27. Altre lettere di argomento politico
a) Pompeo irriconoscibile e Cicerone disorientato
(Ad Att. II 21, 1-4; 4-6)
(Roma, agosto 59)
Quando l’autore scrive questa lettera, è stato ormai stipulato il
cosiddetto primo triumvirato, patto assolutamente privato e segreto
(come avrebbe potuto rimanerlo?), tra Cesare, Pompeo e Crasso,
uomini potenti, ma appartenenti a schieramenti contrapposti:
democratici, aristocratici, cavalieri. Di fronte a questo fatto Cicerone
rimane prima sconcertato, poi profondamente amareggiato, fino a
nutrire una preoccupazione profonda per il futuro, quando non ha
anche vera paura ed è portato a vedere tutto nero. Questo è lo stato
d’animo di chi non accetta compromessi e non condivide la
posizione assunta da Pompeo. Di lui il nostro dà un’immagine
fortemente deformata, svilita, sminuita, non senza ironia, mentre del
clima che si respira a Roma in quel momento rileva disordine,
malcontento, disorientamento e delusione.
Al di là dell’interpretazione tutta personale e quindi settoriale del
fatto storico in sé, al di là quindi di una impostazione concettuale
condizionata, e non poteva non esserlo, dalla ideologia, la lettera
sfodera tutti gli artifici retorici più abili ed efficaci per dipingere un
quadro
a
fosche
tinte
che
coinvolge
l’individuo
Cicerone,
preoccupato per la sua incolumità, e tutto il popolo di Roma: sono
presenti metafora, anastrofe, assonanza, litote, chiasmo, climax e
ancora altro, mentre nei toni si sentono battere i tasti dello
sconcerto, della indignazione, della paura, della commozione,
dell’ironia, dello sconforto alternato alla fierezza.
[1] De re publica quid ego tibi subtiliter? Tota periit; atque hoc est
miserior quam reliquisti quod tum videbatur eius modi dominatio civitatem
oppressisse quae iucunda esset multitudini, bonis autem ita molesta ut
tamen sine pernicie, nunc repente tanto in odio est omnibus ut quorsus
eruptura sit horreamus. Nam iracundiam atque intemperantiam illorum
sumus experti, qui Catoni irati omnia perdiderunt, sed ita lenibus uti
[1] quid ego tibi subtiliter?: «che dovrei dirti entrando nei dettagli?»: la frase sottintende un
verbo come dicam, congiuntivo dubitativo. - Tota periit: «è assolutamente perduta, rovinata»:
tota si riferisce a res publica («situazione politica»). - hoc: «in questo» è ablativo neutro di
limitazione. - quam reliquisti: «di quanto…» è una comparativa. - quod … videbatur: causale,
in cui videor ha costruzione personale. - quae … esset: «(tirannia) tale che era…»: relativa
impropria consecutiva, anticipata da eiusmodi. - bonis autem … molesta: «invece gravosa per i
cittadini dabbene»: in Cicerone il concetto di boni cives è insieme morale e sociale,
restringendosi secondo la sua ideologia al ceto aristocratico. Da notare come iucunda …
multitudini / bonis … molesta costituisca un chiasmo, con contrapposizione tra i termini a due a
due. - ut … sine pernicie: consecutiva con ellissi di esset. - nunc: contrapposto al tum di sopra.
- tanto in odio: anastrofe. - ut … horreamus: consecutiva. - quorsus eruptura sit: «dove
andrà a finire»: interrogativa indiretta, il cui soggetto sottinteso è sempre dominatio, per reggere
la quale occorre integrare un «considerando». - illorum … qui Catoni irati omnia
perdiderunt: Cicerone intende parlare dei nemici di Catone l’Uticense (e quindi anche suoi
videbantur venenis ut posse videremur sine dolore interire; nunc vero
sibilis vulgi, sermonibus honestorum, fremitu Italiae vereor ne exarserint.
[2] Equidem sperabam, ut saepe etiam loqui tecum solebam, sic orbem rei
publicae esse conversum ut vix sonitum audire, vix impressam orbitam
videre possemus; et fuisset ita, si homines transitum tempestatis exspectare
potuissent. Sed cum diu occulte suspirassent, postea iam gemere, ad
nemici) che aveva cercato di opporsi alla legislazione del 59. Questi irati con la loro
opposizione «mandarono tutto in rovina», travalicando veti e persino trascurando gli auspici.
Catoni è dativo richiesto da irati. - lenibus … venenis: «veleni leggeri» è ablativo strumentale
retto da uti. Da notare l’iperbato. Tutta la frase contiene una metafora. - videbantur: ha come
soggetto sottinteso illi e costruzione personale. - ut … videremur: consecutiva con la
costruzione personale di videor. - sibilis … sermonibus … fremitu: «a causa dei fischi … dei
discorsi … del brusio di malcontento»: complementi di causa. - ne exarserint: completiva
dipendente dal verbum timendi vereor.
