto appare sui giornali, e anche le mosse
turche appaiono articolate e spesso contraddittorie, anche con riferimento alla situazione curda. Sembra che l’approccio ultimo di
Erdogan sia quello di dividere le varie frange curde per evitare che si coagulino anche
se in regioni autonome nei diversi Stati. Da
ultimo l’accordo di pace, del tutto imprevisto e controverso, firmato a Marzo e ora
operativo, fra il governo turco e la guerriglia
curda, il PKK. Esso rappresenta una rivoluzione epocale nella politica di Ankara, visto
che i quasi 2.000 guerriglieri curdi vengono
lasciati liberi — ora alla luce del sole- di
scendere dalle montagne e unirsi ai curdi
dell’enclave autonoma del Nord Iraq. Tale
approccio e accordo col PKK è contestato
soprattutto dagli ultranazionalisti che paventano possibili fratture nello Stato se ai Curdi, che sono circa il 20% della popolazione
turca, sarà concessa una forma di autonomia, oltre a pieni diritti linguistici e politici.
Non sono mancati gli scossoni; attentati vari si sono registrati, fra cui quello occorso a
Maggio nel villaggio di Reyhanil, ai confini
con la Siria, che ha provocato 40 morti e oltre 100 feriti: un tempismo sospetto e sembra che gli attentatori fossero tutti cittadini
Turchi, e non Curdi! Gli equilibri dell’intero
Medio Oriente, nella viscosità siriana e nei
tentativi di autonomia curda, sono in gioco,
con le grandi potenze che stanno alla finestra, preoccupate e inette. La Siria, e con essa il Kurdistan, rappresentano realtà d’importanza strategica non solo per la stabilità
del Medio Oriente e del Golfo Persico, ma
anche per una possibile presenza di gruppi
terroristici o «cani sciolti» che operano su
scala internazionale. Russia e Stati Uniti, ma
anche la Turchia non può chiudere gli occhi
di fronte alla crisi siriana e alle ambizioni di
Rivista Marittima-Giugno 2013
riscatto curde.
La palla è quindi, soprattutto, in mano
turca e le scelte non appaiono per niente facili, considerato anche il contesto della guerra civile siriana, e senza dimenticare il turbolento scenario quadrilatero delle nazioni
che ospitano i curdi. È un dato di fatto che le
città curde, a ogni buon conto e nonostante
tutto, stiano rifiorendo; Kirkuk ed Erbil con
i loro ottomila anni di storia, in pochi anni
hanno raddoppiato la propria popolazione e
hanno quasi un volto occidentale dove s’incontrano i capi delle compagnie petrolifere,
contractors, giornalisti e perfino turisti; gli
hotel di lusso, i centri commerciali e nuovi
villaggi residenziali crescono come funghi.
Specialmente Erbil, come altre città curde,
ha conquistato — al prezzo di grandi sofferenze — la propria indipendenza economica, culturale e identitaria. In due parole, il
Kurdistan è infinitamente più sicuro del resto dell’Iraq; qualcuno pensa addirittura che
gli Stati Uniti siano andati a occupare l’Iraq
per creare uno Stato curdo, separato dalla
supremazia turca e irachena! Comunque un
ruolo fondamentale avrà l’aspetto geo-economico; la Turchia spinge per togliersi l’incomodo PKK e per aver accesso alle risorse
energetiche, mentre le relazioni con Bagdad
restano, «impantanate» e, nel frattempo,
Ankara compra il petrolio direttamente dai
Curdi anche senza l’autorizzazione di Bagdad. Tali mosse produrranno, anche se forzosamente, una maggiore autonomia da
Bagdad e un’importante leva nei confronti
di Ankara, ma in questo modo non si realizzerà uno Stato indipendente. Ciò rappresenta certamente un notevole progresso, ma alla fine i Curdi resteranno nell’Iraq in uno
stato federale sempre più proteso verso una
propria autonomia, che potrebbe non tardare a concretarsi, pur con qualche tremendo
scossone, non limitato alla sola bilateralità
turco-irachena!
61
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
LE ISOLE DEL TESORO
La disputa geopolitica sulle Falkland/Malvinas
alla luce del recente referendum
L’arcipelago delle Falkland, dipendenza britannica d’oltremare, è costituito da due isole maggiori,
West/East Falkalnd e da ben 776 isolotti per una superficie totale di 12.173 km2.
EZIO FERRANTE (*)
G
li abitanti delle isole Falkland hanno
deciso di continuare a essere fedeli alla Corona britannica! Il referendum, indetto per
l’11 e 12 marzo scorso dal «Consiglio Es-
ecutivo delle Isole» (1) sul futuro dello status politico dell’arcipelago nell’Atlantico
del Sud, ha sortito il suo esito scontato. I
Falklanders quasi all’unanimità (99,8%)
(*) Contrammiraglio della riserva, esperto di Storia navale, geopolitica e diritto internazionale marittimo,
collabora attivamente con vari istituti di ricerca/formazione e riviste specializzate. In particolare sulla Rivista Marittima dal 1980 ha pubblicato numerosi articoli e ben otto supplementi.
62
Rivista Marittima-Giugno 2013
Le isole del tesoro
hanno deciso di rimanere un territorio d’oltremare britannico (i voti contrari sono stati appena tre su 1.517). L’orgoglio britannico ha trionfato ancora una volta, al pari delle analoghe vicende referendarie che hanno
visto protagonista Gibilterra nell’ultimo
mezzo secolo (2). La stampa britannica
esulta (3), mentre quella argentina si ostina
a non demordere dalle rivendicazioni politiche e storiche sull’arcipelago, pur di fronte al clamoroso esito del sacrosanto principio dell’autodeterminazione dei popoli. Il
referendum-quasi plebiscitario viene infatti definito con toni accesi «parodia», «messinscena», «farsa, illegale e irrilevante»
perché si aggiunge, in maniera a dir poco
speciosa, «quelli che hanno potuto esprimersi sono soltanto gli abitanti coloniali di
una terra che appartiene all’Argentina, ma
dove non ci possono essere Argentini a votare per la riunione alla madrepatria, visto
che a loro è precluso risiedere là!».
Una contesa infinita
Sono ormai 180 anni che, tra alti e bassi,
si trascina la disputa anglo-argentina sulla
sovranità degli arcipelaghi sub-antartici
(non solo Falkland, ma anche South Georgia e South Sandwich). Cioè da quel lontano 1833, anno dell’occupazione britannica,
a ridosso della fine della lotta per l’indipendenza dalla Spagna dei Paesi latino-americani, alla quale Londra, peraltro, aveva indirettamente contribuito in nome certo dei
suoi interessi imperiali. Rivendicazioni basate sui diritti della storia, invero «claudicanti» (4), che dal piano diplomatico si sono poi tragicamente tradotte, nel 1982, nei
74 giorni di conflitto aperto (5) all’insegna
dello slogan «Las Malvinas son argentinas!». Ma nemmeno dopo la sconfitta Buenos Aires si è dimenticata delle Malvinas,
come persistono a chiamarle. Dalla disposizione transitoria della Costituzione del
1994, in cui si ribadisce come «la Nazione
Argentina ratifica la sua legittima e imprescindibile sovranità sulle isole Malvinas,
considerandole parte integrante del territorio nazionale», alla dichiarazione della
«presidenta» Cristina Fernández de Kirchner, proprio in occasione della sua investitura presidenziale del 10 dicembre 2007,
nella quale si riafferma «ancora una volta,
il nostro irrinunciabile e indeclinabile re-
Entusiasmo
dei Kelpers
(nickname
degli abitanti
dell’arcipelago
derivato
da un’alga
locale, kelp
appunto)
per l’esito
del referendum.
Rivista Marittima-Giugno 2013
63
Le isole del tesoro
Le campagne
di prospezioni
offshore
nella zona
economica
esclusiva
delle Falkland
da parte
delle varie major
petrolifere.
clamo alla sovranità sulle nostre isole Malvinas». Più recentemente poi abbiamo assistito al crescere delle tensioni geopolitiche
con una vera e propria offensiva diplomatica e mediatica da parte della Casa Rosada
che ha dato luogo a una sorta di «guerra
fredda» con il Regno Unito. Dal reclamo
presentato al Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite sulla «militarizzazione» dell’arcipelago e sul loro possibile uso nucleare, all’accusa di un inaccettabile «neocolonialismo fuori tempo massimo», dall’imposizione dell’embargo alle navi che battono
bandiera delle Falkland (ma si tratta solo di
25 unità per lo più pescherecci!), adottato
anche da quasi tutti i Paesi del Mercosur
(6), al «permesso speciale» richiesto a tutte
le navi «in navigazione da e per le Malvinas che attraversano le acque giurisdizionali argentine». Le ragioni del rinnovato «irri64
gidimento» di Buenos Aires deve essere ricercato soprattutto in motivazioni geopolitiche applicate alle risorse energetiche in
esito alle campagne di prospezioni offshore
che si trascinano ormai dagli anni Novanta.
Tanto più che, il 14 settembre 2011, la compagnia britannica RockHopper Exploration
ha rivelato un piano di investimenti nella
zona economica esclusiva delle Falkland da
2 miliardi di dollari, destinati alla realizzazione di infrastrutture offshore su quattro
aree in concessione per un totale di 1.500
kmq, col dichiarato obiettivo, tanto per
cominciare, di produrre 120.000 barili al
giorno entro il 2018. La posta in gioco è altissima e, sebbene le stime siano al momento ancora variabili e peraltro non condivise,
si parla, in linea generale, nientemeno che
del doppio del potenziale petrolifero di cui
Londra dispone nel Mar del Nord. Le FalkRivista Marittima-Giugno 2013
Le isole del tesoro
land, «quel pezzo di terra ghiacciato laggiù», come aveva detto il presidente Reagan a suo tempo, sembrano trasformarsi così nelle «nuove isole del tesoro» ai confini
meridionali del pianeta! Denominazione
che sinora competeva, più propriamente e
certo in maniera meno prosaica, all’arcipelago di Juan Fernández, sempre nel «cono
sud» del mondo, ma sul versante pacifico,
al largo del Cile, sia per il tesoro leggendario dei Vicerè delle Indie (7) che per quello,
forse altrettanto leggendario, dell’incrociatore tedesco Dresden, autoaffondatosi proprio lì il 14 maggio 1915, otto mesi dopo la
celebre battaglia delle Falkland! E l’Argentina non ci sta, inviando al London Stock
Market e al suo omologo newyorkese una
diffida a non trattare idrocarburi provenienti dalle acque delle Falkland, in quanto, secondo Buenos Aires, si tratterebbe di petrolio estratto «illegalmente» a seguito di concessioni «unilaterali». E all’uopo cerca anche la solidarietà del Gruppo di Rio, che
raccoglie i Paesi sudamericani e caraibici,
in un comune piano di «contenimento»,
economico e politico, delle influenze inglesi (e statunitensi), nel comune intento di
tenerle lontane dai «tesori» energetici dell’Atlantico del Sud, in una sorta di rediviva
«dottrina Monroe» al contrario, in salsa
latino-americana (8).
Il fronte giuridico
Le acque delle Falkland si aggiungono co-
sì alla «sconsolata lista» delle aree marittime «contese» per motivazioni geoeconomiche e finalità geopolitiche, in ragione delle
ricchezze energetiche contenute nella sottostante piattaforma continentale (9). Una lunga lista invero che comprende, all’attualità,
il Mediterraneo orientale, il Mar Caspio, il
Mar Cinese Meridionale e Orientale, il Mar
Rivista Marittima-Giugno 2013
Glaciale Artico. Lontano dal clamore dei
media infatti, già nel 2009, sia l’Argentina
che il Regno Unito, nel tentativo di avvalersi delle possibilità offerte dal diritto del mare in tema di allargamento della piattaforma
continentale oltre le 200 miglia dalle proprie
coste, hanno ingaggiato — è il caso proprio
di dire — una vera e propria battaglia «sottomarina», per fortuna solo cartacea, che si
può riassumere nei termini seguenti. Il 21
aprile 2009 l’Argentina ha presentato alla
«Commissione sui limiti della piattaforma
continentale» (CLPC) (10) una propria submission (11), in cui tenta di farsi attribuire
una mega piattaforma continentale che, in
buona sostanza, si protenderebbe dalle proprie coste nazionali, inglobando sic et simpliciter i tre arcipelaghi britannici, sino addirittura alle coste dell’Antartide stesso (dove
peraltro la porzione di territorio rivendicata
dall’Argentina si sovrappone in parte a quella britannica!). A detta istanza l’11 maggio
ha fatto seguito quella analoga del Regno
Unito (12), relativa ai «suoi» tre arcipelaghi
australi. Quindi è iniziato un vero e proprio
«balletto» di note di protesta che vedono ancora Londra versus Buenos Aires con note
verbali di protesta del 6 agosto, e viceversa,
del 20 agosto (13). Il fatto nuovo è che l’istanza argentina, andando a toccare la piattaforma continentale dell’Antartide, protetto, ricordiamo, dal Trattato di Washington
del 1959, viene contestata, oltre che dal Regno Unito, anche da Stati Uniti, Russia, India, Giappone e Olanda. Il risultato è che entrambe le submissions, quella inglese e
quella argentina, confliggenti in tema di sovranità territoriale, vengono «congelate»
dalla CLPC, in attesa che la problematica
venga al riguardo in qualche modo chiarita.
E non è affatto escluso che, dopo l’esito
eclatante e univoco del referendum che ne
rafforza indubbiamente la sovranità, Londra
faccia tali passi chiarificatori di fronte alla
65
Le isole del tesoro
La mega-piattaforma
continentale
che l’Argentina
ha richiesto
con la propria
submission
alla Commissione
sui limiti
della piattaforma
continentale (CLPC),
suscitando
un vespaio
di proteste
internazionali
oltre a quella inglese.
Commissione al fine di allargare de jure la
piattaforma continentale, magari solo delle
Falkland, che sono poi quelle che più la interessano per i motivi già esposti (anche perché gli arcipelaghi sub-antartici «inglesi»
della South Georgia e South Sandwich ricadono nell’«area marittima a Sud del parallelo con lat. 60°S», parimenti protetta dal citato trattato antartico). A meno che non si decida, una volta per tutte, di avvalersi della
panoplia di strumenti che il diritto internazionale offre proprio per la soluzione delle
controversie, secondo quanto disposto dal66
l’art. 287 della Convenzione stessa (14). Ma
non è questa la strada che Londra vuole seguire, tanto più che ha sempre negato qualsiasi trattativa negoziale pur proposta, anche
di recente, da Baires.
Un nuovo conflitto?
Al culmine delle rinnovate tensioni con
l’Argentina, lo scorso 6 gennaio, il premier
inglese ha dichiarato (e senza mezzi termini) (15) che l’Inghilterra è disposta a difenRivista Marittima-Giugno 2013
Le isole del tesoro
dere, se necessario, ancora una volta le
Falkland con le armi e che ne ha tutti i mezzi, disponendo ancora del quarto budget
della Difesa su scala mondiale. Ma le cose
stanno proprio così nel clima dei severissimi tagli imposti dalla spending review militare britannica? Spigolando infatti nelle 75
pagine del documento Securing Britain in
an Age of Uncertainty: The Strategic Defence and Security Review (2010), il quadro
che emerge delle Forze Armate inglesi nel
prossimo futuro non appare molto roseo! La
Royal Navy, in particolare, dopo il declassamento della PA Illustrious a portaelicotteri e la demolizione della gemella Ark Royal, punta a mettere in linea una sola portaerei, la Queen Elizabeth, che però dovrà essere modificata a seguito della decisione di
non impiegare più la versione a decollo corto (Stovl) dell’«F35 Joint Strike Fighter»
(16). Il che comporta lo slittamento dell’entrata in servizio dell’ammiraglia dal 2016 al
2020. Il risultato è che, in caso di crisi alle
Falkland, l’aeroporto esterno più vicino si
troverebbe a ben 6.034 km di distanza, nell’isola di Ascension! E se l’Argentina di oggi appare lontana dagli standard offensivi
del 1982 (17), sono proprio i veterani della
guerra del 1982, capeggiati dal Major-General (ca) Julian Thompson dei Royal
Marines (18), a «impazzare» sulla stampa e
sul web con i loro scenari pessimistici. In
estrema sintesi, l’ipotesi di fondo è che, se
gli Argentini riuscissero a impadronirsi con
un colpo di mano dell’aeroporto di Mount
Pleasant, contrastando con successo le forze
britanniche presenti nelle isole, data la lentezza e i tempi lunghi dei rinforzi via mare,
senza poter contare sul sostegno dell’aviazione imbarcata in mancanza di portaerei,
Gli spazi marittimi secondo la Terza Convenzione
delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
68
Rivista Marittima-Giugno 2013
Le isole del tesoro
Londra questa volta non potrebbe più riconquistare le isole, una volta perdute, con buona pace delle conclamate razionalizzazioni
imposte dalla spending review. Nel contesto
internazionale poi non v’è chi non veda come l’atteggiamento dell’amministrazione
Obama sia ben differente da quello assunto
a suo tempo dalla presidenza Reagan. Non
solo ha evitato di prendere posizione sulla
questione della sovranità dell’arcipelago,
ma le recenti dichiarazioni del segretario di
Stato Kerry (Gli Stati Uniti riconoscono de
facto l’amministrazione inglese delle Falkland) hanno suscitato un vero vespaio nella
stampa britannica (19). Ma le ipotesi di conflitto appaiono remote con l’Argentina, al
momento, tutta compresa dall’entusiasmo
per l’elezione di Papa Francesco. Ma chissà
che non venga alla fine in mente a qualcuno
di rispolverare il tradizionale ruolo di arbi-
trato internazionale della Santa Sede, da ultimo esercitato da Giovanni Paolo II negli
anni 1978-1985 per dirimere la controversia
tra Cile e Argentina sulla sovranità delle isole Picton, Lennox e Nueva nel Canale di
Beagle e degli spazi marittimi adiacenti,
scongiurando così un conflitto armato che
sembrava inevitabile. Tanto più che la presidenta Kirchner nell’udienza privata col
pontefice, appena cinque giorni dopo la sua
elezione, gli ha già chiesto di «favorire il
dialogo» tra Baires e Londra sulle isole contese. Ma il premier Cameron, giocando
d’anticipo, si era già premurato, a ogni buon
fine, di far rilevare «con rispetto» al neoeletto pontefice di non concordare con le affermazioni rese lo scorso anno proprio dall’ex-arcivescovo di Buenos Aires circa le
isole Malvinas «usurpate» (20). E la partita
sulle «isole contese» continua.
NOTE
(1) L’arcipelago delle Falkland è uno dei 14 Territori d’Oltremare (OTs) del Regno Unito, ciascuno dei quali ha una propria costituzione, un proprio governo e un corpus di leggi locali; i rapporti con Londra sono basati sui principi dell’autonomia locale e della mutua assistenza, in cui difesa e affari esteri sono demandati al
governo di Londra. In tale contesto il quesito referendario è stato formulato nei termini seguenti: «Volete che
le isole Falkland mantengano il loro status politico attuale come Territorio Oltremare del Regno Unito?».
(2) In un primo referendum del 1967, i cittadini di Gibilterra infatti votarono, con maggioranza schiacciante, a favore del mantenimento dello status di dipendenza britannica, ignorando le pressioni di Madrid, che
non ha mai abbandonato «la guerra delle carte», per riottenerne la sovranità, anche se invero nel Trattato di
Utrecht del 1713 la cessione alla Corona britannica venne dichiarata «totale e definitiva». Scelta enfatizzata poi nel novembre 2002, allorché oltre il 98% dei votanti rigettò persino la proposta di «condivisione di
sovranità» tra Regno Unito e Spagna.
(3) «Bullying Argentina is to told to play fair after Falklands vote» e «Falklanders follow referendum with
charm offensive» (The Times e The Guardian, March 13th), quindi «Loud and Clear» in The Economist
(March 16th).
(4) La denominazione stessa di Malouines si deve al francese Louis-Antoine de Bougainville che così le ha
chiamate nel 1764 per quel porto di Saint Malò dal quale era salpato, creandovi anche il primo insediamento. Da sottolineare inoltre, come le isole (forse già avvistate da Vespucci e Magellano) erano state «scoperte» nel 1592 proprio da un inglese, John Davis, al quale competerebbe quindi lo jus inventionis, il diritto
cioè di scoperta e che un altro inglese, John Strong, le aveva poi dedicate nel 1690 al tesoriere della Marina britannica, visconte di Falkland appunto. Nel 1767 la base francese viene venduta alla Spagna che ne
mantiene il controllo sino all’indipendenza argentina del 1811. Ma gli Inglesi, che nel 1774 vi avevano
sgombrato un proprio insediamento, pur lasciando una targa di rivendicazione dei loro diritti, ritornano nel
1833, questa volta per restarci. La South Georgia e South Sandwich vennero annesse da Londra nel 1908
e rivendicate dall’Argentina, rispettivamente, solo nel 1925 e nel 1937; attualmente costituiscono di per sé
un «territorio d’oltremare britannico», con basi scientifiche del British Antartic Survey a Bird Island e King
Edward Point.
(5) Rievocato sulle pagine di questa Rivista da Domenico Vecchioni, «Trent’anni fa la guerra per le Falk-
Rivista Marittima-Giugno 2013
69
Le isole del tesoro
land-Malvine», fasc. 4/2012, pp. 11-19 e, dal punto di vista argentino, dalla monografia di Leonardo Arcadio Zarza, Malvinas. The Argentine Perspective of the Falkland Conflict, School of Advanced Military
Studies, Fort Leavenworth, N.AY 09-10.
(6) Mercato comune del Sud, cioè dell’America meridionale, istituito con il Trattato di Asunción del 26
marzo 1991. Ne sono Stati-membri Argentina, Brasile, Uruguay, Venezuela e Paraguay (sospeso però dal
2012), mentre Stati-associati Bolivia, Cile, Perù, Colombia ed Ecuador.
(7) Tant’è che, ancora nel 1998, l’imprenditore americano Bernand Kaiser ha investito ben dieci milioni di dollari nelle ricerche di quel tesoro degli Incas che vi avrebbe nascosto il corsaro Juan de Ubilla y Echevarria, dopo aver saccheggiato il galeone spagnolo Nuestra Seňora del Monte Carmelo, diretto da Veracruz a Siviglia.
(8) In particolare il Venezuela «chavista» con la sua revoluciόn bonita contro ogni imperialismo yankee (arrivando a esortare la regina Elisabetta a restituire le Malvinas agli Argentini «perché gli imperi sono tramontati») e il Brasile, la cui presidente Dilma Rousseff ha minacciato Londra di non concedere più scalo
alle navi britanniche provenienti dall’arcipelago, qualora continuasse le esplorazioni nell’Atlantico Meridionale. Se infatti il Venezuela galleggia di per sé sul petrolio, in Brasile le recenti scoperte di giacimenti
offshore nella propria piattaforma continentale a circa 190 km tra Niteroi, vicino Rio de Janeiro, e San Paolo potrebbero rendere il Paese stesso, entro il 2017, non solo autosufficiente dal punto di vista petrolifero,
ma anche in grado di esportare un milione di barili di greggio al giorno!
(9) Che comprende «il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare
territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all’orlo esterno del margine
continentale o fino a una distanza di 200 miglia marine dalle linee di base dalle quali si misura la larghezza del suo mare territoriale, nel caso che l’orlo esterno del margine territoriale si trovi a una distanza inferiore» (unclos III, art. 76).
(10) Unclos III, art. 76.8; La Commissione, composta da 21 esperti internazionali di chiara fama, assume
poi al riguardo le proprie determinazioni sulla base dell’Annesso II alla Convenzione stessa e delle proprie
Rules of Procedures.
(11) http://www.un.org/Depts/los/clcs_new/submissions_files/submission_arg_25_2009.htm.
(12) http://www.un.org/Depts/los/clcs_new/submissions_files/submission_gbr_45_2009.htm.
(13) In cui l’Argentina si oppone alla pretesa de Regno Unito di proporre un allargamento della piattaforma continentale sia delle Falkland (che degli arcipelaghi della Georgia del Sud e delle Sandwich del Sud)
con la generica motivazione que pertenecen en su entegritad a la soberanìa de la Repùblica Argentina.
(14) Cioè il Tribunale internazionale per il diritto del mare, la Corte internazionale di giustizia ovvero tribunali arbitrali, vuoi ordinari che speciali, come è giù successo per numerosi altri contenziosi sui «confini
del mare» legati a sovranità in conflitto.
(15) «UK will fight for the Falklands, says David Cameron»/guardian.co.uk. e «Falkland, è già guerra di
parole: Noi inglesi pronti a combattere», /ilgiornale.it.
(16) In particolare, Part Two, Defence, pp. 21-23 e quindi, sul filo della critica, Malcolm Chalmers «A
Question of Balance? The Deficit and Defence Priorities», in Future Defence Rewiew, RUSI, wp n. 7, june
2010 (www.rusi.org/fdr), G. Gaiani, «I Tagli alla Difesa britannica» e A. Tani, «Londra: le portaerei senza
aerei di David Cameron», in Analisi Difesa, a. 11, nn. 112 e 113.
(17) Soprattutto in tema di navi e aerei, pur potendo sempre mettere in campo una brigata di Marines, una
di paracadutisti e ottime forze speciali. All’uopo è doveroso ricordare come, nell’immediato secondo dopoguerra, gli hombres ranas argentini furono addestrati proprio dal nostro tenente di vascello Eugenio Wolk
(1914-2006) che, dopo l’esperienza della scuola sommozzatori di Livorno, presso l’Accademia Navale, diretta dal 1° tenente di vascello (rich.) Angelo Belloni, divenne poi, a La Spezia e a Valdagno, comandante
del «Gruppo Gamma» della X Flottiglia MAS (1943-45). Semmai la stampa inglese paventa il pericolo dei
rockets argentini (non solo Condor II ma anche gli sperimentali Gradicom I e II), al riguardo «Missile Threat on Falkland Horizon», in The Sunday Times, February 24th 2013.
(18) «Defence cuts means UK would lose a new Falklands war, Veterans claim» (businessinsider.com);
«UK can’t win’ future Falklands conflict» (bfbs.com); «Argentina to invade Falklands after 30th anniversary furore dies down» (telegraph.co.uk); «Falkland could not be re-captured» (defencemanagement.com);
«Falkland in the worst danger since 1982» (express.co.uk) e infine «Thompson issues warning over future
Argentina invasion» (huffingtonpost.com).
(19) «In latest insult to Britain, the Obama administration kowtows to Kirchner on the Falklands referendum» in world.time.mc.com, independent.co.uk e guardian.co.uk.
(20) «Pope Francis is wrong on Falkands»/guardian.co.uk e «Cameron says Pope he is wrong on the Falklands», in /thetimes.co.uk, entrambi March 15th, 2013.
70
Rivista Marittima-Giugno 2013
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
L’UNIVERSITÀ DI GENOVA
E LA MARINA MILITARE ITALIANA
La formazione degli ingegneri navali
MASSIMO FIGARI (*) - ARCANGELO MENNA (**)
L
e attività legate al mare sono sempre
state fondamentali per l’Italia. La nave è
un elemento centrale delle attività marittime, sia come mezzo di trasporto, sia come
mezzo di protezione e difesa, sia come
strumento di proiezione della capacità tecnologica. Essere in grado di progettare, costruire, gestire e dismettere correttamente
una nave, è un elemento distintivo e qualificante di un paese in quanto consente di
realizzare una strategia marittima in maniera autonoma. In questo ambito la figura
dell’ingegnere navale risulta determinante
in quanto tecnico qualificato a progettare,
realizzare e gestire il complesso iter di vita di una unità navale, sia essa di proprietà
pubblica che privata, contribuendo non
poco alla creazione di ricchezza per il pae-
se. In particolare nella Marina Militare Italiana gli ingegneri navali sono inquadrati
nel Corpo del Genio Navale con compiti
che vanno dalla conduzione degli impianti
di bordo fino ad arrivare all’incarico di Direttore di Macchina, durante il periodo di
imbarco, alla gestione della flotta e progettazione delle nuove unità, durante il periodo di servizio a terra. Mentre in ambito
non militare l’ingegnere navale normalmente non svolge servizio a bordo ma solitamente opera nella progettazione, realizzazione, gestione tecnica e dismissione.
Scopo di questo articolo è mettere in luce alcuni degli aspetti chiave dell’iter formativo degli ingegneri navali e della sua
evoluzione nel corso dei decenni, partendo
dalla nascita dell’Italia ai giorni nostri.
(*) Laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso l’Università di Genova, nel 1989. Nel 1990 ha frequentato il Corso Allievi Ufficiali di Complemento Laureati, Genio Navale, presso l’Accademia Navale di
Livorno e successivamente ha prestato servizio a bordo di una unità della MMI con l’incarico di Ufficiale
GN. Dall’Agosto 1991 al Luglio 1994 ha lavorato come ricercatore nel Gruppo Strutture del CETENA
SpA. Il 1 Agosto 1994 ha preso servizio come ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Navale e
Tecnologie Marine dell’Università degli Studi di Genova. Dal 2002 è Professore Associato, docente delle
materie impiantistiche navali. Ha prodotto oltre cento pubblicazioni su riviste o congressi internazionali.
Coordina il gruppo di ricerca di simulazione degli impianti propulsivi delle navi che ha collaborato con
ABB, Fincantieri, Seastema, MMI, per la portaerei Cavour e per le FREMM.
(**) Capitano di Fregata del Genio Navale, ha frequentato l’accademia di Livorno dal 1991 al 1995. Nel
1998 si è laureato in Ingegneria Navale e ha conseguito l’abilitazione alla professione presso l’Università
di Genova. Direttore di Macchina di Nave Aviere dal 2002 al 2004 e di Nave Etna dal 2007 al 2009, è impiegato presso lo Stato Maggiore Marina dal 2005 dove si specializzato in Architettura Navale e Logistica
Integrata. Attualmente svolge l’attività presso il 5° Ufficio «Progetti unità navali di superficie e speciali»
del 7° Reparto SPMM ed è docente incaricato presso l’Università di Genova Facoltà di Ingegneria Navale
per l’Insegnamento «Progetto della Nave Militare».
Rivista Marittima-Giugno 2013
71
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
Effige
che campeggia
fra i corridoi
dell’attuale
Università
di Ingegneria
Navale di Genova.
Strategia nazionale post-unitaria
sull’indotto navale
N
elle fasi immediatamente successive
all’unificazione italiana i politici dell’epoca cercarono di affrontare in maniera sistematica alcune problematiche legate alle
professioni marittime con lo scopo di sviluppare il Paese. In particolare vi era l’esigenza di formare i costruttori delle navi,
per i quali non vi erano in Italia né scuole
né rilevanti competenze tecnico-scientifiche; inoltre, per quanto riguarda la Marina
Militare, stava emergendo il problema della preparazione tecnica degli Ufficiali del
Genio Navale per le nuove unità a propulsione meccanica.
All’epoca, gran parte delle navi, sia degli armatori privati sia delle marine militari piemontese e napoletana, erano state ac72
quistate all’estero e i costruttori, più che
veri e propri ingegneri, erano dei pratici la
cui esperienza, valida per i velieri tradizionali, era inadeguata per le navi a motore e
per l’uso del nuovo materiale, l’acciaio,
che cominciava a essere adottato nelle costruzioni navali.
Per conseguire lo scopo di indipendenza nel settore navale dagli altri paesi, Benedetto Brin, Generale del Genio Navale
e ministro dell’epoca, reputò innanzitutto
di primaria importanza che fosse istituita
un’apposita scuola, orientata prevalentemente alla preparazione degli ingegneri
costruttori previsti nel loro ruolo dall’art.
28 del Codice per la Marina Mercantile e
degli ingegneri navali, che avrebbero dovuto provvedere alla progettazione, alla
costruzione e al mantenimento delle navi
della Regia Marina. Tale iniziativa risulRivista Marittima-Giugno 2013
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
tava perfettamente organica nel complesso operato del Generale Brin, ingegnere
navale di fama mondiale e uomo politico
cresciuto nella stima e nel pensiero di Camillo Benso conte di Cavour, che fu infatti fautore di alcune strategie e politiche
fondamentali ai fini della costruzione e
del consolidamento di quel potere nazionale auspicato dai padri fondatori dell’Unità d’Italia. A tale scopo, valorizzando la
vocazione marittima della nostra penisola
e la sua posizione geostrategica nel Mediterraneo, in particolare a seguito dell’apertura del canale di Suez, il Generale
Brin promosse:
— un processo di rinnovamento dello strumento navale militare, mercantile e delle
relative infrastrutture,
— l’indipendenza e l’autonomia dell’industria nazionale con la nascita e crescita
di basilari poli produttivi,
— la ricerca tecnologica e la formazione
specialistica delle nuove generazioni (punto di nostro interesse).
