in collaborazione con
Proposta per un patto aperto contro la povertà
Versione del 24/07/2013
Una proposta elaborata da: Cristiano Gori (coordinatore), Massimo Baldini, Emanuele Ciani,
Alberto Martini, Daniela Mesini, Maurizio Motta, Paolo Pezzana, Simone Pellegrino, Stefano
Sacchi, Marcella Sala, Pierangelo Spano, Stefano Toso, Ugo Trivellato
REIS
www.redditoinclusione.it
La proposta del Reddito d’inclusione sociale e quella del Patto aperto contro la povertà
nascono da un’idea di Cristiano Gori. Gori ha coordinato il gruppo di esperti che ha elaborato
la proposta illustrata nel presente testo. Il documento è il frutto di uno sforzo comune di tutto
il gruppo, che si è caratterizzato per una modalità di lavoro fortemente condivisa. Queste le
responsabilità per i diversi capitoli: Cristiano Gori ha scritto il capitolo 1; Massimo Baldini ha
coordinato il capitolo 2 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani; Massimo Baldini ha
coordinato il capitolo 3 e lo ha scritto insieme ad Emanuele Ciani, tranne la sezione 3.1.2, di
Paolo Pezzana e l’appendice 2, di Stefano Sacchi; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno
scritto il capitolo 4, con il contributo di Daniela Mesini per la sezione 4.3 e utilizzando
elaborazioni georeferenziate di Fabio Dusio e Mattia Monti per la sezione 4.5; Daniela Mesini
ha coordinato il capitolo 5 e lo ha scritto insieme a Marcella Sala, con il contributo di Maurizio
Motta e Marco Faini; Daniela Mesini ha coordinato il capitolo 6 e lo ha scritto insieme a
Marcella Sala e Stefano Sacchi, con il contributo di Paolo Pezzana; Maurizio Motta ha scritto il
capitolo 7; Ugo Trivellato e Alberto Martini hanno scritto il capitolo 8, tranne l’Appendice A,
di Maurizio Motta; Stefano Toso e Simone Pellegrino hanno scritto il capitolo 9; Pierangelo
Spano ha scritto il capitolo 10; Stefano Sacchi ha scritto il capitolo11. Rosemarie Tidoli ha
curato la revisione dei capitolo e l’organizzazione del testo.