[2] ut … solebam: modale incidentale. - orbem rei publicae esse conversum: «che
l’ingranaggio dello Stato si fosse messo in moto»: oggettiva retta da sperabam. - sic … ut …
possemus: consecutiva. - impressam orbitam: «la traccia impressa». Tutta la frase è
chiaramente metaforica e significa che Cicerone si era illuso che il patto privato stipulato tra i
triumviri avrebbe avuto scarsi effetti o effetti indolori, mentre si rende conto che questo ha
accresciuto dissapori e ostilità in maniera pericolosa. - fuisset … si … transitum tempestatis
… potuissent: «sarebbe avvenuto, se … avessero potuto … il passaggio della burrasca»:
continua la metafora; qui tempestas equivale agli effetti immediati e drammatici del I
triumvirato. Sintatticamente è un periodo ipotetico della irrealtà (III tipo). - cum …
suspirassent: cum narrativo con valenza temporale. Suspirassent = suspiravissent, forma
contratta del verbo. - postea … ad extremum: gli avverbi mostrano in sequenza cronologica
cosa ha fatto la gente: prima ha sospirato, poi si è lamentata, infine ha parlato giungendo a
gridare.
extremum vero loqui omnes et clamare coeperunt. [3] Itaque ille noster
amicus, insolens infamiae, semper in laude versatus, circumfluens gloria,
deformatus corpore, fractus animo quo se conferat nescit. Progressum
praecipitem, inconstantem reditum videt. Bonos inimicos habet, improbos
ipsos non amicos. Ac vide mollitiem animi: non tenui lacrimas cum illum a.
d. VIII Kal. Sext. vidi de edictis Bibuli contionantem. Qui antea solitus
esset iactare se magnificentissime illo in loco summo cum amore populi,
[3] ille noster amicus: è Pompeo, cui Cicerone non risparmia certo l’ironia, soprattutto nella
caratterizzazione che ne fa subito dopo. - insolens infamiae … corpore: «non abituato alla
impopolarità, sempre in mezzo agli elogi, circondato dalla gloria, sciupato fisicamente». - quo
se conferat: «che direzione prendere»: interrogativa indiretta dipendente da nescit. Progressum praecipitem, inconstantem reditum: «l’andare avanti come un precipitare in un
abisso, il tornare indietro come un segno di incoerenza»: i due oggetti progressum e reditum
sono affiancati da complementi predicativi, in una disposizione a chiasmo (nome-aggettivo /
aggettivo-nome). - bonos inimicos … improbos … non amicos: ancora due oggetti affiancati
da due predicativi inimicos e non amicos, che hanno senso simile, anche se il primo, più forte,
equivale ad «avversari politici», il secondo a «non favorevoli» e questo costituisce una litote. La
situazione in cui Pompeo è inquadrato da Cicerone risulta davvero drammatica, soprattutto in
considerazione di quella precedente, a cui viene contrapposta. - mollitiem animi: «la sensibilità
del (mio) animo», in riferimento alle lacrime di cui parla subito dopo e che gli sgorgano al
vedere Pompeo. - cum … vidi: temporale. - a(nte) d(iem) VIII Kal(endas) Sext(iles): «il 25
luglio». - de edictis Bibuli: qui l’autore accenna ad un fatto piuttosto significativo: Bibulo era
collega di Cesare nel consolato del 59, ma non era d’accordo con la sua linea di condotta e
l’unica forma di protesta che poté attuare fu chiudersi in casa sua ed emanare ufficialmente
degli editti, in cui prendeva posizione contro il sistema di governo del suo collega. contionantem: «che parlava pubblicamente»: è participio predicativo di illum, retto dal verbo di
percezione vidi. - Qui … solitus esset: relativa prolettica, in cui il pronome è legato nella
reggente ad ille. Il congiuntivo è dovuto al valore concessivo. - iactare se magnificentissime:
cunctis faventibus, ut ille tum humilis, ut demissus erat, ut ipse etiam sibi,
non iis solum qui aderant, displicebat!
[4] O spectaculum uni Crasso iucundum, ceteris non item!
«andare fiero con grande orgoglio». - illo in loco: anastrofe. - summo cum amore populi: «in
mezzo a grandi tributi di affetto da parte della gente»: complemento di modo con anastrofe. cunctis faventibus: «col favore di tutti»: ablativo assoluto
modale. - ut … humilis, ut demissus …, ut: gli ut sono esclamativi e in anafora e asindeto sono
quanto mai efficaci a battere l’accento sulle condizioni di Pompeo e sulla reazione di Cicerone
di fronte a lui. - sibi … iis … displicebat: «procurava amarezza a se stesso … a coloro …».
[4] O spectaculum … iucundum: accusativo esclamativo, con iperbato. - uni Crasso:
Cicerone dice così perché, nonostante il triumvirato, l’antica ostilità tra Pompeo e Crasso
continuava a persistere.
Nam quia deciderat ex astris, lapsus potius quam progressus videbatur; et,
ut Apelles si Venerem aut Protogenes si Ialysum illum suum caeno oblitum
videret magnum, credo, acciperet dolorem, sic ego hunc omnibus a me
pictum et politum artis coloribus subito deformatum non sine magno dolore
vidi. Quamquam nemo putabat propter Clodianum negotium me illi
amicum esse debere, tamen tantus fuit amor ut exhauriri nulla posset
iniuria. Itaque Archilochia in illum edicta Bibuli populo ita sunt iucunda ut
eum locum ubi proponuntur prae multitudine eorum qui legunt transire
nequeamus, ipsi ita acerba ut tabescat dolore, mihi mehercule molesta,
quod et eum quem semper dilexi nimis excruciant et timeo tam vehemens
vir tamque acer in ferro et tam insuetus contumeliae ne omni animi impetu
dolori et iracundiae pareat.
[5] Bibuli qui sit exitus futurus nescio. Ut nunc res se habet, admirabili
gloria est. Qui cum comitia in mensem Octobrem distulisset, quod solet ea
res populi voluntatem offendere, putarat Caesar oratione sua posse impelli
contionem ut iret ad Bibulum. Multa cum seditiosissime diceret, vocem
exprimere non potuit. Quid quaeris? Sentiunt se nullam ullius partis
voluntatem tenere. Eo magis vis nobis est timenda.
[6] Clodius inimicus est nobis. Pompeius confirmat eum nihil esse facturum
contra me, mihi periculosum est credere. Ad resistendum me paro. Studia
spero me summa habiturum omnium ordinum. Te cum ego desidero, tum
vero res ad tempus illud vocat. Plurimum consili, animi, praesidi denique
mihi, si te ad tempus videro, accesserit. Varro mihi satis facit. Pompeius
loquitur divinitus. Spero nos aut certe cum summa gloria aut etiam sine
molestia discessuros. Tu quid agas, quem ad modum te oblectes, quid cum
Sicyoniis egeris, ut sciam cura.
