Corte dei conti
Consiglio di Presidenza
Corso di formazione ed aggiornamento:
“Spese giudiziali e spese legali”
Roma, 8 luglio 2010
Intervento:
La regolazione delle spese
nel giudizio pensionistico
di Piergiorgio Della Ventura
Sommario:
1. Premessa. La regolamentazione generale delle spese giudiziali: spese di giustizia e spese legali. 2. Il regime delle spese di lite nelle controversie previdenziali: le spese di giustizia.
3. Le spese legali. La normativa in materia. 4. Le tradizionali
posizioni della giurisprudenza contabile sulle spese legali nei
giudizi di pensione. 5. Le più recenti pronunzie dei giudici
contabili: l’ipotesi di soccombenza del pensionato. 6. La soccombenza dell’amministrazione e la sentenza n. 4/2009/QM
delle Sezioni riunite. Conclusioni.
= ° =
1. Premessa. La regolamentazione generale delle spese giudiziali: spese di giustizia e spese legali
Quando si parla di spese “di lite”, o del giudizio, ci si riferisce (spesso
indifferentemente) a tutti gli oneri che l’attività giurisdizionale comporta: e cioè,
da un lato, le spese relative al compimento degli atti processuali – tasse di bollo, diritti, notifiche, consulenze tecniche d’ufficio, etc. – che costituiscono le
spese di giustizia e, dall’altro, le spese legali, quelle connesse con il pagamento degli onorari dei difensori. I due aspetti, specie per ciò che riguarda il processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti, vanno tenuti distinti.
E’ noto che, ordinariamente, tutte le spese del giudizio - da intendersi,
appunto, sia quelle relative ai legali patrocinatori delle parti, che quelle pretese
dallo Stato per il servizio "giustizia" - devono essere poste a carico dalla parte
soccombente.
Il principio generale, fissato dall’art. 91 c.p.c., è infatti nel senso che il
giudice condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore
dell’altra parte 1. E’ quindi corretto assumere che il fatto oggettivo della soc1
Si riporta il testo completo dell’art. 91 c.p.c. (“Condanna alle spese”), nella sua attuale formulazione, a seguito della novella di cui alla legge 18 giugno 2009, n. 69: “[1] Il giudice, con la
sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso del-
2
combenza assurge a criterio generale (e principale) per l’individuazione della
parte tenuta al pagamento delle spese di causa 2: in altri termini, di fronte
all’alternativa tra individuare un criterio genericamente valido per imputare le
spese di giudizio ad una delle parti in causa e mantenere le stesse a carico di
chi le ha anticipate, a prescindere dall’esito dell’azione, il codice di rito ha disposto nel senso di condannare al pagamento degli oneri (propri, dello Stato e
di controparte) il soccombente.
La soluzione adottata dal legislatore, allora, intende far sì che la parte
che ha inutilmente resistito o inutilmente agito pur non avendone diritto, sia
sottoposta ad una sorta di ulteriore sanzione civile. In realtà, più che di una
sanzione, di ambigua configurazione poiché disposta dall’Autorità giudiziaria in
favore di un soggetto privato e non dello Stato, si tratta di uno degli effetti dovuti ad una certa condotta processuale; tale criterio ha comunque il pregio di
essere avvertito come socialmente corretto nel maggior numero di casi, proprio perché è normalmente valutato come ingiusto il comportamento di chi ha
resistito, o se attore ha agito, pur non avendone ragione: per ciò stesso, e anche per avere inutilmente impegnato le forze della giustizia, egli deve essere in
qualche modo colpito. Per le stesse ragioni, in caso di rinunzia, le spese vanno
poste a carico del rinunziante 3; infine, nell’ipotesi di estinzione del giudizio per
sopravvenuta cessazione della materia del contendere, l’eventuale addebito
delle spese va verificato con il criterio della c.d. “soccombenza virtuale” 4.
le spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se
accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la
parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92 [2] Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto
sono liquidate dall'ufficiale giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata.
[3] I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste
negli artt. 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario”.
2
V. PUNZI, C:, Il processo civile, vol. I, II ed., Torino 2010, pag. 366; SASSANI, B., Lineamenti
del processo civile italiano, II ed., Milano 2010, pag. 401.
3
Dispone l’art. 306 c.p.c.: “[1] Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando
questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. (…)
[4] Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro (…)“.
4
Cfr., per il giudizio contabile, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 luglio
2001, n. 1155; v., ancora, Sezione giurisdizionale Lombardia, 18 dicembre 2008, n. 961. In
dottrina, v. SCIASCIA M., Diritto processuale contabile, IV ed., Milano 2009, pag. 242.
3
Prevede poi l’art. 92 c.p.c. che, nell’ipotesi di reciproca soccombenza,
ovvero per altre “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” (secondo la nuova formulazione dettata dall’art. 45, comma 11 della
L. 18 giugno 2009, n. 69), il giudice può compensare, in tutto o in parte, le
spese di causa 5; si tratta di tutti quei casi in cui applicando, sic et simpliciter, il
principio della soccombenza, si otterrebbe un risultato ingiusto se fossero addossate al soccombente, quanto meno totalmente, le spese di causa 6.
In ogni caso, la possibilità di compensazione delle spese tra le parti è
ora molto più circoscritta che nel passato, e legata a quelle gravi ed eccezionali ragioni, delle quali peraltro il giudice è tenuto a dare espressamente conto
nella motivazione della sentenza 7.
La nuova disposizione, ai sensi dell’art. 2, comma 4 della L. 28 dicembre 2005, n. 263, entra in vigore il 1º marzo 2006
8
e si applica ai soli procedi-
menti instaurati successivamente a tale data.
Più in particolare, quanto all’ipotesi di compensazione totale, la giurisprudenza precedente alla legge n. 69/2009 aveva avuto occasione di tipizzarne i casi: a) la peculiarità, in fatto o in diritto, della vicenda; b) l’impossibilità
di decidere il giudizio prima della fase istruttoria; c) la novità della fattispecie
dal punto di vista dei precedenti; d) il contrasto giurisprudenziale sulla specifica materia; e) l’accoglimento della domanda attorea solo in forza di uno ius
superveniens oppure di sentenza di incostituzionalità; ecc..
5
In origine la norma parlava, più semplicemente, di “altri giusti motivi”; una modifica, precedente a quella della legge del 2009, era stata già apportata dall’art. 2 L. 28 dicembre 2005, n.