INDICE ANALITICO
Introduzione
1.La proposta e le sue ragioni
1.1 Il Reis
1.2 Il percorso attuativo
1.3 La spesa e il finanziamento
1.4 Il disegno e i “dettagli”
1.5 Il Patto aperto contro la povertà
1.6. Il testo e il sito
1.7. Il percorso compiuto
1.8. Ringraziamenti
2. Chi sono i poveri
2.1 La povertà assoluta in Italia
2.2 La stima della povertà assoluta per il calcolo del Reis
2.3 Chi sono i poveri assoluti nell’approccio misto reddit0-consumo
3. Utenti e importi
3.1 Chi sono gli utenti
3.2 I criteri per accedere al Reis
3.3 Adeguatezza: l’importo mensile e i suoi effetti
Appendice 1: Una soglia fissa di Isee
Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali
4. L’impianto istituzionale e organizzativo
4.1 Obiettivi e lezioni dall’esperienza
4.2 Il primo livello essenziale nel sociale
4.3 Il ruolo dei diversi soggetti nel Reis e nel welfare locale
4.4 La struttura centrale
4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale
4.6 La collaborazione tra le due strutture
4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze
5. Il welfare dei servizi (I). L’accesso e la presa in carico
5.1 L’infrastruttura nazionale per il welfare locale
5.2 Un mix di prestazioni monetarie e servizi
5.3 Accesso e presa in carico
6. Il welfare dei servizi (II). I percorsi d’inclusione e i controlli
6.1 Premessa
6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi
6.3 Controlli, condizionalità e incentivi
7. La ricomposizione del sistema
7.1 Il sistema attuale contro la povertà e i suoi effetti negativi
7.2 Gli effetti negativi del sistema attuale
7.3 Cosa significa ricomporre un sistema frammentato?
7.4 La transizione al nuovo sistema e le tappe del riordino
8. Il monitoraggio e la valutazione
8.1 Un’indispensabile premessa: attrezzarsi per imparare dall’esperienza
8.2 L’impianto complessivo
8.3 Osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per l’analisi di implementazione
8.4 Costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà
economica
8.5 Sugli obiettivi conoscitivi della valutazione
8.6 Indagini campionarie sulle condizioni di vita
8.7 Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati
8.8 I microdati come patrimonio informativo per la comunità dei ricercatori
8.9 Il raccordo con altri programmi contro la povertà
8.10 Una prima stima di massima dei costi del monitoraggio e della valutazione
Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini
Appendice B: Sintetiche chiarificazioni sulla stima dei costi del monitoraggio e della valutazione
9. Il finanziamento del Reis
9.1 Introduzione
9.2 Le spese
9.3 La logica del finanziamento
9.4 Le strategie del finanziamento
9.5 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le minori spese
9.6 L’impatto distributivo delle strategie di finanziamento: le maggiori entrate
9.7 L’ordine temporale degli interventi
10. Il piano pluriennale
10.1 Perché un’introduzione graduale
10.2 L’estensione progressiva dell’utenza
10.3 Il progressivo incremento della risorse dedicate nel quadro della finanza pubblica
10.4 Conclusioni. Come proteggere il percorso pluriennale
11. Che cosa ci possiamo aspettare
11.1 Introduzione
11.2 L’Italia e gli altri: il posto del Reis nel sistema di sostegno al reddito
11.3 Beneficiari e costi degli schemi di reddito minimo in Europa a confronto col Reis
11.4 I criteri di accesso
11.5 La governance della misura
11.6 Inserimento, condizionalità, servizi
11.7 Conclusioni: che cosa aspettarsi dal Reis
Gli Autori
Allegato: Paper tecnico no. 1/2013 Spano Trivellato Zanini
Bibliografia
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
INTRODUZIONE
Non mancano le ragioni per fare qualcosa contro la povertà in Italia. Da oltre un decennio il nostro
paese condivide con la Grecia il poco invidiabile primato di essere l’unica unica nazione dell’Europa a
15 priva di una misura nazionale contro la povertà assoluta1. Una misura rivolta a tutti i nuclei che vivono questa condizione, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat2. Una misura altresì composta da una prestazione
monetaria e da servizi alla persona, e basata su un mix tra diritti e doveri, secondo linee d’intervento
condivise a livello europeo (tab. 1). Le negative conseguenze di questa mancanza sono state da più
parti segnalate (Bin Italia, 2012; Boeri e Perotti, 2002; Campiglio e Rovati, a cura di, 2009; Ferrera, a
cura di, 2012; Fondazione Zancan, 2012; Saraceno, 2013). Tale assenza lascia oggi il welfare sguarnito
davanti alla crisi, con le famiglie in povertà assoluta passate - tra il 2011 e il 2012 - dal 5,2% al 6,8%
del totale, cioè un aumento del 31% in un anno. Il diffondersi della povertà assoluta, peraltro, non
costituisce una novità: nel 2005 la sperimentava il 4% delle famiglie mentre nel 2012, come detto, lo
fa il 6,8%, con un incremento del 70% in sette anni (tab. 2).
Per affrontare questa drammatica situazione si propone l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale (Reis) in Italia. Il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta nel nostro paese e consiste
in un trasferimento monetario, d’importo adeguato a farle uscire da questa condizione, accompagnato da servizi alla persona per l’attivazione e il reinserimento sociale. Le altre misure oggi utilizzate per
contrastare la povertà assoluta saranno assorbite al suo interno. Si prevede che la sua introduzione si
articoli in un piano quadriennale, che permetta così di suddividere lo sforzo attuativo e di diluire
l’impegno finanziario richiesto nel tempo. Il piano dovrà essere attentamente monitorato e verificato
in divenire.
La proposta del Reis e il percorso da compiere per metterla in atto vengono dettagliatamente illustrati dal prossimo capitolo in avanti. Qui si vuole fornirne una sintetica visione complessiva, illustrare gli argomenti a favore della sua introduzione e presentare il Patto aperto contro la povertà che si
propone per sostenerlo. Così facendo, s’intende delineare il quadro di riferimento del quale le parti
illustrate a cominciare dal prossimo capitolo rappresentano i singoli tasselli.
1 Nei rapporti di ricerca sulla lotta alla povertà in Europa, i riferimenti al nostro paese sono abitualmente di
questo tenore: “L’analisi degli esperti mostra che, ad eccezione di Grecia ed Italia, tutti gli Stati Membri
[dell’Unione Europea, n.d.a] hanno, con forme diverse, una misura di reddito minimo a livello nazionale”
(Frazier e Marlier, 2009, pag 15).