[4] Infatti, poiché era caduto dalle stelle, sembrava fosse inciampato, non
certo avanzato. E come se Apelle1 e Protogene2 avessero visto,
rispettivamente, Venere e quel famoso Ialiso ricoperti di fango ne
1. Apelle era un pittore di notevole talento, vissuto nel IV sec. a.C., contemporaneo e preferito
da Alessandro Magno, che ritrasse tra gli altri anche Venere.
2. Protogene era un pittore contemporaneo di Apelle: avrebbe dipinto l’eroe Jaliso che avrebbe
suscitato, data la sua bellezza, l’ammirazione anche di Apelle.
avrebbero provato un profondo dolore, così io ho osservato con grande
rammarico Pompeo sfigurato in un attimo, lui che avevo dipinto e rifinito
con tutti i colori della mia arte3! E, nonostante che nessuno ritenesse che io
dovessi mostrarmi suo amico, dopo l’affare di Clodio4, è stato tanto grande
il mio affetto che nessun torto può consumarlo. E dunque gli editti, alla
moda di Archiloco5, che Bibulo ha pubblicato contro di lui, sono tanto
graditi al popolo che non si riesce ad attraversare il luogo dove sono affissi
a causa della folla di quelli che li leggono. Per lui sono tanto penosi che si
consuma per il dolore. Spiacevoli anche per me, per Ercole, sia perché
fanno soffrire in modo eccessivo una persona che ho sempre amato, sia
perché ho paura che un uomo tanto coraggioso e forte in guerra e niente
affatto abituato alle umiliazioni si abbandoni con tutto se stesso al dolore e
alla collera.
[5] Non so proprio quale sarà la fine di Bibulo. Ora la situazione è dalla sua
parte e vive un momento di gloria incredibile. Poiché ha rinviato i comizi a
ottobre, e questo è un tipo di intervento che urta i sentimenti del popolo.
Cesare ha immaginato di poter indurre arringando la folla, ad una
manifestazione davanti alla casa di Bibulo. Pur pronunciando molte parole
3. Cicerone allude al fatto che in più occasioni aveva parlato di Pompeo con tutta la sua arte
retorica.
4. Pompeo aveva avuto un ruolo di primo piano nel passaggio alla plebe di Clodio, che così poté
diventare tribuno e dare il via alla persecuzione contro Cicerone.
5. Famoso poeta greco della fine del VII sec. a.C., che aveva scritto molti versi polemici e
accusatori.
piene di inviti alla sedizione, non ha ottenuto parola. Che ne dici?
Capiscono che non hanno dalla loro parte nessun consenso. Tanto più
dobbiamo temere la violenza.
[6] Clodio è mio nemico. Pompeo assicura che quello non prenderà
iniziative contro di me. Penso che sia pericoloso fidarmi: mi preparo a
resistere. Spero di avere l’appoggio di tutta la società. Il desiderio di
rivederti corrisponde alla necessità della tua presenza in questa situazione.
Aumenteranno molto la mia saggezza, il coraggio, la forza, se avrò la
possibilità di vederti al momento opportuno. Sono soddisfatto di Varrone6,
Pompeo parla in modo divino. Spero di uscire da questa situazione con una
grande gloria o, almeno, senza danno. Fammi sapere cosa fai, quali
divertimenti hai, cosa hai concluso coi Sicionii7.
(Trad. di Grossi-Rossi)
6. Varrone era legato sia a Pompeo che a Cicerone che così sperava in un appoggio da parte sua.
7. Gli abitanti di Sicione, nel Peloponneso, erano debitori tra gli altri anche ad Attico, il quale
non poteva contare che su stesso per farsi pagare.
27.
b)Un momento di speranza e di ottimismo
(Ad Quint. fratr. I 2, 16)
(Roma, ottobre 59)
È qui fissato uno stato d’animo quasi euforico, un momento di
esaltazione in cui il nostro sembra presentire aria di trionfo sui suoi
avversari, convinto che i suoi amici e anche gli estranei lo
appoggeranno, Pompeo e Cesare in testa. Purtroppo per Cicerone,
questo ottimismo durò poco e, quando Clodio, cui anche qui si fa
cenno, passerà all’attacco, l’unica via da prendere sarà quella
dell’esilio, senza che nessuno o quasi muova un dito per lui. E
questo solo pochi mesi dopo la stesura di questa lettera (19 marzo
58).
Nostrae tamen causae non videntur homines defuturi. Mirandum in modum
profitentur, offerunt se, pollicentur. Equidem cum spe sum maxima, tum
maiore etiam animo; spe, ut superiores fore nos confidam, animo ut in hac
re publica ne casum quidem ullum pertimescam; sed tamen se res sic habet.
Si diem nobis dixerit, tota Italia concurret, ut multiplicata gloria
discedamus; sin autem vi agere conabitur, spero fore studiis non solum
amicorum sed etiam alienorum ut vi resistamus. Omnes et se et suos
amicos, clientis, libertos, servos, pecunias denique suas pollicentur. Nostra
antiqua manus bonorum ardet studio nostri atque amore. Si qui antea aut
alieniores fuerant aut languidiores, nunc horum regum odio se cum bonis
coniungunt. Pompeius omnia pollicetur et Caesar; quibus ego ita credo ut
nihil de mea comparatione deminuam.
Pare che la mia causa non mancherà di essere appoggiata dal pubblico; è
consolante il modo con cui tutti si fanno avanti, offrono, promettono aiuto.