263, che aveva aggiunto l’inciso “… esplicitamente indicati nella motivazione”.
6
Si riporta il testo completo dell’art. 92 c.p.c., nella sua attuale formulazione: “[1] Il giudice, nel
pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese
sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente
dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che,
per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte. [2] Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate
nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.
[3] Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse
abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”.
7
DELLA VENTURA P., in AA.VV. (a cura di GARRI F.), I giudizi innanzi alla Corte dei conti, IV
ed., Milano 2007, pag. 624.
8
Termine così modificato dall’art. 39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con L. 23 febbraio 2006, n. 51.
4
E’ verosimile, peraltro, ritenere che tali “ampie” indicazioni siano da rivedere, alla luce della più severa, attuale formulazione del secondo comma
dell’art. 92 c.p.c., il quale consente un ricorso più limitato, da parte dei giudici,
alla compensazione delle spese di lite.
Sempre con riferimento ai profili generali, occorre tenere presente i principi posti dal successivo art. 96 del c.p.c., in tema di responsabilità aggravata
a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (lite temeraria) e che, su istanza dell'altra parte, va condannata alle spese e al risarcimento dei danni. L’art. 45, comma 12 della legge
n. 69/2009, cit., ha poi aggiunto alla norma in esame un terzo comma, ai sensi
del quale “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91,
il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Anche questa disposizione contribuisce a rendere indubbiamente più
difficile la posizione del soccombente, laddove consente al giudice di determinare una somma a suo carico, anche in difetto di richiesta di parte e anche se
non sussistessero tutti i presupposti di una lite temeraria.
2. Il regime delle spese di lite nelle controversie previdenziali: le spese di giustizia
Con riferimento alle spese di giustizia, va premesso che le cause di lavoro e previdenza, per antica tradizione, sono caratterizzate da una tendenziale gratuità e quindi, in primo luogo, dall’esenzione dalle varie imposte.
In particolare, per il processo innanzi alla Corte dei conti occorre fare riferimento, in primo luogo, alla disciplina delle spese di giustizia nel
processo pensionistico di guerra. Quest’ultimo gode di una serie di esen-
5
zioni fiscali e contributive, fissate da varie normative succedutesi nel tempo:
1. esenzione dall’imposta di bollo sui ricorsi (posta, da ultimo, dall’art.
116 del D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 e successive modificazioni);
2. esenzione dalla tassa fissa di ricorso di cui all’art. 5 della legge 21
marzo 1953 n. 161 (attualmente, v. l’art. 257 del testo unico sulle spese di giustizia – D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115);
3. esenzione dall’imposta di bollo per le sentenze e per gli altri atti del
processo (art. 12 della tab. "Allegato B" annessa al D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 642, come modificato dall'articolo 28 del D.P.R. 30 dicembre
1982, n. 955);
4. esenzione dalle spese per le consulenze tecniche di ufficio, da ritenersi implicita nella prefigurazione di organi interni alla pubblica amministrazione deputati a fornire pareri medico-legali al giudice contabile
(Ufficio medico legale presso il Ministero della salute, Collegio medico
legale presso il Ministero della difesa e, oggi, anche gli ospedali civili e
militari: v. art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658, richiamato dall’art 1,
comma 3, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito in
legge 14 gennaio 1994, n. 19) 9.
Dal complesso di tali previsioni normative, la pacifica giurisprudenza
contabile, quanto alle spese di giustizia, ha tratto la voluntas legis di una
completa gratuità dei giudizi pensionistici di guerra 10.
9
PEZZELLA F., Le spese di giudizio nel processo pensionistico dinanzi la Corte dei Conti, inedito, in corso di pubblicazione. Sempre con riferimento alle spese per le consulenze tecniche d’ufficio, parte della dottrina contesta che esse seguano il generale principio della gratuità
e ritiene che debbano, invece, seguire il criterio ordinario della soccombenza, ex art. 91 c.p.c.;
in tal senso, v. ORICCHIO M., Il contenzioso previdenziale, Padova 2010, pag. 446 e segg.. In
giurisprudenza, v. nello stesso senso Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Basilicata, 5 luglio 2001, n. 190.
10
Cfr., ex plurimis, Sezione I app., 27 dicembre 2001, n. 389, la quale addirittura esclude ogni
possibile condanna alle spese del privato, anche per quanto riguarda le spese legali e nel caso di responsabilità aggravata: “Attesa l'essenziale gratuità del processo pensionistico di guerra, che esclude l'applicazione analogica dell'art. 96 c.p.c., in nessun caso la parte privata rimasta soccombente può essere condannata alla rifusione delle spese, ivi comprese quelle legali e di difesa sopportate dalla controparte, neppure quando essa abbia agito o resistito in
giudizio in mala fede o con colpa grave”.
6
Per quel che riguarda la generalità dei giudizi pensionistici (civili, militari
e di guerra) il regime fiscale è parimenti nel senso che tutti gli atti relativi al
processo - quindi i ricorsi, le istanze, le memorie di parte, le certificazioni, le relazioni, ed infine le decisioni stesse – sono esenti dall’imposta di bollo e da
ogni altra tassa, spesa o diritto di qualsiasi natura, e devono essere redatti in
carta semplice: art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito
dall’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 11.
La Corte Costituzionale, con sentenza 6 luglio 2001, n. 227, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge
n. 533/1973, cit., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
precisando che la prevista esenzione fiscale si applica a tutti i procedimenti,
anche non formalmente previsti dalla norma (la questione riguardava l’azione
revocatoria esercitata per conservare la garanzia patrimoniale del credito di lavoro), ma comunque finalizzati alla tutela del credito di lavoro 12.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 10 in questione era stato abrogato, con decorrenza 1° luglio 2002, dall’art. 23, comma 2 della legge 29 marzo 2001, n.
134; pochi mesi dopo, tuttavia, il su detto art. 23, comma 2 è stato sostituito
dall’articolo unico della legge 6 dicembre 2001, n. 437, il quale dispone che “Il
testo della legge sul gratuito patrocinio, approvato con R.D. 30.12.1923, n.
3282 e gli articoli da 11 a 16 della legge 11 agosto 1973, n. 533 sono abrogati
a decorrere dal 1.7.2002”. In conseguenza di quanto sopra, è stato ritenuto
11
Si riporta il testo della norma: “Gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle cause per
controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai
provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o
previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro nonché alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore o di competenza,
dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
(OMISSIS)”.
