Summer School Medicina d’Urgenza
Villasimius (CA), 19-23 settembre 2004
ABSTRACT
La Redazione accoglie favorevolmente l’invito del Presidente Pier Mannuccio Mannucci
di pubblicare gli abstract presentati alla Summer School
Gli Specializzandi che hanno partecipato alla Summer School sono indicati in neretto
305
Summer School Medicina d’Urgenza
Villasimius (CA), 19-23 settembre 2004
(Ann Ital Med Int 2004; 19: 307-330)
Dissecazione spontanea dell’arteria celiaca:
report di un caso
no indicati in pazienti emodinamicamente instabili in cui persiste il dolore addominale o quando la terapia farmacologica antipertensiva è inefficace o vi è una progressione nell’evoluzione della dissecazione. In altri casi può essere sufficiente il semplice follow-up clinico.
Attilio Allione
Dipartimento di Medicina Interna,
Università degli Studi di Torino
Pseudoermafroditismo femminile: diagnosi in paziente
di 71 anni con dolori addominali e massa pelvica di ndd
Premessa. La dissecazione spontanea dell’arteria celiaca rappresenta un evento clinico eccezionale ed in letteratura solamente
pochi casi sono stati segnalati. Circa la metà di tutte le dissecazioni coinvolgenti le arterie viscerali sono generalmente asintomatiche e la diagnosi viene effettuata incidentalmente durante l’autopsia.
Caso clinico. Descriviamo il caso di un paziente di 41 anni che
giunge in Pronto Soccorso nel settembre 2002 per la comparsa
improvvisa di dolore in ipocondrio, fianco, fossa iliaca sinistra
ingravescente non modificabile con la postura in assenza di
febbre e con alvo regolare. Non si segnalano precedenti internistici di rilievo, in particolare non traumi addominali recenti.
Per il persistere della sintomatologia veniva eseguita una TAC
addome che rivelava la presenza di un ampio infarto splenico.
Per tale ragione veniva quindi eseguito lo studio vascolare
dell’aorta e dei vasi dei visceri addominali che dimostrava
un’ectasia del tripode celiaco nel cui lume era evidenziabile
un’immagine lineare ipodensa con le caratteristiche del flap intimale; a valle del tripode si evidenziava inoltre la completa trombosi dell’arteria epatica e dell’arteria splenica che risultavano ricanalizzate a valle attraverso i circoli collaterali derivanti dall’arteria gastrica e dall’arteria mesenterica superiore. Queste osservazioni suggerivano che la dissecazione dell’arteria celiaca
era stato un evento antecedente all’infarto splenico. Per presenza
dei circoli collaterali, non veniva eseguita correzione chirurgica. Un ecocardiogramma transtoracico non dimostrava la presenza
di trombi nelle cavità cardiache. Per valutare eventuali malformazioni vascolari a livello degli altri distretti arteriosi è stato eseguito uno studio eco-Doppler dei tronchi sovraortici e degli arti inferiori che evidenziava vasi con calibro, decorso e flussi nella norma. Circa 2 mesi dopo la dimissione, il paziente presentava accettabili valori pressori (130/80 mmHg) con trattamento con enalapril 10 mg/die, atenololo 50 mg/die ed era in terapia anticoagulante.
Discussione. La dissecazione dell’arteria celiaca rappresenta
un evento raro che dovrebbe essere incluso nella diagnosi differenziale del dolore addominale dei quadranti superiori. L’intervento chirurgico o l’utilizzo di procedure endovascolari so-
Nicola Arezzi, E. Venturi
Clinica Medica III, IRCCS Policlinico San Matteo,
Università degli Studi di Pavia
Uomo di 71 anni, ricoverato per dolori addominali e vomito.
In anamnesi oligofrenia da encefalopatia anossica perinatale e
ritardo nello sviluppo psico-somatico. Dall’età di 40 anni istituzionalizzato con progressiva perdita dell’autonomia e della capacità di interagire con l’ambiente. All’ingresso ipoteso (pressione arteriosa 70/50 mmHg), tachicardico (frequenza cardiaca
120 b/min), febbrile (temperatura corporea 37.5°C).
Obiettivamente disidratazione cutaneo-mucosa. Addome trattabile, dolente e dolorabile nei quadranti inferiori di sinistra,
Blumberg negativo, peristalsi torpida. All’esplorazione rettale
presenza di feci normocolorate in ampolla. Murmure vescicolare
su tutto l’ambito polmonare. Ipostaturalità. Ipospadia ed assenza di testicoli nella borsa scrotale, peraltro ben conformata.
Le indagini bioumorali mostrano leucocitosi neutrofila ed
aumento degli indici infiammatori. All’esame radiologico dell’addome è presente qualche livello idroaereo di modesta entità.
L’esame ecografico evidenzia tumefazione surrenalica bilaterale
ed una massa, disposta posteriormente alla vescica, di circa 20
cm a struttura disomogenea di non univoca interpretazione (neoplasia del sigma? raccolta colliquativa? diverticolo perforato
con peritonite circoscritta?). La TAC dell’addome non risolve
il dubbio diagnostico.
L’obiettivo iniziale è la stabilizzazione emodinamica del paziente, che si ottiene peraltro rapidamente con terapia idratante, antibiotica empirica ed aminica vasoattiva; si osserva inoltre la spontanea risoluzione della sintomatologia addominale ed
un miglioramento degli indici di flogosi. Vengono eseguite a questo punto indagini strumentali mirate all’inquadramento diagnostico della massa addominale. Lo studio radiologico ed endoscopico del tratto digerente non documenta alterazioni di rilievo ed in particolare esclude le patologie a carico del sigma,
307
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
suggerite da ecografia e TAC. Una attenta valutazione dei radiogrammi TAC fa sorgere il sospetto che la massa pelvica sia
in realtà un utero. Un secondo esame ecografico mirato conferma questa ipotesi e riconosce inoltre la presenza di vagina ed annessi. All’analisi cromosomica il paziente presenta un cariotipo
46 XX. I dosaggi ormonali supportano il sospetto di sindrome
adreno-genitale con virilizzazione (elevati livelli di ACTH, androstenedione, 17-OH progesterone, testosterone e normali livelli di cortisolo ed aldosterone). La conferma diagnostica viene dalla successiva analisi genetica, che evidenzia una sola copia del gene P450c21B (CYP21,CA21H) ed una mutazione Ile172-Asn (999). La combinazione di questa mutazione con la delezione del gene P450c21B (o conversione genica estesa) può essere associata a deficit di 21-idrossilasi. La ridotta sintesi di
idrocortisone che ne consegue induce un aumento compensatorio di ACTH, causa dell’iperplasia surrenalica, ed una sovrapproduzione secondaria di androgeni con conseguente virilizzazione
nelle femmine e mascolinizzazione precoce negli uomini.
Il caso dimostra come nessuna ipotesi diagnostica debba essere scartata a priori e come una alterazione genetica grave
possa rimanere misconosciuta sino a tarda età.
la frequenza cardiaca all’ECG si osservava flutter atriale condotto
dal pacemaker 2:1 e quindi il paziente, già in terapia anticoagulante orale, veniva sottoposto con successo a cardioversione
elettrica.
Nei giorni successivi tuttavia persisteva dispnea con importante riduzione della saturazione di ossigeno sotto sforzo, turgore
delle giugulari e stasi bibasale; anche il reperto radiografico
del torace risultava invariato rispetto all’ingresso. Con il ripristino del ritmo sinusale e di una frequenza ventricolare intorno
a 60 b/min si poteva ora apprezzare un soffio sistolico 2/6 a livello del II spazio intercostale destro. Veniva quindi eseguito ecocardiogramma transesofageo che svelava la presenza di un ampio difetto interatriale di tipo ostium secundum con shunt bidirezionale. Il paziente veniva dunque sottoposto ad intervento cardiochirurgico di chiusura del difetto con patch e successiva risoluzione del quadro clinico.
Il difetto del setto interatriale è una complicanza minore e poco frequente della chirurgia valvolare mitralica quando si ricorra
all’approccio transettale. Generalmente tuttavia lo shunt si riduce
progressivamente fino a sparire entro 2 mesi dall’intervento.
Nel caso in esame il difetto del setto interatriale persisteva a
18 mesi dall’intervento cardiochirurgico. Perciò questa patologia deve essere considerata anche dopo 2 mesi fra le diagnosi differenziali delle cause di scompenso cardiaco nei pazienti con pregresso intervento valvolare mitralico. Particolare attenzione va
inoltre posta in presenza di aritmie atriali e di ipertensione arteriosa polmonare, che sono frequentemente associate a tale difetto e pertanto ne possono mascherare la presenza, rendendo difficile la diagnosi.
Difetto acquisito del setto interatriale: caso clinico
Luisa Arnaldi, F. Mecca, E. Scalabrino, A. Lacaria,
P. Cavallo Perin
SCDU Medicina Interna, Dipartimento di Medicina Interna,
Università degli Studi di Torino
Il paziente F.V., di 56 anni, giungeva alla nostra osservazione per astenia, cardiopalmo e dispnea per sforzi moderati di recente insorgenza.
In anamnesi si segnalava ipertensione arteriosa essenziale in
portatore di protesi meccanica valvolare mitralica, posizionata
un anno e mezzo prima della nostra osservazione, e di pacemaker
VVI per blocco atrioventricolare di III grado, insorto nel postoperatorio. L’obiettività all’ingresso era caratterizzata da toni cardiaci tachicardici, ritmici, turgore delle giugulari a 30°, positività del reflusso epato-giugulare, crepitii bibasali e succulenza
agli arti inferiori. La saturazione di ossigeno in aria ambiente era
dell’88%. Tra gli esami di laboratorio spiccava lieve anemia normocitica, modesta attivazione degli indici aspecifici di flogosi
senza leucocitosi, modesto rialzo delle transaminasi. La troponinemia seriata e il D-dimero erano negativi. L’emogasanalisi
arteriosa mostrava ipossia e normocapnia. All’ECG si osservava una tachicardia a 120 b/min con ritmo di pacemaker. La radiografia del torace evidenziava accentuazione vascolare della
trama con congestione ilare da stasi del piccolo circolo senza lesioni pleuroparenchimali; ombra cardiaca ai limiti superiori della norma.
Veniva posta diagnosi di scompenso cardiaco congestizio e il
paziente veniva trattato con ossigenoterapia, furosemide e diuretici risparmiatori di potassio, carvedilolo e ramipril.
Dopo due giorni di terapia il peso corporeo era ridotto, ma persistevano segni di scompenso cardiaco. Con il rallentamento del-
Tromboembolismo venoso:
sinergismo tra fattori di rischio genetici e ambientali
M. Arquati, Beatrice Porta, A. Guardoni, M. Cortellaro
Cattedra di Medicina Interna, Istituto Policlinico San Donato,
Università degli Studi di Milano
Il tromboembolismo venoso è spesso una malattia multifattoriale dovuta all’interazione di più fattori di rischio. Descriviamo
un caso di una giovane adulta, dell’età di 18 anni, di razza caucasica, giunta alla nostra attenzione per edema e dolore all’arto inferiore sinistro insorto da 5 giorni. La paziente riferiva assunzione di estroprogestinico di terza generazione da 8 mesi per
dismenorrea e, 2 giorni prima dell’insorgenza della sintomatologia, viaggio aereo di durata > 6 ore. Anamnesi familiare negativa per malattie tromboemboliche, anamnesi fisiologica negativa per aborti spontanei e anamnesi patologica remota muta.
I dati clinici e anamnestici suggerivano una diagnosi di trombosi
venosa profonda (TVP) confermata dall’eco color Doppler che
documentava estensione iliaco-femoro-poplitea sinistra. Tra i dati di laboratorio si segnala incremento dei valori di D-dimero
(1830 µg/L) e fibrinogeno (570 mg/dL) in assenza di alterazioni dei rimanenti parametri della coagulazione. L’elettrocardiogramma e la radiografia del torace non evidenziavano alterazioni
suggestive per sospette complicanze tromboemboliche polmo-
308
Summer School Medicina d’Urgenza
nari. In considerazione della giovane età e dell’assenza di patologie concomitanti, si effettuava screening trombofilico (omocisteina basale, fattore V Leiden, mutazione fattore II, ACA,
LLAC, proteina C, proteina S, antitrombina III) che rilevavano
presenza di mutazione eterozigote G20120 della protrombina. La
paziente veniva posta a riposo a letto con arto in scarico per i primi giorni e in terapia con LMWH (enoxaparina 100 UI/kg 2
volte/die) successivamente sostituita da somministrazione di
dicumarolico (acenocumarolo) con range terapeutico INR tra 2.53. Il decorso clinico non presentava complicanze di rilievo e si
assisteva a progressivo miglioramento del quadro clinico con ripresa di deambulazione con calza elastica compressiva. Alla dimissione veniva stilato programma terapeutico caratterizzato
da prosecuzione di trattamento anticoagulante orale per circa 6
mesi, sospensione dell’assunzione di estroprogestico in via definitiva, messa in atto di adeguate misure profilattiche in caso di
situazioni ad elevato rischio trombotico (immobilizzazione prolungata, interventi chirurgici, gravidanze) e la necessità di identificare altri componenti familiari portatori di anomalie genetiche con effetti protrombotici.
Il caso clinico sopra esposto è paradigmatico degli effetti derivanti dall’interazione tra fattori genetici misconosciuti e ambientali. La paziente in esame ha manifestato la comparsa di patologia trombotica venosa a rischio embolico pur in assenza di
precedenti patologici di rilievo. La sovrapposizione di immobilizzazione prolungata in concomitanza del viaggio aereo e
l’assunzione di estroprogestinici hanno slatentizzato gli effetti
di anomalia genetica (mutazione eterozigote G20120) condizionante incremento del rischio trombofilico. Tale reperto rappresenta un dato di fondamentale importanza dal punto di vista
prognostico per la paziente, in quanto permette counseling informato circa la necessità di misure profilattiche antitrombotiche
in situazioni ad elevato rischio.
duttiva. Addome disteso, meteorico, non trattabile. Attività cardiaca ritmica a bassa frequenza (47 b/min), toni parafonici.
EOT emitorace di destra ipoespansibile agli atti del respiro,
suono ottuso in campo medio-basale polmone di destra, riduzione
e abolizione del MV in campo medio e basale polmone di destra. Pressione arteriosa 190/100 mmHg. Dalla sua storia anamnestica risultava affetto da ipertensione arteriosa trattata con
discreto compenso, a 60 anni; diagnosi di emicrania sinistra, da
allora, in trattamento ininterrotto, con methysergide. Null’altro
di patologico da segnalare. Di PS effettuava Rx addome (non livelli idroaerei), Rx torace (evidenziava versamento pleurico
destro senza lesioni a focolaio) ed esami ematochimici che evidenziavano: leucocitosi con neutrofilia, anemia, iperazotemia,
ipercreatininemia, alterati gli indici di flogosi. Successivamente
in reparto si eseguì una ecografia addome che evidenziava idronefrosi bilaterale con riduzione dello spessore corticale dei reni. TAC addome-torace: in corrispondenza del segmento apicale
del lobo inferiore destro, in sede paravertebrale, si documenta
la presenza di addensamento rotondeggiante del diametro di
circa 4 cm nel cui contesto si apprezzano alcune immagini aeree con perdita di volume del polmone omolaterale da verosimile
atelettasia rotonda. Coesiste abbondante versamento nel cavo
pleurico omolaterale. In addome superiore si evidenzia quadro
di idronefrosi bilaterale con apprezzabile dilatazione degli ureteri sino allo sbocco in vescica senza immagini riferibili a calcoli. Non si rilevano grossolane lesioni espansive in sede addomino-pelvica, né versamento ascitico. Alla pielo-RM si documenta quadro di uretero-idronefrosi bilaterale di severa entità
sostenuta da stenosi al passaggio tra il tratto lombare e pelvico
dell’uretere, con gli ureteri che mostrano tendenza alla medializzazione nella sede della stenosi. Lo studio RM convenzionale documenta insudiciamento del tessuto adiposo retroperitoneale,
espresso da scarsa apprezzabilità dei vasi iliaci, con tessuto fibrotico disposto anteriormente al promontorio sacrale in sede mediana. Il quadro RM rilevato, in assieme al quadro convenzionale, depone per fibrosi retroperitoneale causa di uretero-idronefrosi bilaterale. La methysergide, acido 1-metil-d-lisergico
butanolamide, è un derivato semisintetico della segale cornuta;
antagonista del recettore per la serotonina, utilizzato in terapia
come vasocostrittore nel trattamento delle cefalee severe di origine vascolare. Oltre alla sospensione del farmaco è stata intrapresa terapia immunosoppressiva con prednisolone 40 mg/die per
il primo mese per poi dimezzare la dose nei successivi mesi e
mantenerla a 8 mg/die per circa 8 mesi. Dopo 2 mesi di terapia
il quadro ecografico di idroureteronefrosi sinistra si era risolto
mentre a destra era ancora presente una lieve idroureteronefrosi, regredita al controllo dopo 6 mesi. Il paziente ancora oggi non
presenta nessun segno della malattia.
Conclusione. In questo caso di fibrosi retroperitoneale iatrogena sia la parte diagnostica (RMN), che quella terapeutica (terapia immunosoppressiva oltre naturalmente alla sospensione immediata della methysergide) sono state condotte in modo incruento, senza sottoporre il paziente a prelievi bioptici e ad un
intervento di ureterolisi.
Fibrosi retroperitoneale iatrogena:
descrizione di un caso clinico trattato in modo incruento
Marco Atteritano
Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Messina
Introduzione. La fibrosi retroperitoneale è una malattia rara, descritta per la prima volta nel 1905 da un urologo francese, ma
che solo nel 1948 grazie ad un lavoro di Ormond, divenne nota descrivendola come una entità clinica ben definita. È una
malattia caratterizzata dalla proliferazione di tessuto fibroso, in
sostituzione del normale, generalmente a livello della zona centrale del peritoneo. Le cause possono essere di natura autoimmune (anche se a tutt’oggi non molto chiaro) o neoplastica o iatrogena.
Presentazione. Un uomo di 67 anni veniva ricoverato per comparsa improvvisa di sintomatologia ingravescente caratterizzata da: nausea, coliche addominali e stipsi ostinata; tosse secca
e dispnea a riposo ingravescente; rialzo dei valori pressori sistodiastolici; oligo-anuria. Alla prima osservazione il paziente si presentava: febbrile (38°C), dispnoico con tosse scarsamente pro-
309
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
Epatite acuta severa ed insufficienza renale acuta
in corso di terapia con buprenorfina a dose terapeutica
L’agobiopsia epatica, eseguita 2 settimane dopo l’accesso
presso il Dipartimento di Emergenza, mostrava un quadro di necrosi focale modesta associata a steatosi macrovescicolare con
caratteristiche istologiche compatibili con l’eziologia farmacologica.
Nella pratica clinica resta difficile definire il rapporto causale tra un singolo trattamento farmacologico e le reazioni osservate. In questo caso il paziente assumeva da tempo anche clonazepam e gabapentin, di cui non si hanno segnalazioni di epatotossicità o nefrotossicità ed il paracetamolo era stato introdotto
quando i sintomi erano già presenti a dosi molto basse e tali da
non poter indurre un danno tossico. La possibilità di una riattivazione virale sembra poter essere esclusa sulla base del quadro
istologico che non presentava caratteristiche compatibili con
l’eziologia virale.
Alla luce del metabolismo prevalentemente epatico della
BPN, nel sospetto di alterazioni a carico del citocromo P450, è
stata esclusa la presenza di polimorfismi noti per essere associati
ad un alterato metabolismo dei farmaci, potendo ragionevolmente
escludere una suscettibilità genetica.