E certo io sono pieno di speranza e di coraggio: di speranza, tanto da
considerarmi sicuro della vittoria; di coraggio, tanto da sentirmi in grado di
affrontare senza timore, nella situazione attuale, qualsiasi eventualità.
Situazione che è questa: o egli [Clodio] mi chiama in giudizio, e tutta
l’Italia balzerà in piedi per farcene uscire con un rinnovato trionfo; o
ricorrerà alla violenza, ed io confido nell’aiuto non solo degli amici, ma
anche degli estranei per potergli resistere con la violenza. Tutti mettono a
mia disposizione se stessi e i loro amici, i clienti, i liberti, gli schiavi e
persino il loro danaro. La antica nostra schiera di galantuomini arde di zelo
affettuoso per me: quegli stessi che in passato erano alquanto ostili o
indifferenti sono spinti dall’odio per codesti re ad unirsi con gli onesti.
Pompeo fa grandi promesse, Cesare altrettanto: ed io credo alle loro parole,
ma senza rinunciare in nulla ai miei preparativi.
(Trad. C. Vitali)
27.
c) È ora di svegliarsi e recuperare il tempo perduto
nei rapporti con Cesare (Ad Quint. fratr. II 15a, 1-2)
(Roma, giugno 54)
È questo un momento di reazione all’abbattimento e alla delusione
per le vicende politiche. Cicerone, anche su influenza del fratello, ci
appare lusingato delle attenzioni, dei moti di stima che Cesare gli
mostra e sembra deciso ad accettarli. Da più parti questo suo
atteggiamento è stato riprovato come incoerente, quasi rivelatore di
un tradimento. Prima però di dare giudizi troppo severi, occorre
tenere presente non solo il momento storico e umano che il nostro
stava attraversando, ma anche i meccanismi che, allora come oggi,
si innescano quasi inevitabilmente nella vita politica, al di là di
ideologie e convinzioni di sorta.
A. d. IV Non. Iun., quo die Romam veni, accepi tuas litteras datas
Placentia, deinde alteras postridie datas Laude ad Nonum cum Caesaris
litteris refertis omni officio, diligentia, suavitate. Sunt ista quidem magna,
vel potius maxima. Habent enim vim magnam ad gloriam et ad summam
dignitatem. Sed mihi crede quem nosti, quod in istis rebus ego plurimi
aestimo id iam habeo: te scilicet primum tam inservientem communi
dignitati, deinde Caesaris tantum in me amorem, quem omnibus iis
honoribus quos me a se exspectare vult antepono. Litterae vero eius una
datae cum tuis, quarum initium est quam suavis ei tuus adventus fuerit et
recordatio veteris amoris, deinde se effecturum ut ego in medio dolore ac
desiderio tui te, cum a me abesses, potissimum secum esse laetarer,
incredibiliter me delectarunt.
Qua re facis tu quidem fraterne quod me hortaris, sed mehercule currentem
nunc quidem, ut omnia mea studia in istum unum conferam. Ego vero
ardenti quidem studio hoc fortasse efficiam quod saepe viatoribus cum
properant evenit: ut, si serius quam voluerint forte surrexerint, properando
etiam citius quam si de nocte vigilassent perveniant quo velint: sic ego,
quoniam in isto homine colendo tam indormivi diu, te mehercule saepe
excitante, cursu corrigam tarditatem cum equis, tum vero (quoniam tu
scribis poema ab eo nostrum probari) quadrigis poeticis. Modo mihi date
Britanniam quam pingam coloribus tuis, penicillo meo.
Il giorno in cui sono arrivato a Roma, cioè il 2 giugno, ho ricevuto una tua
lettera da Piacenza, poi un’altra da Brandenona1 insieme a una di Cesare
piena di ossequio, riguardo, dolcezza. Questi segni di benevolenza sono
proprio una gran cosa, perché hanno un notevole peso ai fini della gloria e
di una dignità ad alto livello; ma credimi, tu che mi conosci, è questo ciò a
cui attribuisco tra tutte le cose la massima importanza, cioè prima di tutto il
fatto che tu pensi con tanto zelo al prestigio che ci riguarda entrambi, poi
1. Di difficile identificazione, forse una località vicina a Piacenza.
l’affetto tanto grande che mi dimostra Cesare, affetto che io antepongo a
tutti quei riconoscimenti che vuole che io mi aspetti da lui. Ora la sua
lettera mi è stata recapitata insieme con la tua e l’inizio di essa esprime il
piacere che gli ha fatto il tuo arrivo così come il ricordo della vecchia
amicizia e poi dice che farà in modo che io, che pure soffro per la tua
lontananza, mi rallegri che tu sia vicino a lui, anche se lontano da me. Una
lettera del genere non poteva che darmi una gioia incredibile.
Perciò tu agisci proprio da buon fratello quando mi stimoli a impegnarmi
con tutto me stesso per avvicinarmi a lui, ma stimoli davvero uno che già si
è messo a correre in tal senso. Ed io farò così con forte convinzione e forse
agirò come spesso i viandanti. Questi, quando hanno fretta, accade che, se
si alzano più tardi di quanto avrebbero voluto, a forza di affrettare il passo,
arrivano a destinazione prima di quanto avrebbero fatto se avessero
vegliato durante la notte. Allo stesso modo io, dato che ho dormito per
tanto tempo nel coltivare i miei rapporti con questo personaggio, per
quanto tu più volte mi stimolassi in tal senso, compenserò la mia lentezza
con la corsa non solo coi cavalli, ma anche con quadrighe poetiche (dato
che tu scrivi che il mio poema2 raccoglie la sua approvazione). Solamente
datemi la Britannia, ché io la dipinga coi tuoi colori3 e col mio pennello.
