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LʼINTERVISTA
Roberto Granzotto
RECORD DI
CENTENARI
IN CADORE
R
LA NECESSITA CHE I COMUNI
DEL CADORE SI RAGGRUPPINO
e ragioni che dovrebbero
“L
spingere i Comuni cadorini ad una fusione tra di loro sono molteplici, ma due sono quelle
principali.”
Le spiega Roberto Granzotto,
avvocato e cadorino d’adozione,
già sindaco di Pieve di Cadore e
attualmente vicesindaco. Uno
che se n’intende.
“La ragione principale è certamente la crisi di rappresentanza
politica del Cadore che si è verificata negli ultimi mesi-anni e che
si aggraverà inevitabilmente nel
prossimo futuro.
“Sparita” la Provincia, istituzione nella quale i cadorini avevano i loro rappresentanti, in
prossimità di una riduzione della
rappresentanza regionale (per l’inevitabile riduzione dei consiglieri regionali che determinerà una
probabile contrazione della rap-
Il Cadore
Regno delle
Ciaspe
’ una favola l’alba di una
E
bella giornata d’inverno
a Pian dei Buoi. I primi raggi vi
arrivano dopo aver sfiorato il Tudaio. D’un tratto indorano tutto
l’altipiano coperto di neve. Brilla
tutto, sotto e sopra: la grande distesa pianeggiante e lo zoccolo
ondulato che contorna le crode, i
larici carichi di neve e le rocce
che esplodono di colore.
Ecco, sabato 16 febbraio, proprio nel momento in cui il primo
sole ha cominciato ad accendere
tutto, sono arrivati a Pian dei
Buoi i primi atleti della Ciaspalonga delle Marmarole. “Il passaggio a Pian dei Buoi è stato eccezionale”. Con queste parole il
bresciano Alfredo Corsini,
vincitore della 2a edizione
della Ciaspalonga delle Marmarole, ha iniziato il commento
della sua gara. Corsini ha vinto
anche l’anno scorso. “Ma il clima, nel senso di meteorologia,
era molto diverso - ricorda abbozzando un sorriso sornione - con
“Cʼè una crisi di rappresentanza politica
del Cadore, che andrà ad aggravarsi,
e una difficile sostenibilità dei Comuni”
Granzotto prova a delineare la fisionomia
di un Comitato spontaneo che spinga il
dibattito sullʼunione dei Comuni
presentanza regionale della provincia di Belluno in generale, il
che renderà ancora più difficile
che un cadorino possa giungere a
Venezia), senza alcuna rappresentanza politica in Parlamento (che dovrebbe subire anch’esso
una notevole cura dimagrante),
il territorio cadorino non può
più e non potrà più essere rappresentato a livello superiore e
nei contatti istituzionali con le altre realtà territoriali da 22 sinda-
ci di comuni per la maggior parte
sotto i 3.000 abitanti. Una tale
frammentazione non è più sostenibile alla luce delle modifiche
che sono state apportate e saranno a breve apportate agli enti territoriali. Le istanze che dovessero
provenire da entità comunali talvolta sotto i 1.000 abitanti riceveranno sempre meno attenzione ed
aiuto dalle istituzioni superiori.
Se ci siamo sempre lamentati
dello scarso peso politico del no-
stro territorio dovuto anche all’esiguo numero di abitanti, gioco
forza tale limite risulterà ancor
più determinante nei prossimi
mesi-anni per l’inevitabile “semplificazione” del quadro istituzionale rappresentativo.
La seconda ragione è relativa
alla sostenibilità economica di
tali istituzioni, sostenibilità che
si è andata progressivamente
riducendo a seguito dei tagli
alla spesa pubblica ed ai vincoli posti alle amministrazioni comunali (principalmente vincoli
(segue a pag. 2)
di spesa).”
LA LUNGA CIASPALONGA
DELLE MARMAROLE
Gara che promuove il Cadore a terra ideale per un
turismo basato sullʼescursionismo invernale e estivo
freddo, pioggia e neve lungo tutto
il percorso. Quest’anno è stato
uno spettacolo. Il colpo d’occhio
che ho goduto a Pian dei Buoi è
L’UNIONE FA LA FORZA
stato il premio più bello.” Quest’anno, la Ciaspalonga delle
Marmarole ha fatto un salto di
qualità. Grazie al tempo e grazie
l Cadore sembrava, l'altro ieri, oaI
si felice, laboriosa ed invidiata, all'ombra delle crode e dei suoi cento
campanili. Nessuno s'aspettava quel
che stava per accadere e che invece
s'era verificato altrove: la recessione.
Con essa, partirono le grosse imprese
manifatturiere alla ricerca di delocalizzazioni sempre più lontane, arrivarono lunghe serpentine d'auto ad intasare i fine settimana ma non quelle agognate frotte di turisti a riempire alberghi e case, non rientrarono i giovani
mandati a studiare per consentire loro
un roseo futuro, scesero in pianura anche i servizi perché uffici pubblici e
ospedali sono un costo laddove non
c'è economia e gente, si ridussero le
botteghe nei paesi segno evidente di
pochi affari, mancò perfino la voglia
dei cittadini a confrontarsi nei consigli
comunali preferendo dare consenso
assoluto o sgranare infiniti lamenti.
Sì, la colpa è della globalizzazione
all’organizzazione di CadorEventi, la società che, con eccezionale intraprendenza e tanta professionalità, ha pensato e realizzato questa iniziativa
sportiva che ha tutte le
carte in regola per assumere un rilievo internazionale.
Per la verità un tocco di internazionalità
c’è stato con la partecipazione di atleti provenienti da Germania,
Polonia e uno anche
dal Messico. Sono stati i loro nomi a scandire l’appello fatto alla
partenza sotto le piste
da sci di Auronzo ancora avvolte dalla not(segue a pag. 4)
te.
Bepi Casagrande
(dentro possiamo metterci di tutto)
che penalizza chi non la capisce, è dei
tempi difficili (neanche fossimo in
guerra), è del governo (ovviamente
ladro). Anche.
La soluzione? Resta lì dove è sempre stata: programmazione del vivere
civile e rappresentanza istituzionalmente forte del nostro territorio. Non
si confonda il “bello” del proprio campanile al quale tutti noi siamo attaccati
per nascita e vissuto con il politicamente “buono”. E' tempo e necessità
di nuove aggregazioni, di Comuni di
vallata ben organizzati e più efficienti
quindi meno costosi, con amministrazioni aperte allo sviluppo generale,
Comuni federati in quel grande contenitore che è il Cadore dove già avevano nella Magnifica Comunità rappresentanza autorevole.
Troppe sono le cose a cui mettere
mano per pensare che la crisi economica e del sistema passi e ci lasci indenni.
ecord di cetenari in Cadore con la
presenza di 5,31 centenari su
10000 abitanti. Questi sono gli incoraggianti risultati riportati sull’annuario
statistico italiano dove è possibile trovare la fasce d’età e le percentuali nelle varie zone e paesi d’Italia. Un record che
ci pone al doppio della media italiana
(2,66) e regionale (2,4) e che è espressione di una condizione di vita ottima in
relazione alla logevità della popolazione. Questo forse è anche il risultato di
una genetica forte selezionata da una
vita faticosa del passato ma anche di
una vita in ambiente non inquinato dove l’abitudine a svolgere attività fisica
anche pesante e l’alimentazione naturale sono gli ingredienti fondamentali che
devono essere messi in causa quando
si raggiungono questi risultati.
Oggi sappiamo che il benessere è legato a questi aspetti cruciali: alimentazione sana fatta prevalentemente di prodotti locali, non esposizione ad inquinanti ambientali e attività fisica (dal fare
la legna a camminare in montagna) che
appartengono alla nostra tradizione.
Ben diversa è la condizione di altre zone montane come la vicina Pusteria dove i centenari meno della metà della
media italiana (0,88 su 10000 abitanti).
Per loro, evidentemente, contano i
drammi legati alle guerre e alle difficoltà che la gente ha vissuto nel periodo
dal 1913 in poi con una storia drammatica che ha portato alla morte di tanta
gente nata in quegli anni.
La longevità e la presenza di ultracentenari non significa però che non si sono problemi: ad esempio alcune malattie come i tumori possono essere più
frequenti nelle zone montane perchè la
popolazione è più anziana e quindi più a
rischio di sviluppare queste malattie,
oppure perchè l’abitudine di bere tante
bevande alcoliche, l’assunzione di cibi
(segue a pag. 2)
affumicati,
Francesca Larese Filon
La 167a del
Battaglion Cadore
IL MONSIGNORE
E LA
“TENENTITE”
A. PRETI A PAG. 13
Inserto
LA CAMPAGNA
MILITARE DI
RUSSIA - 1943
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Serve un Comitato che spinga il dibattito sull’unione dei Comuni
I COMUNI SI RAGGRUPPINO
dalla 1a pagina
R. Granzotto
Che fare dunque? Pictori locali che faccia azione
colo è bello, ma la rispo- “Serve un processo di maturazione di informazione, che crei ocsta è nei numeri.
di incontro, di cresciculturale e civile verso la fusione casioni
“Raggruppare gli enti lota e di scambio sulla cultura
dei Comuni, ed oggettivamente è della fusione, aiuterebbe la
cali comunali significa realizzare economie strutturali
culturale indifficile che possa essere portato maturazione
delle quali potrebbero beneficentivando gli amminiciare le nuove realtà territostratori a perseguire una
avanti dai sindaci”
riali, più solide e con meno
strada inevitabile.
oneri di quelli attuali, sia
per la drastica riduzione del
numero dei rappresentanti
politici (sindaci, assessori e
consiglieri), sia per l’inevitabile accorpamento dei servizi. Il beneficio che si determinerà non sarebbe solo
economico, ma anche funzionale, data la maggiore
possibilità di agire sulla razionalizzazione ed efficienza
della macchina amministrativa laddove le opzioni/scelte
sono più ampie (non si possono razionalizzare i servizi
con il miglior impiego del
personale laddove un ufficio
viene ricoperto da un solo dipendente, all’opposto laddove un ufficio abbia in forza
più dipendenti diventa più
facile razionalizzare i compiti e sopperire ad assenze,
anche solo temporanee).”
Da qui la necessità di costituire un Comitato spontaneo di cittadini per chiedere
con forza la fusione dei comuni cadorini.
“Perché si sente la neces-
sità che le Pubbliche Amministrazioni perseguano
una strada che difficilmente percorrerebbero spontaneamente e ciò non tanto
per la mancanza di volontà
o di sensibilità in tal senso
da parte dei sindaci, quanto
perché la fusione presuppone una maturazione culturale e amministrativa che
deve avvenire gradualmente per essere assimilata
con piena coscienza ed in
condivisione; diversamente
sarebbe vissuta come una
perdita di “potere” e capacità di incidere che nessun sindaco accetterebbe se fatta in
modo frettoloso o se imposta
dall’alto. I sindaci sono travolti dall’onda del quotidiano che impegna anima e corpo, il processo di maturazione culturale verso la fusione
è un processo graduale, una
presa di coscienza progressiva, ed oggettivamente diventa difficile che tale processo
di maturazione venga da loro vissuto e portato avanti
in tempi ragionevoli. I sindaci devono essere aiutati
dalla maturazione del tessuto civile delle loro comunità
per poter compiere un passo
con maggiore facilità e senza
la preoccupazione ed il dubbio di agire nell’interesse della popolazione e/o quantomeno di una parte di essa.
Le differenti scadenze
elettorali comunali non
aiutano tali decisioni in
quanto difficilmente i sindaci a fine mandato si avventurerebbero in strade lunghe
e tortuose, così come i sindaci neo-insediati prima di avventurarsi in scelte così difficili e che presuppongono la
piena e totale conoscenza
della macchina amministrativa che governano, dovrebbero consolidare le loro conoscenze.”
Granzotto prova a delineare la fisionomia del Comitato spontaneo per l’unione dei Comuni.
“Un Comitato spontaneo
di cittadini o amministra-
Non ha importanza in
questo momento quanti e
quali comuni debbano raggrupparsi, ma è importante
gettare le basi per un confronto e una discussione che
porti nel più breve tempo
possibile ad essere artefici
della crescita del nostro territorio prima che qualcuno
ci imponga d’alto scelte oramai inevitabili trovandoci
impreparati. Non un Comitato che organizzi referendum, ma crei occasioni di
incontro, faccia informazione e solleciti i sindaci all’agire in tal direzione.
Da ultimo desidero precisare che tale iniziativa non
si pone in contrapposizione o in contrasto ad altre
iniziative di carattere “istituzionale” (referendum,
ecc.) in quanto mira solo a
migliorare le macchine amministrative e rafforzare la
rappresentatività di un territorio.”
RDC
3
fondato nel 1953
DIRETTORE RESPONSABILE
Renato De Carlo
VICE DIRETTORE
Livio Olivotto
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
Editrice
Magnifica Comunità di Cadore
Presidente
Renzo Bortolot
Cancelliere
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Segreteria
Annalisa Santato
Palazzo della Comunità - Piazza Tiziano 32044 Pieve di Cadore
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Resp. trattamento dati (ex D.lgs 30.6.03 n.196): Renato De Carlo
RECORD DI CENTENARI
dalla 1a pagina
F. Larese
il fumo di sigaretta
sono fattori che aumentano
il rischio di questo tipo di
malattie. Mentre attività fisica, alimentazione, basso
indice di obesità diminuiscono il rischio cardiovascolare.
Insomma i risultati di
questi dati ci incoraggiano
a continuare le nostre tradizionali abitudini di vita riprendendo anche agricoltura e allevamente che permettono una alimentazione
più sana e senza uso di sostanze chimiche come antiparassitari e antibiotici ampiamente utilizzati nei pro-
dotti industriali. Ma anche
a continuare a svolgere
quelle attività tradizionali
che ci fanno fare una benefica attività fisica utile per il
nostro cuore: camminare,
fare legna, coltivare i campi
sono attività faticose ma indispensabili per la preven-
QUESTO NUMERO È STATO CHIUSO AL 4.3.2013
zione delle malattie cardiovascolari, prima causa di
morte nei paesi sviluppati.
E allora avanti tutta con
la tradizione perchè i dati
statistici dimostrano una
ottima longevità della nostra popolazione.
Per saperne di più:
www.tuttitalia.it.
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CONOSCI LA
I L M USEO
A RCHEOLOGICO MAGNIFICA COMUNITA’
C ADORINO
AGENDA
S
È A PERTO
DURANTE I F INE
S ETTIMANA
seguito degli ottiA
mi risultati raggiunti come numero di
presenze nel 2012, con
un incremento generale del 20% e un numero
di presenze vicino agli
8000 visitatori, la Magnifica Comunità è riuscita ad attivare un ulteriore servizio, l’apertura del MARC - Museo
Archeologico Cadorino
- tutti i fine settimana
dell’anno, con i seguenti orari: la mattina dalle
10 alle 12.30 e il pomeriggio dalle 15.30 alle
18.30, mentre la Casa
natale del pittore Tiziano Vecellio sarà visitabile su prenotazione.
L’importanza del Museo Archeologico Cadorino, ribadita dai recenti
prestiti a mostre internazionali, permette il
tuffo in un glorioso passato, in una realtà di
grande significato artistico, religioso e culturale, notevolmente autonoma ma nello stesso
tempo cerniera tra le
popolazioni del nord e
quelle del sud Europa.
Realtà certo ancora da
indagare e da far cono-
scere per inserirla ufficialmente
nella storia dell’Italia del nord.
L’attivazione di
questo servizio,
legato ad altri
progetti sviluppati negli ultimi
anni ed incentrati sulla valorizzazione, l’ammodernamento, la promozione e la didattica del
Museo archeologico e
della casa natale di Tiziano Vecellio, testimonia la volontà della Magnifica di fornire una
valida proposta turistica
culturale al territorio e
altresì vuole stimolare
la popolazione locale alla scoperta dell’importante storia cadorina.
ono state molte le
attività intraprese
da parte dell’Ente nei
mesi scorsi ed in particolare nella passata
stagione estiva 2012.
Alcune di queste hanno costituito un’indubbia “palestra” per testare le strutture, le collaborazioni e le persone,
in un ottica di miglioramento continuo volta a
proporre l’Ente, quale
vero e proprio motore
di idee nel territorio,
atto a incentrare la propria azione nei confronti dello sviluppo,
della maggiore e migliore conoscenza delle proprie eccellenze e
anche delle opportunità che da ciò derivano.
Alla luce infatti anche delle contemporanee volontà di riorganizzare il settore pubblico da parte degli organismi centrali, con
l’intento di garantire
una maggiore gestione
in termini economici
dei beni di tutti, l’Ente
Comunitario è stato
più volte chiamato in
causa per formulare indirizzi e proporre modelli. A riguardo, pare
più che assodato, che il
miglior tipo di indirizzo che possa essere
fornito in questo contesto, al di là delle disquisizioni tecnico-politiche, derivi soprattutto
dal modello organizzativo che si è voluto dare al sistema di gestione della Magnifica Comunità di Cadore, con
un forte orientamento
alla definizione dei processi e dunque con la
conseguente capacità
di misurare, attraverso
parametri quantitativi,
le proprie performances nei diversi ambiti
presso i quali è coinvolta relativamente alla
propria gestione corrente.
E’ proprio l’aspetto
della sostenibilità economica, da sempre faro nelle attività da intraprendere che rappresenta l’unico discrimine per valutare l’efficace e l’efficienza delle
azioni che via via si sviluppano, partendo dalle idee di molti, ma che
devono per forza di cose avere un indirizzo
armonico rispettivamente agli obiettivi
che si intendono raggiungere.
Una sfida in tal senso
è stata colta dalla nuova attività di book
shop, alla quale l’Ente
comunitario, con molti
sforzi aveva fortemente creduto sin dalla costituzione del nuovo
Gran Caffè Tiziano e
poi successivamente,
quando si era deciso di
investire in una persona da destinare a tempo pieno presso questi
spazi. Questa risorsa,
ha rispettato in pieno
le previsioni del business plan iniziale, raggiungendo il proprio
punto di pareggio a tre
anni dall’avvio. E’ stato
dunque possibile, coordinare ed intraprendere una serie di attività legate alla promozione dei musei dell’Ente,
sviluppare contatti ed
eventi per promuovere
il patrimonio Comunitario, come la mostra
sulle lettere di Tiziano.
Si è dimostrato dunque, che l’attività culturale e museale, se gestita attraverso un principio manageriale, può
sostenersi anche economicamente e dunque non necessitare
delle giustificazioni
morali che spesso accompagnano la realizzazione di progetti che
però dipendono esclusivamente da contribu-
ti pubblici o che alimentano passivi presso le casse istituzionali.
Da questo punto di
vista dunque, la Magnifica Comunità, in
tempi duri, di crisi, come quelli che stiamo
attraversando, ha voluto, al di là di chi ha inteso coinvolgerla o meglio trascinarla in ruoli
che spesso sarebbe
utopistico riesumare,
fornire il proprio contributo dimostrando
che l’attenzione alle
piccole cose può produrre grandi risultati.
E’ infatti sempre più
strategico, nell’amministrazione della cosa
pubblica, tenere conto
degli aspetti legati alla
sostenibilità economica delle proprie azioni,
proprio come, da settecento anni, questa antica istituzione sta facendo.
Marco Genova
Segretario
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4
’ assemblea dei soci della seL
zione di Pieve di Cadore dell'Associazione Bellunesi Volontari
I donatori di sangue Sezione di Pieve di Cadore in assemblea
AZIONI DI PROMOZIONE DELLE DONAZIONI
E SOSTEGNI ECONOMICI A ASSOCIAZIONI
del Sangue, che celebra il suo cinquantanovesimo anno di attività, si
è tenuta lo scorso primo marzo nella maniera tradizionale: con l’incontro nell'arcidiaconale di Pieve
per la S. Messa di ringraziamento e in ricordo dei donatori scomparsi; proseguendo con la riunione
sociale in cui è stata letta dal segretario Carlo Tabacchi la relazione morale sull'attività svolta e
quindi approvato il bilancio consuntivo dell'esercizio 2012; con la
cena sociale in serata durante la
quale sono stati festeggiati i soci
che hanno ricevuto le onorificenze per i traguardi conseguiti nell'ultimo triennio.
Quest'anno sono state conferite
le seguenti onorificenze: 2 distintivi
d'oro; 7 medaglie d'oro; 16 medaglie d'argento; 31 medaglie di bronzo e 46 diplomi al merito, i quali si
aggiungono al prestigioso medagliere della sezione che così può
esporre: una croce d'oro (103 donazioni); 5 distintivi d'oro (oltre 75 donazioni); 36 medaglie d'oro (oltre
50 donazioni) e poi 130 medaglie
d'argento e 211 di bronzo.
Dalla relazione del segretario si
evince che il Consiglio Direttivo
si è impegnato oltre che nella collaborazione per facilitare le donazioni, per iscrivere nuovi soci e tenere
attivi i rapporti con il Consiglio provinciale, anche per la promozione
della cultura della donazione e quindi del volontariato in genere con interventi nelle scuole e con sostegni
economici ad altre Associazioni che
ne avevano bisogno. Parole di apprezzamento e di vicinanza sono Cadore mons. Diego Soravia du- ringraziamento e dal Sindaco di
Dalle votazioni per il rinnovo delstate rivolte dall'Arcidiacono del rante la celebrazione eucaristica di Pieve Antonia Ciotti.
le cariche sociali che si sono svolte
Nel prestigioso medagliere della Sezione che ha 59 anni di attività
ci sono: una croce dʼoro, 5 distintivi dʼoro, 36 medaglie dʼoro,
130 dʼargento, 211 di bronzo
3
durante l’assemblea è uscito il
nuovo Consiglio Direttivo che risulta ora così composto: Baldessari Gian Antonio, Cian Floriano,
Ciotti Ruggero, Fedon Luigina,
Giopp Giovanni, Monico Giovanni,
Paludetti Giancarlo, Ruoso Gino,
Tabacchi Carlo, Tabacchi Flavia e
Testa Federica. Revisori dei conti
sono stati eletti : Ferrau Francesco
e Brunello Franco.
Gianni Monico
foto di Tommaso Albrizio
LA LUNGA CIASPALONGA DELLE MARMAROLE
dalla prima pagina
A caratterizzare la
salita della Val Da Rin è
stato il silenzio. Solo il ritmo cadenzato dei passi, di
corsa o al passo, ha accompagnato gli atleti. Su per le
rampe che salgono il versante settentrionale delle Marmarole Orientali il plotone si
è allungato a dismisura. E salendo, gli atleti hanno avuto
come la sensazione di lasciarsi la notte alle spalle.
Quasi in cima anche le om-
B. Casagrande
bre sono svanite. Ed ecco il
sole che da Pian dei Buoi ha
intiepidito i ciaspolatori fino
a Pieve di Cadore. A Pian
dei Buoi la tentazione di fare un salto al Rifugio Ciareido è stata condivisa da tanti.
Ma, come ricorda il nome, la
strada è lunga e non consente distrazioni di nessun tipo.