12
Sempre con riferimento al processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti, è opportuno
poi ricordare la sentenza n. 103 del 23 aprile - 6 maggio 1976, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell’art. 5 della L. 21 marzo 1953, n. 161, laddove prevedeva il versamento di una tassa fissa, inizialmente di L. 3.000. Sono stati in seguito soppressi gli ulteriori contributi previsti in proposito: il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 24 dicembre 1988 - emanato ai sensi dell'art. 14 della L. 20 settembre
1980, n. 576 e succ. mod. - ha soppresso, a decorrere dal 1° gennaio 1989, il contributo di L.
10.000 a favore della Cassa avvocati, di cui alla tabella B allegata alla L. 22 luglio 1975, n.
319; sempre il citato art. 14 L. n. 576/1980 ha infine disposto la cessazione, a partire dal 31
dicembre 1984, del contributo oggettivo, previsto per ciascuna decisione della Corte dei conti,
di cui alla successiva tabella C della medesima legge n. 319/1975.
7
che, non essendo più prevista l’abrogazione dell’art. 10 L. n. 533/1973, per i
giudizi in materia previdenziale sia stata confermata l’esenzione dall’imposta di
bollo e dal contributo unificato 13.
Di recente è però intervenuto l'articolo 24 del D.L. 25 giugno 2008, n.
112, conv. con L. 6 agosto 2008, n. 133 (“Taglia-leggi”), che ha nuovamente
disposto - tra gli altri - l’abrogazione dell’articolo unico della legge n. 319/1958,
così come successivamente modificato e sostituito.
Tuttavia, va chiarito che l’abrogazione dell’articolo unico della legge n.
319/1958 trova la sua ragion d’essere nella circostanza che analoghe esenzioni fiscali erano già state trasfuse all’art. 10 del testo unico sulle spese di
giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, cit.) con riferimento al contributo unificato (quindi, si sono trasformate in esenzioni dal contributo unificato); la norma abrogatrice, però, non ha tenuto conto dei processi - tra i quali quello contabile - ai quali non si applica la disciplina sul contributo unificato.
E’ possibile, allora, ritenere che si tratti di una mera dimenticanza che,
in quanto tale, non può comportare alcun effetto penalizzante per i processi
contabili, anche perché vi sarebbe comunque ampio spazio interpretativo per
ridurre ad unità, sotto i profili qui in considerazione, la disciplina delle esenzioni dalle spese di giustizia, senza discriminare i processi non assoggettabili
a contributo unificato 14.
In conclusione, è da ritenere che tuttora, nel contenzioso pensionistico
innanzi al Giudice contabile, non abbiano rilievo alcuno le spese di giustizia,
per l’esenzione “… dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”, disposta dall’art. unico della L. 2 aprile 1958,
13
Per una ricostruzione completa dell’intera vicenda, v. ORICCHIO, cit., pag. 430 e segg..
E’ la tesi, del tutto condivisibile, di PEZZELLA, cit.. Anche la Sezione III d’appello, con sentenza 29 dicembre 2009, n. 609, proprio con riferimento al sopravvenuto art. 24 D.L. n.
112/2008, ha provveduto a ribadire la persistenza del “…principio di gratuità posto, per le cause previdenziali, dall’art. 10 della l. n. 533/1973; principio al quale la giurisprudenza di questa
Corte attribuisce carattere di generalità (cfr. Sez. 4^ Pens. Mil. n. 73062/1989, n. 76190/1990 e
n. 77639/1991), in contrasto con quella del Giudice ordinario (cfr. Corte di cassazione n.
5996/1979), ma in coerenza con la rubrica della predetta disposizione. Va solo chiarito, trattandosi di norma abrogata con l’art. 24 d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008, che il presente giudizio d’appello è stato instaurato in data anteriore alla decorrenza dell’abrogazione
stessa e che, comunque, innanzi a questa Corte non trovano applicazione le regole sul contributo unificato, il che depone per il sostanziale persistere del principio in parola nell’ambito processuale che ne occupa”.
14
8
n. 319, come sostituito dall’art. 10 della L. 11 agosto 1973, n. 533. In questo
senso, comunque, si è sempre pronunziata la costante giurisprudenza contabile, anche successiva al su detto D.L. n. 112/2008: v., ex multis, Corte dei conti,
Sezione I app., 18 novembre 2009, n. 642 e 23 novembre 2009, n. 648; Sezione III app., 1 ottobre 2007, n. 272; Sezione giurisdizionale Lombardia, 13
aprile 2006, n. 253 e 9 ottobre 2007, n. 481; v., inoltre, Sezione IV pensioni militari, 9 febbraio 1989, n. 73062 e 27 dicembre 1991, n. 77639 15.
Sempre a proposito delle spese di giustizia, va evidenziato come la
giurisprudenza contabile sia solita regolare tali spese con la formula “spese
compensate“ o altra equivalente: v. Sezione IV pensioni militari, 17 febbraio
1976, n. 43379; Sezione III pensioni civili, 13 maggio 1986, n. 59005; Sezione giurisdizionale Sardegna, 21 dicembre 1987, n. 734; Sezione I app., 5
maggio 2010, n. 314 e 4 maggio 2010, n. 307; Sezione II app., 6 maggio
2010, n. 175 e 4 maggio 2010, n. 162.
Per la verità, la formula “spese compensate”, riferita alle spese di giustizia, non appare del tutto corretta, giacchè tali spese nei processi pensionistici ordinari non sono dovute (e, allora, non possono essere suscettibili di alcuna compensazione). Pertanto, nella prassi, l’espressione “spese compensate” ha lo stesso significato e ha prodotto i medesimi effetti della formula
“nulla per le spese” (non a caso caratteristica dei giudizi per pensioni di guerra, per i quali mai si è dubitato della relativa gratuità): in entrambe le ipotesi il
pensionato soccombente è lasciato esente dall’obbligo del pagamento delle
spese di giustizia.
In ogni caso, nelle pronunzie più recenti si inizia ad adottare, sempre
più di frequente, anche per i processi pensionistici ordinari, la formula “nulla
per le spese”, con espresso richiamo al principio di gratuità delle spese di
giustizia, ritenuto di portata generale: v. Corte dei conti, Sezione III app., 29
dicembre 2009, n. 609 (il cui passaggio argomentativo sulle spese di giustizia
15
In dottrina, v. CORSETTI A., Le pensioni dei dipendenti pubblici – regime sostanziale e tutela processuale, Padova 2007, pag. 396 e CASO L., in AA.VV. (a cura di TENORE V.), La nuova Corte dei conti, Milano 2008, pag. 951.