(Trad. e note R. Pompili)
2. Cicerone allude a un suo poema inerente alla spedizione di Cesare in Britannia.
3. Qui l’autore usa la metafora dell’arte pittorica, dicendo che traccerà il quadro della Britannia
conquistata da Cesare, ma usando i colori, cioè i contenuti che gli riferirà il fratello; sua invece
sarà la parola, il pennello.
27.
d) Cesare ha fulmineamente preso in mano la situazione
(Ad Att. VII 22, 1)
(Formia, 9 febbraio 49)
Si deve ormai accettare il fatto compiuto: tutto è nelle mani di
Cesare e questo è avvenuto in un batter d’occhio. La sorte di
Pompeo è già segnata ed è solo questione di tempo. Stupore ed
incredulità da parte di Cicerone.
Pedem in Italia video nullum esse, qui non in istius potestate sit. De
Pompeio scio nihil eumque, nisi in navim se contulerit, exceptum iri puto.
O celeritatem incredibilem!
In Italia non vedo nessun posto, seppur piccolo, che non sia nelle sue mani.
Di Pompeo non so niente e, a meno che non si sia imbarcato in qualche
nave, penso proprio che stia per essere catturato. Che rapidità! Proprio da
non crederci!
(Trad. R. Pompili)
27.
e) Cesare invita Cicerone a Roma
(Ad Att. IX 6)
(In marcia, marzo 49)
Siamo arrivati alla guerra civile tra Cesare e Pompeo: Cicerone è
appena tornato dalla Cilicia, dove si è fatto onore sconfiggendo i
Pindessiniti
e guadagnandosi così il
titolo di
imperator e
immediatamente capisce che gli eventi stanno precipitando e che si
profila un periodo travagliato per lo Stato, comunque vadano le
cose. A creargli ulteriore perplessità arriva una missiva da parte di
Cesare, anche lui imperator, in quanto generale vittorioso. È questa
una lettera ufficiale, in cui il mittente, battendo l’accento a più riprese
sul fatto che è in marcia e quindi non ha il tempo materiale per
dilungarsi, scrive poche righe, ma molto significative. Rivolge a
Cicerone l’invito ad incontrarsi con lui a Roma. Nel farlo non omette
di far cenno ai meriti di lui nei propri confronti e nel motivare la sua
richiesta abilmente fa sentire soprattutto di aver bisogno del suo
consiglio e del suo aiuto prezioso per ogni questione. Fa dunque
leva sul prestigio e sulle indiscusse qualità dell’uomo politico per
lusingarlo e accattivarselo. Inutile dire come Cesare sperasse
attraverso l’appoggio di Cicerone di portare dalla sua larga parte
delle classi medie, in quel momento incerte tra i due contendenti.
Pur nella semplicità e nella brevità della lettera, le espressioni
appaiono ben dosate e attentamente ponderate (si noti quel «non ho
potuto fare a meno di scriverti e…»), mentre il tono è di grande
gentilezza e garbo («mi scuserai…»), seppur molto formali.
Cum Furnium nostrum tantum vidissem neque loqui neque audire meo
commodo potuissem, properarem atque essem in itinere praemissis iam
legionibus, praeterire tamen non potui quin et scriberem ad te et illum
mitterem gratiasque agerem, etsi hoc et feci saepe et saepius mihi facturus
videor. Ita de me mereris. In primis a te peto, quoniam confido me celeriter
ad urbem venturum, ut te ibi videam, ut tuo consilio, gratia, dignitate, ope
omnium rerum uti possim. Ad propositum revertar; festinationi meae
brevitatique litterarum ignosces. Reliqua ex Furnio cognosces.
Ho solo potuto vedere il mio Furnio1 senza altresì aver potuto con tutta
calma né parlare con lui né ascoltare ciò che aveva da dirmi e, anche se
vado di fretta e sono in marcia, mentre già le legioni si sono avviate avanti
a me, tuttavia non posso fare a meno di scriverti e di mandarti Furnio con i
miei ringraziamenti, cosa che del resto ho fatto frequentemente e penso
farò ancora più frequentemente. Tanti sono i tuoi meriti nei miei confronti.
Prima di tutto voglio chiederti, dal momento che sono sicuro che arriverò
presto a Roma, di poterti vedere là, di potermi avvalere per qualsiasi
questione del tuo consiglio, della tua influenza, del tuo prestigio, del tuo
aiuto. Per tornare a quanto ti ho appena detto, mi scuserai della fretta e
della brevità del messaggio. Il resto lo saprai da Furnio.
(Trad e nota R. Pompili)
1. Era un tribuno della plebe, amico comune di Cesare e di Cicerone.
27.
f) Cesare corrispondente d’eccezione: consiglio o
minaccia?
(Ad Att. X 8b, 1)
(Cuma. aprile 49; Cesare a Cicerone)
Il tono della lettera è diverso rispetto alle precedenti scritte da
Cesare a Cicerone: la situazione politica è ormai chiaramente a
favore dello scrivente e, dalla sua posizione di più forte, questi si
rivolge al nostro consigliandogli di avvicinarsi a lui. Ma nelle sue
parole si intravedono minacce e avvertimenti che non lasciano
dubbi, anche se mascherati dalla cortesia e celati sotto il nome di un
rapporto di amicizia «che li lega».
«Etsi te nihil temere, nihil imprudenter facturum iudicaram, tamen
permotus hominum fama scribendum ad te existimavi et pro nostra
benevolentia petendum, ne quo progredereris proclinata iam re, quo
integra etiam progrediendum tibi non existimasses. Namque et amicitiae
graviorem iniuriam feceris et tibi minus commode consulueris, si non
fortunae obsecutus videbere (omnia enim secundissima nobis, adversissima
illis accidisse videntur), nec causam secutus (eadem enim tum fuit, cum ab
eorum
consiliis
abesse
iudicasti),
sed
meum
aliquod
factum
condemnavisse; quo mihi gravius abs te nil accidere potest. Quod ne facias
pro iure nostrae amicitiae a te peto».