2 Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in concreto, poter raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente e così via.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
TAB 1 - L’INTRODUZIONE DI UNA MISURA NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ ASSOLUTA
NEI PAESI EU 15
PAESE
ANNO D’INTRODUZIONE
Austria
Tra il 1970 e il 1975
Belgio
1973
Danimarca
1974
Finlandia
1971
Francia
1988
Germania
1961
Grecia
-
Irlanda
1975
Italia
-
Lussemburgo
1986
Paesi Bassi
1963
Portogallo
1996
Regno Unito
1948
Spagna
Tra il 1995 e il 2000
Svezia
1956
Fonte: Madama, 2012
TAB 2 – INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA,
% DI FAMIGLIE, ANNI VARI
2005
2009
2011
2012
Nord
2,7
3,6
3,7
5,5
Centro
2,7
2,7
4,1
5,1
Sud
6,8
7,7
8
9,8
Italia
4,0
4,7
5,2
6,8
Fonte: Istat, anni vari
1.1. IL REIS
È una misura nazionale rivolta a tutte le famiglie che vivono la povertà assoluta in Italia. Questa sezione illustra i tratti principali che assumerà una volta entrata a regime, cioè a partire dal quarto ed
ultimo anno del percorso di transizione, accompagnandoli con i rispettivi principi guida (tab 3 e tab
4).
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
TAB 3 –IL REIS IN SINTESI
Utenti
 Tutte le famiglie in povertà assoluta
 Legittimate a vario titolo alla presenza sul territorio italiano e
regolarmente residenti nel paese da almeno dodici mesi.
Importo
 La differenza tra il reddito familiare e la soglia Istat di povertà
assoluta
Variazioni geografiche
 Le soglie d’accesso variano secondo il costo della vita delle diverse aree del paese
 Gli importi variano secondo il costo della vita delle diverse aree
del paese
Servizi alla persona
 Al trasferimento monetario si accompagna l’erogazione di servizi
 Sono servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, per esigenze di cura e altro
Welfare mix
 Il Reis viene gestito a livello locale grazie all’impegno condiviso
di Comuni, Terzo Settore, servizi per formazione/impiego e altri soggetti.
 Il Comune ha il ruolo di regia e il Terzo Settore co-progetta insieme ad esso, esprimendo le proprie competenze in tutte le
fasi dell’intervento
Lavoro
 Tutti i membri della famiglia tra 18 e 65 anni ritenuti abili al
lavoro devono attivarsi in tale direzione
 Si tratta di cercare un lavoro, dare disponibilità a iniziare
un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare
attività di formazione o riqualificazione professionale.
Livelli essenziali
 Il Reis costituisce il primo livello essenziale delle prestazioni
nelle politiche sociali
Utenti: le famiglie in povertà assoluta, che nel 2012 erano il 6.8% dei nuclei in Italia. Il Reis è destinato ai cittadini di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio italiano e ivi residenti da almeno 12 mesi. Il principio guida è
l’universalismo: una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta.
Importo: ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la
soglia Istat della povertà assoluta. Il principio guida è l’adeguatezza: nessuna famiglia è più priva delle risorse necessarie a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”.
Variazioni geografiche: la soglia di povertà assoluta cambia in base alla macro-area
(nord/centro/sud) ed alla dimensione del comune (piccolo/medio/grande) dove ci si trova. Si
tiene così conto delle notevoli differenze nel costo della vita esistenti in Italia, in modo da assicurare a tutti eguaglianza sostanziale nell’accesso alla misura e nel potere d’acquisto che questa garantisce. Il principio guida è l’equità territoriale: poter avere le stesse condizioni economiche effettive in qualunque punto del paese.
Servizi alla persona: insieme al contributo monetario, gli utenti del Reis ricevono i servizi dei quali
hanno bisogno. Possono essere servizi per l’impiego (si veda sotto), contro il disagio psicologico e/o sociale, riferiti a bisogni di cura - disabilità, anziani non autosufficienti - o di altra natura.
S’intende così fornire nuove competenze alle persone e/o aiutarle ad organizzare diversamente la propria esistenza. Il principio guida risiede nell’inclusione sociale: dare alle persone
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
l’opportunità di costruire percorsi che – nei limiti del possibile – permettano di uscire dalla
condizione di marginalità.
Welfare mix: il Reis viene gestito a livello locale, grazie ad un impegno condiviso, innanzitutto, da
Comuni e Terzo Settore. I Comuni – in forma associata nell’Ambito – hanno la responsabilità
della regia complessiva e il Terzo Settore co-progetta insieme a loro, esprimendo le proprie
competenze in tutte le fasi dell’intervento; anche altri soggetti svolgono un ruolo centrale, a
partire dai quelli dedicati a formazione e lavoro. Il principio guida consiste nella partnership:
solo un’alleanza tra attori pubblici e privati a livello locale permette di affrontare con successo
il nodo povertà.