1871: la Regia Scuola Superiore
Navale di Genova
Per iniziativa del Generale Brin (ricorda-
to in una effige Foto pagina accanto) e per
iniziativa congiunta di eminenti cittadini
genovesi, col sostegno anche finanziario
di enti locali (Comune, Provincia, Camera
di Commercio), con un contributo dello
Stato e sotto la vigilanza del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio,
venne fondata in Genova la Regia Scuola
Superiore Navale (ingresso principale Foto in basso). Il mandato di costituire la
Scuola fu affidato, nel 1871, al Generale
Mattei, Ispettore Generale del Genio Navale coadiuvato dal professor Felice Fasella. La Scuola fu in origine alle dipendenze
del Ministero di Agricoltura, Industria e
Commercio proprio per sottolineare l’importanza che si voleva dare alla componente industriale, dando un aspetto ben definito, sul piano tecnico, alla figura del costruttore di navi.
Ingresso
Principale
Università
di Ingegneria
Navale
di Genova.
Rivista Marittima-Giugno 2013
73
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
La Regia Scuola Navale Superiore doveva diventare la struttura dedicata alla didattica e alla ricerca nelle discipline di Ingegneria Navale. Per determinare la strutturazione della scuola furono prese in esame quelle che già avevano cominciato a
funzionare all’estero:
— la Scuola del Genio Marittimo di Parigi,
— la Scuola delle Costruzioni e delle
Macchine navali annessa al Politecnico di
Berlino,
— la scuola di Kensington in Inghilterra,
ognuna delle quali era ordinata in relazione alle necessità del rispettivo paese.
Lo scopo ufficiale della nuova Scuola era:
— formare ingegneri di costruzioni navali
e di macchine a vapore marine,
— istruire coloro che aspiravano all’insegnamento della nautica e delle costruzioni
navali negli istituti nautici.
2012: la Scuola Politecnica
e il Dipartimento di Ingegneria
Navale, Elettrica, Elettronica
e delle Telecomunicazioni (DITEN)
A partire dalla sua fondazione la Regia
Scuola ha avuto diverse ristrutturazioni,
assumendo varie denominazioni e diverse
forme istituzionali confluendo nell’Università degli Studi di Genova:
— 1871-1905 Regia Scuola Navale Superiore,
— 1905-1932 Regia Scuola d’Ingegneria
Navale,
— 1932-1936 Regia Scuola d’Ingegneria,
— 1936-1972 Facoltà di Ingegneria, Istituti di Architettura Navale e di Costruzioni Navali,
— 1972-1993 Facoltà di Ingegneria, Istituto Policattedra di Ingegneria Navale,
— 1993-2010 Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Navale e Tecno-
74
logie Marine,
— 2010-2011 Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Navale ed Elettrica,
— dal 2012 Scuola Politecnica, Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Telecomunicazioni (DITEN).
Dal 1871 al 1897 la Scuola laureò 236 ingegneri navali e meccanici, tra i quali vi furono uomini come Rota, Mengoli, Cuniberti, i fratelli Orlando, le cui opere sono ancora ben vive nel ricordo degli ingegneri navali di oggi e delle comunità che li ospitarono.
I primi direttori della scuola furono Felice Fasella nel periodo 1873-1896 e Carlo
De Amezaga, dal 1897 al 1899. L’Ammiraglio Carlo De Amezaga fu anche Presidente dal 1894 al 1899, di lui rimane il ritratto nel salone della presidenza di Villa
Giustiniani Cambiaso, storica sede della
Facoltà di Ingegneria di Genova.
Negli anni immediatamente precedenti
alla guerra del 1914-18 gli allievi iscritti al
triennio di applicazione di ingegneria navale e meccanica erano circa un centinaio, gli
ufficiali del Genio Navale comandati a frequentare la Scuola erano in numero limitato: da cinque a otto (per tutto il triennio).
Il numero degli iscritti crebbe fino a
raggiungere nel 1919-20 il massimo di
321, più 7 ufficiali del Genio Navale.
In seguito alle nuove disposizioni per il
reclutamento degli ufficiali della Regia
Marina, il numero degli ufficiali del Genio
Navale comandati alla Scuola di Genova
andò aumentando, nel 1929-30 essi erano
in numero di 46.
Nel 1930, come è stato detto, cominciarono a funzionare in Genova i primi corsi
di ingegneria civile e industriale e di seguito è riportata in Tabella 1 (pagina precedente) una statistica dell’andamento della popolazione scolastica di quegli anni.
I dati della penultima colonna figurano
nelle statistiche ufficiali della Facoltà,
Rivista Marittima-Giugno 2013
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
quelli dell’ultima sono stimati.
L’alta affluenza di Ufficiali del Genio
Navale, in questo periodo, é facilmente
spiegabile considerando che, tra il 1930 e il
1940, la flotta nazionale venne fortemente
incrementata e, in aggiunta alle navi esistenti, entrarono in servizio o si trovarono
in allestimento quelle di nuova costruzione.
Dopo gli scompensi dell’immediato dopoguerra, il numero degli studenti si è stabilizzato, mantenendosi compreso tra 30 e
40 laureati per anno, inclusi gli ufficiali
del Genio Navale.
Dai primi anni 2000, con l’istituzione,
anche in Italia, del percorso formativo 3+2
(Laurea + Laurea Magistrale) il numero
degli studenti iscritti è aumentato fino a un
massimo di 130 unità all’anno.
Gli ultimi dati sulle immatricolazioni sono in flessione rispetto al picco degli anni
2008/2009, la percentuale femminile con il
23% di donne rimane stabile, mentre gli
Ufficiali del Genio Navale sono invece
scesi a 2-3 all’anno. Nella Tabella 2 seguito è riportata la ripartizione degli iscritti
per corsi di studio, riferita all’anno accade-
Dipinto dell’ammiraglio Carlo De Amezaga
Università di Ingegneria Navale di Genova.
Anno scolastico Allievi iscritti alle sezioni di ingegneria
triennio
Civili
Industriali
Navali
1930-31
4
8
73
1931-32
12
15
71
1932-33
16
35
54
1933-34
23
45
46
1934-35
24
47
50
1935-36
29
68
44
1936-37
39
73
21
1937-38
42
75
16
1938-39
33
67
29
1939-40
39
75
26
1940-41
44
138
66
Rivista Marittima-Giugno 2013
Tabella 1
Ufficiali del Genio Navale
4°e 5° anno
Iscritti
Laureati
54
35
35
19
44
16
55
18
20
17
13
3
27
10
29
17
69
12
98
57
70
41
Totale
245
75
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
mico 2012/2013, 1° anno della Scuola Politecnica dell’Università di Genova.
Il Corso di Studi
I
l corso di studi indirizzato alla formazione
degli Ingegneri Navali, sia di primo sia di
secondo livello, è suddiviso in maniera molto bilanciata tra materie di base e materie caratterizzanti. L’offerta formativa di Ingegneria Navale ha un tronco principale molto robusto e consolidato nel tempo (praticamente
invariato dalla costituzione e simile alle analoghe istituzioni formative europee) su cui
vengono innestate le discipline innovative.
Un esempio di recenti innesti innovativi
è certamente la specializzazione elettrica
degli ingegneri navali che consiste in un
corpus formativo di 4 insegnamenti (2 nella Laurea e 2 nella Laurea Magistrale) finalizzati all’approfondimento delle macchine elettriche e dell’impiantistica elettrica navale, sempre più importante nelle
nuove costruzioni.
Un esempio invece di discipline tradizionalmente presente nei programmi della
Scuola è certamente quello delle navi mili-
Corso di Studi
Iscritti
meccanica
247
civile ambientale 164
biomedica
140
informatica
102
elettronica
96
industriale
89
navale
89
nautica
72
elettrica
50
chimica
46
edile-architettura 49
Per un totale di 1.124 iscritti.
76
Tabella 2
% del totale
22
15
12
9
8
8
8
6
4
4
3
tari. L’approfondimento sulle navi militari è
sempre stato considerato indispensabile in
relazione agli obiettivi della Scuola, rivolti
sia alla cantieristica sia al Corpo del Genio
Navale. Attualmente l’insegnamento sulle
navi militari risulta suddiviso tra «Navi militari» (insegnamento obbligatorio del terzo
anno della Laurea) e «Progetto della nave
militare» (insegnamento a scelta della Laurea Magistrale per gli studenti civili, obbligatorio per gli studenti militari). Nell’insegnamento obbligatorio vengono forniti i
contenuti di base inerenti le varie tipologie
di unità militari, la classificazione, i metodi
di calcolo standard. Nell’insegnamento a
scelta vengono invece forniti contenuti specifici sulle metodologie di progettazione,
prevalentemente per le navi militari di superficie, applicati dai maggiori attori nazionali (Enti, Stato Maggiore Marina e partners governativi e industriali).
Una magnifica biblioteca nel comprensorio dell’Università custodisce la storia e
la cultura navale e fornisce un indispensabile supporto sia allo studio sia alla ricerca
anche mediante progetti multimediali come il portale DuilioShip.
La collaborazione con la Marina
Militare
Insegnamento di Progetto
della Nave Militare
P
er offrire agli studenti contenuti sempre
aggiornati e appropriati ai futuri ambiti occupazionali, grazie agli accordi fra il Corpo
del Genio Navale e il corso di studi in Ingegneria Navale, è stata attivata una Convenzione tra lo Stato Maggiore Marina e la Facoltà di Ingegneria (oggi Scuola Politecnica) dell’Università di Genova che, a partire
dall’Anno Accademico 2009-2010, prevede
Rivista Marittima-Giugno 2013
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
la docenza dell’insegnamento di «Progetto
della nave militare» da parte di un Ufficiale
Superiore del Genio Navale appartenete al
7° Reparto SPMM di Maristat. Oltre ai contenuti, anche le modalità didattiche si possono considerare innovative. Infatti, al fine
di rendere efficace il risultato dell’insegnamento e perseguendo la logica win-win, alla base della convenzione, una parte delle
lezioni viene svolta in videoconferenza tra
SPMM (Roma) e Aula informatica (Genova) ove gli studenti seguono il docente militare sia su grande schermo, sia su singolo
PC, avendo la possibilità di interloquire con
esso in tempo reale.
Le iscrizioni all’insegnamento (a scelta)
di Progetto della nave militare hanno visto, in fasi altalenanti, un crescendo e nell’ultimo anno accademico (2012/2013) gli
studenti frequentatori dell’insegnamento
sono stati ventidue sia militari che civili (4
studentesse e 18 studenti).
In particolare i principali argomenti in
esso trattati sono:
storia della progettazione navale militare italiana;
— storia dell’elica navale;
— processo di acquisizione dello strumento militare in ambito Dicastero Difesa e
Marina Militare;
— prima spirale di progetto e suoi elementi;
— determinazione delle dimensioni di
massima della nave e primo sketch del
progetto;
— scelta della carena e stima della resistenza al moto;
— studio della stabilità e della compartimentazione;
— tipologia dei propulsori e loro progettazione;
— scelta dell’apparato motore e accoppiamento con il propulsore;
— energie alternative: approccio Dicastero Difesa e Marina Militare;
Rivista Marittima-Giugno 2013
— il progetto delle strutture;
— il progetto logistico;
— la survivability e la conseguente architettura del progetto;
— studio della generazione e distribuzione
elettrica;
— cenni sulla progettazione dei sommergibili.
Inoltre, per focalizzare praticamente
l’attenzione su alcuni argomenti topici sono state effettuate dagli studenti 4 esercitazioni pratiche di calcolo:
— scrittura di un Requisito Operativo Preliminare partendo da una Esigenza Operativa assegnata (prima spirale di progetto);
— studio dell’aumento della resistenza al
moto dovuto allo stato del mare;
— determinazione della resistenza di una
carena assegnata a diversi dislocamenti;
— verifiche di stabilità su una carena assegnata utilizzando uno specifico codice di
calcolo.
Al fine di amalgamare tutti gli argomenti, trattati nell’ottica dello Stato Maggiore
Marina, con quello che è l’approccio dei
maggiori partner industriali, sono state effettuate due conferenze da parte di relatori
esterni. Fincantieri Divisione Navi Militari ha trattato «l’approccio industriale alla
progettazione del naviglio militare di superficie» e il RINA ha trattato «l’inquadramento normativo e la classificazione delle
navi militari».
Visita su Nave Fasan presso
il Cantiere del Muggiano
Per stimolare ancor più praticamente tale
approccio, grazie al personale interessato
della MMI, di Occar PD Fremm e di Fincantieri, gli studenti del corso di Progetto
della Nave Militare hanno avuto, il 27 novembre 2012, la possibilità di poter visita77
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
Universitari UNIGE in Plancia di nave FASAN.
re Nave Fasan , Unità attualmente in costruzione presso il Cantiere Navale di
Muggiano (La Spezia).
La visita in cantiere ha offerto la possibilità ai futuri «ingegneri navali» di interfacciarsi con quella che è la realtà produttiva
del settore e rendersi conto delle dinamiche
con cui si porta a termine il progetto e la
realizzazione di una nave militare. Inoltre
essa è risultata particolarmente istruttiva e
utile, non solo perché le navi militari presentano particolarità impiantistiche e strutturali che ovviamente non si trovano in ambito mercantile, e comunque rappresentano
in genere le soluzioni ingegneristiche del
settore più all’avanguardia, ma soprattutto
perché è stata data agli studenti la possibilità di partecipare in maniera attiva a una
78
lezione sul campo, dove le conoscenze e le
competenze trasmesse dal docente risultano più facilmente assimilabili.
La visita è iniziata con la presentazione
delle attività svolte dal cantiere per conto
della Marina Militare e in dettaglio sono
state descritte le attività di produzione e
trasporto della componentistica utile alla
produzione e le attività di collaudo che
abitualmente si svolgono.
Successivamente durante il giro conoscitivo su Nave Virginio Fasan (una delle
6 fregate classe «Fremm», in allestimento
e frutto della cooperazione italo-francese,
peraltro già sperimentata con successo per
la realizzazione dei due cacciatorpedinieri
classe «Orizzonte», «Andrea Doria» e
«Caio Duilio») sono state illustrate le caRivista Marittima-Giugno 2013
L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana
ratteristiche tecniche della piattaforma per
quanto concerne l’apparato propulsivo, la
generazione elettrica e il controllo di tutti i
sistemi di bordo. È stata posta l’attenzione
sulla capacità della nave di far fronte in
maniera attiva a condizioni di emergenza,
anche molto significative, senza comprometterne l’operatività; sono state illustrate
le capacità del sistema di combattimento
di affrontare una guerra elettronica, sia in
maniera attiva che passiva e di occuparsi
della lotta antisommergibili.
Dal punto di vista tecnico per gli studenti è stato oltremodo interessante e coinvolgente poter vedere realizzato concretamente quanto si studia in Università e, nel
caso specifico, la visita è risultata necessaria per comprendere appieno le soluzioni
progettuali, del tutto non standard, di un
prodotto che è un sistema particolarmente
complesso come la Nave Militare.
Dal punto di vista didattico è risultato sicuramente importante dare ai futuri ingegneri navali, che un giorno saranno la classe dirigente dell’indotto dell’Ingegneria
Navale italiana e quindi dei maggiori partners industriali della Marina Militare, la
possibilità di avere una formazione che preveda momenti di apprendimento sul campo
mirati sia alla comprensione delle problematiche specifiche sia delle dinamiche peculiari della progettazione e della costruzione navale militare che quotidianamente
si presentano negli uffici e in cantiere.
Conclusioni
L’opportunità di avere un docente mili-
tare dello Stato Maggiore Marina direttamente impiegato nella progettazione navale rappresenta un importante valore aggiunto che la Marina Militare Italiana fornisce agli studenti di Ingegneria Navale.
Negli atenei si studiano i concetti per poter dare soluzione a problemi di ordine
progettuale e pratico, ma è negli uffici di
progettazione e in cantiere che il tecnico
deve prendere decisioni rapide, efficaci e
tante volte innovative rispetto a quanto
studiato.
È di strategica importanza altresì far approcciare e familiarizzare in modo proattivo i futuri ingegneri navali non militari,
che saranno in futuro il nerbo dei maggiori partners industriali della Marina Militare, con il mondo della progettazione navale militare, con i suoi processi e con gli
Enti e le Istituzioni in essa coinvolti.
Tirando le somme e analizzando i frutti
della collaborazione fra Università di Genova e Corpo del Genio Navale della Marina Militare è sicuramente auspicabile che
la collaborazione tra le Università, la Marina Militare e i maggiori patners industriali, a partire dalla formazione, continui
e si intensifichi per dare la possibilità ai
futuri ingegneri navali di essere formati in
modo idoneo alle esigenze dettate dal
mondo del lavoro.
BIBLIOGRAFIA
M. Elisabetta Tonizzi, Il «Politecnico del mare» alle origini della Facoltà di Ingegneria, La Regia Scuola
Superiore Navale, Genova, 1997.
Sergio Marsich, La scuola per l’ingegneria a Genova, L’Ingegneria Navale, Università degli Studi di Genova, Genova, 2004.
http://www.duilioship.it/.
Rivista Marittima-Giugno 2013
79
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
LA MARINA MERCANTILE
DELL’IMPERO ASBURGICO
MARIO VERONESI (*)
I compiti storici della monarchia austriaca
erano fatalmente segnati dalla sua posizione
geografica. In politica interna consistevano
nella riunione in un unico stato di numerosi
popoli che abitavano i suoi territori. Verso
l’esterno la monarchia danubiana aveva costituito un baluardo contro gli aggressivi popoli orientali e poi il naturale intermediario
tra Oriente e Occidente, fra l’Europa e il Levante. Dopo il congresso di Berlino del
1878, in cui si stabiliva alla monarchia austro-ungarica l’occupazione della Bosnia e
dell’Erzegovina, il diritto all’occupazione
del Sangiaccato di Novibazar e alla marcia
verso Salonicco per la via di Mitrovizia e la
polizia costiera del Montenegro, avevano
portato alla duplice monarchia vaste zone di
coste adriatiche. Non dimentichiamo che
l’Austria-Ungheria era l’unica potenza europea a non avere colonie e per questa mancanza di possessi coloniali la sua flotta mercantile e militare, non disponeva in nessun
punto del globo di porti, nei quali le navi potessero trovarsi in condizioni di superiorità
nel regime di concorrenza con le marine
straniere. Su questo fondamento fu eretto
l’edificio della Marina mercantile nazionale,
la quale dovette sempre tener presente che il
trasporto delle merci esercita una sensibile
influenza su tutti i fenomeni di produzione e
di distribuzione dell’economia di uno stato.
Il primo obiettivo della politica marittima
dell’Impero Asburgico doveva pertanto essere quello di assicurare alla Marina mercantile nazionale tutto il traffico marittimo
della monarchia con l’estero, traffico che nel
1911 era ancora effettuato per 4/5 da navi
battente bandiera estera. La Marina mercantile asburgica si trovava a fronteggiare compiti poderosi. Il raggiungimento di questo
obiettivo richiedeva un appoggio statale, attuato su vasta scala. Un sistema di sovvenzioni, basato su accordi particolari con le
grandi società armatoriali di linea e sulle
leggi del 1893 e del 1907 in appoggio alla
marina mercantile, sistema che comprendeva contributi annui, premi di costruzione e
sussidi di esercizio e di traversata. Il rigoglioso sviluppo avuto dalla Marina mercantile austro-ungarica, nei riguardi sia del numero delle unità, come del loro dislocamento attestava che tale marina aveva una
profonda vitalità e costituiva una necessità
economica per la monarchia danubiana.
Nel 1902 il materiale della Marina mercantile contava fra piroscafi, velieri, unità
costiere, imbarcazioni a vela e da pesca,
24.756 unità, per una stazza lorda di
(*) Pavese classe 1949, è docente all’UNITRE di Pavia. Ricopre, inoltre, la carica di Assessore alla Cultura, Istruzione, Ecologia e Ambiente nel comune di residenza, Cura Carpignano (Pavia). Collabora con i
mensili Marinai d’Italia, Lega Navale e Rivista Militare, con il settimanale Il Ticino di Pavia e con il quotidiano La Provincia Pavese. È collaboratore della Rivista Marittima dal 2005.
80
Rivista Marittima-Giugno 2013
La Marina mercantile dell’impero Asburgico
417.566 tonnellate. Nel 1912 tale quantitativo era salito a 32.266 unità per 639.349 tonnellate, e alla metà del 1914 comprendeva
445 piroscafi di tonnellaggio superiore alle
100 tonnellate e aveva un dislocamento globale di 1.055.719 tonnellate di stazza lorda.
Nel periodo 1902-1912 il commercio marittimo con l’estero crebbe del 25% mentre il
tonnellaggio nazionale aumentò del 50%.
L’efficienza di questa marina e il prestigio
della sua bandiera erano rappresentati soprattutto dalle grandi società armatoriali. La
più antica e la più grande fra queste era il
«Lloyd austriaco» (1) la cui flotta nel 1914
comprendeva 61 unità della stazza lorda di
234.758 tonnellate; il quale nel 1911 celebrò il 75° anniversario della sua fondazione.
Le tradizionali e più importanti linee di navigazione di questa società si svolgevano
nel Levante e nelle acque orientali del Mediterraneo, traffico profondamente aiutato
dal fatto che la monarchia danubiana aveva
una rilevante funzione commerciale in Turchia, Grecia; ed Egitto. Per i traffici mediterranei e in mar Nero, il Lloyd aveva istituito complessivamente 15 linee; mentre
per i servizi oceanici e per il commercio con
l’India, la Cina e il Giappone aveva creato
tre linee, che soffrivano della concorrenza
della ferrovia transiberiana, ma nonostante
questo tenevano bravamente testa alle concorrenti europee di navigazione. I servizi
adriatici furono esercitati in maniera insufficiente dalla società ungherese di navigazione «Ungaro-croata» e dalla società italiana
«Puglia», e soltanto l’introduzione di moderni piroscafi postali aveva permesso un
miglioramento anche in questo campo. La
società «Austro-americana» (2) e la «Fratelli Cosulich», la quale più tardi prese la denominazione di «Unione Austriaca di Navigazione» avevano scelto come sfera d’azione l’oceano Atlantico. Questa azienda disponeva di una flotta di 31 navi per una
Rivista Marittima-Giugno 2013
stazza lorda di 141.532 tonnellate, fra le
quali si annoveravano i maggiori piroscafi
della marineria austriaca. Il criterio fondamentale al quale si ispirò la società «Austroamericana», fu quello di avviare verso i porti nazionali l’afflusso sempre crescente delle materie prime che provenivano dall’America. Una politica di tariffe genialmente
concepita e attuata sulla base della legge del
1893 a sussidio della Marina mercantile,
permise effettivamente a quella società di
attrarre a se una parte del movimento mercantile fra gli Stati Uniti e importanti porti
mediterranei. Mentre nel 1896 fra l’AustraUngheria e l’America del nord erano stati
trasportati per via mare soltanto 11.000
quintali di merci, nel 1913 tale traffico era
salito a 2.069.000 quintali per il solo transito di Trieste, 2/3 dei quali erano arrivati tramite «l’Austro-americana». Il traffico marittimo verso l’America del sud (Brasile, Argentina, Uruguay; Paraguay) che nel 1907
era stato di soli 95.500 quintali, sei anni dopo era salito a 1.855.790 quintali. Il 95% di
questo traffico globale era svolto dalla «Austro-americana». Nel 1909 questa società
venne obbligata da un contratto con il governo austriaco a istituire una linea con l’America del sud (Trieste-Rio de Janeiro-Santos-Buenos Aires). La «Austro-americana»
istituì a proprio rischio e pericolo una linea
passeggeri Trieste-Nuova York, introducendo traversate regolari e istituendo nel porto
di Trieste un ricovero per emigranti. Nel
1913 trasportò in servizio di emigrazione e
di rimpatrio da e per l’America del nord,
Canada e America del sud 40.295 passeggeri, corrispondenti al 61% del traffico globale di emigrazione del porto di Trieste. Questo servizio fu ostacolato da una fortissima
concorrenza da parte della «Canadian Pacific» e della «Cunard Line». Fra l’amministrazione statale e questa società di navigazione, vigeva una convenzione navale sol81
La Marina mercantile dell’impero Asburgico
tanto per i servizi di navigazione con l’America del sud. I sussidi garantiti da questa
convenzione erano scaglionati in tre periodi
e aumentarono nel periodo 1910-1915. Si
devono poi aggiungere i rimborsi per il servizio postale, per il servizio radiotelegrafico, e i rimborsi di noli per determinate merci sia d’importazione che d’esportazione.
Mentre per le nuove costruzioni marittime
era assicurata una sovvenzione statale di
4.000.000 di corone. La più grande azienda
nel campo della marina libera, era la società
«D. Tripovich e C.», la quale possedeva una
flotta di 17 unità per una stazza lorda di
63.377 tonnellate. Anche la Marina mercantile ungherese aveva avuto uno sviluppo simile a quello della Marina austriaca. Subito
dopo il compromesso del 1867 l’Ungheria
si era energicamente dedicata alla creazione
di una propria flotta mercantile, prendendo
come suo emblema il motto: Tengerre
Magyar (Al mare Ungheria). Mentre nel
1900 la flotta mercantile disponeva di una
stazza lorda di sole 69.317 tonnellate, dodici anni più tardi il suo dislocamento complessivo si era più che raddoppiato, e a metà
del 1914 contava 227.863 tonnellate. La
maggior società ungherese armatoriale era
l’«Adria», che all’inizio della guerra disponeva di 34 unità. Sino al 1911 fu legata alla
compagnia inglese «Cunard Line» da una
convenzione finanziariamente vantaggiosa
per le due parti contraenti, ma svantaggiosa
per l’Ungheria e per la Marina mercantile
austriaca, secondo la quale gli emigranti che
passavano per Fiume erano lasciati al monopolio della società inglese. Le principali e
più importanti zone di attività della «Adria»
erano l’America del sud e la parte occidentale del Mediterraneo. Il traffico costiero
della Dalmazia era effettuato dalla società
ungherese «Ungaro-croata» che disponeva
a metà del 1914 di 46 piroscafi per un totale di 17.432 tonnellate di stazza lorda. In se82
guito alle forti sovvenzioni avute dal governo ungherese questa società riuscì a dare alle proprie linee di navigazione lungo le coste dalmate, trascurate dal «Lloyd austriaco», uno sviluppo così favorevole che l’importazione a Fiume delle merci, proveniente da quelle regioni, nel periodo di tre anni
aumentò di oltre il 50%. Anche Fiume era
stato adattato all’accresciuto movimento di
naviglio mercantile. In correlazione con una
politica di tariffe da parte del governo ungherese, crearono al porto di Fiume una posizione eminente tra i porti del Mediterraneo. Lo sviluppo di quel porto fu, ovviamente, dovuto più a fattori politici che economici. Se il porto fiumano era stato fino al
1860 sacrificato dall’Austria per favorire lo
sviluppo del vicino porto triestino, dal 1868
in poi, col passaggio di Fiume all’Ungheria
accadde un’inversione di tendenza. L’importanza della Marina mercantile nei riguardi dell’economia nazionale era anche caratterizzata dalla circostanza che nel 1910 erano impiegate in questo ramo di attività circa
13.000 persone, divenute 16.000 qualche
anno dopo. Assorbiva un capitale azionario
di circa 200 milioni di corone e trasportava
70 milioni di quintali di merci all’anno. Riusciva a introitare annualmente circa 200 milioni di corone come compenso per noli a
vantaggio quasi competo dell’economia nazionale. Era diventata in pochi anni, una
delle più importanti fonti di ricchezza della
monarchia asburgica. Questo sviluppo del
commercio marittimo e della Marina mercantile, non sarebbe stato possibile senza la
contemporanea sistemazione dei porti e delle reti di traffico. Trieste era prevalentemente un porto d’importazione, costituiva un
emporio per tutti i prodotti del Levante, per
l’importazione del caffè, per le merci provenienti dall’Estremo Oriente, per i prodotti
agricoli italiani, per i prodotti dell’Africa
del nord e dell’Egitto e per il cotone proveRivista Marittima-Giugno 2013
La Marina mercantile dell’impero Asburgico
niente dall’America del nord. Il quantitativo
delle merci importate superava di due volte
e mezza, il quantitativo delle merci esportate. Pola risultava il miglior porto dell’Adriatico, ma era saturo dai suoi compiti di base
militare-marittima per poter servire anche
gli interessi del commercio marittimo. Il
golfo di Cattaro costituiva un ancoraggio
molto spazioso, ma il suo montuoso entroterra e l’insufficienza di collegamenti, ne
impedivano lo sviluppo. Le poco favorevoli condizioni ambientali dell’entroterra dalmato avevano portato una certa importanza,
al solo porto di Spalato. In esso erano risposte le speranze della Dalmazia per il futuro,
e per questo vi furono dedicati per il suo miglioramento cospicui mezzi.
La floridezza della Marina mercantile
aveva costituito la naturale premessa per un
rafforzamento dell’industria cantieristica
dell’Impero. L’Austri-Ungheria, che aveva
dovuto ordinare la maggior parte delle sue
navi in Inghilterra, poté nel 1913, grazie alla creazione e al perfezionamento dei cantieri navali nazionali raggiungere il settimo
posto nella graduatoria dei paesi costruttori
di naviglio. La crescente importanza del
porto di Trieste e le esigenze della Marina
da Guerra austriaca furono gli elementi determinanti per la nascita di una nuova attività cantieristica. Il 12 agosto 1839, venne
inaugurato, lo Squero San Marco che in seguito sarebbe diventato, dopo esser confluito nel 1897 nello Stabilimento Tecnico
Triestino, il più grande cantiere navale dell’Austria-Ungheria e uno dei più importanti di tutto il Mediterraneo. Nel 1857 la Fabbrica Macchine Sant’Andrea e il Cantiere
San Rocco confluirono nello Stabilimento
Tecnico Triestino. Qui vennero costruite la
maggior parte delle navi da guerra (corazzate, incrociatori, fregate e corvette) della
Marina imperiale e moltissime navi destinate a servire nella Marina mercantile. Tra
Rivista Marittima-Giugno 2013
il 1884 e il 1914 vennero costruite, tra le
molte altre, 13 delle 16 navi da guerra della
KuK Kriegsmarine incluse le tre navi della
classe «Habsburg», le tre navi della classe
«Arciduca Francesco Ferdinando» e tre delle quattro navi della classe «Tegetthoff».
Dal 1907 si aggiunse un nuovo impianto,
progettato e finanziato dalla famiglia Cosulich. Il cantiere sorse sugli acquitrini di Panzano, presso Monfalcone, dopo che, negli
anni precedenti, lo scavo di sabbia e di
ghiaia necessario per le colmate nel nuovo
punto franco di Trieste, nella zona di
Sant’Andrea, determinò la disponibilità di
due grandi bacini, con buoni fondali, a pochi chilometri da Monfalcone e a sole 16
miglia marine dal porto di armamento della
flotta dei Cosulich. Per la gestione del nuovo cantiere inaugurato il 3 aprile 1908, venne costituita la società per azioni «Cantiere
navale triestino di Monfalcone». L’attività
del cantiere portò a un rapido sviluppo della cittadina di Monfalcone e in pochi anni lo
stabilimento divenne il più importante del
Mediterraneo. I cantieri della Ganz e C
«Danubius», società per la costruzione di
navi, locomotive e vagoni, vennero ampliati poco prima della grande guerra e formati
da un cantiere principale a Fiume e da uno
stabilimento a Porto Re. I cantieri «Lazarus» e lo stabilimento per la costruzione di
sommergibili della ditta «“Whitehead e
C»” (3) a Fiume, rappresentavano gli interessi ungheresi e che assicuravano alla monarchia danubiana la completa indipendenza dall’estero nel campo della costruzione
sia del naviglio mercantile, come in quello
militare. Tali aziende occupavano circa
12.000 dipendenti e interessavano con l’indotto, l’attività di molte aziende dell’industria dell’intero paese.