Anche se sono convinto che tu non farai mai niente di sconsiderato o di
imprudente, tuttavia dietro la spinta delle chiacchiere della gente ho
pensato di doverti scrivere e chiederti, in nome dell’ottimo rapporto che ci
lega, di non procedere, ora che le cose stanno evolvendosi verso una
soluzione, in una direzione verso la quale non hai ritenuto bene di
procedere quando la situazione non era ancora compromessa. Infatti alla
nostra amicizia farai un torto più grave e nello stesso tempo sarai meno
saggio nel provvedere al tuo interesse, se darai l’impressione di non aver
assecondato la fortuna (giacché tutto pare assolutamente favorevole al mio
partito e sfavorevole al loro) e di non aver seguito una causa precisa (ed è
la stessa di quando hai pensato bene di rimanere fuori dai loro piani), e
invece farai credere di aver deplorato qualche mia azione: e questo sarebbe
l’atteggiamento per me più grave da parte tua. Ti chiedo di non farlo sulla
base legittima della nostra amicizia.
(Trad. R. Pompili)
27.
g) Cesare si è fatto vivo!
(Ad fam. XIV 23)
(Brindisi, 12 agosto 47; alla sua Terenzia)
La lettera ha puro carattere informativo, visto che Cicerone vuole
comunicare alla moglie che finalmente Cesare si è fatto vivo con lui,
da quando è risultato vincitore a Farsalo. Per quanto ancora ci sia
da parte sua incertezza sul da farsi, si sente un certo sollievo, non
solo per aver ricevuto uno scritto da colui che è ormai arbitro della
situazione, ma anche per il tono stesso che è satis liberalis.
Sappiamo che successivamente Cesare incontrò Cicerone nei
pressi di Brindisi e che il loro colloquio si svolse in un clima di
grande cordialità, anzi che il dittatore, che procedeva a cavallo,
vedendo arrivare a piedi l’oratore, scese anche lui e gli si fece
incontro. Queste poche righe rappresentano dunque una delle varie
fasi, breve ma rilevante, dell’altalenante andamento dei rapporti tra i
due personaggi.
[1] S. v. b. e. e. v.
Redditae mihi tandem sunt a Caesare litterae satis liberales et ipse
opinione celerius venturus esse dicitur; cui utrum obviam procedam an hic
eum exspectem cum constituero, faciam te certiorem. Tabellarios mihi
velim quam primum remittas. Valetudinem tuam cura diligenter. Vale.
[1] S. v. b. e. e. v.: si vales bene est ego valeo. Consueta formula di apertura delle lettere: «spero
che tu stia bene, come sto io». - Redditae mihi tandem sunt: «mi è stata finalmente
recapitata»: significativo in particolare l’avverbio tandem che fa sentire il sollievo da parte dello
scrivente, quasi si liberasse da un incubo. - satis liberales: «di tono abbastanza cortese»: ormai
Cesare è il vincitore di Farsalo e si può immaginare lo stato d’animo di Cicerone, che,
schieratosi con Pompeo, viveva in un clima di attesa e incertezza estenuante. - opinione
celerius: «più presto di quanto non si creda». Opinione è II termine di paragone. Effettivamente
di lì a qualche settimana Cesare sbarcava a Taranto, dirigendosi poi verso Brindisi. Durante
questo tragitto avvenne l’incontro tra Cesare e Cicerone in un clima di grande amabilità. dicitur: costruito personalmente. - utrum … procedam an hic eum exspectem: «se andare …
oppure stare qui ad aspettarlo»: interrogativa indiretta disgiuntiva retta da constituero; hic è
avverbio di stato in luogo. - cum constituero: temporale in cui il futuro anteriore è dovuto alla
legge della anteriorità. Dipende infatti dal futuro semplice faciam. - faciam te certiorem: «te ne
metterò al corrente»: espressione idiomatica, in cui certiorem è predicativo dell’oggetto te. velim: congiuntivo desiderativo. - quam primum: «prima possibile»: quam rafforza il
superlativo dell’avverbio (da prae). - remittas: completiva di velim.
27.
h) Piegarsi al vincitore?
(Ad fam. IV 6, 1-2)
(Roma, settembre 46 (?); a Marcello)
È questa una lettera ricca di spunti significativi sul piano storico,
filosofico e umano, oscillante tra presente e passato, tra contingente
ed universale: è indirizzata a M. Claudio Marcello, un pompeiano,
amico di Cicerone, che partecipò alla guerra civile contro Cesare;
proprio per lui il nostro scriverà la Pro Marcello, per chiedere a
Cesare il perdono e lo farà esaltando anche in modo piuttosto
smaccato il vincitore.
In essa Cicerone esordisce con l’amara constatazione che le guerre
civili in qualunque epoca storica seminano desolazione e miseria,
ora come in passato, aggiungendo che forse sono proprio i vincitori i
più sventurati perché la vittoria li fa peggiorare, ne forza la natura,
se anche essa è di per sé positiva, li costringe a fare cose che non
vorrebbero in favore di chi ha cooperato con loro nelle azioni
belliche. Crea quindi una sorta di meccanismo a catena che li
travolge e quasi travalica l’effetto positivo della vittoria stessa (illa
crudelis … victoria). È questa una disamina lucida e moderna (che
già il grande storico greco Tucidide aveva fatto a proposito della
guerra del Peloponneso) di un fenomeno drammatico dell’età
repubblicana, che chi scrive conosce bene e inquadra nell’ottica
dell’interesse prima di tutto dello Stato (de re publica vehementius
laborare). E lo Stato romano, la sua patria è costantemente presente
nel pensiero e nell’animo di Cicerone, che ne parla con accenti
commossi: nec locus tibi ullus dulcior esse debet patria e va amata
ancora di più e commiserata se è in difficoltà: la patria diventa una
creatura vivente, che non deve essere abbandonata, ma sorretta nel
momento del bisogno. Con una notazione filosofica, poi, di stampo
sostanzialmente stoico, si ribadisce che il sapiens può certo star
lontano dalla patria, perché ha forza necessaria per farlo, ma è solo
un uomo privo di sensibilità e delicatezza d’animo quello che riesce
a non sentirne la nostalgia.
