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Vecchi mestieri ritornano
Vini e vino santo
della Valle dei Laghi
La poesia e il profumo di un vino che sorseggiavano
all’epoca del Concilio di Trento
I VIGNAIOLI
Una voce non trascurabile nell’economia della
Valle dei Laghi, da sempre, è quella offerta dalla
vite, in particolare del vitigno Nosiola coltivato
attorno a Calavino, a Padergnone, al Castello di
Toblino, a Dro; è il più
antico vitigno ad acino
bianco coltivato in Trentino ed è l’unico vitigno
bianco autoctono (si coltiva anche sulle colline
Avisiane e in Valle di
Cembra). Dall’appassimento naturale delle sue
uve si ottiene lo zuccherino Vino Santo. Anche se
in passato veniva servito
come vino da Messa non
è comunque il vino servito nell’eucarestia; il termine “santo” interpreterebbe le operazioni di
pigiatura delle uve appassite che si eseguono, ieri
come oggi, durante la
Settimana Santa. Per altri, invece, tradurrebbe il
vocabolo greco xantós, nel
significato di giallo, biondo, ch’è appunto il suo
colore. È comunque il vino segnalato dallo storico
Michelangelo Mariani,
nel suo volume Trento con
il sacro Concilio et altri notabili del 1673: «alle Sarche (…) si fanno vini
bianchi e generosi con
aver insieme del matto e
muto».
Quando in autunno
giunge il tempo della
vendemmia, i grappoli
vengono raccolti a più riprese a seconda della maturazione e tagliati a piccole dimensioni; sono
quindi posti ad appassire
sui graticci, le arèle, in appositi ambienti ventilati
dalla costante brezza del
Garda. È questa, infatti,
una prerogativa per una
buona riuscita del vino, a
cui si aggiunge necessariamente la componente
calcarea del terreno. Appassiscono così le uve,
sotto l’azione anche di
una particolare muffa che
provoca la concentrazione dello zucchero senza
che l’acino marcisca; a
marzo, in genere durante
la Settimana Santa, assecondando una ritualità
assai antica, si passa alla
pigiatura e spremitura col
torchio azionato con una
pressione leggera ma costante. Il mosto viene
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quindi conservato in piccole botti di rovere per un
minimo di cinque anni.
Dopo questo periodo di
invecchiamento, che conferisce al vino un residuo
zuccherino di 10/15 gradi e un profumo che ricorda il lievito di pane,
viene imbottigliato ed è
pronto per accompagnare
deliziosi piatti della gastronomia trentina, in
particolare i dolci.
In primavera, da diversi
anni, si tiene a Castel Toblino la Mostra del Nosiola e del Vino Santo (di
recente la manifestazione
abbraccia anche il Rebo
Trentino DOC e la
Grappa di Nosiola) che,
oltre a valorizzare questo
prezioso vitigno, sottolinea l’importanza della
collaborazione tra vignaioli ed enologi per la
produzione di un vino
che sia davvero “santo”.
IL VINO SANTO
Il vino di Calavino per taluni sarebbe il famoso vino Retico, che il poeta
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Orazio cita accanto al
Massico e al Falerno, vini
presenti sulle mense dell’imperatore Augusto.
Di certo, comunque, tra i
vini che si producono nei
vigneti di Calavino, come
nell’intera Valle dei Laghi, c’è il Vino Santo o
vin dólze, il vino prediletto dei Padri conciliari. Si
narra che la ragione per
cui in paese esista un gran
numero di case rusticosignorili è proprio legata
al vino: i Madruzzo, infatti, signori del luogo,
non permettevano l’esportazione del vino santo se non a coloro che
possedevano casa in pae-
se. Il principe vescovo
Carlo Emanuele Madruzzo, inoltre, vi nominò un bottigliere personale.
La storia restituisce diversi documenti attestanti la produzione del Vino
Santo soprattutto a partire dall’Ottocento – nel
1822 i Conti Wolkenstein lo producono nelle
cantine di Castel Toblino
di cui erano allora proprietari – un mercato che
arriva al culmine alla vigilia della Prima Guerra
Mondiale, allorché viene
prescelto dalla corte di
Vienna.
Poi, lentamente, l’avanza-
ta dei vini dolci a basso
costo provenienti dalle
cantine del sud d’Italia
inizia a segnare una crisi,
fino a quando i produttori della valle, nel 1971,
giungono al riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata (DOC); del 1980
è la creazione del Consorzio per la tutela e valorizzazione del Vino Santo Classico Trentino
voluto per difendere il
Vino Santo dalle imitazioni o dalle produzioni
di bassa qualità. Il Vino
Santo, delizia degli intenditori e perla dell’enologia trentina, è un vino che
va degustato a piccoli sorsi, lasciando magari vagare la mente al delicato
paesaggio che lo genera:
ordinate pergole di vite le
cui sfumature di verde si
perdono nei riflessi delle
acque dei laghi.
I testi e le foto sono tratti
dal volume “Vecchi mestieri ritornano” di Silvia
Vernaccini, ed. Federzione
Cori del Trentino, 2004.
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TRENTINO
EMIGRAZIONE
LA VALLE DEI LAGHI
le casata che resse il Principato vescovile di Trento
dalla metà del Cinquecento alla metà del secolo successivo. È proprio una leggenda di amori proibiti legata a Carlo Emanuele Madruzzo – ultimo erede
della famiglia – a lanciare turisticamente il castello,
assieme al richiamo del Vino Santo ottenuto dai vigneti che “ricamano” la zona tutt’attorno. Nel 1822
è noto che sono gli stessi Conti Wolkenstein, allora
proprietari del castello, a produrre questo vino aromatico nelle cantine dello stesso Castel Toblino. Al
conte Leopoldo Wolkenstein si deve anche il lussureggiante parco che lo circonda, adorno di diversi
esemplari secolari; nel 1845, infatti, si fece arrivare
dall’America piante esotiche, sequoie e tassodi, questi ultimi ancora visibili.
Per conoscere la sfarzosa vita cortigiana dei Madruzzo e, al contempo, i più semplici costumi e i
mestieri della gente della Valle dei Laghi, risulta
piacevole assistere alla manifestazione in costume
dal titolo Feste Madruzziane, che si tiene in estate a
Calavino.
o stemma comunale di Calavino, adottato
nel 1989, ricorda la storia e l’economia locale: i grappoli d’uva per la coltivazione della
vite e i busti di leone d’oro con la lingua rossa simbolo dei nobili del luogo, i de Negri, campeggiano
inquartati. Così come è tutt’oggi visibile il bel palazzo dei de Negri di San Pietro, a dominio del paese, segnato da una torricella e circondato da un alto
muro a protezione dei giardini e della cappella, così
infatti sono una gioia per l’occhio i regolari campi
coltivati a vigneto. Nel comune di Calavino rientra
la frazione di Toblino, impreziosita anch’essa da generosi vitigni e, soprattutto, dall’omonimo castello
che, per il Trentino, rappresenta un raro esempio di
fortificazione lacustre. Probabile castelliere preistorico, quindi insediamento romano su un isolotto del
lago che, causa l’abbassamento delle acque, divenne
penisola, il castello si presenta con predominanti
stilistiche rinascimentali, risultato del mecenatismo
dei principi vescovi di Trento, in particolare Bernardo Clesio e Gian Gaudenzio Madruzzo, della nobi-
L
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Vini e vino santo della Valle dei Laghi