D’altra parte, basse dosi di paracetamolo e la presenza del virus HCV nel fegato, possono aver facilitato una tossicità mitocondriale che caratterizza il meccanismo epatolesivo di questo
farmaco. Anche gli elevati livelli di BPN possono aver favorito la comparsa del danno tubulare renale.
In conclusione la BPN a dosaggi terapeutici può condurre ad
una severa tossicità epatica e renale. È pertanto consigliabile, in
particolare in pazienti potenzialmente predisposti (HCV+, HIV+,
HBV+, etilisti, ecc.), specie se in trattamento con farmaci con
potenziale tossicità mitocondriale, eseguire un periodico monitoraggio degli indici epatici e renali.
Alberto Benetti, A. Giorgini, M. Colpani, M. Podda, M. Zuin
Divisione di Clinica Medica, Unità di Epatologia
e Gastroenterologia Medica, Dipartimento di Medicina
Chirurgia e Odontoiatria, Polo Universitario San Paolo,
Università degli Studi di Milano
La buprenorfina (BPN), analogo semisintetico derivato dalla morfina/tebaina, con effetti agonisti/antagonisti sui recettori
della morfina, è da anni prescritta a bassa dose a scopo analgesico. Più recentemente è stata utilizzata come farmaco sostitutivo nel trattamento delle farmaco-dipendenze in alternativa al
metadone. Un dosaggio compreso tra 8 e 32 mg/die per via
sublinguale è considerato sicuro ed efficace anche per trattamenti
prolungati. In letteratura sono descritti casi di epatiti acute severe in seguito ad uso improprio per via endovenosa od assunzione per via orale di un’overdose a scopo suicidario, mentre sono state osservate solo modeste alterazioni dei livelli delle transaminasi in circa il 10% dei pazienti quando impiegata a dosaggio
terapeutico.
Viene qui riportato un caso di epatite acuta severa ed insufficienza renale secondaria alla terapia con BPN per via sublinguale utilizzata al dosaggio raccomandato.
Un uomo di 33 anni antiHCV+ e con storia di abuso di alcool,
cocaina e di eroina si è presentato presso il nostro centro per la
comparsa di epatite acuta severa ed insufficienza renale. Il paziente era inserito da 3 mesi in un programma di disintossicazione per cui aveva assunto inizialmente metadone, sostituito successivamente dalla somministrazione di 20 mg/die di BPN per
via sublinguale nelle 3 settimane precedenti l’accesso in Pronto
Soccorso. Tale farmaco è stato assunto dal paziente in presenza del medico del centro psico-sociale.
All’ingresso il paziente lamentava una sintomatologia similinfluenzale; si presentava itterico (bilirubina totale 6.4 mg/dL),
anurico, con segni di severo danno epatico con deterioramento
degli indici di sintesi (PT-INR 2.4) e citolisi epatocitaria (ALT
300 volte i valori normali) associati ad insufficienza renale
(creatinina 4.6 mg/dL). La terapia farmacologica in corso che
comprendeva, oltre alla BPN, il clonazepam (2 mg/die), il gabapentin (300 mg/die) ed il paracetamolo (4 g nelle 72 ore precedenti il ricovero), assunto autonomamente come sintomatico,
è stata prontamente sospesa.
L’esame delle urine escludeva la presenza di cocaina od oppioidi, mentre si rilevavano elevati livelli sierici di BPN (115
ng/mL). Nelle successive 24 ore il paziente sviluppava encefalopatia epatica e persisteva anuria, per cui sono state necessarie
2 sedute emodialitiche. Dopo la sospensione della terapia in
corso si è osservato un rapido miglioramento del quadro epatico e renale con normalizzazione dei parametri ematochimici nei
2 mesi successivi. La determinazione sierica dell’HCV-RNA, persistentemente negativa ai controlli precedenti il ricovero, era risultata positiva (HCV-RNA 100 000 copie/mL) durante l’evento acuto per poi negativizzarsi ai successivi controlli.
L’approccio alla patologia acuta nell’anziano fragile:
descrizione di un caso clinico
Ilaria Bindi, F. Maggi, M. Bicchi, S. Forconi
Dipartimento di Medicina Interna, Cardiovascolare e Geriatrica,
Università degli Studi di Siena
Presentiamo il caso clinico relativo alla degenza della paziente B.A. di anni 75, affetta da demenza senile, ospite in Residenza
Sanitaria Assistenziale e ricoverata in regime di urgenza presso
il nostro Dipartimento per dispnea ingravescente. All’ingresso in
Clinica la paziente si presentava disorientata, intensamente dispnoica, cianotica. Al torace si apprezzava ottusità plessica a livello dell’intero emitorace di sinistra nel cui ambito risultava pressoché abolito, all’auscultazione, il murmure vescicolare. L’addome
si presentava espanso, teso, scarsamente trattabile con voluminoso
laparocele sotto-ombelicale; la palpazione superficiale e profonda evocavano intensa dolorabilità diffusa e rivelavano la presenza
di una tumefazione dura, di consistenza teso-elastica, mobile, in
regione lombare destra; l’alvo risultava chiuso a feci e gas. Al cuore i toni erano validi in successione aritmica come confermato da
un ECG che documentava la presenza di fibrillazione atriale. Dagli
esami ematochimici emergeva modesta insufficienza renale e lieve squilibrio idroelettrolitico con tendenza all’ipokaliemia, ipo-
310
Summer School Medicina d’Urgenza
glicemia, aumento del CA-125 (156.3 U/mL vs 35). L’emogasanalisi, effettuata su prelievo da arteria radiale in aria ambiente,
rilevava marcata ipossiemia. In regime di urgenza venivano
quindi effettuati un ecocardiogramma che documentava la presenza di una massa mobile (2 1 cm), con sottile peduncolo, in
auricola sinistra verosimilmente riferibile a trombosi ed un esame radiografico del torace che mostrava completo opacamento
del polmone sinistro da atelettasia. Per chiarire l’origine dell’atelettasia ed in considerazione della presenza di intensa sintomatologia dispnoica si richiedeva pertanto una broncoscopia che concludeva per ostruzione completa dell’emisistema bronchiale sinistro da abbondanti secrezioni muco-purulente a partire dallo sperone tracheale e veniva eseguita adeguata aspirazione delle stesse con successiva scomparsa della dispnea. Collateralmente, data la sintomatologia e l’obiettività addominale veniva effettuata
una Rx diretta dell’addome che mostrava accentuata distensione delle anse intestinali con numerosi livelli idroaerei. L’emergere di un quadro subocclusivo ed il rilievo della tumefazione addominale ci inducevano a richiedere una consulenza chirurgica
volta a stabilire il corretto iter diagnostico-terapeutico: venivano pertanto applicati sonda rettale e sondino naso-gastrico con parziale miglioramento della distensione addominale ed effettuate
varie indagini strumentali per accertare la natura della neoformazione addominale tra cui una TAC addome completo che
confermava la presenza di formazione di aspetto ateromatoso di
14 cm di diametro, notevolmente mobile, di verosimile origine
mesenterica. Veniva quindi affrontato il problema della strategia
terapeutica ottimale sussistendo le indicazioni per l’asportazione della massa retroperitoneale, responsabile certamente degli episodi subocclusivi intestinali. Per tale motivo esaminavamo attentamente il caso con i colleghi chirurghi che escludevano, sulla base dell’elevatissimo rischio perioperatorio legato alle condizioni generali della paziente, ogni possibilità di intervento.
Pertanto ci limitavamo ad una terapia medica volta al ripristino
del metabolismo glucidico ed al riequilibrio dei quadri elettrolitico, respiratorio ed emodinamico, con risoluzione degli eventi
acuti e ritorno ad una situazione clinica che, per quanto potenzialmente precaria, presentava le caratteristiche di stabilità e cronicità. In conclusione, questo caso clinico ci sembra emblematico delle difficoltà di portare a termine un corretto iter diagnostico e terapeutico nel caso di pazienti anziani, dementi, non autosufficienti, con le caratteristiche della polipatologia in cui l’elemento di “fragilità” finisce per costituire una sorta di ostacolo,
più presunto che reale, per l’esecuzione di procedimenti sicuramente invasivi e rischiosi ma, contemporaneamente, gli unici in
grado di risolvere una patologia acuta o riacutizzata.
all’ipocondrio destro e all’epigastrio, con irradiazione scapolare e sottoscapolare destra.
Anamnesi (particolarmente difficoltosa per una tendenza alla reticenza e uno stato depressivo giustificato da una situazione familiare pesantemente segnata da patologie neoplastiche):
ipotiroidismo primitivo in terapia sostitutiva. Esame obiettivo:
paziente vigile, lucido, orientato, collaborante. Toni cardiaci
validi, ritmici, normofrequenti. FVT normotrasmesso, suono
chiaro polmonare, MV diffusamente ridotto, non rumori aggiunti; addome trattabile, dolente alla palpazione profonda in ipocondrio destro e positività del segno di Murphy. Pressione arteriosa 140/80 mmHg; SO2 97% (aria ambiente). ECG: ritmo sinusale 68/min; tracciato esente da anomalie significative.
Laboratorio: incremento degli indici di flogosi (globuli bianchi
12 000, neutrofili 85.9%, fibrinogeno 735, α2-globuline 15.5%)
e di quelli di colestasi (γ-GT 97, bilirubina totale 2.10, diretta 0.6).
Esami strumentali: Rx torace (negativo per lesioni pleuroparenchimali); ecografia addome superiore (colecisti con note colecistosiche di tipo colesterolosico in assenza di formazioni litiasiche o dilatazione delle vie biliari). Decorso: nelle 48 ore successive la sintomatologia dolorosa all’ipocondrio destro regrediva, ma il paziente lamentava un intensificarsi del dolore scapolare destro che si accentuava con gli atti respiratori, e risultava scarsamente o per nulla responsivo ai farmaci antidolorifici. All’esame obiettivo compariva ipofonesi e assenza del MV
alla base destra, e si verificavano alcuni lievi episodi emoftoici. D-dimero: negativo. Rx torace: sopraelevazione dell’emidiaframma destro, presenza di versamento pleurico parieto-basale omolaterale di modesta entità. TC toracica: tromboembolia a carico del ramo per il lobo inferiore dell’arteria polmonare destra.
In assenza di riscontri obiettivi di processi tromboflebitici, dopo insistente approfondimento anamnestico il paziente ammetteva di avere omesso l’informazione (giudicata ininfluente) di
un recente trauma contusivo all’arto inferiore destro trattato
con posizionamento di un apparecchio gessato (poi autorimosso per intolleranza). L’eco-Doppler venoso rivelava una trombosi venosa profonda parcellare coinvolgente il tronco peroneale
fino al terzo inferiore della vena femorale superficiale. Il paziente
veniva trattato con enoxaparina e anticoagulanti orali con completa risoluzione del quadro sintomatologico e clinico.
Discussione. Le manifestazioni cliniche dell’embolia polmonare
sono spesso aspecifiche e talora addirittura fuorvianti, con quadri in grado di “imitare” interessamenti di tutt’altri distretti anatomici. Inoltre, in casistiche nordamericane, circa il 28% dei casi di embolia polmonare osservati in Pronto Soccorso non ha alcun fattore di rischio1. In particolare, un quadro di esordio simulante una colica biliare è particolarmente insolito, ed in letteratura è riportato un solo caso analogo, caratterizzato da un esordio con dolore localizzato al fianco destro e ai quadranti addominali superiori, e positività del segno di Murphy2. Nel nostro
caso, solo il dolore toracico e il rilievo semeiologico della comparsa del lieve versamento pleurico ha consentito di individuare la patologia tromboembolica, in presenza di un quadro che secondo il punteggio di Wells3 sarebbe stato considerato di bassa probabilità clinica.
Tromboembolia polmonare a esordio atipico
Benedetta Boari, E. Bergami, M. Gallerani,
R. Manfredini, R. Fellin
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Sezione di Medicina Interna, Gerontologia e Geriatria,
Università degli Studi di Ferrara
Caso clinico. Paziente di sesso maschile, età 64 anni, giunto alla nostra osservazione per l’insorgenza post-prandiale di algie
311
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
Bibliografia
Obiettività di norma, non segni di sanguinamento né petecchie.
La paziente viene ricoverata in Medicina d’Urgenza con diagnosi
di porpora trombotica trombocitopenica post-partum e si avviano
procedure di plasma-exchange con reinfusione di plasma fresco
congelato quotidiane e prednisone 1 mg/kg. Per la progressiva
anemizzazione si è resa necessaria inoltre la trasfusione di 1 unità
di emazie. A partire dal 14/5 progressivo miglioramento degli
esami ematochimici, in corso di procedure di plasma-exchange
e cortisone. Il 17/5, durante infusione di plasma, improvvisa comparsa di tosse stizzosa, dispnea ed ipossiemia. All’esame obiettivo compaiono rumori umidi polmonari bilaterali, all’Rx torace sfumati addensamenti parenchimali bilaterali. Il rapporto
PaO2/FiO2 è pari a 76, viene pertanto posta diagnosi di acute lung
injury (ALI) e la paziente viene trasferita in Rianimazione, ove
si avvia supporto respiratorio con CPAP. Si assiste al progressivo miglioramento degli scambi gassosi e risoluzione del quadro radiologico. Considerata la riduzione dei valori piastrinici,
si riprende il trattamento di plasmaferesi con infusione di plasma da donatori di sesso maschile, senza ulteriori complicanze.
Vista la graduale normalizzazione e stabilizzazione dei dati
ematochimici (LDH, piastrine, Hb) e l’assenza di schistociti allo striscio di sangue periferico, le sedute di plasmaferesi vengono
eseguite a cadenza decrescente e la paziente viene dimessa il 28
maggio con indicazioni alla prosecuzione dei controlli ematochimici e delle procedure terapeutiche.
Discussione. La gravidanza ed il peri-partum sono il più comune
evento precipitante la porpora trombotica trombocitopenica,
patologia gravata da un’elevata mortalità quando non trattata. Il
trattamento consiste in sedute di plasmaferesi e reinfusione di plasma.
La ALI trasfusione-correlata (TRALI) è una rara ma pericolosa complicanza delle trasfusioni, clinicamente simile alla
ARDS. Si verifica entro le prime 6 ore dopo la trasfusione di emocomponenti contenenti plasma, con meccanismo sconosciuto, probabilmente a causa di una alloimmunizzazione verso anticorpi del
donatore. Tali anticorpi si trovano usualmente nel sangue di donatrici multipare e, con meccanismo citochino-mediato, scatenano
il danno endoteliale e l’aumentata permeabilità alveolare. La
diagnosi di TRALI, terza causa di morte associata alle trasfusioni,
è di tipo clinico. Essa va distinta dal sovraccarico circolatorio (nella TRALI la pressione venosa centrale non è incrementata) e da
reazioni trasfusionali di tipo infettivo. La prognosi di tale patologia è migliore rispetto a quella dell’ARDS ed il danno polmonare è reversibile. Il trattamento consiste principalmente in un intenso supporto respiratorio, in grado di condurre nella maggior
parte dei casi ad un rapido miglioramento clinico e radiologico.
1. Lee LC, et al. Clinical manifestation of pulmonary embolism. Emerg Med Clin
North Am 2001; 19: 925-42.
2. Unluer EE, et al. A pulmonary embolism with upper abdominal and flank
pain. Eur J Emerg Med 2003; 10: 135-8.
3. Fedullo PF, et al. The evaluation of suspected pulmonary embolism. N Engl J
Med 2003; 349: 1247-56.
Pancreatite acuta necrotizzante:
un caso a rapida evoluzione in insufficienza multiorganica
Daniela Boscolo
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi,
I Scuola di Specializzazione in Medicina Interna,
Ospedale San Giovanni Battista di Torino
La pancreatite acuta è una comune emergenza di Pronto
Soccorso. Si distinguono forme lievi e forme severe. La pancreatite acuta severa è di solito il risultato di una necrosi del parenchima ghiandolare. La morbilità e mortalità associate con la
pancreatite acuta sono sostanzialmente maggiori se è presente
necrosi, specialmente se questa è infetta (la mortalità supera il
40% se la necrosi inizialmente sterile diventa infetta).
Il caso clinico presentato si riferisce ad un paziente maschio di
46 anni che giunge al Pronto Soccorso con un dolore addominale epigastrico insorto acutamente. All’ecografia addominale eseguita in emergenza sono presenti segni di pancreatite acuta, diagnosi che viene confermata alla TC eseguita entro 24 ore dal ricovero e che evidenzia inoltre un’evoluzione in senso necrotizzante.
Nelle prime 48 ore di ricovero il paziente svilupperà un progressivo deterioramento delle condizioni cliniche che condurrà allo sviluppo di un quadro di insufficienza multiorganica e la necessità
di un ricovero in regime di terapia intensiva. Durante la degenza
prolungatasi per alcuni mesi compariranno, inoltre, numerose
complicanze che risulteranno in ultima istanza all’exitus.
Porpora trombotica trombocitopenica post-partum
complicata da acute lung injury trasfusione-correlata
Sara Casalis, F. Olliveri, F. Pagnozzi, M. Converso
Medicina d’Urgenza, Ospedale San Giovanni Bosco di Torino
Caso clinico. Daniela, 31 anni, giunge in Pronto Soccorso il 13/5
per astenia ed ittero. In anamnesi: glomerulonefrite a 5 anni.
Gravidanza senza complicanze, condotta a termine il 20/4 con
taglio cesareo. La settimana successiva al parto la paziente viene nuovamente ricoverata in Ostetricia per progressiva anemizzazione con emolisi, ittero, riduzione delle piastrine, insufficienza renale lieve. Inoltre segnalato episodio fugace di afasia
transitoria con TC cranio negativa. Viene trattata con trasfusioni di plasma e steroidi e dimessa il 3/5, con Hb 10 g/dL e piastrine 257 000.
Il 13/5 giunge in Pronto Soccorso per ittero: riscontro di Hb
7.1 g/dL, piastrine 5000, creatinina, PT, PTT, fibrinogeno e Ddimero di norma, bilirubina 5 mg/dL, LDH 2395. Si esegue
striscio di sangue periferico, con riscontro di schistociti.
Malattia drepanocitica eterozigote rivelata da un’infezione
acuta con shock cardiocircolatorio ed infarto epatico
Iride Francesca Ceresa, G. Casella
Clinica Medica III, IRCCS Policlinico San Matteo,
Università degli Studi di Pavia
Lo stato di eterozigosi per malattia drepanocitica è conosciuto come una condizione clinica benigna che non determina
312
Summer School Medicina d’Urgenza
di norma alterazioni della crasi ematica pur potendo rappresentare una causa estremamente rara, ma possibile, di morbilità.
Il paziente di cui presentiamo il caso è un uomo giunto all’età
di 66 anni senza essere a conoscenza del trait falciforme di cui
era portatore, affetto da tempo da cardiopatia ischemica, arteriopatia obliterante agli arti inferiori, insufficienza renale e già
sottoposto a colecistectomia per colelitiasi. Si rivolge al Pronto
Soccorso per la comparsa di febbre elevata, insorta il giorno precedente e non responsiva alla terapia antipiretica, e di dispnea.