Lavoro: tutti i membri della famiglia in età tra 18 e 65 anni ritenuti abili al lavoro devono attivarsi nella ricerca di un’attività professionale, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai
Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Il
principio guida consiste nell’inclusione attiva: chi può, rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione.
Livelli essenziali: il Reis costituisce un livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’art 117 della Costituzione3 ed è il primo inserito nelle politiche sociali del nostro paese. Viene così introdotto
un diritto che assicura una tutela a chiunque cada in povertà assoluta. Il principio guida è quello di cittadinanza, secondo il quale viene assicurato a tutti il diritto di essere protetti contro il
rischio di povertà assoluta.
TAB 4 – I PRINCIPI GUIDA DEL REIS
3
DIMENSIONE
PRINCIPIO GUIDA
Utenti
UNIVERSALISMO
Una misura per tutte le famiglie in povertà assoluta
Importo
ADEGUATEZZA
Nessuna famiglia al di sotto di un livello di vita “minimamente accettabile”
Variazioni geografiche
EQUITA’ TERRITORIALE
Le stesse condizioni economiche effettive in qualunque punto del paese
Servizi alla persona
INCLUSIONE SOCIALE
L’opportunità di costruire percorsi per – nei limiti del possibile – uscire
dalla condizione di marginalità
Welfare mix
PATNERSHIP TRA ENTI LOCALI E TERZO SETTORE
L’impegno coordinato di attori pubblici e privati a livello locale come unica possibilità di successo
Lavoro
ATTIVAZIONE
Chi può rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere
ogni sforzo per trovare un’occupazione
Livelli essenziali
CITTADINANZA
Il diritto per tutti ad essere tutelati contro il rischio di povertà assoluta
Recita l’articolo 117, comma 2, lettera m che tra le materie sulle quali lo Stato ha legislazione esclusiva vi è
“la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Pagina 4
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
1.2 IL PERCORSO ATTUATIVO
Il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente, lungo un cammino articolato in quattro
annualità. L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione
corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta. Nell’ipotesi che l’introduzione cominci nel 2014 la misura andrà a regime nel 2017.
Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. Detto altrimenti, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressivamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio” sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno - a
tutti i nuclei in povertà assoluta.
La spesa pubblica dedicata ammonta – a regime (cioè a partire dal quarto anno) – a 6.062 milioni di
Euro, come dettagliato nella prossima sezione. In ogni anno della transizione, le risorse stanziate sono superiori rispetto al precedente: i percorsi che si possono seguire nel loro progressivo incremento
sono vari. Ad esempio, immaginando di suddividere l’aumento in quattro parti uguali, ogni anno la
spesa pubblica sarà di 1515,5 milioni (cioè un quarto di 6.062) superiore al precedente configurando
il seguente percorso: primo anno = 1515,5 milioni per il Reis, secondo anno = 3.031, terzo anno =
4.546,5, quarto anno (primo a regime) = 6.062.
Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà assoluta già esistenti vengono progressivamente abolite. Oggi, infatti, allo scarso investimento pubblico nel settore si affianca la frantumazione
dell’esistente in numerose prestazioni, tra loro scoordinate per criteri di accesso, importi ed Enti che
li gestiscono, che danno vita a un sistema con il quale è assai complesso per i cittadini relazionarsi.
Secondo la nostra proposta, invece, le misure presenti vengono progressivamente assorbite
all’interno del Reis, con il risultato che - a partire dal quarto anno - lo sforzo pubblico contro la povertà, oltre ad essere ben superiore rispetto ad oggi, risulta concentrato in un’unica risposta basata sulle
stesse regole per tutti.
A sostenere l’attuazione del Reis è l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”, cioè un insieme di
strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni fornisce ai soggetti del territorio per metterli
in condizione di operare al meglio4. Si tratta, innanzitutto, di impiantare un solido sistema di monitoraggio e valutazione, capace di comprendere ciò che accade nelle varie realtà locali, esaminarlo e
trarne indicazioni operative utili al miglioramento, nella prospettiva di apprendere dall’esperienza.
Inoltre, i territori sono accompagnati grazie ad iniziative di formazione, occasioni di confronto tra operatori di diverse realtà, scambio di esperienze, linee guida. Infine, laddove la riforma risulti inattuata o presenti forti criticità, lo Stato interviene direttamente, ricorrendo a propri poteri sostitutivi (box
1).