Dopo Pian dei Buoi inizia
la prima discesa. “Scendere
di corsa con le cisape - sottolinea il piemontese Daniele
43 km di saliscendi da Auronzo a Pieve di Cadore tra panorami
splendidi, una organizzazione ottima, poi una festa stupenda
Fornoni che è giunto secondo - richiede un’attenzione speciale perché è facile inciampare, specie con la neve
bellissima e abbondante che
c’è lungo tutto il percorso.”
Anche le parole di Roberta
Lorenzi, la prima donna a
tagliare il traguardo, riempiono di soddisfazione e di
orgoglio gli organizzatori e
l’intero Cadore: “L’organizza-
zione è stata ottima, mai trovato tanta assistenza lungo il
percorso di una gara di ciaspe, ma di più hanno fatto i
panorami che si aprono via
via che ci si avvicina al traguardo finale. Al Rifugio Antelao mi sono fermata per
guardarmi intorno e per ringraziare.” Anche il terzo arrivato nella gara maschile, il
bellunese di Arsè Gianni
Mores, ha ringraziato l’organizzazione al passaggio di
Madonna del Caravaggio,
sopra Calalzo, dove c’erano i
volontari del Cai che da Auronzo a Pieve hanno collaborato generosamente alla
buona riuscita della manifestazione insieme a tanti altri
soggetti. A Calalzo poi
l’impegno è stato doppio
dal momento che è partita
da lì la Ciaspalonga Short,
lunga 20 km e vinta da
Flavio Ghidini e Gilda Pesenti, che è andata a sommarsi a quella dei 43 km.
Dalla Chiesa del Caravaggio
la Ciaspalonga ha preso la
via di Pozzale. E qui non c’è
stato modo di godere del
paesaggio se non quello pregno di neve segnato dai boschi che fanno da cornice vivace al Tranego. Attenzione
ed energie sono state rapite
dalla salita. Ad un certo punto però il respiro faticoso e il
battito accelerato trovano
sollievo nel nuovo panorama che si apre: gli Spalti
di Toro e, più in là il Sassolungo di Cibiana, e il
Pelmo e la Fanton e il Re
Antelao.
Questa è la Ciaspalonga
delle Marmarole. Non ce ne
sono altre manifestazioni
sportive invernali che consentono di passare in rassegna alcune tra le Dolomiti
più belle in poche ore e sulle
proprie gambe. E sono poche le gare che si svolgono
in un clima di festa come
quello che ha contornato
l’intera competizione: dalla
partenza ad Auronzo a Pian
dei Buoi, dal tratto sopra Calalzo al Rifugio Antelao fino a
Pozzale e in Piazza Tiziano a
Pieve di Cadore.
E poi la festa è continuata con La Mini Ciaspalonga, riservata ai ragazzini,
partita da Pozzale e giunta a
Pieve. E poi in piscina, aperta gratuitamente a tutti gli atleti che così hanno potuto riprendersi dopo la dura prova. E poi le premiazioni che
hanno soddisfatto tutti. E poi
le aree giochi per famiglie
predisposte a Tai e a Pozzale
grazie ad un accordo AscomComune di Pieve. E poi la cena a base di riso al Gran Caffè Tiziano. E poi la musica fino a notte. Sì, i vincitori primi sono stati proprio gli
animatori di CadorEventi
che, nell’articolata organizzazione della Marcialonga delle Marmarole, hanno saputo
coinvolgere tanti soggetti
che hanno fatto squadra a cominciare dai Comuni di Pieve, di Calalzo e di Auronzo fino alle associazioni della
montagna con in testa il Cai e
le Guide Alpine.
Il lusinghiero risultato della manifestazione ha insegnato che la grande partita
del turismo che il Cadore intende giocare da protagonista potrebbe riservare tante
soddisfazioni. Un successo
che esalta la vocazione
escursionistica estiva e invernale del Cadore. La condizione è sempre la stessa:
lavorare insieme.
foto in ultima pagina
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PERSONAGGI
ANNO LXI
Marzo 2013
a Biblioteca “De Lotto”
L
di Calalzo possiede
centinaia di volumi di grande
importanza per studiosi e ricercatori, appartenuti al prof.
Enrico Pappacena, celebre
orientalista e docente di storia delle religioni all’università di Napoli, scomparso nel
1958. A farne dono, a suo
tempo, è stato il figlio prof.
Roberto, una delle figure più
note e stimate di Cortina, animatore da tanti anni della vita
culturale ampezzana ed osservatore attento e partecipe
anche degli eventi cadorini,
festeggiato proprio di recente per il compimento dei suoi
novant’anni. La presentazione ufficiale della donazione
era avvenuta, nella sala consiliare di Calalzo, nel luglio
del 1992.
Professor Pappacena,
anzitutto come ricorda
suo padre?
“Con grande affetto, ammirazione e rispetto. Mi ha
insegnato tanto, fra l’altro
accanto a lui ho imparato il
senso dell’umorismo. Ricordo
poi che quand’ero bambino
mi raccontava delle favole,
facendomi galoppare con la
fantasia”.
Come mai ha deciso di
vivere a Cortina?
“Io sono abruzzese di Lanciano. Ho studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove mi sono laureato nel
1954. Dopo aver vinto il concorso per l’insegnamento nella scuola media, nell’indicazione delle sedi preferite, avevo scelto anche Cortina, in
quanto da sempre appassionato di montagna. Mi è stata
assegnata proprio questa sede”.
E a Cortina è rimasto.
“Sì, anche perché qui ho
conosciuto quella che sarebbe
poi diventata mia moglie. E’
successo così: lei era una collega che insegnava materie
letterarie, come me, e un
giorno mi ha chiesto come
mai fossi capitato a Cortina.
Ho risposto: “Piuttosto che finire a Sassari, meglio qui”.
“Ma io sono di Sassari” ha
replicato lei. Si chiamava
Giovanna Biddau, una donna straordinaria, morta un
anno fa, alla quale ho dedicato recentemente anche un
libro di poesie. Ci siamo sposati e sono nati due figli, un
maschio e una femmina, che
oggi vivono a Bologna”.
Lei ha insegnato per
molti anni anche all’Istituto d’Arte, lasciandovi
un ricordo incancellabile.
“Dopo una prima esperienza alla scuola media di Cortina, dove sono stato anche
preside, sono passato infatti
all’Istituto d’Arte, rimanendovi per parecchi anni. E ad
esso ho anche dedicato una
corposa pubblicazione che documenta la nascita e l’affermarsi dell’Istituto nel tessuto
sociale del territorio: “L’Istituto d’Arte di Cortina d’Ampezzo. Cronistoria 18461988”.
Quali altri libri ha scritto?
“Fra i più recenti posso citare “La testa fra le nuvole”,
“Tu” e, con altri autori, “Pietre vive”. Il primo è una raccolta di fotografie scattate
personalmente e di poesie interamente dedicate alle nuvole. I testi sono riportati con la
mia calligrafia, in quanto ritengo che la scrittura manuale costituisca una sorta
di atto di riguardo verso chi
legge. “Tu” è una raccolta di
poesie dedicata a mia moglie…”.
Ne leggiamo una insieme?
“Pensarti è come perdersi/con gli occhi/in un turbine
candido/di fiocchi/contro lo
sfondo cupo del fogliame/di
un bosco./Ed il terreno/assetato dell’anima si copre/di una coltre purissima
di sogni/che scintillano al bacio della luna/riapparsa tra
le nubi”.
E “Pietre vive”?
“E’ un piccolo libro di larga diffusione, dedicato alle
cappelle di Ampezzo, per il
quale ho elaborato le schede
relative a San Rocco a Zuel,
San Candido a Campo e alla
Santissima Trinità a Majon.
Ma la mia produzione
complessiva comprende parecchi libri. Fra l’altro ho
contribuito alla realizzazione
di “Storia e arte nelle chiese
a Cortina d’Ampezzo”, ho dedicato una pubblicazione ai
disegni e dipinti di Luigi de
Zanna e una agli scritti di
Alis Levi, con lettere autografe di Gabriele D’Annunzio.
Ma potrei continuare”.
Prof. Pappacena, lei
negli ultimi decenni è
stato tra i protagonisti
della vita culturale ampezzana, collaborando fra
l’altro con Milena Milani
e altri personaggi.
“Mi sono inserito presto,
grazie in particolare all’aiuto del pittore Italo Squitieri e
di altri protagonisti dell’ambiente culturale cortinese.
Sono diventato amico di Indro Montanelli, che incontravo lungo la passeggiata della
vecchia ferrovia. Ho conosciuto anche Dino Buzzati e
tanti altri scrittori e artisti,
che mi hanno arricchito spiritualmente. Ho sviluppato
un’intensa amicizia con il
prof. Ennio Rossignoli, la cui
frequentazione dura ancor
oggi. Gli episodi che potrei
raccontare sono tanti. Mi limito a un solo esempio. Un
giorno ho conosciuto, davanti al “Posta”, l’attore Giorgio
Albertazzi. L’ho condotto da
Rachele Padovan, la cui casa
era diventata un prestigioso
punto d’incontro e di amicizia. Ne è uscita una serata
memorabile, che ricordo ancora.
Ma, al di là delle frequentazioni personali, posso dire
che a Cortina esisteva un fermento molteplice, che si traduceva in iniziative disseminate lungo l’arco dell’anno.
Fra queste, un festival del
jazz che ha avuto particolare
successo”.
E poi vi sono stati i lunghi anni di insegnamento.
“Io avevo una concezione
un po’ particolare della scuola, in quanto ero rimasto affascinato dalle modalità didattiche apprese alla Normale di Pisa, dove le lezioni si
svolgevano praticamente attorno a un tavolo. Il docente
e gli allievi, in tal modo, potevano confrontarsi direttamente, guardarsi negli occhi.
E la lezione diventata una
sorta di conversazione. Ho
cercato di trasferire questa
modalità didattica anche
quassù tra le montagne. Ricordo poi che tante volte accompagnavo i ragazzi a teatro a Belluno. Anche questo
diventava uno stimolo cultu-
5
ROBERTO PAPPACENA
Insegnante allʼIstituto dʼArte di
Cortina dʼAmpezzo per molti anni,
è stato tra i protagonisti della vita
culturale ampezzana
NOVANTʼANNI SPESI BENE
rale intenso”.
Diceva all’inizio di aver indicato la sede scolastica di
Cortina in quanto appassionato di montagna. Ha fatto
anche roccia?
“Sì, ma poi ho smesso per il
trauma psicologico riportato
in seguito ad un grave incidente accadutomi sui Cadini
di Misurina. Lì, un giorno, il
famoso alpinista Marino
Bianchi mi ha proposto di effettuare
un’arrampicata.
Formavano la cordata altre
due persone. Inizialmente era
stato stabilito che io dovessi
essere in fondo. Invece, all’ultimo momento, Bianchi aveva deciso di spostarmi più su
di una posizione. Stavamo
salendo tranquilli e sereni
Fra le sue pubblicazioni
“LʼIstituto dʼarte di Cortina”,
“La testa fra le nuvole”,
“Tu”, “Pietre Vive”, e altro
Ha donato nel 1992 centinaia
dʼimportanti volumi del padre
alla Biblioteca di Calalzo
quando, ad un certo punto, è
venuta giù una pioggia di
sassi provocata da una cordata che ci precedeva. Gli altri
due compagni di ascensione
sono rimasti uccisi sul colpo,
se non vi fosse stato lo spostamento di posizione quella sorte sarebbe toccata a me. Da
allora ho smesso di arrampicare, pur continuando a frequentare assiduamente la montagna”.
Pappacena: un cognome
insolito e un po’ curioso.
Che derivazione ha?
“E’ di origine greca e signi-
fica “figlio di prete”. Evidentemente un mio antenato era
sacerdote. E, come si sa, i sacerdoti ortodossi possono sposarsi”.
Antonio Chiades
MARZO 6 2013_ok 2_FEBBR 6 7 08/03/13 10:51 Pagina 2
6
C
La scoperta
’è una storia delle Dolomiti racchiusa tra le pagine della roccia, illustrate da albe e tramonti, ricalcate da stelle
di cielo e di mare, antiche conchiglie, orme di dinosauro,
oceani perduti in tempi trascorsi. C’è una storia delle nostre
montagne racchiusa in minuscole goccioline, più piccole
d’un fiocco di neve, gocce d’ambra che si nascondono ai piedi
delle maestose Tofane e chissà
in quali altri luoghi.
E’ stato il cortinese Paolo
Fedele a segnalarne la presenza nel 1992, senza ancora sapere d’aver appena scoperto una
delle più antiche ambre al mondo, 100 milioni di anni più vecchia di qualsiasi altra ambra in
precedenza nota e contenente
resti di organismi. Sì, perché
non solo l’ambra di Paolo Fedele risale a 230 milioni di anni fa,
ma contiene anche, inglobati al
suo interno, tre antropodi (animali invertebrati) risalenti al periodo del Triassico: due acari e un dittero. Già nel 2006 quest’ambra aveva mostrato al suo interno un incredibile mondo di microrganismi,
batteri, funghi, protozoi, pollini e
alghe che avevano lasciato sorpresi gli studiosi, rivelandosi con una
struttura inaspettatamente simile
ai microrganismi odierni, suggerendo dunque una “stasi evolutiva”
durata oltre 230 milioni di anni.
LO STUDIO E LA SCOPERTA
“Su questo filone di ricerca”, ha
spiegato il professor Eugenio Ragazzi del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’ Università
di Padova, “si è posto l’ultimo studio
pubblicato nel 2012 dalla rivista
ANNO LXI
Marzo 2013
Ritrovati i più antichi animali al mondo inglobati nellʼambra
scoperta da Paolo Fedele. Gocce esposte a Cortina e Selva
IN UNA GOCCIA DʼAMBRA
LA STORIA DELLE DOLOMITI
Lʼambra risale
a 230 milioni
di anni fa,
al periodo del
Triassico
Al suo interno
due acari e un
dittero, lʼultima
sorpresa delle
Dolomiti Unesco
(foto Pnas, 2012)
I due acari e il dittero visti al microscopio
scientifica Pnas (Proceedings of the
National Academy of Sciences of the
United States of America) e che ha
riacceso le luci sulla scena delle nostre Dolomiti. Il patrimonio dell’umanità che tutto il mondo ci invidia
ci ha ora regalato una nuova sorpresa, ossia i più antichi animali mai
trovati dentro l’ambra. Sono soltanto
tre artropodi, delle dimensioni inferiori al millimetro, ma che hanno
consentito di espandere ulteriormente la nostra conoscenza sulle origini
della vita sulla Terra.
Dal giorno stesso della pubblicazione dell’articolo scientifico le notizie
della scoperta sono rimbalzate sui
mass media di tutto il mondo. Lo
studio, condotto in collaborazio-
ne con Alexander Schmidt dell’Universitàdi Göttingen, con David Grimaldi del Museo di Storia
Naturale di New York – entrambi
tra i maggiori esperti a livello mondiale di inclusioni in ambra – e con
l’entomologo canadese Evert
Lindquist, ha permesso di stabilire
anche in questo caso la straordinaria
“attualità” di queste forme di vita,
molto simili a quelle odierne e che,
grazie alla loro capacità di adattamento ambientale, hanno superato
le grandi estinzioni che hanno visto,
al termine del periodo Cretacico (65
milioni di anni fa), la scomparsa dei
dinosauri”.
Lo studio dell’ambra triassica,
condotto dal professor Eugenio Ra-
Il cortinese Paolo Fedele
gazzi in collaborazione con il collega Guido Roghi del Dipartimento di Geoscienze e Georisorse
del Cnr di Padova (e altri collaboratori di vari laboratori internazionali), è in corso da molti anni, da
quando Paolo Fedele ha segnalato
la presenza dei reperti. Da allora,
grazie anche a successive indagini
sul campo e alle speciali autorizzazioni delle Regole di Cortina
d’Ampezzo, gli studiosi hanno cominciato a caratterizzare dal punto
di vista chimico-fisico, stratigrafico
e paleontologico, tale peculiare ambra. “Prima di tutto”, prosegue Ragazzi, “si tratta di una delle più antiche ambre mai trovate in tutto il
mondo. Grazie al particolare stato di
perfetta conservazione all’interno di
sedimenti geologici, è giunta fino a
oggi con il suo carico di informazioni
che stiamo decifrando.
Utilizzando informazioni fornite
dalle analisi paleobotaniche è stato
possibile stabilire le particolarità climatiche di una parte del periodo geologico Triassico (circa 230 milioni
di anni fa), in cui un clima particolarmente piovoso (che potrebbe essere paragonato ai climi monsonici
odierni) aveva creato una situazione
di stress/sofferenza alle piante, che
hanno iniziato ad essudare copiosa
resina, poi trasformatasi in ambra
nel corso di milioni di anni.
Una peculiarità dell’ambra, forse
quella più nota al pubblico, è che può
conservare al suo interno resti di antichi microrganismi; ed è quello che
ha fatto anche in questo caso”. “Tra
le curiosità che potremmo segnalare”, suggerisce Guido Roghi, “c’è il
fatto che il ritrovamento “solo” di
questi tre animaletti inclusi nell’ambra ha richiesto in realtà una costanza ed una applicazione notevole da
parte di tutti i coautori, se si pensa
che sono state osservate al microscopio circa 70.000 goccioline di ambra, delle dimensioni millimetriche.
Per poter scrutare all’interno di
ciascun campione di ambra è stato
necessario provvedere alla pulitura e
lucidatura della superficie per renderne visibile il contenuto attraverso
gli obiettivi di potenti microscopi”.
Data la peculiarità della scoperta, altri scienziati stanno procedendo allo studio ancora più dettagliato dei
reperti. Dopo il “viaggio nel tempo”, questi tre campioni d’ambra
stanno ora fisicamente viaggiando
per tutto il mondo, contesi da laboratori internazionali. Al termine delle ricerche ritorneranno al Museo
di Scienze della Terra dell’Università di Padova, dove verranno
custoditi in particolari condizioni.
I PIU’ ANTICHI ANIMALI
NELL’AMBRA
Grazie allo stato di conservazione dell’ambra, per due dei tre antropodi ritrovati al suo interno, sono state coniate delle nuove specie chiamate Triasacarus fedelei
3
di Irene Pampanin
(in onore di Paolo Fedele) e Ampezzoa triassica. Si tratta di due
acari che vivevano nutrendosi di foglie di conifere della famiglia delle
Cheirolepidiaceae, ora estinte. Furono proprio queste particolari
piante a produrre l’ambra. Oggi gli
acari si nutrono di piante con fiore,
le Angiosperme, comparse sulla
Terra molto più tardi delle conifere, nel Cretaceo.
Nel Triassico gli acari esistevano
già e si nutrivano necessariamente
di conifere; in seguito si sono evoluti assieme alle piante stesse, superando le grandi estinzioni. Non è
stato possibile definire la specie del
dittero, il terzo animale ritrovato, in
quanto l’inclusione nell’ambra non
è avvenuta in modo completo.
A CORTINA E SELVA
GOCCE D’AMBRA
Campioni di ambra Triassica delle Dolomiti, in tutto simili a quelli
che hanno celato questi animaletti
ormai famosi per la scienza, sono
custoditi nel museo delle Regole
di Cortina d’Ampezzo, dove possono essere ammirati dal pubblico.
Alcune goccioline della stessa ambra si trovano anche nel museo civico Vittorino Cazzetta di Selva
di Cadore, donate poco prima della sua ristrutturazione dallo stesso
Paolo Fedele.
PAOLO FEDELE
RACCONTA
Trovare delle goccioline d’ambra
minuscole con all’interno la storia
delle Dolomiti non è cosa da tutti i
giorni. Di certo Paolo Fedele non
se l’aspettava “Era più o meno il
1992 quando ho scoperto il giacimento”, racconta pacatamente e
con gentilezza il cortinese Paolo Fedele, “poi è rimasto un po’ tutto
“chiuso in un cassetto” perché non
era proprio una cosa così eccezionale. Verso il 1996-1997 ho fatto vedere
il reperto d’ambra più grosso a dei
professori (ora esposto al Museo delle
Regole di Cortina d’Ampezzo) e gli
ho dato un pezzetto da analizzare.
Così una sera mi ha chiamato il
professor Piero Gianolla chiedendomi se poteva venire qui a visionare il
sito insieme ad altri professori e da lì
è partito tutto. Pochi giorni dopo sono arrivati Gianolla, Guido Roghi e
Eugenio Ragazzi. Siamo andati a vedere il posto e abbiamo trovato altri
reperti. Il primo giacimento lo avevo
individuato nella zona di Ru Merlo,
sotto le Tofane. Poi con i professori
siamo arrivati vicino al Rifugio Dibona dove abbiamo trovato altri reperti”.
Si aspettava di trovare dell’ambra così importante? “Sinceramente è stata una sorpresa. Un
po’da appassionati, con quello che ci
aveva trasmesso Rinaldo Zardini, si
andava su per la frana di Ru Merlo e
si cercavano altre cose: conchiglie
più che altro. Poi spaccando uno dei
tanti sassi, è venuta fuori questa
grande goccia d’ambra, inglobata nel
sasso assieme a delle conchiglie. Conoscevo l’ambra per averla vista in
altri musei ma non pensavo di trovarla anche nelle Dolomiti, non era
previsto: un colpo di fortuna”.
Una specie ora porta il suo
nome. “Pensi che il giorno in cui
l’Università ha fatto la pubblicazione, ho passato tutto il giorno con Roghi. Siamo andati in escursione su
alla Croda da Lago (anche lì c’è un
affioramento di vegetali dello stesso
periodo del Rifugio Dibona) e non
mi ha mai detto niente: mi ha solo
fatto vedere la foto di un acaro ingrandito mille volte. Poi il giorno dopo, che è venuto qui a casa, mi ha
detto di questa sorpresa. Alexander
Schmidt aveva proposto di dare il
mio nome a uno di questi acari e tutto lo staff era d’accordo. Una soddisfazione grandissima per me. Qualcuno mi prende in giro dicendo:
“Adesso devo aver paura dell’acaro,
sono allergico all’acaro!”.
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DAI PAESI
ANNO LXi
Marzo 2013
l giorno di Pasquetta, l’1 apriI
le, la Magnifica Regola di Villagrande, di Auronzo di Cadore,
terrà, come da artt. 22 e 27 del
Laudo, la sua annuale assemblea
ordinaria. In particolare, nel suo
ordine del giorno, pone l’elezione del nuovo Consiglio di Amministrazione e del nuovo Collegio
Sindacale.
Dal momento che le cariche attuali sono a conclusione del loro
mandato triennale, gli aspiranti
consiglieri e sindaci, rispettivamente previsti nel numero di sei
e quattro (più 2 supplenti), per
essere regolarmente eletti devono presentare la propria candidatura entro un mese dalla votazione, secondo le disposizioni dell’
art. 31 del Laudo, presso la sede
della Regola in Piazza Santa Giustina n.1. Quest’anno tale scadenza era prevista in data venerdì
primo marzo.