All’ingresso in reparto il paziente si presenta vigile, collaborante, orientato, eupnoico in aria ambiente. All’esame obiettivo si rilevano toni cardiaci validi, ritmici, normofrequenti
con soffio sistolico 2/6 udibile su tutti i focolai; murmure vescicolare presente all’auscultazione polmonare con fini crepitii bibasilari e in campo medio sinistro; addome globoso per adipe, trattabile, non dolorabile, lieve splenomegalia. Pressione arteriosa 170/80 mmHg, frequenza cardiaca 80 b/min, temperatura corporea 39.1°C. La radiografia del torace evidenzia imbibizione interstizio-alveolare più evidente alle basi e versamento
pleurico basale destro. Gli esami ematochimici rilevano insufficienza renale (creatinina 2.87 mg/dL), anemia normocitica (Hb
10.2 g/dL, MCV 83 fL), lieve piastrinopenia, non leucocitosi,
funzionalità epatica ed elettroliti sierici nella norma. Dopo essere stato sottoposto ad indagini colturali di routine, inizia trattamento antibiotico empirico e terapia diuretica per via endovenosa.
Dopo 6 ore compare uno stato di agitazione psicomotoria, si
rileva una crisi ipertensiva associata a tachicardia, importante sintomatologia dispnoica in ossigenoterapia e marezzatura della cute, inizialmente localizzata all’addome che è teso ma trattabile.
Nonostante la terapia medica effettuata si assiste al rapido deterioramento dello stato di coscienza fino al coma, alla comparsa
di shock cardiocircolatorio, edema polmonare acuto ed anuria con
quadro emogasanalitico di acidosi mista e grave ipercapnia
ipossiemica. Vista la gravità della situazione il paziente viene trasferito nel reparto di rianimazione. Dopo 24 ore rientra in reparto
per completa risoluzione del quadro acuto con diagnosi di shock
settico in paziente cardiopatico e vasculopatico noto. È già presente un iniziale rialzo delle transaminasi che si accentua il
giorno successivo (AST 1296 mU/mL, ALT 2002 mU/mL),
per cui il paziente, asintomatico, viene sottoposto ad ecografia
addominale con riscontro di un’area di infarto epatico al lobo sinistro. Le successive indagini volte ad approfondire le cause
dell’anemia evidenziano lo stato di eterozigosi per malattia drepanocitica (HbS 36.6%), precedentemente non nota, che potrebbe
rendere conto della sindrome da disfunzione multiorgano con ipoperfusione periferica e della formazione della lesione infartuale parcellare epatica. Questo caso dimostra quanto sia importante
la considerazione dei disordini dell’emoglobina anche al di fuori delle aree storicamente conosciute come ad alta prevalenza e
nei pazienti di tutte l’età.
Edema polmonare acuto: manifestazione di esordio
di vasculite crioglobulinemica
Antonio Ciavattone, L. Tibullo, D. Bartiromo,
R. Torella, G. Cotticelli
Cattedra di Medicina Interna, Seconda Università degli Studi di Napoli
Paziente di 53 anni, sesso femminile, affetta da epatopatia cronica da HCV giunge in Pronto Soccorso per un episodio di edema polmonare acuto (EPA). Successivamente veniva trasferita
nel nostro reparto per ulteriori indagini. All’ingresso presentava: epatomegalia, discromia cutanea a carico degli arti inferiori con distribuzione “a calzettone”, ipostenia mano destra con atrofia muscolare a livello dell’eminenza tenare ed ipotenare, valori di pressione arteriosa 160/80 mmHg; VES prima ora 135
mm, Bun 47 mg/dL, creatinina 1.42 mg/dL, esame urine: proteinuria e microematuria, clearance della creatinina 36 mL/min,
proteinuria delle 24 ore 3 g/L, presenza di componenti monoclonali sieriche del tipo IgM tipo k, crioglobuline con criocrito
2.5%. Fu effettuato un iter diagnostico comprensivo delle seguenti
indagini strumentali ed istopatologiche: 1) ECG: segni di sovraccarico ventricolare sinistro; 2) ecocardiogramma: ipertrofia
ventricolare sinistra con normale funzione di pompa e pattern mitralico da alterato rilasciamento diastolico; 3) biopsia epatica: quadro di epatite cronica lieve con fibrosi portale moderata-intensa e formazione di setti; 4) biopsia renale: glomerulonefrite
membrano-proliferativa con depositi di IgG ed IgM e C3 sulla
membrana basale glomerulare; 5) ENG: marcata e diffusa sofferenza neurogena da assonopatia più evidente agli arti superiori;
6) RNM cerebrale: encefalopatia multinfartuale; 7) TAC cerebrale: assenza di definite alterazioni densitometriche del parenchima cerebrale; 8) biopsia nervo surale sinistro: alterazioni
istopatologiche suggestive di vasculite necrotizzante. Sulla scorta di essi era possibile formulare la seguente diagnosi: “crioglobulinemia di tipo II associata a 1) epatite cronica da HCV a
moderata attività; 2) sindrome nefrosica secondaria a glomerulonefrite di tipo membrano-proliferativa; 3) neuropatia periferica; 4) encefalopatia multinfartuale”. La crioglobulinemia è
una vasculite sistemica con interessamento dei vasi arteriosi e
venosi di piccolo e medio calibro. Secondo Brouet si distinguono
tre tipi sulla base della composizione immunoistochimica: tipo
I composta da un’unica classe di Ig; tipo II mista con componente
monoclonale o con componente policlonale e tipo III con componente esclusivamente policlonale. Agli inizi degli anni ’90, molteplici studi hanno dimostrato una stretta correlazione tra crioglobulinemia ed infezione da HCV con una percentuale che varia dal 43 al 90%. La sintomatologia nella crioglobulinemia è rappresentata da: porpora (90%); artralgie (60%); astenia (60%);
splenomegalia (50%); Raynaud (40%); polineuropatie (36%);
ipertensione arteriosa (35%); ulcere arti inferiori (30%); edemi
agli arti inferiori (8%); pericardite (4%); versamento pleurico
(3%); scompenso cardiaco congestizio (1%). Un coinvolgimento renale quale manifestazione d’esordio della sindrome
crioglobulinemica si riscontra nel 17% con un quadro di sindrome
nefrosica nel 20%, di sindrome nefritica nel 12%, e di IRA nel
10%; si appalesa con manifestazioni urinarie isolate del tipo proteinuria e/o microematuria nel 50-60% dei casi; il quadro isto-
313
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
logico di più frequente riscontro è una glomerulonefrite membrano-proliferativa, con depositi di materiale amorfo elettrodenso, costituito da frammenti del complemento (C3) ed Ig
(IgM-IgG) in sede sottoendoteliale. La singolarità del caso clinico di nostra osservazione è dovuta alla modalità di esordio della crioglobulinemia con un quadro di emergenza quale l’EPA;
infatti la riduzione della pressione colloido-osmotica provocata dalla proteinuria massiva ha costituito l’elemento trigger per
l’innesco su una condizione preesistente di ipertensione arteriosa
e di scompenso diastolico che usualmente è caratterizzato da una
più bassa pressione polmonare, rispetto allo scompenso sistolico del ventricolo sinistro dove si creano fenomeni di adattamento
del circolo polmonare.
reperto di schistociti (4-5 per campo microscopico) allo striscio
di sangue periferico veniva posta diagnosi di PTT. La paziente
veniva trattata con plasmaferesi ottenendo la normalizzazione della conta piastrinica dopo 5 sedute. Si segnala l’assenza di febbre, insufficienza renale e alterazioni neurologiche.
La diagnosi differenziale tra LES e PTT è spesso difficile a
causa della somiglianza delle manifestazioni cliniche. In entrambi i processi, infatti, possono essere presenti trombocitopenia,
anemia emolitica, febbre, insufficienza renale o deficit neurologici. Tuttavia è molto importante distinguere le due patologie
perché diverso è l’approccio terapeutico: la plasmaferesi è attualmente considerato il trattamento più efficace per la PTT
mentre la sua efficacia nel LES è controversa. Ai fini della diagnosi differenziale uno degli elementi più significativi è il riscontro di schistociti, che sono invece presenti nel LES solo in
rare condizioni (vasculite grave, ipertensione arteriosa maligna, sindrome da anticorpi antifosfolipidi).
Infine, va sottolineato che la coesistenza della PTT e del LES
non sarebbe casuale. Vari studi indicano una genesi autoimmune della PTT; in un significativo numero di casi, è stata rilevata la presenza di autoanticorpi diretti contro la metalloproteasi
clivante il fattore von Willebrand con conseguente abnorme attivazione dell’aggregazione piastrinica. Nel caso in questione,
la stretta associazione temporale tra riduzione dell’immunosoppressione e sviluppo di PTT sembra sottolineare il meccanismo patogenetico autoreattivo.
Un caso di porpora trombotica trombocitopenica
associata a lupus eritematoso sistemico
Marianna Curioni, D. Bignamini, A. Tedeschi, G. Fiorelli
U.O. di Medicina Interna I, Padiglione Granelli, IRCCS,
Policlinico di Milano
La porpora trombotica trombocitopenica (PTT) è una rara
ma temibile sindrome ematologica, caratterizzata da microangiopatia trombotica a carico delle arteriole e dei capillari di
ogni distretto corporeo, la cui eziopatogenesi rimane poco chiara. Può associarsi a infezioni, gravidanza, farmaci e a malattie
autoimmuni sistemiche, tra le quali il lupus eritematoso sistemico
(LES) riveste una particolare importanza. In letteratura sono
riportati più di 50 casi di PTT associata a LES; si stima che l’incidenza di PTT in corso di LES sia pari a 1-4%.
Descriviamo il caso di una donna caucasica di 36 anni, giunta alla nostra osservazione nel maggio 2004 per ematuria, piastrinopenia ed anemia emolitica. La paziente, dall’età di 14 anni, era affetta da LES caratterizzato da sierosite, coinvolgimento articolare (artralgie), renale (GN membranosa) e neurologico (cefalea con quadro RMN indicativo di lesioni vasculitiche).
Circa 10 mesi prima del ricovero compariva una cistite emorragica, verosimile complicanza di una pregressa terapia con ciclofosfamide; in tale occasione riscontro di piastrinopenia autoimmune. Negli 8 mesi precedenti il ricovero la malattia, trattata con micofenolato mofetile (1500 mg/die) e con prednisone
(10/5 mg a giorni alterni), era in remissione stabile. Circa 3
settimane prima del ricovero la paziente riduceva autonomamente
il dosaggio dell’immunosoppressore. All’arrivo in reparto la
paziente presentava modesta diatesi emorragica (petecchie agli
arti inferiori e al cavo orale, macroematuria) e un episodio di perdita di coscienza a risoluzione spontanea interpretato come sincopale. Agli esami di laboratorio si evidenziavano piastrinopenia marcata (5000/mm3) e anemia emolitica rapidamente ingravescente (calo emoglobinico da 12 a 5 g/dL in 3 giorni, LDH
4157, aptoglobina indosabile).
Nel sospetto di riacutizzazione di LES venivano somministrati
3 boli di metilprednisolone da 1 g e veniva iniziata infusione e.v.
di Ig ad alte dosi (25 g/die), senza beneficio sulla crasi ematica. In considerazione della negatività del test di Coombs e del
Sclerodermia ed insufficienza renale
Anna Maria Di Carlo, M.M.D. Imperatore,
A. Gabrielli, G. Danieli
Istituto di Clinica Medica, Università Politecnica delle Marche
A.M.P., donna di 34 anni, veniva posta la diagnosi di sclerosi sistemica variante limitata nel maggio 2001, sulla scorta di un
quadro clinico caratterizzato da fenomeno di Raynaud, ulcere trofiche acrali, teleangectasie ed artromialgie diffuse associate a positività laboratoristica per anti-Scl70. Nell’anamnesi storia di abuso di sostanze stupefacenti. Nell’ottobre 2001 veniva iniziato trattamento ciclico mensile con analogo sintetico della prostaciclina, per un peggioramento del fenomeno di Raynaud. Nel dicembre del 2002 per episodi ricorrenti di dolore addominale con
nausea e vomito, associati ad alvo diarroico la paziente veniva
studiata in ambiente gastroenterologico e veniva posta diagnosi di colite di sospetta natura infettiva ed iniziata terapia con cefalosporina per 10 giorni con scarso beneficio clinico.
Nel febbraio del 2003 comparivano cefalea, offuscamento
del visus, fotofobia, e senso di oppressione toracica, con obiettività negativa ad eccezione della dolenzia in fossa iliaca sinistra, ma riscontro pressorio di ipertensione arteriosa con valori
in clinostatismo di 230/130 mmHg. Il laboratorio mostrava:
anemia microcitica associata ad incremento degli indici di emolisi, trombocitopenia ed incremento della creatinina (2.1 mg/dL).
Notevolmente aumentati risultavano i valori sierici di renina e
di aldosterone.
314
Summer School Medicina d’Urgenza
Veniva posta diagnosi di crisi renale sclerodermia ed iniziata terapia con ACE-inibitori, analogo sintetico delle prostacicline,
calcioantagonisti ed alfa-litici centrali e periferici con progressivo buon controllo dei valori pressori, normalizzazione degli indici di emolisi e miglioramento dell’anemia. I valori sierici della creatinina si stabilizzavano intorno a 2 mg/dL. Veniva esclusa una ipertensione nefrovascolare ed una patologia endocrina.
La crisi renale sclerodermica è una rara ma catastrofica condizione responsabile di insufficienza renale acuta nelle fasi precoci della malattia. È caratterizzata da ipertensione maligna,
iperreninemia, azotemia, anemia emolitica microangiopatica e
insufficienza renale. Questa complicanza, che nel passato è stata quasi uniformemente fatale, è ora trattata con successo nella
maggior parte dei casi con ACE-inibitori. Questa terapia ha migliorato la sopravvivenza, ridotto la necessità di dialisi e nei pazienti in dialisi ne ha spesso consentito l’interruzione 6-18 mesi dopo. La somministrazione di alte dosi di steroidi, specialmente
in bolo, può precipitare la crisi. Una diagnosi pronta e un trattamento precoce ed aggressivo con ACE-inibitori porta nella maggior parte dei casi ad un esito ottimale.
con persistenza di mesenterium comune. In fossa iliaca sinistra
si apprezzavano, inoltre, due formazioni rotondeggianti (diametri
di 3 e 5 cm), la maggiore delle quali in stretta contiguità con
un’ansa ileale che appariva ispessita e con lume notevolmente
ridotto. Il reperto suddescritto deponeva, quindi, in prima ipotesi, in relazione alla malposizione colica, per formazioni ascessuali di pertinenza appendicolare. Alla luce di questo dato è stata intrapresa terapia con ceftazidima per via endovenosa che è
valsa a determinare una pronta remissione della sintomatologia
dolorosa insieme alla normalizzazione dell’emocromo e degli indici di flogosi; all’ecografia di controllo si aveva altresì significativa riduzione del diametro degli ascessi periviscerali precedentemente evidenziati. Il paziente è stato quindi dimesso
con l’indicazione di eseguire un attento follow-up chirurgico
dell’appendicopatia.
Discussione. Le anomalie congenite del tratto gastrointestinale sono frequentemente causa di morbilità nei bambini, molto più
raramente negli adulti. Queste malformazioni comprendono le
ostruzioni congenite dell’intestino tenue, le anomalie di sviluppo del colon, le anomalie di fissazione e rotazione, le anomalie
anorettali e le duplicazioni intestinali. Questo tipo di anomalie
congenite possono rimanere asintomatiche per tutta la vita, o essere accidentalmente riscontrate ad un esame radiologico o ad
un intervento chirurgico eseguito per altri motivi. In alcuni casi possono invece dare segno di sé precocemente, spesso entro
il primo anno di vita, a causa dell’occorrenza di un volvolo intestinale, o di una torsione dell’arteria mesenterica superiore, che
provoca un infarto intestinale, conseguenze della abnorme mobilità dell’intestino (Barrocal 1999). Lo sviluppo dell’intestino
prevede, dalla sesta settimana di gestazione, la formazione di
un’ansa che supera la capacità dell’addome fetale ed ernia dalla parete addominale; compiendo una rotazione di 270° in senso antiorario intorno ai vasi onfalomesenterici (che formeranno
l’arteria e la vena mesenterica superiore) questa ansa ritorna nella cavità addominale tra la decima e la dodicesima settimana di
gestazione. Alla fine del primo trimestre l’orientamento del tubo digerente è già quello definitivo, con il legamento del Treitz
a sinistra dell’arteria mesenterica superiore e la valvola ileo-cecale in fossa iliaca destra. Le anomalie di rotazione dell’intestino
tenue sono il risultato di un arresto della rotazione intestinale prima dei 270°: Stringer le classifica in base al periodo dello sviluppo embrionale in cui si verificano: malrotazione di tipo Ia (caratterizzata da un arresto della rotazione antioraria dell’intestino dopo i primi 90°); malrotazioni di tipo II (anomalia della rotazione dell’intestino che si realizza tra la settima e la decima settimana di gestazione con arresto dello sviluppo dopo 180° di rotazione; tipica di questo tipo di malrotazione è la persistenza delle cosiddette “briglie di Ladd” che possono determinare ostruzione meccanica del duodeno per aderenza con la parete addominale laterale o posteriore); malrotazioni di tipo III (caratterizzate
da una abnorme mobilità di intestino tenue e colon con un alto
rischio di volvolo intestinale). La reale incidenza di queste malposizioni è ignota, dal momento che, solo una limitata percentuale di esse è scoperta perché sintomatica o rilevata accidentalmente. La malrotazione di tipo Ia è stimata presente nello 0.2%
degli adulti (Mindelzum 1999). Nel caso del paziente da noi esa-
Una presentazione clinica atipica di appendicite acuta
in un giovane con malposizione intestinale
Domenico Di Raimondo, A. Pinto, P. Fernandez,
A. Tuttolomondo, E. Fiorello, G. Licata
Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica,
Università degli Studi di Palermo
Caso clinico. Un giovane uomo di 28 anni, studente, con anamnesi patologica sostanzialmente negativa, giunge alla nostra osservazione per la comparsa, da circa 6 giorni, di una sintomatologia caratterizzata da dolore addominale puntorio localizzato in fossa iliaca sinistra. Nella mattina del ricovero, per la esacerbazione della sintomatologia algica addominale, e la comparsa
di febbre (temperatura massima 38.5°C) veniva disposto il ricovero. All’ingresso in reparto il paziente appariva di discrete
condizioni generali, febbrile (temperatura ascellare 38.6°C).
Nulla da segnalare all’esame obiettivo generale ed a carico del
torace e del cuore; l’addome appariva modicamente trattabile alla palpazione superficiale, mentre alla profonda si evocava dolore in fossa iliaca ed al fianco sinistro. I principali parametri ematochimici valutati durante la degenza evidenziavano leucocitosi neutrofila ed incremento degli indici di flogosi. La radiografia diretta dell’addome eseguita in urgenza non ha mostrato reperti patologici; l’ecografia dell’addome evidenziava invece,
in corrispondenza della sede del dolore (fossa iliaca sinistra) delle anse intestinali con parete ispessita, edema parietale e sottile
falda fluida circostante e due masse iso-ipoecogene caratterizzabili ecotomograficamente come ascessi periviscerali; per la migliore definizione di tale reperto viene eseguita una TC dell’addome con mezzo di contrasto endovena che evidenziava come
fianco e fossa iliaca destra fossero disabitati dalla cornice colica, essendo il colon dislocato a sinistra, realizzando un quadro
radiologico compatibile con malrotazione intestinale di tipo Ia
315
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
minato, la malrotazione di tipo Ia non aveva mai dato segno di
sé e, quando lo ha fatto, non è stato per complicanze vascolari
ischemiche od ostruttive ma per la presentazione clinica atipica di una patologia piuttosto comune, specie nel giovane, quale è l’appendicite acuta. Ciò a dimostrazione del fatto che in pazienti con malrotazione intestinale i più comuni sintomi di patologia addominale possono non essere interpretati correttamente, con conseguente significativo ritardo nella corretta diagnosi e nella opportuna terapia, medica o eventualmente chirurgica, costituendo una ulteriore variabile da considerare in
un paziente complesso quale è quello con addome acuto.