9
è riportato alla nota 14), 19 aprile 2010, n. 299 e 21 aprile 2010, n. 315; Sezione II app., 4 maggio 2010, n. 157 e 4 maggio 2010, n. 159.
3. Le spese legali. La normativa in materia
Più articolato e complesso è il problema delle spese legali nel contenzioso previdenziale.
La materia è disciplinata in modo diverso rispetto al rito ordinario, poiché, mentre per quest’ultimo la regola generale dell’art. 91 c.p.c. (già in precedenza esaminato) è nel senso che la parte soccombente rimborsi le spese di
lite alla controparte vittoriosa, nel processo previdenziale si applica l’art. 152
disp. att. c.p.c. il quale, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’esonero
dalle spese di lite per il lavoratore che avesse intrapreso una causa previdenziale e fosse poi risultato soccombente nei confronti dell’ente previdenziale 16.
La norma era stata abrogata dall'art. 4 del D.L. 19 settembre 1992, n.
384, conv., con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438; tale ultima
disposizione veniva, però, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte
Costituzionale, con sentenza 13 aprile 1994, n. 134.
Più di recente, l’art. 152 in esame è stato profondamente modificato
dall’art. 42, comma 11, del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge
24 novembre 2003 n. 326; quest’ultimo dispone che la parte soccombente,
salva la previsione di cui all’art. 96 c.p.c. (responsabilità processuale aggravata per lite temeraria), non possa essere condannata alle spese di lite solo ove
sia titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 a
3, e 77 del T.U. sulle spese di giustizia, di cui al D.P.R. n. 115/2002, cit.. Il rin16
L’originaria formulazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. era: “152. Spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali — Il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per
ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento di spese, competenze ed
onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non sia manifestamente infondata e temeraria”.
10
vio operato dalla norma, dunque, è alla legge sul gratuito patrocinio a spese
dello Stato, nei giudizi sia civili che penali; quest’ultima normativa individua lo
stato di non abbienza, ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, prendendo
a riferimento il reddito del richiedente e, se convivente, dell’intero nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia. Ai fini del calcolo del reddito del nucleo
familiare devono essere computati anche i redditi esenti dall’IRPEF (quali ad
esempio pensioni militari esenti, indennità di accompagnamento, rendita Inail,
pensione di guerra, casa di abitazione) o che sono soggetti alla ritenuta alla
fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
La nuova disposizione è entrata in vigore il 1º ottobre 2003 e si applica
ai soli procedimenti instaurati successivamente a tale data 17.
La ratio dell’innovazione normativa va inquadrata in un’ottica di contenimento delle vertenze in materia previdenziale, il cui numero (e onere complessivo) è sempre stato elevato, grazie anche alla sostanziale assenza di
spese di qualsiasi tipo (fiscali, di assistenza – giacchè il ricorrente, almeno innanzi alla Corte dei conti, può costituirsi personalmente – e finanche quelle legate alla soccombenza). Tale tendenza normativa, finalizzata alla deflazione
del contenzioso, è proseguita con la più recente legge 18 giugno 2009, n. 69, il
cui art. 52, comma 6, ha aggiunto un ulteriore, ultimo periodo all’art. 152 disp
att. c.p.c.: “Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi
per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione
dedotta in giudizio”
18
: ciò all’evidente scopo di scoraggiare la proposizione di
17
Come precisato da Cassazione, SS.UU., 1° marzo 2004, n. 4165 e 8 marzo 2004, n. 4657;
in dottrina, v. VENTURINI L., Il giudizio pensionistico pubblico, Roma 2009, pag. 205 e ORICCHIO, cit., pag. 439.
18
L’art. 152 disp. att. c.p.c., nella sua attuale formulazione, così recita: “152. Esenzione dal
pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali — Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo
comunque quanto previsto dall'art. 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può
essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare,
nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante
dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli
artt. 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito,
le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi
2 e 3 dell'art. 79 e l'art. 88 del citato testo unico di cui al d.p.r. n. 115 del 2002. Le spese, com-
11
cause di minimo valore economico, che nel precedente regime di tendenziale
gratuità erano invece frequenti.
Il limite di reddito inizialmente previsto dalla legge n. 326/2003, per rinvio alla legge sul gratuito patrocinio, era pari a € 18.592,44 (ovvero due volte €
9.296,22 di cui ai citati artt. 76 e 77), innalzato di € 1.032,91 per ogni familiare
convivente, come risultanti dallo stato di famiglia, ed il cui reddito deve essere
anch’esso computato nel calcolo del reddito del nucleo familiare rilevante sia
nelle controversie previdenziali che nel gratuito patrocinio.
L’art. 77 del d.lgs. n. 115/2002 prevede anche che l’importo complessivo dei redditi debba essere adeguato ogni due anni in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai ed impiegati, verificatasi nel biennio precedente.
Un primo adeguamento è avvenuto con D.M. del Ministero della giustizia del 29.12.2005, per cui l’importo dei limiti di reddito si è elevato da €
18.592,44 a € 19.477,68, fermo restando l’elevazione di € 1.032,91 per ogni
familiare convivente. L’ulteriore modifica dei parameri di reddito è avvenuta a
distanza di oltre tre anni dall’ultimo intervento normativo in materia, con adeguamento dell’importo dei limiti di reddito previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, elevato da € 9.723,84 a € 10.628,16 annui e, quindi,
per le cause previdenziali a € 21.526,32: v., in proposito, il D.M. del Ministero
della giustizia 20.01.2009, pubblicato sulla G.U. n. 72 del 27 marzo 2009 (“Adeguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello
Stato”), con il quale è stata ritenuta la necessità di adeguare, per i periodi relativi al biennio 1°luglio 2004-30 giugno 2006 ed al biennio 1° luglio 2006-30
giugno 2008, il precedente limite di reddito fissato in € 9.723,84, essendosi verificata una variazione in aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati pari al 9,3% 19.
petenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono
superare il valore della prestazione dedotta in giudizio”.
19
Da notare che alla variazione in aumento del reddito del ricorrente non è corrisposta una variazione anche dell’importo di elevazione di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi (dei
quali comunque occorre computare il reddito da essi percepito); tale mancata elevazione appare per la verità poco aderente alla ratio della normativa in materia, sia in considerazione del
fatto che tale ultimo importo non è mai variato da quando è stato modificato l’art. 152 disp. att.