Il gradualismo nell’introdurre la nuova misura è sostenuto da diverse ragioni. Da una parte, permette
di diluire il necessario incremento di risorse nel tempo, rendendolo meglio sostenibile dalla finanza
pubblica. Dall’altra, solo in questo modo è possibile consolidare la misura assicurando adeguati tempi
di apprendimento e di adattamento organizzativo a tutti soggetti chiamati ad erogarla nel territorio
(Comuni, Terzo Settore, Centri per l’Impiego e così via). Trattandosi di un’innovazione ambiziosa per
il nostro sistema di welfare, che lo spinge ad un robusto cambiamento sul piano organizzativo, pro-
4
Il primo strumento consiste in adeguati stanziamenti dedicati alla componente servizi del Reis, illustrati nella prossima sezione.
Pagina 5 1
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
cedere per gradi e fornire allo stesso tempo tutti gli strumenti necessari al livello locale paiono condizioni non rinunciabili per il suo successo (box 1).
BOX 1 – IL PERCORSO ATTUATIVO
L’introduzione è graduale, ha luogo in quattro anni
Ogni anno la spesa pubblica dedicata aumenta rispetto al precedente
L’utenza si allarga progressivamente, partendo da chi è in condizioni economiche peggiori
Le prestazioni contro la povertà esistenti progressivamente scompaiono perché vengono tutte assorbite nel Reis
 “Infrastruttura nazionale per il welfare locale”: lo Stato, in collaborazione con le Regioni, fornisce ai
soggetti del territorio un insieme di strumenti per metterli in condizione di fornire il Reis al meglio 1




1.3 LA SPESA E IL FINANZIAMENTO
A regime, cioè a partire dal quarto e ultimo anno della transizione, la misura richiede al bilancio pubblico uno stanziamento addizionale di 6.062,4 milioni di Euro, pari allo 0,34% del Pil. Questa é
all’incirca la distanza esistente tra la spesa pubblica destinata alla lotta contro la povertà nella media
dei paesi europei (0,4% del Pil) e quella italiana (intorno allo 0,1% del Pil) (dati Eurostat).
I 6.062,4 milioni necessari si suddividono tra quelli dedicati alle prestazioni monetarie (4.982), la
componente per i servizi alla persona (1.078) e le risorse destinate al monitoraggio e alla valutazione
(2,4). A differenza di quanto accade con le altre due parti della spesa, i finanziamenti ulteriori dedicati ai servizi non corrispondono all’ammontare di risorse pubbliche che risulteranno effettivamente
utilizzabili poiché bisogna conteggiare alcuni finanziamenti già nella disponibilità dell’ente pubblico5.
Qui, dunque, la spesa complessiva dedicata è di 1.644 milioni di Euro annui. La spesa per i servizi è
cosi pari ad un terzo di quella per le prestazioni monetarie, un valore indubbiamente elevato e che
rende concreto il rilievo loro assegnato nel disegno del Reis.
Come reperire le risorse necessarie? La metodologia adottata si articola in tre passaggi. Primo, si definiscono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve rispettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono:
−
−
−
la concretezza (le opzioni devono essere misurabili),
l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi)
l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del
caso, correggere le inefficienze del mercato stesso).
Secondo, s’individua un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di
imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sui quali si ritiene possibile intervenire. Di ognuna delle
possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito che ne potrebbe
derivare e l’impatto redistributivo atteso. Questo secondo passaggio è finalizzato ad individuare un
insieme di possibili misure di finanziamento per un ammontare di risorse superiore al necessario.
Il terzo e ultimo passaggio consiste nella scelta di quali fonti privilegiare, tra quelle qui individuate,
per finanziare la misura: la decisione non può che spettare al livello politico.
5
Qui come in tutto il paragrafo 2, che sintetizza i principali tratti del Reis, non vengono esplicitate le varie ipotesi alle base dei calcoli condotti e delle ipotesi avanzate, per le quali si rimanda ai capitoli successivi.
Pagina 6
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi sostiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e coloro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”.
Utilizzando questa metodologia sono stati individuati interventi che permetterebbero di recuperare
un insieme di risorse compreso tra i 13 e i 18,8 miliardi di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 6 miliardi di cui ha bisogno il Reis a regime. Si dimostra, pertanto, che seppure senza dubbio complicato,
se si vuole è possibile trovare gli stanziamenti necessari, ed è possibile farlo nel rispetto di quei principi di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico che ci riteniamo non negoziabili. Questo è
un punto fondamentale della nostra metodologia perché la scelta delle modalità di finanziamento –
come noto - non è affatto neutrale.