Sebbene i regolieri auronzani
non siano pochi, ben 860 tra uomini e donne (si ricorda che le
Regole di Auronzo hanno aperto
il diritto anche alle donne, naturalmente rispondenti al requisito
di “natività”, imprescindibile), le
candidature alla fine di febbraio,
quindi a pochi giorni dalla chiusura, sono state nulle: nessuno si
è dato disponibile. Questo è sintomo di un disinteresse da parte
della popolazione verso quello
che è un diritto riconosciuto e riscoperto da poco: essere Regoliere. Un disinteresse che preoccupa. Un disinteresse o scoramento, che, nel piccolo delle nostre terre, non è desiderio di
cambiamento o bisogno di “novità”. Significa solo resa.
Giuseppe (Bepi) Pais Golin, attuale Presidente del
Cda, riferisce una certa preoccupazione a riguardo, sostenendo
che sebbene lui abbia ancora voglia di dare continuità alla Regola, anche nel prossimo avvenire,
non sembra che il paese sia entusiasta a ricoprire incarichi di que-
AURONZO - Cʼè preoccupazione in casa della Regola perché non vi
sono aspiranti consiglieri e sindaci per il prossimo triennio
LʼIMPORTANZA DʼESSERE REGOLIERE
di Rosanna Franzese
momento che lo stesso si mette a
disposizione della collettività. La
Regola, oltre a corrispondere
er chi non lo sapesse o
ai suoi “fuochi” somme di denon ne vedesse l’impornaro a fronte di ristrutturaziotanza, essere Regoliere confeni, promuove la cultura attrarisce l’esercizio di ulteriori diverso incontri e conferenze
ritti esercitabili direttamente
nei locali che lo stesso comune
nella propria terra, di far parte
mette a disposizione, a riprova
di una cerchia di pochi che
che il sentimento di collaboraziocontano e stanno facendo stone esiste, dialoga con l’UNEria attraverso assemblee,
SCO per i territori boschivi di
quindi in maniera democratiRusiana e lungo alcuni pendii
ca. Essere regoliere ad Aurondelle Marmarole (ndr, l’ Unezo è diverso che non esserlo
sco trova la fauna di questa zona
in altre valli dove quest’istitumeritevole di “attenzione” e ha
zione è sempre esistita e non
bloccato il taglio dei lotti di legnaha perso forza.
me; al momento sono ancora ferAd Auronzo il ritorno
mi), eroga borse di studio a
della Regola ha significato
studenti meritevoli e, manteuna riscoperta di valori annendo lo spirito “conservatore”,
tichi, sepolti o troppo preauspica un apporto sempre
maturamente sacrificati per
più considerevole delle donfar posto ad una cultura di imne e dei giovani nei nuovi approvvisazione che non ha sapuntamenti. Proprio le donne
puto trattenere e valorizzare
stanno mettendo in collegamento
adeguatamente la propria stole Regole con la scuola.
ria. Essere regoliere qui è tro“Presi da boci”, sottolinea Bepi,
varsi ad certo punto della vita
“le cose entrano di più dentro nele avere una voce in più a disla testa. Se ci fossero più risorse e
posizione, per manifestare
idee si potrebbe anche allargare il
idee, collaborare, o dissentire
bacino di iniziative e di coinvolgisu temi attualissimi, primo fra
mento sociale. Speriamo che si
tutti la conservazione del terprenda coscienza che la Regola fa
ritorio e l’utilizzo sostenibile
parte della vita di noi tutti e che
dello stesso. La conoscenza
se ci si esprime le cose cambiano,
della propria terra e quindi
altrimenti restiamo gli stessi. E
il rispetto della stessa sono
non si migliora mai.”
il primo passo per miglioQuindi entusiasmarsi e andare
rarla, al fine magari di proavanti è l’invito di chi vorrebbe
porla anche a chi dovrebbe
vedere un passaggio delle conseaver voglia di pagarla, visto
gne che fosse anche generazioche la vocazione al turismo è
nale. Questo è un ente che ha le
l’interpretazione del futuro
potenzialità per diventare un orper molti.
ganismo vivo, ma per farlo serve
che chi ne fa parte, con tutti i limiti e le divergenze di opinioni,
diventa persona di partecipazio- ne. Diventi donna e uomo libero.
P
Bepi Pais Golin, lʼattuale presidente
della Regola dʼAuronzo, chiama a
raccolta i regolieri (ben 860 tra uomini
e donne): sono stati assunti importanti
impegni dal ripristino dellʼente nel 2000
Non ci si può arrendere
sto genere.
E’ vero che l’ente è stato ripristinato solamente nel 2000 ma va
sottolineato che sono stati assunti importanti impegni dopo il suo
ripristino. Primo fra tutti, non fosse altro per l’acceso dibattito che
ha tinto le cronache politiche del
Paese, il contenzioso per proprietà e gestione della particella 402
di Misurina, con il Comune di
Auronzo (ndr, bene promiscuo
della Regola di Villagrande e di
Villapiccola che il comune di Auronzo gestisce). Realtà che porta
alle casse del comune un ingente
introito: circa 1.500.000 Euro
ogni anno.
“Con pacatezza e responsabilità
da ambo le parti”, continua Bepi,
“stiamo arrivando ad un accordo.
Numerosi incontri sono stati fatti
e pare che nessuna delle due parti
voglia ricorrere a legali, impoverendo gli auronzani doppiamente:
uno come cittadini, due come regolieri”. Follia già vista.
“10.000 ettari circa di terreno
siti in diverse zone di Auronzo,
sono attualmente gestiti dal comune ma dovrebbero, previo accordo, tornare alla Regola in un
prossimo futuro. La particella di
Misurina è quindi solo una parte
di questi”.
Il contenzioso di Misurina, eredità della precedente amministrazione, che si spera giunga
presto ad un epilogo di equo
compromesso, non basta a giustificare la lontananza che c’è tra la
gente e l’istitituto regoliere dal
ono molti gli emigrati
S
cadorini, che hanno LʼIMU SULLA CASA IN ITALIA Eʼ
lasciato la loro terra negli
anni Cinquanta e Sessanta
del secolo scorso, che hanno conservato la casa di famiglia o costruito una nuova abitazione nel paese d’origine e ci ritornano per
qualche settimana all’anno.
Pur avendo ormai creato interessi e continuità generazionale in Svizzera, o Germania, o altri Stati europei,
non vogliono staccare i contatti e recidere i legami con
il loro passato e con l’appartenenza famigliare, con la
lingua ladina, con i paesaggi da guardare e visitare
con gli occhi e col cuore.
Paolo Zannantonio Sagrestan è uno di questi
emigrati. Ha vissuto e lavorato in Svizzera, dove ha
sposato Wilma ed ha avuto
figli e nipoti che continuano
a rimanere nella confederazione elvetica. Ma egli e la
moglie tornano almeno un
paio di volte all’anno a Casamazzagno, dove hanno
legami di parentela, amicizie, e la casa di famiglie ristrutturata e mantenuta in
efficienza proprio per essere abitata ad ogni rientro.
Ma su questa casa Paolo è
costretto a pagare l’Imu come seconda abitazione. E
così come lui tanti altri emigrati nelle medesime condizioni. Zannantonio ritiene
questa una grande ingiustizia ed ha scritto al sindaco
di Comelico Superiore, Ma-
7
UNO SCHIAFFO PER I CITTADINI
EMIGRATI Paolo Zanantonio Sagrestan
rio Zandonella Necca, ma
anche ai parlamentari italiani e perfino al Presidente
della Repubblica per far
sentire le sue ragioni.
"Vorrei dire a voi amministratori comunali ed ai
politici - scrive Zannantonio
- che non è giusto che noi
emigranti paghiamo l'Imu
sulla casa come seconda abitazione. Dove abbiamo lasciato i nostri risparmi tutte
le volte che torniamo in Italia e abbiamo dato lavoro ai
paesani per ristrutturare la
casa? Trovate giusto che noi
emigranti non siamo mai
informati di cosa succede
nel nostro Comune d'origine? Siamo trattati come cittadini di serie B, però per
pagare le tasse siamo considerati di serie A se non si
paga l'Imu puntualmente
siete bravi a mandare i conti con la multa. Considerare
seconda casa l'immobile posseduto in Italia da noi emigranti è una misura ingiusta nei confronti di chi, a seguito di anni di lavoro e sacrifici ha investito i propri
risparmi per costruire o rimodernare le proprie abitazioni. Togliere la prima abitazione è un intollerabile
schiaffo per noi cittadini ita-
di Casamazzagno ha scritto al
Presidente Napolitano: “Eʼ una
misura ingiusta, per quanti in
anni di lavoro allʼestero hanno
investito i risparmi al proprio
paese per ritornarci”
liani all'estero”.
Nella lettera inviata al
Presidente Giorgio Napolitano, Paolo Zannantonio Sagrestan fa un appello: “Mi
rivolgo a lei, Presidente, per
aiutarci a riconoscere nuovamente la prima abitazione agli emigranti proprietari di casa, in modo da non
essere costretti a venderla e
dire per sempre addio all'Italia”.
Purtroppo per lui e per i
tanti emigrati cadorini nella
stessa situazione, dal Comune di Comelico Superiore e dagli altri municipi cadorini non è arrivata alcuna
risposta. O, peggio, sono
arrivate risposte evasive e
magari ciniche, come quelle di alcuni amministratori,
che hanno osservato come
le imposte pagate dagli
emigrati servano a mantenere più bassa la percentuale sulla prima e seconda
casa per i residenti stabili.
Lucio Eicher Clere
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ANNO LXI
Marzo 2013
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Lettere & Opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & Opinioni
DAL CANADA, ENRICA PRESENTA UN SALUTO A MERY E BRUNO LA POSTA CON GLI
MILENA E LETICTIA
ABBONATI NEL... MONDO
DE LORENZO IN MICHIGAN
Carissimi, come promesso telefonicamente, vi mando le foto delle mie bis-nipotine, due belle gemelline:
Milena e Letictia di due mesi e mezzo. Sono molto buone, mangiano e dormono, il
fratellino Adri se le bacia e
guai a chi le avvicina perché
sono sue.
Qua fa freddissimo, oggi
siamo a -28 gradi ma con il
vento va fino a -35°, si sta in
casa anche se fa un bel sole;
dicono che è la giornata di
gennaio più fredda da più di
10 anni. Cari saluti a tutti
Enrica Liva Crepaldi
Laval - CANADA
Anche qui in Cadore il
freddo non è mancato, ma
non certo con temperature
così basse, e di neve ne abbiamo vista tanta a febbraio.
Un saluto da parte nostra
alle due belle gemelline che
nonostante il tempo mangiano e dormono beate.
Egregio Direttore, volevo,
attraverso il Suo giornale, fare una sorpresa ai miei zii
De Lorenzo Bruno e Mery,
abitanti in America nel Michigan e precisamente a
Mount Pleasant dal lontano
'59 e Vostri lettori da tanti anni. Nella fotografia che Le invio, ci sono 4 generazioni, la
bisnonna Robin Vanda di 85
anni, nonchè sorella di
Mery De Lorenzo, poi la
nonna Dolmen Italina di 62
anni, la mamma Dolmen
Monja di 33 anni e la piccola
Gaia Da Rin D'Iseppo di 1
anno compiuto lo scorso 7
febbraio.
Vorrei inoltre, mandare
agli zii e figli, un saluto e un
augurio di un arrivederci a
presto da tutti noi.
Ringrazio Lei e tutta la redazione per la possibilità che
mi date e congratulazioni
per "Il Cadore" letto nelle varie parti del mondo.
Distintamente Saluto.
Dolmen Italina
Pelos di Cadore
Grazie Italina, fa sempre
bene un complimento. Saluti
anche da parte nostra ai coniugi cadorini nostri affezionati lettori negli Stati Uniti.
UN CARO
SALUTO A
MARIUCCIA
DEL FAVERO
Sp. Redazione, sono parecchi anni che mia sorella
Maddalena mi aveva regalato l’abbonamento al Cadore, mi ha portato tanti ricordi e notizie. Ora però
mi sono sorti tanti problemi (...) e vorrei dirvi che
non mi abbono più e mi
dispiace. Vi auguro buon
lavoro e sempre migliore.
Vi ringrazio di quello che
mi avete fatto in passato,
Egregi Signori, è già
passato più di un anno e
ora mi affretto a rinnovare
l’abbonamento. Colgo l’occasione per augurare a tutta la redazione un buon
positivo anno e salutare
cordialmente.
Tina De Lorenzo Schori
Rumlang - SVIZZERA
Altrettanto a lei e famiglia Signora Tina. Siamo
certi che di anno in anno
il nostro mensile vi fa compagnia.
Egregia Redazione, includo l’abbonamento al
mensile Il Cadore per l’anno 2013. Anche se in ritardo vi auguro un Buon Anno a tutti voi e cordialmente vi saluto tutti.
Giovanni Pinazza
N.S.W. - AUSTRALIA
Siamo noi in ritardo nel
contraccambiare gli auguri, visto che la sua lettera è
del 7 gennaio. Abbia pazienza riguardo la lentezza
nel recapito del giornale:
nonostante la buona volontà e i potenti mezzi moderni, siamo sempre in ritardo.
Egregi Signori, vi invio
il rinnovo dell’abbonamento (...) anche se faccio presente che scadeva con fine
aprile. Gradirei ricevere la
vostra richiesta di rinnovo
un po’ prima della scadenza. Grazie.
Giuseppe Pampanin
Clifton, N.J. - USA
Ringraziamo, e rispondo a lei come anche ad altri abbonati: la lettera per
il rinnovo inviata dall’amministrazione vuole essere
un promemoria sulla scadenza e sulla quota dell’ab-
bonamento, ma ovviamente i numeri garantiti sono
12, con effetto dal momento del pagamento. Ricordiamolo, l’abbonamento è
la linfa che permette al
giornale di vivere e a noi
tutti di sentirci.
Cari Amici, tanti auguri!! Rinnovo l’abbonamento. E, se possibile, mi farebbe piacere ricevere il libro degli Alpini!!
Saluti cordiali
M. Pierre Ciliotta
Nizza - FRANCIA
La lettera è d’inizio gennaio, ringraziamo e contraccambiamo gli auguri.
Lei avrà già ricevuto il libro degli “Alpini e Artiglieri in Cadore”, ricordiamo a chi ne fosse interessato che gli autori Musizza e
De Donà hanno gentilmente messo a disposizione altre copie.
Egregio Direttore, le includo il rinnovo annuale
de Il Cadore. Incluso anche per gli anni passati.
Colgo l’occasione per
mandarle, sebbene in ritardo, i migliori auguri di
buon Anno. Cordiali saluti
Maurilio De Nicolò
Saratoga CA - USA
Gli auguri sono sempre
graditi e contraccambiamo con vera gioia, ringraziandola del sostegno.
con i migliori auguri a tutti, salutandovi, la sempre
cadorina
Mariuccia
Del Favero Gava
Montaner di Sarmede
(TV)
Le saremo sempre vicini, Mariuccia, e ricorderemo insieme sua sorella
Maddalena che ha sempre
voluto con spontaneità, generosità e caparbietà,
mantenere intatti i legami
della vostra cadorinità.
Raccontandoci tempo fa
della sua fanciullezza a Cibiana, lei scriveva: “Io sono orgogliosa d’essere Cadorina!” Fosse anche solo
per questo e pure per alleviare le pene della vecchiaia, noi siamo felici di
mandarle il mensile affinché lo possa sfogliare con i
suoi nipotini.
Vorrei proprio conoscervi tutti, Voi Cadorini
che siete andati in altri
continenti mantenendo
saldo legame con la vostra terra. Siamo in un
mondo grande ed agitato,
fa un gran bene ricordarci gli uni degli altri.
MARZO
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Marzo 2013
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Lettere & opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & opinioni
VITTORE DE SANDRE CI HA LASCIATO SI RIPARLA DI PROLUNGAMENTO
FU ANCHE DIRETTORE DE “IL CADORE” AUTOSTRADALE, MA NON ERA FINITA?
Se n’è andato Vittore De
Sandre, aveva 72 anni. La
gente di San Vito e del Cadore ha partecipato numerosissima e comossa al funerale il 12 febbraio perché
è indubbio che Vittore sia
stato un sindaco capace, stimato e disponibile (ben
quattro mandati, tra il 1975
e il 2004), un’amministratore e politico equilibrato (attualmente era presidente
della Comunità Montana
Val Boite), un giornalistaconduttore apprezzato (soprattutto su TeleCortina,
con una trasmissione di
successo, “Filo diretto”.
Professionalmente preparato, era stato per anni direttore dell’Ufficio Postale di S.
Vito di Cadore.
Lascia la moglie Franca, i
figli Lorenzo e Marta, i nipotini, ai quali vanno le condoglianze della Redazione
de Il Cadore.
Vittore De Sandre fu direttore responsabile de Il
Cadore per alcuni mesi nel
2006 e quindi collaborammo assieme dopo esserci
accordati sulla mia condirezione. Nonostante gli ingarbugliamenti del momento,
non fu difficile, perché
Vittore era una persona saggia, pacata, disinteressata, permeato
di modestia. Ci conoscevamo e ci rispettavamo da tanto tempo.
Avevamo collaborato
assieme anche nel
1983 quando De Sandre fu nominato Direttore responsabile del
“Notiziario ULS1 Cadore” che veniva recapitato ad ogni famiglia
del territorio.
Posso dire che eravamo diventati amici e
avevamo progettato di
fondare un giornale
assieme. Cosiché, non ci
pensai due volte nel 1998 a
iniziare il neonato mensile
Opinioni con una sua intervista, dal titolo lungimirante: “Un Senato per il Cadore”. Il Cadore deve essere
rappresentato in modo unitario e non frammentato scriveva De Sandre -. E chi
meglio della Magnifica Comunità è il simbolo di tutto il
Cadore? Nominino i sindaci
un Senato di saggi che con la
sua autorevolezza aiuti questa nostra piccola patria a
RICORDANDO ADELE
Adele Milan vedova
Brioschi era una persona
mite e laboriosa, dedita alla
famiglia, come ben sapevano fare le donne cadorine.
La ricordiamo su queste
pagine perché è sempre
stata affezionata alla Magnifica Comunità e aspettava trepidante l’uscita de Il
Cadore. Adele in Magnifica
era di casa, perché per 25
anni fece servizio di pulizie
presso l’ente allora presie-
duto da Giancandido De
Martin, partendo da Sottocastello alle 6 di mattina e
con ogni tempo, inoltre si
rendeva disponibile alla biglietteria del museo o per
altre necessità. Prima di lei,
anche sua madre Giovanna
svolgeva lo stesso incarico.
La vita di Adele si è conclusa a 84 anni il 9 gennaio
scorso a Sottocastello, assistita amorevolmente dal figlio Leo.
crescere. Dopo aver chiarito
la proposta, concludeva: L’obiettivo è una Magnifica Comunità ridisegnata, ente di
riferimento storico che diventi ente di programmazione
sociale e motore di sviluppo.
Tutte le idee camminano
con le gambe degli uomini sosteneva l’allora sindaco di
San Vito di Cadore - ci sono
tanti modi per iniziare.
Forse oggi si “dovrà” realizzare quello che Vittore ieri sognava.
Renato De Carlo
Caro Direttore, faccio riferimento all'articolo "Si riparla di autostrada" apparso
sul numero 1 gennaio 2013
della rivista da lei diretta.
Vorrei aggiungere alcune
considerazioni a quelle
espresse nell'articolo e cioè
il recente dato sul consumo
di suolo che vede il Veneto
assieme alla Lombardia come le regioni a più alto e
spensierato consumo di
suolo e soprattutto sulla notizia apparsa sulla rivista del
CAI, "Montagne 360" del dicembre 2012, "la grande vittoria dell'ambiente: approvato il Protocollo Trasporti
della Convenzione delle Alpi" e cioè la ratifica del'Italia
del Protocollo Trasporti
della Convenzione delle Alpi "che assume ora carattere vincolante" - si dice nell'articolo - e in particolare:
"Niente più strade di grande comunicazione attraverso le Alpi. Addio al progetto
(senza senso perchè comunque irrealizzabile senza l'assenso degli altri Stati)
di una nuova direttrice stradale fra Venezia e Monaco"
ecc.
Come si conciliano questi
dati (soprattutto il secondo)
con la nuova ennesima proposta di una austrada Venezia-Monaco che ho letto sul
Cadore?
Cordiali saluti
Daniela Sacco
Gentile Signora Sacco, dopo averle risposto personal-
mente, pubblico ora la sua
lettera anche perché in questo momento alcune autostrade venete sono argomento dibattuto delle cronache
giornalistiche.
A ben leggere, l'articoletto
pubblicato “Si riparla di autostrada” è esplicito: non si
entra in merito alle argomentazioni dei pro e dei contro, si riportano solamente
alcune ultime prese di posizione a favore o contrarie al
prolungamento per dire che
è ora di smetterla di parlare
di autostrada o di prolungamento della A27 (pro o contro) se la cosa non è fattibile.
Abbiamo preso a pretesto
il fatto che ci sono ancora in
giro quote di adesione alla
società Venezia-Monaco e
che la Magnifica Comunità
ha deciso temporaneamente
di mantenere la sua, per le
ragioni esposte sul giornale:
quella quota è ben poca cosa
e se la società continua ad
esistere è corretto esserci, cosa che permette d’essere pre-
senti in eventuali dibattiti
con i Comuni della pianura.
Personalmente ritengo che
ci dovrebbe essere più attenzione al nostro territorio e
più unità d'intenti per le scelte che poi dovrebbero tramutarsi in economia, comunque garantisco ai lettori del
nostro mensile lo spazio per
il dibattito.
Proprio sul numero di febbraio abbiamo pubblicato un
articolo sulla conferenza tenuta a Dosoledo dal comitato Peraltrestrade, fautore del
blocco di ogni altro tratto autostradale. Altrettanto però il
nostro mensile deve tenere
presente le argomentazioni
di tanti altri cittadini favorevoli al prolungamento dell’autostrada A27 verso Tolmezzo. E ritorniamo al senso
del nostro citato articoletto:
si discuta una buona volta
tutti assieme, pro e contro,
affinché le popolazioni interessate dal progetto possano
decidere
su
elementi
concreti.
Rappresentanti del PAS in conferenza a Dosoledo
Lettere al Direttore
Potete scrivere, o inviare mail a:
[email protected] - [email protected] - fax al 043532858
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Lettere & opinioni • Lettere al Direttore • Lettere & opinioni
PER LE CLASSI DELLA SCUOLA PRIMARIA DI PIEVE
GIORNATA ISTRUTTIVA AL CENTRO RICICLO DI VEDELAGO
LAUREE
Mattia Casanova De
Marco di Costalta si è
laureato all’Università di
Udine, Facoltà di Economia e Commercio, discutendo la tesi: “Progetto di
espansione di un prodotto
artigianale di nicchia e
ampliamento dei confini
distributivi di vendita: il
caso”csanzöi”. Relatore il
prof. Luca Grassetti.
Al neo dottore la vicinanza e i complimenti
dei familiari, il papà Gilmo e la mamma Antonietta, i fratelli Serena e
Simone, ed i tanti amici
del Comelico. (lec)
Caterina Piazza di
Lozzo di Cadore si è laureato all’Università degli
Studi di Udine conseguendo la laurea magistrale in Scienze della
Formazione Primaria.
Congratulazioni alla
neo dottoressa da famigliari, parenti ed amici.