Un caso complesso di tromboembolismo venoso
Paola Fernandez, A. Pinto, D. Di Raimondo,
A. Tuttolomondo, E. Fiorello, G. Licata
Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica,
Università degli Studi di Palermo
Donna di 74 anni, affetta da diabete mellito, è giunta alla nostra osservazione lamentando dispnea a riposo e transitorio dolore toracico puntorio sottoscapolare destro. Riferiva, tra l’altro,
da circa una settimana, dolore a riposo, impotenza funzionale e
progressivo incremento volumetrico a carico dell’arto inferiore destro. All’arrivo in reparto la paziente era sofferente, dispnoica
a riposo, frequenza cardiaca 120 b/min, frequenza respiratoria
28 atti/min, pressione arteriosa omerale 100/60 mmHg, temperatura ascellare 36.8 °C. L’obiettività all’ingresso mostrava tumor e calor fino al terzo medio dell’arto inferiore di destra, ed
un reperto toracico di riduzione del murmure vescicolare alle basi. Gli esami eseguiti in urgenza nell’ipotesi diagnostica di una
embolia polmonare hanno evidenziato leucocitosi neutrofila,
modesto incremento dei valori di LDH e del D-dimero, modesta ipossiemia con ipocapnia di grado lieve all’EGA. L’ECG evidenziava un blocco di branca destro; l’Rx del torace ha mostrato
un addensamento parenchimale disomogeneo dell’angolo costofrenico destro con minimo versamento pleurico omolaterale;
l’eco color Doppler venoso arti inferiori ha deposto per una
trombosi subcompleta della vena femorale superficiale e poplitea di destra; nella norma il quadro ecocardiografico. È stata quindi intrapresa terapia con eparina a basso peso molecolare
(LMWH) ed acenocumarolo. Non potendosi eseguire scintigrafia polmonare perfusionale per motivi di ordine tecnico è stata prontamente eseguita angio-TC spirale del torace con riscontro di embolia polmonare subsegmentaria a carico dei segmenti basali del lobo inferiore di destra. Con la rapida remissione
del quadro respiratorio ed a carico dell’arto inferiore destro la
paziente viene dimessa con l’indicazione di proseguire la terapia con eparina ed anticoagulante orale al proprio domicilio. Dopo
appena 2 giorni, la paziente torna alla nostra osservazione per
la comparsa di lesioni petecchiali diffuse a carico del tronco e
degli arti inferiori, associate a severa piastrinopenia (23 000/mm3
vs 235 000/mm3 del precedente ricovero). Nel sospetto di una
piastrinopenia da eparina (HIT) è stata sospesa la terapia con
LMWH e somministrato prednisone per os (50 mg/die). Dopo
alcuni giorni si è assistito alla parziale remissione delle lesioni
purpuriche e lieve incremento della conta piastrinica (PLT alla
dimissione: 60 000/mm3); la paziente è stata dunque dimessa.
Dopo 5 giorni dalla dimissione nuovo ricovero per comparsa di
tumor, dolor e functio lesa a carico della gamba sinistra. L’eco
color Doppler venoso eseguito in urgenza conferma il sospetto
clinico mettendo in evidenza una trombosi completa dell’asse iliaco-femoro-popliteo di sinistra. Sussistendo la controindicazione all’impiego di eparina, è stata intrapresa terapia con dermatan solfato e.v. (al dosaggio di 12 mg/kg/die); persistendo cianosi, ipotermia distale ed edema di severa entità fino alla radice dell’arto sinistro, è stata associata terapia con defibrotide
e.v. e furosemide ad alte dosi associata a piccoli volumi di soluzioni saline ipertoniche, con progressiva riduzione dell’edema
Insufficienza respiratoria acuta in anziano:
un caso di edema polmonare acuto non cardiogeno
Caterina Divella
Dipartimento di Clinica Medica, Immunologia e Malattie Infettive,
Sezione di Clinica Medica, Università degli Studi di Bari
Caso clinico. Donna di 89 anni, ipotiroidea in trattamento sostitutivo, portatrice di pacemaker ed affetta da cardiopatia ipertensiva si ricovera per dispnea ed iperpiressia insorte da circa 3
giorni. All’ingresso appare dispnoica, vigile e ben orientata nel
tempo e nello spazio, non edemi declivi, obiettività cardiaca ed
addominale nella norma; all’auscultazione toracica, rantoli crepitanti in sede medio-basale bilaterale. All’EGA, evidenza di acidosi respiratoria scompensata (pH 7.3) con ipossiemia ed ipercapnia. All’Rx standard del torace, segni di subedema polmonare. Si inizia terapia con diuretici, antibiotici ad ampio spettro,
si somministra ossigeno con cannula nasale. La paziente presenta
in breve tempo peggioramento acuto della dispnea, con comparsa
di stato soporoso, evidenza all’EGA di ipossiemia, ipercapnia e
marcata acidosi (pH 7.2). Si effettua ventilazione a pressione positiva con maschera + AMBU ed ossigeno ad alti flussi; recupero dello stato di coscienza e posizionamento di BiPAP. ECG,
ecocardiogramma e valutazione degli enzimi cardiaci permettono
di escludere problemi acuti cardiologici, mentre la TC torace risulta negativa per processi embolici polmonari. Agli esami di laboratorio compaiono i segni di danno renale. Si inizia subito svezzamento con maschera di Venturi e si sospende NIMV in settima giornata con recupero dei parametri emogasanalitici. La paziente viene dimessa in buone condizioni generali, apiretica, vigile, eupnoica ed esegue attualmente periodici controlli presso
il nostro Dipartimento.
Discussione. L’edema polmonare acuto “lesionale” o “non cardiogeno” rientra nel quadro clinico della sindrome da distress respiratorio acuto dell’adulto, una grave forma di insufficienza respiratoria acuta caratterizzata da dispnea ad andamento progressivamente ingravescente, con marcata ipossiemia e, nelle fasi avanzate, ipercapnia, che impone il trattamento con ventilazione meccanica ad elevate FiO2. L’interruzione del processo
eziologico alla base del danno a carico del capillare polmonare
e la prevenzione delle complicanze può garantire una completa risoluzione del grave quadro clinico.
316
Summer School Medicina d’Urgenza
e miglioramento del trofismo dell’arto. In relazione alla gravità,
bilateralità ed alla ricorrenza della trombosi, in virtù dell’associazione esistente tra trombosi venosa profonda (TVP) e neoplasie, abbiamo eseguito uno screening comprendente la ricerca dei principali marker neoplastici (elevati livelli di CEA, TPA,
CA 125 e CA 15.3) e TC torace ed addome, con riscontro di una
neoformazione di verosimile pertinenza colecistica che ha confermato il nostro sospetto clinico.
Discussione. Risale ai tempi di Trousseau (1865), la prima osservazione di una possibile associazione tra neoplasie e vasculopatie trombotiche. Le neoplasie sono generalmente associate ad
una condizione di ipercoagulabilità, ed è noto l’incrementato rischio di TVP dei pazienti neoplastici. Esistono oggi numerosi dati in letteratura che evidenziano altresì la più alta incidenza di neoplasie in soggetti con tromboembolismo venoso, particolarmente entro il primo anno dall’evento. La TVP idiopatica può rappresentare non solo un fattore predittivo indipendente per incidenza di neoplasie (Baron et al., 1998) ma anche un indice prognostico negativo nei pazienti in cui la neoplasia è stata diagnosticata entro un anno dalla comparsa della TVP (Sorensen et al.,
2000). Aperto è il dibattito su quale sia l’opportuno iter clinico
e diagnostico da tenere in questi pazienti nella ricerca di una neoplasia occulta. Nel caso in oggetto la rapida ricorrenza e la notevole rilevanza clinica dei due episodi trombotici, in considerazione della assenza di anemizzazione, calo ponderale od altri
sintomi sospetti, e della sostanziale negatività degli esami di
screening di primo livello nei pazienti a rischio (radiografia del
torace, ecografia dell’addome), insieme al consensuale incremento dei marker neoplastici, hanno motivato l’esecuzione di TC
torace ed addome con il riscontro della neoformazione colecistica.
Per quanto riguarda la HIT, si tratta di una reazione avversa immuno-mediata legata sia a terapia con eparina non frazionata che
a LMWH. Compare tipicamente dopo 5 o più giorni dall’inizio
della terapia (Chong 1995) ed è mediata da anticorpi che causano attivazione piastrinica in presenza di eparina; si pensa che in
questi soggetti l’eparina determini la formazione di anticorpi
specifici, prevalentemente IgG1 che legandosi al fattore piastrinico 4 comportano la formazione di un immuno-complesso in grado di attivare le piastrine determinandone l’aggregazione e quindi trombocitopenia e/o trombosi venosa e arteriosa (Kelton 1994).
L’incidenza di HIT differisce molto nei diversi studi effettuati
sull’argomento, anche se quasi tutti convergono nel confermarne la minore incidenza nei pazienti trattati con LMWH a dimostrazione di una sua minore immunogenicità: 0.3-5.0% dei pazienti
trattati con eparina non frazionata (Warkentin 2000), 2.8-3.7%
nei pazienti trattati con LMWH (Lindhoff-Last 2002).
anoressia. L’anamnesi patologica remota è negativa se si esclude la diagnosi recente di diabete mellito non insulino-dipendente
per il quale assume ipoglicemizzanti orali. All’ingresso l’esame
obiettivo è sostanzialmente negativo, il paziente è apiretico,
normoteso, dispnoico a riposo senza rumori patologici all’auscultazione del torace. Dagli esami bioumorali emergono una conta leucocitaria ai limiti superiori della norma e un D-dimero moderatamente aumentato mentre, all’emogasanalisi si rilevano
ipossia e ipocapnia marcate. La TC trifasica del torace risulta negativa. Viene eseguita una scintigrafia polmonare perfusionale
che mostra un reperto a bassa probabilità per embolia. Persistendo
le alterazioni emogasanalitiche e la dispnea, si decide di instaurare comunque una terapia con eparina a basso peso molecolare a dosaggio terapeutico. Con tale provvedimento le condizioni respiratorie migliorano rapidamente. Nel frattempo vengono eseguiti un eco-Doppler degli arti inferiori che risulta negativo e un’ecografia dell’addome che mostra una milza di dimensioni aumentate con aree di disomogeneità ecostrutturale.
Viene pertanto richiesta una TC dell’addome urgente che documenta la presenza di trombosi della vena splenica e di un’estesa area di infarto splenico. Il paziente viene pertanto sottoposto
a splenectomia in urgenza per l’elevato rischio di rottura della
milza. Alla laparotomia il fegato si presenta a contorni bozzuti
e di consistenza aumentata. Viene eseguita una biopsia e il successivo esame istologico mostra un quadro di cirrosi micromacronodulare. Tra i marcatori virali risultano positivi solo
l’HBsAb e l’HBcAb-IgG; positivo ma a basso titolo l’ANA
con fluorescenza nucleolare. Il decorso postoperatorio è regolare
e le condizioni generali del paziente appaiono in miglioramento. Lo screening per trombofilia risulta negativo se si esclude un
lieve deficit di antitrombina III. Il paziente viene dimesso in terapia con eparina a basso peso molecolare mentre vengono programmati esami endoscopici di approfondimento nell’ipotesi di
una condizione di trombofilia paraneoplastica. Pochi giorni dopo la dimissione il paziente torna in reparto lamentando nuovamente dispnea a riposo e astenia e viene pertanto nuovamente
ricoverato. Ancora negativo l’esame obiettivo generale. Gli esami bioumorali mostrano notevole leucocitosi neutrofila e rialzo
di tutti gli indici di flogosi. L’emogasanalisi mostra nuovamente ipossia e ipocapnia marcate. La scintigrafia polmonare perfusionale rileva un reperto a probabilità medio-bassa per embolia.
All’Rx torace sono presenti addensamenti multipli bibasali. In
seconda giornata di degenza compare febbre fino a 39°C. Viene
eseguito un ecocardiogramma che mostra una vegetazione di 1
cm a livello della valvola aortica; sono presenti modico versamento pericardico e insufficienza aortica moderata. L’emocoltura risulta positiva per Streptococcus bovis e viene instaurata
terapia antibiotica mirata. Il quadro clinico migliora nelle successive giornate di ricovero. Il paziente è attualmente candidato a intervento cardiochirurgico di valvuloplastica o sostituzione valvolare aortica.
Dispnea e infarto splenico: semplice coincidenza?*
Francesca Ferrara, M. Gandolfo, M.L. Zeneroli, A. Pietrangelo
Dipartimento di Medicina Interna, Divisione di Medicina II,
Policlinico di Modena
Un uomo di 58 anni viene ricoverato per la comparsa di dispnea; nelle settimane precedenti lamentava profonda astenia e
*Abstract scelto dai Docenti per la Sessione Gymnasium (105° Congresso
Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna - Palermo, 24 ottobre 2004) presentato da Francesca Ferrara.
317
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
Insufficienza renale acuta da necrosi tubulare iatrogena
rizza per la necrosi dell’epitelio tubulare; si distinguono la variante ischemica e la variante tossica. Le sostanze più comunemente chiamate in causa nel determinismo di necrosi tubulare
acuta tossica sono molteplici: metalli pesanti (mercurio, cadmio,
arsenico), insetticidi (esteri organofosforici), solventi (glicole etilenico), mezzi di contrasto radiologici e molti farmaci di uso comune (anestetici, ciclosporina, antiblastici, antibiotici aminoglicosidi). Per quanto riguarda ciprofloxacina e metformina
l’evenienza di necrosi tubulare acuta è riportata in letteratura sebbene infrequente.
Ermanno Fiorello, A. Pinto, A. Tuttolomondo, P. Fernandez,
D. Di Raimondo, G. Licata
Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica,
Università degli Studi di Palermo
Caso clinico. Donna di 68 ani affetta da ipertensione arteriosa
in trattamento con amlodipina e clonidina, diabete mellito di tipo 2 in trattamento con ipoglicemizzanti orali e gozzo multinodulare tossico in terapia tireostatica; giunge alla nostra osservazione per la comparsa da circa 2 giorni di nausea, vomito, edemi declivi con progressiva contrazione della diuresi in concomitanza dell’assunzione di ciprofloxacina (per un intercorrente
episodio di infezione delle vie urinarie) e dell’incremento della posologia della metformina motivata dal cattivo compenso glico-metabolico. All’ingresso la paziente si presentava anurica con
indici di funzionalità renale incrementati (Az 231, Cr 8.2, K+ 7.4)
ed alterazione dell’EAB (pH 7.29 HCO3- 13.4). Alla luce dei dati ematochimici, e dopo l’esecuzione di una ecografia dei reni
e delle vie urinarie che ha escluso la genesi postrenale dell’insufficienza renale acuta (IRA), è stata intrapresa terapia con alte dosi di diuretici dell’ansa (furosemide) in infusione continua,
resine leganti il potassio (sodio polistiren solforato) e bicarbonati e.v. con normalizzazione della kaliemia ed dell’EAB. Inoltre,
alla ripresa della diuresi, sono stati valutati gli elettroliti urinari, la creatininuria, il peso specifico, la proteinuria nelle 24 ore
ed il sedimento urinario (UNa 28 mE/L, creatininuria 24 mg/dL,
PS 1.012, 856 mg/24 ore, alcuni eritrociti e cilindri granulosi)
al fine di definire meglio la natura dell’episodio di IRA. Durante
la fase poliurica si è provveduto ad adeguare il bilancio idroelettrolitico fino alla normalizzazione dei parametri di funzionalità renale (alla dimissione: Az 30, Cr 0.9, K+ 3.9, pH 7.36,
HCO3- 22.3). Da segnalare infine come il decorso clinico sia stato complicato da un episodio di fibrillazione atriale parossistica, la cui patogenesi è verosimilmente da attribuire all’acidosi
ed alle turbe elettrolitiche concomitanti, e ad un episodio di coma diabetico.
Discussione. L’IRA è una patologia caratterizzata da una rapida (ma reversibile) riduzione del filtrato glomerulare con contemporaneo incremento dei valori di creatinina e dell’azoto
ureico associata ad oliguria ed anasarca. La classificazione fisiopatologica distingue: 1) IRA prerenale (70-80% di tutti i casi, legata a drastica riduzione della volemia o della pressione arteriosa); 2) IRA intrinseca o organica (5-10% del totale, deriva
da danno a carico di una o più strutture del parenchima renale,
tubuli, glomeruli, vasi, interstizio); 3) IRA postrenale (da ostruzione delle vie escretrici). Nel caso da noi osservato, alla luce
dell’anamnestica assenza di insufficienza renale e sulla scorta del
reperto ecografico e dei dati di laboratorio all’ingresso ed alla
ripresa della diuresi (UNa, Cr urinaria/Cr plasmatici = 23, peso
specifico ridotto, proteinuria < 1 g 24 ore e dal sedimento urinario) è stata posta l’ipotesi diagnostica di IRA da necrosi tubulare
iatrogena, considerata la recente contemporanea assunzione di
ciprofloxacina e metformina. La necrosi tubulare acuta è la forma più frequente di IRA organica (70% del totale) e si caratte-
Una strana sindrome neurologica
Christian Folli, L. Curti, M. Fanelli, A. Costa*,
P. Baron§, A. Guariglia
Divisione di Medicina d’Urgenza, *Dipartimento di Neuroradiologia,
§Dipartimento
di Neurologia, IRCCS Ospedale Maggiore di Milano
Un paziente di 61 anni venne ricoverato nella nostra Divisione
per la comparsa da 10 giorni di inappetenza e astenia in seguito ad una sindrome simil-influenzale, accompagnata da una settimana da disuria e stranguria. In anamnesi risultava unicamente ipertensione arteriosa in terapia con ACE-inibitore e diuretico. Gli esami all’ingresso mostravano un quadro di disidratazione ed insufficienza renale di lieve entità (creatininemia 2
mg/dL), modesta anemia e incremento delle CPK. Il paziente,
che all’ingresso in reparto presentava febbricola, veniva posto
in terapia con levofloxacina e idratazione per via endovenosa.