Così la Marina mercantile, le reti interne del traffico, i porti, gli arsenali contribuirono nelle rispettive sfere d’azione,
83
La Marina mercantile dell’impero Asburgico
a dare alle coste della monarchia asburgica la caratteristica di uno dei suoi più
preziosi possessi, la cui importanza risul-
tava ancora accresciuta per l’effetto della
passione per il mare che si stava evolvendo ovunque.
NOTE
(1) L’Osterreichischer Lloyd o Lloyd Austriaco fu la più importante Società di Navigazione dell’Austria, e
poi, dell’Austria-Ungheria, fondata nel 1833. Una curiosità di questa società di navigazione era la lingua
parlata, la lingua di servizio, era l’italiano; non si trattava dell’italiano parlato di oggi, ma una o più lingue
di radice veneta tra quelle parlate a Trieste, sulle coste dell’Istria, a Fiume, in Dalmazia e in Veneto. La prima nave che venne consegnata al Lloyd fu l’Arciduca Lodovico, di 310 t, costruita a Londra. Il primo viaggio organizzato per il trasporto di passeggeri avvenne il 16 maggio 1837; a bordo si trovavano 53 passeggeri, che dopo un viaggio di 14 giorni con soste nei porti di Ancona, Corfù, Patrasso, Pireo, Syra e Smirne,
giunsero a Costantinopoli. Un altro fattore responsabile della crescita del Lloyd Austriaco fu l’accordo con
l’Erste Donau Dampfschifffahrt Gesellschaft (DDSG). Veniva così realizzata una formidabile rete di distribuzione di merci e movimenti di passeggeri che univa le linee operanti nel bacino del Danubio con il mar
Nero e da qui verso le altre destinazioni. Poco tempo dopo, l’apertura del canale di Suez vennero attivate
le rotte per Port Said (1869), Bombay (1870), Colombo, Singapore (1880), Hongkong (1880), Shangai
(1881), Nagasaki (1892), e Yokohama (1892). Nel 1914 all’inizio della prima guerra mondiale, molte navi
del Lloyd Austriaco erano in navigazione sugli Oceani. Così qualche nave cercò rifugio in porti neutrali,
molte furono utilizzate dalla kuk Kriegsmarine (Imperial Regia Marina da Guerra) come navi da trasporto
o navi ospedale. All’inizio di novembre del 1918, le truppe del Regno d’Italia entrarono a Trieste, e il 28
novembre la Banca Commerciale Italiana acquistò la Compagnia dal precedente proprietario, al prezzo di
1.000 lire per ogni azione. Il 3 gennaio 1921 venne deciso di cambiare la denominazione del Lloyd Austriaco in quella di Lloyd Triestino.
(2) La società Austro-Americana, venne fondata nel 1895 da Gottfried Schenker, August Schenker-Angerer e William Burell, spedizionieri e fondatori della «Schenker Spedition» (Spedizioni Schenker) con lo scopo di realizzare un collegamento marittimo per il trasporto delle merci tra l’Austria-Ungheria e il Nord
America. Nel 1902 William Burell si ritirò dalla Società e la sua quota venne ceduta ai Fratelli Cosulich, e
nel 1903 la Società assunse la denominazione di «Unione Austriaca di Navigazione dell’Austro Americana
e dei Fratelli Cosulich». Nel 1904 per la prima volta, vennero organizzati viaggi per il trasporto dei passeggeri (emigranti) verso gli Stati Uniti d’America. Nel 1910 la Società ottenne l’incarico per il trasporto della corrispondenza sulle rotte del nord e sud dell’Atlantico, e venne inaugurata, la linea Trieste-Rio de Janeiro-Santos-Buenos Aires. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’Austro-Americana andò incontro
a un destino simile a quello del Lloyd Austriaco. Le navi che si trovavano nei porti stranieri o in navigazione al di fuori delle acque territoriali vennero catturate o affondate dagli Stati nemici. Un certo numero di
navi venne requisito e destinato a essere utilizzato come navi ospedale. La famiglia Cosulich, che ne faceva parte, acquisì la Società e dal marzo 1919 questa venne denominata «Cosulich Società Triestina di Navigazione». Dal 1932 al 1936 la Società prese il nome di «Italia Flotte Riunite» (Cosulich, Lloyd Sabaudo,
Navigazione Generale Italiana).
(3) Le origini della «Whitehead e C», risalgono al 1875 quando l’ingegnere inglese Robert Whitehead inaugurò a Fiume, un impianto per la produzione di siluri la «Torpedo Fabrik von Robert Whitehead». Il primo
prototipo, presentato il 21 dicembre 1866 presso una commissione di valutazione della Marina Austro-Ungarica venne valutato in modo positivo e iniziò la produzione a scopo sperimentale. Nel 1871 anche la Marina
Britannica decise l’acquisto dei siluri fiumani e l’anno successivo fu la Marina Francese. Nel 1891 ad acquistare i siluri Whitehead fu l’US Navy. Nel 1907 il gruppo sottoscrisse un accordo con il governo italiano per
l’ingrandimento e il completamento dell’officina siluri di La Spezia. Dall’inizio del primo conflitto mondiale
il Silurificio di Fiume lavorò esclusivamente per gli Imperi Centrali e in seguito all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, le attrezzature di produzione vennero trasferite da Fiume a St. Polten, vicino Vienna. I
timori si rivelarono fondati in quanto il 2 agosto 1916, la fabbrica, venne bombardata da aerei italiani.
BIBLIOGRAFIA
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P. Campodonico - La Cantieristica italiana - Genova 2007.
G. Gerolami - Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Origini e sviluppo 1857-1907, 1957 - Trieste, 1957.
E. Gellner, P. Valenti - Storia del Cantiere San Marco - ed. Luglio Trieste 2002.
P. Valenti - Storia del Cantiere Navale di Monfalcone: 1908-2008 - ed. Luglio Trieste 2007
M. Martinuzzi - Cantiere 100 anni di navi a Monfalcone - Fincantieri, Trieste, 2008.
84
Rivista Marittima-Giugno 2013
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
ALLE ORIGINI DEI LEGAMI
TRA LA MARINA ITALIANA E FRANCESE
Durand de La Penne - Forbin - Doria
L’ANDREA DORIA, unità della Marina Militare Italiana della classe «Orizzonte»
GILLES MALVAUX (*)
A
ttualmente, i legami tra la Marine Nationale francese e la Marina Militare italiana sono particolarmente testimoniati
dalle fregate europee multimissioni
FREMM e dalle navi della classe «Orizzonte», Andrea Doria — Caio Duilio &
Forbin — Chevalier Paul.
Tuttavia la Storia è ricca d’avvenimenti
che testimoniano come la vicinanza geografica di questi due Paesi abbia permesso che si tessessero dei legami già dal
Medioevo. Dopo un breve ripasso storico
che sottolinea in particolare l’importanza
di Genova, vedremo alcuni aneddoti poco
(*) Tenente di vascello nella Marine Nationale francese, è stato imbarcato per un anno, da giugno 2012 a
giugno 2013, sulla nave Francesco Mimbelli, classe «Durand De La Penne», nell’ambito di uno scambio
tra la Marina italiana e francese.
86
Rivista Marittima-Giugno 2013
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
conosciuti o ignoti ove appare il nome Doria nella storia della Francia, a volte
assieme e in modo piuttosto curioso al
nome Forbin; vedremo anche una breve
presentazione delle origini provenzali dell’ammiraglio Luigi Durand de La Penne.
Il regno di Francia
e i marinai genovesi
L
’alleanza della Francia e di Genova è
antica e risale fino alle Crociate. Durante
la Guerra dei Cent’anni tra la Francia e
l’Inghilterra, Egidio Boccanegra, e poi suo
figlio Ambrogio Boccanegra, fornirono ai
re francesi l’appoggio marittimo di cui essi avevano bisogno (battaglia di l’Ecluse
nel 1340 — battaglia di La Rochelle nel
1372).
Mezzo secolo prima, il re di Francia
Philippe IV le Bel creava il primo cantiere
navale dello Stato, le clos des galées, e assunse come consigliere il genovese
Benedetto Zaccaria, che fu pure nominato
ammiraglio.
In seguito l’influenza italiana del Rinascimento in Francia (la Renaissance) si
palesò anche negli italianismi, messi di
moda dalla Corte e dai poeti.
In ambito Marina, quest’influenza era
preponderante già dal Medio Evo (galées
sopracitato viene da galea).
Per esempio, la drisse è la cima che
serve a drizzare le vele sulla misaine (mezzana), la coursive (corsia) è il corridoio all’interno della nave, le brigantin è una barca a due vele (brigantino), e la carène è la
carena. Un corsaire è in realtà un corsaro,
che può indossare un caban (cabbanu in siciliano), magari dandosi coraggio con il
canto marinaresco assai licenzioso Allons
à Messine (andiamo a Messina); senza dimenticare che i marinai e i soldati sono pagati con la solde .
Invece, se tribordo e babordo derivano
dal francese bâbord e tribord, questi due
ultimi termini hanno una radice olandese
La FORBIN unità navale francese appartenente alla classe «Orizzonte».
Rivista Marittima-Giugno 2013
87
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
Il villaggio di La Penne (a sinistra) e il castello della famiglia Durand de La Penne (a destra) Le Pavillon,
castello della famiglia Durand de La Penne, nel paese di La Penne. È stato costruito da Joseph-Alexandre
Durand, marchese di La Penne, ufficiale di Marina. Il castello è appartenuto alla famiglio sino al 2001.
Luigi Durand de La Penne ci stava soggiornando, prima che la guerra scoppiasse.
(bakboord e stierboord).
In quel tempo, la Francia era ancora
sprovvista di una vera Marina e doveva ricorrere al savoir-faire e alla potenza marittima italiana per affermarsi sul mare.
Per esempio, Francesco I affidò a Giovanni da Verazzano una spedizione sulle
coste americane, durante la quale egli scoprirà nel 1524 l’Hudson e l’isola di Manhattan. Il navigatore italiano battezzò
questa parte della costa atlantica la
Francescane in onore del re di Francia, denominazione sfortunatamente senza posterità. Francesco I strinse pure una alleanza marittima con Genova per combattere
Carlo V sul mare. Infatti, durante il conflitto tra il regno di Francia e l’impero spagnolo, l’ammiraglio Andrea Doria fu incaricato nel 1524 di liberare Marsiglia — e
dunque la Provence — assediata via mare
e via terra dagli Spagnoli.
È questa regione, la Provence, che ci interessa. Oltre ad aver fornito il nome a una
FREMM francese, la Provenza è pure la
culla di due casate le cui origini risalgono
88
al Medioevo e al Rinascimento: la
famiglia Forbin e la stirpe Durand, divenuta poi Durand de La Penne.
La Provenza accolse anche un ramo dei
Doria di Genova, di cui parleremo.
La famiglia Durand de La Penne
e la Provenza
Durand era un semplice barbiere (anche
chirurgo a quei tempi) che visse nella piccola città d’Annot nel 1504. Annot e La Penne
sono due paesini, distanti tra di loro circa 30
km, tutti e due a meno di 40 km dall’attuale
confine della Francia con l’Italia.
I Durand man mano si elevarono come
ceto sociale. Nel 1560 Claude Durand divenne il primo notaio della famiglia e l’incarico si trasmise attraverso le generazioni
seguenti. Joseph Durand si aggregò alla
nobiltà nel 1673, sposando Christine de
Castellane d’Alluys, dalla quale ebbe
quattro figli, Jean Baptiste, Louis, Jean e
Jean-Joseph, quest’ultimo all’origine del
Rivista Marittima-Giugno 2013
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
ramo Durand de La Penne.
Di fatto, Jean-Joseph Durand sposò nel
1752 Françoise-Gabrielle d’Authier, erede
del feudo di La Penne, nella contea di Nizza. Nel 1778 fu riconosciuto signore di La
Penne dal re di Sardegna. Suo figlio,
Joseph-Alexandre Durand, era un ufficiale
di Marina, che si sposò a Tolone nel 1791
con Marie-Agnès de Burgues de Missiessy.
Pare che Joseph-Alexandre Durand prese
per primo il titolo di marchese di La Penne.
Egli fu anche il padre di Jean-Baptiste
Durand, marchese di La Penne (17991874), il quale prese la nazionalità italiana
dopo l’annessione di Nizza alla Francia
nel 1860.
Louis Durand, terzo marchese di La
Penne (1838-1921) fu l’ultimo a essere
seppellito nella tomba di famiglia del
castello.
La storia racconta che stava soggiornando a La Penne nel 1938 quando stava per
scoppiare la Seconda Guerra Mondiale. Ci
sarebbe tornato per la prima volta 30 anni
dopo, nel 1968. Luigi a quel tempo aveva
gia abbracciato la carriera delle armi nella
Marina Regia. Nel 1938, anno dell’ Accordo di Monaco, a 24 anni, rientrò immediatamente in Italia, non per causa della
Francia (la dichiarazione di guerra tra i belligeranti avvenne due anni dopo) ma per
raggiungere la sua base e mettersi a disposizione della sua armata, della sua patria e
del suo re. La sua condotta durante la guerra fu esemplare e un modello di coraggio.
Quest’articolo tuttavia non pretende di
richiamare i dettagli di un’epopea che è in
tutte le memorie e che si svolse nel dicembre 1941, cioè la missione di Alessandria
d’Egitto.
Antonio Doria,
ammiraglio di Francia
durante la guerra dei Cent’anni .
I
l cacciatorpediniere della classe «Orizzonte» Andrea Doria ricorda uno dei più
L’ammiraglio Luigi Durand de La Penne (1914-1992), fu il quarto marchese di La Penne.
Rivista Marittima-Giugno 2013
89
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
Il cacciatorpediniere lanciamissili LUIGI DURAND DE LA PENNE, sullo sfondo nave GARIBALDI.
famosi membri della famiglia Doria, antica
e illustrissima casata di Genova, ma bisogna
sapere che la storia della Francia nel XIV secolo annovera un Antonio Doria che fu pure
Ammiraglio di Francia, e che due rami di
questa numerosa famiglia si stabilirono in
Francia probabilmente alla fine del Medioevo, l’uno a Tarascon e l’altro a Marsiglia.
Ritorniamo alla guerra dei Cent’anni tra
Francesi e Inglesi. Ambrogio Boccanegra,
ammiraglio di Castiglia, combatteva al
servizio della Francia (allora alleata alla
Castiglia), e sconfiggeva gli inglesi alla
battaglia di La Rochelle nel 1372. Ma 30
anni prima, un altro genovese, Antonio
Doria, incalzava gli Inglesi nella Manica, e
con il francese Quiéret saccheggiava la città inglese di Southampton nel 1338 (e
avrebbe perfino imboccato il Tamigi).
A questo proposito, lasciamo la parola a
Jean Froissart, uno storico francese (13371405) le cui Chroniques ci offrono degli
aneddoti dilettevoli, tanto più ameni quanto l’antico francese presenta delle parole
oggi in disuso ma molto vicine all’italiano:
Or vous parlerons un petit de […] messire Charles Crimaut*, de messire Othe
Doria, qui étaient pour le temps amiraux
de la mer à huit gallées, treize barges et
trente nefs chargées de Gennevois […] et
se tenoient sur mer entre Bretagne et Angleterre; et portèrent plusieurs fois grands
dommages aux Anglois […].
Messire Hue Kieret et ses compagnons
vinrent un dimanche matin au hâvre de
Hantonne** entrementes que les gens
étoient à messe; et entrèrent les dits Normands et Gennevois en la ville, et la pillèrent et robèrent tout entièrement et y
tuèrent moult gens et violèrent plusieurs
(*) Carlo Grimaldi. Il re di Francia Philippe VI si era alleato con dei ghibellini di Genova e dei guelfi di
Monaco.
(**) Hantonne : Southampton
90
Rivista Marittima-Giugno 2013
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
femmes et pucelles […].
«Oramai vi parleremo un poco di […]
messer Charles Crimaut*, di messer Othe
Doria, che erano in quel tempo ammiragli
del mare con otto galee, tredici chiatte e
trenta navi caricate di Genovesi […] e stavano sul mare tra Bretagna ed Inghilterra;
e arrecarono parecchie volte grandi danni
agli Inglesi […].
Messer Hue Kieret e i suoi compagni
vennero una domenica mattina nella città
di Hantonne** mentre la gente era alla
messa; ed entrarono i suddetti Normanni e
Genovesi e la saccheggiarono e rubarono
tutto e ci uccisero molta gente e violentarono parecchie donne e pulzelle[...]».
Per quanto sopra — atto di pirateria per
gli Inglesi, prodezza e fatto d’arme per i
Francesi — Antonio Doria fu perfino premiato e ricevette 100 livres tournois (100
lire della città di Tours), somma promessa
«ai primi che sarebbero entrati nella città
di Hantonne».
Nel 1339, quarant’anni dopo il genovese Beneddeto Zaccaria, Antonio Doria
— o Aithon, Ottone, Othes Dorie — fu
ammiraglio di Francia. La propria squadra
era composta di 20 galee, ma ne comandava circa 40. Tra i comandanti alle sue
dipendenze (o piuttosto i padroni — les
patrons – come scritto nei documenti in
quell’epoca) figuravano molti altri Doria
(Georges, Aubert, Bavaresque, Ascelin,
Philippe, Conradin, tutti nomi francesizzati nei documenti) nonché alcuni Spinola.
Se si vuole avere un ordine di grandezza del costo di una marina di guerra a quell’epoca, secondo il contratto stabilito nel
ottobre 1337 tra Antonio Doria e il re di
Francia Philippe VI, quest’ultimo doveva
pagare 900 florins d’or de Florence al
mese per ogni galea, ciascuna armata di
210 uomini (di cui 180 marinai, 25
balestrieri e 6.000 viretons, cioè una specia di quadrello per le balestre).
Tre anni dopo, impegnato nella guerra
Battaglia di La Rochelle,
1372.
L'ammiraglio genovese
Ambrogio Boccanegra era
in inferiorità numerica (22
galere castigliane contro 36
navi inglesi che proteggevano
14 navi di trasporto) ma era
favorito dalla marea, da un
pescaggio minore e utilizzò
ingegnosamente i brulotti
rimorchiati dalle sue galere.
Gli Inglesi smarrirono uno
anno di stipendio dei loro
mercenari.
Peraltro questo ammiraglio
era contemporaneo
dell'ammiraglio francese Jean
de Vienne, il cui nome
è attualmente quello di una
fregata antisommergibile
basata a Tolone.
Rivista Marittima-Giugno 2013
91
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
di successione del ducato di Bretagna che
opponeva Francesi e Inglesi, egli ricevette
anche come ricompensa dei suoi servizi la
signoria di Châteaulin, piccola città all’estremità ovest della Bretagna. Questa
città è senza grande importanza strategica,
sennonché essa è situata a meno di 40 km
da Brest, città portuale destinata a divenire
tre secoli più tardi un porto militare, oggi
gemellato con Taranto.
Oggi un quadro del XVIII secolo raffigurante Antonio Doria è conservato a Versailles, intitolato Aithon Doria, amiral de
France en 1339.
Doria & Forbin.
Matrimoni e combattimenti
tra Marsiglia e Tolone .
L
uigi Doria, ciambellano e consigliere
del re Renato d’Angiò, fu colui che si stabilì nella città di Marsiglia, probabilmente
verso la fine del Quattrocento. Egli era
senza erede e fece venire suo nipote Lazzaro Doria per succedergli. Lazzaro Doria
fu padre di Blaise (Biagio) Doria, che fu
tre volte primo console di Marsiglia, l’autorità più ragguardevole della città (15171535-1547). La storia diventa aneddoto
quando Blaise Doria si sposò con Marguerite de Forbin, un’antenata di Claude
de Forbin, ammiraglio di squadra sotto
Luigi XIV, la cui memoria oggi è ricordata con il caccia francese della classe «Orizzonte» Forbin, sistership del Doria…
Queste due famiglie, che daranno nel
XXI secolo il loro nome a queste unità
capoclasse del programma «Orizzonte», si
unirono parecchie volte: Lazzaro Doria,
figlio primogenito di Blaise e Marguerite,
comandò una galera regia francese e suo
pronipote Jean si sposò con Hélène de
Forbin.
Vincent de Forbin sposò nel 1527
Catherine Doria e fu anch’egli primo console di Marsiglia. Il loro figlio sposò
Claire de Peruzzi; presumibilmente lei discendeva da un ramo dei Peruzzi di Firenze, costretti all’esilio oltr’Alpe dopo la
Congiura dei Pazzi. Gli intrecci nella genealogia sono veramente sorprendenti!
Peraltro, in quella stessa epoca delle
guerre d’Italia, il conflitto tra Francia e
Spagna imperversava. Nel 1524, la squadra
spagnola comandata dal vice-re di Napoli
Ugo di Moncada minacciava le coste della
Provenza, mentre Marsiglia era assediata
dal conestabile di Borbone, lo stesso che
saccheggerà Roma tre anni più tardi.
Intervenne allora con le sue sei galere
Andrea Doria, in quanto général des
galères de France, assieme a una decina di
navi proveniente dai porti di Marsiglia e di
Tolone e comandate da Antoine de La
Fayette. Costui era amiral des mers du
Levant, ma sopratutto era un lontano antenato del marchese di La Fayette, che combatté con gli insurgents durante la guerra
d’indipendenza degli Stati Uniti e lasciò il
suo nome alla classe delle fregate furtive
«La Fayette».
Doria, Forbin, Durand de la Penne:
queste tre famiglie hanno dato il loro nome
a navi da guerra, però la loro storia offre
qualche curiosità che è solamente accennata in questo articolo ma meriterebbe di
essere studiata più precisamente.
BIBLIOGRAFIA
Medioevo e Rinascimento
Duc de Levis Mirepoix – «Philippe le Bel» – éditions de Crémille, 1989.
92
Rivista Marittima-Giugno 2013
Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese
Georges Bordonove – «Jean II Le Bon» – éditions Pygmalion - 2007.
Georges Bordonove – «Charles V Le Sage» – éditions Pygmalion - 2007.
André Castelot – «François 1er» – éditions Famot – 1985.
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http://www.treccani.it.
DORIA & FORBIN
Inventaire analytique des titres de la maison de Forbin recueillis au château de Saint-Marcel par M. le Mis
de Forbin d’Oppède et d’autres titres provenant de diverses archives, le tout analysé par M. le chanoine Albanès, avec une introduction de M. Louis Blancard – imprimerie marseillaise – 1900 – (http://gallica.bnf.fr).
«Supplément au dictionnaire historique, géographique, généalogique». Tome 2 1745 pag. 557
(google.books).
FAMIGLIA DURAND DE LA PENNE
«Histoire héroïque et universelle de la noblesse de Provence». Tome 3 1786 (http://gallica.bnf.fr).
de La Chenaye-Desbois et Badier «Dictionnaire de la noblesse : contenant les généalogies, l’histoire et la
chronologie des familles nobles de France». Tome 7 1865 (http://gallica.bnf.fr).
M. de Saint-Allais «Nobiliaire universel de France, ou Recueil général des généalogies historiques des
maisons nobles de ce royaume». Tome 2 1872-1878 (http://gallica.bnf.fr).
Chaix d’Est-Ange «Dictionnaire des familles françaises anciennes ou notables à la fin du XIXe siècle».
Tome 15 1917 (http://gallica.bnf.fr).
www.lapenne.fr.
L’Autore ringrazia particolarmente il marchese Luigi de La Penne, nipote dell’ammiraglio Luigi Durand de La Penne, per i suoi consigli e le precisioni apportate per quanto riguarda la
famiglia Durand de La Penne.
Rivista Marittima-Giugno 2013
93
STORIA E CULTURA MILITARE
HANNO RUBATO UN SOMMERGIBILE
UMBERTO BURLA (*)
L
’articolo pubblicato su questa Rivista
nel mese di giugno dello scorso anno, relativo a un episodio della vita del tenete di
vascello Angelo Belloni, mi ha stimolato a
descriverne un altro, assai clamoroso, avvenuto nell’ottobre 1914 e conclusosi nel
marzo 1915 con una sentenza del Tribunale Penale di Sarzana, che assolse il Belloni, imputato del furto di un sommergibile
varato al Muggiano, una località sul litorale ovest del Golfo della Spezia.
Tra l’altro, credo di poter affermare che
una imputazione del genere (anche se declassata dal Tribunale a semplice «esportazione non autorizzata di sommergibile»)
non ha precedenti in alcuna Corte di Giustizia del mondo, ponendo pertanto il Tribunale sarzanese nel Guiness dei primati!
Ed ecco qui di seguito narrati i fatti, di
cui al titolo.
L’allora sottotente di vascello Angelo
Belloni, milanese, classe 1882, posto nella
riserva dalla RM, aveva preso servizio nel
1911 presso il Cantiere Navale Fiat-San
Giorgio del Muggiano, ed era stato incaricato nel maggio del 1914 di consegnare al
Governo brasiliano tre sommergibili classe «F», costruiti nel Cantiere, i primi battelli subacquei di serie della Regia Marina.
Rientrato in patria dal Brasile, era stato
incaricato di seguire le prove tecniche in
mare della «Costruzione 43», un sommergibile costruito per la Russia (1), Nazione
che dal 1° agosto era in guerra con la Germania, il che creava problemi per la consegna del battello, considerando che all’epoca l’Italia, neutrale, era tuttavia ancora nella Triplice, alleata quindi con gli Imperi tedesco e austro-ungarico.
Ricordo, di passaggio, che il Cantiere
era negli anni Dieci del XX secolo famoso
nel mondo per la qualità dei suoi sommergibili della serie «Foca», progettati dal
1907 per la RM dal direttore tecnico del
San Giorgio, l’ingegner Cesare Laurenti,
titolare di un brevetto internazionale (i
sommergibili a «doppio scafo centrale»).
Non soltanto il Brasile, ma anche la Marina svedese aveva ordinato al Muggiano un
battello Laurenti, lo Hwalen (2), che per
quel tempo aveva compiuto una vera impresa nautica, percorrendo 4.000 miglia
per trasferirsi dal golfo della Spezia a
Stoccolma, attraversando senza assistenza
il Mediterraneo e risalendo l’Atlantico e il
Mare del Nord!
Il 43 era un sommergibile della nuova
classe «Medusa», versione migliorata, dei
(*) Avvocato alla Spezia, autore di cinque volumi di Storia locale e ligure, articolista su quotidiani e conferenziere (Storia, Etica sportiva). Cofondatore e past Presidente dell’Associazione Amici del Museo Navale della Spezia e Amici della Storia.
94
Rivista Marittima-Giugno 2013
Hanno rubato un sommergibile
Foca, e dopo il varo (5 luglio 1914) e le
necessarie prove in mare era stato affidato
al comandante Belloni, perché i tecnici
russi presenti al Muggiano erano stati obbligati a rientrare in patria, su pressioni
dei Governi nostri alleati, ed erano stati
sostituiti da operai del Cantiere e da nostri
marinai.. In particolare per il sabato 3 ottobre era stata prevista una ulteriore uscita per le prove all’apparato radiotelegrafico «Marconi» (3).
Il comandante Belloni era un ardente
patriota, interventista dal profondo del
cuore: faceva parte di quegli Italiani che
mal sopportavano la nostra alleanza con la
nemica storica, l’Austria, e chiedevano
l’entrata in guerra a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, per «liberare le città
irredente», come allora erano chiamate
Trento e Trieste.
Egli si era già fatto notare perché in
Brasile aveva chiesto, prima della consegna ufficiale dei sommergibili, che almeno
il terzo fosse riportato in Italia e venduto
alla Regia Marina.
Fallita l’iniziativa, egli propose alla sezione milanese della Lega Navale Italiana
una raccolta di denaro per acquistare dalla
Fiat-San Giorgio la Costruzione 43, per
donarla alla RM… La proposta non ebbe
seguito, ma ora era circolata in Cantiere la
voce che il battello sarebbe stato trasferito
a Marsiglia, dove i Francesi lo avrebbero
consegnato alla Marina zarista.
Belloni covava invece un progetto diverso, che mise in atto quando il 3 ottobre
prese il mare con il sommergibile per le
prove dell’apparato RT: sta di fatto che
quella sera fu consegnata al Direttore del
Cantiere, ingegner Boselli, una lettera a lui
indirizzata, che l’ufficiale aveva lasciato in
ufficio, disponendo che venisse consegnata dopo le ore 17,00, orario previsto per il
rientro del 43.
Rivista Marittima-Giugno 2013
Angelo Belloni (fonte dottor Angelo Maria Belloni
da Rivista Marittima, giugno 2012).
Nel testo, di tono esaltato, l’ufficiale
spiegava di dover risolvere il contrasto
fra il suo dovere verso la Ditta e l’amore
per la Patria e la sua Famiglia, scagionando nel contempo l’equipaggio, otto operai
e nove marinai, all’oscuro delle proprie
intenzioni (4)… che non spiegava quali
fossero!
La lettera, e il mancato rientro del battello, del quale l’unica notizia era stata il
regolare passaggio la mattina al traverso
dell’isola del Tino, in rotta per Capo Mele,
misero tutti in allarme, temendo chissà
quale colpo di testa di Belloni. Subito
informato, il Ministero ordinò immediate
95
Hanno rubato un sommergibile
indagini all’Ammiraglio Comandante in
Capo del Dipartimento e l’avvio di un’inchiesta, che provocherà l’apertura di un fascicolo penale al Tribunale di Sarzana,
competente per territorio (all’epoca il Tribunale non aveva ancora sede alla Spezia).
Anche perché il proprietario dell’Azienda, avvocato Giovanni Agnelli, sporse a
sua volta denuncia-querela contro il Belloni, per il grave danno causato alla Fiat-San
Giorgio.
Per il momento, come si vede nella copia, il processo fu incardinato non solo a
carico del Belloni, ma anche del direttore
amministrativo del cantiere, cavalier Giuseppe Boselli, e di quello tecnico, Cesare
Laurenti, successivamente scagionati in
istruttoria, per cui andrà a processo il solo
Angelo Belloni.
Intanto venne diramata, a uso della
stampa e dei Governi esteri, una versione
ufficiale, che parlava di improvviso attacco di follia di quest’ultimo.
Dopo due giorni senza notizie, nei quali si era temuto il peggio, era giunto al
Cantiere uno scarno telegramma dalla
Corsica dell’ingegner Rocchi, il quale comunicava l’arrivo del 43 a Ile Rousse: si
saprà successivamente che l’equipaggio
poté scendere a terra ad acquistare del cibo, mentre il com.te Belloni otteneva il
permesso di proseguire per Ajaccio la mattina del 6 ottobre. Alle ore 10,00 circa di
quel giorno il sommergibile salpò, ma venne fermato dal CT francese Chasseur, che
lo scortò nel porto di Ajaccio, dove Belloni cambiò cento lire per acquistare cibo e
olio per i motori del battello, ottenendo
con facilità dalle compiacenti Autorità
portuali il permesso di proseguire… per
Malta!
Quello stesso pomeriggio il sommergibile ripartì, facendo rotta per sud, ma le
mutate condizioni del mare, diventato im96
provvisamente molto mosso, costrinsero
Belloni a rientrare ad Ajaccio, anche su
pressioni dell’ing. Rocchi, che intanto
egli aveva messo a conoscenza delle sue
intenzioni.
Gli spiegò che voleva ottenere dagli inglesi carburante e due siluri, per poi risalire l’Adriatico, portarsi davanti a Pola e qui
tentare il siluramento di una delle dreadnoughts austriache della base, al fine di
creare un casus belli che avrebbe provocato una rottura delle relazioni Italia-Austria
e la conseguente entrata in guerra del nostro Paese contro gli ex alleati.
Rocchi preciserà al suo rientro (5) che il
comandante, quando il 43 era giunto all’altezza di Capo Mele, aveva dato ordine
di dirigere il sommergibile verso la Corsica, in base a ordini «segreti» impartitigli
dal Governo italiano.
Ad Ajaccio giunsero in contemporanea
istruzioni dal Governo di Parigi, allertato
da quello italiano, mentre Rocchi persuadeva l’equipaggio a ribellarsi contro l’attuazione del progetto, e frattanto il Governo russo premeva su quello francese
per impedire la restituzione all’Italia del
sommergibile.