12
Attualmente, dunque, il beneficio dell’esonero delle spese processuali
permane solo in relazione al reddito del ricorrente e, perché sia possibile usufruirne, la norma prevede che l’interessato che si trovi nelle condizioni specificamente previste, formuli apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione
nelle conclusioni del ricorso giudiziario e si impegni a comunicare, finché il
processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatisi
nell’anno precedente. In assenza di tale dichiarazione, il giudice adìto dovrebbe dunque concludere per il superamento dei limiti di reddito fissati dalla norma, sopra tutto nei casi in cui l’interessato si sia avvalso di un patrocinatore
legale, che si deve presumere essere edotto degli obblighi di legge 20.
In sintesi, l’attuale regola per le spese legali nei giudizi in materia previdenziale è quella secondo cui la condanna alle spese del pensionato ricorrente
è sempre possibile in caso di lite temeraria di cui all’art. 96 c.p.c.; se non ricorre tale ipotesi di responsabilità aggravata, la condanna alle spese del privato è
esclusa solamente nell’evenienza di un reddito inferiore a quello innanzi indicato. In tutti gli altri casi, dovrebbe invece operare la regola generale della
soccombenza, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., già innanzi esaminati 21.
4. Le tradizionali posizioni della giurisprudenza contabile sulle spese legali nei giudizi di pensione
Il tema delle spese legali, com’è logico, può riguardare tanto la posizione del pensionato ricorrente in prime cure, quanto quella dell’amministrazione
(o, comunque, dell’istituto) previdenziale, che resiste nel giudizio innanzi alla
Sezione territoriale e in quello d’appello può essere, a seconda dei casi, parte
c.p.c., e a maggior ragione in una complessiva ottica di effettività della tutela dei diritti di natura
previdenziale ed assistenziale.
20
Così VENTURINI, cit., pag. 207.
21
Cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 9 ottobre 2007, n. 481; Sezione giurisdizionale Valle d’Aosta, 4 ottobre 2006, n. 12. In dottrina, v. ORICCHIO, cit., pag. 439; VENTURINI, cit., pag. 205; CORSETTI, cit. pag. 397; SCIASCIA, cit., pag. 883.
13
ricorrente o appellata.
Nel caso dell’amministrazione, in passato - vigente il vecchio rito – la
giurisprudenza escludeva decisamente la possibilità di una condanna alle spese, facendo riferimento alla peculiare posizione sia della p.a., che non era parte del giudizio, che del PM, figura all'epoca necessaria del processo pensionistico, quale rappresentante della legge: v., ad es., Corte dei conti, Sezione I
pensioni di guerra, 21 febbraio 1987, n. 283470
pensioni militari, 12 aprile 1990, n. 75009
23
22
, oppure, ancora, Sezione IV
; v., inoltre, Sezione IV pensioni di
guerra, 6 giugno 1991, n. 71429; Sezione IV pensioni militari, 11 febbraio
1991, n. 76064.
Ma anche nei confronti degli stessi pensionati ricorrenti, la giurisprudenza del tempo enucleava, rendendolo diritto vivente, il principio della gratuità del processo pensionistico, non solo quello di guerra: v., in particolare, Sezione IV pensioni militari, 9 febbraio 1989, n. 73062, ove si giudicava infondata l’istanza del PM, di condanna del ricorrente alle spese legali, sia perché –
argomentavano i giudici - l’allora vigente contesto normativo non prevedeva la
costituzione in giudizio della p.a. interessata, sia (appunto) per la gratuità del
giudizio stesso. Tale posizione era del tutto pacifica
24
e, anzi, è stata soste-
nuta a lungo, anche molto oltre l’entrata in vigore della riforma del 1994-96: v.
ad esempio Sezione I app., 27 dicembre 2001, n. 389, già innanzi riportata alla nota 10.
22
Secondo la quale “L'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., se riferito alla posizione processuale del privato, viene apprezzato di volta in volta dal giudice, mentre se concerne la posizione
del PM è apprezzato una volta per tutte dal legislatore, per cui, ove la norma riconosca un potere d'azione o di intervento a detto organo, il relativo interesse ad agire è presunto: pertanto, il
principio della soccombenza non si applica nei confronti del Procuratore generale della Corte
dei conti, stante, appunto, la sua natura di organo pubblico”.
23
Ove si afferma espressamente: “Nei giudizi pensionistici a totale carico dello stato non solo
non è previsto da alcuna norma che l'amministrazione debba costituirsi in giudizio ma neppure
può ritenersi che sia rappresentata dal Procuratore generale presso la Corte dei conti atteso
che le attribuzioni del medesimo - nella sua veste di PM - non tendono alla tutela dell'interesse
della p.a. ma perseguono un interesse pubblicistico circa l'esatta applicazione della legge; di
conseguenza l'amministrazione, non rivestendo la qualifica di parte processuale, non può
neppure essere condannata quale parte soccombente”.
24
Si vedano infatti in proposito, ex plurimis, Sezione I pensioni di guerra, 29 marzo 1988, n.
284825; Sezione IV pensioni militari, 21 novembre 1990, n. 76190; Sezione IV pensioni di
guerra, 6 giugno 1991, n. 71429.
14
Le leggi di riforma del 1994, come noto, hanno profondamente ridisegnato l’impianto del rito pensionistico, con l’eliminazione della figura e delle
funzioni del PM e la trasformazione di esso in un ordinario processo di parti,
inquadrabile nello schema delineato dal codice di procedura civile
25
. In con-
seguenza di ciò, anche l’atteggiamento della giurisprudenza in ordine alla regolazione delle spese legali è stato rivisto.
Per quel che riguarda in particolare la posizione dell’amministrazione,
hanno precisato alcune pronunzie che il processo pensionistico di primo grado
deve ritenersi gratuito, anche dopo la riforma, ma solo per il pensionato ricorrente, non già per l’amministrazione, che può pertanto essere condannata alla
rifusione delle spese, giudiziali e di difesa: v. Corte dei conti, Sezione I app.,
12 maggio 2003, n. 133; Sezione giurisdizionale Sardegna, 6 aprile 1995, n.
224; Sezione giurisdizionale Sicilia, 23 maggio 2006, n. 1855.