In quinta giornata dal ricovero il paziente si presentava lievemente
rallentato, con positività del segno di Romberg e grossolani tremori alle dita delle mani. Una valutazione neurologica documentava la presenza di sfumati segni piramidali a sinistra e sofferenza cerebellare. Non si documentavano squilibri elettrolitici e la creatininemia si era normalizzata. L’instabilità alla deambulazione peggiorava progressivamente, come pure la difficoltà
ad iniziare la minzione. Veniva eseguita una RMN encefalo, che
mostrava una sfumata alterazione di segnale a livello della sostanza bianca profonda peritrigonale di incerto significato, anche se ancora compatibile con sofferenza vascolare cronica. Il
paziente lamentava successivamente la comparsa di sonnolenza e quindi di ipostenia e mialgie all’arto superiore destro, diplopia e calo del visus. Una nuova valutazione neurologica documentava inoltre atassia prevalente agli arti di sinistra. Veniva
quindi eseguita una rachicentesi, con riscontro di liquor limpido con segni aspecifici di uno stato infiammatorio e negatività
dello screening per virus, miceti e BK. La sierologia per Lue,
Brucella, Rickettsie, Borrelia, HIV risultava negativa. Nel sospetto di encefalite veniva intrapresa empiricamente una terapia
con aciclovir per via endovenosa. Una seconda RMN encefalo
di controllo senza e con mdc documentava una estensione
dell’alterazione di segnale della sostanza bianca peritrigonale e
la comparsa di enhancement patologico in tale sede, con comparsa di enhancement lungo la superficie bulbare. Veniva inoltre riscontrato un modesto versamento pleurico bilaterale. Nei
giorni successivi si assisteva alla comparsa di stato soporoso e
di deficit della deglutizione per cui veniva iniziata nutrizione en-
318
Summer School Medicina d’Urgenza
terale. Una seconda rachicentesi risultava sovrapponibile alla prima. Una terza RMN encefalo mostrava un ulteriore aggravamento
del quadro e veniva segnalato enhancement ependimale a livello
trigonale. Veniva sospesa la terapia con aciclovir. In ventiseiesima giornata dal ricovero il paziente si presentava del tutto disorientato e sviluppava una insufficienza respiratoria ipossicoipercapnica con referto radiologico di impegno interstizio-alveolare e incremento del versamento pleurico. La coltura del liquido pleurico risultava positiva per S. aureus. Una nuova TC
cerebri risultava negativa. Gli esami ematochimici mostravano
importante leucocitosi (globuli bianchi 28 000) e peggioramento dell’anemia. Veniva richiesta assistenza del rianimatore,
che decideva l’intubazione del paziente. Il paziente veniva quindi trasferito in Unità di Terapia Intensiva. Dopo stabilizzazione delle condizioni cliniche veniva eseguito un ecocardiogramma transesofageo che dimostrava la presenza di una vegetazione a livello della valvola mitralica con empiema dell’anello mitralico. La diagnosi conclusiva fu quella di endocardite mitralica da S. aureus ed ependimite secondaria. Venne instaurata una
terapia con vancomicina, con progressiva regressione dei disturbi
neurologici e normalizzazione del quadro clinico.
Richiamiamo ancora una volta l’attenzione sulla difficoltà
nel porre una diagnosi di endocardite, soprattutto ove i segni clinici siano del tutto atipici, come nel caso presentato. Anche la
diagnosi neuroradiologica è difficoltosa quando non sono presenti i segni radiologici “tipici”.
lattia infiammatoria cronica intestinale, una patologia infettiva
o un tumore neuroendocrino, venivano eseguiti ecografia addominale, esami endoscopici (EGDS e colonscopia con biopsie multiple), esami colturali sulle feci, dosaggio degli ormoni intestinali e degli anticorpi anti-gliadina (AGA) ed anti-endomisio (EmA). L’ecografia, seppur limitata da abbondante
meteorismo intestinale, risultava negativa, gli esami colturali, le
IgA e IgG anti-gliadina risultavano negative, le IgA EmA debolmente positive. All’EGDS si riscontrava quadro di antropatia iperemica e la colonscopia risultava nei limiti di norma. Il dosaggio degli ormoni intestinali mostrava: polipeptide pancreatico: > 500 (v.n. < 10); VIP: 39.7 (v.n. < 10); cromogranina: 64.6
(v.n. 2-18); gastrina: 53 (v.n. < 108). La paziente veniva sottoposta a scintigrafia con In111-Pentetreotide che evidenziava
ampia lesione ipercellulare con alta densità recettoriale per la somatostatina situata verosimilmente a livello pancreatico. Una
TAC spirale dell’addome con mezzo di contrasto confermava la
presenza di una lesione di 3-4 cm a livello della coda pancreatica, ed anche un’ecografia eseguita in migliori condizioni, permetteva di evidenziare la lesione. La paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico di pancreasectomia distale; l’esame
istologico macroscopico mostrava porzione di parenchima pancreatico di 4.5 3.5 3 cm pressoché totalmente sostituita da
neoformazione apparentemente capsulata di 3.2 cm di diametro,
costituita da tessuto di colorito giallo-grigiastro, di consistenza
molle. La neoplasia risultava, alle indagini immunocitochimiche,
immunoreattiva per polipeptide pancreatico (30%) e focalmente per somatostatina (< 1%); l’indice di proliferazione MIB-1 era
di 2.2%. Al follow-up la paziente si presentava in buone condizioni generali; una scintigrafia con In111-Pentetreotide eseguita
dopo 1 anno dall’intervento risultava negativa.
Un caso di tumore neuroendocrino:
un esordio acuto ma con un lieto fine
Giulia M.L. Gobbo
II Scuola di Specializzazione in Medicina Interna,
Università degli Studi di Milano
Iponatremia: una situazione clinica che richiede
spesso un approccio diagnostico e terapeutico d’urgenza
Una giovane donna di 25 anni, di razza caucasica, giungeva
alla nostra osservazione per mialgie a carico degli arti inferiori, palpitazioni, intensa astenia ed ingravescenza di una modesta diarrea (2-3 scariche/die di feci semiformate) presente da 6
mesi per cui era già stata sottoposta ambulatoriamente ad esami ematici, esame delle feci, coprocoltura, EGDS e colonscopia tutti risultati nei limiti di norma. Dai primi accertamenti risultava all’ECG quadro caratterizzato da frequenti extrasistoli
ventricolari, bigemine, polimorfe, precoci e ripetitive con depressione del tratto ST ed aumento del QT e agli esami ematochimici grave ipopotassiemia (1.7 mEq/L) con massivo incremento degli indici di citolisi muscolare (CK 20 000 U/L). Una
biopsia muscolare permetteva di escludere un quadro di polimiosite, mostrando al contrario un quadro compatibile con rabdomiolisi di origine metabolica (verosimilmente legata al grave squilibrio elettrolitico). Con terapia suppletiva endovenosa di
KCl ad alte dosi si assisteva a normalizzazione dei livelli ematici di potassio con risoluzione delle turbe del ritmo cardiaco. La
paziente proseguiva gli accertamenti necessari a spiegare la
diarrea presente da vari mesi, verosimile responsabile dell’ipopotassiemia. Ai fini di escludere una malattia celiaca, una ma-
M. Gorini, R. Bettini, Katia Marzetta
Medicina II, Ospedale di Circolo di Varese
M.T., uomo di 60 anni, con normali abitudini di vita e senza
precedenti patologici di rilievo, veniva ricoverato lamentando da
qualche giorno cefalea e confusione mentale. L’esame obiettivo non presentava alterazioni di rilievo ad esclusione di un rallentamento psichico e disorientamento temporo-spaziale.
Sottoposto con urgenza a TAC cerebrale, si escludevano lesioni intracraniche. Gli esami ematochimici di routine risultavano
nella norma ad eccezione del riscontro di iponatremia (115
mEq/L) con ipoosmolarità plasmatica (250 mOsm/kg).
L’edema cerebrale secondario all’ipotonicità dei liquidi extracellulari poteva giustificare la sintomatologia neurologica.
Rimaneva da chiarire la causa dell’iponatremia; nella diagnosi
differenziale delle iponatremie si escludeva:
- l’iponatremia osmotica (glicemia normale);
- l’iponatremia fittizia (lipidemia e proteinemia normali);
- l’iponatremia da deplezione di sodio (anamnesi negativa per
vomito, diarrea, sudorazione, uso di diuretici, assenza di ipo-
319
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
tensione ortostatica, di tachicardia, di iperazotemia prerenale, non
segni clinici e laboratoristici di insufficienza surrenalica);
- l’iponatremia da diluizione per edemi (assenza di scompenso
cardiaco congestizio, di cirrosi epatica ascitogena, di sindrome
nefrosica);
- l’iponatremia da nefropatie (funzionalità renale normale);
- l’iponatremia da polidipsia (assenza di potomania).
Rimaneva la possibilità di una “sindrome da inaproppriata secrezione di ADH” (SIADH).
In questo ambito si poteva escludere:
- la SIADH da farmaci (non assumeva alcun tipo di medicamento);
- la SIADH da malattie polmonari o del sistema nervoso centrale
(assenza di segni clinici e strumentali);
- la SIADH in corso di endocrinopatie (assenza di segni di ipotiroidismo e di ipopituitarismo).
Sembrava di poter escludere anche la SIADH da neoplasie (assenza di sintomatologia specifica, normalità delle comuni indagini
radiologiche ed ecografiche).
Nel frattempo, confermata l’importante iponatremia, il paziente
veniva trattato con restrizione dell’apporto di liquidi (800
mL/die); si constatava, nei giorni successivi, un progressivo
aumento della concentrazione plasmatica di sodio ed una regressione della sintomatologia neurologica.
Tenuto presente che in 4 casi su 5 la SIADH è dovuta ad un
carcinoma polmonare, abbiamo voluto indagare più a fondo in
questo campo: in effetti la revisione della TAC toracica evidenziava un piccolo espanso in sede ilare a destra che era stato
sottovalutato in prima lettura e che veniva poi riconfermato
dalla RMN. La biopsia in corso di broncoscopia permetteva la
diagnosi di microcitoma. Si è iniziata chemioterapia ciclica a base di carboplatino ed etoposide, che è tuttora in corso e che è stata in grado di indurre una remissione parziale della neoplasia.
densamenti polmonari multipli veniva intrapresa terapia antibiotica, associata a steroide a basse dosi, con parziale beneficio
clinico e riduzione degli addensamenti polmonari. Per un aggravamento dei sintomi sopra menzionati, nel gennaio 2002
veniva ricoverato presso il nostro Istituto. Obiettivamente era presente iperpiressia (T max 39°C), decadimento delle condizioni
generali, dispnea al minimo sforzo, edemi declivi improntabili, ulteriore estensione delle lesioni cutanee di tipo bolloso emorragico ad evoluzione necrotico-ulcerativa, e rallentamento del sensorio. Presente anche una ipofonesi basale bilaterale con m.v. ridotto su tutto l’ambito, con rantoli crepitanti medio-basali bilateralmente ed epatosplenomegalia. Gli esami ematochimici evidenziavano una severa anemia normocromiva normocitica, un incremento dei valori di creatinina con una importante sindrome biologica da flogosi, ipoalbuminemia, proteinuria e c-ANCA positività. Uno studio TC del torace evidenziava multipli diffusi
addensamenti parenchimali polmonari, in parte confluenti di
entrambi i polmoni e versamento pleurico bilaterale, mentre un
esame broncoscopico corredato di BAL ed esame istologico
mostrava reperti aspecifici. Uno studio US dell’addome oltre a
confermare l’epatosplenomegalia evidenziava una aumentata
dimensione di entrambi i reni con ecostruttura iperecogena e scarsa differenziazione cortico-midollare. Nel sospetto clinico di una
granulomatosi di Wegener si procedeva all’esecuzione di una biopsia renale che mostrava un quadro di glomerulonefrite necrotizzante con formazione di semilune, e di una seconda biopsia
cutanea, con riscontro di vasculite necrotizzante. A completamento diagnostico una EMG-ENG mostrava la presenza di una
multineuropatia sensitivo-motoria, mentre per quanto concerne
le alte vie aeree segnaliamo la presenza di lesioni crostose nasali, rivelatesi essere all’esame istologico, localizzazione di malattia. Si iniziava terapia immunosoppressiva con ciclofosfamide 1 mg/kg/die con boli di prednisone. Al successivo controllo
a 3 mesi le condizioni cliniche generali risultavano nettamente
migliorate con scomparsa degli edemi declivi, non comparsa di
nuove lesioni cutanee, mentre quelle preesistenti erano in fase
avanzata di guarigione, con normalizzazione degli indici di flogosi, miglioramento dell’emocromo ma persistenza di una moderata insufficienza renale (creatinina 2.5 mg/dL) e di una proteinuria pari a 3.6 g/24 ore. Il controllo TC polmonare mostrava pressoché completa risoluzione degli addensamenti polmonari. Il decorso successivo è stato caratterizzato da peggioramento
del quadro renale, sindrome mielodisplastica che ha indotto la
sospensione della ciclofosfamide, neoplasia del pavimento buccale. Questo case report sottolinea l’importanza di una diagnosi precoce della granulomatosi di Wegener per evitare l’instaurarsi di un danno renale irreversibile nonché gli effetti collaterali della terapia immunosoppressiva con ciclofosfamide.
Un caso di granulomatosi di Wegener a rapida evoluzione
Michele Maria Domenico Imperatore, A. Di Carlo,
A. Gabrielli, G. Danieli
Istituto di Clinica Medica, Università Politecnica delle Marche
Introduzione. La granulomatosi di Wegener è una vasculite granulomatosa e necrotizzante che può coinvolgere le vie aeree superiori ed inferiori, il rene, la cute il SNP e l’occhio. Se non trattata la malattia presenta un decorso rapidamente fatale, con una
sopravvivenza media di circa 5 mesi. Gli attuali schemi terapeutici
hanno portato la sopravvivenza media a 5 anni in più del 70%
dei casi.
Caso clinico. M.M., uomo di anni 61, riferiva una sintomatologia
caratterizzata da iperpiressia (T max 39°C), dispnea, compromissione del sensorio, epatosplenomegalia associati a importanti
edemi declivi e lesioni cutanee di tipo bolloso-emorragico ad evoluzione ulcerativa. Un ricovero in altra sede nel settembre 2001
non conduceva ad una diagnosi certa. In quella occasione una
biopsia cutanea delle lesioni cutanee veniva refertata come non
diagnostica. Nonostante non vi fosse evidenza colturale e sierologia di infezione, per il riscontro all’imaging toracico di ad-
Dal territorio all’ospedale:
un esempio di buona coordinazione!
Simona Melis
Pronto Soccorso, Ospedale “G. Brotzu” di Cagliari
Squilla il telefono. La centrale operativa del 118 allerta il
pronto soccorso dell’ospedale G. Brotzu. Arriva con l’ambulanza
320
Summer School Medicina d’Urgenza
medicalizzata un paziente maschio di 51 anni, non cosciente, con
infarto acuto del miocardio. Codice rosso.
In Pronto Soccorso si chiamano il medico cardiologo ed il rianimatore.
Il paziente giunge privo di coscienza, in respiro spontaneo, ma
assistito con pallone Ambu, ed in circolo spontaneo.
Caso clinico. Il paziente viene trovato dal medico del 118 in arresto cardiorespiratorio per fibrillazione ventricolare, presso il
proprio domicilio. Sottoposto a defibrillazione con 200 J e a rianimazione cardiopolmonare per circa 5 min, si ha ripristino del
ritmo sinusale con ricomparsa del polso carotideo e respiro
spontaneo, pur se insufficiente.
In Pronto Soccorso il paziente si presenta stabile emodinamicamente con pressione arteriosa 130/80 mmHg, frequenza cardiaca 80 b/min, SaO2 98%. L’ECG conferma l’infarto in sede
anteriore.
Il paziente viene trasferito in UTIC, intubato per via oro-tracheale e immediatamente sottoposto ad esame emodinamico
che mostra occlusione prossimale di un ramo intermedio della
interventricolare anteriore. Esegue PTCA con buon risultato. Il
paziente è in coma farmacologico, recupera lo stato di coscienza nelle successive 48 ore senza deficit neurologici. Esegue una
nuova PTCA + stent. Viene dimesso dal reparto di cardiologia
12 giorni dopo, in buona salute.
Questo caso clinico mostra che un rapido intervento, una
buona coordinazione ed una pronta assistenza ospedaliera sono
tre anelli concatenati che consentono di gestire al meglio un paziente in condizioni critiche.
genza in reparto la paziente ha presentato, inoltre, episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta manifestatisi come episodi sincopali, documentati da ripetuti ECG-Holter (frequenti episodi di RIVA e TVNS).
È stata intrapresa terapia antiblastica secondo lo schema
VACOP-B, ottenendo un sensibile miglioramento dei reperti ecocardiografici ed RMN già dopo i primi cicli di terapia. L’RMN
di controllo documentava miglioramento della funzione contrattile
(FE 46%) e riduzione dei volumi. All’ecocardiogramma riduzione
del trombo apicale e recupero della cinetica (FE 55%), con foglietti pericardici ispessiti senza significativo versamento. Nel
frattempo è stata intrapresa terapia anticoagulante orale e terapia farmacologica con sotalolo per la profilassi degli eventi
aritmici.
La paziente è stata infine sottoposta a terapia mieloablativa con
supporto di cellule staminali periferiche, ottenendo un’ottima risposta clinica (all’esame TAC non si evidenziavano adenomegalie residue). Nel contempo si è osservato, all’ecocardiogramma, la normalizzazione delle dimensioni e della FE (60%) del
ventricolo sinistro, persistendo lieve ipocinesia apicale con esiti fibrotici della pregressa formazione trombotica. Alla RMN cuore non erano più evidenziabili significative alterazioni parietali cardiache, senza versamento né ispessimenti dei foglietti pericardici. All’ultimo ECG-Holter, in assenza di terapia antiaritmica, si osservano esclusivamente una spiccata variabilità della frequenza cardiaca con tachicardizzazioni sinusali frequenti
con isolati BEV e rarissimi BESV isolati. In conclusione, si è trattato, verosimilmente, di sindrome coronarica acuta secondaria
a miocardite neoplastica o coronarite in LnH.
Un caso di sindrome coronarica acuta secondaria
a miocardite neoplastica in giovane paziente affetta da LnH
Ulcere trofiche arti inferiori:
“un raro caso di calcifilassi idiopatica”
Elena Montini, R. Delsignore
Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche,
Lorenzo Morini, R. Ricci*, I. Montanari, S. Corradini,
G. Carolla, G. Passeri, R. Delsignore
Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche,
Il caso clinico che descriviamo è relativo ad una paziente di
24 anni, affetta da LnH B anaplastico a grandi cellule, giunta alla nostra osservazione per dolore toracico di tipo “coronarico”
e cardiopalmo con segni di alterata ripolarizzazione ventricolare sinistra (T negative in D1, D2, aVL, V2-V6 ed ST sopraslivellato in V2-V5) con troponina I positiva.
All’ecocardiogramma si evidenziava una dilatazione del ventricolo sinistro con cinetica globale severamente depressa (frazione di eiezione-FE 35%), acinesia puntale. In tale sede era presente una massa iperecogena fissa compatibile con trombo apicale ed ecocontrasto spontaneo. Si rilevava, inoltre, lieve versamento pericardico circonferenziale con marcato ispessimento dei foglietti pericardici.
Alla RMN cardiaca si confermavano i rilievi ecocardiografici, mettendo in rilievo (nelle sequenze SAX medioventricolari)
una stretta contiguità tra pericardio postero-laterale del ventricolo sinistro ed un’area di addensamento sopradiaframmatica riferibile verosimilmente a tessuto neoplastico; era presente, inoltre, un consistente versamento pleurico sinistro. Durante la de-
*Servizio di Anatomia Patologica, Università degli Studi di Parma
La paziente, di 76 anni, viene ricoverata nella U.O. di Clinica
e Terapia Medica il 05/03/2004 in seguito alla comparsa di
astenia ingravescente, calo ponderale, lesione ulcerata molto
dolente, con perdita di sostanza, sulla faccia esterna della gamba sinistra ed una chiazza violacea in parte crostosa sulla medesima regione dell’arto controlaterale.
In anamnesi: isteroannessiectomia per fibromi uterini, cardiopatia ischemica, arteriopatia obliterante agli arti inferiori in
TAO, ipertensione arteriosa, diabete mellito NID e recente
(2001) resezione colica per ADK del sigma. Nel febbraio 2003
riscontro di lesioni bollose a contenuto sieroso sulla faccia esterna della gamba sinistra; alla colonscopia di controllo, riscontro
di polipo villoso del sigma non trattato.
Gli esami bioumorali dell’ingresso hanno evidenziato un aumento degli indici di flogosi con una sostanziale normalità di quelli autoimmunitari ed infettivologici; negativi i marker neoplastici.
321
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
Rx torace: non lesioni pleuroparenchimali in atto. Eco addome: segni di epatopatia cronica; sistema biliare nei limiti; reni
in sede, regolari, non idronefrosi; milza e pancreas normali.