Roma e Parigi avviarono immediate
trattative, mentre Austria e Germania ricordavano all’Italia i suoi doveri di alleata… e alla fine il Governo francese, che
non aveva interesse in quel momento ad
avere contrasti con l’Italia, possibile futura alleata — come in effetti poi sarà, di lì a
qualche mese — consentì a restituire il 43,
che rientrerà nel Golfo della Spezia a fine
mese, scortato dal rimorchiatore Italia e
con un nuovo equipaggio.
Angelo Belloni rimase invece in Francia, godendosi l’aureola di eroismo e le attenzioni della stampa, mentre in Italia lo
attendevano i Reali Carabinieri; in seguito
egli farà sapere che sarebbe rientrato solRivista Marittima-Giugno 2013
Hanno rubato un sommergibile
Il regio sommergibile ARGONAUTA (fonte Marina Militare Italiana).
tanto con l’assicurazione che avrebbe avuto il trattamento previsto per gli Ufficiali
in servizio: niente carcere, trattamento in
fortezza!
Ebbe molto di più: dopo il 24 maggio
rientrò in servizio attivo.
Al rientro in Italia Belloni fu interrogato a Sarzana dal GI dotor. Pietro Pagani,
cui narrò di avere avuto notizia nell’agosto
precedente dal Direttore del Cantiere che a
causa della guerra il sommergibile, per disposizione del Governo russo, doveva rimanere al Muggiano sino alla fine del conflitto. Raccontò poi dell’iniziativa in Brasile e successivamente presso la Lega Navale, della sua contrarietà per la nostra
neutralità, e della sua conoscenza della situazione in Istria e Dalmazia per avervi
abitato anni prima, per motivi di studio.
Nelle quattordici pagine del verbale, rivelò anche di avere avuto contatti con diplomatici russi per riuscire a consegnare il
Rivista Marittima-Giugno 2013
sommergibile a quel Governo in una località segreta: la precauzione di far issare al
battello la bandiera russa avrebbe, a suo dire, sollevato l’Italia da ogni responsabilità.
E finalmente svelò il progetto finale,
falliti i precedenti: il suo intento, come si è
già scritto, era quello di impadronirsi del
43 per risalire con esso l’Adriatico per tentare di silurare una nave della Imperiale
Marina austro-ungarica. «Non mi nascondevo — queste le sue precise parole verbalizzate dal Magistrato — il pericolo inerente alla impresa di essere affondato col
sommergibile, ma questo rischio comune
ai miei uomini non mi distoglieva dal disegno, che era questo: sia in caso di esito felice che di esito infelice l’atto mio e del
mio equipaggio avrebbe avuto tale eco
nell’opinione pubblica italiana e slava…
per cui il Governo italiano sarebbe stato
tratto naturalmente a prendere parte attiva
nel conflitto europeo…». Spiegò anche
97
Hanno rubato un sommergibile
l’intenzione di raggiungere una base francese o inglese, di ottenere un paio di siluri
e il carburante (6) necessario per il lungo
viaggio sino all’Istria.
Va sottolineato che Belloni durante l’istruttoria seppe convincere i magistrati che
dei vari suoi progetti, nessuno, men che
mai la Direzione del Cantiere, ma neppure
l’equipaggio e i tecnici a bordo del sommergibile, ne era stato messo a conoscenza. In tal modo i due iniziali coimputati,
Boselli e Laurenti, vennero depennati dal
procedimento aperto col n° 1194/15 Reg.
Gen. dall’Ufficio d’Istruzione di Sarzana,
e soltanto Belloni affrontò il dibattimento
nel marzo successivo.
E il 24 marzo (due mesi dopo l’Italia
avrebbe dichiarato guerra all’Austria-Ungheria e alla Germania), come si legge nella sentenza n° 162, il Tribunale di Sarzana
(vedasi immagine pagina accanto), «in nome Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per
grazia di Dio e per volontà della Nazione
Re d’Italia» assolse Belloni Angelo di Cesare e Rossi Aurelia, nato ecc.. ecc.. «imputato per l’infrazione agli articoli 1 e 3
del Regio Decr. 1 agosto 11915 n° 758 in
relazione all’art. 93 e seguenti della Legge
Doganale e alle tariffe allegate, per avere,
nel 3 ottobre 1914 in Muggiano di Arcola
(7), esportato da quel Cantiere Navale il
battello sommergibile n° 43».
La formula assolutoria fu piena: «perché
il fatto addebitatogli non costituisce reato».
Nella motivazione in realtà si spiega
che «il fatto addebitato non costituisce reato, dal momento che manca la correlata
sanzione penale, e non può darsi reato senza una pena che lo colpisca».
La difesa (Avvocato Giovanni Bevilacqua, uno stimato e valoroso professionista
spezzino) aveva invece sostenuto l’incostituzionalità dell’accusa.
Il Tribunale in sette lunghe paginate di
puntigliose dissertazioni, sorvolò molto
opportunamente sulle motivazioni dell’azione del Belloni, che pure aveva ammesso la volontarietà e il fondamento del suo
operato, nonché la conoscenza del divieto
di «esportazione».
L’Italia era ancora neutrale e ancora legata alla Triplice Alleanza, e il Collegio
giudicante disquisì invece sulla circostanza
che anche i sommergibili rientravano nella
categoria dei «bastimenti» (8), ma che per
calcolare il danno da evasione doganale
mancava la tariffa specifica, e non si poteva rilevarlo calcolando ogni singolo pezzo
dei materiali che compongono il battello!
Il 43 con l’entrata in guerra dell’Italia
entrò a far parte della nostra flotta, e assunse il nominativo di Argonauta.
NOTE
(1) Dove avrebbe preso il nominativo di Svyatoi Giorgi, ovvero San Giorgio.
(2) Negli anni Dieci il Muggiano costruì anche un sommergibile per la Danimarca, tre per la Spegna e quattro per il Portogallo.
(3) Collaudo necessario perché la società Marconi aveva sollecitato alla Fiat il pagamento dell’impianto RT.
(4) A bordo vi erano anche l’ingegner Rocchi della San Giorgio e il tecnico Vassallo della Marconi, che nulla sapevano.
(5) Rocchi e Vassallo pochi giorni dopo questi fatti, giunsero col postale Golo da Bastia a Livorno, dove furono interrogati dalla R. Questura e quindi fermati e inviati sotto scorta a Sarzana, al Procuratore del Re.
(6) Aveva tentato di fare il «pieno» di carburante, ma — come ebbe a spiegare — il direttore Boselli gli aveva ordinato di sbarcarlo, trattenendo sul sommergibile soltanto la modesta quantità per la breve prova.
(7) Una località e un Comune oggi facenti parte della Provincia della Spezia (all’epoca questa Città era soltanto una Sotto-prefettura della Provincia di Genova).
(8) Si consideri che i sommergibili tutto sommato erano ancora una «novità».
Rivista Marittima-Giugno 2013
99
RUBRICHE
Lettere al Direttore
Gentili lettori,
la Rivista Marittima, come noto, è una
pubblicazione scientifica che pubblica saggi
su vari temi di carattere marittimo. Tuttavia
ci sono pagine di prosa di autori come Conrad e Melville che toccano i cuori dei marinai e che meriterebbero di essere di tanto in
tanto rievocate. Pensiamo per esempio alla
descrizione magistrale dell’«incaglio» della
nave quale ferita mai più rimarginabile per il
suo Capitano, di Cuore di tenebra di Joseph
Conrad. Fa venire i brividi a chiunque abbia
esperienza di navigazione. Nel pubblicare
sul numero di aprile l’articolo dell’ambasciatore Vecchioni sull’affondamento del
Lusitania durante la prima guerra mondiale
ci siamo soffermati sul fatto che a prescindere dalle circostanze di tempo e di luogo,
sia in pace sia in guerra, un insieme di eventi e circostanze negative possono a un tratto
ricordarci la nostra umana fragilità di fronte
al destino soprattutto quando pensiamo con
superbia di essere immuni e inaffondabili
grazie alla tecnologia.
Il destino avverso può presentarsi sotto
forma di un Iceberg che provocò l’affondamento di una nave sicura come il Titanic, di
un siluro lanciato da un sommergibile causato dalla sottostima di una nuova minaccia
per il caso Lusitania, oppure da uno scoglio
come è avvenuto di recente per il Costa
Concordia a causa di un errore di apprezzamento della distanza in una manovra evitabile. Tutti questi eventi lontani nel tempo
sono accomunati soltanto dal fatto che dei
passeggeri innocenti hanno perso la vita. A
tutti loro quindi dedichiamo i versi della
poesia della poetessa e pittrice romana
Wanda Faraoni nostra abbonata.
Patrizio Rapalino
Rivista Marittima-Giugno 2013
ADDIO NAVE CONCORDIA,
REGINA DEL MARE
IN QUELLA NOTTE TRAGICA
BACIATA DAL CHIARORE DELLA LUNA
TI SEI ADAGIATA
FERITA A MORTE
A RIDOSSO DELLA ROCCIA
DEI GABBIANI.
IL TUO INCAUTO NOCCHIERO
QUELLA SERA
TI AVVICINÒ TROPPO
ALLA SCOGLIERA
DI QUELL’ISOLA,
ORGOGLIO DEL TUO MARE.
A LEI TI INCHINASTI
VELOCE E RIVERENTE.
MA UNO SCOGLIO
TROPPO SPORGENTE
COME UN GIGANTE
PETALO DI GIGLIO
TI GHERMÌ
E TI TRAFISSE IL CUORE!
SIMILE A UN GUERRIERO
SCONFITTO DALLA FURIA
DI NETTUNO
TI ARRENDESTI
AL TUO FATALE DESTINO
E TI AGGRAPPASTI
AL PROVVIDO GRADINO
PER NON SCIVOLARE
NELL’ABISSO
CON IL TUO CARICO UMANO
IGNARO E COINVOLTO
IN DANZE SFRENATE,
BRINDISI E ALLEGRIA
RIEMPIVANO
LE TUE LUSSUOSE SPONDE
100
Lettere al Direttore
Il relitto della CONCORDIA, come siamo abituati a vederlo da oltre un anno, mentre fervono i lavori
di preparazione dello scafo e del fondale circostante.
E TU IMPOTENTE UDIVI …..
TUTTO UDIVI….
E INGHIOTTIVI
LACRIME DI SALE
UDIVI IL TUO FUMAIOLO GIALLO
CHE EMETTEVA
LUGUBRI SUONI DI EMERGENZA
POI FOSTI AVVOLTA
DA UN BUIO INFERNALE.
E TU UDIVI …
UDIVI…
GRIDA TERRORIZZATE
DI BAMBINI
URLA D’AIUTO E RICHIAMI
DI PASSEGGERI DISPERATI.
E TU AGONIZZANTE UDIVI….
E INGHIOTTIVI
101
SEMPRE PIÙ
LACRIME DI SALE
E UDIVI… LO STRIDERE
DELLE LANCE
CHE SCIVOLAVANO IN MARE.
E UDIVI …. TONFI SINISTRI!
E TU SEMPRE PIÙ RECLINAVI
SU DI UN FIANCO.
LE ORE PASSAVANO
CONVULSE E VELOCI
NEL FRASTUONO
DEI MOTORI
DEI SOCCORRITORI.
CON LA GOLA SQUARCIATA
AVRESTI VOLUTO GRIDARE
“PRESTO! PRESTO!
SALVATELI, SALVATELI TUTTI!”
Rivista Marittima-Giugno 2013
Lettere al Direttore
E NELLA NOTTE
SENZA PIÙ LA LUNA
GRAZIE AI SACRIFICI
ED ATTI EROICI
DI TANTA SOLIDARIETÀ UMANA
SI CONTARONO I SUPERSTITI.
PIÙ DI QUATTROMILA
NE FURONO SALVATI,
SOLO POCHI NON RISPOSERO
ALL’APPELLO.
PER TE, AMATA CONCORDIA,
REGINA DEL MARE,
È RIMASTA NEL CUORE
SOLO MISERICORDIA!
IL TUO DESTINO
ERA GIÀ SCRITTO
QUEL MATTINO
Rivista Marittima-Giugno 2013
CHE FOSTI BATTEZZATA.
LA TUA MADRINA
GETTÒ SUL TUO FIANCO
UNA BOTTIGLIA
DI CHAMPAGNE
MA NON SI RUPPE
NON TI BAGNÒ
CON IL SUO NETTARE
AUGURALE
ROTOLÒ
E SI INABBISSÒ NEL MARE!
ADDIO, NAVE CONCORDIA,
REGINA DEL MARE.
ADDIO!
Wanda Faroni
13 gennaio 2013
102
RUBRICHE
Osservatorio Internazionale
(Aprile 2013)
LA «NUOVA» LIBIA ALIMENTA CONFLITTI
IN SIRIA, MALI E ALTROVE
La relazione del Gruppo di esperti del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite incaricato di controllare l’embargo sulle
armi imposto alla Libia all’inizio della rivolta nel 2011, che ha spodestato leader di
Muammar Gheddafi ha rilevato che lo Stato nordafricano è diventato una fonte incontrollata di diffusione di armi nel Nord
Africa, Sahel e Medio Oriente. Gli enormi
arsenali accumulati in anni di acquisti
sconsiderati negli anni del regime del colonnello Ghaddafi, non sono stati posto
sotto controllo dal governo legittimo e sono praticamente nelle mani di milizie di
ogni tipo e colore, da gruppi tribali, gruppi armati islamici e vere e proprie organizzazioni criminali. Il rapporto dell’ONU indica che vi sono prove concrete di almeno
12 casi di trasferimento di armamenti di
ogni tipo (incluse armi pesanti, antiaeree,
munuzioni, esplosivi, mine, pezzi di artiglieria e lanciarazzi) mentre quelli sui quali non si è potuto raccogliere prove concrete — e per quelli le indagini sono ancora in
corso — sono molti di più. Il rapporto,
pronto alla metà di febbraio ma reso noto
solo nella meta di aprile, afferma che «la
proliferazione di armi dalla Libia continua
a un ritmo allarmante». Gli esperti hanno
rilevato che i trasferimenti di armi verso la
Siria, dove — a due anni di guerra civile
ha ucciso più di 70.000 persone — sono
state organizzate da varie località in Libia,
tra Misurata e Bengasi, attraverso la TurRivista Marittima-Giugno 2013
chia o il Libano settentrionale.
«La dimensione significativa di alcune
spedizioni e la logistica coinvolti suggeriscono che i rappresentanti delle autorità
locali libiche potrebbero almeno essere a
conoscenza del trasferimento, se non proprio essere direttamente coinvolti», hanno
detto gli esperti. Il rapporto ha anche riscontrato che negli ultimi due anni il flusso di armi libiche in Egitto è aumentato in
modo significativo. «Mentre il traffico
dalla Libia verso l’Egitto rappresenta una
sfida soprattutto per la sicurezza interna
dell’Egitto, in particolare in relazione ai
gruppi armati nel Sinai, parte del materiale sembra aver attraversato l’Egitto per ulteriori destinazioni, tra cui la Striscia di
Gaza» hanno scritto gli esperti e a riprova
di quanto affermano è sufficiente informarsi sulla stampa locale egiziana che testimonia il pesante aggravamento della sicurezza nel Sinai, che confina con Israele
e che ospita molte località turistiche.
Il rapporto ha rivelato che il traffico di armi dalla Libia attraverso l’Egitto alla striscia di Gaza aveva permesso ai gruppi armati locali l’acquisto di nuove armi tra cui
fucili d’assalto più moderni e sistemi di armi anticarro (è utile ricordare che subito
dopo la caduta del regime di Ghaddafi
l’intelligence israeliana aveva registrato
questo afflusso nella striscia di Gaza). Le
armi dalla Libia sono state registrate anche
nel Sud della Tunisia, in Algeria meridionale, Niger e Mali. «Queste zone servono
anche come basi e punti di transito per i
gruppi armati non statali, compresi i grup104
Osservatorio internazionale
pi terroristici e le reti criminali e il traffico
di droga con collegamenti per la regione
del Sahel», allerta il rapporto, che sottolinea che il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti
avevano violato l’embargo sulle armi alla
Libia già durante la rivolta del 2011, fornendo armi e munizioni ai ribelli che combattono le forze di Gheddafi (gli esperti
hanno riferito che il Qatar aveva negato di
averlo fatto mentre gli Emirati Arabi Uniti
non aveva risposto alla domanda formulata dal gruppo di esperti).
«Circa 18 mesi dopo la fine del conflitto,
una parte di questo materiale rimane sotto il
controllo di soggetti non statali all’interno
di Libia mentre manca un efficace sistema
di sicurezza e di controllo delle frontiere»
conclude il rapporto, gettando una pesante
ombra sulla solidità del governo libico.
Nel mese di marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha attenuato l’embargo per la Libia per permettere al governo di
Tripoli di ottenere materiale non letale, come giubbotti antiproiettile e le auto blindate, ma ha espresso preoccupazione per la
diffusione di armi negli Stati confinanti.
Il Consiglio ha esortato il governo libico a
migliorare il controllo delle armi e materiali concessi, forniti, venduti o ceduti —
con l’approvazione del Comitato per le
Sanzioni delle Nazioni Unite che supervisiona l’embargo sulle armi. Il primo ministro libico Ali Zeidan nel mese di febbraio
ha affermato che il governo aveva il controllo delle frontiere con l’Algeria, il Niger, il Ciad, il Sudan e l’Egitto e che era
necessaria la completa sospensione dell’embargo in quanto non più necessario.
Il governo libico, che da settimane ha avviato stretti contatti con tutti gli Stati della
regione per migliorare la cooperazione
campo della sicurezza, ha duramente criticato il rapporto definito come allarmistico
e che non aiuta la rinascita della Libia, tut105
tavia il 23 aprile una autobomba contro
l’ambasciata francese a Tripoli, che ha ferito due addetti alla sicurezza e causato seri danni alla sede, ha confermato la precarietà della situazione libica. Questo attacco
segue gli altri attacchi contro rappresentanze diplomatiche e consolari britanniche, americane e italiane.
PREOCCUPAZIONI PER FORZA
DI STABILIZZAZIONE IN MALI
Mentre nel corso del mese di aprile la Francia inizia a ritirare le sue truppe dal Mali,
un alto funzionario della Difesa degli Stati
Uniti ha espresso dubbi sulla reale capacità
dei contingenti africani che dovranno rappresentare il cuore della forza di stabilizzazione dell’ONU che dal 1 luglio rimpiazzerà, ampliandola, la AFISMA/MISMA,
attualmente sul terreno (e di cui le medesime forze africane sono già parte).
Parigi, che ha inviato 4.000 soldati in Mali
nel mese di gennaio per bloccare una offensiva delle milizie islamiche del Nord del
Paese africano, come promesso, ha iniziato
una prima e parziale riduzione delle sue forze (anche per fare fronte agli enormi costi
finanziari che l’operazione Serval comporta) e hanno inziato a passare le consegne alle truppe dell’AFISMA/MISMA (6.300,
che includono i circa 4.000 soldati forniti
dai Paesi dell’ECOWAS/CEDEAO e 2.000
provenienti dal Chad e schierati su pressante richiesta francese). Tuttavia, un alto funzionario del Pentagono ha detto in una audizione al Congresso che queste truppe non
erano all’altezza del compito, dichiarando
l’AFISM/MISMA «una forza del tutto incapace. Che deve cambiare». Michael
Sheehan, assistente segretario alla Difesa
per operazioni speciali allo stesso tempo ha
elogiato le truppe francesi, che «molto rapiRivista Marittima-Giugno 2013
Osservatorio internazionale
damente» hanno respinto il ramo nordafricano di Al-Qaeda «indietro attraverso il fiume Niger e ripreso il controllo delle principali città» nel Nord del Mali. Tuttavia, ha
aggiunto che gran parte della leadership di
Al-Qaeda era fuggita. «Essi non sono stati
uccisi o catturati, ma le forze francesi hanno interrotto la costituzione di questo santuario, una situazione molto pericolosa».
Intanto la Francia progetta di lasciare in
Mali una forza di 1.000 unità designate e
disegnate per attaccare e neutralizzare i
nuclei rimanenti di Al-Qaeda. Questa forza dovrà essere l’elemento parallelo chiesto come garanzia dell’ONU per il dispiegamento di una missione di caschi blu che
si occuperanno del presidio delle maggiori città e degli assi viari.
Tuttavia alla metà di aprile il Chad, scosso
dalle perdite subite dal suo contingente (il
numero dei caduti non è noto) e dalla mancata e promessa copertura finanziaria per
la partecipazione alle operazioni in Mali,
ha deciso di ritirare i suoi militari dalla
AFISMA/MISMA (a cui aveva aderito solo nel corso del mese di marzo), ufficialmente perchè avevano completato la loro
missione ma anche per la concomitante
emergenza nella confinante repubblica
centraficana, dove le forze di N’Djamena
dovrebebro rappresentare la parte maggiore del rafforzamento della forza multinazionale colà schierata.
ISRAELE E CIPRO:
MANOVRA MILITARE CONGIUNTA
Israele ha deciso di inviare unità navali
per una esercitazione militare congiunta
con Cipro. Il ministro della Difesa cipriota Fotis Fotiou confermando l’esercitazione, ha detto che vedrà la partecipazione di cinque navi da guerra israeliane e
Rivista Marittima-Giugno 2013
che dovrebbe iniziare il 25 aprile. Fotiou
ha anche osservato che l’esercizio si concentrerà sulla sicurezza della regione del
Mediterraneo Orientale e della difesa di
potenziali bacini di idrocarburi e gas. La
Turchia, che non riconosce Cipro come
un Paese sovrano, era decisamente contraria alle prospezioni condotte da Nicosia. Tuttavia, subito dopo l’annuncio delle manovre congiunte il ministro dell’Energia di Ankara ha detto che la Turchia
ritiene possibile cooperare con Cipro e
Israele in progetti energetici congiunti nel
Mediterraneo «a patto che l’atmosfera
politica lo permetta».
Due anni fa Israele ha iniziato la perforazione esplorativa di gas naturale in un
bacino che si estende fino alle acque territoriali cipriote. Ciò ha scatenato forti
proteste della Turchia, e della repubblica
di Cipro Nord (riconosciuta solo dalla
Turchia).
Le manovre con Cipro fanno parte di un
progressivo avvicinamento che Israele sta
svolgendo da tempo anche con la Grecia,
per compensare il peggioramento delle relazioni con la Turchia, in essere da quando
è andato al potere ad Ankara un governo
islamico.
Inoltre testimonia un ampliamento della
dimensione marittima della politica di sicurezza israeliana sinora essenzialmente
aeroterrestre. La scoperta dei bacini di gas
e petrolio nel Mediterraneo Orientale ha
obbligato Israele a potenziare la propria
componente navale portandola da una
brown water a una green (e in prospettiva
a una blu water) Navy con l’ingresso in
servizio di navi e sottomarini di sempre
maggiori capacità e lasciando le forze costiere, comunque sempre tenute a un altissimo livello qualitativo di risposta, al controllo delle acque territoriali e alla controinfiltrazione di gruppi terroristi.
106
Osservatorio internazionale
LA SPAGNA OSPITA
STRIKE FORCE DI AFRICOM
LA
Il governo spagnolo ha autorizzato il dispegamento di un contingente di 500 Marines
americani e di un gruppo di velivoli a loro
sostegno presso la base aerea di Moron de
la Frontera (Sud-Ovest della Spagna, prossima alla base navale statunitense di Rota).
Si tratta di una compagnia rinforzata di fanteria (distaccata a rotazione dalla II Marine
Expeditionary Force di Camp Lejeune,
Nord Carolina) e 6 «MV-22B Ospreys»
(basati nella Marine Corps Air Station New
River, Nord Carolina). Le unità dipenderanno dall’Africom (QG a Stoccarda).
Questa nuova forza di reazione rapida aggiunge un ulteriore tassello alla capacità
di Africom ed è specificamente destinata
a rispondere a situazioni come quelle originate a Bengasi, dove un gruppo di terroristi attaccò il consolato statunitense.
Washington ha necessità di lanciare operazioni militari in Africa con pochissimo
preavviso. Gli Stati Uniti e la Spagna
hanno un accordo di cooperazione militare che risale al 1953 e che è stato rinnovato e rivisto nel 1988, quando Madrid è
entrata nella NATO e forze americane
operano a Moron dal 1958. Il vice primo
ministro spagnolo Soraya de Santamaria
ha detto, in merito, che lo schieramento
statunitense è «temporaneo» ed è autorizzato solo per un periodo di un anno. Africom ha lavorato molto per migliorare la
sua capacità di spiegamento rapido in tutta l’Africa, ma le difficoltà finanziarie,
operative, logistiche e le sorde divisioni
tra le nazioni del continente rappresentano un serio ostacolo.
Questo dispiegamento rappresenta un ulteriore rafforzamento di Africom, istituto
senza forze permanentemente assegnate
in maniera esclusiva. Tuttavia questa
107
scelta non si è dimostrata pagante e la
progressiva instabilità di alcuni punti del
continente ha obbligato a rivedere le sue
scelte, con la costituzione di unità altamente specializzate come la Combined
Joint Task Force Horn of Africa (CJTFHOA) di Gibuti, la Task Force Aztec Silence, le parziali assegnazioni alla responsabilità di Africom della 173rd Airborne Brigade e di un battaglione di berretti verdi dell’US Army.
A riprova del clima avvelenato che caratterizza il contesto operativo di Africom,
la notizia dell’annunciato spiegamento
dei Marines statunitensi a Moron de la
Frontera è stata riportata dai media marocchini con grande evidenza come un segnale che gli Stati Uniti stanno preparandosi per l’evacuazione rapida dei loro cittadini residenti (migliaia, quasi tutti operanti nel settore dell’industria petrolifera)
in Algeria, sempre sull’orlo, secondo la
stampa di Rabat, di una rivoluzione. Ovviamente i media algerini, in risposta,
hanno rigettato sugli odiati vicini/fratelli
le medesime accuse.
In realtà lo schieramento di Moron è parte
di un più ampio progetto dell’USMC che
sta preparando la costituzione e lo schieramento di una forza simile per operare nei
Caraibi, America Centrale e Meridionale e
che sarà dipendente dal Southcom (QG a
Tampa, Florida).
BAN KI-MOON VISITA IL PENTAGONO
La notizia che il Segretario Generale dell’ONU visiti il Pentagono può passare
inosservata. Infatti Ban Ki-moon era a
Washington per incontrare i dirigenti delle sue agenzie specializzate residenti nella capitale statunitense (Fondo Monetario
e Banca Mondiale) e il segretario di Stato
Rivista Marittima-Giugno 2013
Osservatorio internazionale
John Kerry, ma effettivamente è stato il
primo tra tutti i suoi predecessori a visitare il Pentagono dove è stato accolto con i
massimi onori dal segretario alla Difesa
Chuck Hagel.
Ban e Hagel, accompagnati rispettivamente dal sottosegretario per le Operazioni di
pace Hervè Ladsous e dal Chairman dei
Joint Chiefs of Staff, il generale dell’esercito Martin Dempsey, hanno discusso della Corea del Nord, così come delle previste (o potenziali) missioni dell’ONU in
Mali, Somalia e Siria.
Ban, che ha servito in passato come ministro degli Esteri della Corea del Sud, ha
avvertito che un piccolo incidente potrebbe innescare una situazione «incontrollabile» dopo che la Corea del Nord ha avvertito di una guerra nucleare imminente.
La visita, al di là della sua novità, conferma l’indirizzo e il ruolo che l’amministrazione Obama vuole dare alle Nazioni Unite, in completa divergenza e dissonanza
con quelle delle due George Bush jr.
MASSICCIO AUMENTO DELLE TRUPPE
PANAFRICANE A BANGUI
I Capi di Stato e di governo della Comunità economica degli Stati dell’Africa
centrale (CEEAC/ECCAS) hanno tenuto
un vertice straordinario a N’Djamena (capitale del Chad), al fine di esaminare la
situazione nella Repubblica Centrafricana a seguito del rovesciamento del legittimo governo. Come prima decisione hanno deciso aumentare la dimensione della
forza multinazionale schierata a Bangui,
la MICOPAX (Mission per la consolidation de la paix au RCA/Mission for the
consolidation of peace in Central African
Republic) da 500 a 2.000 uomini per garantire la sicurezza nella capitale e di
Rivista Marittima-Giugno 2013
schierarsi nelle altre principali località
della repubblica centrafricana.
La MICOPAX opera dal 12 luglio 2008,
succedendo a un’altra forza multinazionale, la FOMUC, istituita il 25 ottobre
2002. L’obiettivo generale di MICOPAX
è di contribuire alla pace e alla sicurezza
duratura nella Repubblica Centrafricana
(CAR), creando i presupposti per lo sviluppo sostenibile del Paese. La MICOPAX, finanziata come la FOMUC da fondi dell’UE, ha il mandato di: proteggere i
civili e il territorio, contribuire al processo di riconciliazione nazionale. La missione, originariamente di 400 soldati, all’inizio del 2010, schiera anche una componente civile che comprende un’unità di
polizia di 150 agenti e un piccolo ufficio
politico formato da funzionari e diplomatici, anche se in realtà tutta la MICOPAX
che ha l’appoggio logistico fornito da un
contingente francese colà schierato sulla
base degli accordi bilaterali Parigi-Bangui del 1960, non ha mai brillato per efficacia e non mai raggiunto gli obiettivi di
forza prefissati.
Il comunicato finale del vertice di N’Djamena contiene misure per facilitare il dialogo tra le parti e il riavvio del dialogo
politico, il disarmo delle milizie irregolari e la loro integrazione nelle Forze Armate e di polizia. Il vertice ha invitato la
comunità internazionale, tra cui ONU,
Unione Africana, UE e Organizzazione
Internazionale della Francofonia (OIF) a
fornire sostegno politico e finanziario per
le iniziative prese dalla CEEAC/ECCAS.
Infine ha anche esortato il governo di
transizione della Repubblica Centrafricana a rispettare tutti gli impegni internazionali di Bangui, a cominciare dalla iniziativa di cooperazione regionale per l’eliminazione del LRA (Esercito di Resistenza del Signore).
108
Osservatorio internazionale
JABHAT AL NUSRA GIURA FEDELTÀ
AD AL-QAEDA E LE MILIZIE SCIITE
IRACHENE E LIBANESI COMBATTONO
A FIANCO DI ASSAD
L’annuncio di una fusione tra Jabhat alNusra, una delle forze principali ribelli
siriane, e di Al-Qaeda in Iraq (AQI) è stato discusso dalla dirigenza del movimento anti-Assad, che insiste sul fatto che
hanno sempre promesso fedeltà al gruppo
di appartenenza di al-Qaeda. La formalizzazione di questi legami complica la
guerra civile siriana, con le fazioni laiche
che si stanno preparando a combattere
una guerra parallela contro i gruppi islamici, sempre più forti.
A questo scenario si deve considerare che
la ostinata resistenza di Assad sta portando
alla luce tensioni già esistenti tra i blocchi
islamici, dove le milizie sciite irachene aumentano la loro azione a sostegno delle
forze regolari siriane e intensificano gli attacchi contro i gruppi sunniti sia in Siria
sia in patria, portando l’Iraq sull’orlo della
guerra civile, come dimostrato dai recenti
scontri nel centro del Paese che hanno causato decine di morti. Inoltre nello scacchiere orientale della Siria i ribelli sunniti
aumentano i loro attacchi verso le zone
sciite libanesi, le cui milizie sono accusate
di aiutare le truppe di Damasco e di chiudere agli insorti vie di fuga dagli incessanti bombardamenti aerei e di artiglieria.
Tuttavia i ribelli sunniti siriani non osano
attaccare frontalmente Hezbollah, che ha
mostrato di essere in grado tenere testa alle potentissime forze israeliane. Già negli
scontri di Tripoli, le milizie sunnite libanesi, vicine ai ribelli siriani, hanno attaccato
Hezbollah ma sono state sonoramente
sconfitte. È chiaro che la logica degli insorti è di cercare di allargare il conflitto e
trascinare l’Occidente in un aperto con109
fronto con Assad e, grazie a una campagna
aerea del tipo di quella della NATO contro
Ghaddafi, rovesciarlo.
Michel Suleiman, il presidente libanese,
ha detto che la crescente attività militare
sul confine con la Siria non è più accettabile e che il suo Paese ospita già mezzo
milione di profughi siriani.