BOX 2 – IL FINANZIAMENTO E LA SPESA
 A regime, la misura costa 6.062 milioni di Euro annui. Con questa cifra si colma la distanza tra la spesa
pubblica destinata in Italia alla lotta contro la povertà e la media europea
 La metodologia adottata per il reperimento delle risorse necessarie si articola in tre passaggi:
- definizione dei criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento: concretezza, equità ed efficienza
- individuazione di un mix di misure di minori spese e/o maggiori entrate che rispettano tali criteri,
per un ammontare complessivo di risorse ben superiore al necessario
- Scelta delle opzioni di finanziamento da parte del livello politico
 Con il metodo proposto si potrebbero recuperare tra 13 e 18,8 miliardi di Euro l’anno, largamente superiori ai 6 mld. calcolati per il Reis
 Il reperimento delle risorse necessarie rispetterebbe i fondamentali principi di giustizia sociale e sostegno allo sviluppo economico
1.4 IL DISEGNO E I “DETTAGLI”
Sono stati sin qui tratteggiati i punti chiave del Reis, che compongono il disegno complessivo della
proposta. Su un simile disegno, come già ricordato, concorda la gran parte di osservatori ed esperti.
Minore interesse, invece, suscita l’ampio insieme di azioni da intraprendere per tradurlo in pratica. Si
tratta di affrontare gli innumerevoli passaggi del percorso attuativo e di confrontarsi con i tanti aspetti tecnici concernenti le singole parti della proposta. Molti li considerano “dettagli” rispetto al disegno strategico: sono questi, invece, a decidere in che modo un progetto di cambiamento riesce a
diventare realtà e, pertanto, cosa può significare per la vita delle persone. Proprio perché sono decisivi e – in Italia – sottovalutati, a questi “dettagli” viene dedicato il maggior sforzo di approfondimento del nostro lavoro, come si vedrà a partire dal prossimo capitolo.
COSA NON È IL REIS
Il Reddito d’Inclusione Sociale è rivolto a tutte le famiglie che vivono in povertà assoluta e risulta nettamente distinto dagli interventi necessari contro l’impoverimento, cioè la condizione di coloro i quali si trovano al di sopra della soglia ma, senza adeguate risposte, sono destinati a cadere
nell’indigenza. Similmente, il Reis è separato chiaramente dalle ulteriori riforme delle quali il nostro
welfare avrebbe bisogno. Si tratta di azioni auspicate dalla metà degli anni ’90 e realizzate in quasi
tutti i paesi dell’Europa a 15, concernenti i servizi alla prima infanzia, il fisco a sostegno delle famiglie
con figli e gli interventi per le persone non autosufficienti (individui disabili e anziani).
Pagina 7
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
Evidenziare che la nuova misura ha esclusivamente l’obiettivo di combattere la povertà assoluta e
marcarne con precisione i confini è di particolare importanza, dal punto di vista sia politico sia tecnico. Innanzitutto, serve a sottolineare che quella qui delineata non è assolutamente l’unica riforma
necessaria al sistema di welfare del nostro paese: bisogna agire anche sui temi sopra menzionati.
L’assenza di riforme degli ultimi 20 anni e i tagli della fase più recente – a fronte di bisogni crescenti –
rendono più ampi interventi di welfare tanto consigliabili quanto urgenti.
Peraltro, potenziare da subito pure le altre aree della protezione sociale permetterebbe anche di
“proteggere” il Reis. Si rischia, infatti, che la sua introduzione risulti l’unica risposta di rilievo messa in
campo, in questa fase, dal sistema pubblico a favore delle persone più fragili. Se così fosse sul Reddito d’Inclusione Sociale si riverserebbero, in particolare nei territori dove il tessuto socio-economico è
più debole e contemporaneamente la presenza di servizi maggiormente carente, anche le tante domande di tutele originate da situazioni diverse dalla povertà assoluta (ad esempio il costo dei figli,
l’impoverimento, la non autosufficienza) (Ferrera, a cura di, 2005). Il Reis, però, non può – per sua
natura - soddisfare queste domande. Nello scenario prefigurato, dunque, si creerebbero difficoltà organizzative dovute all’impegno extra richiesto per esaminare un numero particolarmente elevato di
richieste, scontento nei tanti che le vedrebbero rifiutate e pressioni affinché la misura venisse impropriamente utilizzata per scopi diversi da quelli che le sono propri.
Si spera, quindi, che l’auspicata introduzione del Reis venga accompagnata – da oggi e nel corso del
tempo – dagli altri interventi necessari a rendere il sistema di welfare più adeguato al profilo della
società italiana attuale. Infatti, il Reddito d’Inclusione Sociale dovrebbe rappresentare tanto un punto
di arrivo nella lotta alla povertà assoluta quanto un tassello del ben più ampio puzzle del nuovo welfare nel nostro paese (box 2).