Dal lato del ricorrente, la giurisprudenza maggioritaria ha invece continuato ad affermare la vigenza del principio di gratuità del processo pensionistico, anche rispetto alle spese legali. A questa conclusione qualche pronunzia
26
ha ritenuto di giungere, tra l'altro, anche in base alla constatazione che per il
processo pensionistico non è stato previsto alcun criterio per la determinazione delle spese legali sostenute dall'amministrazione che agisca o si difenda
con propri funzionari, a differenza di quanto accade per il processo tributario
(nel quale parimenti si prevede che l'amministrazione possa essere rappresentata e difesa in giudizio da propri funzionari), dove le norme espressamente
stabiliscono che “nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell'amministrazione, e a favore dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli
avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti” (art. 15, comma 2-bis del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546).
L’argomento non appare in realtà decisivo poichè, sempre in carenza
di una norma quale quella posta per il contenzioso tributario dall’art. 15,
comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992, la giurisprudenza civile - con riferimento
25
26
Come del resto precisato, tra le altre, da Sezioni Riunite, 10 giugno 1997, n. 36/QM.
Si ricorda Sezione I app., 12 maggio 2003, n. 133, cit..
15
alla materia delle sanzioni amministrative di cui alla L. 24 novembre 1981, n.
689, nella quale egualmente la difesa dell’amministrazione in giudizio può
essere assunta da un funzionario - ha ritenuto che la parte soccombente
possa essere condannata al rimborso delle spese vive (e, cioè, delle spese
concretamente affrontate dall’amministrazione per lo svolgimento della difesa, da indicarsi in apposita nota), sempre che esse siano state oggetto di apposita richiesta (cfr. Cassazione civile, Sezione I, 5 giugno 2001, n. 7597; id.,
4 giugno 2001, n. 7540; id., 12 giugno 1999, n. 5809; id., Sezione lavoro, 8
marzo 2000, n. 2642; v. inoltre, in proposito, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, n. 253/2006 e n. 481/2007, cit.) 27.
Né sembra che ostino, alla possibilità di una condanna alle spese nei
giudizi pensionistici, ragioni di giurisdizione, apparendo del tutto inconferente
ed isolata la giurisprudenza secondo cui “la questione concernente la quantificazione delle spese e degli onorari di difesa da rimborsare alla parte attrice,
che sia risultata vittoriosa a seguito del giudizio principale sul diritto pensionistico vantato, va devoluta alla cognizione del giudice ordinario” (così Sezione
giurisdizionale Liguria, 11 dicembre 1995, n. 176)”: ciò in quanto, per effetto
del rinvio dinamico di cui all'art. 26 R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, si rendono
immediatamente applicabili ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti
le norme del codice di rito in tema di responsabilità delle parti per le spese
processuali 28.
In ogni caso, lo stesso art. 152 delle disposizioni di attuazione del
c.p.c., nella sua formulazione originaria (in precedenza esaminata), ha trovato
da parte dei giudici contabili scarsa applicazione e, comunque, è stato per lo
più utilizzato non tanto per condannare il pensionato ricorrente temerario alle
spese legali nei confronti dell’amministrazione, quanto per porre un limite
all’applicazione indefinita del principio di gratuità delle spese di giudizio: v.
Corte dei conti, Sezione III app., 6 maggio 2008, n. 153 e 12 gennaio 2004, n.
27
Da evidenziare che il principio della rimborsabilità delle sole spese vive sostenute dall'amministrazione, e non anche dell'ammontare dei diritti e degli onorari di avvocato, è stato avallato dalla Corte Costituzionale, nelle sentenze 2 aprile 1999, n. 117 e 25 marzo 2005, n. 130.
28
Così, correttamente, PEZZELLA, cit..
16
3; Sezione giurisdizionale Umbria, 22 agosto 1996, n. 336 e 4 ottobre 1997, n.
720; Sezione giurisdizionale Veneto, 10 febbraio 1997, n. 74.
Non resta, quindi, che prendere atto che, nell’ipotesi di soccombenza
del pensionato, l’estensione del principio di gratuità anche alle stesse spese
legali, pur dopo la riforma del processo pensionistico, è stata il prodotto di un
“diritto vivente” della giurisprudenza contabile.
Tale tradizione deve tuttavia, ora, essere sottoposta a critica, specie alla luce delle più recenti innovazioni normative, in precedenza illustrate: è evidente infatti come il mero riferimento, da parte del giudice contabile, alla natura pensionistica della controversia non possa costituire, di per sé sola, un valido motivo di compensazione, in quanto ciò significherebbe eludere di fatto la
novella legislativa con cui il legislatore ha chiaramente inteso condurre i giudizi
previdenziali alla regola generale di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c..
L'eventuale compensazione delle spese dovrà, quindi, trovare fondamento in circostanze specificamente attinenti il singolo giudizio come, ad esempio, la soccombenza reciproca, la particolare complessità e novità della
questione, la mancanza di giurisprudenza consolidata, particolari ragioni di
equità, ecc. 29.
5. Le più recenti pronunzie dei giudici contabili:
l’ipotesi di soccombenza del pensionato
Negli ultimi tempi le applicazioni giurisprudenziali dei principi generali in
materia di spese sono state più puntuali, sopra tutto con riferimento alla nuova
versione delle norme di rito (artt. 91 e 92 c.p.c., ma sopra tutto, appunto, l’art
152 disp. att. c.p.c.) che, come già chiarito in precedenza, non consentono più,
con l’ampiezza di un tempo, la compensazione delle spese legali.
29
Cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Valle d’Aosta, 4 ottobre 2006, n. 12.
17
Al riguardo, si possono citare varie pronunzie, nelle quali i giudici contabili hanno provveduto a chiarire e delimitare la portata operativa del nuovo
sistema, sia con riferimento al concetto di responsabilità aggravata ex art. 96
c.p.c., che – più in generale - in ordine al nuovo disposto dell’art. 152 disp. att.
c.p.c., con l’individuazione dei criteri da seguire per la liquidazione delle spese
legali nell’ipotesi – che nella prassi è la regola - in cui la difesa dell’amministrazione sia stata assunta da un funzionario e non da un avvocato 30.