Il punto tuttavia più singolare e «politico» della lettera, quello che ci
riporta al momento drammaticamente attuale per Cicerone, è
quando si parla del victor: il vincitore è chiaramente Cesare (non
dimentichiamo che quando Cicerone scrive la lettera a Marcello
siamo nel 46, la guerra civile è vicina alla conclusione ed è ormai
chiaro che esito avrà); è segno di fierezza d’animo non piegarsi
supplice a lui, ma occorre non essere tanto superbi da disprezzare
eiusdem liberalitatem. Con questa espressione chi scrive allude alla
generosità del vincitore, alla sua indulgenza nei confronti degli
avversari politici sconfitti: lo scrivente riconosce obiettivamente la
vittoria di Cesare così come dice che supplicare il vincitore sarebbe
poco dignitoso, ma nello stesso tempo dimostra almeno a parole di
credere alla liberalitas di chi è ormai arbitro della situazione. Vuol
insomma convincere Marcello, intenzionato a scegliere l’esilio, a
vivere nella sua patria, anche se dovrà fare vita privata. Per
convincerlo batte soprattutto sul tasto dell’amor di patria e sulla
clemenza di Cesare, nonché su luoghi comuni filosofico-letterari.
Inutile aggiungere, concludendo, che l’atteggiamento e i toni di
Cicerone lasciano un po’ perplessi e non sono il colmo della
coerenza ideologica, improntati piuttosto a un buon senso spicciolo
che ridimensiona la panoramica esistenziale e universale del resto
della lettera.
Omnia sunt misera in bellis civilibus, quae maiores nostri ne semel quidem,
nostra aetas saepe iam sensit, sed miserius nihil quam ipsa victoria; quae
etiam si ad meliores venit, tamen eos ipsos ferociores impotentioresque
reddit, ut, etiam si natura tales non sint, necessitate esse cogantur. Multa
enim victori eorum arbitrio per quos vicit etiam invito facienda sunt. An tu
non videbas mecum simul quam illa crudelis esset futura victoria? igitur
tunc quoque careres patria ne quae nolles videres? «Non» inquies; «ego
enim ipse tenerem opes et dignitatem meam». At erat tuae virtutis in
minimis tuas res ponere, de re publica vehementius laborare. Deinde qui
finis istius consili est? Nam adhuc et factum tuum probatur et ut in tali re
etiam fortuna laudatur: factum, quod et initium belli necessario secutus sis
et extrema sapienter persequi nolueris; fortuna, quod honesto otio tenueris
et statum et famam dignitatis tuae. Nunc vero nec locus tibi ullus dulcior
esse debet patria nec eam diligere minus debes quod deformior est, sed
misereri potius nec eam multis claris viris orbatam privare etiam aspectu
tuo.
Denique, si fuit magni animi non esse supplicem victori, vide ne superbi sit
aspernari eiusdem liberalitatem, et, si sapientis est carere patria, duri non
desiderare, et, si re publica non possis frui, stulti sit nolle privata.
Tutto risulta una sventura durante le guerre civili che i nostri antenati hanno
provato non una volta sola e la nostra generazione già più volte ha provato,
ma niente è più sventurato della vittoria stessa; anche se essa tocca ai
migliori, tuttavia rende proprio quelli più efferati e sfrenati, al punto che,
anche se non lo sono per natura, sono obbligatoriamente costretti a
diventarlo. Infatti il vincitore, anche se contro voglia, deve fare molte cose
per volontà di coloro per opera dei quali è riuscito a vincere. O forse tu
insieme con me non vedevi quanto crudele sarebbe stata quella vittoria?
Dunque anche allora saresti stato lontano dalla patria per non vedere quello
che non volevi (vedere)? «no, dirai, io stesso infatti avrei potuto mantenere
la mia potenza e dignità». Ma era proprio della tua virtù morale mettere in
secondo piano i tuoi interessi personali e darti più intensamente da fare per
quelli pubblici. Poi, qual è lo scopo di questo tuo piano? Infatti fino ad ora
il tuo comportamento viene approvato e anche la sorte viene lodata, come
accade in tale situazione: il tuo comportamento perché tu hai
inevitabilmente seguito gli esordi della guerra e saggiamente non hai voluto
seguire fino in fondo le ultime vicende di essa; la sorte perché in una
onorevole distanza dalla vita pubblica hai mantenuto la condizione e la
buona reputazione della tua dignità. Ma adesso per te non deve esserci
nessun luogo più dolce della patria e non devi amarla di meno perché essa
si trova ridotta male, ma piuttosto devi averne pietà e non privarla anche
della tua vista, visto che essa è già priva di molti illustri personaggi. Infine,
se è stato proprio di un animo nobile non piegarsi supplice al vincitore,
bada che non sia proprio da superbi disprezzarne la generosità e, se è
conforme alla saggezza star lontani dalla patria, invece è proprio di chi è
insensibile non sentirne la nostalgia, e, se tu non potessi godere dei
vantaggi della vita pubblica, sarebbe da stolti non voler godere di quelli
della vita privata.