CAMPI PROFUGHI PER I CRISTIANI
SIRIANI E CURDI IN TURCHIA
La Turchia sta costruendo due campi profughi lungo il confine Sud-Est con la Siria
destinati a ospitare un numero crescente di
profughi provenienti da gruppi minoritari
siriani, principalmente cristiani, assiri e di
etnia curda.
250.000 Siriani che fuggono dalla guerra
civile nel loro Paese si sono registrati in
Turchia, la maggior parte dei quali è ospitata in 17 campi profughi lungo i 900 km
di frontiera che Ankara divide con Damasco, anche se altre fonti stimano che il numero totale dei rifugiati sia più vicino a
400.000. La maggior parte di essi sono
Arabi di osservanza sunnita e sostengono i
ribelli che combattono il presidente Bashar
al-Assad, che appartiene alla minoranza
alawita della osservanza sciita.
I due campi tendati, da completare in meno di un mese, sono in costruzione in
Midyat, una città nel Sud-Est della provincia di Mardin a circa 50 km dal confine
con la Siria.
Un campo con una capacità di 2.500 persone ospiterà principalmente cristiani assiri
così come rifugiati da altre confessioni cristiane. La Turchia ha la sua piccola minoranza assira, la maggior parte dei quali vive in Mardin e a Istanbul, la città più grande della Turchia. È su loro richiesta che il
campo è in costruzione e il via è stato doRivista Marittima-Giugno 2013
Osservatorio internazionale
po che il primo ministro Tayyip Erdogan
ha incontrato di recente i leader assiri in
Turchia. L’altro campo avrà una capacità
di 3.000 e ospiterà i Curdi siriani. Mardin,
patria di molti Curdi turchi, confina con
una zona della Siria che registra una grande concentrazione di Curdi. Dei 22 milioni
di abitanti della Siria circa tre quarti è sunnita (Arabi e Curdi), e circa il 15% di altri
gruppi musulmani (alawiti, sciiti e drusi).
Circa il 10% sono cristiani, mentre la Siria
è anche sede di una comunità ebraica molto piccola. I Curdi costituiscono circa il
10% della popolazione, ma le informazioni sul loro esatto numero è incerto.
UNA NUOVA PORTAEREI CINESE IN PROGETTO
I timori di alcuni analisti che l’ingresso in
squadra della portaerei cinese Lianoning
fosse l’inzio di una programma di più ampie dimensioni, sono stati confermati dalle
dichiarazioni del vice Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Song Xue
in occasione della cerimonia per celebrare
il 64° anniversario della fondazione della
Marina Popolare (23 aprile 1949) a Pechino. L’ammiraglio Xue ha detto agli addetti militari stranieri presenti alla cerimonia
che «la Cina avrà più di una portaerei» aggiungendo che «la prossima portaerei sarà
più grande». Tuttavia l’Ammiraglio ha
detto che i dati di alcuni media stranieri
sulla costruzione di nuove portaerei della
Cina a Shanghai non erano accurati. Attualmente, la Marina Popolare dispone
della sola portaerei Lianoning (che non è
assegnata a nessuna delle tre flotte ma che
dipende direttamente dallo Stato Maggiore
della Marina) che sta conducendo intensi
cicli di addestramento e di integrazione e
messa a punto dei sistemi, a cominciare
dall’aviazione imbarcata. La Lianoning
Rivista Marittima-Giugno 2013
dovrebbe imbarcare circa 30 «Shenyang J15» («Flying Shark», versione cinese del
russo «Su-33 Flanker-D»), ma come ha
detto Xue, la Marina Popolare sta pensando alla costruzione di una classe di portarei di maggiori dimensioni e capacità, integrate in una flotta di navi d’altura e con capacità di operare a lungo in alto mare. A riprova delle crescenti capacità cinesi, nel
mese di aprile una formazione navale cinese ha visitato il Mediterraneo e acque circonvicine. Per un mese tre navi (due fregate e un’unità da rifornimento) hanno fatto
tappa a Malta, Francia, Turchia, Algeria,
Portogallo e Marocco.
Con questa crociera Pechino manda un segnale chiarissimo: la sua flotta è in grado di
percorrere itinerari impegnativi, lontano
dalla madrepatria, per lunghi periodi e che
la Cina vuole disporre di una flotta capace
di muoversi con disinvoltura in mare aperto.
La componente navale è la più avanzata
della Armata Popolare di Liberazione e
conta 290.000 (di cui 12.000 nelle truppe
da sbarco e 35.000 nell’aviazione navale),
una portaerei, 3 navi da sbarco (a bacino)
26 caccia/conduttori, 49 fregate, 61 sottomarini (di cui 11 nucleari), 122 motomissilistiche, 231 pattugliatori, 107 battelli
antimine, 5 navi da rifornimento d’altura.
Nell’area Asia-Pacifico è in atto una corsa
agli armamenti che in molti paragonano a
quella che contrappose Inghilterra e Germania nei primi anni dello scorso secolo e
che ora coinvolge Cina, Giappone, India e
Stati Uniti.
LA GERMANIA È PRONTA A RESTARE
IN AFGHANISTAN DOPO IL 2014
La Germania è disposta a continuare il suo
impegno militare in Afghanistan, quando
ISAF terminerà la sua missione nel 2014,
110
Osservatorio internazionale
ma solo come parte di una missione internazionale e a determinate condizioni. Il
ministro della Difesa Thomas de Maizière
e il ministro degli Esteri Guido Westerwelle hanno presentato offerta del loro Paese
per una possibile missione internazionale
il 18 aprile a Berlino.
Il governo federale tedesco si prepara, a
partire dal 2015 per i due anni successivi,
a fornire dai 600 agli 800 soldati per funzioni di addestramento. Il Ministro della
Difesa ha presentato un cosiddetto modello hub and spoke per l’Afghanistan, con
l’hub nella capitale, quattro distaccamenti
collocati nei centri maggiori del Paese
centroasiatico nel Nord (Mazar-e-Sharif,
dove già operano i militari tedeschi), Sud,
Est e Ovest. Secondo de Maizière, questo
modello è limitato a circa due anni. Dopo
di che, la formazione, la consulenza e l’assistenza si concentreranno nella regione di
Kabul, e il contingente si potrà ridurre a
200-300 unità. Il contingente tedesco dovrà includere anche capacità logistica, sanitaria, di trasporto, force protection. De
Maizière ha detto che le condizioni necessarie per partecipare a una nuova missione
internazionale dopo il 2015 includono un
invito formale da parte del governo afghano, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, un accordo sullo stato
delle forze (SOFA, Status of Force Agreement) con il governo afghano e una situazione generale di sicurezza che permetta lo
stazionamento delle truppe.
POST 2014 IN AFGHANISTAN,
LA VISIONE BRITANNICA
Fedeli alle loro tradizioni di seria analisi,
le autorità britanniche si stanno preparando con molta attenzione al prossimo ritiro
delle forze militari dallo scenario afgano,
111
ma attraverso una accurata indagine parlamentare, hanno delineato alcuni punti forti di questo ripiegamento. Inoltre il punto
di forza di questa inchiesta parlamentare è
la sua contestualizzazione, regionale e in
quadro più ampio.
La relazione, che rende un forte omaggio
al servizio e sacrifici delle forze di Sua
Maestà Britannica, si concentra sul ritiro
delle truppe da combattimento alla fine del
2014 e il trasferimento della responsabilità
della sicurezza alle forze nazionali afgane.
Ma il rapporto esamina anche i progressi
verso un Afghanistan sicuro e stabile all’interno della regione più ampia, compreso il Pakistan, e i piani da parte del Regno
Unito, NATO e gli altri alleati per una
transizione graduale di responsabilità della sicurezza al governo afghano e l’ANSF.
L’analisi prende atto che l’influenza britannica sull’intero scenario, nonostante un
pesante impegno umano e finanziario, è limitata. Ma assicurare il futuro dell’Afghanistan richiede l’impegno comune di tutto
il popolo afgano dei suoi vicini regionali,
in particolare il Pakistan, degli Stati Uniti,
della NATO e degli altri partners politici,
militari e finanziari della coalizione .
Nel processo di creazione di un Afghanistan pacifico e stabile sono stati identificati alcuni punti forti:
— almeno l’inizio di un accordo di pace a
guida afgana con l’insurrezione (compresi
i Talebani) e supportato dai vicini come il
Pakistan;
— libere elezioni;
— Forze Armate opportunamente addestrate ed equipaggiate con il mantenimento del sostegno finanziario internazionale;
— un sistema giudiziario forte, che protegga i diritti umani, economici, sociali e
culturali di tutti gli Afghani;
— un programma di aiuti allo sviluppo
economico a sostegno del benessere e la
Rivista Marittima-Giugno 2013
Osservatorio internazionale
sicurezza di tutti i settori della società;
— misure efficaci per contrastare la corruzione, la produzione di droga e il traffico
di droga.
Sul trasferimento della responsabilità per
la sicurezza alle Forze Armate locali, considerato un punto di primaria importanza,
che permetta la costituzione di un quadro
di sicurezza nel quale si inseriscano gli altri punti, il rapporto parlamentare ha individuato gravi lacune in alcuni settori critici, come elicotteri, supporto aereo ravvicinato e assistenza medica.
LO UN COMMAND IN COREA
La rinnovata tensione tra le due Coree con
le dissennate minacce di Pyongyang ha riportato l’attenzione sulla penisola asiatica.
È comune conoscenza che accanto alle
truppe sudcoreane vi siano forze statunitensi, che seppur ridotte di numero, rappresentano una temibile capacità militare e
una ancora maggiore deterrenza politica.
Dal 1978 le forze americane e sudcoreane
sono riunite nel CFC (Combined Forces
Command), diretto da un Generale americano, che è anche il Commander-in-Chief
dell’United Nations Command. Questa entità, che non è una forza di pace, ma una
forza combattente, venne istituita all’invasione del Nord nel 1950 con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e la cui direzione venne assegnata agli Stati Uniti e
venne autorizzato a issare il vessillo azzurro delle Nazioni Unite. Si trattava in realtà
di un comando statunitense a cui si aggiunsero contingenti da molte nazioni (il
maggiore fu quello britannico), seguendo
uno schema che è stato replicato in diversi
scenari, come in Somalia e Iraq (1991 e
Rivista Marittima-Giugno 2013
2003). Alla cessazione delle ostilità, nel
1953, progressivamente molti contigenti
sono stati ritirati e sono restati piccoli distaccamenti per i servizi d’onore a Panmunjon (località dove le commissioni militari d’armisitizio si riuniscono) e il rimpatrio dei corpi dei caduti, poi anche essi
quasi tutti rimpatriati. La presenza internazionale all’interno dell’UN Command veniva svolta dagli addetti militari delle ambasciate accreditate a Seoul.
Per anni l’UNC è rimasto una realtà incerta e un po’ grottesca, ma le crescenti tensioni nella penisola coreana lo hanno riportato a nuova vita con molte nazioni che
ne facevano parte e hanno aderito nuovamente o ne fanno parte per la prima volta.
L’essere parte dell’UN Command permette a uno Stato membro, senza necessariamente mettere forze a disposizione, di essere informato sulle attività militari, di intelligence e di produzione scientifica (nucleare e missilistica) della Corea del Nord
da parte degli Stati Uniti.
Nel 1953 oltre agli Stati Uniti, facevano
parte dell’UNC Australia, Belgio, Canada,
Colombia, Corea del Sud, Etiopia, Filippine, Francia, Grecia, Lussemburgo, Nuova
Zelanda, Olanda, Regno Unito, Sud Africa, Tailandia, Turchia. Inoltre Danimarca,
India, Italia, Norvegia e Svezia inviarono
unità mediche. Al tempo, Corea del Sud e
Italia non erano parte dell’ONU, e vi sono
entrate rispettivamente nel 1991 (insieme
alla Corea del Nord) e nel 1955. L’esistenza dell’UN Command è sempre stato uno
dei maggiori obiettivi della diplomazia
nordcoreana che regolarmente cerca di ottenere (senza successo) la sua chiusura o la
sua ridenominazione, abbandonando quella di United Nations Command.
Enrico Magnani
112
RUBRICHE
Marine militari
Cina
Entrato in servizio il secondo caccia
tipo «052C»
Con una cerimonia tenutasi lo scorso 31
gennaio presso il porto di Zhoushan, nella
regione orientale di Zhejiang, è stato immesso in servizio il secondo caccia del tipo «052C». Costruito dai cantieri
Changxingdao-Jiangnan di Shanghai, varato il 28 novembre 2010 e assegnato alla
Flotta del Mare Giallo Orientale, il Changchun (150) rappresenta un importante tassello nel progetto del Governo della Repubblica Popolare cinese di realizzare
un’industria autonoma rispetto ai paesi di
normale approvvigionamento degli armamenti come la Federazione russa, un agglomerato di enti di ricerca e industriali
capace di sviluppare, produrre a mantenere in servizio sistemi indigeni che sfruttano le più recenti tecnologie del settore. Si
tratta nel caso delle unità tipo «052C» dei
più avanzati caccia per la difesa aerea e il
contrasto di superficie in servizio con la
Marina cinese. Le prime due unità il
Lanzhou (170) e l’Haikou (171) sono state
varate nel 2003, e sono entrate in servizio
rispettivamente nel luglio 2004 e dicembre
2005. La produzione di queste unità è ripartita soltanto alla fine dello scorso decennio, dopo oltre 10 anni dal lancio del
programma di realizzazione delle nuove
unità, avvenuto nel settembre 2001. Nonostante la produzione prevedesse la realizzazione di ulteriori sei caccia, soltanto tre
risultano effettivamente ai lavori, di cui il
Zhengzhou (151) e il Jinan (152) hanno
Rivista Marittima-Giugno 2013
raggiunto la fase delle prove a mare, mentre i rimanenti dovrebbero essere realizzati nella versione o classe più recente tipo
«052D». Con un dislocamento a pieno carico stimato di 7.000 t, una lunghezza e
larghezza rispettivamente di 155 e 17 m, e
un’immersione di 6,1 m, la classe di caccia
tipo «052C» presenta lo stesso scafo e sistema propulsivo del tipo «052B» ma con
il primo potenziato e il secondo con sovrastrutture anteriori atte ad accogliere le
quattro antenne piatte del radar a scansione elettronica tipo «348», un ponte di volo
poppiero e un hangar in grado di accogliere un elicottero medio-pesante Kamov
«Ka-27/28», nonché sistemi di lancio verticale multipli a prora per il sistema missilistico antiaereo a lunga portata. Caratterizzato da un’automazione di piattaforma e
sistema propulsivo ancora non spinta, con
un equipaggio di 280 elementi, le unità tipo «052C» dispongono di un apparato propulsivo in configurazione CODOG su due
assi, con due turbine a gas «QC-280» prodotte localmente su licenza a partire dalla
Ucraina
Zorya-Mashprocket
«DA80/DN80» ma più potenti da 28 MW
(anziché 24 MW) e motori diesel Shaanxi
(su licenza MTU) da circa 6.700 hp (5
MW) ciascuno, che consente di raggiungere una velocità massima stimata di 30 nodi. Gestito da un sistema di combattimento non identificato ma che dovrebbe comprendere un elevato grado di componentistica e hardware indigeno, al pari dei sistemi per la scambio d’informazioni mediante data link tattici, l’armamento comprende un cannone tipo «210» da 100 mm, un
complesso di lancio verticale con otto di113
Marine militari
stinti gruppi da sei celle per missili superficie-aria «HQ-9» con una portata stimata
in oltre 200 km, due lanciatori quadrupli
per missili antinave «YJ-85» e «YJ-62»,
due per la difesa aerea ravvicinata tipo
«730» con cannone gatling da 30 mm, a
cui s’aggiungono due lanciatori trinati per
siluri leggeri da 324 mm. L’elettronica, secondo fonti cinesi, comprende il radar a
scansione elettronica attiva tipo «348» per
la sorveglianza e la guida missili con portata stimata in 450 km, di sviluppo e produzione cinese con supporto dell’industria
ucraina, un radar di ricerca aerea a lunga
portata con capacità di scoperta di velivoli
stealth di derivazione inziale ucraina e antenna Yagi, prodotto localmente con la designazione tipo «517M», almeno due di
navigazione, una direzione del tiro
«MR331 Mineral-ME/tipo 344» per l’armamento principale e quello missilistico
antinave, un radar aeronavale tipo «364» e
i sistemi elettro-ottici «OFC-3» e «IR-17»,
che vengono gestiti dal sistema JRSCCS,
tutti di produzione locale, a cui s’aggiunge
una suite elettro-acustica basata su un sonar a scafo e una per la guerra elettronica
con sistemi ESM/ECM e quattro lanciatori tipo «726-4» multipli per decoy infrarosso e radar.
Francia
Ritirata dal servizio la fregata
De Grasse (D 612)
Dopo aver effettuato l’ultima uscita in
mare dalla base navale di Brest con tutti
gli onori il sei maggio scorso, la fregata
antisom De Grasse (D 612) è stata ufficialmente ritirata dal servizio il giorno successivo. Si tratta dell’ultima delle tre unità tipo «67», di cui le precedenti Tourville (D
610) e Duguay-Trouin (D 611) sono state
114
poste in disarmo rispettivamente nel 2011
e 1999. Ultima unità della Marina francese con un impianto propulsivo con quattro
caldaie a vapore alimentate con combustibile fossile, l’unità è stata varata nel 1974
ed entrata in servizio nel 1977. Con un dislocamento di 6.100 t a pc e una lunghezza di 152,7 m, la De Grasse (D 612) disponeva di una suite ASW con sonar a scafo e
profondità variabile, mentre l’armamento
era incentrato su due cannoni da 100/55
mm, un lanciatore a otto celle per missili
«Crotale», sei lanciatori singoli per missili «Exocet» e due cannoncini da 20 mm,
due lanciatori per siluri leggeri e due elicotteri tipo «Lynx». Ammodernata nel periodo 1994-1996, nel corso di un’esercitazione in difficili condizioni meteomarine
nell’aprile 2006 ha perso il pesce del sonar a profondità variabile che è stato rimpiazzato dal sistema in uso sulla DuguayTrouin (D 611), ormai radiata.
Germania
La Germania acquista il «RAM Block 2»
La società Raytheon ha ricevuto dal Ministero della Difesa tedesco un contratto
del valore di 155,6 milioni di dollari per
l’acquisizione del sistema missilistico
RAM «RIM-116 Block 2». Rispetto alle
versioni attualmente in servizio con la Marina americana, tedesca e altri utilizzatori,
la versione «Block 2» si caratterizza per
un autopilota digitale, un sistema indipendente di attuazione dei controlli a quattro
assi, un sistema di guida passivo a radiofrequenza più sensibile e un sistema propulsivo potenziato, che consentono d’incrementare di tre volte la manovrabilità, di
due volte la gittata effettiva del missile e di
potenziare la capacità d’ingaggio di missili antinave, con sistemi di guida radar a
Rivista Marittima-Giugno 2013
Marine militari
Dopo aver
effettuato
l’ultima uscita
in mare dalla base
navale di Brest
il sei maggio us,
la fregata antisom
DE GRASSE
(D 612) è stata
ufficialmente
ritirata dal servizio
il giorno
successivo.
Si tratta dell’ultima
unità della Marina
francese
con sistema
propulsivo basato
su caldaie a vapore.
(g.c. concessione
Carlo Martinelli).
bassa probabilità d’intercettazione. In aggiunta a quest’ultimo, il «Block 2» come i
precedenti modelli, dispongono di un sensore all’infrarosso per l’impiego contro
bersagli aerei e navali. Caratterizzato da
una lunghezza e diametro con alette rispettivamente di 2,79 m e 43,4 cm, e un peso
al lancio di 73,5 kg, il RAM nelle versioni
attualmente in servizio ha una velocità
massima di 2 Mach, e una gittata massima
di 9 km. Sistema «lancia-e-dimentica», il
sistema missilistico RAM «Mk 31» comprende il lanciatore «Mk 49» con 21 celle
per altrettanti munizioni o GMRP (Guided
Missile Round Pack) «Mk 44».
Gran Bretagna
Entra in linea il Defender (D 36)
Il quinto caccia della classe «Daring» è
entrato in linea con la Royal Navy lo scorso 21 marzo, nel corso di una cerimonia tenutasi presso la base navale di Portsmouth,
alla presenza del Ministro per gli equipaggiamenti e il supporto alla Difesa. Varato il
Rivista Marittima-Giugno 2013
21 ottobre 2009 presso i cantieri di Govan
sul Clyde e raggiunti quelli vicini di Scotstoun, il Defender (D 36) è stato sottoposto a un’intensa attività di verifica e qualifica delle capacità della piattaforma e dei
suoi sistemi, prima di essere consegnato
alla Royal Navy. Al pari delle precedenti
unità della classe «Daring», anche il Defender (D 36) porterà a termine un’attività
di approntamento, che lo vedrà presto
coinvolto nel primo dispiegamento operativo. Nel corso della medesima settimana
in cui si è verificata la cerimonia, anche
l’ultima unità della classe, il Duncan (D
37) ha raggiunto la base navale di Portsmouth dal cantiere costruttore in Scozia,
mentre il gemello Dragon (D 35), quarta
unità della classe, è partito alla volta del
Medio Oriente per il primo dispiegamento
operativo della durata di sette mesi.
La Royal Navy
parteciperà alle prove BMD
Un caccia della classe «Daring» «tipo
45» parteciperà alle valutazioni con tiri
115
Marine militari
reali effettuate dalla MDA (Missile Defence Agency), l’Agenzia per la Difesa Antimissile americana. La partecipazione della
Royal Navy con un caccia della classe
«Daring» equipaggiato con il sistema missilistico «Viper», comprendente il radar
multifunzionale BAE Systems «Sampson»
e il missile superficie-aria imbarcato
«Aster 30», è destinata alla valutazione
delle capacità del sistema radar nella scoperta e inseguimento di bersagli replicanti
missili balistici. Ciò a seguito delle attività
di sperimentazione effettuate con il sistema radar Sampson presso il centro della
BAE Systems di Cowes in Gran Bretagna,
avente quale obiettivo di opportunità un
satellite. Sebbene sia il Ministero della Difesa britannico e il team industriale nazionale meglio conosciuto come MDC (Missile Defence Centre) abbiano portato avanti analisi e test di vario tipo, la partecipazione di una piattaforma operativa alle
prove reali della MDA, è vista come
un’importante passo avanti nel contrasto
nazionale di tale minaccia, sebbene il Governo britannico non abbia ancora approvato o abbia destinato fondi alla difesa
contro i missili balistici. Il team industriale nazionale ha comunque portato avanti
studi per l’ammodernamento del sistema
radar affinché il medesimo possa ottenere
una portata di oltre 2.000 km.
Giappone
Il budget 2013 potenzia le capacità
di sorveglianza e deterrenza
La forte espansione delle capacità messe in campo dalle Forze Armate della Repubblica Popolare cinese, e il pericolo
missilistico portato dalla Corea del Nord,
hanno spinto il Governo giapponese a finanziare un budget per la difesa 2013 che
potenziasse la capacità di sorveglianza, intelligence e scoperta lontana, nonché quelle di pronto impiego e dispiegamento nelle aree e quindi isole più esposte del pae-
Il quinto caccia della classe «Daring», rappresentato dal DEFENDER (D 36), è entrato in linea
con la Royal Navy lo scorso 21 marzo, presso la base navale di Portsmouth. Il Ministero della Difesa
britannico ha annunciato che un caccia della classe parteciperà alle prove reali di scoperta
e intercettazione di missili balistici insieme alle unità americane e alleate (BAE Systems).
116
Rivista Marittima-Giugno 2013
Marine militari
se, unitamente non soltanto a quelle di
mantenimento delle appropriate capacità
di risposta, ma anche d’intensificazione
dei rapporti con gli alleati, con i paesi amici e meno della regione del Pacifico. In
particolare per la JSDMF (Japanese SelfDefence Maritime Force), il budget 2013
ha previsto la realizzazione di una nuova
classe di caccia multiruolo da 5.000 t per
contrastare la riduzione del numero di queste unità, che offra una potenziata capacità
ASW contro battelli sempre più silenziosi
e una riduzione del costo della vita operativa grazie principalmente all’adozione di
un sistema propulsivo basato sulla configurazione COGLAG (Combined Gas turbine Electric And Gas turbine), che combina la propulsione elettrica con quella a
turbina a gas. Il budget 2013 prevede la
costruzione di un nuovo caccia capoclasse
da 5.000 t, di un sottomarino con sistema
propulsivo indipendente dall’aria (nono
della classe «Soryu» da 2.900 t), due nuovi velivoli ASW/ASuW «P-1» e 6 fra velivoli ed elicotteri d’addestramento. Il budget prevede inoltre fondi per l’estensione
della vita operativa di due caccia e due sottomarini oltre a misure per interventi minori finalizzati allo stesso obiettivo per altre 12 unità, velivoli ad ala fissa e rotante.
Per incrementare la protezione dei traffici
marittimi, sono previsti fondi per la costruzione di un nuovo cacciamine oceanico da 690 t in materiali compositi, così come l’acquisizione di un velivolo idrovolante «US-2» e una serie di programmi di
sviluppo tecnologici nel settore del contrasto contro unità subacquee e mine, nonché
a incrementare le capacità di comunicazione con programmi anche d’acquisizione di
sistemi ad hoc per incrementare e velocizzare la diffusione delle informazioni a tutti i livelli. A questi s’aggiunge la continuazione del programma di ammodernamento
Rivista Marittima-Giugno 2013
dei caccia classe «Atago» per il contrato
contro i missili balistici, con il sistema milissistico «SM-3 Block IIA», e lo sviluppo
di un nuovo missile antinave da svilupparsi a partire dal sistema «Type 12». A livello d’interforze s’aggiungono i fondi per
potenziare le capacità delle installazioni
sulle isole Nansei, che si estendono fra il
Giappone meridionale e Taiwan, per la ricerca e l’acquisizione di nuovi sistemi
C4ISR e sensori per la scoperta e l’inseguimento di missili balistici, mentre le
Forze di Difesa aerea incrementano le capacità AEW&C e quelle terrestri per le
operazioni anfibie con l’acquisizione iniziale di mezzi ad hoc.
Iran
Nuova base navale vicino al Pakistan
La Marina iraniana sta costruendo una
nuova base navale nel Golfo di Oman, vicino alla città di Pasabandar, nelle vicinanze del confine con il Pakistan. A riferirlo
alle testate giornalistiche locali sarebbe
stato il Comandante in Capo della stessa
Marina, contrammiraglio Habibollah
Sayyari, il quale avrebbe riferito che la
stessa base sarebbe in fase di costruzione.
«La Marina iraniana non dispone nella regione di alcuna presenza militare, ma ora
grazie a tale intervento, potremo difendere
gli interessi della nazione grazie a un maggior controllo dei traffici marittimi che si
sviluppano in quest’area», avrebbe dichiarato lo stesso Comandante. Il nuovo approdo entrerebbe a far parte della terza regione navale con sede in Konarak, e sarebbe diretto allo sviluppo costiero della regione che si tra Bandar Abbas fino a Pasabandar, anche conosciuta come Makran.
L’annuncio dato lo scorso febbraio segue
di pochi mesi l’inaugurazione lo scorso
117
Marine militari
novembre del quinto approdo militare nell’area portuale di Bandar Lengeh, che vede lo stazionamento del maggior numero
di unità navali della Marina iraniana. Konarak è la capitale della regione meridionale che si affaccia sul Golfo di Oman, e
sede anch’essa di una base navale con annesso aeroporto militare, che negli ultimi
anni ha acquistato importanza per la proiezione di potenza dell’Iran sull’Oceano Indiano. Da questa base operano le unità navali, compresi i sommergibili classe «Ghadir», che prendono parte alle esercitazioni
interforze chiamate Velayat.
Italia
MEDAL 2013: Cigala Fulgosi (P 490)
in Oceano Indiano
Dopo oltre tre mesi di missione, alla fine di marzo ha fatto ritorno alla base nava-
le di Augusta il pattugliatore Comandante
Cigala Fulgosi (P 490). Nell’ambito della
MEDAL 2013, l’unità era partita l’8 gennaio scorso dall’Italia con lo scopo di effettuare sia attività di cooperazione che
operativa, che spaziano dalla presenza e
sorveglianza in aree a elevato interesse nazionale, alla cooperazione con i paesi rivieraschi del Mediterraneo allargato, per
arrivare al Maritime Capacity Building.
Nave Cigala Fulgosi e il suo equipaggio di
circa 85 elementi ha preso parte ad attività
antipirateria nel Golfo di Aden, effettuando attività di presenza e sorveglianza con
il continuo scambio di informazioni con i
gruppi navali alleati impegnati nelle operazioni Atalanta e Ocean Shield nonché
con le unità della Combined Maritime Forces. Successivamente ha partecipato all’esercitazione Leading Edge 13 nelle acque
antistanti gli Emirati Arabi Uniti, avente
scopo di cooperazione internazionale nel-
Dopo oltre tre mesi d’attività di cooperazione, addestrativa e operativa nell’ambito della missione
Medal 2013 nell’Oceano Indiano, in cui ha partecipato alla mostra della difesa e sicurezza IDEX
e all’esercitazione multinazionale Aman 2013, ha fatto ritorno alla base navale di Augusta
il pattugliatore Comandante CIGALA FULGOSI (P 490), qui ripreso a IDEX (Luca Peruzzi).
118
Rivista Marittima-Giugno 2013
Marine militari
Presso il cantiere DCNS di Lorient in Bretagna, lo scorso 17 aprile sono iniziate le prove a mare
della fregata tipo FREMM destinata alla Reale Marina del Marocco. Quest’ultima è previsto
venga consegnata entro la fine del 2013 (DCNS).
l’ambito del programma PSI (Proliferation
Security Initiative) per il contrasto delle
armi di distruzione di massa, e ha partecipato alla mostra della difesa e della sicurezza IDEX (International Defence Exhibition and Conference) ad Abu Dhabi,
svolgendo attività di promozione a favore
della cantieristica e dell’industria della Difesa nazionale, in aggiunta a quella di ambasciatore della tradizione navale e marinesca italiana. Ai comandi del CF Massimiliano Lauretti, l’equipaggio di nave Cigala Fulgosi, ha ospitato a bordo autorità
nazionali e internazionali, comprese quelle degli Emirati Arabi Uniti, fra cui il principe ereditario Mohamed of Zayed Al
Nahiyan, Vice Comandante Supremo delle
Forze Armate UAE. Successivamente alla
sosta di quattro giorni presso il porto di
Mascate in Oman, nel corso della quale è
stata effettuata attività di cooperazione con
personale della Reale Marina Omanita,
presentando e confrontandosi sulle principali missioni legate alla sicurezza, sorveglianza, interdizione e ispezione del traffico mercantile, nave Cigala Fulgosi ha preRivista Marittima-Giugno 2013
so parte all’esercitazione multinazionale
AMAN 13. Dal 3 al 10 marzo, l’equipaggio italiano è stata coinvolto con personale e unità di altre 13 nazioni in attività in
porto a Karachi e nelle acque antistanti le
coste pakistane, con una serie di eventi addestrativi atti a promuovere la cooperazione nel contesto della maritime security e
del contrasto al terrorismo. Completata
questa esercitazione, che ha registrato anche attività addestrativa bilaterale con la
Marina pakistana, compresa un’esercitazione in mare congiuntamente alla fregata
Babur (182), il pattugliatore italiano ha
fatto rotta verso l’Italia, dove è giunto dopo aver percorso oltre 10.000 mn. L’unità
è equipaggiata con il nuovo sistema di sorveglianza elettro-ottico Selex ES Janus-N.
Marocco
Iniziano le prove a mare dell’unità tipo
FREMM
Presso il cantiere DCNS di Lorient in
Bretagna, lo scorso 17 aprile sono iniziate
119
Marine militari
le prove a mare della fregata tipo FREMM
destinata alla Reale Marina del Marocco.