In ordine al concetto di temerarietà ex art. 96 c.p.c., tale fattispecie è
stata ravvisata, secondo la giurisprudenza contabile recente, innanzi tutto nella
palese (o, addirittura, cosciente) infondatezza della domanda
31
, ma anche nel
difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta consapevolezza (cioè
nel non aver compiuto alcuna preventiva valutazione in ordine alla ragionevolezza della pretesa) 32; è stato ritenuto inoltre ricorra l’ipotesi della responsabilità aggravata laddove la parte appellante abbia prodotto gravame intempestivo,
avendo ignorato e non espressamente contrastato la giurisprudenza intervenuta in materia di ritualità delle notifiche delle sentenze di primo grado
33
; ancora,
è stata affermata la temerarietà della lite nel caso di riproposizione di una
stessa pretesa anche dopo la ripetuta (ed infruttuosa) proposizione di altre
domande giudiziali, sostanzialmente identiche
34
; è stata, infine, ravvisata re-
sponsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 del c.p.c. nella (ritenuta) pervicace
resistenza in giudizio, pur in presenza di un chiaro dettato normativo e di un
conforme e consolidato orientamento giurisprudenziale nel senso opposto
35
.
La temerarietà del giudizio è stata invece esclusa dalla circostanza che altri
giudici avessero fornito un'interpretazione delle norme in discussione conforme
30
Come consentito, per le amministrazioni statali, dall’art. 3 del R.D. 30 gennaio 1933, n. 1611
e, per gli altri enti pubblici, dall’art. 69, comma 16, L. 23 dicembre 2000, n. 388.
31
Cfr. Sezione giurisdizionale Abruzzo, 11 marzo 2003, n. 120; Sezione giurisdizionale Umbria, 21 maggio 1998, n. 458; Sezione giurisdizionale Veneto, 10 febbraio 1997, n. 74.
32
Cfr. Sezione giurisdizionale Lombardia, 23 maggio 2007, n. 284; Sezione giurisdizionale
Umbria, 15 giugno 2000, n. 305 e 24 agosto 1998, n. 649.
33
Cfr. Sezione I app., 2 agosto 2006, n. 169.
34
Cfr. Sezione giurisdizionale Umbria, 22 agosto 1996, n. 336.
35
Cfr. Sezione giurisdizionale Toscana, 14 gennaio 2005, n. 22. Qui la temerarietà era riferita
all’amministrazione, ma si è citato il precedente in quanto espressione di un principio di carattere generale.
18
alla pretesa pensionistica del ricorrente, circostanza che aveva potuto ingenerare nell’interessato il convincimento della fondatezza della tesi da lui propugnata 36.
Sempre in tema di applicazione dell’art. 96 c.p.c, nuovo testo, da parte
dei giudici contabili, va evidenziato come la giurisprudenza recente abbia iniziato ad applicare anche il principio di cui al terzo comma della norma, introdotto dalla legge n. 69/2009
37
, e che consente al giudicante di addebitare al
soccombente una somma equitativamente determinata, anche in difetto di richiesta della controparte: v., al riguardo, Sezione I app., 14 gennaio 2010, n.
21 e 19 febbraio 2010, n. 107; Sezione giurisdizionale Abruzzo, 24 maggio
2010, n. 304 e 25 giugno 2010, n. 351.
Con riferimento invece ai criteri per la liquidazione delle spese legali, si
vedano, in particolare, le già ricordate sentenze della Sezione Lombardia n.
253 del 2006 e n. 481 del 2007, nelle quali il giudice - dopo avere ravvisato gli
estremi della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. a carico del privato - ha
pronunziato condanna alle spese a favore dell’INPDAP convenuto nel giudizio,
provvedendo a quantificare le spese da rimborsare a favore dell’ente previdenziale: operazione non banale né scontata, giacchè non era possibile fare
riferimento alle tabelle forensi, essendosi l’istituto difeso a mezzo di propri funzionari non appartenenti alla categoria degli avvocati.
In entrambi i casi, il giudicante ha liquidato le sole spese vive di lite, poiché non era stato dimostrato, da parte dell’istituto pubblico resistente, alcun
danno ulteriore, suscettibile di risarcimento. Le spese vive documentate
dall’ente previdenziale, e ritenute meritevoli di risarcimento dal giudice, sono
state allora individuate nei costi sostenuti dall’amministrazione con riferimento
alla specifica controversia, dettagliati per: 1) retribuzione percepita dal funzionario che aveva avuto in cura l’affare; 2) costi di cancelleria e trasporti. La prima voce (correlata alla retribuzione oraria goduta dal dipendente) è stata ulteriormente dettagliata nel tempo impiegato nella gestione del contenzioso nelle
36
Cfr. Sezione III app., 12 luglio 2006, n. 278; in terminis, v. anche Sezione giurisdizionale
Lombardia, 27 dicembre 2001, n. 2005.
37
Già esaminato al precedente paragrafo 1, pag. 5.
19
sue diverse fasi: studio della causa (n. di ore obiettivamente necessarie allo
scopo), predisposizione della memoria, n. di ore trascorse in udienza.
Uno schema argomentativo analogo a quello appena visto è stato utilizzato in numerose altre decisioni: si possono ricordare, tra le altre, ancora Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 maggio 2006, n. 314; Sezione giurisdizionale Lazio, 22 novembre 2006, n. 2360 e 9 maggio 2007, n. 688; Sezione I
app., 18 novembre 2009, n. 642 e 23 novembre 2009, n. 648.
Naturalmente – è da chiarire - laddove la parte ricorrente vincitrice si difendesse personalmente e non documentasse specifiche spese, non vi sarebbe nulla da liquidare a suo favore, nonostante l’altrui soccombenza; alla stessa
conclusione si dovrebbe giungere nel caso in cui fosse la p.a., in caso di vittoria, a non costituirsi o a non documentare alcuna spesa 38.
Un diverso sistema è stato invece adottato nella sentenza della Sezione
giurisdizionale Valle d’Aosta n. 12 del 4 ottobre 2006, la quale ha contestato la
correttezza del criterio di liquidazione seguito dalle pronunzie appena esaminate della Sezione lombarda, per la sua incertezza e anche perché esso rischierebbe di addossare indebitamente, al ricorrente, una parte delle spese
generali di funzionamento dell'istituto previdenziale controparte. E’ stato allora
ritenuto preferibile il ricorso ad un parametro predeterminato, alla stregua di
quanto previsto dal ricordato art. 15 d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario
(nel quale, come già accennato, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e
procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari ivi previsti); ciò,
secondo il giudicante, garantirebbe una condizione di effettiva parità tra i contendenti sul piano delle spese processuali, oltre a dirimere ogni dubbio circa i
criteri di liquidazione delle spese in favore della parte pubblica, quantificati sulla base di un parametro predeterminato, uniforme e significativo, riconosciuto
valido dalla più recente legislazione e che non discrimina i pensionati soccombenti in conseguenza della circostanza accidentale che l'ente di previdenza sia
difeso da un funzionario piuttosto che da un legale.