Qualche mese fa, il 13
dicembre, gli alunni delle classi quinte della
scuola primaria di Pieve
di Cadore hanno avuto
l’opportunità di conoscere la realtà del Centro di
Riciclo di Vedelago diretto dall’imprenditrice Carla Poli.
L’impianto che dà lavoro a un totale di 58 persone, si dedica da circa 13
anni alla re-immissione
sul mercato di materie
prime seconde, ovvero la
frazione “secca” dei rifiuti (plastica, imballaggi,
lattine, vetro, legno) che
dopo il processo di trattamento e rivalorizzazione
vengono vendute ad altre
imprese che le utilizzano, totalmente o in parte,
per la produzione di materiali per l’edilizia, utensili, arredo urbano, ecc.
Si è trattato di una giornata ad alto contenuto
tecnologico che negli
alunni ha cambiato la maniera di concepire i rifiuti: non maleodoranti e ingombranti residui da
seppellire nelle discariche o bruciare negli inceneritori, ma preziose materie prime da re-immettere nel ciclo produttivo.
Nel corso della visita
guidata è stata sottolineata la particolare rilevanza
del primo e più importante operaio di questa cate-
na produttiva: il comune
cittadino, che fornisce il
materiale da rivalorizzare grazie alla corretta
raccolta differenziata.
L’uscita è stata sponsorizzata dal Sindaco Maria
Antonia Ciotti e dall’Amministrazione Comunale
al fine di sensibilizzare i
bambini a cogliere la
grande differenza tra rifiuti e materiali da ri-usare e riciclare, fra ambiente sano e ambiente ecologicamente compromesso, fra comportamenti
virtuosi e comportamenti nocivi per riuscire ad
attaccare a queste convinzioni comportamenti
in sintonia con le strate-
gie del Comune di Pieve
per la raccolta differenziata.
Lo scopo pedagogico
della visita è stato dato
per raggiunto quando alcuni alunni hanno proposto di adottare il sistema
di raccolta differenziata
nei quali il sacco nero
dell’immondizia è sostituito da un sacco trasparente, in maniera da notare se la raccolta differenziata è stata eseguita
correttamente e non percepire i rifiuti come qualcosa da nascondere.
Alunni e Maestre
Scuola Primaria
di Pieve di Cadore
Fontana
Arreda
Santo Stefano di Cadore
Ambientazioni personalizzate anche su misura
Via Medola, 21 - Tel. 0435.62377 Fax 0435.62985 - Cell. 338.9418974 e-mail: [email protected]
IL RICORDO DI TRE VITE
SPEZZATE DURANTE
L’ULTIMA GUERRA
Spett. Redazione. Colgo
l’occasione, visto l’approssimarsi del 25 aprile, di inviarvi copia di tre santini degli
anni ‘40 che ho trovato tra
vecchie foto di famiglia.
Questi santini ricordano tre
vite spezzate nel fiore degli
anni.
Due persone sono ormai
entrate nella storia del nostro Cadore: i partigiani Linda (Arrigo Papazzoni) e Folgore (Loris Frescura), le cui
vicende sono tristemente note. Il terzo è il primo alpino
del 7° Reggimento del Battaglione Cadore caduto sul
fronte albanese durante il
secondo conflitto mondiale: Giuseppe Coffen. (nelle foto, rispettivamente in
basso a sx, in alto a dx, in
basso a dx, ndd)
Non bisogna mai dimenticare che la nostra
democrazia, ormai adulta
ma fragile e sempre bisognosa di continue attenzioni, è stata generata anche dal sangue e dalle lacrime di chi ha fatto delle
scelte coraggiose seppur
dolorose ma anche di chi
ha subito scelte altrui sempre conservando la propria
dignità.
Provo affetto e gratitudine
per questi piccoli grandi uomini che non ho mai conosciuto.
Le loro corrusche fiammelle hanno rischiarato l’oscura notte della ragione e
tuttora brillano, assieme a
tante altre, di ogni tempo e
luogo, che hanno condiviso
un ideale di libertà, supremo
dono d’amore del Creatore.
REQUIEM AETERNAM
DONA EIS, DOMINE...
Cordiali saluti.
Maria Teresa Da Vià
Lozzo di Cadore
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A 70 ANNI
DALLA
DISFATTA
PER NON
DIMENTICARE
LA CAMPAGNA MILITARE DI R
USSIA
1
Molte testimonianze
che qui si riportano
rimangono ancora
sconosciute a molti,
talvolta perfino ai
familiari degli stessi
caduti e dispersi
in terra russa
a cura di Walter Musizza - Giovanni De Donà
QUELLO DEGLI ALPINI
IN TERRA DI RUSSIA
NEL 1943 FU UN IMMANE
SACRIFICIO
icevò” è una parola russa che significa lette“N
ralmente “non importa, fa niente”, ma
esprime un’autentica filosofia di vita, quella cioè del
tirare a campare senza preoccuparsi troppo, del superare la cattiva sorte e le avversità con fatalistica
rassegnazione. E “nicevò” dicevano i civili russi ai
prigionieri italiani per consolarli, per invitarli a
stringere i denti e resistere alle avversità: una logica
che fu fatta propria da molti nostri soldati mandati
in guerra e che li aiutò a sopportare l’insopportabile.
Ivo Emett, che proprio “Nicevò” ha intitolato un suo
libro (Mursia, 2005) dedicato alle sue memorie di fame e prigionia in Russia, ci fa notare però che noi, gli
eredi di quegli eventi, neanche a 70 anni di distanza
da quella drammatica campagna, possiamo permetterci di dire “fa niente”, perché “i morti sono veramente tali quando vengono dimenticati dai vivi”.
Quello degli Alpini in terra di Russia, 70 anni fa
nel gennaio 1943, fu un immane sacrificio. Una tragedia oggi quasi dimenticata, che allora coinvolse
tanti giovani scaraventati nel mezzo di una guerra
assurda e finiti dispersi nel mare della steppa e dei
quali, come qualcuno ha scritto, “è rimasto solo il dolore delle mamme” che hanno perduto quel loro figlio, svanito nell’inverno russo come una fuggevole
ombra. A 70 anni di distanza vogliamo ricordarli...
2
LA MARCIA IMPOSSIBILE DELLʼARMIR NELLA RITIRATA
DI RUSSIA - MIGLIAIA DI GAVETTE SPARSE NELLA NEVE
enite dal Don? V
“
chiedevano i vecchi con occhi increduli D’inverno? A piedi nella
neve? Senza viveri? Nessuno ha mai fatto questo in
Ucraina, è una cosa incredibile!” Così si meravigliavano i russi che nelle loro
isbe ospitavano i nostri soldati, offrendo un po’ di patate e qualche sorriso, che
andava oltre la convenienza e voleva essere sincera
partecipazione verso le vittime di una tragedia al di
sopra di ogni parte. Una
tragedia che ha avuto in
Giulio Bedeschi (“Centomila gavette di ghiaccio”
(Mursia, 1963, oltre un milione di copie vendute) il
suo aedo più famoso, e che
continua ad insistere sulle
nostre coscienze, richiamandoci periodicamente al
dovere del ricordo, con
nuove notizie di cimiteri
italiani in Russia, di riesumazioni, di ritorni di spoglie in Italia...
L’VIII Armata Italiana
(ARMIR) era composta da
3
“Venite dal Don?” chiedevano
meravigliati i contadini russi
offrendo ai nostri soldati un poʼ
di patate e qualche sorriso...
NellʼVIII Armata Italiana (ARMIR)
vi erano anche reparti
del Corpo dʼArmata Alpino
formato dalle divisioni Vicenza,
Tridentina, Cuneense e Julia.
Nella Julia, il “Gruppo Val Piave”
costituito a Belluno nel 1941
4
reparti della Sforzesca, della Celere, della Torino, della Ravenna, della Cosseria
e dal Corpo d’Armata Alpino formato dalle divisioni
Vicenza, Tridentina, Cuneense e Julia. Con la Julia vi era il Gruppo “Val
Piave”, costituito a Belluno nel 1941 con la 35a,
36a e 39a batteria, armate
con 12 vecchi cannoni
105/11, preda bellica della
Grande Guerra, con reparto munizioni e viveri e Comando di Gruppo, in tutto
1313 uomini, in gran parte bellunesi, al comando
del Col. Anselmo Valdetara.
L’Armata era schierata
dalla fine dell’estate
1942 sulla linea del fiume Don per ben 300
chilometri, avendo alla sinistra un’armata ungherese e alla destra un’armata
romena, cui erano poi affiancate via via armate tedesche fino a Stalingrado.
L’inopinata lunghezza del
nostro schieramento andava naturalmente a scapito
della sua robustezza, risultando troppo sottile e totalmente sfornito di rincalzi.
Il 12 dicembre 1942 i
Russi sferrarono una
grande offensiva, appoggiata da aerei e carri armati
pesanti, che durò un intero
mese. Il Gruppo Alpino,
schierato nei pressi di
Podgornoje, Novo Kalitwa, Seleni Jar e Ivanowka, tenne testa ai ripetuti attacchi della VI Armata
sovietica appoggiata dal
17° Corpo d’Armata corazzato, ma dopo una resistenza eroica, giunse l’ordine
del ripiegamento.
La Julia si era meritata
sul campo l’ammirata considerazione dei tedeschi,
che avevano già definito i
suoi uomini “panzer-soldaten”, ma nulla poté contro
lo sfondamento operato dai
russi all’alba del 14 gennaio 1943 nel settore ungherese, in quello sinistro
della Tridentina e in quello
tedesco.
Il Corpo d’Armata Alpino
si trovò così stretto in un’esiziale tenaglia, mentre più
ad ovest un’altra morsa si
stava chiudendo nei pressi
di Alexejewka, sulla quale
puntavano le colonne del
XV Corpo d’Armata corazzato proveniente da sud e
quelle della XL Armata che
scendevano da nord. Nella
trappola avrebbero dovuto
finire quante più unità nemiche possibile, sia tedesche, sia ungheresi, sia italiane, ovvero tutte quelle
impossibilitate a ripiegare
verso ovest.
Il 14 gennaio il Generale
tedesco Eibl, nuovo comandante del XXIV Corpo
corazzato, avvertì la Julia
che le sue truppe si ritiravano, affidando di fatto agli
Alpini l’onere della difesa di quel settore, costituito da un fronte di 25
chilometri di steppa gelata. Nelle prime ore del
giorno 16 i carri armati
russi giunsero a Rossosch, gettandovi lo scompiglio: la città era infatti
considerata retrovia e tutti
capirono che il cerchio si
stava stringendo ineluttabilmente.
Lo stesso giorno iniziò la
ritirata verso ovest: la Tridentina e la Cuneense avevano circa 16.000 uomini
ciascuna, la Vicenza circa
12.000, mentre la Julia, che
era tra l’altro la più stremata dai combattimenti, ne
contava circa 12.000. Complessivamente nella sacca
venivano a trovarsi 110.000
uomini, dei quali 70.000 italiani. I nostri Alpini distrussero tutti i materiali non
trasportabili, distribuendo
spesso tutto quello che potevano alla popolazione
russa. Alleggeriti al massimo, senza cibo e mal
vestiti, con temperature
di 20-40° sotto zero, iniziarono a costellare la
neve di migliaia di gavette, colme solo di ghiaccio. “Quando la superficie
della pianura ondulava nel
saliscendi di basse colline,
l’occhio dei soldati vedeva
l’enorme colonna nereggiare e perdersi agli estremi nel
fosco della notte incipiente”.
Così racconta Bedeschi di
quell’ineffabile calvario che
durò fino al 31 gennaio, di
quella marcia impossibile,
mentre le truppe russe e
bande di partigiani pungevano di continuo sui fianchi
e alle spalle, come avvenne
a Postojali il 20 gennaio, a
Nikolajiewka il 26, a Nowj
Oskol il 29...
“Terribile era il logorio
causato dalla perpetua costrizione a camminare senza requie… si vedevano
quindi procedere spettri
d’uomini, curvi, zoppicanti,
gravitanti su grucce improvvisate, rosi dalla febbre e dai
pidocchi, con le piaghe rosseggianti tra le bende gialle
di pus, lividi in volto, affamati come
lupi randagi… tutto
dovevano fare marciando, inesorabilmente: vivere e patire, piangere e respirare, levarsi le croste dalle ferite... togliersi le dita che
staccandosi putride
di cancrena scivolavano sotto la pianta
del piede impedendo
il passo”.
La ritirata poteva
dirsi
conclusa
quando i nostri arrivarono al paese
russo di Par e si accantonarono nelle
isbe: la Julia era
giunta in Russia
Alpini in trasferimento
con 20.000 soldati e
ne usciva con soli
e in postazione - 1942
2300.
INSERTO RUSSIA c
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ANNO LXI
Marzo 2013
Inserto Campagna di Russia - 1943
3
A NIKOLAJIEVKA EROISMI DEGLI ALPINI CADORINI
PER USCIRE DALLA “SACCA” E TORNARE “A BAITA”
a testimonianza del
L
dott. Rocco Rocco,
Ufficiale Medico del Grup-
5
Per il Corpo dʼArmata Alpino
schierato sul fiume Don
la situazione era tragica
perché del tutto insuperabile
risultava il fuoco nemico
IL VALORE DI TANTI CADORINI
NELLA RITIRATA - I CADUTI
olti furono i cadoriM
ni morti e dispersi
in quella drammatica ritirata, piccoli-grandi eroi che
riuscirono spesso a scrivere episodi di valore e di solidarietà umana. Vogliamo
ricordare per esempio Costantino Cella di Auronzo, Maresciallo Maggiore
dei Carabinieri, che nei
giorni della ritirata assunse
il comando di una colonna
di slitte cariche di feriti,
guidandola con perizia e
coraggio. Sostenne diversi
combattimenti affiancato
da pochi compagni e infine
salvò la vita a molti feriti e
congelati: per questo fu insignito della Medaglia di
Bronzo al Valor Militare.
E come non far menzione di Gino De Meio di
Lozzo, lo “Scudrera cadorino”, pure insignito di Medaglia di Bronzo per il coraggio e l’audacia dimostrati in combattimento,
portando in salvo sulle
spalle un ufficiale fuori dalla sacca. O di Tullio Zanetti di Lozzo (Med. d’Ar-
gento), che si sacrificava il
21 gennaio alla testa del
suo reparto per rompere
l’accerchiamento nel quale
era caduta la sua colonna
in ripiegamento, o del Sottotenente Alessandro Toffoli di Calalzo (Med. di
Bronzo).
Moltissimi furono invero
i caduti e decorati cadorini
nei combattimenti della ritirata: I. Pais di Auronzo,
R. Frescura, G. Toffoli e
G. Vascellari di Calalzo,
L. Del Favero, L. De Zordo e L. Zandanel di Cibiana, L. De Martin, P.
De Martin, E. Gasparina,
E. Guadagnini, A. Zambelli, O. Zandonella del
Comelico, O. Da Vià,
R. Gasperina, G. Toffoli
di Domegge, G. Mainardi di Lorenzago, A. David, P. e G. Olivotto di
Ospitale, E. Del Fabbro
e O. Pomarè di S. Stefano, F. Fiori di S.Vito, A.
Colle di Sappada, G.
Mazzucco, G. Luca, M.
Pilotto e O. Vecellio di
Vigo…
po Alpini “Val Piave”, nel libro intitolato “La razione di
ferro” pubblicato da Longanesi nel 1972, ci fa rivivere tutta la drammaticità e
l’eroismo di quel giorno.
Il “Val Piave”, o meglio
quello che ne rimaneva, in
tutto forse 300 uomini, arrivò il 26 gennaio in quel
fatidico villaggio
.
Il gruppo più numeroso
era quello della 35a
compagnia, comandata
dal Cap. Aurilli, mentre
il dott. Rocco stava con i
pochi rimasti della 36a
col Cap. Vittorio. “Dietro
a noi - raccontava l’autore ondeggia la marea degli
sbandati, saranno più di
15.000. Aerei russi calano
bassi mitragliando e gettando bombe che fanno vuoti
fra la massa. I Russi sparano da dietro le case del paese e di là dalla ferrovia.
Molti di noi del “Val Piave”
ci siamo portati in testa, assieme ai reparti della Tridentina”.
La situazione si palesava
tragica, poiché appariva
del tutto insuperabile il
muro di fuoco operato dai
russi. Intanto altri 2 aerei
sganciarono diverse bombe sugli Alpini ammassati
in attesa di ordini, così il
Capitano Aurilli, dopo aver
calcolato i tempi delle salve di artiglieria russe, pre-
se l’iniziativa. “Il calcolo risultò così indovinato che il primo
gruppo di 12, scattato
con Aurilli, superò incolume la ferrovia,
provocando l’arretramento dei cannoni
russi che non si fecero
più vivi”. Quasi contemporaneamente
giungeva un carro
armato tedesco sul
quale, in piedi, il
Gen. Reverberi, Comandante della Tridentina, urlava ordini (l’ormai storico
grido
“Tridentina
avanti!”) per l’ulteriore azione da svolgere e al quale si af- 6
fiancavano subito i Nicolaijewka
12 del “Val Piave”, gli
altri della 35a e poi
l’intero Batt. “Edolo”. Non ca, ma il “Val Piave” - come
lontano dal carro armato dirà il Cap. Aurilli - uscì
del Gen. Reverberi, che con gravissime perdite.
avanzava, cadde ferito a
Da questo racconto posmorte Adelino Da Sacco siamo arguire che fu prodi Pelos. “Le schegge - rac- prio grazie al sacrificio di
conta sempre Rocco - molti cadorini, originari di
sbrindellano i pantaloni e il Lozzo, Pelos, Piniè, S. Stecappotto di Bianchin, uno fano, Borca, Vodo, Comelischeggione si infigge nella co Superiore e S. Pietro di
fronte di un artigliere, ucci- Cadore, tutti della 35a battedendolo. Entriamo in un’i- ria, che molti altri poterono
sba più vicina poco oltre la far ritorno “a baita”: Nelio
linea ferroviaria, e prima Da Pra Munaro di Lozdi sorpassare il binario mi zo; Pietro Sacco di S. Nivolto a guardare. Molti sta- colò Comelico, Adelino
vano immobili sulla neve”. Da Sacco e Celso Da Rin
Subito dopo veniva occupa- Polenton di Vigo; Auguta la cittadina e ciò permet- sto De Bernardin, Tomteva lo sfilamento dalla sac- maso Comis Da Ronco,
Marcello De Zolt Tono,
di S. Stefano; Domenico
Sala, di Borca, Bortolo
Pivirotto, di Vodo; Giovanni De Lorenzo Smith
e Pietro De Martin, di
Comelico
Superiore;
Giovanni Pradetto Battel, di S. Pietro di Cadore, tutti della 35a batteria,
che aprì la via della ritirata.
Alla fine della lunga marcia, il 3 febbraio 1943, a
Bolsche-Troizkoje e al caposaldo di Kipiansk, dei
1313 partiti dall’Italia si erano salvati in 380: tra questi
l’artigliere Mosè Candeago di Calalzo, con la bandiera del Gruppo.
Quelli del
Val Piave erano
partiti dallʼItalia
in 1313,
alla fine della
lunga marcia
il 3 febbraio
1943 si erano
salvati in 380
7
8
9
10
Nelle foto, da sx:
Celso Da Rin, Adelino Da Sacco, Tullio Zanetti,
Giacomo Ciotti, Costantino Cella, Gino De Meio
11
12
13
INSERTO RUSSIA c
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ANNO LXI
Marzo 2013
III
Inserto Campagna di Russia - 1943
SOLIDARIETAʼ NELLʼINFERNO DELLA RITIRATA
IL GENERALE GAVAZZA
DAL DIARIO DI NORADINO OLIVIER DA DOZZA DI ZOLDO
E IL RITORNO DELLE
l cuore si indurisce, si frantumano gli ideali di soli“I darietà umana e cristiana. Si passa via senza com“GAVETTE DI GHIACCIO”
muoversi troppo, si fa un passo più lungo una volta tanto,
pensando che se non oggi, domani saremo uguali e se la
steppa russa sarà in futuro lavorata, concimata lo è già: di
carne italiana. Non ci saranno né croci, né fiori su chi
cade, ma solo neve e terra…
Un giorno non ne posso più, né moralmente né fisicamente, mi attardo dagli altri, lasciandomi cadere sulla neve e mi addormento; la morte bianca mi carpirebbe sicuramente se un sergente, a me sconosciuto e che ora ringrazio dal profondo del cuore, non mi risvegliasse. Con
buone parole mi infonde coraggio e speranza, invitandomi a continuare. Ritrovo il mio gruppo e proseguo. Ma poveretti quelli feriti e congelati, non hanno la forza di continuare: chi piange, chi invoca la mamma e tutte le persone
care, chi chiama aiuto, chi cerca di commuovere dicendo
che tiene moglie e figli. Non è possibile portare loro aiuto,
siamo suppergiù tutti nelle medesime condizioni. Non abbiamo più muli, ma un cavallino siberiano ci tira la slitta
sulla quale è sistemato Bellabarba e sulla quale si sale a
turno. Bellabarba ha una febbre altissima, e forse ha una
polmonite ed è anche ferito. Troviamo ricovero per la notte in una buca e il mattino successivo non troviamo più né
cavallo né slitta. Restiamo costernati, per tutti la situazione è grave, per Bellabarba è gravissima. Comprende, vedendo i compagni allontanarsi ad uno ad uno, che per lui
è la fine. Io sono il solo ad essere armato e mi chiede di
sparargli: “Sparami alla testa” - mi dice - ma come potrei
commettere un omicidio? Il momento è critico, misuro le
mie forze e non le trovo di molto superiori alle sue, ma il
coraggio di abbandonarlo mi manca. Intanto rimaniamo
noi due soli ed egli insiste: mi chiede di essere ucciso. A
questo punto la mia decisione è presa: “Andiamo Arturo,
gli dico, o ci salveremo tutti e due o moriremo insieme”. Così, sostenendoci a vicenda, riprendiamo faticosamente il
nostro andare…”.
Arturo Bellabarba e Noradino Olivier faranno ritorno “a
baita”, certamente non sani, ma incredibilmente salvi.
LA STRADA DEL “DAVAI”
VERSO LA PRIGIONIA
O LA MORTE
on la resa dell’ArmaC
ta tedesca a Stalingrado e la disfatta delle Armate rumena ed ungherese e del nostro ARMIR, nello spazio di 40 giorni ed in
un settore limitato del fronte, i sovietici si ritrovarono
nelle mani circa mezzo milione di prigionieri. Impegnati in una guerra totale e
assolutamente impreparati
ad accoglierli, non si preoccuparono per niente della
loro sorte.
Così gran parte degli italiani, insieme a tedeschi,
rumeni e ungheresi, senza
cibo o la minima assistenza
medica, fu avviata verso le
stazioni ferroviarie, a piedi
nella steppa gelata, con
marce forzate per quella
che Nuto Revelli chiamò
“La strada del Davai”. “Davai”, ovvero “Avanti”, era
la parola che le sentinelle
russe ripetevano in continuazione per spronare i poveretti. Chi cadeva sfinito
veniva abbattuto a colpi
di fucile dalle guardie,
per lo più mongole. Quindi
i trasferimenti proseguirono in ferrovia, su vagoni
bestiame, senza cibo o acqua, con altissima mortalità. Ad ogni fermata i morti
venivano gettati dai vagoni,
spogliati dei vestiti che poi
erano barattati con la popolazione civile in cambio di
qualcosa da mangiare.