Colonscopia: polipo del sigma (all’istologia: frustoli di adenoma tubulare con displasia lieve e frustoli di mucosa di grosso intestino con lieve flogosi cronica aspecifica) ed isolati diverticoli
del sigma. EGDS: ernia iatale da scivolamento e gastrite cronica antrale da reflusso biliare. Eco arti inferiori: calcificazioni estese delle arterie femoro-poplitee, flussimetria conservata; non TVP;
edema sottocutaneo.
La paziente viene valutata anche dal Chirurgo vascolare, il quale esclude una patologia di sua competenza, poi dal Chirurgo plastico e dal Dermatologo. Si esegue biopsia cutanea: calcificazioni
delle pareti delle arterie ed arteriole del derma profondo con fibrosi intravascolare e parziale ricanalizzazione; diagnosi compatibile con calcifilassi.
Agli inizi di giugno 2004 il quadro è così evoluto: estese lesioni ulcerate con perdita di sostanza, estremamente dolenti,
sulla faccia interna ed esterna delle gambe, sulla faccia interna
delle cosce e chiazze violacee in parte crostose sulla faccia
esterna delle cosce; paziente molto defedata.
La calcifilassi è una malattia sistemica evolutiva caratterizzata
da calcificazioni delle pareti delle arterie ed arteriole del derma
profondo con successiva necrosi tessutale. La maggior parte
dei casi in letteratura si riferiscono a pazienti con insufficienza
renale cronica in dialisi ed iperparatiroidismo secondario, ma abbiamo trovato alcuni casi legati ad insufficienza epatica e qualche caso idiopatico.
Nella nostra paziente non vi erano insufficienze d’organo né
iperparatiroidismo o ipercalcemia patologica per cui riteniamo
trattarsi di un caso idiopatico escludendo una forma paraneoplastica o necrosi cutanee da warfarin.
Molti dei casi in letteratura purtroppo hanno avuto esito infausto o sono andati incontro ad estese amputazioni per evitare
pericolose sovrainfezioni. Stiamo valutando l’effetto di un ciclo
di terapia iperbarica che talora ha dato promettenti risultati.
sione arteriosa, obesità e un episodio di tromboflebite superficiale
all’arto inferiore destro 4 anni prima. Al paziente viene assegnato
un codice giallo e alle ore 10.37 inizia la valutazione medica.
All’esame obiettivo d’ingresso emerge: lieve agitazione psicomotoria, tachipnea (40 atti resp/min), lieve sudorazione, toni
cardiaci tahicardici (114 b/min), aritmici, pressione arteriosa
simmetrica ai due arti 100/50 mmHg, murmure vescicolare ridotto
ma presente su tutti i campi polmonari, lieve edema all’arto inferiore destro con dolorabilità al poplite e coscia.
L’emogasanalisi evidenzia ipossiemia e alcalosi respiratoria:
pH 7.51, pO2 50 mmHg, pCO2 25 mmHg. Finita la valutazione di base il medico internista del DEA esegue ecocardiogramma (focalizzato) ed eco-Doppler venoso degli arti inferiori (CUS
semplificata) in emergenza con rilievo di trombo flottante tipo
A in ventricolo destro, dilatazione delle sezioni cardiache destre,
movimento paradosso del setto interventricolare e trombosi della vena grande safena destra estesa fino alla giunzione safenofemorale. Il tempo necessario per l’esecuzione di tale diagnostica
ultrasonografica è stato di 7 min. Pervengono nel frattempo i risultati degli esami ematochimici d’urgenza effettuati in DEA
(Biosite Triage Meterplus): troponina 0.24 ng/mL, BNP > 1300
pg/mL e D-dimero positivo.
Alla fine della valutazione clinico-strumentale la diagnosi è
di tromboembolia polmonare submassiva in paziente in precario compenso emodinamico con più fattori prognostici negativi: disfunzione ventricolare destra, trombo flottante tipo A in atrio
destro, troponina elevata e BNP elevato. Dopo acquisizione del
consenso informato alle ore 11.30 si inizia trattamento fibrinolitico con Alteplase endovena con netto e rapido miglioramento del quadro clinico ed emogasanalitico (pO2 70.2 mmHg,
pCO2 35, pH 7.43). Alle ore 17.30 all’ecocardiogramma di controllo non è più presente il trombo in ventricolo destro e non sono più presenti i segni di disfunzione ventricolare destra. Il
giorno seguente la TC spirale con mdc del torace conferma la presenza di segni di embolia polmonare con parziale deficit di
riempimento delle arterie polmonari e lobari bilateralmente.
Conclusioni. L’ecocardiogramma e l’eco-Doppler venoso degli arti inferiori eseguiti in emergenza dal medico del DEA sono risultati utili per il rapido inquadramento e il trattamento del
paziente potenzialmente instabile.
La diagnostica con ultrasuoni sta avendo sempre più importanza in varie condizioni cliniche afferenti ai DEA; sarebbe
quindi auspicabile che all’interno del training formativo del
medico internista dedicato alla emergenza-urgenza fosse dato un
più ampio spazio all’apprendimento delle tecniche ecografiche.
Tromboembolia polmonare submassiva trattata
con fibrinolisi. Utilità della diagnostica ecografica
nelle mani del medico di emergenza-urgenza
Peiman Nazerian, S. Vanni, F. Burberi, F. Moroni, S. Grifoni
Dipartimento Emergenza Accettazione,
Azienda Universitaria Ospedaliera Careggi di Firenze
“Nodulo solitario critico”:
management tempestivo di una diagnosi incerta
Caso clinico. C.F. maschio di 78 anni giunge al nostro DEA il
16 dicembre alle ore 10.30 trasportato da ambulanza con medico a bordo. Il paziente 2 giorni prima aveva lamentato dolore retrosternale oppressivo che si era attenuato in circa 1 ora. La mattina del 16 dicembre (circa 1 ora prima del ricovero), dopo alcuni
passi aveva presentato improvviso episodio di capogiro associato
a sudorazione algida, dispnea e dolore toracico analogo al precedente. Il sospetto diagnostico del medico 118, dopo l’esecuzione
di ECG in 12 derivazioni a domicilio, era di infarto miocardico
subacuto. All’anamnesi patologica remota da segnalare iperten-
Elisabetta Panella, S. Antonaci
Sezione di Medicina Interna, Dipartimento di Medicina Interna,
Immunologia e Malattie Infettive, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi di Bari
Un uomo di 42 anni, forte fumatore e dedito ad abuso alcolico, si è presentato alla nostra attenzione con vivo dolore locale
322
Summer School Medicina d’Urgenza
e impotenza funzionale per la presenza, da 5 mesi, di vistosa tumefazione laterocervicale sinistra fistolizzata, con gemizio emato-purulento, associata a febbre. Recava con sé unicamente esame istologico su biopsia effettuata all’epoca della comparsa
della lesione che aveva mostrato la presenza di frammenti di carcinoma squamocellulare, senza informazioni circa la struttura istologica su cui la neoplasia si era innestata. L’indagine tomodensitometrica ha rivelato infiltrazione del muscolo sternocleidomastoideo, dei grossi rami arterovenosi omolaterali, con franca
inclusione di alcuni tratti di essi nella sua compagine, e vistosi
segni di flogosi suppurativa; le scansioni total-body non hanno
rilevato alcun segnale suggestivo di metastatizzazione. Negative
tutte le indagini circa una natura infettiva. Negativo è risultato
l’iter diagnostico volto a determinare una plausibile sede primitiva. Nell’assoluta impossibilità di effettuare necessario trattamento chirurgico, dato il vistoso interessamento delle strutture vitali del collo, il paziente è stato sottoposto a chemioterapia
citoriduttiva, decisione, questa, non scevra da dubbi. In precedenza a tale scelta terapeutica, l’istologia su nuova biopsia ha confermato la presenza di frustoli in regressione di carcinoma verrucoso accanto a diffusi segni di flogosi granulomatosa gigantocellulare da corpo estraneo e a formazioni stratificate di papille
di tessuto cheratinico. Dopo due cicli di chemioterapia (CDDP
+ novalbina), il paziente si è sottoposto a nuovo esame TC che
ha mostrato marcata riduzione volumetrica della suddetta lesione,
tale da rendere possibile l’intervento eradicante. L’analisi istologica del pezzo operatorio ha rivelato assenza di cellule neoplastiche in situ e nei linfonodi loco-regionali, ma persistenza di
flogosi da corpo estraneo. Il paziente esegue tuttora follow-up
presso il nostro Dipartimento con esecuzione di ulteriori cicli chemioterapici di consolidamento. Una diagnosi definitiva verrà formulata solo se nel tempo si presenteranno lesioni metastatiche
nelle sedi tipiche, o una chiara evidenza di sede primitiva contigua (testa e collo) o a distanza, oppure, nell’ipotesi di tumore
primitivo originatosi da cute, annessi, o preesistente disontogenìa,
se si presenterà ripresa della malattia locale.
sentava in condizioni generali scadute, in stato soporoso, afebbrile, pressione arteriosa 110/70 mmHg, frequenza cardiaca
100 b/min ritmica, respiro tachipnoico (frequenza respiratoria 24
atti resp/min) e profondo, cute e mucose lievemente disidratate. All’esame obiettivo neurologico si evidenziava stato soporoso, midriasi pupillare bilaterale, riflessi pupillari evocabili bilateralmente, apertura degli occhi in seguito a comando verbale, risposta verbale inintellegibile, risposta motoria caratterizzata
dall’allontanamento dello stimolo doloroso, assenza di segni di
lato, ROT evocabili bilateralmente, Babinski negativo bilateralmente, Glasgow Coma Scale: 9. Non si apprezzavano reperti patologici all’esame obiettivo cardiaco, toracico e addominale. Venivano eseguiti: stick glicemico su sangue capillare 400
mg/dL; emocromo: GB 8500/mm3 (neutrofili 70%), HGB 14
g/dL, PLT 350 000/mm3, creatinina 1.2 mg/dL, azotemia 20
mg/dL, sodiemia 134 mEq/L, potassiemia 5.5 mEq/L, cloremia
100 mEq/L, osmolarità plasmatica 297 mOsm/kg. Nella norma
risultavano gli indici di funzionalità epatica e le prove di coagulazione. L’emogasanalisi, eseguita in aria ambiente, mostrava: pH 7.20; pO2 90 mmHg; pCO2 28 mmHg; HCO3- 11 mEq/L
SaO2 96%; l’anion gap (AG) risultava aumentato (pari a 23) e
il rapporto ∆AG/∆HCO3- era pari a 0.85, indice di acidosi metabolica pura. Il paziente veniva sottoposto a cateterizzazione vescicale e veniva eseguito uno stick su campione di urine che evidenziava: glicosuria +++, albuminuria ++, leucocituria assente,
chetonuria +++.
L’ECG mostrava una frequenza cardiaca di 100 b/min, ritmo
sinusale e assenza di disturbi della conduzione e della fase di recupero ventricolare. Al fine di escludere una patologia cerebrovascolare, il paziente veniva sottoposto ad esame tomografico dell’encefalo senza mdc che risultava nella norma. L’esame, ripetuto, con iniezione di mdc, a distanza di 48 ore, risultava invariato.
Il paziente veniva, pertanto, sottoposto a terapia reidratante e
insulinica con somministrazione di X UI (0.15 UI/kg/ora) in bolo e.v. di insulina rapida, seguiti da una infusione continua di VI
UI/ora (0.1 UI/kg/ora) di insulina rapida in 500 mL di soluzione fisiologica 0.9%. Venivano eseguiti monitoraggio della glicemia ogni 30 min, degli elettroliti e del quadro emogasanalitico. Una volta raggiunti valori glicemici < 250 mg/dL veniva intrapresa infusione di VI UI/ora (0.1 UI/kg/ora) di insulina rapida in 500 mL di soluzione glucosata al 5%. Si assisteva, quindi, a graduale riduzione dei valori di glicemia, a normalizzazione
del quadro emogasanalitico e notevole miglioramento delle condizioni cliniche del paziente.
Sulla base del quadro clinico, dei dati anamnestici, dell’habitus del paziente e del riscontro di iperglicemia e chetonuria, nel
sospetto di una forma autoimmune di diabete mellito, veniva successivamente eseguito il dosaggio degli anticorpi anti-GAD e del
peptide C, che risultavano di 11.7 U/mL (v.n. fino a 0.9 U/mL)
e 0.2 ng/mL (v.n. 1-3 ng/mL), rispettivamente. Negativa risultava
la ricerca degli anticorpi anti-IA2 e anti-tireoglobulina e anti-TPO.
Alla luce dei dati laboratoristici e strumentali sopra elencati
veniva pertanto posta diagnosi di: “Chetoacidosi in paziente
affetto da diabete mellito autoimmune a insorgenza in età adulta (LADA - latent autoimmune diabetes in the adult)”.
Un caso di chetoacidosi in un paziente
con diabete mellito insorto in età adulta
Antonio Perciaccante, P. Serra
Istituto di III Clinica Medica, Policlinico Umberto I di Roma
Un uomo di 45 anni giungeva alla nostra osservazione per la
comparsa da circa 4 giorni di nausea e vomito associati ad un progressivo obnubilamento del sensorio. I familiari riferivano una
diagnosi di diabete mellito di tipo 2, per cui aveva iniziato terapia con glibenclamide con buon controllo del profilo glicemico.
Successivamente, dopo 2 anni di terapia continuativa, in seguito al riscontro di elevati valori di glicemia, veniva associato trattamento con metformina, senza però ottenere un adeguato controllo glico-metabolico. Non venivano riferite altre patologie degne di nota, né recenti traumi o assunzione di bevande alcoliche.
All’ingresso, il paziente, di costituzione longitipo (venivano
riferiti un peso corporeo ≅ 60 kg e un’altezza di 180 cm), si pre-
323
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
Un caso di osteoporosi secondaria
Grave ipoglicemia in anziana diabetica ipertesa
in trattamento insulinico: considerazioni cliniche
Lucio Privitelli
Daniela Quartarone, S. Greco, F. Bordonaro, P. Noto,
G. Molino, R. Noto
Istituto di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Clinica Medica
“L. Condorelli”, Università degli Studi di Catania
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche,
Un impiegato di 55 anni si presenta alla nostra osservazione
accusando da circa 3 mesi dolore diffuso e mal definibile a carico del tratto dorso-lombare della colonna vertebrale. Il dolore, che era esacerbato dalla stazione eretta, si presentava anche
nelle ore notturne. Alla sintomatologia dolorosa si associava astenia e progressivo dimagrimento. Il medico curante, consultato,
diagnosticava una lombosciatalgia, e prescriveva FANS e decontratturanti, con apparente risoluzione della sintomatologia dolorosa. Il benessere perdurava per una settimana. A seguito di uno
sforzo fisico (spinta dell’autovettura in panne) il dolore ricompariva, ed il medico curante nuovamente consultato, prescriveva Rx della colonna (referto non pervenuto) e consigliava visita ortopedica.
L’ortopedico prescriveva 90 giorni di riposo, busto ortopedico e terapia antinfiammatoria e antidolorifica (Co-Efferalgan).
Nel mese di gennaio 2004 (a 3 mesi circa dall’inizio dei sintomi), per il persistere della sintomatologia, veniva consultato
un altro ortopedico che, pur confermando la precedente terapia,
richiedeva una scintigrafia ossea (negativa) ed una densitometria ossea.
Il paziente arriva al nostro ambulatorio per eseguire MOC
l’08/02/2004.
Esame obiettivo: condizioni generali scadenti. Altezza 162 cm,
peso 55 kg. Dolente alla digitopressione il tratto lombosacrale.
Riferisce di aver perduto circa 10 kg in 4 mesi.
Esame MOC: total body: T score -2.42 Lombare: T score -5.07.
Esami eseguiti: Rx rachide dorso-lombare: deformazione del
soma T10 e T12 per interruzione ed infossamento della limitante
superiore.
Hb 10.4 g/dL; Ht 30.3%; leucociti 6690/mm3 (N 43; L 49; M
3.6; E 0.6); piastrine 382 000/mm3; VES (I ora) 108; calcemia
9.4 mg/dL; fosforemia 2.8 mg/dL; creatinemia 1.2 mg/dL; Na
136 mEq/L; K 4.2 mEq/L; beta-2 microglobulina sierica 0.24
mg/dL (< 0.22); calciuria 100 mg/24 ore; proteine totali 13.5 g;
albumina 30.4%; A/G 0.4; fosfatasi alcalina 59 U/L (v.n. < 48);
IgA 25 mg/dL (69-382); IgG 6490 mg/dL (720-1685); IgM 26
mg/dL (63-277); catene H tipo gamma; catene L tipo K; catene
K 422 mg/dL (< 1.85).
Rx scheletrico: cranio - omero - avambraccio - bacino - femore
- gamba. “Aree di rimaneggiamento strutturale a carico della teca cranica, della mandibola, delle ali iliache e dei femori”.
Diagnosi: mieloma multiplo.
In conclusione, il caso clinico descritto ci sembra meritevole di interesse perché focalizza l’attenzione sulla necessità di valutare accuratamente le cause di osteoporosi nel paziente di sesso maschile, nel quale la suddetta patologia è con elevata frequenza secondaria. Inoltre ci sembra utile ricordare che l’interessamento scheletrico del mieloma multiplo non è limitato
all’eventuale osteolisi, ma include l’osteoporosi generalizzata quale componente fondamentale del quadro clinico.
Università degli Studi di Catania
Gli autori, proponendo un caso clinico di grave ipoglicemia,
hanno voluto evidenziare l’importanza del continuo monitoraggio glicemico nei pazienti anziani diabetici in trattamento insulinico, in cui è elevato e frequente il rischio di ipoglicemia insulino-indotta, tentando anche di spiegarne i possibili meccanismi patogenetici.
Donna di 82 anni, giunta all’osservazione in seguito ad una
grave crisi ipoglicemica.
In anamnesi remota si rileva: malattia cardioipertensiva da circa 40 anni in trattamento farmacologico; diabete mellito da circa 20 anni, in trattamento insulinico da 3 anni; vasculopatia cerebrale cronica con lieve deficit cognitivo da 3 anni. Recenti crisi ipoglicemiche. Terapia praticata: ACE-inibitori, diuretici, digossina, nitroderivati, antiaggreganti piastrinici, insulina.
La paziente è stata condotta al Pronto Soccorso durante le prime ore del mattino (ore 4.30) in coma, subito identificato come
ipoglicemico in base ai dati anamnestici e poiché i primi dati ematochimici eseguiti mostravano una grave ipoglicemia (19 mg/dL),
lieve ipopotassiemia (3.2 mEq/L), lieve iperazotemia (64 mg/dL).
Parametri cardioemodinamici controllati nei limiti della norma. La paziente ha praticato terapia con soluzioni ipertoniche glucosate al 33%, soluzione glucosata al 5% e si è rilevato un graduale recupero delle funzioni cognitive e dei valori glicemici, riportati in poco tempo nel range di normalità (ore 5.00: 60
mg/dL; ore 6.20: 122 mg/dL). Ai successivi controlli la paziente si presentava collaborante, vigile, in buon compenso
emodinamico.