La prima parte di queste ultime è stata dedicata principalmente alla verificata e familiarizzazione con i sistemi di bordo, le
manovre in mare e in acque ristrette. Nella seconda fase verrà testato il sistema propulsivo, così come il complesso dei sistemi per la navigazione e la conduzione dell’unità. In questo periodo oltre 150 persone, fra cui 60 elementi della Marina francese si avvicenderanno a bordo senza toccare terra grazie a un tender che fa la spola fra la nave e la terraferma. Completate
queste prove, è previsto un periodo all’attracco, seguito dalle prove in mare del sistema di combattimento. Nel frattempo il
personale marocchino verrà impegnato sui
sistemi di simulazione presso il cantiere di
Lorient. L’unità, secondo quanto previsto
contrattualmente, e dichiarato da DCNS,
verrà consegnata entro la fine del 2013 e
verrà battezzata Mohammed VI.
suddiviso in due distinte aree di valutazione tecnico-operativa che vedono da una
parte (LRASM-A) l’impiego del sistema
JASSM-ER (Joint Air To Surface Standoff
Missile Extended Range) quale piattaforma missilistica di prove con nuovi sensori,
in rappresentanza di un sistema d’arma
subsonico e con caratteristiche stealth,
mentre l’LRASM-B è destinato alla sperimentazione e verifica di tecnologie legate
a sistemi d’arma per l’impiego ad alte quote e velocità supersoniche. Grazie al contratto aggiuntivo assegnato alla Lockheed
Martin quale capocommessa, verrà effettuato un ulteriore volo del JASSM-ER da
un bombardiere «B-1B» nel corso del
2013, in aggiunta ad altrettanti da piattaforma aerea precedentemente programmati. A questi si aggiungeranno altrettanti
lanci da postazioni a terra, al fine di ampliare la gamma di piattaforme lanciatrici,
e verificare l’adozione di tecnologie atte
alla modifica del sistema missilistico con
booster per l’impiego da canister ad hoc.
Stati Uniti
Primo «SM-6» per la US Navy
Il programma LRASM ampia la fase
valutativa
La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’Agenzia della Difesa per i progetti di ricerca avanzata ha assegnato alla Lochkeed Martin un contratto
aggiuntivo del valore di 73 milioni di dollari per estendere l’attività valutativa in
volo e di riduzione dei rischi connessi al
programma LRASM (Longe Range AntiShip Missile). Destinato alla valutazione
di nuove tecnologie atte a ridurre la dipendenza da fonti d’intelligence e di designazione dei bersagli, con sviluppo di algoritmi dedicati e innovative tecniche di sopravvivenza e precisione d’ingaggio contro nuove contromisure, il programma è
120
La US Navy ha ricevuto da Raytheon lo
scorso inizio marzo il primo esemplare del
sistema missilistico «RIM-174A Standard» ERAM (Extended Range Active
Missile) meglio conosciuto con la designazione «SM-6». Il conseguimento di tale
importante tappa del programma, dovrebbe consentire di raggiungere una capacità
operativa iniziale (IOC, Initial Operating
Capability) con il nuovo sistema d’arma
entro il 2013. Questa nuova versione della
famiglia Standard abbina la cellula e il sistema propulsivo del modello «RIM-156A
SM-2ER Block IV» con il sistema di guida ed elaborazione dei segnali del missile
aria-aria Raytheon «AIM-120C AMRAAM», che offre modalità di guida attiRivista Marittima-Giugno 2013
Marine militari
La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) americana, ha assegnato alla Lochkeed
Martin un contratto aggiuntivo per estendere l’attività valutativa in volo e di riduzione dei rischi connessi
al programma LRASM (Longe Range Anti-Ship Missile). Nell’immagine al computer viene riprodotto
il sistema JASSM-ER, che opportunamente modificato ed equipaggiato verrà impiegato nelle prove
(Lockheed Martin/US Navy).
va e semi-attiva oltre ad avanzate tecniche
d’attivazione della spoletta. Caratterizzato
da una lunghezza e diametro con alette rispettivamente di 6,55 e 1,57 m e un peso al
lancio di 1.500 kg, l’«SM-6» è in grado di
raggiungere una velocità massima di 3,5
Mach, un’altitudine di 33.000 m e una gittata massima di 240 km.
Assegnato alla Lockheed Martin
il supporto dell’«Aegis»
La responsabilità in ordine all’attività
di aggiornamento e il servizio di supporto
del sistema di combattimento «Aegis»,
meglio conosciuta con l’acronimo CSEA
(Combat System Engineering Agent) è
stato assegnato alla Lockheed Martin doRivista Marittima-Giugno 2013
po una serrata competizione che ha visto
la partecipazione delle concorrenti
Boeing e Raytheon. Grazie a tale competizione, secondo quanto affermato dalla
US Navy, quest’ultima beneficerà di aggiornamenti e supporto del sistema a costi
inferiori. Il contratto del valore di 100 milioni di dollari avrà una durata fino al
maggio 2018, quando verrà indetta una
nuova gara. Con una separata competizione, Lockheed Martin, Raytheon e Northrop Grumman si contendono lo sviluppo
del nuovo radar per la difesa aerea AMDR
(Air Missile Defense Radar) destinato a
rimpiazzare il sistema Lockheed «SPY1», imbarcato su tutte le unità equipaggiate con il complesso Aegis.
Luca Peruzzi
121
La rivista per gli studiosi e per i veri
appassionati di storia militare tutti i mesi
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uomini e ai mezzi (navali, terrestri e aerei) che hanno fatto la
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infatti una delle caratteristiche salienti di questo mensile che si
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settori storico-militari.
RUBRICHE
Nautica da diporto
30° TROFEO ACCADEMIA NAVALE
E CITTÀ DI LIVORNO
Nel 1981, in occasione delle celebrazioni dei primi cento anni dell’Accademia
Navale, fu organizzata dall’Istituto di formazione degli ufficiali della Marina Militare, insieme al Circolo Vela Antignano, al
Circolo Nautico Livorno e allo Yacht Club
Livorno, una manifestazione velica di
grande respiro che prese il nome di «Regata del Centenario». La kermesse della vela, nata come manifestazione unica è, invece, diventata quella che un’autorevole
rivista del settore velico nel 2002 definì
come «l’evento per eccellenza della primavera in Mediterraneo». Infatti, la manifestazione fu ripresa nel 1983 e, annualmente, si è rinnovata, migliorando e imponendosi tanto che è diventato il primo,
grande e atteso evento internazionale della
stagione velica in Mediterraneo. Di successo in successo quest’anno ha festeggiato la 30a edizione.
In questi anni la manifestazione è cresciuta in termini di qualità, quantità e attività collaterali secondo i cinque concetti
chiave che lo caratterizzano:
— grande valenza sportiva e agonistica
delle classi partecipanti;
— momento d’incontro e travaso di esperienza dai più anziani alle giovani leve;
— internazionalità dei partecipanti;
— attenzione per i meno fortunati con regate su campi dedicati e imbarcazioni
specifiche;
— continuità della manifestazione fra regate ed eventi sociali, culturali e di svago.
Nei due giorni durante i quali si svolse
la «Regata del Centenario» (24 e 25 luglio
Rivista Marittima-Giugno 2013
1981) furono solo 30 le imbarcazioni a
scendere in acqua, appartenenti a tre classi: «IOR», «470» e «420». Poi il numero
delle classi e delle imbarcazioni è andato
sempre ad aumentare fino a che non si è
dovuta fare una scelta perché i partecipanti per classe aumentavano. Si è arrivati a
Manifesto della «Regata del Centenario»,
con francobollo e annullo filatelico realizzati
per i 100 anni dell'Accademia Navale di Livorno
(© Accademia Navale).
123
Nautica da diporto
Anche quest’anno c’è stata una nutrita partecipazione delle Marine estere straniere (© Accademia Navale).
21 classi e 568 imbarcazioni nel 2000, e
nel 2002 nonostante la riduzione delle
classi a 19 le imbarcazioni al via furono
730. Quest’anno le barche erano 500 suddivise in 16 classi.
Il numero elevato di classi e d’imbarcazioni ha portato a stabilire dei campi di regata oltre il «balcone a mare» dell’Accademia Navale, perché quelli sulle acque
antistanti l’Istituto di formazione non furono più sufficienti allo svolgimento delle
regate (a meno di dilatare nel tempo l’intera manifestazione) e, in pratica, si gareggia
da Tirrenia a Quercianella. (quando furono
stabiliti 12 campi di regata si arrivò quasi
a Marina di Massa.).
Naturalmente, con l’incremento del numero delle imbarcazioni, è aumentato anche il numero dei regatanti che ha avuto un
massimo nel 2001 con 2.750 partecipanti.
Il numero delle classi, delle imbarcazioni, dei partecipanti ha portato ben presto a
un aumento degli impegni organizzativi e
124
di uomini e mezzi; quest’anno, con più di
2.000 regatanti e 500 barche in 16 classi
sono stati impiegati 50 giudici federali e
decine di mezzi navali (1).
Nel corso degli anni vi è stata la partecipazione di svariate classi veliche che si
sono alternate; oltre a quelle che hanno regatato durante il trentennale, sono da ricordare le classi «12m SI», «2,4 m SI»,
«29er», «470», «CHS», «Dart», «Dolphin
81», «Equipe», «Este 24», «Europa»,
«Formula 18», «Hobie Cat 16’», «Hobie
Cat 18’», «IMS» (open e mini), «IOR»
(crociera, smr e regata), «J 22», «Laser»,
«Laser Radial», «Laser 4.7», «Laser
5000», «Minialtura MUMM 30»,
«MUMM 36», «Optimist», «Platu 25»,
«Smeralda 888», «Snipe», «Star», «UFO
22», «UFO One design», «Vaurien», e altri tipi d’imbarcazioni come quelle dell’Associazione Vele Latine.
L’aspetto internazionale del Trofeo Accademia Navale e città di Livorno (TAN) è
Rivista Marittima-Giugno 2013
Nautica da diporto
evidenziato anche dalla nutrita partecipazione delle marine estere straniere, cresciuta parallelamente all’importanza della
manifestazione; quest’anno hanno sventolato 27 bandiere nazionali, oltre a quella
italiana, appartenenti a Bahrain, Belgio,
Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Colombia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Germania, Giordania, India, Libia, Marocco,
Messico, Montecarlo, Montenegro, Norvegia, Perù, Portogallo, Serbia, Slovenia,
Sri Lanka, Turchia, Tunisia e Ungheria.
Nel corso degli anni, oltre alle nazioni
su menzionate, hanno partecipato al TAN
anche: Albania, Croazia, Danimarca, Eritrea, Francia, Finlandia, Giappone, Gran
Bretagna, Grecia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Russia, Serbia-Montenegro (ancora stato unico), Spagna, Svezia,
Svizzera e Ucraina.
Il TAN si rivolge anche a giovani, a giovanissimi e a chi nella vita ha avuto meno
fortuna. Nel primo caso la classe «Optimist», dedicata a giovani e giovanissimi, è
presente fin dalle prime edizioni e questa
partecipazione è particolarmente utile allo
sport velico nazionale, e non solo: sulle
acque livornesi si sono cimentati tanti giovani e speranze della vela italiana e futuri
campioni (2).
Nel 1997, durante la XIV edizione, si è
svolta la prima crociera addestrativa della
International Sail Training Association –
Italia (STA-I) (3) su varie imbarcazioni a
vela messe a disposizione della Marina
Militare, dall’Istituto Nautico di Livorno e
da Soci dello Yacht Club Italiano.
Da venti anni il giornale «Il Tirreno»,
insieme all’Accademia Navale, indice il
concorso di fotografia, disegno, pittura,
grafica computerizzata e vetro, «Il mare e
le Vele», riservato agli studenti delle quinte Elementari e delle Scuole Medie Inferiori e Superiori della zona di diffusione
Rivista Marittima-Giugno 2013
Il manifesto del decennale (© Accademia Navale).
del giornale. I vincitori, accompagnati dai
rispettivi insegnanti, vengono premiati anche con un’uscita in mare a bordo di unità
a vela della Marina Militare, e in Accademia Navale è allestita una piccola mostra
dei lavori premiati.
Alle persone diversamente abili sono
dedicate delle regate specifiche, come
quelle che si svolgono con le imbarcazioni
«2.4 mR», non rovesciabili e inaffondabili, ideate dal finlandese Peter Norlin. Sono
state svolte delle regate, del tipo match race, per imbarcazioni appositamente costruite per il progetto Homerus, e i cui
equipaggi sono costituiti da videolesi. Le
125
Nautica da diporto
regate erano disputate all’interno del Porto
Mediceo in un campo di regata delimitato
da boe acustiche.
Bisogna ricordare, inoltre, il Trofeo
«Oltre la Vela» dedicato normalmente ai
regatanti meno fortunati.
Trofei specifici sono stati assegnati a regate che vedono protagoniste imbarcazioni di enti militari nazionali e internazionali, come quelli dedicati alle Accademie navali d’Europa, o del Mediterraneo e del
Mar Nero,
alle Forze
armate italiane e agli
Istituti di
formazione
della Marina Militare.
Ma
il
Trofeo Accademia
Navale
e
Città di Livorno non è
solo regate:
è anche una
grande manifestazione
che coinvolge istituzioni civili, enti morali,
sponsor e
pubblico con un complesso di eventi grandi
e piccoli dedicati alla vela, oltre a momenti
d’intrattenimento a carattere sociale, culturale, espositivo e turistico, che si svolgono
contemporaneamente e dopo le regate.
La quasi totalità degli avvenimenti a «terra» si svolgono presso TUTTOVELA — Il
Villaggio della Vela, definito giustamente
dagli organizzatori del Trofeo «il supporto
logistico e l’immagine del TAN in banchi126
na», che con i suoi spazi espositivi sempre
più grandi, allestiti sulle banchine del porto
labronico, offre un forte richiamo, non solo
per gli appassionati della vela. Il Villaggio è
aperto giornalmente fino a tardi per l’accesso gratuito del pubblico sia per visitare gli
stand espositivi sia per assistere gratuitamente a tutti gli eventi (spettacoli, incontri,
convegni, presentazioni) che vi si svolgono,
fra i quali l’incontro giornaliero tra i velisti
presenti, i vincitori delle prove disputate e la
stampa, che
si svolge in
un apposito
spazio attrezzato del
Vi l l a g g i o
alla presenza dei maggiori giornalisti sportivi del settore.
Il Villaggio della
Vela ha visto crescere
il numero
dei visitatori da poche
decine di
migliaia dei
primi anni
alle circa
200.000 unità dell’edizione del 2007.
Uno degli eventi per eccellenza che si
svolge a latere delle regate è il Premio Italia per la Vela che è assegnato annualmente
ad atleti e personaggi italiani che vivono e
operano nel mondo della vela distinguendosi. Il Premio, che è stato ideato da Tuttovela srl, ed è organizzato anche con il patrocinio dell’Accademia Navale, e con la collaborazione dell’Associazione Italiana Vele
Rivista Marittima-Giugno 2013
Nautica da diporto
d’Epoca (AIVE), è stato istituito nel 2001
con il nome di «Oscar della Vela» e solo nel
2005 ha assunto l’attuale denominazione.
Per la categoria Restauro di Barca d’Epoca è l’Associazione Italiana Vele d’Epoca
(AIVE) a designare i candidati, mentre per
gli altri premi i candidati (tre per categoria)
vengono scelti da un’apposita Giuria, entro
la fine di gennaio dell’anno in cui si svolge
il TAN, sentite tutte le testate giornalistiche
di settore e analizzando i risultati della stagione velica appena conclusa, nonché i progetti velici portati a termine nel periodo 1
gennaio - 30 novembre di ogni anno.
30° Trofeo Accademia Navale
e Città di Livorno
Secondo le comunicazioni ufficiali la
trentesima edizione del TAN, che si è svolta dal 20 aprile al 1 maggio, ha visto la
partecipazione di oltre 2.000 regatanti, su
500 barche suddivise in 16 classi di regata, fra cui 27 equipaggi stranieri provenienti da 4 continenti, mentre il villaggio
Tuttovela, inaugurato sabato 20, è stato visitato da oltre 180.000 persone.
Il primo alza bandiera del Trofeo Accademia Navale e città di Livorno è avvenuto domenica 21 al brigantino dell’Istituto
al cospetto del pubblico, che ha potuto anche ammirare nel piazzale 50 Ferrari, simulatori virtuali di Formula Uno, mentre i
meccanici della Scuderia di Maranello si
esibivano in spettacolari pit-stop.
La manifestazione è stata organizzata e
gestita da un Comitato formato da rappresentanti dell’Accademia Navale, del Comune e della Provincia di Livorno, della
Direzione Marittima di Livorno, dell’Autorità Portuale di Livorno, dell’Azienda di
Promozione Turistica, dello Yacht Club di
Livorno, del Circolo Nautico di Livorno,
del Circolo Velico di Antignano, del Circo-
Fa gli eventi importanti di questa edizione del TAN c'è stato il gemellaggio tra l’Accademia Navale
e lo Yacht Club de Monaco (© Accademia Navale).
Rivista Marittima-Giugno 2013
127
Nautica da diporto
Qualche acrobazia non voluta durante le regate dei TRIDENT (© Accademia Navale).
lo Nautico di Quercianella, della sezione
livornese della Lega Navale Italiana, e del
Gruppo Vela Assonautica Livorno. Al successo dell’evento hanno contribuito anche
numerosi e prestigiosi sponsor, tra cui
Paul & Shark, main sponsor da un ventennio, e il livornese D’Alesio Group.
Dell’internazionalità del TAN abbiamo
già parlato, e quest’anno si sono avuti due
eventi importanti oltre le regate. Un evento è stato il gemellaggio tra l’Accademia
Navale e lo Yacht Club de Monaco
(YCM), sancito dallo scambio di guidoni
avvenuto durante il TAN, tra l’Ammiraglio di Divisione Cavo Dragone, comandante l’Accademia Navale, e il rappresentante dello YCM, Dott. Roberto Lauro.
L’altro evento ha visto sfilare il personale
delle marine estere e della MMI con le
proprie bandiere dal porto Mediceo sino al
Palazzo Comunale.
Gli equipaggi militari si sono sfidati a
bordo dei Trident, nella competizione
128
Theatre Style Racing, e ad aggiudicarsi il
trofeo della classe è stato l’equipaggio del
Bahrain, davanti agli equipaggi degli Emirati Arabi e del Canada.
Gli altri trofei di classe sono elencati
nelle due Tabelle a fine articolo.
Da menzionare le due atlete Ilaria Paternoster e Benedetta Di Salle, vittoriose nella classe «420», la più affollata con 112
barche in acqua e valido per la selezione
mondiale ed europea, che si sono aggiudicate anche i Trofei come prime classificate Under 19 e come primo equipaggio
femminile, e la Coppa Tuttosport.
Quest’anno ricorre il centenario del
Dinghy, e in questa classe si sono dati battaglia anche vecchie glorie della vela, e il
trofeo se l’è aggiudicato Giorgio Gorla,
due bronzi olimpici nella classe «Star».
Dopo le regate delle classi iscritte al
TAN, fra le quali hanno debuttato le classi
dello skiff «29er» e del singolo Sunfish, la
kermesse in acqua è terminata, il primo
Rivista Marittima-Giugno 2013
Nautica da diporto
maggio, con la «Veleggiata Costiera», regata organizzata dal TAN in collaborazione con il Circolo Nautico di Livorno e in
concomitanza con MareLibera, l’evento
solidale dell’Unione Vela Solidale. Alla
veleggiata hanno partecipato 64 cabinati a
vela di lunghezza superiore ai 6 metri, sul
percorso dalla diga della Vegliaia alla Torre di Calafuria, con un passaggio ravvicinato di fronte al lungomare della città.
Oltre ai premi del TAN, sono stati consegnati anche premi speciali:
— Coppa Paul & Shark per il primo classificato Over All del Raggruppamento A
della Classe «IRC» è andata all’imbarcazione GLS Stella;
— Trofeo International Propeller Club all’imbarcazione Breezy;
— Trofeo in memoria del Sottotenente Enzo Fregosi, caduto a Nassiriya, all’imbarcazione Rebissu;
— Trofeo Paul & Shark all’imbarcazione
Low Noise.
Quest’anno il Premio Italia per la Vela,
che ha avuto anche il patrocinio della Federazione Italiana Vela e della Lega Navale Italiana, è stato così deliberato:
— Miglior Restauro di Barca d’Epoca:
Cantiere navale dell’Argentario, per il restauro di Optimista il leggendario yawl
bermudiano del 1959;
— Miglior Progetto per la Vela: architetto
Sergio Lupoli per il Progetto Vikos 22;
— Miglior Velaio: società Quantun Sails
di Vittorio D’Albertas, Francesco Rebaudi
e Filippo Jannello;
— Miglior Regatante donna: Ilaria Paternoster e Benedetta Di Salle, che hanno
vinto il campionato mondiale giovani nella classe «420»;
— Miglior Regatante uomo: Ignazio Bonanno, skipper di La Superba, campione
Europeo e Italiano «J24» (4).
Il Premio «Oltre la Vela» è stato assegnato a Don Antonio Mazzi per aver scelto la vela quale veicolo didattico per l’attività svolta dalle sue Comunità e, in particolare, da quella dell’Isola d’Elba. Il pre-
La manifestazione si è conclusa con la «Veleggiata Costiera», regata organizzata dal TAN
in collaborazione con il Circolo Nautico di Livorno e in concomitanza con MareLibera, l’evento
dell’Unione Vela Solidale (© Accademia Navale).
Rivista Marittima-Giugno 2013
129
Nautica da diporto
mio è stato consegnato dall’ammiraglio
Cavo Dragone al direttore Exodus dell’Isola d’Elba, Stanislao Pecchioli.
Da una collaborazione fra Marina Militare e alcuni campioni toscani di Kitesurf
si è svolta il 25 aprile, poco prima delle regate della classe «420», una dimostrazione
di questo sport spettacolare sulle acque antistanti Antignano.
Vela vera e vela virtuale: una delle novità di questa edizione è stata «Vela Virtuale», manifestazione a cura dell’Associazione Italiana Vela Virtuale, riconosciuta dalla FIV, che ha visto dimostrazioni di
simulazione di regate di match race e flotta aperte a chiunque, analisi dei casi esaminati da giudici di vela virtuale e il campionato Nazionale di Vela Virtuale con un
Trofeo Accademia Navale dedicato.
Fra le varie attività svolte a margine delle regate, si è anche svolto un convegno
per una maggiore sensibilizzazione dei
giovani alla salvaguardia del mare e del
suo ambiente da ogni forma d’inquinamento. All’evento, patrocinato dal TAN e
tenutosi presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, hanno preso parte gli studenti delle scuole medie
della città labronica.
TUTTOVELA-Villaggio della Vela,
quest’anno si è spostato nel nuovo e prestigioso complesso della Porta a Mare, presso l’Approdo 75 del porto livornese, dove
erano a disposizione di velisti, visitatori ed
espositori sistemazioni molto più razionali
e accoglienti, rispetto al passato.
Il Villaggio della Vela quest’anno si è spostato nel nuovo e prestigioso complesso della Porta a Mare,
presso l’Approdo 75 del porto livornese (© Accademia Navale).
130
Rivista Marittima-Giugno 2013
Nautica da diporto
Una delle regate del TAN 2012 (© Accademia Navale).
Numerosissime le attività svolte e patrocinate da Tuttovela e TAN, che sarebbe
lungo elencarle, ma che hanno soddisfatto
le migliaia di visitatori giunti da ogni parte
d’Italia e non solo. Ricordiamo, fra tutte:
— la XX edizione della Mostra Nazionale
di Navimodellismo organizzata dal Circolo Sottufficiali Marina Militare di Livorno;
— la Giornata mondiale della terra (5),
con seminari a cura dell’Università di Pisa
e la firma di protocolli d’intesa tra la Regione Toscana, la Provincia di Livorno e i
Porti aderenti;
— il progetto «Un mare di sport e lavoro»
che con video per gli studenti delle scuole
primarie e secondarie di Livorno ha spiegato come l’attività subacquea possa essere
attività ricreativa, sportiva e professionale;
— il convegno sul tema: «Il nuovo volto
della sicurezza nel settore della navigazione. Il mare, luogo e strumento del reinserimento nella vita di relazione.», a cura dell’Inail di Livorno; ecc..
Rivista Marittima-Giugno 2013
Infine, ma non di minore importanza,
l’impegno della Marina Militare nel sociale quest’anno si è concretizzato con la
«Regata della Solidarietà», iniziativa promossa dal Comitato Organizzatore del
TAN e che è divenuto il più ambizioso
progetto di solidarietà della vela italiana.
La «Regata della Solidarietà» era finalizzata al finanziamento di tre concreti progetti per fornire sostegno e cure ai bambini affetti da patologie fisiche e/o mentali. I
destinatari della raccolta sono stati la Fondazione Meyer, la Fondazione Francesca
Rava NPH Italia e l’Unione Vela Solidale,
Tabella 1
30° TAN Vincitori Vele Storiche
Raggruppamento
Skipper
Nome/NV
Oscar
Procolo Pisano
Chaplin
Sierra
Gianni Fernandes
Ilda
Tango
Lino Tirelli
Amore Mio
Victor
Giuseppe Caruso
Chin Blu III
131
Nautica da diporto
Tabella 2
Classe
«2,4 mR»
«420»
«555»
«Dinghy»
«IRC gr.A Regata»
«IRC gr.A Crociera»
«IRC g. B»
«J24»
«Laser Bug Race»
«Laser Bug Standard»
«Martin 16»
«Optimist cadetti»
«Optimist juniores»
«ORC gr.A Regata»
«ORC gr.A Crociera»
«ORC gr. B Regata»
«ORC gr. B Crociera»
«Sunfish»
«Vaurien»
30° TAN Vincitori di Classe
Skipper
Nome/NV
Nicola Redavid
ITA 63
ITA 54550
Ilaria Paternoster
Benedetta Di Salle
Matteo Scaniglia
ITA 546
ITA 2291
Giorgio Gorla
GLS Stella
Stefano Fava
Giuseppe Cavalieri
Luca Locatelli
Tethis
Breezy
Andrea Formichi
La Superba
Ignazio Bonanno
ITA 144
Lucia Nicolini
ITA 160
Lorenzo Mangiarotti
ITA129
Nedo Finocchio
ITA 8088
Federico Caldari
ITA 7701
Giorgio Perrina
Rebissu
Guglielmo Bodino
Antares
Alberto Sodomaco
Low Noise
Giuseppe Giuffrè
Coconut
Francesco Sodini
Andrea
Andrea Milla
ITA 36314
Ettore Botticini
ognuna promotrice di uno specifico progetto. Nel Villaggio della Vela, ha trovato
spazio anche uno stand dell’Unità Operativa di pediatria dell’Ospedale di Livorno.
Un grande TAN, che ancora una volta
ha consentito «la diffusione, attraverso
l’interesse che i media hanno dimostrato
Circolo velico
LNI Milano
YC Italiano
AS Il Pontile
CV Orta
YC Parma
YC Parma
YC Cala de Medici
SVMM
CV Canottieri Intra
CN Del Finale
Assonautica Livorno
CN Cesenatico
CN Antignano
YC Sanremo
SVMM
YC Chiavari
CN Viareggio
CN Pugli
CV Grosseto
per l’evento, non solo nel mondo velico
sportivo, ma anche verso l’opinione pubblica, dell’immagine della Marina Militare
come sinonimo di efficienza organizzativa, di attenzione privilegiata per la vela, il
mare, le tradizioni marinare», e il sociale.
Stéphan Jules Buchet
NOTE
(1) Per dare un’idea, i campi di regata del XV TAN (1998) erano 8 e furono impiegati 86 giudici di gara e
300 persone per l’assistenza distribuite su 80 mezzi navali.
(2) Fra questi si può ricordare Gabrio Zandonà (campione mondiale 2003 della classe «470»), che nel 1991
(VIII TAN) si piazzò al secondo posto.
(3) La Sail Training Association - Italia (STA-I) è un sodalizio totalmente volontario e senza scopo di profitto fondato nel luglio 1996 dalla Marina Militare e dallo Yacht Club Italiano quale espressione italiana dell’organizzazione internazionale che promuove l’attività collettiva dei grandi velieri (Tall Ships) quale strumento di formazione giovanile e di fratellanza internazionale tra i giovani amanti del mare e della vela.
(4) Equipaggio Ignazio Bonanno, Alfredo Branciforte, Massimo Gherarducci, Francesco Linares e Simone
Scontrino.
(5) La Giornata mondiale della terra è stata istituita dall’ONU nel 1970.
132
Rivista Marittima-Giugno 2013
RUBRICHE
Ambiente marino
L’ARCIPELAGO DELLE ISOLE EGADI
TRA SASSI E MATTANZE
Dove le acque del Mar Tirreno si mescolano con quelle del mar D’Africa, proprio di fronte all’estrema punta della Sicilia occidentale, si mostra ai nostri occhi
l’arcipelago delle isole Egadi. Formato
dalle tre isole maggiori Favignana, Levanzo e Marettimo, in ordine di distanza dalla
costa Siciliana, e gli isolotti di Maraone,
Formica e Porcelli. Facilmente raggiungibile in pochi minuti tramite aliscafi e traghetti da Marsala, Trapani e Castellammare del Golfo.
Circa 54.000 ettari fanno dell’arcipela-
go delle isole Egadi l’Area Marina Protetta più estesa di tutta Europa, istituita con il
Decreto Interministeriale del 27 Dicembre
1991, modificato successivamente nel
1993 e nel 1996. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nel
2001 ha affidato la gestione dell’area protetta al Comune di Favignana, l’area marina delle Egadi a differenza delle altre
AMP conta ben 4 zone di protezione differenziata, la zona A di riserva integrale, la
zona B di riserva generale, la zona C di riserva parziale e una quarta zona, la zona D
di protezione in cui però è consentita la pesca professionale con le limitazioni relative al fermo biologico.
Il Bue Marino è una scogliera con grotta annessa situata sull'Isola di Favignana nell'Arcipelago delle Egadi.
Rivista Marittima-Giugno 2013
133
Ambiente marino
Cava pietra
e piscina naturale
Favignana.
In basso:
Le cave dismesse
a Favignana furono
utilizzate dagli isolani
in modo originale
e intelligente:
vennero trasformate
in orti e giardini
fra cui i giardini
ipogei.
L’arcipelago presenta tutto il ricco campionario di flora e fauna del Mediterraneo,
134
meta di studiosi e appassionati subacquei
che ne hanno fatto ormai tappa obbligato-
Rivista Marittima-Giugno 2013
Ambiente marino
ria per la possibilità di fare incontri subacquei veramente straordinari. Dalle vaste
praterie di Posidonia oceanica, che circondano l’arcipelago, ove pesci e invertebrati
marini di svariate forme e colori nuotano
quasi indisturbati dalla presenza dei subacquei agli ambienti più nascosti come gli
anfratti e le grotte sino a scorgere nelle
profondità folti «boschi» di corallo nero .
Le margherite di mare tappezzano le pareti che dolcemente degradano nel blu, colorandole di un intenso arancio. Gorgonie
variopinte si incontrano già alla batimetria
dei 20-25 metri, e poi i grossi pesci come
cernie, ricciole, vasti branchi di saraghi e
di barracuda mediterranei, ancora orate,
murene e torpedini.
Per l’area marina protetta è prevista una
rigorosa politica di conservazione e tutela
che si fonda sulla salvaguardia delle specie
a rischio e, in generale, dell’ambiente marino nella sua variegata complessità; nel
contempo, la protezione dell’ambiente dà
impulso alla cultura della fruibilità compatibile per consentire a tutti la conoscenza
di questi veri e propri gioielli d’Italia. La
tutela dell’ambiente diviene, pertanto, lungimirante nel coniugare la cultura della
«fruibilità responsabile» con lo sviluppo
necessario alla sopravvivenza stessa dell’arcipelago e dei suoi abitanti: gente orgogliosa e schiva, fiera custode di questi
giardini di terra e di mare.
«La grande farfalla sul mare» nome che
deriva dal favonio, vento caldo di ponente,
la più grande delle Egadi, dista soltanto 9
miglia dal porto di Trapani, ha una superficie di 19 km2 e un estensione costiera di
33 km. L’isola è un luogo ideale per tutti
gli amanti della vela, i forti venti sono capaci di modificare rapidamente l’aspetto
dei suoi specchi d’acqua. Sull’isola il luogo forse più suggestivo è «Cala rossa» che
prende il nome dal sangue dei soldati che
furono uccisi nella battaglia finale della
prima guerra punica tra Romani e Cartagi-
La tonnara Florio.