15
14
l generale Benito GaI
vazza, vero artefice
del ritorno dei resti di
tanti nostri poveri soldati dalle steppe russe, se
n’è andato il 20 febbraio
2010 a Cormòns (Gorizia),
all’età di 84 anni. Egli riuscì
a fare in pochi anni per migliaia di Caduti dell’ARMIR
quello che per decenni nessuno aveva osato neanche
sperare. Dopo aver ricoperto comandi prestigiosi, tra
cui quelli del 5° reggimento Alpini della Brigata Orobica, della Brigata Julia, del
IV Corpo d’Armata Alpino,
nonché quello delle Forze
terrestri alleate del Sud Europa, una volta collocato a
riposo venne richiamato
come commissario generale di Onorcaduti, nel marzo
1989, e fu proprio in questa
veste che svolse l’incarico
più importante della sua vita.
Erano anni ancora difficili, con una guerra fredda ormai tramontata, ma che per
lunghi anni aveva impedito
qualsiasi ricerca dei nostri
Caduti, in particolare sul
suolo sovietico. Grazie all’amicizia con Stefano Benazzo, allora in servizio presso
l’ambasciata italiana a Mo-
sca, ottenne di poter iniziare la tradizione di rendere
omaggio nella ricorrenza
del 4 Novembre al cimitero
di Glubokoje (RSS di Bielorussia), il primo ad essere
individuato ancora nel 1982.
Furono così censiti oltre
300 campi di prigionia e
ospedali-lager in cui furono
richiusi militari italiani catturati negli anni 1942-1943,
e dei quali furono redatte le
schede descrittive con riportate tutte le notizie di carattere geografico e topografico allo scopo di consentire, a coloro che intendes-
sero eventualmente recarsi
sul posto, di porre un fiore
sulle fosse comuni segnalate da cippi commemorativi
a perenne ricordo del sacrificio dei militari italiani.
Dopo la riesumazione dal
suolo ghiacciato, vicino a
Voronezh, del primo caduto
italiano individuato e il suo
ritorno in patria il 25 novembre 1990, è continuato
inarrestabile il rosario di
tanti ritorni di poveri resti,
in tutto 3462, molti dei quali
oggi riposano a Cargnacco
ai piedi della Madonna del
Conforto.
E proprio nel grande tempio-ossario udinese fu celebrato il rito funebre per il
generale Gavazza, durante
il quale il nipote Massimiliano ebbe modo di leggere un
messaggio-testamento dell’ufficiale ai suoi Alpini, nel
quale, tra l’altro, egli diceva:
“… Alpini, portatemi sulle
vostre spalle in questo viaggio verso il paradiso di Cantore”.
Con la resa dellʼarmata
tedesca a Stalingrado e
la disfatta delle armate
rumena, ungherese e
italiana, in 40 giorni i
sovietici fecero mezzo
milione di prigionieri
LA TOMBA DEI LAGHER
nizialmente furono utiI
lizzati i due lager di
Tambov e Tiomnikov, che
facevano già parte dei campi di deportazione staliniana. Avevano una capacità di
diecimila uomini, ma in essi
furono ammassati più di
ventimila. Il campo n.
188 di Tambov rappresentò per i prigionieri
italiani la tomba più
grande di tutta la campagna di Russia. In queste
fosse comuni dal gennaio
1943 al settembre 1945 furono sepolti 8.127 italiani,
di cui 6.909 nei primi sei
mesi. A questi vanno aggiunti circa 4.000 morti durante il trasferimento in treno dai centri di raccolta vicino al Don (Kalac, Buturlinovka, Frolovo, ecc.) e lasciati a Rada (sobborgo di
Tambov), che serviva da
scalo ferroviario per il campo n. 188. Qui nelle fosse
comuni furono inumati più
di 40.000 prigionieri.
Altri furono concentrati in
campi improvvisati, inadatti
ad “ospitare” in pieno inverno migliaia di individui, come i tuguri interrati di Uciostoje o le scuderie fatiscenti
di Khrinovoe. Furono i lager
dove la mortalità per denutrizione e tifo petecchiale
raggiunse percentuali sconvolgenti. Nel campo n. 56
di Uciustoie dal gennaio all’aprile 1943 morirono
4.344 prigionieri italiani.
Il campo venne alla fine
chiuso per le inumane condizioni in cui si trovavano i
prigionieri, che per sopravvivere si abbandonarono anche ad episodi di cannibalismo. Alla chiusura i 600 prigionieri superstiti furono trasferiti nel campo di Vilva negli Urali (n. 241/1). Qui, in
una fossa comune, ci sono
ancora più di 1.000 morti.
16
NEL CAMPO DI STERMINIO
DI TAMBOV SI DORMIVA NEL
FANGO, LʼUNO SULLʼALTRO
osì il Tenente della
C
Julia, Ivo Emett, ricordava l’orrore di quel
luogo: “Tambov era un
grande lager costruito
tra i larici e le betulle di
un bosco. Vi erano rinchiuse decine di migliaia di prigionieri di
guerra di tutte le nazionalità. Riuniti in gruppi di
quaranta, eravamo costretti a vivere in bunker scavati nella terra, coperti da
tronchi d’albero, frasche e
terriccio. Si dormiva accatastati nel fango l’uno sull’altro: fuori solo neve e gelo! Di tanto in tanto ci som-
ministravano una brodaglia che prelevavamo nella
baracca della cucina posta
al centro del bosco… Qualche volta, nel tragitto, venivamo assaliti dai prigionieri di altre nazionalità, affamati come noi, col risultato
che spesso la minestra finiva sulla neve, così munimmo alcuni prigionieri di bastoni per fare da scorta ai
portatori.
I prigionieri, deperiti e allo stremo delle forze, brancolavano come automi da
sembrare impazziti. Eravamo abbrutiti, sudici, laceri.
Nel buio del bunker si pre-
gava in continuazione, si recitava all’infinito il Rosario,
si sperava nell’aiuto di Dio
per uscire da quella bolgia
infernale. Ma c’era anche
chi imprecava, chi sul punto di morire delirava, chi faceva i propri bisogni senza
ritegno tra i compagni di
sventura. Non avevamo
nemmeno la forza sufficiente per scostarci!
Un giorno alcuni prigionieri di altri bunker vennero ad offrirci del fegato e
della carne in cambio della
razione di brodaglia. Sul
momento non comprendemmo… poi fummo colti
17
da un dubbio atroce e ci accorgemmo con orrore che
si trattava di resti umani.
C’era chi aveva visto squartare dei cadaveri nel folto
del bosco… In quel lager
i cadaveri erano tanti,
venivano trascinati congelati sul ghiaccio e gettati in grandi fosse comuni scavate molto
tempo prima. Talvolta finiva nella fossa anche chi
trascinava il cadavere e
non era raro che vi restasse… Nel mio bunker eravamo rinchiusi in 42 ufficiali italiani e riuscimmo a
cavarcela in due”.
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IV
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ANNO LXI
Marzo 2013
Inserto Campagna di Russia - 1943
3
QUEI TRE ALPINI DELLʼOLTREPIAVE CHE
RIPOSANO ANCORA IN TERRA RUSSA
U
na data sulla croce
e un palmo di terra
tutto per sé. Questo è il minimo che un caduto possa
chiedere alla dignità umana e al rispetto della storia.
Ed invero per tanti nostri
dispersi in Russia siffatta
doverosa soddisfazione è
arrivata davvero tardi, a 50
e più anni di distanza dal
sacrificio versato alla Patria. E’ il caso di tre giovani
di Vigo di Cadore, dei quali solo pochi anni fa sono
giunte notizie ufficiali sul
luogo e la data di morte.
Giovanni Nicolai aveva 23 anni e con il 7°
Alpini aveva già partecipato alla campagna greco-albanese distinguendosi nei cruenti scontri di
Galina di Ciaf, ai Roccioni
di Sellani e nella resistenza sul monte Tomori. Inviato in Russia con la Tridentina e catturato dai sovietici nel corso della ritirata, morì il 10 febbraio
1943 nel campo n. 62 di
Nekrilovo, nella regione di
Voronesch, a sud di Mosca, ma la famiglia ne venne informata solo nel 1993.
Manlio Da Rin Puppel
aveva 20 anni quando i
russi lo catturarono. Finì i suoi giorni nel campo
n. 188 di Tambov il 27 febbraio 1943.
“Beppino” Da Rin
Zanco è stato l’ultimo
ad essere ritrovato. Arruolato appena ventenne
nel marzo 1942, era stato
inviato sul fronte russo
con la Tridentina, precisamente col “Vestone” (6°
Reggimento Alpini). L’ultima sua lettera alla famiglia
risale all’8 gennaio 1943.
Catturato dall’Armata Rossa era finito nel famigerato
campo n. 56 di Uciostoje,
nella regione di Tambov, a
450 chilometri a sud di
Mosca, dove morì di stenti
nel mese di marzo dello
stesso anno e il suo corpo
fu tumulato nella grande
fossa comune che raccoglie i resti dei 4.344 prigionieri morti tra il gennaio e
l’aprile 1943.
18
Sia la famiglia di Manlio,
sia quella di “Beppino”
vennero informate della
sorte del loro caro appena
nel 1998.
Purtroppo i resti mortali
dei tre cadorini non si sono potuti recuperare e portare in patria, in quanto i
sovietici avevano sepolto i
nostri caduti in fosse comuni unitamente a quelli
di altre nazionalità. Di questi vecchi campi di concentramento oggi non rimane
praticamente traccia, ma 19
quasi sempre un bosco di
alte betulle indica il cimitero che raccoglie ancora i
resti dei prigionieri.
Il Municipio di Vigo ha
provveduto però ad inserire i loro nomi sulla lapide
che ricorda i caduti di tutte le guerre posta nell’atrio della scuola materna
comunale. E’ una piccola
rivincita della memoria,
ma capace di accendere in
noi tutti quella “corrispondenza” tra vecchie e nuove generazioni che il Fo- 20
scolo a ragione identificaGli alpini Giovanni
va come presupposto primo e necessario della ci- Nicolai, Manlio Da Rin
viltà umana.
Puppel e Beppino Da Rin
21
LA RITIRATA - 1943
Dopo una resistenza
eroica sul lungo fronte,
il Corpo dʻArmata Alpino
schierato nei pressi di
Podgornoje, di Novo
Kalitwa, di Seleni Jar
e di Ivanowka si trovò
stretto a tenaglia e ripiegò
(14 gennaio 1943):
nella sacca vennero a
trovarsi 110.000 uomini,
70.000 dei quali italiani.
Ci fu chi ebbe
la fortuna di ritornare
22
Bepi Tabacchi di Sottocastello
(in secondo piano)
Zanco con la madre
Eʼ difficile portare a casa i resti mortali dei nostri
soldati, anche perché i sovietici avevano sepolto
i corpi dei prigionieri in fosse comuni
Di questi cimiteri non rimane quasi traccia,
ad indicarli oggi solo un bosco di alte betulle
23
“CARA MAMMA... NON POSSO LAMENTARMI”
o ricevuto il
“
...h
pacco con il
maglione, le calze e le siga-
24
LE FOTO SONO TRATTE: la 2 da “OGGI del 1962“; la 6 da tavola pittore Alfonso
Artioli; le 14-16 sono del Museo Naz. Campagna di Russia di Cargnacco; le cartine 5-21
“da Alpini, storia e leggenda”, Rizzoli; la 17 dal libro “Nicevò” di Ivo Emett.
rette. Io sto abbastanza bene,
anche di salute non posso lamentarmi, altro che abbiamo un tempo non tanto bello, sempre neve e bufera, altro che in Piane. Anche per
la popolazione non possiamo
lamentarci, abbiamo trovato
della gente molto gentile.
Tutto quello che possono fare
per noi lo fanno di cuore,
specie per il mangiare…
Dunque puoi star tranquilla
anche tu e vedrai che un’altr’anno a quest’ora, se Iddio
mi aiuta, sarò di nuovo con
voi sano e robusto come prima… Sperandovi in buona
salute vi invio tanti saluti ed
auguri di Buon Natale.
Un’altr’anno lo faremo assieme. Se vedi il padre di Celso
digli che sta bene. Saluti alla
famiglia di Silvio e barba
Giacomo. Tuo figlio Manlio”. Posta Militare 202, li 612-1942
Catturato dai russi, Manlio Da Rin Puppel morì
80 giorni dopo questa
lettera, che ci ricorda, se
pure ce ne fosse bisogno,
come di questa tragedia,
quasi a sublimarla, sia rimasto anzitutto il dolore delle
mamme, delle spose e dei
famigliari che hanno perduto il loro caro, svanito nella
steppa, in un immenso, anonimo campo innevato, senza alcuna coordinata geo-
grafica e temporale.
Molte madri e mogli, in
un disperato, irragionevole
conato di speranza, per l’intera loro vita hanno continuato ad aspettare figlio o
marito, giorno dopo giorno,
convinte che alla fine questo sarebbe tornato tra le loro braccia.
Fioretta, la madre di
Giovanni Nicolai di Laggio, morto a Nekrilovo, per
anni sperò di vederlo comparire da dietro la grande
curva di Piane, mentre Nella David, moglie di Giuseppe Olivotto, caduto a
Kopanki, aspettava di vederlo scendere dalla corriera che ogni giorno arrivava
ad Ospitale.
MARZO 10-11
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STORIA
ANNO LXI
Marzo 2013
ra i motivi di vanto
F
della memoria collettiva d’Ampezzo un posto d’onore spetta ai boschi protetti, le cosiddette vizze; e, fra
tutte, a quella di Naulù, ai
piedi del Faloria fra Acquabona e Fraìna che la Comunità di Cadore aveva autorizzato di erigere fin dal
1450. Una foresta quasi
esclusivamente di larici, divenuta col passare dei secoli la più bella della monarchia austriaca. L’ultimo a
parlarne con parole di meraviglia fu Paul Grohmann,
nel 1863, quando da più di
quattrocento anni nessun
boscaiolo vi aveva messo la
sua accetta. Lo ricordiamo
perché sono stati ritrovati
negli archivi del comune di
Cortina documenti che fanno partire proprio dalla vizza di Naulù la storia del meraviglioso lampadario d’argento a dodici braccia della
basilica dei santi Filippo e
Giacomo, popolarmente noto col nome di ra ciocia. Secondo il vocabolario ampezzano, la parola significa “albero ad ampia ramaglia sotto il quale si rifugia il bestiame; era proibito abbatterlo”. Esiste poi l’altro appellativo ra cioca, perché quando il sagrestano accendeva
le candele, una ad una con
qualche difficoltà, pendolava tanto da far dire che era
ubriaca. L’immagine dunque è connessa prima di tutto con quella dei fedeli assiepati in chiesa, alla sua luce diffusa ad illuminare altari e pitture.
La storia della ciocia inizia
negli anni in cui si costruiva
la chiesa barocca che oggi
ammiriamo dopo aver demolita la precedente gotica del
milleduecento, troppo piccola per contenere la popolazione accresciuta. Un’ impresa
grandiosa che richiedeva da
parte degli amministratori
comunali audacia e fantasia.
Ma il loro coraggio era sostenuto dai molti boschi a disposizione per il taglio mentre il
legname aveva sui mercati
veneti grande valore. Fra
quanti arrivavano a comperarlo il più abile era il veneziano Giovanni Bolis, noto
perché, da molti anni, saliva
in Cadore e in Ampezzo a
procurarsi la materia prima.
Fu così che nel 1774 egli si
trovò ad avere bisogno di
centinaio di larici di buona
qualità e grandezza. Non si
sa che cosa volesse farsene,
11
LA VERA STORIA DEL LAMPADARIO
DELLA CHIESA DI CORTINA
di Mario Ferruccio Belli
Scoperta negli archivi la storia di “ra ciocia”,
il lampadario dʼargento a dodici braccia
della basilica dei ss. Filippo e Giacomo
La storia inizia negli anni in cui, demolita
la precedente chiesa gotica del 1200, si
costruiva la chiesa barocca che oggi ammiriamo
se darli all’arsenale per la costruzione delle galere o per il
governo a consolidare qualche piazza o costruzione importante. Di certo i suoi
agenti gli segnalarono che
ce n’erano di misura e qualità come voleva proprio nella
vizza di Naulù. Può essere
che li avesse già notati lui
stesso dalle parti di Acquabona, un paio di miglia prima
di arrivare a Cortina. Da
tempo immemorabile non vi
si potevano recidere alberi di
nessuna specie. Questo per
decisione dell’assemblea dei
regolieri, registrata nel laudo
fin dai tempi remoti. Grazie a
quel divieto gli alberi erano
cresciuti rigogliosi. Di fatto
un bel giorno Bolis scrisse
alla Comunità. “Mi fo coraggio di umiliare il mio rispettoso ricerco sperando mi
venga concessa gratia di cento venti piante di larice“. Nella missiva, ovviamente in
buon italiano, sola lingua
usata in Ampezzo, ancorché
fosse dominio austriaco da
un duecento anni, egli offriva
per ogni larice 2 zecchini d’oro, in tutto 240 zecchini. Siccome uno zecchino veneto
valeva 22 fiorini austriaci,
240 zecchini veneti corrispondevano a 5280 fiorini austriaci. Una montagna d’oro!
VENTI LARICI A ONORE D’IDDIO SIGNORE
ET DEI SUOI SANTI
Per un raffronto ricordiamo che, cinque anni prima,
l’architetto Giuseppe Promperg - Costa per 8000 fiorini,
s’era impegnato a demolire
la vecchia chiesa e a costruirne per intero quella
nuova dei santi Filippo e Giacomo. Evidentemente quei
larici giganteschi li valevano.
La domanda fu accolta e l’11
luglio 1774 il notaio Giovanni Constantini, cancelliere,
presenti Antonio da Diè, officiale, Giovanni Michielli,
merico, Giovanni Antonio
Colli e Pietro Manaigo, sindici e capi della Magnifica
Comunità, testimoni Bortolo
d’Andrea e Nicolò Zambelli,
stipulò il laborioso contratto.
Ed ecco apparire una nuova
sorpresa. Bolis, in un empito
di riconoscenza, aveva scritto in chiusura che, per sdebitarsi di quella che riteneva
magnanima concessione,
aveva deciso di regalare un
grande lampadario d’argento da installare nella nuova
chiesa. A conforto dell’offerta magnanima egli aveva allegato anche il disegno. Di
certo i mise gli amministratori comunali in imbarazzo.
Quale significato aveva l’imprevisto omaggio? Accettarlo o respingerlo? Si poteva
far buon viso a un mercante
foresto o c’erano da prevedere future pressioni commerciali? La discussione fu
lunga, come era allora abitudine e la soluzione conferma
la serietà del dibattito.
La comunità ampezzana
gradiva il dono ringraziava
sentitamente il generoso
commerciante per averlo offerto ma lo ricambiava con
uno di pari valore. In quale
maniera e con che modalità?
Lasciando fuori un certo numero di larici dal famoso
conteggio di 120. Il relativo
prezzo sarebbe stato dunque defalcato dal pagamento
come poi venne debitamente scritto dal cancelliere nel
contratto. “Dare a titolo di
regallo a esso mentovato signor benefattore n. 20 piante
di larice fuori della predetta
vizza di Naulù, per la chiocia
d’argento promessasi dal medemo signor Bolis mercante
et da porsi nella Chiesa parrochiale a maggior culto di
Iddio Signore et dei suoi San-
ti”. Nello stesso autunno ,
come deliberato, la Comunità di conseguenza incassò
non i 5.280 fiorini che il Bolis
avrebbe invece dovuto pagare ma soltanto 4.400 fiorini
d’oro. Precisamente: “Si dibattano legni 20 di regallo
fatto in consonanza del contratto citato, restano fermi a
pagamento n. 100 e 2 non
più”. A conti fatti il maestoso
lampadario dalle dodici candele che oggi ammiriamo a
bocca aperta valeva ben 880
fiorini d’oro! Ma la storia
non finisce qui, anzi ci riserba ancora sorprese giacché
il lampadario bisognava anche metterli in opera. Come
appenderlo al soffitto? Con
un semplice cavo o nuda catena di ferro penzoloni oppure arricchirlo di ornamenti,
così da far risplendere ancora di più il vecchio argento?
Prevalse la seconda idea.
Ma bisognava trovare
qualcuno che la pagasse.
L’affare dei larici dei Naulù
era chiuso. Nella vizza protetta non si doveva ritornare
per questo problema relativamente secondario. Infatti
dai documenti contabili che
abbiamo consultato non risulta che in quell’epoca vi
siano stati fatti altri tagli. Ecco invece come si svolge il
un nuovo capitolo. La soluzione si legge su altri documenti dell’anno seguente,
dunque datati 1775. E qui c’è
la sorpresa, altrettanto gradevole per chi ama il nostro
territorio e le sue storie,
giacché si parla ancora di un
lotto boschivo da vendere al
mercante Bolis, ma non più
in conca d’Ampezzo bensì in
val d’Ansiei, nella località di
Valbona, proprio accanto alla foresta che anche allora si
diceva di san Marco. Il contratto che vede i medesimi
contraenti ampezzani quali
foto RAB
Chiesa e vecchio campanile di Cortina sulla strada Regia
(acquerello di Luigi Ghedina, propr. Regole d’Ampezzo)
venditori è invece sottoscritto dall’auronzano Santo Zangiacomi, il quale si qualifica
quale agente del mercante
Bolis. E che egli lavori per
quel ricco veneziano lo si capisce anche dal paragrafo relativo al pagamento nel quale egli dichiara la disponibilità del suo datore di lavoro a
fare un nuovo regalo, appunto la catena per sorreggere il
lampadario.
“Et oltre il presente contratto esso signor Zangiacomi, in
nome pure d’esso mentovato
di lui principale Bolis, promette et si obbliga di fare un
regalo alla veneranda Chiesa
nostra parrocchiale ed arcidiaconale d’una catena onorevole e decente per sostener
la Chiocia d’argento, da porsi
fra poco nella detta veneranda Chiesa”.
Non viene detto né quanto
sarebbe costata la catena, né
se anche questo omaggio
veniva controbilanciato con
una qualche partita di legname del Comune. Che il lampadario regalato l’anno precedente sia stato inaugurato
con la catena resa più preziosa da quattro mazzi di roselline d’argento, lo dobbiamo
soltanto supporre. Il contratto riporta le poche righe che
abbiamo visto e la clausola
conclusiva. “Che così, remota
ogni eccezione,si sono vicendevolmente convenuti, pattuiti ed accordati e promettendo
però ut in forma meliori.
Santo Zangiacomi Agente
Bolis affermo”.
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C
ortina. Non è passato
ancora un anno dal
trasferimento, alquanto traumatico, anche se si è cercato
in ogni modo di tranquillizzare l'opinione pubblica, degli
sportelli postali nei locali dell'ex Q8, a seguito dell'alienazione del palazzo di Largo
Poste alla Geox di Montebelluna. Una chiusura totale dei
servizi per quattro giorni, da
giovedì 12 a domenica 15
aprile 2012, ha costretto gli
utenti che ne avessero avuto
bisogno a recarsi, come premurosamente suggeriva un
volantino, nei paesi vicini.