BOX 2 - I CONFINI DEL REIS
-È contro la povertà assoluta e non serve a fronteggiare l’impoverimento
-Non è da confondere con le altre riforme nazionali necessarie (a partire da quelle rivolte alla non autosufficienza e al sostegno alle famiglie con figli)
-Bisogna evitare che sul Reis si scarichino tutte le domande insoddisfatte di pertinenza di altre aree
del welfare
-L’introduzione del Reis dovrebbe essere accompagnata da altri interventi di rafforzamento del sistema di protezione sociale
I BUONI MOTIVI PER INTRODURRE IL REDDITO D’INCLUSIONE SOCIALE
(REIS)
Le varie ragioni a favore della proposta sono presentate – in forma ampia ed articolata – nei capitoli
successivi. Per completare la visione di quadro tratteggiata in questa parte iniziale, nondimeno, se ne
propone qui una raccolta completa in versione sintetica6. Di ognuna si illustra il “nocciolo”, cioè il
punto chiave, lasciando la trattazione diffusa e i dati di riferimento al prosieguo del lavoro.
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In qualcuna delle ragioni a favore del Reis contenute in questo paragrafo vengono ripetute alcune informazioni/considerazioni già presentate altrove nel capitolo. Queste ripetizioni non sono state tolte intenzionalmente, al fine di presentare ogni argomentazione nella sua interezza.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
1. Non si può più farne a meno
L’Italia è l’unico paese europeo - insieme alla Grecia - privo di una misura a sostegno delle famiglie in
povertà assoluta, perlopiù denominata reddito minimo. Questa mancanza può essere superata introducendo il Reis, un “reddito minimo 2.0”, cioè una nuova proposta elaborata cercando di apprendere
al massimo dall’esperienza degli ultimi 20 anni (gli interventi attuati localmente, le proposte già avanzate, le sperimentazioni nazionali, cosa hanno fatto gli altri paesi). Un “reddito minimo 2.0”, nondimeno, anche perché disegnato avendo in mente la società italiana di oggi e di domani.
Per lungo tempo ha prevalso l’ipotesi che, grazie a un proprio equilibrio, distorto ma funzionale, il
welfare italiano potesse prescindere da una misura contro la povertà assoluta. Lo si sosteneva sulla
base di una certa tenuta del quadro occupazionale, del supporto offerto dalle reti familiari e informali e dell’utilizzo - spesso improprio rispetto agli obiettivi primari - di altre politiche pubbliche (pensioni, invalidità, vari interventi per l’occupazione) in funzione anti-povertà. Non sappiamo se ciò fosse
vero in passato ma, in ogni modo, non è più utile chiederselo. Di certo, infatti, non è vero oggi poiché
le condizioni menzionate sono, in varia misura, venute meno. Lo sintetizzano due dati: le famiglie in
povertà assoluta sono aumentate del 31% tra il 2011 e il 2012 (dal 5,2% al 6,8% del totale dei nuclei)
e del 70% tra il 2005 e il 2012 (dal 4% al 6,8% del totale) (fonte Istat). Il protrarsi dell’assenza di un
reddito minimo rischia di produrre conseguenze letali sulla coesione sociale del nostro paese.
2.Raccoglie ampio consenso tra gli esperti
Il Reddito d’inclusione sociale è coerente con il maggior numero delle proposte avanzate negli ultimi
anni per combattere la povertà assoluta in Italia. Il dibattito in merito, infatti, presenta un aspetto
peculiare, assente nelle altre aree del welfare: al di là delle dichiarazioni di principio, gran parte degli
esperti concorda circa i punti chiave delle risposte da mettere in campo. Universalismo dell’utenza,
mix di prestazione monetaria e servizi alla persona, diritti accompagnati a doveri, partnership Enti locali-Terzo settore, definizione di un livello essenziale sociale e altri tratti di fondo sono, infatti, condivisi. Nel nostro paese, detto altrimenti, tutti sanno cosa bisognerebbe fare contro la povertà ma il
problema è un altro: riuscirci.
Il valore aggiunto del lavoro qui illustrato si esprime proprio nel promuovere il passaggio dal consenso dichiarato all’effettiva realizzazione. Da una parte, lanciamo l’idea di idea di dar vita a un Patto
aperto contro la povertà, costruendo un fronte il più ampio possibile di soggetti impegnati ad ottenere l’introduzione del Reis, ognuno portatore del proprio specifico contributo (cfr. par. 5). Dall’altra, la
proposta aggredisce il nervo scoperto del dibattito italiano. Nel confronto tra gli esperti, infatti,
all’ampia concordanza circa i tratti distintivi della risposta da attivare si è sinora accompagnato un
ridotto approfondimento su come farlo in concreto. Sono stati esaminati solo marginalmente il percorso di transizione da compiere per passare dalla situazione attuale al nuovo regime, le strategie per
superare le difficoltà che l’implementazione porta naturalmente con sé, i numerosissimi singoli cambiamenti di ordine tecnico legati all’introduzione della misura e così via. La nostra proposta, invece,
contiene la più approfondita disamina degli aspetti attuativi legati all’introduzione di una misura contro la povertà mai elaborata – a mia conoscenza – in Italia.