Rivista Marittima-Giugno 2013
135
Ambiente marino
nesi nel 2141 a.C. Il mare è sempre protagonista sull’isola con i suoi colori cangianti dal turchese al verde che contrastano il
bianco delle rocce di tufo, materiale che
per molti anni è stato estratto dalle miniere per la costruzione di edifici. I blocchi,
una volta tagliati, venivano esportati in Sicilia e in Nord Africa. La parte orientale
dell’isola è caratterizzata proprio da queste
cave, che donano al paesaggio un singola-
re immagine «Traforata» con queste grandi depressioni squadrate e a gradoni, spesso invase da arbusti, a volte purtroppo utilizzate come discariche, altre per fortuna,
come piccoli giardini ipogei, riparati dai
forti venti. In prossimità del mare, lungo la
costa est sussistono le antiche cave in parte sommerse dai flutti in seguito a degli
smottamenti di terreno. Il mare vi penetra
formando piccoli specchi d’acqua dalle
forme geometriche.
Il paese si edifica intorno a due piazze:
piazza Europa e piazza Matrice, collegate
dalla via principale, metà del passeggio serale. A nord-est del centro abitato, San Nicola nasconde un’area che porta i segni del
tempo passato, ancora in mano a privati e
quindi pressoché impossibile da visitare.
La Tonnara Florio
Una visita all’ex Stabilimento Florio è indispensabile per coloro che vogliano vivere un viaggio nel florido passato della tonnara e di quello che rappresentò per lo sviluppo dell’isola di Favignana. L’ex stabilimento Florio è un vero gioiello di archeologia industriale. Esso non era solo il luogo dove venivano custodite le attrezzature,
le ancore e le barche della mattanza in
quella che diventò una delle più fiorenti
industrie di lavorazione conserviere del
tonno, ma rappresenta anche la storia della famiglia Florio e del suo intrecciarsi con
la vita degli isolani, che trovarono riscatto
sociale dalla povertà e fonte di sussistenza
economica.
Marettimo un immagine del paese.
136
Marettimo
È la più lontana delle tre isole dalla Sicilia,
fortemente battuta da correnti che nel tempo ne hanno disegnato degli scenari mozzafiato che si affacciano sul mare. L’isola
è costituita da una montagna dalle pareti
calcaree ripide e scoscese. Circa 400 grotRivista Marittima-Giugno 2013
Ambiente marino
Un immagine
della Grotta
del Genovese
te tra quelle subacquea ed emerse. In piena zona A la grotta del presepio, dove le
stalagmiti e la stalattiti hanno formato delle vere e proprio sculture che al tramonto
con l’ingresso di timidi barlumi di luce
sembrano prendere vita. Meraviglia dell’isola è certamente la grotta del cammello
dove sembra di scorgere tra le rocce l’animale che dà il nome alla grotta accovacciato sulle zampe. Tra le isole Marettimo è
l’unica ad avere delle sorgenti d’acqua
dolce pertanto è stata meta di soste e di
rifornimenti per tutti i navigatori che nei
secoli si sono ritrovati a navigare nei pressi dell’isola. Tanti i punti d’immersione
per la grande biodiversità dei fondali, dovuti alle condizioni idrodinamiche e alla
natura geologica dei fondali.
Levanzo
La più piccola delle tre «sorelle», soltanto
5 Km di lunghezza, un piccolo centro abitato dove il ritmo delle giornate scorre lentamente. Costituita da rocce calcaree bianche, anch’essa custodisce numerose grotRivista Marittima-Giugno 2013
te. L’isola può essere visitata soltanto a
piedi per via degli impervi percorsi non
percorribili con mezzi a motore. L’isola
abitata gia in tempi remoti offre la tranquillità di un paradiso dove sembra non essere arrivato il progresso. Sull’isola una
tappa obbligatoria è la Grotta del Genovese, un preistorico santuario dove religione
e cultura muovono i primi passi tra graffiti e pitture rupestri d’uomini e animali uniti in un legame ancestrale. di grande valenza scientifica e archeologica. Scoperta nel
1950, le pitture risalgono all’età neolitica,
pitture realizzate con grasso animale e carboncino, sono ancora in ottimo stato di
conservazione per l’assenza di luce ed una
temperatura che rimane praticamente costante lungo tutto l’arco dell’anno. I graffiti risalgono a 11-12 mila anni fa, ovvero
alla fase finale del Paleolitico, poco prima
cioè che il mare inghiottisse quei lembi di
terra che rendevano le Egadi parte integrante della Sicilia, e le pitture a 5-6 mila
anni fa, o meglio alla fine del Neolitico,
quando Levanzo era già un’isola.
137
Ambiente marino
La pesca
Sin dai tempi più antichi la fonte primaria
di sostentamento per tutto l’arcipelago è
stata la pesca, praticata tutt’oggi anche se
non più con gli stessi risultati, con gli stessi attrezzi di un tempo, diversi sono i pescatori che non vogliono cedere al progresso mantenendo invariati gli antichi sistemi di pesca tramandati dai loro avi. Ia
pesca con i palamiti o palangari, la mattanza dei tonni e la pesca con le reti da posta,
e la pesca del corallo sono i metodi che
hanno contraddistinto nei secoli le marinerie della Sicilia occidentale: Tra queste
quella che ha un sapore di fascino è sicuramente la pesca del maestoso pesce pelagico che per millenni, nei primi mesi caldi, ha nuotato lungo le coste dell’arcipelago: «Il Tonno».
La mattanza dei tonni
Il Tonno rappresenta l’animale simbolo
dell’ arcipelago, insieme ai delfini figura
tra i disegni rupestri della grotta del Genovese sull’isola di Levanzo. Alla fine
dell’800 la Tonnara di Favignana era uno
dei maggiori stabilimenti per la lavorazio-
ne del tonno, voluta fortemente dalla famiglia Florio, era il vanto di tutta l’isola di
Favignana e poteva continuare a esserlo se
i tonni non fossero diminuiti a causa della
massiccia pesca con sistemi sempre più efficaci ed evoluti. La «mattanza» ovvero il
momento culminate della cattura dei tonni
si pratica ancora oggi tra fine maggio e fine giugno e resta una delle ultime testimonianze al mondo di questa straordinaria
forma di pesca. Attività disciplinata da
un’apposita ordinanza della Capitaneria di
orto di Trapani. La mattanza consiste nel
dirottamento dei branchi di tonni che giungono dall’Atlantico per riprodursi, verso
un labirinto di reti che li convoglia in un’unica rete detta Camera della Morte. Da lì il
Rais darà il via e i tonni verranno issati a
bordo delle imbarcazioni tramite degli appositi uncini che servono da gancio. La famiglia Florio introdusse nell’isola di Favignana la lavorazione e il primo inscatolamento del tonno pescato dai tonnaroti favignanesi. Infatti a Favignana era presente ed
è tuttora attiva una delle più antiche Tonnare di tutto il Mediterraneo. Ogni anno nel
mese di maggio si può assistere alla mat-
Un pescatore
di corallo anni
Sessanta
138
Rivista Marittima-Giugno 2013
Ambiente marino
la camera della morte, il momento più cruento della mattanza.
tanza dei grossi tonni pesanti anche 200300 kg anche se la presenza di questi grandi «pelagici» nei nostri mari è sempre meno frequente.
Vedere la mattanza
Ogni anno nel mese di maggio si può assistere alla mattanza di questi giganti del
mare. Ogni giorno per circa 3 settimane
sono organizzate uscite in mare con motobarche dei pescatori per osservare come
avviene la pesca dei tonni. Ormai la mattanza ricopre soltanto un ruolo turistico
sull’isola in quanto il numero di questi pesci è molto diminuito, per cui con il pescato non si puo’ più sostentare un industria
florida come era quella della pesca al tonno. Ormai le mattanze vengono praticare
per i turisti e per tramandare un metodo di
Rivista Marittima-Giugno 2013
pesca che nell’ultimo secolo ha sostentato
un’intera isola con la pesca del tonno.
Per un turista che arriva alle Egadi la
mattanza potrebbe essere considerata come
una pratica di pesca barbara o un mero
evento folcloristico svuotato ormai di significato. In realtà dietro a questa pratica,
oggi ormai quasi estinta, si nascondevano
dei forti contenuti storici, sociali e culturali non solo economici. La tonnara rappresenta infatti la primitiva lotta dell’uomo
per la sopravvivenza che non ha nulla di
spettacolare o folcloristico, ma è il duro lavoro di uomini che a ritmo di canti, si muovono all’unisono con la sola forza delle
proprie braccia per vincere la lotta col tonno. Non c’è tuttavia senso di prevaricazione su questo animale bensì grande rispetto,
in un momento che non è solo pesca ma at139
Ambiente marino
timo rituale, quasi liturgico, accompagnato
da preghiere e ringraziamenti ai Santi.
Un paradiso sommerso
Le condizioni ecologiche e le bellezze naturali, fanno dei fondali della Riserva Naturale Marina delle Isole Egadi un paradiso per i subacquei, dove è possibile immergersi in numerosi punti e con diversi
livelli di difficoltà. Il mare della Riserva
Naturale Marina delle Isole Egadi presenta una gran varietà di ambienti dovuti all’influenza di numerosi e differenti fattori
quali: i venti, la natura geologica dei substrati, le condizioni idrodinamiche e la
morfologia dei fondali, che ne fanno uno
tra i più puliti, limpidi e ricco di specie del
Mediterraneo.
A Favignana i punti d’immersione più
interessanti sono: «Scoglio Corrente», sia
per apnea che con bombole, con profondità fino a 34 m. «Cala Rotonda», per facili immersioni e per amatori di fotografia
naturalistica subacquea. «Punta Sottile»,
per tutti i livelli subacquei e ricca di ricci e
flora di notevole varietà «Secca del Toro»,
con profondità fra 7 e 50 metri, adatta ai
vari tipi di subacquea e dove si può incontrare qualche barracuda. «Atlantide», riservato a sub di grande esperienza, dove si
trova un bosco di corallo nero.
A Levanzo
Secca del Faraone, a breve distanza dal faraglione e ideale per amatori di fotografie,
Relitto Punico-Romano, percorso archeologico tra le profondità da 15 a 35 metri,
dove si possono ammirare resti di anfore
romane e un relitto parzialmente coperto.
L’immersione è adatta a sub esperti, a causa delle correnti che caratterizzano l’area.
Cala Tramontana ideale per sub principianti, soprattutto quando spira lo scirocco.
Le immersioni che si possono
effettuare a Marettimo
Punta Bassana, presso il promontorio fra
le zone A e B della riserva, con fondali fra
Una murena.
140
Rivista Marittima-Giugno 2013
Ambiente marino
La foca monaca.
35 e 45 metri, è considerata l’immersione
più interessanti delle Egadi e forse del Mediterraneo. Orlata San Simone, immersione di media difficoltà tra i 25 ed i 45 metri, nella zona antistante l’abitato di Marettimo e dove si trovano grandi quantità di
aragoste.
Orlo di Cala Bianca, al limite della zona
A della riserva, per immersioni di 18-40
metri, dove si possono ammirare lunghi
rami di corallo nero e incontrare qualche
barracuda.
La Grotta o Cattedrale, per immersione
di elevata difficoltà ma di fascino unico. A
circa 30 metri si apre la grotta che da la sensazione di trovarsi in una cattedrale gotica..
È tornata anche la foca monaca
La foca monaca è ritornata nell’area marina protetta delle isole Egadi, da dove era
«scappata» intorno a metà degli anni Settanta a causa dell’inquinamento e
della caccia. Dopo una serie di avvistamenti da parte di pescatori e diportisti, i riRivista Marittima-Giugno 2013
cercatori dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale sono riusciti a scoprire e fotografare un esemplare
di femmina adulta nascosta in una grotta
lungo il litorale favignanese.
Negli ultimi due anni, nell’area marina
protetta delle isole, è stata condotta un’attività di ricerca con l’obiettivo di verificare, documentare e raccogliere informazioni sugli avvistamenti di esemplari di foca
monaca (monachus monachus), una delle
specie più protette al mondo. Il progetto
cominciato nel 2011, ha monitorato i luoghi che potevano essere più idonei per il
riparo di questo mammifero, piazzando
anche delle foto trappole che permettevano di identificare gli animali che si trovavano all’interno della grotta. Dopo i primi
avvistamenti i ricercatori hanno confermato la veridicità del fatto constatando che la
foca monaca è realmente tornata sull’isola.
Un altro regalo fatto dal mare alla riserva
marina più grande d’Europa.
Marcello Guadagnino
141
RUBRICHE
Scienza e tecnica
IL CATAMARANO A ENERGIA SOLARE
PLANET SOLAR RIPARTE NEL 2013
PER UNA NUOVA CAMPAGNA
DOPO AVER COMPLETATO NEL 2012
IL GIRO DEL MONDO
Sulle pagine di questa rubrica ci siamo
già occupati più volte (1) del programma
svizzero Planet Solar per la costruzione di
un’imbarcazione, con scafo a catamarano,
propulsa mediante energia solare, imbarcazione che è stata realizzata e ha compiuto il giro del mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale
sulle potenzialità delle energie rinnovabili,
dimostrandone concretamente le possibilità, e di presentare la Svizzera come
un’attrice chiave nel settore delle nuove
tecnologie delle energie rinnovabili.
Vogliamo ora fornire alcuni aggiornamenti sul programma, e in particolare sul
completamento, nel 2012, del primo giro
del mondo con propulsione solare, e sul
programma 2013. L’imbarcazione, il cui
nome completo è MS Tûranor PlanetSolar,
è stata costruita presso i cantieri Knierim
Yachtbau di Kiel, nel Nord della Germania; la costruzione è durata quattordici mesi, dalla fine del 2008 fino a marzo 2010.
Il 31 marzo il catamarano è stato varato e
quindi, dopo il completamento dell’allestimento, ha iniziato le prove del sistema di
propulsione e le prove in mare. Il nome
Tûranor indica il potere del sole nella mi-
Un’immagine dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR scattata nel maggio 2013
a St Martin (fonte: http://www.planetsolar.org/).
142
Rivista Marittima-Giugno 2013
Scienza e tecnica
Scheda tecnica (in francese) dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR, la più grande
imbarcazione con propulsione a energia solare al mondo (fonte: http://www.planetsolar.org/).
tologia di J.R.R. Tolkien.
Il progettista di PlanetSolar è il neozelandese Craig Loomes, che ha già concepito varie altre imbarcazioni innovative, tra
cui il multiscafo da 23 metri Earthrace, detentore del record UIM per la più veloce
circumnavigazione del globo con imbarcaRivista Marittima-Giugno 2013
zione a motore. Il team progettuale guidato da Loomes ha impiegato diversi mesi
per scegliere le dimensioni e le principali
caratteristiche di questa unità biscafo, concepita per compiere il giro del mondo: sono state ottimizzate la raccolta, la conservazione e l’impiego dell’energia per la
143
Scienza e tecnica
propulsione, ma anche l’aerodinamica e la
scelta dei materiali sono state oggetto di
studi approfonditi; la struttura basata sulla
fibra di carbonio combina la leggerezza
con la resistenza. PlanetSolar è la più
grande imbarcazione con propulsione a
energia solare del mondo.
Questo rivoluzionario mezzo navale è
ricoperto da pannelli fotovoltaici forniti
dalla società statunitense SunPower Corporation, uno dei leader nel settore; i pannelli hanno un rendimento minimo del
22%, particolarmente elevato. Il sistema
di propulsione è interamente elettrico,
alimentato da batterie caricate dai pannelli solari.
Planet Solar è partita il 27 settembre
2010 da Monaco per il primo giro del
mondo a energia solare, compiuto su di
una rotta equatoriale da Est verso Ovest
per un totale di oltre 60.000 km. Il giro è
terminato, dopo quasi due anni nei quali
sono stati toccati 52 porti, 28 paesi, tutti i
continenti, attraversato tutti gli oceani e i
più importanti canali artificiali (oceano
atlantico, canale di Panama, oceano pacifico, oceano indiano, canale di Suez), il 4
maggio 2012 quando l’imbarcazione è tornata a Monaco, dopo un’ultima tappa in
Corsica. Ogni sosta è stata un’occasione
per incontrare le comunità locali e promuovere l’impiego dell’energia solare,
grazie anche al Solar Village, uno stand
sull’energia solare che ha seguito l’imbarcazione in tutte le tappe.
Tra gli eventi salienti della navigazione ricordiamo l’attraversamento dell’Oceano Indiano, effettuato con una protezione militare contro attacchi di pirati; in
effetti, un’imbarcazione sospetta di pirateria si è avvicinata, ma, dopo aver individuato il personale armato, ha preferito
cambiare rotta.
Nell’estate del 2012 l’imbarcazione,
144
dopo una breve sosta per manutenzione,
ha compiuto una campagna nel Mar Mediterraneo, partecipando a eventi legati all’impiego dell’energia solare, e quindi è
stata oggetto di una più importante sosta
dedicata a lavori di manutenzione e rinnovamento (in particolare è stato aggiornato
il sistema di propulsione con eliche di superficie, sostituite da eliche completamente immerse, è stato sostituito l’impianto
del timone con una nuova timoneria idraulica, sono stati rinnovati gli arredi delle cabine ed è stata aumentata la capacità delle
casse dell’acqua dolce), da cui è uscita nel
marzo 2013. Anche l’equipaggio è nuovo,
e lo skipper è Gérard d’Aboville, sosteniRivista Marittima-Giugno 2013
Scienza e tecnica
Il programma della campagna 2013 dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR
(fonte: http://www.planetsolar.org/).
tore del progetto fin dai suoi inizi; accanto
a lui Stephan Marseille (secondo), Antoine
Simon (ingegnere elettrico) e Hugo Buratti (marinaio e contabile).
Tra i nuovi sponsor Sua Altezza Serenissima, il principe Alberto II di Monaco,
l’Università di Ginevra e le compagnie
Ciel électricité, Switcher, Association
suisse des AOC-IGP, Younicos, GoPro,
Météo France, Jean-René Germanier SA,
BCCC Avocats, Tempur, Hempel, Présence Suisse, Energissima, UIM, YELLO e
Waste Free Oceans.
In particolare il principale partner scientifico è l’università di Ginevra, che imbarcherà a bordo una sua équipe scientifica
Rivista Marittima-Giugno 2013
per lo studio della corrente del Golfo. L’Università è stata fondata nel 1559 da Calvino e Théodore di Bèze, è oggi la seconda
università Svizzera dopo Zurigo, e conta
circa 16.000 studenti nelle sue otto facoltà,
che coprono tutti i domini dello scibile:
scienze, medicina, lettere, scienze economiche e sociali, diritto, psicologia, teologia e delle scienze dell’educazione, traduzione e interpretariato.
Il programma 2013 è stato presentato
ufficialmente alla stampa il 26 marzo, e
l’unità è partita da Le Ciotat (in Provenza)
l’8 aprile, approfittando delle previsioni
meteorologiche favorevoli, per Rabat, in
Marocco, dove è arrivata, il 16 aprile, do145
Scienza e tecnica
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DI PLANET SOLAR
Scafo a catamarano del tipo «wave piercing« (con terzo scafo centrale al di sopra del galleggiamento in acqua tranquilla).
— Materiale: composito di fibra di carbonio e resina epossidica;
— Dimensioni: Lunghezza 35 m, larghezza 23 m, altezza 6,3 m sopra il piano di galleggiamento, immersione 1,5 m;
— Dislocamento: 89 tonnellate;
— Superficie dei pannelli solari: 516 m² – 29.160 cellule fotovoltaiche aventi rendimento del
22,6%;
— 6 blocchi di batterie agli ioni di litio aventi un peso totale di 8,5 tonnellate;
— 2 motori elettrici da 60 kW ciascuno, 2 eliche a 5 pale aventi diametro di 81 cm e velocità
di rotazione massimo di 600 giri il minuto;
— Consumo medio 20 kW (17 per la propulsione e 3 per gli usi di bordo);
— Velocità massima 14 nodi – media 5 nodi;
— 6 cuccette con un totale di 9 posti per l’equipaggio – in banchina possono essere ospitate a
bordo fino a 60 persone.
po una tappa di 1.600 chilometri nel corso
della quale è stato attraversato lo stretto di
Gibilterra, ripartendo poi il 20 aprile per
attraversare l’oceano atlantico: prima tappa Las Palmas (Isole Canarie, Spagna), seconda Marigot, nell’isola di Saint Martin
(Antille francesi). Dalla partenza da Las
Palmas (alle ore 11.00 del 25 aprile) all’arrivo a Marigot (ore 06.32 del 18 maggio)
Planet Solar ha impiegato 22 giorni, 12 ore
e 32 minuti, battendo quindi il record di 26
giorni per una traversata atlantica con
unità a propulsione solare stabilito dalla
stessa unità, durante il giro del mondo del
2010-2012 e certificato dal Guinnes World
RecordsTM. La velocità media è stata di
5,3 nodi, e la lunghezza della traversata di
2687 miglia (pari 5310 chilometri). Planet
Solar è poi partita il 23 maggio da Marigot
per Miami (Florida).
Da maggio ad agosto 2013, un’équipe
dell’università di Ginevra (UNIGE), diretta dal professor Martin Beniston, climatologo e direttore dell’Istituto di Scienze dell’ambiente, studierà la corrente del Golfo,
seguendone il percorso da bordo del catamarano, nell’ambio del programma
DeepWater, percorrendo più di 8.000 chilometri da Miami in Florida a Bergen in
146
Norvegia, con tappe a New York, Boston e
Reykjavik (Islanda). Obiettivo degli scienziati è capire le complesse interazioni tra
la fisica, la biologia e il clima, per migliorare i modelli previsionali del clima nel
settore degli scambi energetici tra oceano
e atmosfera. Verranno in particolare misurate con continuità grandezze fisiche e biologiche dell’aria e dell’acqua, e l’oggetto
principale della ricerca saranno i vortici
oceanici e le zone di formazione delle acque profonde, da dove partono quei sistemi di correnti tridimensionali che collegano le acque di tutti gli oceani. Uno degli
strumenti più interessanti installati a bordo
è la «Biobox», sviluppata dal gruppo di fisica applicata dell’Università di Ginevra,
che sarà provato per la prima volta a bordo della Planet Solar, e che esaminerà la
composizione degli aerosol per mezzo di
una tecnica laser. Uno dei principali vantaggi della propulsione solare è che l’unità
non produrrà nessun’emissione che possa
contaminare e influenzare i rilievi scientifici. Inoltre il progetto si propone di aumentare la conoscenza delle problematiche relative al clima da parte del pubblico.
Dopo il termine della campagna Planet
Solar Deepwater a Bergen, il catamarano
Rivista Marittima-Giugno 2013
Scienza e tecnica
proseguirà le sue attività prendendo parte
al progetto Waste Free Oceans dell’omonima fondazione, una campagna per la pulizia delle acque europee il cui obiettivo è
la riduzione della quantità di rifiuti galleggianti oggi presenti. Sia in questa fase che
nella successiva, che lo vedrà toccare i
porti turchi di Istanbul e Izmir nell’abito di
una collaborazione con la fondazione myclimate Turkey, il catamarano accoglierà
eventi didattici, destinati in particolare ai
giovani, legati alla diffusione della cultura
dell’energia solare.
Sulle pagine di questa rubrica torneremo certamente a occuparci di PlanetSolar,
ma per chi fosse particolarmente interessato è possibile seguire le tappe della campagna e anche la posizione aggiornata dell’imbarcazione sul sito dell’organizzazione http://www.planetsolar.org.
L’ENERGIA FOTOVOLTAICA
La tecnologia fotovoltaica consente di
trasformare, direttamente e istantaneamente, l’energia solare in energia elettrica senza l’uso di alcun combustibile. Essa sfrutta il cosiddetto «effetto fotoelettrico», cioè
la capacità che hanno alcuni semiconduttori, opportunamente trattati («drogati»),
di generare elettricità se esposti alla radiazione solare. Conosciuto fin dalla prima
metà del XIX secolo, questo effetto ha visto la sua prima applicazione commerciale
negli Stati Uniti nel 1954, quando fu realizzata la prima cella fotovoltaica in silicio
monocristallino nei laboratori della Bell.
Gli impianti fotovoltaici sono quindi sistemi che convertono l’energia solare direttamente in energia elettrica. Le potenze
generate da questi dispositivi variano da
pochi a diverse decine di Watt, a seconda
delle dimensioni e delle tecnologie adottaRivista Marittima-Giugno 2013
te. Un impianto fotovoltaico è essenzialmente costituito da un generatore, da un
sistema di condizionamento e controllo
della potenza e da un eventuale accumulatore di energia, la batteria.
Il componente elementare del generatore fotovoltaico è la cella. È lì che avviene
la conversione della radiazione solare in
corrente elettrica. Essa è costituita da una
sottile «fetta» di un materiale semiconduttore, quasi sempre silicio, l’elemento più
diffuso in natura dopo l’ossigeno, di spessore pari a circa 0,3 mm. Può essere rotonda o quadrata e avere una superficie compresa tra i 100 e i 225 cm2. Il silicio che
costituisce la fetta viene «drogato» mediante l’inserimento di atomi di boro su
una faccia (drogaggio p) e di fosforo sull’altra faccia (drogaggio n). Nella zona di
contatto tra i due strati a diverso drogaggio
si determina un campo elettrico; quando la
cella è esposta alla luce, per effetto fotovoltaico, si generano delle cariche elettriche e, se le due facce della cella sono collegate a un utilizzatore, si avrà un flusso di
elettroni sotto forma di corrente elettrica
continua.
Attualmente il silicio, mono e policristallino, impiegato nella costruzione delle
celle è lo stesso utilizzato dall’industria
elettronica, che richiede materiali molto
puri e quindi costosi. Tra i due tipi, il silicio policristallino è il meno costoso, ma ha
rendimenti leggermente inferiori al monocristallino. Per ridurre il costo della cella
sono in studio nuove tecnologie che utilizzano il silicio amorfo e altri materiali policristallini, quali il Seleniuro di Indio e Rame e il Tellurio di Cadmio.
Una cella fotovoltaica di dimensioni
10x10 cm si comporta come una minuscola batteria, e nelle condizioni di soleggiamento tipiche dell’Italia (1 kW/m2), alla
temperatura di 25°C fornisce una corrente
147
Scienza e tecnica
La copertina del Volume L’energia fotovoltaica, Collana «Sviluppo sostenibile» n. 22, edito nel 2006
dall’ENEA.
di 3 A, con una tensione di 0,5 V e una potenza pari a 1,5-1,7 Wp (Watt di picco).
L’energia elettrica prodotta sarà, ovviamente, proporzionale all’energia solare incidente, che come sappiamo varia nel corso della giornata, al variare delle stagioni, e al variare delle condizioni atmosferiche, ecc..
In commercio per impiego domestico o
industriale si trovano moduli fotovoltaici
costituiti da un insieme di celle. I più diffusi sono costituiti da 36 celle disposte su
4 file parallele collegate in serie. Hanno
superfici che variano da 0,5 a 1 m2 e permettono l’accoppiamento con accumulatori da 12 Vcc (le comuni batterie). Più moduli collegati in serie formano un pannello, ovvero una struttura comune ancorabile al suolo o a un edificio. Più pannelli collegati in serie costituiscono una stringa.
Più stringhe, collegate generalmente in pa148
rallelo per fornire la potenza richiesta, costituiscono il generatore fotovoltaico.
Dal punto di vista elettrico non ci sono
praticamente limiti alla produzione di potenza da sistemi fotovoltaici, perché il
collegamento in parallelo di più file di
moduli, le «stringhe», consente di ottenere potenze elettriche di qualunque valore.
Il trasferimento dell’energia dal sistema
fotovoltaico all’utenza avviene attraverso
ulteriori dispositivi necessari a trasformare la corrente continua prodotta in corrente alterna, adattandola alle esigenze dell’utenza finale.
Il sistema di condizionamento e controllo della potenza è costituito da un inverter,
che trasforma la corrente continua prodotta dai moduli in corrente alternata, da un
trasformatore e da un sistema di rifasamento e filtraggio che garantisce la qualità
Rivista Marittima-Giugno 2013
Scienza e tecnica
All’interno del sole,
a temperature di alcuni
milioni di gradi
centigradi, avvengono
incessantemente
reazioni termonucleari
di fusione che liberano
enormi quantità
di energia sotto forma
di radiazioni
elettromagnetiche.
Una parte di questa
energia, dopo aver
attraversato l’atmosfera,
arriva al suolo
con un’intensità
di circa 1.000 W/m2
(irraggiamento al suolo
in condizioni
di giornata serena
e Sole a mezzogiorno).
Questo enorme flusso
di energia che arriva
sulla Terra è pari
a circa 15.000 volte
l’attuale consumo
energetico mondiale.
Di questa energia,
però, può essere
utilmente «raccolta»
da un dispositivo
fotovoltaico, solo
una parte costituita
dall’irraggiamento;
che è, infatti, la quantità di energia solare
incidente su
una superficie unitaria
in un determinato
intervallo di tempo,
tipicamente un giorno
(kWh/m2/giorno).
Nella figura
è rappresentato il flusso
di energia tra il sole,
l’atmosfera
e la superficie terrestre.
Dal Volume
L’energia fotovoltaica,
edito dall’ENEA.
della potenza in uscita. Trasformatore e sistema di filtraggio sono normalmente inseriti all’interno dell’inverter.
È chiaro che il generatore fotovoltaico
funziona solo in presenza di luce solare.
L’alternanza giorno/notte, il ciclo delle
Rivista Marittima-Giugno 2013
stagioni, le variazioni delle condizioni
meteorologiche, fanno sì che la quantità
di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico non sia costante né al variare delle ore del giorno, né al variare
dei mesi dell’anno. Ciò significa che, nel
149
Scienza e tecnica
caso in cui si voglia dare la completa autonomia all’utenza, occorrerà o collegare
gli impianti alla rete elettrica di distribuzione nazionale o utilizzare dei sistemi di
accumulo dell’energia elettrica che la
rendano disponibile nelle ore di soleggiamento insufficiente.
Secondo il tipo di applicazione cui l’impianto è destinato, le condizioni d’installazione, le scelte impiantistiche, si distinguono varie tipologie d’impianto.
Gli impianti isolati (stand-alone) sono
impianti non collegati alla rete elettrica e
sono costituiti dai moduli fotovoltaici, dal
regolatore di carica e da un sistema di batterie che garantisce l’erogazione di corrente anche nelle ore di minore illuminazione
o di buio. La corrente generata dall’impianto fotovoltaico è una corrente continua. Se l’utenza è costituita da apparecchiature che prevedono un’alimentazione
in corrente alternata, è necessario anche un
Schema di massima di un’utenza domestica dotata d’impianto fotovoltaico collegato alla rete elettrica.
Dal Volume L’energia fotovoltaica, edito dall’ENEA.
150
Rivista Marittima-Giugno 2013
Scienza e tecnica
convertitore, l’inverter. Questi impianti risultano tecnicamente ed economicamente
vantaggiosi nei casi in cui la rete elettrica
è assente o difficilmente raggiungibile. Infatti, spesso sostituiscono i gruppi elettrogeni. Attualmente le applicazioni più diffuse servono ad alimentare:
Apparecchiature per il pompaggio dell’acqua, soprattutto in agricoltura;
— Ripetitori radio, stazioni di rilevamento
e trasmissione dati (meteorologici e sismici), apparecchi telefonici;
— Apparecchi di refrigerazione, specie
per il trasporto medicinali;
— Sistemi d’illuminazione;
— Segnaletica sulle strade, nei porti e negli aeroporti;
— Alimentazione dei servizi nei camper;
— Impianti pubblicitari, ecc..
Gli impianti collegati alla rete (gridconnected) sono impianti stabilmente collegati alla rete elettrica. Nelle ore in cui il
generatore fotovoltaico non è in grado di
produrre l’energia necessaria a coprire la
domanda di elettricità, la rete fornisce l’energia richiesta. Viceversa, se il sistema
fotovoltaico produce energia elettrica in
più, il surplus può essere trasferito alla rete o accumulato. Un inverter trasforma la
corrente continua prodotta dal sistema fotovoltaico in corrente alternata. I sistemi
connessi alla rete, ovviamente, non hanno
bisogno di batterie perché la rete di distri-
buzione sopperisce alla fornitura di energia elettrica nei momenti d’indisponibilità
della radiazione solare.