Come non bastasse, la riapertura nella nuova sede,
ben più piccola, sita all'incrocio tra via Roma e via Olimpia, è stata accompagnata da
problemi di parcheggio e
perfino da una interruzione,
peraltro generale, dei sistemi informatici. Ben altra storia ricorda chi ha vissuto dall'interno il trasloco da piazza
Roma al Palazzo Poste e Telecomunicazioni, opera, come il collaterale Palazzo Telve e altre di Cortina, dell'indimenticato
architetto
Edoardo Gellner.
Siamo in prossimità delle
feste natalizie del 1955: negli
angusti locali della vecchia
sede, vicina all'omonimo hotel, l'afflusso di pubblico è in-
D
ovette sollevare davvero gran scalpore il
delitto di Valle. D’altro canto,
annotava don Barnabò nella
sua Historia, più diversi di
com’erano i due fratelli Galeazzi, - Gaspare l’omicida
ed Osvaldo l’ucciso -, non
sarebbero potuti essere. Il
primo, più anziano, era riflessivo, prudente e avveduto
nella gestione del patrimonio. Non sarà magari stato
molto istruito, ma non gli
mancava un certo intuito. Il
secondo appariva meno politico, più diretto e libero nel
dire la sua, ma nel contempo,
liberale e generoso. Spiccava
per la sua prodigiosa memoria, tanto da ricordare qualunque cosa leggesse e sentisse, senza contare la vasta
erudizione in ogni ambito.
Una cosa però accomunava i due Galeazzi. Era la consapevolezza della forza che il
proprio lignaggio ormai consentiva anche al di là delle
regole. Lo dimostra la lunga
e aspra contesa ingaggiata
con il conte Adamo Adami.
“Gente par loro quei gran signori”. Racconta Taddeo Jacobi nelle sue “Genealogie
delle più antiche e civili famiglie del Contado del Cadore”
che gli Adami “possedevano a
Pieve un superbo palazzo di
cinque piani con dodici camere ognuno”. Ed è Giovanni
Fabbiani, in “Stemmi e noti-
Come lʼUfficio Postale di Cortina dʼAmpezzo
si preparò allʼOlimpiade invernale del 1956
IL PALAZZO DI GELLNER HA
SMARRITO LA SUA FUNZIONE
tenso. Il direttore, il maestro
di posta Bepi Degregorio,
originario di Predazzo, all'epoca non più giovane, ma ancora sulla breccia, in sodalizio con l'amico Fritz Terschack, sia in montagna, sia
negli snodi della organizzazione turistica locale, tradisce un malcelato nervosismo. Impegnato su più fronti, nell'incombere dei settimi
giochi olimpici invernali, si
ferma poco al tavolo di lavoro e lascia spesso la sorveglianza al suo vice, il factotum Vito Delfauro, il quale
è sempre in grado di mettere
una pezza nelle emergenze,
supplendo personalmente
ovunque. L'ufficio può contare su due impiegate esperte:
le ben note Anna Ghedina
ai servizi finanziari, per dirla
come oggi, e Amabile
Granzo alle corrispondenze
e pacchi. Nelle ore di punta
si chiama ad aprire uno o più
sportelli integrativi un giovane che opera nei locali inter-
ni, che si presentano come
un vero e proprio arsenale.
Lo dirige la telegrafista
Gianna Biasiolo, inchiodata alla telescrivente in linea
con Venezia, l'orecchio teso
a captare eventuali chiamate
via morse degli uffici periferici, a cui sollecita che sia data risposta dagli addetti allo
smistamento della posta in
partenza.
Vi accade, un giorno, un
importante episodio. Fra i telegrammi giunti, uno suscita
l'attenzione di chi li sta registrando, perché contiene nel
testo il nome di Zeno Colò:
proviene da Berna ed è in tedesco. Rapida consultazione
con chi conosce la lingua, ed
ecco la notizia-bomba: l'olimpionico di Oslo 1952, squalificato dalla F.I.S. (il suo nome figurava su un articolo
sportivo!), non potrà partecipare ai giochi di Cortina
Porterà la fiaccola lungo la
pista della Tofana. Indirizzato al comitato organizzatore,
il telegramma, ripiegato, è
posto sul tavolo del maestro,
il quale, rientrato qualche
tempo dopo, lo legge, mentre tutti affettano di non
guardare, lo ripone in tasca,
e subito si riallontana. Si saprà poi che, raggiunta la riunione che aveva appena lasciato e letta l'importante comunicazione, scopre con
amarezza e scorno che la si
conosce già. Il segreto non
aveva retto a lungo, a fronte
di simile notizia. Scontata
l'accademica reprimenda del
giorno seguente.
Intanto i reparti della nuova sede sono tutti pronti. Seminterrato per l'ufficio arrivi
e partenze, che sarà gestito
per un certo tempo da una
squadra di Milano-ferrovia;
al piano terra l'ampia ed elegante sala per il pubblico con
la linea degli sportelli ad angolo retto; a parte il locale
per i pacchi, per le caselle
postali, per l'accettazione dei
telegrammi, che passano per
via pneumatica al piano superiore. In quest'ultimo c'è la
"sala apparati": telescriventi
ed apparecchi morse. Al piano mansarda, persino alcune
camere da letto per personale in trasferta. Un signor palazzo poste, insomma, con
l'ampio piazzale omonimo,
immediatamente collegato per la circostanza - alla stazione ferroviaria da un'ampia gradinata in legno. Un
salto di qualità davvero inimmaginabile. Ultimato con largo anticipo il trasloco generale del materiale d'archivio
e degli stampati, nell'ultima
giornata di vita del vecchio
ufficio è un continuo andirivieni con il nuovo, per trasferirvi quanto è legato ai servizi correnti. Terminate le
chiusure contabili, tutti sono
mobilitati per l'abilitazione
dei nuovi sportelli, che si
conclude a tarda sera. Tutti,
compreso il sottoscritto, che
ha perso, senza avere il coraggio di muovere obiezioni,
I GALEAZZI DEL CARMINE
Quarta
Parte
Annotava don Barnabò nella sua Historia che fece gran scalpore il
delitto di Valle, ma fu “ripulito” con oro e una breve, comoda detenzione
zie di alcune famiglie del Cadore”, a ricordare che discendevano da tal Pietro Antonio che capitò in Cadore
quale conestabile del presidio militare che la Repubblica Veneta manteneva nel castello di Pieve. La gloria fu effimera. “Famiglia un tempo
addietro la più ricca e potente
- così lo definì Venanzio Donà nella sua Storia del Cadore manoscritta - poi indebolita per le sue vanità, e per voler comparire maggiore di sé
medesima”. Sta di fatto che,
originati da uno screzio, i
dissapori tra i due casati finirono col degenerare in scontro aperto, con tanto di armigeri, attacchi e scorribande.
Per poco non ci scappò il
morto. Fu quando in uno dei
tanti scontri il focoso Osvaldo Galeazzi centrò ad una
spalla con un colpo di pistola
il conte Adamo.
La situazione si fece insostenibile, tanto che a passare
nei paraggi dell’una o dell’altra dimora c’era di che esser
sospettati d’essere partigiani
dell’uno o dell’altro contendente. Informato a Venezia
di quanto stava accadendo in
Cadore, ci si mise di mezzo il
temutissimo Consiglio dei
Dieci, che convocò i due Galeazzi. Ma si presentò solo
Gaspare che, pur potendo
contare nell’appoggio del nobiluomo Almorò Morosini,
dovette starsene ospite delle
scomodissime quanto umide
prigioni della Serenissima in
attesa del processo, dal quale uscì per altro assolto. Peggio andò per Osvaldo, il quale per via della pistolettata si
buscò due anni di bando,
che tuttavia scontò comodamente ospitato da un cognato in territorio austriaco.
Quanto agli Adami, furono
solo condannati al pagamento delle spese processuali.
Da quella vicenda i Galeazzi uscirono economicamente
dissanguati. Tanto da dover
drasticamente ridimensionare lo sfarzoso tenore di vita
cui si erano abituati. E’ il Barnabò a informarci che Gasparo non si maritò, mentre
Osvaldo, convolato a nozze
con una Vecellio Pellizzaroli
di Pieve, ebbe tre figli maschi: Bartolomeo, che entrò
nell’Ordine dei Servi di Maria col nome di Fra Angelo
Maria; Antonio che abbracciò la carriera militare: “fu
ascritto al soldo della Veneta
Repubblica in qualità di colonnello d’Infanteria - ci fa sapere il cronista -, che portatosi in Dalmazia e poscia in Albania all’assedio della fortezza di Knin morì di moschettata salendo la breccia nel fiore
dei suoi anni”; Baldassarre
che si maritò invece con
Marta, figlia di Francesco
Zuliani di Ceneda, da cui ebbe delle figlie - una delle quali fu Adriana, fattasi monaca
in Santa Giustina di Serravalle - e due figli: Antonio, morto a 21 anni nel 1714, e Francesco, marito di Cristina,
unica figlia del nobile bellunese Prosavio Alpago Novello, che portò in dote la bellezza di dodicimila ducati.
Restava però la macchia
del fratricidio. Che pesava
non poco. A ripulirla ci pensò
Baldassarre, il figlio di Osvaldo, che fece arrivare denaro
sonante a Venezia. Serviva
ad “ungere” chi di dovere
per far sì che lo scabroso caso giudiziario venisse delegato al Consolato del Cadore, dove l’influente famiglia
avrebbe potuto manovrare la
faccenda. L’arguto Barnabò
così si espresse: “l’oro che è
l’esca che dolcemente attrae
gli uomini fece spianare ogni
duro intoppo che si potè incontrare”. Bastò far passare
l’omicida per “huomo di poco
senno”, confinandolo tra le
mura domestiche. Presentatosi poi al castello, la fece
franca con soli sei mesi di comoda detenzione, servito e
assistito in tutto. Dopodiché
tornò uomo libero. Gli rimasero il rimorso e il dolore per
quel che aveva fatto. (...)
Ritornando alla genealogia, don Giovanni Antonio
Barnabò riferisce che da
Bartolomeo, secondo figlio
di Francesco nacquero Giovanni Carlo e Marco Antonio che fu il primo Alfiere
che fusse stato eletto dal
Centenaro di Valle dopo ricevute l’arme e che, maritatosi
con Arminia Barnabò di Valle ebbe due figlie: Caterina,
andata sposa a Francesco
Zuliani di Perarolo e Lucietta, monaca nel convento di
San Rocco di Conegliano.
Quanto a Giovanni Carlo
“huomo savissimo e giusto e
3
l'ultimo treno per il rientro a
casa. Il maestro, che provvede a ogni cosa, gli dice di recarsi a casa sua, villa Soreghina, vicino alla stazione,
dove la governante ha già ricevuto disposizioni di apprestare cena, letto e colazione.
Una curiosità: all'ingresso, il
poggiolo è dotato di corda di
canapa e cartello che avverte "Solo per sestogradisti".
Al mattino successivo, sveglia di buon'ora e via al nuovo ufficio, che apre al pubblico in perfetto orario, come
nulla fosse accaduto.
Tutt'altra storia, come si
diceva, il recente cambio, a
distanza di mezzo secolo. E,
tuttavia, dopo una partenza
sotto cattivi auspici, la gente,
adusa a sperimentare sempre nuove singolarità, come
la corrispondenza esclusivamente prioritaria, senza dire
della commercializzazione di
articoli vari, pare essersi via
via adattata alla situazione.
"È il progresso, bellezza!", le
è stato spiegato. Ma, intanto,
una delle più belle opere
pensate da Gellner per Cortina olimpica e del futuro ha
smarrito la sua funzione originaria. E la destinazione, si
sa, in una struttura architettonica è tutto.
Giuseppe De Sandre
civilissimo: questi a sue spese
particolari fabbricò la metà
della sua Chiesa del Carmine, fece la sacristia et altre
opere pie al di lei culto stimolato dalla sua devozione ad
accrescer l’onore della gran
Madre sua protettrice; et a
questo fine fabbricò un palaccino galante tra Costa e Nogarè per habitatione d’un religioso che doveva servire alla
Casa Galleazzi in qualità di
Mansionario”. Per nulla interessato a rincorrere cariche
pubbliche, fu anche avveduto nella gestione del patrimonio di famiglia, tanto che alla
sua morte lasciò ben 40 mila
ducati. Si accasò con Bartolomea figlia di Nicolò Puppi
di Perarolo, casato ricco e di
condizione civile, che gli diede quattro figlie e un figlio,
Giovanni Antonio. Racconta Barnabò che “questo soggetto mancò la vita l’anno
1646 intempestivamente con
sospetto di veleno datogli in
Pieve di modo che arrivato a
casa la sera si gettò a letto, né
potè formar parola e dopo tre
giorni di pena se ne morì con
dolore universale”. (...) Francesco Galeazzi, medico e patriota, morì l’8 dicembre
1901 a 79 anni. L’amico e collega Giuseppe Fabbro lo ricordava così: “Nobile per lignaggio, fu nobilissimo esempio di cittadino intemerato e
puro”.
Bruno De Donà
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ANNO LXI
Marzo 2013
rovai il Battaglione in
fermento. Oramai la
sua ricostituzione era quasi
completata. Erano arrivati
parecchi Sottotenenti di
Complemento, alcuni raffermati, e due Capitani. Il
capitano Puglisi comandava la 67, che occupava il
primo piano dell'edificio
centrale; il capitano De
Santis aveva assunto in comando della 75, che era stata sistemata nella caserma“Buffa” di Pieve, fino a
quel momento regno incontrastato del capitano
Mori con la sua “Manera”.
Durante la mia assenza,
durata circa un paio di mesi, la 167a era rimasta nelle
valide mani di Giorgio Loro Piana. Giorgio faceva
parte del gruppo di Sottotenenti di Complemento che
erano stati assegnati al Battaglione ad inizio anno.
Non tutti li ricordo. Ho avuto la gioia di ritrovarli tutti
in occasione delle annuali
Feste del Battaglione. Parecchi, negli ultimi anni, sono “andati avanti”. Gli altri,
il romano Pieranunzi, il
genovese Ferrante, il
piacentino Balestrieri, il
comasco Annoni, i cadorini De Lorenzo e Bergamo, sono ancora in buona
forma.
Al mio rientro al reparto,
nell'aprile '57, constatai immediatamente che il loro
arrivo, assieme a quello del
grosso della truppa, doveva
aver dato uno scossone
non da poco al pacifico e sereno vivere dei cittadini di
Pieve. I giovani ufficiali, a
fine servizio, si riversavano
dal Palatini a Pieve, soffermandosi in Piazza Tiziano
o frequentando i locali bar
e ristoranti. Oltre che giovani, avevano tutti, non per
colpa o merito loro, un paio
di qualità gradite alle ragazze: erano simpatici e belli.
Accadeva, perciò, che il
gradimento delle ragazze,
molto apprezzato dai bravi
alpini, non lo fosse altrettanto da tutti gli indigeni, in
particolare dal Parroco.
Il curatore delle anime
dei pievani era, a quel tempo, l'Arcidiacono Monsignor Angelo Fiori. Ci sarebbe voluto un Guareschi
per descrivere la figura di
quel fantastico sacerdote, a
mezza strada tra Don Basilio e Don Camillo. Alto e robusto, tuonava col suo assordante vocione non solo
tra le volte della Chiesa, ma
ovunque si trovasse. Fu lui
che battezzò le mie tre figlie. Fu appunto mentre officiava il battesimo di una di
esse, che improvvisamente
si presentò al suo cospetto
un uomo dall'espressione
fortemente addolorata il
quale, con le lacrime agli
occhi e la voce rotta, comunicò l'avvenuto decesso di
una zia a lui molto cara.
Luisa ed io guardavamo il
buon prete, in attesa delle
parole di conforto che
avrebbe certamente rivolto
al poveretto. “Ma cosa te vol
pianzer: l'era vecia!” - sentenziò col suo vocione, allargando le braccia e alzando le spalle. Ogni volta che
incontrava mia moglie Luisa, ovunque ciò accadesse,
l'apostrofava a gran voce
chiamandola “tenentessa!”.
Tale era il titolo-nome con
cui l'aveva battezzata.Un ti-
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La 167a Compagnia Battaglione Pieve di Cadore - Estate 1957
IL MONSIGNORE E
LA “TENENTITE”
Alberto Preti
I giovani ufficiali a fine servizio si riversavano
a Pieve con gran gradimento delle ragazze
Ma non del parroco mons. Fiori, sacerdote
a metà strada tra don Basilio e don Camillo
Sulla “Voce” monsignor rese edotti i lettori di
un pericolosissimo virus che aveva infettato
le ragazze e minacciava di diffondersi con
conseguenze disastrose: la “tenentite”
Gli ufficiali Loro Piana, Nicolini (con la sigaretta), Preti
Della “tenentite” mons. Fiori aveva fatto argomento
di severi sermoni. Tanto da suscitare la reazione in
chiesa del sottoten. Tinor Centi che, diede lʼattenti,
fianco destr, avanti marc, e con tutto il reparto tornò
in caserma. Fu una dichiarazione di guerra...
po simpaticissimo, bastava
non contrariarlo! Era redattore, e credo anche editore,
di un piccolo ma diffuso periodico dal titolo “La voce
della Pieve”. Vi si cimentava commentando fatti di
cronaca, giudicando avvenimenti ed esprimendo critiche, infiorando il tutto, a
seconda degli impulsi dettati dal suo carattere, talvolta convenevole e confortanti benedizioni, talvolta con
tuonanti anatemi.
Si vedevano, in quel tempo, le prime donne, considerate arditissime e sconvenientemente anticonformiste, che osavano indossare i pantaloni. Il Monsignore scrisse un memorabile editoriale dal titolo “Le
braghesse de le donne”, in
cui esprimeva il suo sdegno e la sua condanna per
l'indecenza di tale moda,
usando espressioni talmente cariche di ironica derisione da suscitare una tale
ilarità e riscuotere un tale
successo che fu costretto, a
grande richiesta, a ripubblicarlo almeno un paio di volte. Un bel giorno i lettori
della “voce” furono resi
edotti della scoperta di un
pericolosissimo virus, da
cui le ragazze di Pieve erano state infettate e che minacciava di diffondersi rapidamente con le conseguenze disastrose che tutti potevano immaginare. Si tratta-
va niente popò di meno che
della “Tenentite”, malefico
bacillo derivato dal contagio con i giovani ufficiali, al
quale bisognava assolutamente ed immediatamente
porre rimedio.
Io, lo ricordo ancora, ne
venni reso edotto dalla
Contessa Tarabini, il cui
consorte era eroicamente
caduto in Albania. Era una
signora che aveva in naturale dotazione quattro qualità che la rendevano affascinante al primo incontro.
Era molto bella, molto elegante, molto fina nei modi,
molto simpatica. Mi trovavo nella sala-bar del Palatini, quando entrò accompagnata dalle tre figlie, che a
quel tempo erano delle ragazzine molto carine. Due
di esse, anche se non più
ragazzine ma sempre carine e amabili, ho il piacere
di incontrare ogni anno alla
Festa del Battaglione. “Proprio lei, Tenente!” - mi apostrofò la Contessa, con aria
ilare e divertita, sventolan-
dai racconti
inediti di
do il numero appena uscito
della “Voce” - “Si può sapere
quando i suoi giovani Sottotenenti la smetteranno di
mettere a repentaglio la moralità delle nostre innocenti
ragazze?”
Seppi così dell'avvento
della malefica infezione. La
cosa sarebbe stata presa da
tutti per una bonaria e divertente occasione di buon
umore, se il Monsignore
non avesse fatto della “tenentite” argomento di severi ammonitori sermoni durante le funzioni religiose,
provocando la reazione indignata sia delle ragazze
che di alcuni ufficiali. Chi,
tra questi ultimi, reagì in
maniera eclatante, fu il
Sottonente Loris Tinor
Centi, vice comandante
della 68a Compagnia. Loris
era indubbiamente, tra gli
ufficiali, il più osservante
delle pratiche religiose. Fin
da quando la “Manera” era
il solo reparto di stanza a
Pieve, era solito assistere
alla Messa della domenica
alla testa dei suoi alpini.
Questi si schieravano in
Chiesa inquadrati nei ranghi e assumevano le posizioni di “attenti” o “riposo”,
che il Loris comandava a
seconda dei diversi momenti della Funzione. Funzione che, essendo la più
importante della domenica,
richiamava solitamente la
gran parte del popolo di
Pieve, nonché alcuni altri
ufficiali.
Il Monsignore, evidentemente sentendo doveroso
un suo intervento in una simile occasione, assolutamente da non perdere, non
poté esimersi da improntare la sua predica alla “tenentite”. Il Tinor Centi,
chiaramente prevenuto,
diede l'attenti seguito da un
fianco destr, avanti marc e,
con tutto il reparto, tornò
in caserma. Fu una dichiarazione di guerra che durò
mesi; dapprima incandescente, poi sempre più
morbida man mano che il
buon prete si rendeva conto che nessuno faceva niente di male e che, al contrario, fiorivano amori veri da
cui poi nacquero felici matrimoni.
Tuttavia non perse mai il
gusto della battuta allusiva,
ogni volta che se ne presentava l'occasione. La Gina,
tanto per raccontarne una,
gestiva allora quella che
era, se non ricordo male,
l'unica cartoleria di Pieve.
Praticamente tutto il Battaglione si rivolgeva a lei, per
soddisfare i piccoli bisogni
di cancelleria. E naturalmente anche noi della 167a.
Capitava quindi che, a volte,
il Sottotenente Giorgio Loro Piana, mio vice comandante, vi si recasse per
qualche acquisto. Oggi Gina e Giorgio sono sposi felici a capo di una bella e numerosa famiglia; ma allora
erano solo due ragazzi che
palesavano tanto apertamente la reciproca simpatia, che non poté non essere
notata dal perspicace Monsignore. Il quale, recatosi
un giorno ad acquistare
una penna, venne interpellato dalla Gina su quale tipo
di penna desiderasse.“La
preferisce nera o blu?”
La frecciata fu immediata: “me va ben la blu, anca
se so ben che a ti te piasen le
penne nere!”
La risposta della Gina fu
agrodolce, ma purtroppo
non trascrivibile. Alludeva
ai trascorsi passaggi per il
Cadore, durante la guerra,
di ben altre truppe che i
bravi alpini del 1957.
Pare che, a quel punto, il
buon pastore si rendesse
conto che le sue preoccupazioni circa la moralità
delle sue pecorelle fosse
eccessiva, perché il suo
commento finale fu: “te ga
rason!”