Gli autori ricordano come gli anziani siano generalmente
paucisintomatici in presenza di ridotti valori glicemici. In quelli con diabete mellito insulino-dipendente è inoltre tipica la sindrome dell’“ipoglicemia autonomica” che include l’inadeguata risposta ormonale neuroendocrina, la ridotta azione degli ormoni controregolatori, e l’insufficiente percezione dei sintomi
autonomici. L’insufficienza della risposta adrenergica all’ipoglicemia potrebbe essere il principale fattore responsabile della soppressione della glicogenolisi epatica e della gluconeogenesi, così come la diminuita risposta del glucagone e l’ipotiroidismo moderato senile potrebbero essere fattori contribuenti
alla spontanea ipoglicemia a digiuno. I possibili e talvolta frequenti episodi di ipoglicemia sembrano aumentare la soglia di
risposta a quest’ultima esponendo i soggetti ad un maggior rischio, che certamente aumenta anche in rapporto all’età più
avanzata.
Un ulteriore momento patogenetico, secondo gli autori, può
essere indotto dalla terapia antipertensiva spesso coesistente
nell’anziano diabetico, come nel caso descritto. Tale problema
è stato analizzato in diversi studi clinici, ma a tutt’oggi rimane
controverso, specie per quanto riguarda la classe del farmaco im-
324
Summer School Medicina d’Urgenza
piegata. Un aumentato rischio di ipoglicemia è, infatti, presente nei diabetici anziani ipertesi che presentano una ridotta risposta
controregolatoria all’ipoglicemia. Uno studio recente dimostra
che la terapia antipertensiva ha un impatto sul rischio di ipoglicemia negli anziani diabetici trattati con insulina o sulfoniluree;
il rischio è ulteriormente aumentato in pazienti con malattie
epatiche e renali. Sebbene siano ancora necessari ulteriori studi per meglio valutare il rischio di ipoglicemia associata all’uso
di farmaci antipertensivi, questo rischio probabilmente non inficia i benefici che questi farmaci inducono in pazienti diabetici con complicanze croniche vascolari. Gli autori ritengono che
un continuo e buon controllo glicemico si renda necessario nei
soggetti anziani diabetici sottoposti a terapie multiple e quando
affetti da coesistenti patologie epatiche e/o renali.
gene di 12 e 14 mm di diametro; la scintigrafia delle paratiroidi con Tc99 sestamibi evidenziava immagine ipercaptante il
radionuclide nella stessa sede. La paziente era trasferita presso
reparto chirurgico e sottoposta ad intervento di paratiroidectomia superiore ed inferiore destra; l’esame istopatologico deponeva per iperplasia nodulare. Alla successiva dimissione la
deambulazione era autonoma e il sensorio integro.
Una sindrome ipercalcemica necessita di stretta sorveglianza
in quanto eventuali condizioni favorenti (es. disidratazione) potrebbero indurre la comparsa e l’evoluzione di disturbi motori
e deficit dello stato di coscienza. Il trattamento di elezione
dell’iperparatiroidismo primitivo nell’anziano è chirurgico, anche se l’eziologia prevalente è benigna (80% adenoma, 15% iperplasia nelle casistiche più recenti).
Un caso di ipercalcemia in paziente anziana
Sindrome da anticorpi antifosfolipidi
Monica Ranzini, L. Giusto, G.B. Vigna, R. Fellin
Tiziana Rapino
Sezione di Medicina Interna Gerontologia e Geriatria,
Scuola di Specializzazione in Medicina Interna,
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti
Università degli Studi di Ferrara
Giovane donna di 16 anni, studentessa, giunta in Pronto
Soccorso per la comparsa improvvisa di sensazione di oppressione toracica retrosternale associata a dispnea e lipotimia.
In anamnesi la diagnosi posta un anno prima di angioneurosi per fenomeni di cianosi alla mano destra.
All’ECG in Pronto Soccorso: ritmo sinusale, frequenza cardiaca 65 b/min, conduzione atrioventricolare accelerata, T negative in aVF e D3.
Enzimi di miocardiocitonecrosi: troponina 3.58 ng/mL. Durante
l’esecuzione dell’ecocardiogramma (risultato nella norma), la paziente presentava la comparsa improvvisa di afasia, emiplegia
destra con ipo-anestesia omolaterale e deficit del VII n.c. di
destra.
La TC encefalo eseguita in urgenza risultava negativa. La paziente veniva trasferita in Medicina dove eseguiva ulteriori esami strumentali: Rx torace, Doppler dei vasi epiaortici ed ecocardiogramma transesofageo risultati nella norma. Si eseguiva
inoltre un RMN encefalo (a 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi), che documentava la presenza di lesione ischemica in fase
subacuta a carico della regione temporo-parietale mesiale, nel putamen e nella corona radiata di sinistra con lieve effetto massa
sulla cella media e sul corno frontale del ventricolo omolaterale. Negativa per la presenza di malformazioni vascolari l’angioRMN del circolo intracranico. Tra gli esami di laboratorio da segnalare: lieve ipersedimetria (33 22 mm/ora), lieve anemia normocromica normocitica (HGB 10.8 g/dL). Nella norma: C3, C4,
batteria autoanticorpale, screening emocoagulativo, crioglobuline, marcatori epatite B e C. Si procedeva a valutazione dello
stato trombofilico della paziente: assenti LAC, APC resistance,
assente la mutazione del gene della protrombina e del gene del
fattore V Leiden. Nella norma omocisteina, proteina C e S coagulatoria. Da segnalare la positività degli anticorpi IgM anticardiolipina (16 MPL/mL 121 dopo 10 giorni) e anticorpi antifosfolipidi (IgM 18 MPL/mL). Veniva pertanto posta la diagnosi
L’ipercalcemia è un disturbo idroelettrolitico dovuto nel 90%
dei casi a iperparatiroidismo primitivo o neoplasie maligne.
Una grave ipercalcemia, definita per valori ≥ 7.5 mEq/L (15
mg/dL), è un’emergenza medica perché può provocare coma o
arresto cardiaco.
Presentiamo il caso di una donna di 83 anni, ricoverata per confusione mentale e astenia con deambulazione difficoltosa e algie lombari dopo recente caduta.
La paziente, portatrice di trait β-talassemico, presentava storia di ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e morbo di
Parkinson. All’ingresso appariva disorientata nello spazio e nel
tempo e rallentata; l’esame obiettivo neurologico mostrava ROT
ipoelicitabili e simmetrici.
Gli esami ematochimici dell’ingresso evidenziavano anemia
microcitica (Hb 9 mg/dL, MCV 63 fL), insufficienza renale
lieve (creatinina 1.5 mg/dL, azotemia 88 mg/dL), ipercalcemia
(7.3 mEq/L), mentre erano nella norma fosfatemia, elettroforesi sieroproteica ed elettroliti urinari. Veniva effettuato dosaggio
del paratormone che risultava notevolmente aumentato (930
pg/mL, v.n. < 78).
Il decorso clinico era caratterizzato da progressivo incremento della calcemia (8.8 mEq/L), consensuale rapido obnubilamento del sensorio e comparsa di coma, che induceva ad eseguire TC cerebrale per escludere una possibile genesi ischemica (riscontro di aree di malacia diffuse in assenza di lesioni
ischemiche). Era posizionato catetere venoso centrale ed iniziata
terapia con difosfonato e.v. (clodronato 300 mg/die) ed iperidratazione. A partire dalla seconda giornata si assisteva a progressivo decremento della calcemia con risoluzione dello stato
di coma.
Una radiografia del rachide dorso-lombare non evidenziava
lesioni traumatiche recenti od osteolitiche. Un’ecografia paratiroidea mostrava, a destra, due formazioni ovaliformi ipoeco-
325
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
di “lesione ischemica sul territorio della cerebrale media sinistra
ed ischemia miocardica in paziente con sindrome da anticorpi
antifosfolipidi”. La paziente veniva trattata con eparina in infusione (20 000 U/die) per 5 giorni e quindi con warfarin (mantenendo PT-INR tra 2-3).
A tal punto vengono dosati gli ormoni tiroidei che confermano
il sospetto clinico di ipotiroidismo conclamato (FT3 < 1.00
pg/mL, FT4 < 0.20 ng/dL, TSH > 75 µUI/mL).
Conclusioni. Il caso clinico in questione ci sembra interessante in quanto ci permette di formulare alcune considerazioni: un
versamento pericardico cronico rappresenta spesso (30%) una
modalità di presentazione di un ipotiroidismo occulto. Tale patologia va pertanto sempre indagata ed esclusa in presenza di una
pericardite cronica recidivante ad eziologia apparentemente
ignota. Nel caso in questione la mancata definizione diagnostica della patologia cardiaca ha condotto ad un impiego protratto ed inappropriato di alte dosi di corticosteroidi, responsabili
dell’insorgenza di una grave osteoporosi secondaria con crolli
vertebrali multipli. Da qui la necessità per l’internista di adottare un approccio multisistemico alla patologia d’organo, al fine di ridurre i costi in termini umani ed economici derivanti da
una visione ultraspecialistica della Medicina.
Un paziente particolarmente astenico
Stefania Riccobene
Istituto di Medicina Interna e Patologie Sistemiche,
Clinica Medica “L. Condorelli”, Università degli Studi di Catania
Caso clinico. N.M., un giovane di 28 anni, giunge alla nostra osservazione nell’estate del 2003 per l’insorgenza da alcuni mesi
di marcata astenia, dolore sordo di tipo oppressivo in sede precordiale, complicatosi nell’ultima settimana da dispnea a riposo, poliuria, polidipsia. Dal colloquio con il paziente ed i familiari si evince una storia di ipostaturalismo e di scarso rendimento
scolastico. Negli ultimi 3 anni ripetuti ricoveri presso Divisioni
di Cardiologia e Cardiochirurgia per versamento pericardico
recidivante, più volte sottoposto a pericardiocentesi. Viene esibito referto di una biopsia endomiocardica (effettuata nel 2001)
che documenta un quadro di fibrosi diffusa.
L’esame colturale del liquido pericardico eseguito in tale occasione esclude un’eziologia batterica della pericardite.
Sospettando una genesi autoimmune della miocardiopatia, viene posta indicazione a trattamento con corticosteroidi (praticato dal paziente in maniera continua dal 2001 fino all’atto del ricovero presso la nostra Divisione) e FANS. Dalla stessa epoca
N.M. riferisce frequenti episodi di rachialgia da carico, prevalentemente notturni. Giunto al Pronto Soccorso del nostro nosocomio, per la sintomatologia su riferita, viene sottoposto ad esame ecocardiografico che evidenzia la presenza di significativo
versamento pericardico, con modesto impegno emodinamico.
L’Rx del torace evidenzia una cardiomegalia. Viene inoltre riscontrata una iperglicemia (HGT 450 mg%) trattata prontamente con insulina per via e.v. e terapia reidratante.
Obiettività all’ingresso: condizioni generali scadenti. Cute
secca e ruvida. Bradilalia. Edemi al volto più accentuati in sede
peripalpebrale. Toni cardiaci parafonici. All’ispezione toracica
marcata cifoscoliosi del rachide dorsale, con notevole limitazione funzionale. Vengono pertanto richiesti alcuni esami ematochimici che evidenziano un modesta anemia microcitica (trait
talassemico), confermando inoltre elevati valori glicemici con glicosuria. Alla luce dei dati clinici ed anamnestici vengono richiesti i seguenti esami strumentali e gli ulteriori esami ematochicimici: MOC total body e MOC lombare, che evidenziano una
grave osteoporosi (t-score al total body -3.00; t-score in corrispondenza del tratto L2-L4 -3.45); Rx del rachide dorso-lombare con studio morfometrico dei corpi vertebrali: “crolli vertebrali
multipli a rocchetto ed a cuneo anteriore di numerosi corpi vertebrali del tratto toraco-lombare”; ecografia tiroidea: tiroide ad
ecostruttura disomogenea, tendenzialmente ipoecogena e di volume ridotta (diametro AP 8 mm a destra, 7 mm a sinistra). Poco
valutabile la vascolarizzazione parenchimale.
Una dispnea di difficile inquadramento
Stefania Sabatino
Medicina Interna II Universitaria “Cesare Frugoni”,
Policlinico di Bari
Caso clinico. Nel luglio 2003 veniva inviata dal Pronto Soccorso
alla nostra U.O. la paziente M.I., di anni 79, per modica dispnea
ed intensa astenia da circa 48 ore. L’anamnesi patologica risultava sostanzialmente muta, ad eccezione di ipertensione arteriosa
in trattamento. All’esame obiettivo la paziente presentava tachicardia, tachipnea, valori pressori al limite basso della norma
e crepitii basali all’auscultazione polmonare. Gli esami ematochimici rilevavano leucocitosi neutrofila, modica anemia microcitica, PT allungato con notevole incremento dei D-dimeri
(7064, con v.n. < 200). Lo screening enzimatico per IMA risultava
negativo, tranne che per un lieve incremento di CPK-MB.
L’EGA evidenziava alcalosi respiratoria con ipossiemia medio-severa. All’ECG si rilevava tachicardia sinusale con sporadiche ExSVe, onda P polmonare e deviazione assiale destra.
L’esame Rx torace escludeva presenza di addensamenti pleuroparenchimali, con riscontro isolato di slargamento dell’ombra cardiaca in toto. Posta indicazione all’esecuzione di scintigrafia polmonare perfusiva d’urgenza, veniva instaurata O2-terapia. Il
quadro scintigrafico concludeva per severa ipoperfusione plurisegmentaria del polmone sinistro, come da processo embolico in atto. Dopo circa 12 ore dall’ingresso in reparto la paziente presentava un netto peggioramento delle condizioni generali e dello status emodinamico, presentando agitazione psico-motoria, sudorazioni algide, dispnea ingravescente, ipotermia agli
arti inferiori, ipotensione severa e contrazione della diuresi.
L’EOP mostrava riduzione diffusa del MV e rantoli grossolani
medio-basali. Richiesta TAC torace spirale urgente, si evidenziava “voluminoso aneurisma dell’aorta endotoracica con lume
eccentrico a livello del tratto discendente. Severa compressione delle sezioni cardiache sinistre. Versamento pleurico bilaterale ed iniziale edema interstiziale”. Le scansioni Angio-TAC to-
326
Summer School Medicina d’Urgenza
raco-addominali, richieste dal consulente chirurgo vascolare,
documentavano l’imponente dilatazione aneurismatica dai territori toracici basali sino in sede iatale e sovrarenale. L’ecocardiogramma bidimensionale mostrava una severa riduzione della funzione contrattile globale del ventricolo sinistro e all’emocromo di controllo si constatava un significativo calo dell’emoglobina. Si instaurava, quindi, terapia con plasma expanders ed
emotrasfusione. Disposto il trasferimento presso l’U.O. di
Chirurgia Vascolare, a circa 18 ore dall’ingresso nel nostro reparto, la paziente presentava una compromissione drammatica
del quadro emodinamico esitando in exitus.
Discussione. Il caso esposto dimostra da un lato la possibilità di
presentazione atipica di dissecazione aortica, in assenza di algie
retrosternali e/o addominali, dall’altro l’evenienza non infrequente
di falsa positività della scintigrafia polmonare perfusiva nella diagnostica di tromboembolia polmonare.
terazioni. L’ecografia dell’addome e la successiva angio-RM evidenziavano milza aumentata di volume e multiple formazioni
espansive rotondeggianti iperecogene, la maggiore di circa 3 cm,
di incerta natura. L’ecografia tiroidea mostrava una neoformazione paratiroidea destra e struma multinodulare. Dalla biopsia
osteomidollare emergeva un quadro midollare ipercellulato con
alterazioni angiomatose diffuse. Il caso veniva collegialmente discusso con il Collega Patologo e con gli Ematologi e si decideva di porre indicazione alla splenectomia. L’esame istologico delle lesioni spleniche multiple mostrava reperti compatibili con angiomi tipo “littoral cell”. La paziente veniva contestualmente sottoposta ad emitiroidectomia destra e paratiroidectomia omolaterale; la diagnosi istologica era di iperpalsia tiroidea e paratiroidea.
Ci siamo trovati di fronte ad un caso clinico singolare che ha
sollevato più di un quesito di non facile soluzione. I punti fermi sono rappresentati della diagnosi di MEN 1 (macroadenoma
ipofisario a secrezione mista di PRL/GH ed iperparatiroidismo)
e dalla presenza di lesioni angiomatose in sedi multiple (milza,
stomaco, midollo osseo e verosimilmente anche in sede della pregressa emorragia mediastinica spontanea). È noto inoltre che la
MEN 1 si associa a neoformazioni in altre sedi non endocrine.
Una possibile, unitaria, spiegazione del quadro clinico potrebbe essere ricondotta all’iperproduzione di un fattore angiogenetico
VEGF-like (per deficit di menina? da parte dell’adenoma ipofisario?). Tale ipotesi è tuttora in corso di verifica. Il quadro ipofisario veniva sottoposto alla valutazione del Collega Neurochirurgo e si decideva di procrastinare l’intervento chirurgico valutando la risposta a medio termine al trattamento farmacologico impostato con cabergolina. Una RM dell’encefalo eseguita a
4 mesi dalla dimissione ha documentato la riduzione delle dimensioni dell’adenoma ipofisario (1.8 1.5 1.2 cm). Non si
sono verificati ad oggi nuovi eventi emorragici. La conta piastrinica è stabile e si attesta su valori di 250 000/mm3.
Una sindrome emorragica inusuale
Simona Sada, I. Tenuti, D. Girelli
Medicina Interna B, Ospedale Policlinico di Verona
Una donna di 51 anni si presentava in Pronto Soccorso per la
comparsa improvvisa e spontanea di un vasto ematoma a livello della parete toracica anteriore esteso in regione mammaria.
Erano inoltre presenti da alcune settimane astenia, disfonia, disfagia e dispnea. I parametri vitali erano nei limiti di norma e gli
esami ematochimici evidenziavano: Hb 7.3 g/dL, PLTs 95 000/
mm3, GB 6000, nella norma PT e aPTT. Una TC torace eseguita
in urgenza rilevava la presenza di emorragia mediastinica retrotracheale, versamento ematico pleurico destro. La paziente pertanto, dopo emotrasfusione, veniva sottoposta a toracotomia
con riscontro ed evacuazione di ematoma peri-esofageo. Il decorso postoperatorio era complicato dalla necessità di procedere a tracheotomia e ventilazione artificiale per la comparsa di soffusioni emorragiche all’ingresso delle vie respiratorie e della laringe. La prosecuzione degli accertamenti con EGDS e angioRM dell’encefalo nel sospetto di sindrome di Rendu-Osler documentavano rispettivamente la presenza di diffuse angiodisplasie del corpo gastrico e di un macroadenoma ipofisario (3 2.2 cm). L’anamnesi familiare e personale risultava negativa per
diatesi emorragica. Si segnalava che la paziente riferiva l’aumento
delle dimensioni dei piedi e la necessità di passare da calzature
n. 37, utilizzate in età giovanile, al n. 40 attuale.
Alla nostra osservazione la paziente giungeva asintomatica e
apiretica. La facies denotava aspetti di tipo acromegalico.
L’obiettività cardiopolmonare ed addominale era nei limiti. Non
si rilevava linfoadenomegalia. Vi era uno sfumato deficit di
convergenza della motilità oculare. L’emocromo confermava
un’anemia normocitica ed evidenziava leucopenia con neutropenia e piastrinopenia (PLTs 45 000/mm3). Si rilevavano inoltre: marcato aumento di PRL e di somatomedina C (IGF-1), calcemia e PTH aumentati, GH ed ACTH ai limiti superiori, cortisolo, FSH, LH, TSH, serotonina, cromogranina A e gastrina nella norma. Lo studio del sistema emostatico non dimostrava al-
Iperkalemia iatrogena nel soggetto diabetico
Marta Salzillo, R. Ricciotti, S. Del Gaudio*, L. Morelli*,
F. Paladino*, F. Schiraldi**
Specializzanda Medicina Interna, Istituto di Terapia Medica,
Ospedale Gesù e Maria SUN, *Dirigente Medico I livello,
**Dirigente Medico II livello, Medicina d’Urgenza,
Ospedale San Paolo di Napoli
Introduzione. Si è presentata alla nostra osservazione una donna di 84 anni in cui l’utilizzo di ACE-inibitori ed antialdosteronici
ha esaltato l’iperpotassiemia spesso presente nel paziente diabetico probabilmente per deficit nella biosintesi di renina e/o aldosterone1.