La quantità di energia prodotta da un
generatore fotovoltaico varia nel corso
dell’anno e dipende da una serie di fattori
come la latitudine e l’altitudine del sito,
l’orientamento e l’inclinazione della superficie dei moduli, e le caratteristiche di
assorbimento e riflessività del territorio
circostante. A titolo indicativo, alle latitudini dell’Italia centro-meridionale un metro quadrato di moduli può produrre in media 0,3-0,4 kWh al giorno nel periodo invernale, e 0,6-0,8 kWh in quello estivo.
L’energia elettrica prodotta con il fotovoltaico non richiede l’impego di combustibile: per ogni kWh prodotto si risparmiano circa 250 grammi di olio combustibile rispetto all’analogo quantitativo di
energia prodotto con un tradizionale impianto termoelettrico, e si evita l’emissione di circa 700 grammi di CO2, nonché di
altri componenti inquinanti, con un sicuro
vantaggio economico e soprattutto ambientale per la collettività. Un piccolo impianto domestico da 1,5 kWp, produrrà,
nell’arco della sua vita efficace (valutata
in trenta anni), quasi 60.000 kWh, con un
risparmio di circa 14 tonnellate di combustibili fossili, evitando l’emissione in atmosfera di circa 40 tonnellate di CO2.
Claudio Boccalatte
NOTE
(1) Si vedano i numeri di dicembre 2007, maggio 2009 e luglio 2010 di questa rubrica.
Rivista Marittima-Giugno 2013
151
RUBRICHE
Che cosa scrivono gli altri
«L’Invincibile
Armata»
Nelle sue «svolte
epocali» la Storia
sembra concentrarsi
in brevi e densi periodi, come tra la fine di
luglio e gli inizi di
agosto del 1588,
STORICA NATIONAL
quando la sconfitta di
GEOGRAFHIC, N. 50,
APRILE 2013
quella che gli Inglesi
definirono «la più grande flotta apparsa
nelle nostre acque», determinata da avverse e terribili condimeteo prima che dai cannoni delle navi inglesi, fece naufragare il
«sogno spagnolo» di impadronirsi dell’Inghilterra protestante, in quella che pur è
stata definita l’ultima crociata, avversata
fin dall’inizio da disastri e contrarietà. Ce
ne parla sulle pagine del mensile in parola
Juan Carlos Rosada in un ampio articolo di
dodici pagine, riccamente illustrato e con
numerose «finestre» esplicative a scopo didascalico, che ne pongono in risalto il contesto storico e, soprattutto, le caratteristiche
delle navi spagnole e inglesi impegnate
nella vicenda. La mission della flotta spagnola, forte di 130 navi e più di trentamila
uomini tra equipaggi e fanterie imbarcate,
era quella di arrivare a Dunkerque, nelle
Fiandre spagnole, imbarcare il corpo di
spedizione al comando di Alessandro Farnese, il glorioso combattente di Lepanto e,
quindi, dare il via allo sbarco sulle coste inglesi. Ma non sarebbe mai arrivata né sulle
coste delle Fiandre né tantomeno su quelle
inglesi a causa sia dei brulotti (natanti incendiari) che dei pesanti cannoneggiamenti inglesi, a cui gli Spagnoli non riuscirono
152
a reagire validamente per le manovre troppo lente di navi troppo grandi, pesanti e sovraccariche, mentre venti e correnti sembravano congiurare contro di loro. Sebbene
nella Manica non ci fosse stata nessuna
battaglia, ma solo colpi di cannone e colpi
di vento, fa rilevare il Nostro, gli spagnoli,
pur con sette navi perse e 1.500 caduti, non
si potevano ritenere battuti. Nel consiglio
di guerra convocato dal comandante in capo, il duca di Medina Sidonia, tra manifestazioni di coraggio (combattere fino all’estremo) e di prematura rassegnazione (consegnarsi agli Inglesi!), si decise alla fine di
affidarsi a quello che potremmo chiamare
una sorta di «giudizio di Dio»: se il vento
avesse continuato a soffiare contro, la flotta avrebbe iniziato il suo rientro in Spagna.
E così avvenne seguendo la rotta del Nord,
cioè costeggiando la Scozia e l’Irlanda e
scendendo poi sino a La Coruña, una drammatica e sanguinosa odissea senza gloria
… mentre gli inglesi si erano ben guardati
dall’inseguirli. Fatti noti affidati, anche di
recente, alle penne di Antonio Martelli e
dell’americano Garret Martingly nelle loro
interessanti monografie, a cui rinviamo per
gli approfondimenti relativi mentre, nel
contempo, per riattizzare l’attenzione sarebbe magari interessante aggiungere un
pizzico di storia alternativa, della cosiddetta «ucronia», che peraltro sembra impazzare sul web. Così Alessandro Farnese con i
suoi 27.000 uomini dei tercios, finalmente
imbarcati, riesce a sbarcare in Inghilterra e
a sbaragliare la disperata resistenza di
Drake, si accattiva con astuta diplomazia il
favore di duchi e notabili locali cripto-cattolici e, alla fine, riesce … a sposare (con
rito cattolico) Elisabetta. In nome della
Rivista Marittima-Giugno 2013
Che cosa scrivono gli altri
realpolitik e con buona pace di Filippo II, si
impadronisce così del Regno a titolo personale. È proprio destino che, sia nella storia
reale che in quella immaginaria, re Filippo
abbia alla fine sempre la peggio!
«NATO vis-à-vis
China» e «NATO
and Japan»
Non è un mistero
che il centro di gravità economico-strategico globale si stia
inesorabilmente spoNDC RESEARCH PAPER,
stando dal sistema
N. 87/12 e 91/13
euro-atlantico a quello indo-pacifico e, in tale assunto, James
Boutilier, special advisor (policy) al Maritime Forces Pacific Headquarters a Esquimalt (Canada), nel research paper del Nato
Defense College di Roma, si chiede se il futuro della NATO, nella sua aspirazione a essere, sempre più, un’Alleanza globally
aware, globally connected and globally capable, non sia proprio in Asia! Di qui l’attenta e rapida disamina della crescita economico-militare della Cina, dell’indubbio
mahanian outlook della sua marina (PLA’s
Navy), dei suoi rapporti con gli Stati Uniti
e i paesi ad essi più vicini (Giappone, Corea
del Sud, Australia, Nuova Zelanda sino all’asse in fieri Washington-Dheli), del contesto di sicurezza delle varie organizzazioni
che agiscono nell’Asia orientale (tipo
ASEAN, ARF, ADMM+) e centrale (SCO,
Shanghai Cooperation Organization), per
cercare quale spazio di cooperazione ci potrebbe essere per la Nato nell’area in considerazione. Spazio che, nella consapevolezza che the indo pacific region is quintessentially maritime, viene individuato proprio
sul mare. Nell’immediato nel campo degli
interventi HADR (Humanitarian AssistanRivista Marittima-Giugno 2013
ce and Disaster Relief ), nel contrasto alla
pirateria al largo del Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano (dove, oltre alla NATO,
anche la Cina si è mostrata attiva nell’ultimo quinquennio) e, addirittura, in esercitazioni navali congiunte laddove, al momento, è previsto che PLA’s Navy sia invitata a
partecipare al RIMPAC (Rim of the Pacific)
Exercise 2014. Una prospettiva interessante dunque che, sia pur in tempi lunghi, potrebbe, ad avviso del nostro autore, esercitarsi sul mare più che in qualsiasi altro campo. Tanto più che lo scorso 7 aprile il neopresidente cinese Xi Jinping nel suo intervento al BFA (Boao Forum for Asia), alla
sua quarta edizione nell’isola cinese di Hainan, alzando la voce contro le pericolose
tensioni alimentate al momento dalla Corea
del Nord, ha invitato la comunità internazionale a una visione comune per difendere
la sicurezza globale (per il testo integrale
del discorso, english.boaoforum.org e
usa.chinadaily.com.cn/Full Text Xi’s Speech). Nel secondo articolo in esame Michito
Tsuruoka, del National Institute for Defense Studies giapponese, analizza i rapporti
NATO-Giappone che, sia pur in maniera
non lineare, si sviluppano dalla fine della
Guerra Fredda in poi, trovando un campo di
pratica applicazione ancora una volta sul
mare (con le operazioni di rifornimento della Maritime Self – Defense Force nipponica nell’Oceano indiano in supporto delle
operazioni ISAF in Afghanistan), oltre all’assistenza civile nel settore umanitario e
nei progetti di ricostruzione sul territorio. Si
moltiplicano i contatti e un costante dialogo
per far fronte alle sfide globali alla sicurezza (cyber security, international terrorism,
energy security e lotta alla proliferazione
delle armi di distruzione di massa) e si intensifica l’interesse di alcuni Paesi europei
(Regno Unito, Francia e Italia) per una cooperazione industriale nel settore della dife153
Che cosa scrivono gli altri
sa, all’insegna degli standard NATO di interoperabilità. Nel profluvio delle iniziative
in corso, puntualmente elencate, si tratta
adesso di approfondire, fa rilevare il Nostro, come NATO – Giappone possono procedere de facto a una partnership che sia effective and beneficial per entrambi.
«Arms Trade Treaty
(ATT)»
L’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite lo scorso 1°
aprile ha approvato, a
grande maggioranza,
dopo un lavorio di
ben sette anni, il priTHE ECONOMIST,
APRIL 6TH 2013
mo trattato internaAFFARINTERNAZIONALI,
zionale sul commerN. 249, 17 APRILE 2013
cio delle armi convenzionali, al fine di disciplinare un mercato stimato 70 mld di dollari, tra l’entusiasmo della stampa internazionale («A Killer
Deal» nell’Economist) e nazionale (in merito, oltre a Christian Ponti su AI, riportato
in epigrafe, anche gli articoli di Alessandra
Farksas e Massimo Vincenzi sulle colonne
de Il Corriere della Sera e La Repubblica
del 3 Aprile 2013), nonché dalle associazioni per i diritti umani. Il tutto nell’assunto
che il trattato servirà a ridurre la violenza
154
nel mondo e quindi, come si è espresso lo
stesso segretario di Stato americano John
Kerry, rafforzare la sicurezza globale. 154 i
voti favorevoli, tre contrari (Siria, Corea del
Nord e Iran) e 23 astenuti, tra cui grandi
esportatori (Cina e Russia) e importatori di
armi (India, Arabia saudita, Egitto e Indonesia). Il trattato sui trasferimenti internazionali di armi (cioè le attività di esportazione, importazione, transito, trasbordo e
intermediazione) riguarda ogni genere di
armamenti convenzionali (carri armati, veicoli da combattimento corazzati, sistemi di
artiglieria, aeromobili ed elicotteri da combattimento, navi da guerra e sottomarini,
missili e lanciatori terrestri, oltre alle armi
di piccolo calibro e leggere, secondo lo
schema cosiddetto «7+1»), rendendo nel
contempo più rigide le norme per l’esportazione verso Paesi sottoposti ad embargo.
Un passo simbolico, ma storico — è stato
definito — che entrerà in vigore 90 giorni
dopo la 50a ratifica. Se l’ATT non è chiamato a «regolare l’utilizzo domestico delle
armi nei singoli Paesi, chiederà loro però di
stabilire norme nazionali per controllarne il
trasferimento all’estero», rapportando in
merito ogni anno sulle proprie esportazioni
all’istituendaimplementation support unit
delle Nazioni Unite.
«Polar
Shipping
Routes» e «IMO Polar Code»
PNAS, VOL 43,
MARCH 4TH 2013,
JOURNAL OF MARITIME
LAW & COMMERCE,
VOL 43 N. 1/12
Nei Proceedings
of National Academy of Science of
the United States, i
due ricercatori Laurence C. Smith e
Scott R. Stephenson,
nell’articolo «New
Trans-Arctic ShipRivista Marittima-Giugno 2013
Che cosa scrivono gli altri
ping Routes navigable by Midcentury»,
espongono la ricerca condotta nel contesto
del dipartimento di Geografia dell’Università della California – Los Angeles. Il progressivo scioglimento dei ghiacci sta
aprendo nuove rotte commerciali nell’Artico ed entro la metà del secolo si allargherà più decisamente non solo ai leggendari passaggi a nord-est e nord-ovest, ma
finirà anche per interessare sempre più la
parte mediana dell’Artide, in aree considerate sinora inaccessibili a causa dei ghiacci perenni. Il tutto almeno in quella che
viene definita peak season del mese di settembre e per navi classificate come moderately ice-strengthened (ie Polar Class 6).
Ipotesi formulate grazie alla simulazione
di sette differenti modelli climatici riferiti
alle presumibili variazioni del ghiaccio
marino per gli anni che, dal 2040, arrivano
al 2059, in funzione di una temperatura
globale ritenuta in costante aumento.
«Stiamo parlando di un futuro in cui le navi in mare aperto, almeno per alcuni anni,
saranno in grado di navigare senza scorta
di navi-rompighiaccio attraverso l’Artide,
un evento che, al momento, sarebbe inconcepibile». All’articolo in parola fa idealmente da pendant l’ampio saggio «Polar
Shipping. The Forthcoming Polar Code
and Implications for the Polar Enviroments» di H. Edwin Anderson III apparso
sulla seconda rivista in esame (pp. 59121). Nelle acque artiche e antartiche (cioè
nelle aree marine, rispettivamente, al di
sopra del 66° 33 N e al di sotto del 60° S),
nelle estati boreali e australi, circolano all’attualità, esordisce il Nostro, ben seimila
navi di cui 3.600 mercantili (break bulk,
container e general cargo), oltre a navi
passeggeri, da pesca, supply-vessel e re-
Rivista Marittima-Giugno 2013
search-vessel, che tenderanno ad aumentare esponenzialmente nei prossimi decenni
laddove, specialmente nell’Artico, si ritiene che il riscaldamento globale porterà la
stagione navigabile, dagli attuali 30 giorni
circa, a 120 o, secondo alcune valutazioni,
addirittura a 170. Di qui l’importanza e
l’urgenza di disporre di uno strumento
normativo unitario, in nome del doppio
paradigma della safety/enviromental protection, inteso a evitare quei disgraziati accidenti, che pur si sono drammaticamente
verificati e di cui si propone, a titolo apotropaico, un lugubre catalogo. Tipo m/v
Exxon Valdez del 1989, m/v Selendang
2004, m/v Explorer 2007 e m/v Ushuaia
Adventure 2008. Uno strumento unitario
quindi che, partendo dalla fitta trama ordinatoria delle grandi convenzioni internazionali tematiche (tipo Solas 1974 – e succesive modifiche, Marpol 73/78 e Torremolinos Protocol 1993, per intenderci) e
dalle specifiche IMO Guidelines (for Ships Operating in Polar Ice- Covered Waters) 2002-2009, ci possa offrire un approccio «olistico» (ergo design, construction, equipment, operational, training,
search and rescue and environmental protection) in un IMO Polar Code ormai in dirittura d’arrivo. L’entrata in vigore è prevista infatti per il 2014/15 e, nell’articolo in
parola, se ne ripercorre la genesi, gli sviluppi in corso d’opera e si illustrano i contenuti, con le specificità, rispettivamente,
per le aree artiche e antartiche (per il testo
del Codice e lo stato attuale dei relativi lavori, cfr nsid.org/noaa/iicwg/IICWG_
2012/Stemre_IMO_Polar_Code_pdf e
imo.org/Update on Work to Develop the
Polar Code. pdf).
Ezio Ferrante
155
RUBRICHE
Recensioni e segnalazioni
Paolo Montina
LA TRAGEDIA
DEL GALILEA
28-29 MARZO 1942
Aviani & Aviani
Udine, 2013
Pagg. 412
Euro 30,00
Nella buia e tempestosa notte sul 29
marzo 1942 affondò nelle acque delle
Isole Ioniche, silurato dal sommergibile
britannico Proteus, il piroscafo Galilea,
portando con sé 1.050 dei 1.330 uomini
che aveva a bordo, in maggioranza alpini della «Divisione Julia», rientranti in
Patria dalla Grecia. Per l’entità e percentuale (oltre l’80%) delle perdite fu uno
degli eventi più tragici della guerra al
traffico in Mediterraneo fra il 10 giugno
1940 e l’8 settembre 1943, nonostante il
piroscafo abbia impiegato ben cinque
ore prima di affondare dopo il siluramento. Fu superato nei valori assoluti
solo dal naufragio del piroscafo Conte
Rosso, avvenuto sempre in ore notturne
il 24 maggio 1941 sulle ben più tormentate rotte libiche. Qui, però, la nave
affondò in venti minuti e, comunque, si
riuscì a trarre in salvo la metà degli uomini presenti a bordo.
Anche per il paradosso della morte per
acqua di tantissimi alpini, preparati e adu156
si a combattere in opposto ambiente (paradosso, invero, apparente, appena si consideri il carattere marittimo assunto dalla
guerra nel teatro mediterraneo con tutti i
principali fronti oltremare), il fatto da subito suscitò un’emozione profonda in
Friuli, terra di reclutamento di molti dei
caduti. Con il trascorrere degli anni, il
sentimento si radicò e si diffuse, tramutandosi in un commosso ricordo collettivo, secondo solo a quello della tragedia di
poco successiva del Corpo d’armata alpino in Russia nell’inverno 1942/1943.
Ricordo appunto; che non abbisogna
della ricerca storica per formarsi e tramandarsi. Si dovettero, infatti, attendere
50 anni, perché si avesse una specifica indagine storica del naufragio, che apparve
sul «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio
Storico della Marina Militare» del marzo
1993. Sino ad allora il dramma si era trasmesso attraverso memorie scritte e testimonianze orali e soprattutto era tenuto vivo dalle associazioni d’arma e dalle stesse comunità locali, le quali, inevitabilmente, poco potevano spiegare dello
svolgersi degli avvenimenti e delle sue
cause. A sua volta, quel saggio si occupava dell’affondamento del Galilea da una
esclusiva prospettiva navale, senza troppo
soffermarsi sugli aspetti riguardanti il
personale imbarcato, la sua composizione, i drammi personali e collettivi e la sorte dei sopravissuti. Il fatto, poi, di essere
apparso su una rivista specialistica non
facilitò la sua conoscenza nella vasta platea dei potenziali interessati.
Si deve al lavoro di Paolo Montina, referente del Centro studi della sezione
Rivista Marittima-Giugno 2013
Recensioni e segnalazioni
ANA di Udine, se ora si può disporre di
una ricostruzione completa della vicenda.
L’Autore riprende sì tutti gli aspetti navali — non ultimi quelli riferibili alle cause
delle elevate perdite, in primis da ascriversi a un incredibile succedersi di disfunzioni e malintesi nelle comunicazioni
fra le navi di scorta al convoglio e fra comandi in mare e a terra nonché a un certo
vuoto di comando a bordo del piroscafo
—, ma da conto della parte avuta dei reparti alpini e di quanti altri si trovarono a
bordo del Galilea, dall’imbarco in vari
porti della Grecia all’affondamento del
piroscafo, dal dramma dei naufraghi fino
al rientro dei superstiti in Patria e, nel dopoguerra, di diverse salme esumate da cimiteri nei Balcani. È meno noto, infatti,
che a vario titolo si trovarono a bordo del
piroscafo, oltre naturalmente all’equipaggio composto da marittimi militarizzati,
personale dei bersaglieri, dei carabinieri e
di altri corpi, della stessa Regia Marina,
fino a detenuti militari italiani e civili greci. Praticamente di tutti l’Autore ha accuratamente ricostruito l’appartenenza ai reparti con tanto di elenchi nominativi,
giungendo, infine, a stabilire esattamente
tutti i numeri del naufragio, che, peraltro,
sono superiori a quelli sino a oggi approssimativamente noti. Uno specifico capitolo è dedicato, infine, al formarsi del ricordo nei decenni a seguire, scandito dalla
cronaca delle tante cerimonie e celebrazioni rievocative sempre segnate da intensa e commossa partecipazione di popolo,
dato questo che può sorprendere solo chi
non conosce il legame fra gli alpini e il
Friuli.
Nel lavoro di ricostruzione l’Autore è
ripartito dalle fonti primarie, senza accontentarsi di riesaminare e riproporre in
nuova veste quanto già scritto o tramandato sull’argomento. Ha così esplorato gli
Rivista Marittima-Giugno 2013
archivi degli uffici storici della Marina,
dell’Esercito e dei Carabinieri oltre che
della brigata alpina «Julia» e non ha trascurato gli archivi, le carte e i cimeli privati appartenenti alle famiglie dei caduti e
dei superstiti e ogni altra possibile fonte,
sino a quelle fornite dei luoghi di sepoltura, sempre soppesando e incrociando le
fonti con misura e spirito critico. Una
equilibrata selezione è presente in appendice al libro. Ne esce un affresco completo, distaccato nell’esposizione e spiegazione degli accadimenti, nonostante un
indubbio coinvolgimento dell’Autore per
la sua trascorsa appartenenza al Corpo degli alpini. Solo pochi punti, peraltro attinenti alla sfera navale, restano ancora
oscuri: nonostante ripetuti sondaggi al
National Archive del Regno Unito non è
stato, infatti, possibile ottenere nuova documentazione o chiarimenti circa l’agguato e la manovra d’attacco condotta dal
Proteus; così non è ancora chiaro quale
sia stata esattamente l’origine della sua
missione, se l’attacco sia stato eseguito
dal lato sinistro o dritto del convoglio, di
cui il Galilea faceva parte e se, effettivamente, fosse quest’ultimo il bersaglio
prescelto. Ma si tratta di dettagli.
Ragguardevole è anche l’apparato iconografico. Sono state inserite tutte le foto
rintracciate, per lo più coeve, degli uomini presenti a bordo del Galilea. Anche la
parte navale non è trascurata; di tutte le
navi partecipi della vicenda è pubblicata
almeno una fotografia, quasi sempre del
tempo e diverse di queste foto sono rare o
inedite. Ricca e poco conosciuta è anche
la documentazione fotografica attinente
al rimpatrio dei superstiti, al rientro delle
salme nel dopoguerra nonché agli eventi
commemorativi susseguitisi per decenni
sino a oggi.
Lo spazio dedicato agli elenchi di no157
Recensioni e segnalazioni
minativi, alle vicende personali e alla rimembranza postbellica può fare apparire
il lavoro un po’ sbilanciato. Ma questo taglio è anche un omaggio che Paolo Montina ha inteso offrire al Corpo degli alpini. Ed è anche il risultato dell’intento di
dare forma, contenuto e spiegazione a un
così vivo, ma per troppo tempo poco documentato, ricordo e di tradurlo in più
compiuta memoria collettiva.
Aviani Fulvio
Rose Mary Sheldon
GUERRA SEGRETA
NELL’ANTICA ROMA
Libreria Editrice
Goriziana
Gorizia, 2010
Pagg. 478
Euro 26,00
«Spiare è un’attività che accompagna
l’uomo fin dall’inizio della storia, e che
ha sempre avuto un’importanza cruciale
per chi si trovava a comandare un esercito o un’organizzazione politica». Consapevole di questo, l’autrice, colonnello e
docente di storia presso il Virginia Military Insitute, ci porta nell’antica Roma,
sviluppando la storia dei servizi segreti
dalla nascita della repubblica al 284 d.C.,
«anno in cui l’imperatore Diocleziano trasformò l’impero romano in una monarchia d’impronta orientale», coprendo
quindi quasi un millennio di storia romana. Roma, rispetto ad altre società antiche,
non diede molta importanza allo spionaggio, in quanto la sua strategia si fondava
non tanto sulla sorpresa o sulla velocità,
158
quanto piuttosto sulla forza e sulla coerenza pertanto non esisteva un’organizzazione di spionaggio istituzionalizzata centralizzata, anche se, comunque, non poteva
fare a meno delle informazioni segrete e
di un apparato idoneo per procurarsele. La
rivelazione religiosa è la forma più antica
di informazione segreta. «La convinzione
che dei fenomeni naturali rivelassero la
volontà divina o predicessero il futuro fa
sì che spionaggio e religione nelle culture
primitive siano le due facce della stessa
medaglia». E a Roma, la lettura degli auspici, cioè l’osservazione del volo degli
uccelli da parte di magistrati, era fondamentale per le scelte sia militari che politiche. Nelle campagne militari, in mancanza di uccelli selvatici, si faceva ricorso
ai polli sacri, consultati dai pullarii, allevatori di polli dotati di speciali capacità.
Se i polli si precipitavano su una pagnotta
di grano messa nella gabbia e se il grano
sfuggiva dal loro becco ( cioè, come dicevano i Romani, se il grano danzava) l’impresa aveva l’approvazione celeste. Ma
ogni comandante, una volta sul campo,
qualunque fosse stata la divinazione, faceva ricorso alle operazioni di ricognizione
ed esplorazione, per procurarsi le informazioni necessarie al successo della battaglia e alla sopravvivenza delle truppe.
Ecco quindi comparire le figure degli exploratores e speculatores (quest’ultimo temine indicherà successivamente i corrieri
e gli agenti clandestini, mentre il primo
indicherà i ricognitori a cavallo). I Cartaginesi, invece, erano esperti nelle comunicazioni e nella raccolta di informazioni e,
soprattutto, fin dall’inizio si resero conto
dell’importanza della sicurezza del controspionaggio, proteggendo gelosamente i
loro segreti commerciali fino al punto
che, come ci racconta Strabone, «un capitano cambiò percorso e portò la sua nave
Rivista Marittima-Giugno 2013
Recensioni e segnalazioni
in secca pur di non rivelare la sua vera
rotta, e lo stato lo premiò con una ricompensa di valore pari al carico perduto». E
cartaginese era Annibale, le cui innegabili capacità come generale furono dovute
principalmente all’impiego efficace delle
fonti di informazione di cui disponeva.
L’effetto sorpresa fu l’elemento che lo
contraddistinse e «le vittorie che egli riportò e che condussero Roma sull’orlo del
collasso furono il prodotto di una tempestiva raccolta di informazioni sul nemico,
sulla sua posizione, sulle sue intenzioni e
possibilità». Per sconfiggerlo fu necessario l’avvento di Scipione, che copiò l’esempio di Annibale e lo mise in pratica al
servizio di Roma. Successivamente però,
il sistema di raccolta delle informazioni
non cambiò. «L’intelligence militare dei
Romani consisteva in missioni di ricognizione in campo, in una certa attività di
raccolta clandestina, e nei collegamenti
degli eserciti alleati. Tutto ciò veniva integrato da quattro categorie di fonti civili
d’informazione: i diplomatici, commercianti, i messaggeri e le spie: gli occhi e le
orecchie dei romani all’estero». Le informazioni, come sostiene l’autrice, si raccolgono per consentire ai comandanti di
prendere decisioni sagge e quindi vincere
le battaglie e le guerre. Se i comandanti
non si procurano dati completi e precisi, e
non agiscono di conseguenza, si espongono spontaneamente alla propria rovina.
Come accadde a Crasso che, come tanti
altri generali del suo stampo, credeva che
portando l’esercito sul campo di battaglia,
l’esercito avrebbe fatto il resto e che il risultato sarebbe stato la vittoria per Roma,
sottovalutando il nemico e non preoccupandosi di procurarsi quei dati e quelle
informazioni che gli avrebbero permesso
di misurare meglio le forze e le intenzioni
dell’avversario. Nel 53 a.C Crasso fu
Rivista Marittima-Giugno 2013
sconfitto e ucciso, assieme a 24.000 uomini del suo esercito, nella battaglia di Carra contro i Parti che, pur non essendo superiori né per numero né per virtù militari, sapevano però «cosa aspettarsi e astutamente attirarono i Romani in posizioni
sfavorevoli. Informazioni affidabili, sorpresa e velocità diedero ai Parti vantaggio
rispetto a un esercito enormemente più
vasto». Lo stesso Giulio Cesare, che contava molto sulla sua proverbiale fortuna,
nelle spedizioni in Britannia del 55 e 54
a.C. che, se la buona sorte avesse cambiato strada, si sarebbero tramutate in un vero disastro, commise errori dovuti probabilmente a un vuoto di informazioni. Eravamo ancora nel periodo della Repubblica. Fu, infatti, con Augusto, architetto dell’Impero romano, che si posero le fondamenta di una struttura informativa politica
e militare, in quanto era necessario al nuovo governo centralizzato avere informazioni per proteggere i propri interessi, all’interno e all’esterno dei propri confini.
«Il primo e più rilevante cambiamento fu
l’istituzione di un servizio postale e di
messaggeria di stato, il cursus publicus,
che rimodernò l’inadeguato sistema di
porta-lettere privati in uso durante la repubblica. Allestendo una vera e propria
rete di trasporto e comunicazione, Augusto impostò lo scheletro del futuro servizio di sicurezza imperiale». In questo modo egli fu in grado di tenersi aggiornato su
tutto ciò che avveniva nelle province, anche quelle più lontane. Per proteggersi da
complotti contro la sua persona Augusto
fece ricorso a informatori professionali, i
delatores. «Fu cosi che si innescò il processo fatale per cui la burocrazia di Roma
impiegava le sue nuove competenze di
spionaggio per controllare quelli che percepiva come nemici, e, se da un lato rendeva l’impero molto più sicuro, dall’altro
159
Recensioni e segnalazioni
ne limitava la libertà». Anche questo sistema però, se pur più evoluto di quello
della Repubblica, non fu privo di pecche,
come sta a dimostrare la disfatta di Publio
Quintilio Varo, nel 9 d.C., presso la foresta di Teutoburgo, da parte di Arminio, un
Germano che parlava latino e che si conquistò la fiducia dei Romani, per poi preparare un complotto e sconfiggerli. «Se i
Romani avevano qualcosa di simile a un
controspionaggio, sicuramente qui non
entrò in azione». Fu con Domiziano che
vediamo comparire, come addetti ufficiali
alla raccolta di informazioni, i frumentarii, un’organizzazione militare composta
da soldati la cui funzione originaria era
stata quella di acquistare e distribuire il
grano. Diocleziano li sostituì con gli
agentes in rebus, aventi gli stessi compiti
dei predecessori, ma appartenenti a un’organizzazione non militare. Se quindi l’attività di spionaggio nella Roma repubblicana fu svolta da dilettanti, fu solo nel tardo impero, con Diocleziano, che si arrivò
a realizzare qualcosa di simile ai servizi
informativi. Non sempre tutto funzionò
alla perfezione: la massima preoccupazione di ciascun imperatore, a partire da Augusto, fu la propria sicurezza personale.
Ma Augusto fu uno dei pochi imperatori
romani a morire nel proprio letto. Una
storia millenaria, quindi, quella della raccolta delle informazioni che porta l’autrice ad affermare che quello della spia è il
secondo mestiere più antico del mondo.
Gianlorenzo Capano
160
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI
DI MILANO
Facoltà di scienze politiche
La guerra asimmetrica
nel contesto dei nuovi conflitti.
Caso studio:Le guerre in Cecenia
Relatore: Chiar.mo Prof Alessandro Vitale
Correlatore: Chiar.mo Prof Alessandro Colombo
Tesi di Laurea di:
Alfio Rapisarda
Matr. N. 617429
Anno Accademico 2004-2005
Alfio Rapisarda
LA GUERRA
ASIMMETRICA
NEL CONTESTO
DEI NUOVI
CONFLITTI
CASO STUDIO:LE GUERRE
IN CECENIA
Università degli
Studi di Milano
Facoltà di Scienze
Politiche
AA 2004-2005
Si segnala questa interessante tesi discussa da Alfio Rapisarda, relatore il professor Alessandro Vitale, per il conseguimento della laurea in scienze politiche
presso la Statale di Milano.
Il testo è reperibile su internet: http://
www.caucaso.org/tesi/Guerra_Asimmetrica.doc.
L’Autore coglie l’esempio del conflitto
ceceno per effettuare un’ampia disamina
della materia delle guerre asimmetriche,
partendo dal lavoro fondamentale di
Mary Kaldor, e rapportandola all’altro fenomeno attualissimo della globalizzazione. Non manca di rilevare i collegamenti
tra nazionalismo ceceno e terrorismo islamico, ponendo però in rilievo come questi legami siano abilmente sfruttati dalla
propaganda russa.
Particolarmente degno di nota pare il
ricordo della giornalista russa Anna Stepanovna Politkovskaja.
Rivista Marittima-Giugno 2013
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