38
Cfr. Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 maggio 2006, n. 313; in dottrina, v. CORSETTI,
cit., pag. 398 e VENTURINI, cit., pag. 207.
20
Ora, quale che sia il criterio operativo di volta in volta adottato, si può
comunque concludere nel senso che per la giurisprudenza contabile più recente non sembrano sussistere, in linea di massima, ostacoli alla concreta possibilità - nei limiti ricavabili anche ratione temporis dal complesso delle norme
sopra
indicate
-
per
una
condanna
alle
spese
legali
(oltre
che
dall’amministrazione, anche) del pensionato che risultasse soccombente in un
processo pensionistico.
6. La soccombenza dell’amministrazione e la sentenza n. 4/2009/QM delle Sezioni riunite. Conclusioni
A seguito dell’entrata in vigore delle norme di riforma del processo
pensionistico innanzi alla Corte dei conti, è stato posto all’attenzione degli
operatori, come innanzi accennato, il problema dell’assoggettabilità o meno
dell’amministrazione, divenuta parte in tutti i processi pensionistici appartenenti alla giurisdizione contabile, al regime di condanna alle spese legali in
caso di soccombenza.
In realtà, però, va detto che il problema ha ricevuto una trattazione esplicita solo in poche sentenze
39
, mentre la parte maggioritaria della giuri-
sprudenza ha continuato ad utilizzare nel nuovo rito, con riferimento anche
alle spese legali, la formula “nulla per le spese” per i processi pensionistici di
guerra e la formula “spese compensate” per i giudizi pensionistici ordinari.
Tali pronunzie, come già chiarito, comportano, nei loro effetti concreti, il mancato rimborso al pensionato delle spese legali, che pure dovrebbero rimanere
a carico dell’amministrazione soccombente secondo il principio generale
dell’art. 91 c.p.c..
39
Si possono ricordare, per quel che riguarda il grado d’appello, Sezione I app., 12 maggio
2003, n. 133, 24 maggio 2005, n. 179 e 12 ottobre 2005, n. 326; Sezione III app., 1° ottobre
2007, n. 272; Sezione app. Sicilia, 8 marzo 2006, n. 61, 2 maggio 2008, n. 175 e 28 maggio
2009, n. 190, citate anche nella sentenza delle SS.RR. n. 4/QM del 2009.
21
La Sezione III d’appello, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale tra le Sezioni giurisdizionali di appello, in particolare all’interno
della Sezione I centrale, in punto di condanna della p.a. alle spese legali nel
processo pensionistico e ritenuto che tale questione presentasse carattere di
generalità ed aspetti di difficile soluzione e di particolare rilevanza, con ordinanza 6 febbraio 2009, n. 66 ha trasmesso degli atti alle Sezioni riunite per la
soluzione della questione di massima concernente la possibilità o meno per il
giudice delle pensioni di condannare, nel giudizio pensionistico di guerra,
l’amministrazione al pagamento delle spese di giudizio e, in particolare, delle
spese legali. Ha rimesso poi, al medesimo organo nomofilattico, di valutare
se la questione, insorta in un processo pensionistico di guerra, fosse suscettibile di una soluzione di carattere più generale, con conseguente estensione
anche al giudizio pensionistico civile e militare.
Le Sezioni Riunite, con sentenza 23 giugno 2009, n. 4/QM, hanno dichiarato
inammissibile
la
predetta
questione,
nell’essenziale
rilievo
dell’insussistenza del conflitto di giurisprudenza denunciato. Tale rilievo è stato fondato sulla constatazione che le pronunce giurisprudenziali successive a
quelle indicate dalla Sezione III d’appello remittente “… non evidenziano contrasti: alcune concludono, infatti, liquidando le spese legali (Sezione Appello
per la regione Siciliana nn. 61/2006; 175/2008; 190 e 191/2009) altre con la
formula “spese compensate” (1^ Sezione Appello nn. 487/2007; 60/2009; 2^
Sezione appello nn. 303, 329/2008, nn. 87, 154, 180/2009) che, nella sostanza, implica la possibilità di una condanna dell’Amministrazione alle spese della specie”.
Tuttavia, va precisato che a parte le sentenze (sopra tutto quelle della
Sezione d’appello per la Sicilia) di esplicita condanna dell’amministrazione, le
altre sentenze citate dalle Sezioni riunite (quelle delle Sezioni I e II d’appello),
con la formula “spese compensate”, più che implicare la possibilità di una
condanna dell’amministrazione alle spese legali, si pongono nel solco di quelle pronunce, prima ricordate, che si limitano a trasporre, nel rito riformato dalle leggi del 1994, le clausole caratteristiche del vecchio rito (nulla per le spese o spese compensate); tali formule, oggi come allora, sono però riferibili al-
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le spese di giustizia e impropriamente vengono utilizzate – come già evidenziato - per le spese legali.
Oltre a ciò, va anche considerato che le Sezioni riunite non hanno tenuto conto - in ciò, forse, condizionate anche dall’impostazione dell’ordinanza di deferimento - che il contrasto di giurisprudenza in materia sarebbe stato
da riferire non solo al limitato numero di sentenze che hanno espressamente
affrontato il problema, riconoscendo la possibilità di condanna alle spese della p.a., ma tenendo anche conto, appunto, delle numerose sentenze che, con
l’utilizzo delle formule “spese compensate” o “nulla per le spese” hanno, di
fatto, risolto negativamente il problema: insomma, il ruolo di giurisprudenza
consolidata è stato riconosciuto ad una giurisprudenza che, in realtà, è probabilmente minoritaria 40.
In ogni caso, è auspicabile che anche la sentenza dell’organo nomofilattico, al di là della sua declaratoria di inammissibilità, possa contribuire ad
arricchire il dibattito in materia e a sollecitare la giurisprudenza contabile ad
uscire finalmente dalla zona d’ombra di una sostanziale elusione del problema della regolazione delle spese nei giudizi di pensione: problema la cui soluzione va trovata nel doveroso rispetto della volontà del legislatore delle recenti riforme, senza che ciò implichi una minore attenzione per la particolare
posizione delle parti coinvolte in giudizio, tra le quali figurano anche categorie
sociali tradizionalmente deboli.
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PEZZELLA, cit.
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Roma, 8 luglio 2010 - Consiglio di Presidenza