Caso clinico. Donna di 84 anni, giunge in Pronto Soccorso per
sindrome vertiginosa. Da circa 2 giorni la paziente riferisce difficoltà a mantenere la stazione eretta, e alla deambulazione.
All’anamnesi patologica prossima: BPCO; diabete mellito
tipo 2 in terapia con metformina ed insulina; cardiopatia scleroipertensiva in trattamento con ramipril 2.5 mg 1 cp/die; spiro-
327
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
nolattone 100 mg 1 cp/die. La paziente è vigile no deficit nervi
cranici, no angor, no sudorazione. Pratica: ECG blocco seno atriale 2:1 frequenza cardiaca 80 b/min, emiblocco anteriore sinistro.
Esami ematochimici: glicemia 232 mg/dL; creatinina 1.8 mg/dL;
K 8.9 mEq/L; Na 133 mEq/L. EGA: pH 7.2; PCO2 34.2 mmHg;
HCO3- 16.7 mEq/L; Hbg 11 g/dL; K 8.22 mEq/L; Na 132
mEq/L; glicemia 242 mg/dL; lat 1.6. Viene dunque ricoverata
nel Reparto di Medicina d’Urgenza dove opportunamente monitorizzata, inizia la terapia dell’iperpotassiemia con: bicarbonato di sodio e.v.; soluzione glucosata 10% con insulina R; calcio gluconato e.v.; furosemide e.v.; sodio polistiren solfato più
lattulosio per os. Nonostante i presidi terapeutici messi in atto,
la paziente per circa 12 ore non ha presentato riduzione dei livelli ematici di potassio. Si è contattato, pertanto, la Nefrologia
per una seduta emodialitica. Nell’attesa del trasferimento presso l’Unità di Dialisi si è deciso di somministrare metilprednisone
40 mg e.v. con riduzione della kalemia a valori di 7.4 mEq/L.
Visto il trend in discesa si è deciso di procrastinare la seduta dialitica. Dopo circa 20 ore si è somministrata una ulteriore dose
di 40 mg di metilprednisone e.v. più una cp da 25 mg di cortisone acetato con riduzione della kalemia a valori di 5.4 mEq/L.
Conclusioni. Nel paziente diabetico, non andrebbero utilizzati
in associazione farmaci risparmiatori di potassio come antialdosteronici ed ACE-inibitori, essendo presente, in un’elevata percentuale di questi pazienti, una primitiva tendenza all’iperpotassiemia probabilmente legata a deficit nella biosintesi di renina
e/o aldosterone. Qualora fosse necessario l’utilizzo combinato
delle suddette classi farmacologiche, il paziente dovrebbe essere
strettamente monitorizzato da un punto di vista idroelettrolitico
Bibliografia
dicardia (frequenza cardiaca 52 b/min) e disidratazione. Le secrezioni emesse dalla digiunostomia sono valutabili intorno agli
8-10 L/die, in particolare Na 71 mmol/L, 639 mmol/24 ore; K
8.4 mmol/L, 75.6 mmol/24 ore. Diuresi 350 mL/die. Elettroliti
urinari: Na 6 mmol/L: 2.1 mmol/24 ore (v.n. 40-200), K 66.6
mmol/L, 23.3 mmol/24 ore.
Gli esami ematochimici all’ingresso rilevano: Ca 9.4 mg/dL;
creatinina 1.3 mg/dL; P 5.5 mg/dL; albumina 3.7 g/dL. Al ricovero viene praticata rimozione del CVC con sospensione della
NPT in vena centrale e si inizia terapia antibiotica mirata e nutrizione parenterale periferica di supporto, che la paziente riesce
a praticare solo in parte per inadeguatezza degli accessi venosi
periferici (la paziente rifiuta il posizionamento di nuovo CVC).
La mattina del giorno successivo al ricovero riferisce improvvisa comparsa di crampi alle mani che rapidamente coinvolgono i 4 arti fino a precipitare in una crisi tetanica generalizzata
anche ai muscoli della faccia fino al laringospasmo, con cianosi e perdita di coscienza.
Gli esami ematochimici mostrano: Ca 9.0 mg/dL; Caion 3.0
mg/dL; albumina 3.4 g/dL; creatinina 2.4 mg/dL; all’EAB (pH
7.5; H2CO3std 41 mmol/L; BE 15.8 mmol/L) ed ECG (bradicardia, allungamento del QT).
Diagnosi. Tetania da ridotta disponibilità di calcio ionizzato per
alcalosi metabolica da massive perdite dalla digiunostomia non
compensate. Iperfosforemia. Insufficienza renale acuta prerenale
(GFR calcolato intorno a 20 mL/min).
Intervento terapeutico. Somministrazione in infusione rapida
e.v. di 2 fl di Ca gluconato (186 mg) in 250 mL di soluzione fisiologica, seguita da 1 fl di Mg solfato (8 mEq) in 250 mL di fisiologica e poi da Ca gluconato in infusione lenta. Posizionamento
di CVC per NPT (volume 3000 mL/die) + 1000 mL di soluzione fisiologica. Monitoraggio ECG, ematochimico e clinico.
Conclusioni. Rapida regressione della sintomatologia. Ripristino
della volemia, dell’equilibrio acido-base (pH = 7.45), della diuresi con normalizzazione della funzionalità renale entro 24 ore
(creatinina 1.2 g/dL). La paziente continua la NPT a domicilio
con miscele nutrizionali la cui composizione viene personalizzata in base a periodici controlli ematochimici e clinici. Nel maggio 2004 riceve trapianto intestinale presso il Policlinico S.
Orsola di Bologna.
- deLeiva A, Christlieb AR, Melby JC, et al. Big renin and biosynthetic defect of
aldosterone in diabetes mellitus. N Engl J Med 1976; 295: 639-43.
- Braithwaite SS, Barbato AL, Emanuele MA. Acquired partial corticosterone
methyl oxidase type II defect in diabetes mellitus. Case of hyperreninemic hypoaldosteronism. Diabetes Care 1990; 13: 790-2. Related articles, books, linkout.
Tetania ipocalcemica da alcalosi metabolica
Lidia Santarpia, F. Pasanisi, F. Contaldo, O. de Divitiis
Scuola di Specializzazione in Medicina Interna,
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Università degli Studi “Federico II” di Napoli
Ictus ischemico ed ischemia degli arti inferiori in paziente
con trombocitemia essenziale misconosciuta
Introduzione. L’ipocalcemia ionizzata clinicamente significativa può determinarsi anche in condizioni di alcalosi metabolica, specie nel paziente “critico” (sepsi, insufficienza renale,
ipomagnesiemia, nutrizione parenterale totale, ecc.).
Caso clinico. B.G., femmina, 29 anni, 42 kg, 150 cm, indice di
massa corporea 18.6 kg/m2, con sindrome dell’intestino corto da
ampia resezione intestinale (residuano solo 30 cm di digiuno) per
S. di Gardner, portatrice di digiunostomia e di catetere venoso
centrale (CVC) tunnellizzato per nutrizione parenterale totale
(NPT) dal marzo 2000. Si ricovera nel gennaio 2003 in condizioni generali scadute per febbre settica secondaria ad infezione del CVC da Enterobacter Intermedius. Altri segni clinici
sono: ipotensione marcata (pressione arteriosa 80/50 mmHg), bra-
Francesca Santilli
Patologia Medica, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento,
Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti
Paziente maschio, 75 anni, ex-fumatore, affetto da cardiopatia ischemica postinfartuale ad evoluzione dilatativa, in terapia
con anticoagulanti orali, giunge all’osservazione dell’Ambulatorio
della Patologia Medica dell’Ospedale Policlinico “SS. Annunziata” in seguito alla persistenza, da alcuni giorni, di una sintomatologia caratterizzata da dolore intenso, a carattere continuo,
a carico del IV dito del piede destro. La stessa sede all’ispezio-
328
Summer School Medicina d’Urgenza
ne mostrava la presenza di lesione ulcerativa con iniziali segni
di necrosi.
Dopo aver prescritto indagini diagnostiche atte a spiegarne
l’eziologia (glicemia a digiuno in 2 determinazioni, che ha
escluso la presenza di diabete mellito, Doppler arterioso e venoso degli arti inferiori nella ricerca di fenomeni tromboembolici arteriosi o venosi periferici, entrambi nella norma, autoanticorpi, crioglobuline, anticorpi anti-HCV, nel sospetto di una vasculite, tutti negativi), e praticato nei giorni successivi medicazioni ripetute, si è proceduto all’amputazione del IV dito in seguito all’avanzare della necrosi. È stato sollevato il sospetto di
una rara eppur descritta reazione avversa a warfarin (“sindrome
delle dita porporine e necrosi cutanea”) che è stato pertanto sospeso e sostituito con l’associazione terapeutica di aspirina 100
mg/die e clopidogrel 75 mg/die. Dopo circa 15 giorni il paziente giunge al Pronto Soccorso dello stesso Ospedale in stato
soporoso. Presenta deviazione della rima buccale a destra. Al risveglio dopo alcuni minuti manifesta la presenza di disartria. La
pressione arteriosa è di 140/80 mmHg, sovrapponibile a quella
obbiettivata domiciliarmente dai familiari alla comparsa della sintomatologia. La TC encefalo in fase acuta esclude la presenza
di emorragia cerebrale. L’ECG documenta la presenza di ritmo
sinusale a risposta ventricolare 75/min. Ammesso nel Reparto
di Medicina, vengono eseguiti prelievi per esami ematochimici e Doppler dei vasi epiaortici, privo di connotati patologici.
L’esame emocromocitometrico evidenzia la presenza di trombocitosi (850 000 piastrine/mm3) in assenza di alterazioni della serie eritroide e mieloide. Il dato laboratoristico è stato monitorizzato nel tempo nell’arco di circa 20 giorni per escludere
una trombocitosi reattiva (il recente intervento di amputazione
ed il sanguinamento ad esso associato potevano giustificarla).
L’ecografia addome mostrava la presenza di splenomegalia
(area splenica 111 cm3). Il paziente è stato nel frattempo dimesso
con diagnosi di “ictus ischemico in paziente con cardiopatia ischemica postinfartuale e trombocitosi in via di definizione diagnostica” e indirizzato al Centro di Emostasi e Trombosi dell’Ospedale. Qui è stato sottoposto a biopsia midollare che ha documentato la presenza di trombocitemia essenziale. È stata quindi intrapresa terapia con idrossiurea, in associazione alla duplice terapia antiaggregante già in atto.
L’ictus ischemico, in assenza di fibrillazione atriale o significativa ateromasia carotidea, e l’ischemia e necrosi dell’arto inferiore, in assenza di diabete mellito, vasculite o apparenti fenomeni tromboembolici arteriosi o venosi, possono essere verosimilmente associati alla presenza di trombocitemia essenziale
misconosciuta, che annovera entrambe le entità cliniche tra le possibili complicanze.
sare, l’epatotossicità da paroxetina (antidepressivo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina) è un evento molto raro; finora sono stati descritti in letteratura 9 casi di epatite acuta attribuibile a tale farmaco. Nel presente caso una donna di 84
anni affetta da sindrome ansioso-depressiva, ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale cronica e vasculosclerosi cerebrale giungeva alla nostra osservazione per la comparsa di una sintomatologia caratterizzata da agitazione psicomotoria, sensazione di
oppressione toracica e cardiopalmo, iporessia, nausea e vomito, insorta progressivamente in stretto rapporto temporale con
l’inizio dell’assunzione di paroxetina (10 mg/die per os per un
periodo di 3 giorni). Una settimana prima dell’insorgenza della sintomatologia la paziente era stata sottoposta a controlli
ematochimici di routine indicativi di normale funzionalità epatica; al momento del ricovero, invece, erano presenti: marcata
epatocitonecrosi (valore di picco di alanina aminotransferasi
> 2000 UI/L), colestasi intraepatica, alterazione dei parametri
emocoagulativi ed iperammoniemia in assenza di reperti patologici all’ecografia epatobiliare. L’assunzione del farmaco era
stata sospesa al momento del ricovero e nei giorni successivi si
assisteva ad un graduale miglioramento della sintomatologia e
dei parametri bioumorali fino a pressoché completa normalizzazione. Durante la degenza tutte le comuni cause virali, dismetaboliche, vascolari ed autoimmunitarie di epatite acuta sono state escluse. Il Naranjo score di probabilità per reazioni avverse da farmaci era pari a 7/13.
Il presente caso evidenzia come la paroxetina, pur essendo un
antidepressivo largamente usato sia nella popolazione generale
che nei pazienti affetti da epatopatia cronica, possa essere raramente responsabile di epatotossicità severa con verosimile meccanismo idiosincrasico.
Sindrome di Fitz Hugh Curtis:
una particolare causa di dolore in ipocondrio destro
con innalzamento delle transaminasi
Gianpaolo Vidili, F. Piscaglia*, L. Bolondi*
Istituto di Clinica Medica, Università degli Studi di Sassari,
*Medicina Interna, Dipartimento di Medicina Interna
e Gastroenterologia, Alma Mater Studiorum,
Università degli Studi di Bologna
Introduzione. La sindrome di Fitz Hugh Curtis (FHC) si verifica in donne in età fertile ed è caratterizzata da dolore addominale
nei quadranti superiori di destra, periepatite ed infezione genitale causata prevalentemente da Chlamydia Tracomatis,
Nesisseria gonorrea e raramente da Mycobacterium tuberculosis. La diagnosi viene quasi sempre realizzata dopo laparoscopia che dimostra la presenza di aderenze con aspetto a corda di
violino tra la capsula glissoniana, il diaframma e la parete addominale anteriore. La terapia è medica, mediante antibiotici mirati verso i microrganismi responsabili.
Caso clinico. Una donna di 39 anni, si è presentata al Pronto
Soccorso per la comparsa di un dolore addominale improvviso
localizzato nell’emiaddome destro. Un’ecografia dell’addome in-
Un raro caso di epatotossicità acuta da paroxetina
Paola Tittoto, M. Pompili, R. Mascianà, A. Grieco,
N. Gentiloni-Silveri*, G.L. Rapaccini, G. Gasbarrini
Istituto di Medicina Interna e Geriatra, *Dipartimento di Emergenza
e Accettazione, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Sebbene l’epatite da farmaci sia un evento nel complesso
frequente, a cui anche il medico di medicina generale deve pen-
329
Ann Ital Med Int Vol 19, N 4 Ottobre-Dicembre 2004
feriore ha dimostrato la presenza di una massa ovarica destra con
lieve versamento nel cavo del Douglas. La paziente è stata pertanto ricoverata in un reparto di ginecologia per trattamento
medico e intervento di ovariectomia destra. In seguito alla rapida
remissione della sintomatologia e alla presenza di un aumento
degli indici di flogosi e delle transaminasi, si è deciso di posticipare l’intervento chirurgico, e la paziente è stata nel frattempo dimessa. Dopo 3 giorni si è presentato un quadro clinico caratterizzato da dolore in ipocondrio destro, irradiato alla spalla
omolaterale, interpretato come colica biliare e trattato con analgesici e spasmolitici. La sintomatologia si è risolta dopo qualche ora ed è stata consigliata terapia domiciliare con ceftriaxone per 7 giorni. Dato il ripresentarsi, nei giorni a seguire, della
stessa sintomatologia la paziente si è rivolta presso il nostro
centro. Un’ecografia completa dell’addome ha confermato la presenza della massa ovarica destra ed ha evidenziato alcune aree
ipoecogene di dubbio significato tra fegato e diaframma. L’angioecografia perfusionale e la TC addome hanno escluso la natura maligna delle lesioni (Figg. 1-4). I marker tumorali tra cui
il CA125 sono risultati nella norma. La paziente è stata sottoposta
ad exeresi chirurgica della massa ovarica, che all’esame istologico è risultata un teratoma cistico, e su nostra indicazione si è
chiesto al chirurgo l’esplorazione dell’area corrispondente
all’ipocondrio destro, dove è stata praticata un’adesiolisi per la
presenza di tralci fibrosi che formavano delle aderenze tra il diaframma e la capsula epatica (Fig. 5). Tale quadro ci ha permesso di formulare la diagnosi di FHC, nonostante gli esami microbiologici siano risultati ripetutamente negativi, per i germi sopraddetti.
Discussione. La FHC è una sindrome clinica di natura benigna,
che si verifica in donne in età fertile, ed è successiva alla diffusione di germi che dal tratto genitale, mediante le fimbrie uterine, si diffondono in peritoneo, dove attraverso le docce paracoliche raggiungono l’addome superiore, per poi impiantarsi sulla capsula epatica. La FHC è caratterizzata, dapprima da un’infiammazione acuta con dolore in ipocondrio destro, talora irradiato alla spalla omolaterale, innalzamento delle transaminasi e
associato ad una diagnostica strumentale spesso negativa. La malattia può evolvere in una fase cronica, durante la quale si creano delle aderenze tra la capsula Glissoniana, il diaframma e la
parete addominale che risultano più facilmente identificabili
mediante diagnostica strumentale. La terapia di tale sindrome è
medica. Un buon trattamento con antibiotici, sensibili ai germi
indicati, risolve il quadro infiammatorio prevenendo la cronicizzazione e le ricadute della malattia. Sarebbe pertanto auspicabile realizzare una diagnosi non invasiva. Dati anamnesticoclinici, come l’età, l’associazione di una malattia ginecologica
con un problema epatico, ed una buona diagnostica strumenta-
FIGURA 1. Ecografia addome superiore che dimostra i
noduli ipoecogeni tra diaframma e capsula epatica.
FIGURA 2. Angioecografia
FIGURA 3. TC addome superiore che mette in evidenza
l’area tra il diaframma e la
capsula glissoniana.
FIGURA 4. TC addome superiore che mette in evidenza
la presenza di ulteriori noduli avascolari.
perfusionale con mezzo di contrasto che dimostra l’aspetto
avascolare dei noduli.
FIGURA 5. Visione in laparoscopia delle aderenze tra fegato e diaframma.
le con ecografia, angioecografia perfusionale e TC contribuiscono
a fornire degli elementi fondamentali per la diagnosi precoce di
tale sindrome, soprattutto se si riflette sugli aspetti morfologici, clinici e strumentali che tale sindrome può creare nello spazio tra diaframma e capsula epatica (Figg. 1-4) e che non devono
essere sottovalutati.
La descrizione di questo caso vuole fornire un contributo alla letteratura scientifica clinica ed ultrasonografica di un’ulteriore
causa di dolore in ipocondrio destro e del particolare aspetto con
cui questo si è presentato all’ecografia e alla TC.
Bibliografia
- Curtis AH. A cause of adhesions in the right upper quadrant. JAMA 1930; 94:
1221-2.
- Schoenfield A, Fisch B, Cohen M, Vardy M. Ultrasound findings in perhepatitis associated with pelvic inflammatory disease. J Clin Ultrasound 1992; 20: 339342.
- Nishie A, Yoshimimitsu K, Irie H, Yoshitake T, Aibe H. Fitz-Hugh-Curtis syndrome. Radiologic manifestation. J Comput Assist Tomogr 2003; 27: 786-91.
330
Scarica

Summer School Medicina d`Urgenza – Villasimius (CA)