(Trad. R. Pompili)
27.
i) Portare avanti fino in fondo l’opposizione contro Antonio e
i suoi (Ad fam. XII 3)
(Roma primi di ottobre 44; a Cassio)
Una lettera indirizzata a Cassio Longino. Cicerone vuole informare
l’amico, che si trova in Siria, della situazione a Roma, ma vuole
soprattutto indicargli una strada da seguire per risolvere tale
situazione drammatica: Antonio, console, spadroneggia, si sente in
tutto e per tutto l’erede del dittatore ucciso, lancia accuse e
perseguita chi è stato responsabile, diretto o indiretto, del
cesaricidio, è assetato di sangue e di vendetta. Occorre dunque
continuare un’opposizione a tutti i costi, occorre portare a termine
l’impresa iniziata con la eliminazione fisica del primo tiranno,
facendo lo stesso con questo che appare come secondo tiranno.
Quid enim est quod contra vim sine vi fieri possit? (cosa si può fare
contro la violenza senza ricorrere alla violenza?) Questo è il
principio che impronta di sé il brano, incentrato, come tante altre
lettere, soprattutto le ad Brutum, su Antonio presentato in chiave
fortemente negativa, non senza toni ironici (per esempio quando
viene definito tuus amicus) e senza che venga mai nominato.
Quanto a Cassio, rappresenta insieme a Bruto l’unica via di
salvezza, l’unica speranza (residet spes in virtute tua). Eppure non
poche restano le perplessità e le incertezze: ubi sunt copiae? …
malo te ipsum tecum loqui, per una organizzazione scarsa che
mostrerà le sue carenze drammaticamente a Filippi nel 42, quando
le truppe di Bruto e Cassio, raccogliticce e mal guidate, verranno
disfatte.
Auget tuus amicus furorem in dies. Primum in statua quam posuit in rostris
inscripsit «parenti optime merito», ut non modo sicarii sed iam etiam
parricidae iudicemini. Quid dico «iudicemini»? Iudicemur potius. Vestri
enim pulcherrimi facti ille furiosus me principem dicit fuisse. Utinam
quidem fuissem! Molestus nobis non esset. Sed hoc vestrum est; quod
quoniam praeteriit, utinam haberem quid vobis darem consili! Sed ne mihi
quidem ipsi reperio quid faciendum sit. Quid enim est quod contra vim sine
vi fieri possit?
Consilium omne autem hoc est illorum ut mortem Caesaris persequantur.
Itaque a. d. VI Non. Oct. productus in contionem a Canutio turpissime ille
quidem discessit, sed tamen ea dixit de conservatoribus patriae quae dici
deberent de proditoribus; de me quidem non dubitanter quin omnia de meo
consilio et vos fecissetis et Canutius faceret. Cetera cuius modi sint ex hoc
iudica quod legato tuo viaticum eripuerunt. Quid eos interpretari putas
cum hoc faciunt? Ad hostem scilicet portari. O rem miseram! Dominum
ferre non potuimus, conservo servimus. Et tamen me quidem favente magis
quam sperante etiam nunc residet spes in virtute tua. Sed ubi sunt copiae?
De reliquo malo te ipsum tecum loqui quam nostra dicta cognoscere. Vale.
Il tuo amico1 aumenta la sua follia di giorno in giorno. Prima sulla statua2
che ha fatto mettere sui rostri ha fatto scrivere «al Padre della patria molto
benemerito», con la conseguenza che siete giudicati non solo sicari, ma
anche parricidi. Che dico «siete giudicati»? anzi sono giudicato. Infatti quel
pazzo va dicendo che io sono stato il promotore del vostro gesto
meraviglioso. Magari lo fossi stato davvero! Oggi non ci darebbe tanto
fastidio3. Ma questa è responsabilità vostra4; poiché la possibilità è svanita,
magari io avessi un consiglio da darvi! Ma non riesco a trovare neppure per
me stesso cosa fare. In effetti cosa c’è che si può fare contro la violenza
senza usare la violenza? Essi5 invece hanno un unico piano di azione cioè
vendicare la morte di Cesare. Dunque il 2 ottobre quello, fatto venire da
Canuzio6 a presentarsi di fronte alla assemblea popolare, se ne andò in
maniera proprio vergognosa, eppure su chi aveva salvato la patria disse
cose che si dovrebbero dire su chi tradisce la patria; di me parlò proprio
senza mettere in dubbio che era sotto la mia spinta che voi e Canuzio
avevate fatto tutto. Di che tenore sia tutto il resto ricavalo da qui: dal fatto
1. Intende Antonio, in tono ironico. In realtà Antonio aveva persino abilmente fatto finta di
accostarsi ai cesaricidi.
2. È quella che Antonio aveva fatto erigere in onore di Cesare.
3. Perché Cicerone avrebbe ucciso anche lui.
4. Il fatto di non averlo ucciso e quindi di subire persecuzioni e noie.
5. Ovviamente i cesariani.
6. Tribuno della plebe di parte repubblicana che volle che Antonio esponesse pubblicamente le
sue idee sui congiurati.
che hanno tolto al tuo delegato l’indennità del viaggio7. Che pretesto credi
che adducano nel far ciò? Naturalmente che il denaro finisce nelle mani di
un nemico. Poveri noi! Non abbiamo potuto sopportare un tiranno, ora
siamo servi di chi è servo più di noi8. Ciò nonostante, mentre io me lo
auguro più di quanto non lo speri, ancora una speranza è riposta nel tuo
valore. Ma dove sono le truppe? Peraltro io preferisco che tu mediti tra te e
te piuttosto che stare a sentire le mie parole. Addio.
(Trad. R. Pompili)
7. Antonio aveva tolto a Cassio il governo della Siria e l’aveva dato a Dolabella, genero di
Cicerone, ma cesariano accanito. Anche il delegato di Cassio era quindi considerato nemico.
8. Antonio è stato servus di Cesare e soprattutto ha l’animo di servo.
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