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LIBRI - pittura
Lina Urban
ANNO LXI
Marzo 2013
Collana di studi e ricerche sulla cultura popolare veneta
BANCHETTI VENEZIANI
DAL RINASCIMENTO AL1797
n libro insolito, che unisce il riU
gore della ricerca alle piacevolezze di un contenuto curioso. Venezia dal Rinascimento al 1797, ossia
dal vertice alla caduta, tre secoli in
cui la storia d'Europa e d'Italia si intrecciano nelle turbolenze della politica e nel fiorire delle arti e del pensiero filosofico e scientifico. Secoli
che la Repubblica del Leone attraversa via via più appartata e trascinata
nel declino delle fortune signorili,
mentre altri protagonisti si succedono alla ribalta degli avvenimenti
mondiali. Ma se la potenza militare e
commerciale della Serenissima va logorandosi, intatta rimane nel tempo
la fascinazione che la sua bellezza e
la sua festosità esercitano sui potenti
della terra come sugli uomini comuni. Una cultura della gioia, che celebra e si celebra nell'edonismo popolare, a cui non sfuggono i nobili né i
maggiorenti della città.
Venezia, città di cortigiane raffinate e poetiche, una magnifica quinta di
teatro in cui la rappresentazione è
sempre quella della commedia, e in
essa, il pantagruelico piacere del cibo che si esalta nelle stupefacenti
scenografie dei banchetti pubblici, o
nelle sontuose dimore patrizie, dentro e fuori città. E' stato Brillat-Savarin, settecentesco fisiologo del gusto,
ad affermare che il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono: si dovrebbe dunque conclude-
re che la fine della Repubblica è stata
una conseguenza delle sue eccessive
indulgenze culinarie? Certo un tema
di riflessione, di cui peraltro il libro di
Lina Urban non si cura, perché l'intento della sua ricerca è la ricostruzione di consuetudini che il fasto degli apparati, l'originalità delle invenzioni ornamentali e le opulente fantasie alimentari traducono nella storia
di una società che nei riti della tavola
poggia una larga parte della propria
distinzione e della propria grande attitudine all'accoglienza dei personaggi illustri - così come alla lussuosità
delle scadenze cittadine - apprestando modi dell'ospitalità sempre all'altezza del rango e delle circostanze.
Su tutto ciò il libro compie un percorso dettagliato su testimonianze
scritte e d'immagine, con la precisione di una studiosa dell'arte e del costume veneziani, che per questo lavoro si è mossa tra archivi, attestazioni museali, documenti di cronaca,
specie quelli relativi a importanti festività, alcune vive ancora oggi: una
ricerca di ampio approccio, dagli allestimenti ai particolari dei Trionfi, del
vasellame e delle posaterie più preziose - le ceramiche artistiche e i vetri di Murano – alla disposizione delle tavolate dogali e alla minuziosa
elencazione delle portate. Dappertutto il colore tizianesco e il suono armonioso dei madrigali di Gabrieli;
sfilano le compagnie della Calza, il
Venezia, città pagana
e insieme devota,
amante dei lussi e
del divertimento
Il libro di Lina Urban
ce ne offre uno
spaccato di vita
Bucintoro, gli spettacoli del carnevale, i banchetti solenni per principi, re,
imperatori in visita o di passaggio in
laguna, a cui la maschera offre la libertà di passeggiare tra calli e campielli, osterie e locande mescolandosi al popolo nelle feste “oltre i palazzi”. Venezia città pagana e insieme
devota, amante dei lussi e del divertimento, ma pronta a correre ai perdoni; un popolo che smania per la villeggiatura e le scampagnate in peota,
ma compatto nei pellegrinaggi alla
Madonna della Salute.
Il libro di Lina Urban ce ne offre
uno spaccato di vita rivelatore di alcuni degli aspetti più riposti di quella
società: il quadro di una antica gastronomia di parata e di popolo, interpretabile e godibile come un mezzo
diretto e originale di conoscenza del
costume e della cultura di una polis
unica nel panorama della storia d'Italia.
Ennio Rossignoli
Una iniziativa della Magnifica Comunità e della Fondazione Tiziano
ALLA SCOPERTA DI MARCO VECELLIO
arco Vecellio, chi era coM
stui? Potrebbe titolarsi
così la mostra itinerante correlata
ve di Cadore, San Vito di Cadore e San Pietro di Cadore.
“Si tratta di un percorso esposiad un’attività didattica di ricerca
tivo che punta a valorizzare le
che la Magnifica Comunità e il
molte cose belle di cui è ricco il
Centro Studi Tiziano hanno prenostro territorio e che molto spesdisposto per gli studenti del Caso non conosciamo neppure noi
dore. Marco Vecellio era nipote
cadorini. Questo vale per l’amdel grande Tiziano. Pittore lui
biente, per la montagna e per le
stesso e annoverato fra i massimi
arti come in questo caso.” Così il
esponenti della bottega del maepresidente della Magnifica Comustro di Pieve di Cadore, capace di
nità di Cadore, Renzo Bortolot ha
realizzare molte opere oggi condato il via all’iniziativa che si conservate nelle chiese del Cadore.
cretizzerà nel mese di marzo a
La mostra, itinerante, le visiPieve, in aprile a San Vito e durante sul territorio e i laboratori di- delle seconde classi delle scuole te il mese di maggio a San Pietro. Il
dattici coinvolgeranno gli alunni secondarie di primo grado di Pie- progetto prevede anche un prolungamento dell’esposizione e dell’attività
didattico-conoscitiva durante la
prossima estate.
Matteo
Da Deppo
3
A DAMOS
IL CROCIFISSO DIPINTO
PIUʼ ANTICO
DEL CADORE
el bel pianoro solivo noto come Pian delle Forche, in una
N
posizione di eccellenza sulla valle del Piave, si trova una
piccola chiesa dedicata ai Santi Andrea e Giovanni Battista, luogo di culto, fin dall’antichità della comunità di Damos.
La devozione popolare in questa località, è testimoniata con certezza fin dal 1348, quando un certo Azeto, abitante di Pozzale,
dispone nel suo testamento un dono di una libbra d’olio e di un
appezzamento di terra alla chiesa di Sant’Andrea. L’edificio attuale, ben diverso da quello del Trecento, è il risultato di diverse campagne costruttive che si susseguono nei secoli e che
hanno permesso alla chiesa di dotarsi di una sacrestia, di un
campanile e di un camposanto.
La parte più antica dell’edificio sacro si colloca sul muro
orientato ad est, dove un elemento architettonico testimonia la
sua medievale origine: si tratta di una piccola feritoia rettangolare dall’alto valore simbolico, capace di catturare i raggi del sole nascente e di irradiare la chiesa. Nel concetto cristiano il sole nascente raffigura Cristo che, entrando attraverso la finestra
nella chiesa, si sposa con i fedeli presenti alle funzioni religiose
della mattina. Proprio in relazione a questa apertura si conserva la più antica Crocifissione dipinta oggi visibile nel territorio cadorino, e con ogni probabilità realizzata nel nei primi
decenni del Trecento.
L’affresco, come giustamente afferma Antonio Chiades, “di
trascinante forza emotiva”, descrive un corteo di Santi Apostoli
capeggiati dalla Vergine Maria, mentre assistono in preghiera
alla morte del Cristo in Croce. L’abilità del maestro anonimo di
Damos trova la sua massima espressione proprio nella raffigurazione del Messia cristiano per l’accentuata drammaticità dell’uomo sulla croce, sofferente sulla terra, con il sangue che gli
sgorga dalle ferite impresse dai chiodi. Il suo volto è una maschera inserita su un corpo esile, trasformato in un continuo innervarsi di linee, che creano un rigido gioco plastico. Il corteo
di Apostoli si dispone ai lati accolto dagli angeli svolazzanti in
cielo, mentre si apprestano a raccogliere l’eredità del maestro
da diffondere nel mondo. A livello stilistico, giustamente gli storici locali hanno attribuito l’affresco ad un maestro legato all’arte friulana, ma non si sono mai spinti in un’analisi più approfondita dell’opera.
A riguardo credo possano essere interessanti alcune considerazioni; la prima è quella di collocare l’affresco di Damos tra
altre due immagini dipinte del Trecento nello scenario alto bellunese, vale a dire tra il Crocifisso della chiesa di Santa Caterina di Ponte nelle Alpi (1310 ca.) e quello della chiesa di Sant’Orsola di Vigo (1350 ca.). Sicuramente il primo dato che viene
evidenziato da tale confronto è che l’affresco di Damos ha delle
forti componenti di primo Trecento, vicine all’opera pontalpina,
mentre non raggiunge l’elaborato livello descrittivo di Sant’Orsola. Spingendoci più a fondo nello scenario veneto-friulano
delle raffigurazioni legate al Cristo in Croce, si trovano dei pertinenti e interessanti confronti tra l’affresco di Damos e delle
immagini realizzate tra il XII e il XIII secolo, una di queste conservata, ma purtroppo fortemente compromessa, in un sacello
dell’abbazia di Summaga (VE), mentre l’altra è visibile nella
cripta della basilica di Aquileia. È del tutto verosimile dunque
che il maestro anonimo operante a Pian della Forche abbia attinto al ricco campionario iconografico aquileiese, caratterizzato da un forte linearismo che dall’accentuato carattere psicologico, preferendo la tradizione del patriarcato alla novità giottesca che si stava diffondendo nei territori dell’Italia del nord e
che trova come primo esempio chiaro in Cadore il ciclo della
chiesa di Sant’Orsola a Vigo.
In definitiva, a chi scrive sembrava importante, nell’approssimarsi alla Pasqua, soffermarsi a riflettere sullo straordinario
esempio di arte medievale rappresentato dalla Crocifissione di
Damos e nello stesso tempo cercare di fare luce su una composizione eccezionale che testimonia, una volta in più, la quantità
di opere di alto valore storico-artistico che il Cadore conserva.
Matteo Da Deppo
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iccolissimi inserti di carta
P
colorata sapientemente adagiati creano degli accostamenti
estetici e tattili di indubbia piacevolezza estetica.
Questa la prima percezione colta
e sperimentata entrando nel prestigioso salotto artistico del Miramonti Majestic Grand Hotel di
Cortina d'Ampezzo dove si possono ammirare le opere di Mirna
Baldissera, artista vocata alle sperimentazioni artistiche estetico/visive. Sfumature armoniose,
impressionano il visitatore. Colori
caldi, rotondi, carichi di atmosfera.
L'autunno nei suoi colori si percepisce a prima vista. La sua è una lavorazione che si basa sulla tecnica
del "collage", piccoli frammenti di
carta vengono accostati per far nascere un insieme cromatico di notevole valore, dalle sue creazioni
scaturiscono tutti i suoi sentimenti,
le sue emozioni, i suoi viaggi.
Creazioni che riassumono il calore
sprigionato dalla sua personalità,
solare e ricca di suggestioni.
Dall'oriente armonioso alle dolomiti innevate, da venezia abbozzata con la textil art alla Russia dai
colori freddi quasi glaciali. Accostamenti perfetti, nulla viene lasciato al caso. Lavori costruiti da
vibrazioni interiori, partono dal
sentimento e finiscono in una costruzione artistica completa, ricca,
molto piacevole da osservare.
Si notano delle influenze surrealistiche, fluttuazioni visive che accompagnano l'osservatore in viaggi metafisici, atmosferici, irreali.
Opere veramente ben fatte, tecnicamente innovative, sperimentazioni nuove ed accattivanti. Mirna
percorre la sua esperienza creativa
attraverso varie tappe che l'hanno
formata negli anni. Inizia frequen-
Mirna Baldissera
Sperimentazioni artistiche
per inusuali viaggi surreali
Una “prima” prestigiosa al Miramonti
Majestic Grand Hotel di Cortina dʼAmpezzo
Innumerevoli frammenti di carta colorata
fanno nascere un insieme cromatico
dove Mirna fonde sentimenti, emozioni
e viaggi fantastici
a cura di Andrea Costa
tando il liceo artistico dal quale riceve un primo imprinting, prosegue nel mondo dell'alta moda frequentando l'Istituto Marangoni a
Milano, dove tutt'ora vive e crea le
sue opere. Fin da piccola la mania
per il "tenere da parte" tutto, raccoglie in piccolissimi frammenti la
sua quotidianità, ritagli di riviste,
giornali, tutto quanto attirava la
sua attenzione.
Tutti i suoi viaggi creativi si contraddistinguono sempre per un comune denominatore: il ritorno a
casa, il ritorno nelle sue Dolomiti,
la sua terra, L’Agordino, il Cadore,
dove da anni a Calalzo i suoi gestiscono un ristorante-pizzeria.
Dolomiti che lasciano un pezzo
di sé all'interno delle sue opere, i
colori tipici delle montagne al tramonto, quei gialli ocra con tinte
salmone che le rendono tipiche, i
suoi pezzi più prestigiosi ed intimi.
Si notano pure degli elementi malinconici evidenziati dal massiccio
utilizzo di elementi naturali. Visio-
Presidente dell’Associazione
Paspartu Cadorini
ni che rievocano l'elemento naturale, quasi a voler richiamare l'aspetto più arcaico e preponderante del
paesaggio sull'uomo.
Sili Kandinsky e Salvador Dali
appaiono in modo quasi inaspettato, richiami evidenti al loro modo
di fare arte interpretato in modo
personale e innovativo da Mirna
Baldissera. Comprendere i suoi lavori non é semplice: a seconda della distanza con cui li si osserva
sembrano cambiare, trasformarsi,
fino a completarsi. Opere quasi
double-face.
"Desidero trasmettere e rendere armonici i miei lavori”, “utilizzo l'istinto e desidero trasmettere serenità all'osservatore", racconta Mirna, con
gli occhi pieni di passione. Per questo non serve un titolo ai suoi lavori,
vuole che sia l'osservatore stesso
con il suo percepito a definirli.
Vi invito ad approfondire le tematiche di questa artista che si di-
Mirna Baldissera a Cortina d’Ampezzo col direttore del Miramonti
Majestic Grand Hotel Carlo Pomarè e Andrea Costa
mostra ed appare quale novitá interessante, un po’ per la tecnica utilizzata ed un po’ per la raffinatezza
del risultano finale.
Mi auguro che Mirna continui
nella sua ricerca, che provi ad osa-
Una trentina di scatti sono il
contributo di Pradetto al libro
fotografico “Dolomiti di Sesto attorno
alle Tre Cime”, di Marson editore
Le doti artistiche di Samuel superano
così gli stretti confini di vallata in una
continua sfida di perfezionamento
Paesaggi e natura visti da Samuel Pradetto Cignotto
SCATTI FOTOGRAFICI
el libro fotografico,
N
pubblicato da Daniele Marson editore, dal titolo
“Dolomiti di Sesto attorno
alle Tre Cime” c’è anche
una firma cadorina. E’ quella di Samuel Pradetto Cignotto, uno dei più bravi
giovani fotografi delle Dolomiti, pluripremiato in prestigiosi concorsi fotografici
internazionali, come quello
tedesco Glanzlichter projekt natur & fotografie, dove una sua fotografia su
ghiaccio è stata premiata
tra migliaia di altre inviate
da tutta l’Europa.
Nel libro fotografico della
Marson, Samuel Pradetto Cignotto è stato
chiamato come esperto
di fotografia naturalistica, assieme ad una decina di altri fotografi
della Pusteria, appartenenti al Gruppo Strix,
Helmut Elzenbaumer,
Alfred Erardi, Sepp
Hackhoffer,
Walter
Oberlechner, Hans Pescoller, Manuel Plaikner, Pire Ploner, Gerd
Tauber, Michael Trocker, Hugo Wasserman,
Johannes Wasserman,
Robert Winkler. Delle
oltre 150 fotografie,
davvero emozionanti e
tecnicamente di assoluto livello, la parte più
consistente l’hanno
eseguita Hugo Wasserman e Samuel
Pradetto Cignotto,
con una trentina di scatti a testa, mentre gli altri fotografi hanno par-
tecipato con poche inquadrature, in base alle sensibilità e la doti di ciascuno.
I testi del libro, in italiano
e tedesco, sono stati scritti
da Martin Schweiggl, di
Bolzano noto scrittore di libri illustrati sulla natura ed
il rapporto con la cultura
delle Alpi orientali. I testi
sono inseriti nella ricca documentazione fotografica e
si suddividono nei seguenti
capitoli: La crescita delle
Dolomiti; L’uomo fra le rocce, pionieri, guide alpine,
turisti; Dalla roccia nasce la
vita, la flora rupestre; Il contadino come paesaggista;
Sopravvivere fra i monti; Il
lungo viaggio dell’acqua, le
Tre Cime come spartiacque tra Mar Nero e Adriatico. Nell’introduzione al
testo Schweiggl scrive:
“Alla magnificenza della natura si aggiunge l’incredibile
varietà culturale della zona.
In Pusteria contadini di tradizione tedesco-tirolese, più
a sud due territori, come il
Comelico e il Cadore, con
antiche radici ladine ancora
ben visibili sotto uno strato
superficiale di cultura italoveneziana. Saghe e miti degli abitanti dolomitici sono a
loro volta un intreccio di ele-
re di più. Formati più generosi nelle dimensioni potrebbero acuire
maggior senso spazio-temporale
immergendo ancora di più l'appassionato in un nuovo ed inusitato
viaggio surrealistico.
menti diversi, che conducono indietro nel tempo, a un
passato lontanissimo, e su fino alle cime più alte, dove si
incontrano demoni e dei
ammantati di nuvole”.
L’esperienza di fotografo
paesaggistico e naturalistico è una continua sfida di
perfezionamento per Samuel Pradetto Cignotto, ma
anche una dote artistica
che fa superare gli stretti
confini di vallata, per farsi
apprezzare in ambienti di
solito piuttosto gelosi della
loro appartenenza etnica in
tutti i settori della cultura e
dell’arte. Per la pregevole
veste editoriale e per la bel-
lezza dei paesaggi presentati, il libro, che sarà nelle librerie anche del Veneto,
meriterebbe nella prossima
stagione estiva una presentazione pure in Comelico e
in Cadore, anche per far conoscere la bravura fotografica di Samuel Pradetto Cignotto.
Lucio Eicher Clere
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Inte chesto sfoi se dora la
grafia de l Istituto Ladin
de la Dolomites
a cura di FRANCESCA LARESE FILON
Cadorins
I REFERENDUM INÉ UN
SÖGNO DAL MALSTÀ
A
nche in Cadore, conpagn d etre bande
dla provinzia de Blun, nascuance Comune farà al referendum par decide s la
dente vö canbié provinzia e
region,segondo na disposizion scrita su la Costituzion
taliana. Ne n é alora na matnarada de calche agitator
popolar, ma un derito ch é
bel stó esercitó da nasché
bande dl Italia e cialò in
provinzia da Sapada a Lamon, passön par i 3 Comune ch era sote al vecio Tirol. I referendum n vögn
domandade per rivé alolo
al risultato da canbié provinzia. Duce sa che sta strada iné ntoco difizil e, co i
problemes ch inà l Italia al
dì d incöi, ne n è zerto ste
richieste de nasché pöide
disperse intrà l monte ch
farà desdà fora cöi ch fa el
legi in Parlamento.
Ma la partecipazion granda ch era stada a Sapada e
zun chietre pöide à fat capì
cuanto grave ch iné i problemes ch la dente vive cassù in montagna e cuanta diferenza ch iné intrà el doi
Regiogn che stà una da na
banda e una da l autra dla
provinzia de Blun. Par cösto
anche etre pöide à pensó da
dorà al stösso sistema par
segnalà la voia da esse aministrede con pi atenzion.
I comitates, ch avee fato
par prime i referendum e i
avee vinte con bona partecipazion e con al novanta par
zento di vote a favor dal “sì”
par passà z un autra provinzia, à visto con gelosia e con
pöcia considerazion sto medesmo spirto nassù dopo
dal so sperimöinto. Cuase
ch fossa snoma zal vecio Capitanato d Anpezo o a Lamon e Sapada al derito da
domandà da esse trasferide
zun un autro sistema aministrativo. Löre se rifà a la storia vecia e a la cultura, e inveze sti nove movimöinte
reclama la vita dal dì d incöi
e la storia futura di fis ch voraa continué a vive cassù. N
saraa propio al caso da stà
ilò a stichesse par vöde chi
ch à tacó inante e chi ch à pi
derito da passà da clautra.
Co i vö capì, chi referendarie dla prima ora, i savarà
che i problemes dla dente
ch vive zle valade intra l
monte dle Dolomiti iné i
stösse. Canbia snoma al modo da aministresse in autonomia. In provinzia d Bolzano el valade foravia inà pi
considerazion sno ch el zites e la pianura, e anche in
Friul el valade dla Ciargna,
sbögn che l è ormai ribandonade, inà avù zun sti ane
atenzion da la Region e da
Udin. Bastaraa tole com
esenpio al pöis d Sauris par
vöde come ch l é stó vazlorisó anche con legi aposta.
Chi ch iné contrarie ai referendum dis che n serve a
nente, parcheche nsun n dà
peso e seguito a ste robe, e
cladugn fa oservazion su la
storia d naietre cadorins, ch
son senpro stade nemighe
di todösse fin dal tenpo d
Massimiliano d Asburgo, e
ne n on nente da che spartì
aped i Pustar.
Ma la cuestion inveze iné
pi senplice e chiara. Ne n é
che Comelgo d Sora o Auronzo o Cortina, col sposta-
möinto di confine dla provinzia d Bolzano diraa a fnila in Pusteria. Anze s iné
propio na dimostrazion storica che na valada, dopo 500
ane ch l è stada sota al Tirol,
inà mantgnù usanze, lönga,
istituziogn coma al resto dal
Cadore, cösta iné Cortina d
Anpezo.
Canbié Region voraa dì
canbié sistema d governo e
ciapà pi autonomia. E zla
possibil riforma istituzional
ch dovaraa tiré via el Provinzie e riconosse pi similitudin intrà i teritorie, la Region dle Dolomiti dovaraa
esse riconossuda söia da l
Italia che da l Europa.
Par cösto i tance segnai
ch i referendum podaraa
mandà a Roma, co duce i
pöide che confina col doi
Regiogn avössa da votà a favor, podaraa föi capì ch la
dente ch vive in montagna à
bisogno da esse tratada
möio e in maniöra pi conpagna.
Par da capì che zal prosmo Parlamento sarà difizil
che ste esigenze rive a esse
scotade. Ma anche la protesta ch inà portó al Movimöinto 5 Stöle a rivé primo
dimostra cuanto ch la dente
iné stufa dal solto modo da
fbi politica e desmantié el
‘sone pi pizle e foravia, come la montagna. La costanza d Beppe Grillo zal denunzié el malfate dla politica à
portó a un risultato che
nsun n avraa ossó pensà.
Parché n se pö cröde a la
stössa maniöra ch la costanza dla protesta cassù da nói
n possa portà algo d novo?
Lucio Eicher Clere
3
PARTIDE I PROGETE PAR AL 2013
DE LA FEDERAZION LADINA
a Federazion Ladina à
L
presentou a la region i
programe par chesto an su i
finanziamenti de la lege regional par la tutela de le
mendranze linguistiche. Dute le sezion de l Veneto (Anpezo, Fodom, Col, Aut Cordol, Val Bioi, Conca Agordina, Cadore de Medo, Oltreciusa e Comelgo) à mandou
chel che i programa par sto
an par vede se se riese à avé
algo par portà navante atività che le vien fate co la pasion de tanta dente.
Inte é ntin de duto: da la
promozion de la lenga ladina
nte le scole a i corse par i foreste che i può nparà a dorà
la nostra lenga, da i corse
par fei i scarpet a chi par filà
e cusinà dorando al savé fei
nparou da i nostre vece, da
le ricerche su par la tradizion a la publicazione de libre, calendari, deplian par i
musei, da l organisazion de
feste ladine a i pelegrinagi
storici fate da la nostra dente
da ane anorum, da i seminari a le conferenze su par la
lenga ladina e la tradizion.
Tante idee che la segreteria de la Federazion ntra le
Union Cultural de i Ladins
de le Dolomites à betesto
apede par fei un solo progeto mandou n region. E ades
se spera che vegne destinou
n finanziamento a dute cheste iniziative par scuerde almanco al vinti par zento de
chel che che le costa. Nte i
ane le mendranze linguistiche del Veneto (fate da Ladins, Todesc de Sapada e
Cimbri e Furlane) i é stade
idade a portà avanti chesta
cultura da la Region che à
prevedesto algo de l so bilancio par sostegnì e mantegnì cheste culture.
Nte l 2012 al finanziamen-
to l é ruou solo, ma a la fin de
l an dopo che par la spending review avea costreto a
taià l bilancio de la region.
Ades speron che par l 2013
duto vade aposto e che chesto capitolo vegne finanziaou chel che basta par dà
ntin de osigeno a le Union
che bete al laoro de tanta
dente ma che à bisuoi de algo par scuerde le spese vive.
Nte i ane é stou fato tante de
chele robe e ncuoi podon dì
che é propio grazie a chesta
lege che é stade sistemade e
mantegneste musei e publicade tante libre, calendari e
autro. No é zerto n finanziamento come che che riceve i
Ladins de le provinzie de
Trento e Bolsan, che savon
dute i è i pì siore, ma é senpre algo par una cultura minoritaria che vive de pasion
ma anche de chesto.
Francesca Larese Filon
I SIEZENT’ANE DE L GEDIA
Q
uest'anno 2013
la piccola deliziosa chiesa di San
Nicolò compie seicento anni. Voluta e
costruita dagli antenati nel 1413, viene ristrutturata, se non rifatta, nel 1475 dal
“Maistro Zuane de
Chomo” valido esponente della famosa
scuola dei maestri
muratori comaschi.
Nel 1482 viene preziosamente affrescata
da Gianfrancesco da
Tolmezzo, il quale riesce ad infondere tutta la sua arte e la sua
passione nel rappresentare “L'Annunciazione “, “La Natività”
e “L'Adorazione dei
Magi”. La chiesa con-
serva altri affreschi e
dipinti.
Questa mia poesia
per onorare questa
chiesa, chi l'ha voluta,
chi l'ha costruita e dipinta e tutti i parrocchiani e i sacerdoti
che si sono avvicendati nel tempo.
G. Sacco
Par ch'i viva
E par ch'i diga
Dè d'acordo
Com' ch'on fat' nei
T'as visto
Indoniade
I nos pare
Le nostre mare
T'as bendù
Chei ch'é gnude
Al mondo
E chei ch' lo à lasò
Tre sante
ANNO DOMINI
Te tien su
MCDXIII
Colò vesco
Cara pizla
Ch' dà ai canai
Gedia nostra
La bona man
T'as siezent'ane
Valentin
T'es vecia
Sentul d'i nvize
Ma 'ncamò bula
Cristoforo
T'es tanto bela
Ch'porta Gesù
Fata d'tof
Otra 'l giò
Cuerta d'sandla
E tu t'es là
Csi ben pitureda
Ferma e sigura
Ché Gesù Bepo e Maria Zi dis d'festa
Zi dis de diora
Sot'al neve
Sot'al soroio
Co' la porta
Sempro verta
A spité
Che calch'dun
Beta inze 'l ciò
E ch'al diga
'Na orazion
Bendeta gedia
Col' to ciampane
Quante ote
Ne as ciamò
A dì a mesa !
Quante ote
Ne as ciamò
A dì 'na rechia !
E nei son gnude
E tanto on scoltò
E tanto on pariò
Ch' t'es 'ncamò ca
A feine da mare
Cara pizla
Gedia nostra.
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EVENTI
ANNO LXI
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PASQUA CON FRANCESCO GUCCINI
Uno dei più grandi cantautori italiani di sempre sarà ospite a
Pieve di Cadore del Museo dellʼOcchiale, il prossimo 31 marzo
17
Sala polifunzionale del
Cos.Mo a Pieve di Cadore
Ingresso gratuito
Francesco Guccini
presenterà il dvd girato
in occasione delle
registrazioni del suo
ultimo lavoro
discografico
“Lʼultima Thule”
che segna la
“chiusura in bellezza”
della sua carriera
opo Giacomo Agostini, pluricampioD
ne del mondo di motociclismo, il
Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore ospiterà il 31 marzo alle 17.30 nella
sala polifunzionale del Cos.Mo, uno dei più
grandi e conosciuti cantautori italiani,
Francesco Guccini.
Umberto Eco lo ha definito “il più colto
dei cantautori in circolazione”, i suoi fans
lo chiamano “il grande Maestro” e ci tengono a scriverlo con la M maiuscola. Qualcuno si azzarda a definirlo un poeta oppure
un’artista ma Francesco Guccini preferisce volare con piccole ali, identificarsi co-
ne di un mondo che induce sempre a una scrivere canzoni né fare concerti perché stre si vedevano gli alberi e il fiume, quel
riflessione. Forse è per questo che le can- “l’età è quella che è” e salire sul palco due fiume che si sente nel brano “L’ultima volzoni di Francesco Guccini non sono mai o tre ore è difficile.
ta”.
invecchiate e anche le nuove generazioni
Continuerà comunque a cantare in giro
Racconterà forse di quella “Thule” a cui
si ritrovano piacevolmente sorprese da- con gli amici. Magari anche con Volmer e pensava già dopo aver inciso “Radici” nel
vanti ai suoi brani impegnati, tanto rari nel Gabriella di Pozzale di Cadore, ai quali è 1972, un’isola leggendaria e misteriosa, fatpanorama musicale attuale.
legato da una profonda amicizia di gioven- ta di ghiaccio e di fuoco che segna qualche
Sorpresi anche perché accostandosi alla tù. Certo è che a Pieve porterà la sua chi- cosa di estremo, la fine di un’epoca (e qui
polivalente figura di Francesco Guccini tarra e chissà che l’affetto della gente di gli chiederemo: “Ma che cos’è l’anfesibeper la prima volta, scoprono che oltre ad montagna non riesca anche a strappargli na?”). Ricorderà con il brano “Quel giorno
essere autore delle già note canzoni L’av- qualche nota. Alla fine della proiezione del d’aprile” il giorno della liberazione, con
velenata e La locomotiva, è anche l’autore dvd Francesco Guccini salirà comunque “Su in collina” la guerra partigiana, con “Il
di Noi non ci saremo, Auschwitz (La can- sul palco per rispondere alle domande del testamento di un pagliaccio”, la situazione
zone del bambino nel vento), Dio è morto, pubblico. Racconterà, sicuramente, qual- attuale. Parlerà dei suoi progetti futuri, coIl vecchio e il bambino e Canzone per che aneddoto riguardante le registrazioni me quello di continuare a scrivere libri, ma
un’amica, solitamente conosciute dai più del disco, inciso non in uno studio di regi- c’è da scommetterci che una domanda su
giovani per essere state interpretate dai strazione ma nel mulino di Chicon a Pàva- tutte si eleverà tra il pubblico: “Francesco,
Nomadi.
na, dove “la batteria davanti al caminetto è davvero questa “l’ultima volta”?”.
Oltretutto, è anche l’autore di numerosi dava un’ottima sonorità” e dove dalle fineIrene Pampanin
libri, tra cui il più famoso è
“Croniche Epifaniche”, edito
da Feltrinelli, nel quale Guccini narra le vicende passate di
Pàvana, nel Pistoiese, paese
in cui il cantautore (nato a
rosegue il progetto avviato dal Museo con la pubblicazione, ogni mese, sul sito del MuModena nel 1940) trascorse
dell’occhiale lo scorso ottobre dal titolo seo (www.museodellocchiale.it), sulla pagina
gran parte dell’infanzia. Da ricordare poi i suoi camei cine- “Storie dietro gli occhiali” che si pone l’obietti- Facebook e sul mensile Il Cadore di alcune fomatografici, in particolare in vo di documentare (attraverso la raccolta di im- tografie storiche allo scopo di raccogliere noti“Radiofreccia” di Luciano magini, interviste, documenti cartacei e ogget- zie legate all’immagine proposta.
Nella foto di questo mese, si vede un gruppo
Ligabue, “Ti amo in tutte le ti) la memoria intorno all’importante attività di
lingue del mondo”, “Una mo- fabbricazione degli occhiali, sviluppatasi a parti- di “rappresentanti commerciali” cadorini
glie bellissima” e “Io e Mary- re dal 1878 e ancora presente in Cadore. Il pro- del 1970 (di cui sono già state riconosciute allin”, tutti diretti da Leonardo getto è partito con una campagna di interviste e cune persone, indicate a lato).
Pieraccioni.
L’incontro (gratuito e aperto a tutti) voluto dal Museo
dell’Occhiale nell’ambito di
un progetto di richiamo culturale ed artistico, è presentato
dal giornalista Bepi Casagrande, sarà dunque un’occasione unica per incontrare un
grande cantautore di cui, un
altro grande, Giorgio Gaber,
disse: “Ricordatevi: Sting è
molto bravo, però tenetevi il
vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su
una locomotiva, può scrivere
davvero di tutto”.
A Pieve di Cadore Francesco Guccini presenterà il dvd
girato in occasione della registrazione del suo ultimo lavoro discografico, “L’ultima
Thule”(2012), già disco di platino per aver venduto oltre
60.000 copie e che segna per
Guccini una “chiusura in bellezza”. Questo è infatti l’ultiSe qualcuno che si riconosce nella fotografia vuole segnalare o raccontare la
mo lavoro del cantautore che
propria storia, può scrivere a [email protected] o tel. 0435/32953
ha dichiarato di non voler più
STORIE DIETRO GLI OCCHIALI
P
I suoi brani più famosi
“Lʼavvelenata”
“La locomitiva”, “Auschwitz”
“Il vecchio e il bambino”
“Noi non ci saremo”
“Dio è morto”
“Canzone per unʼamica”
“Amerigo”, “Eskimo”
me “artigiano” piuttosto che artista, rimanere con i piedi ben saldi per terra ma a
fondo nelle proprie radici.
La musica di Francesco Guccini ha però
regalato grandi ali a chi con le sue canzoni
è cresciuto: agli studenti universitari che
consideravano i suoi brani “poesie urbane
narranti le gesta epiche dei vent’anni” e ne
facevano la colonna sonora di lunghi viaggi in treno; a quei giovani che andavano a
Bologna “da Vito” solo per intravederlo e
mangiavano “tirando le orecchie” per riuscire ad ascoltare gli aneddoti raccontati
con la sua inconfondibile voce; a chi si sentiva (e si sente) vicino al mondo da egli
narrato, genuino e toccante; a chi nei suoi
testi si è sempre ritrovato, dall’infanzia fino ad oggi e lo percepisce vicino quasi come un familiare, immerso nella descrizio-
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SPORT
SCI ALPINISMO
’ una disciplina agonistica
E
giovane che però sta conquistando sempre maggiori attenzioni dai media e soprattutto dagli
appassionati. Lo sci alpinismo,
pratica sportiva in continua espansione ha visto in febbraio la
massima competizione mondiale organizzata a Pelvoux in
Francia con la partecipazione
di oltre 200 atleti. L'Italia ha
schierato una squadra assai competitiva che ha raccolto 29 podi ed
una serie brillante di medaglie
d'oro; sucesso che confermano la
nazionale azzurra tra le "grandi
potenze" di questo sport.
Molte le prestazioni sportive di
rilievo, ma su tutte spicca per
continuità e prestigio quella di
Alba De Silvestro, la 17enne atleta cadorina, originaria di Padola che ha conquistato ben quattro medaglie, con tre ori (vertical
race, individuale e staffetta) e un
argento (gara sprint) . Naturalmente il rientro a Padola di Alba, accompagnata dal direttore tecnico
della nazionale Oscar Angeloni, è
stato trionfale. Parenti, amici, conoscenti, ed anche il sindaco Mario Zandonella hanno voluto abbracciare e festeggiare la giovane
campionessa che ha conquistato
un successo storico per lo sport
bellunese e veneto. Hanno suonato
perfino le campane e il paese è stato addobbato con grandi tricolori e
striscioni che inneggiano all'impresa. La famiglia De Silvestro vive
a Padola paese di origine di
mamma Tranquilla, mentre il
papà Antonio è di Vallesella,
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AI CAMPIONATI MONDIALI IN FRANCIA LA RAGAZZA
CADORINA VINCE TRE MEDAGLIE DʼORO E UNA DʼARGENTO
BRILLA LA STELLA DI ALBA DE SILVESTRO
Alba è estremamente calma e risponde tranquillamente alle domande, nonostante la stanchezza
per le gare sostenute e il viaggio
estenuante dalla Francia. “Non mi
aspettavo un'accoglienza così bella.
Ringrazio davvero tutti. Mi ha fatto
molto piacere”. Di categoria junior
pratica lo sci alpinismo solo da un
anno. “Prima facevo sci alpino e
corsa in montagna d'estate. Poi mi
hanno proposto di provare con lo sci
alpinismo ed è andata bene”. Quarto anno all'istituto tecnico per periti edili di Pieve di Cadore, quali altri hobby? “Quelli di tutti i ragazzi,
anche se mi avanza poco tempo tra
la scuola e gli allenamenti”.
Oscar Angeloni direttore tec-
La giovane campionessa che ha conquistato
un successo storico è stata trionfalmente
festeggiata al suo rientro a Padola
“Pratico lo sci alpinismo da solo un anno,
ha ricordato Alba, prima facevo
sci alpino e corsa in montagna d’estate”
nico della nazionale azzurra è
raggiante. “Un successo oltre ogni
più rosea previsione. Vincere il medagliere con 29 podi in casa della
Francia, da sempre nazione di grande spessore tecnico, è soddisfazione
grandissima. Il merito va a questi
giovani e ad Alba in particolare, che
si sono espressi su livelli altissimi”.
Un successo che rilancia l'immagine di questo sport. “Sicuramente. Lo sci alpinismo è sport giovane che deve conquistare un suo
spazio, aumentando il numero delle
federazioni e dei praticanti. Questi
risultati sono la migliore pubblicità
che possiamo offrire. Inoltre potranno anche rappresentare uno stimolo
per la pratica turistica e non solo
agonistica, che sta conquistando
sempre più spazio nella stagione invernale”. Ed ora? “Abbiamo ancora
due gare di coppa del mondo in Italia e Spagna, poi un po' di riposo”.
Papà Antonio e mamma Tranquilla non hanno dormito per l'emozione. Sono visibilmente commossi e guardano la loro campionessa con tanta soddisfazione.
Padola, dopo i grandi successi
nel fondo di Virginia De Martin, si
scopre sempre di più fucina di
campioni con la bravissima Alba
De Silvestro.
Livio Olivotto
PADOLA - FINALI
REGIONALI DI
SCI NORDICO
'Unione Sportiva Valpadola ha organizzato nel mese di
L
febbraio la fase regionale dei campionati ragazzi e allievi di sci nordico, valevole per le qualificazione alle finali nazionali, dove accedono i primi venti in ambito maschile e
femminile. Nell'occasione si è svolto anche il campionato
regionale Giovani & Seniores, trofeo Regola di Padola
con oltre 200 partecipanti. Una abbondante nevicata ha
reso le condizioni di gara particolarmente difficili, ma tutto si
è svolto nel migliore dei modi grazie allo staff organizzativo.
Ottime le prestazioni degli atleti cadorini, in particolare
quelli della U. S. Valpadola prima nella classifica per società, dello Sci club Cortina e del G.S. Centro Cadore.
Durante la cerimonia di premiazione alla presenza del sindaco Mario Zandonella e del vicepresidente della Regola di
Padola Valentino Ribul, il ringraziamento agli organizzatori
del rappresentante del Comitato Veneto della FISI Giuseppe Dalla Corte.
Livio Olivotto
Podio Società:
1a US Valpadola
1° Allievi m.
Marcello De Martin
1° Junior m
Michele De Bettin
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SCI DI FONDO
t a per concludersi
S
un’altra stagione invernale ma le attività del Grup-
m
n
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po Sportivo Centro Cadore non finiscono mai. Dopo
aver gestito la pista di fondo
“Pineta” di Lorenzago ed
aver organizzato corsi e gare di sci nordico, il sodalizio
cadorino è pronto a far festa.
Infatti, il 24 marzo, nella
sede dell’associazione a
Calalzo, soci e simpatizzanti
si ritroveranno per un momento conviviale durante il
quale festeggeranno la conclusione della stagione agonistica premiando tutti i partecipanti della gara sociale
disputata il 1° marzo alla
pista “Pineta”.
Una gara questa dove si
sono sfidati, divisi per categorie, una quarantina di ragazzi della società, in una
gimkana divertente ed impegnativa preparata per l’occasione dai maestri. Fondamentale anche il supporto a
bordo pista di genitori e sostenitori che non hanno fatto mancare il loro tifo. Qualcuno ha vinto sì, ma la cosa
più importante era divertirsi
e quindi, per una volta, lasciamo le classifiche da parte. Un’applauso va fatto a tutti i partecipanti, con o senza
gli sci ai piedi. Il Gruppo
Sportivo Centro Cadore, si
era impegnato ad organizzare anche l’appuntamento del
Trofeo Lattebusche in
programma il 17 febbraio, dove a Lorenzago sono saliti oltre 160 giovani
partecipanti, che assieme alle famiglie, hanno dato vita
ad un’intensa giornata di
sport sicuramente da ricordare.
La pista di fondo di Lorenzago è un fiore all’occhiello per gli amanti di
questa disciplina: immersa tra i fitti boschi che fanno
corona al massiccio dei
monti Cridola e Miaron, ad
una quota di 1.056 metri. È
composta da anelli con una
lunghezza di 2.5, 3, 4 e 5 km,
adatti sia per la pratica della
tecnica classica che della
tecnica libera. Fornita di illuminazione, è dotata di omologazione nazionale, offrendo la possibilità di organizzare gare.
Il presidente del Gruppo Sportivo è Massimo
Calligaro, che già da qualche tempo ha dato il cambio
al vertice dell’associazione
all’inossidabile Silvano Cetta. “La stagione è andata benissimo - afferma Calligaro e durante la gara sociale è
stato davvero bello vedere tutti i nostri piccoli atleti dare il
massimo. Stiamo lavorando
bene da diversi anni e va dato merito agli allenatori
Marco Corona e Margherita Valcanover che cominciano già a fine settembre a portare i ragazzi ad allenarsi
con gli skiroll per prepararli
al meglio in vista della stagione invernale. Quest’anno
gli allenamenti, vista la scarsità di neve iniziale, si sono
svolti sia a Misurina che a
Padola con lunghi ed impegnativi trasferimenti che
hanno richiesto uno sforzo a
tutti. Finalmente, trasferitisi
a Lorenzago abbiamo potuto
continuare la preparazione
in vista delle gare. I risultati
non sono mancati e quest'anno riusciremo a porta-
Gara sociale alla pista Pineta di Lorenzago lʼ1 marzo per il Gruppo
Sportivo Centro Cadore che conta 26 anni di soddisfazioni
IL GRUPPO S.C.C. FA DAVVERO MOLTO
PER LA CRESCITA SPORTIVA DEI RAGAZZI
Il Presidente Massimo Calligaro: “La stagione è
andata benissimo, molto del merito va dato agli
allenatori Marco Corona e Margherita Valcanover”
“Questʼanno portiamo i giovani Denis Zannantonio e
Matteo De Bernardo ai Campionati Italiani di Cogne”
votto Mirco, Volksbank di Domegge di Cadore, Supermercati A&O di Tai di Cadore,
Som Occhiali) per il fondamentale sostegno, tra l’altro
in difficili momenti economici come quelli che stiamo vivendo. Siamo riusciti, assieme al Gruppo Marciatori Calalzo, ad acquistare anche un
pulmino per facilitare i trasporti, un fatto di cui andiamo molto fieri”.
Le attività del Gruppo
Sportivo Centro Cadore non
si esauriscono con l’inverno.
CENA SOCIALE IL 24 MARZO
PER LA CONCLUSIONE
DELLA STAGIONE AGONISTICA
re due nostri giovani ai
campionati italiani di Cogne in Valle d’Aosta, in programma il 17 marzo”.
I fortunati rispondono al
nome di Lara De Bon e Simone Polito, due fondisti
che hanno saputo distinguersi durante la stagione: a
loro va il miglior in bocca al
lupo da parte di tutta l’associazione e anche il nostro!
Un’altra atleta di spicco è
Cristina Corona, appena rientrata da un Campus organizzato dalle Fiamme Gialle.
Un’esperienza che servirà sicuramente alla ragazza cadorina, durante la quale ha potuto conoscere molte coetanee e vedere da vicino gli allenamenti del Soccorso Alpino.
La pista “Pineta” è stata
gestita da Denis Zannan-
tonio e Matteo De Bernardo, due giovani appassionati
di montagna che hanno garantito, durante il rigido inverno ai piedi del Passo della
Mauria, il servizio di noleggio sci e l’assistenza. Inoltre,
tre maestri qualificati, con
impegno e dedizione, hanno
promosso un corso di sci
che ha riscosso successo e
partecipazione. “Devo ringraziare queste persone - prosegue Calligaro - a cui vanno
i miei complimenti per la professionalità dimostrata. La pista era sempre impeccabile e
nessun ospite si è mai lamentato di qualcosa. Un ringraziamento va poi a tutti gli
sponsor (Comuni di Calalzo e
Domegge, Banca Rurale di
Cortina d’Ampezzo, Assicurazioni Generali di Pieve di Cadore, Renault Service di Oli-
Il sodalizio sportivo, fino a
qualche anno fa, organizzava
a Calalzo anche una gara di
duathlon (corsa e bicicletta)
che poi, per diverse ragioni,
non si è più riusciti a ripresentare. Un appuntamento
unico nel suo genere in Cadore che rappresentava un
importante momento d’incontro e di sfida tra i ragazzi.
“Il nuovo consiglio è molto
consolidato - conclude il presidente - e stiamo proprio pensando di riproporre in ottobre
la gara di duathlon. Dobbia-
mo ancora decidere su alcune
questioni ma speriamo di riuscire ad organizzarla”.
Il Gruppo Sportivo Centro
Cadore, continuazione del
Gruppo Agonistico Centro
Cadore nato nel 1987, dispone di uno sito internet
www.gscentrocadore.it sul
quale si possono trovare curiosità, classifiche, foto, video e news di una società
che sta davvero facendo molto per la crescita sportiva dei
ragazzi del territorio.
Daniele Collavino
M. Nadalet
T. Albrizio
M.N.
M.N.
M.N.
2a C ia s p a lo n g a
d e ll e
M a r m a ro le
M.N.
T.A.
T.A.
M.N.
sabato 16 febbraio 2013
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