3. Supera l’alternativa tra misure emergenziali e riforme strutturali
I suggerimenti per affrontare fenomeni di evidente gravità – com’è oggi la povertà – si polarizzano
sovente tra due opzioni. Una è rappresentata dalle misure emergenziali, cioè quelle azioni una tantum o comunque estemporanee, che producono risultati in tempi brevi ma mettono una toppa senza
giungere alla radice del problema. Una volta esaurite, queste misure non lasciano eredità alcuna: alla
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
prossima emergenza si ricomincerà daccapo. L’alternativa sono le riforme strutturali, che vanno alla
radice del problema ma non offrono risposte tangibili nel breve periodo, dato che per complessità ed
impegno attuativo richiesto manifestano i loro effetti solo dopo alcuni anni; permetteranno così di
offrire gli interventi migliori la prossima volta che il fenomeno si presenterà ma per la crisi corrente
sono inutili.
Il nostro piano individua una sintesi tra le due strade. Si tratta di una riforma strutturale, da introdurre gradualmente in quattro anni, alle fine dei quali il problema (l’assenza di un diritto sociale per tutte le famiglie in povertà assoluta) sarà stato risolto alla radice. Il percorso di transizione, però, è costruito in modo tale da fornire già dal primo anno di attuazione una tangibile risposta all’emergenza.
4. È a favore dei “senza lobbies”
La disattenzione sinora dedicata alla povertà costituisce l’esempio estremo delle difficoltà della politica italiana. Nel nostro paese i Governi hanno una ridotta capacità di prendere decisioni in modo autonomo, e gruppi di pressione e lobbies ne condizionano fortemente le scelte. Lo sguardo verso la
realtà suggerirebbe di compiere interventi a favore del 6.8% di famiglie economicamente più deboli,
ma ciò non si è mai verificato poiché esse non sono organizzate in alcuna incisiva lobby e, dunque,
non sono in grado di esercitare pressioni sul decisore. Introdurre il Reddito d’inclusione sociale costituirebbe il modo più tangibile, per l’élite politica, di mostrare la fattiva intenzione di cambiare strada,
puntando su azioni guidate dalle esigenze della popolazione e non dal peso delle corporazioni.
5. È economicamente sostenibile
La proposta è costruita in modo tale da rendere meglio affrontabile economicamente una scelta a
favore delle famiglie in povertà. Si concentra, infatti, sui nuclei che ne vivono la forma assoluta (la più
grave) e diluisce il necessario incremento di spesa nelle quattro annualità della transizione. A queste
condizioni, il nostro lavoro mostra l’esistenza di varie strade percorribili nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica al fine di reperire le risorse necessarie a colmare gradualmente la distanza tra
l’attuale spesa italiano contro la povertà e la media europea. Noi siamo arrivati a dimostrare
l’impossibilità di affermare che non vi siano soldi per il Reis: si può soltanto dire che esistono altre
priorità. Non neghiamo che fare della lotta alla povertà una priorità sia impegnativo (e inusuale) ma
mostriamo che, volendo, è possibile, dipende dalle scelte. Lo chiariamo partendo dai dati empirici,
come in tutta la proposta: i numeri mostrano anche come le politiche contro l’esclusione sociale abbiano un costo contenuto rispetto alle altre voci del bilancio pubblico, assai meno gravoso di quanto
– a causa di un dibattito politico e mediatico avulso dalla realtà - molti credano.
6.Non si può incrementare la spesa sociale senza un’adeguata progettualità
Il finanziamento statale delle politiche sociali risulta debole per quantità e qualità. Colmare la distanza quantitativa con il resto d’Europa - che i tagli degli anni recenti, particolarmente profondi nel nostro paese, hanno ancor più allargato – rappresenta, dunque, un’azione necessaria ma non sufficiente. Bisogna pure qualificare maggiormente gli stanziamenti statali, superando la prassi - sinora prevalente – di trasferire risorse dal centro ai territori senza accompagnarle con indicazioni sul loro utilizzo
né con verifiche (si pensi alla precedente esperienza del Fondo Nazionale Politiche Sociali, FNPS). In
altre parole, le auspicabili maggiori risorse non debbono essere impiegate per reiterare il modello
dello “Stato Bancomat” (lo Stato come semplice erogatore di soldi ai territori) bensì per costruire l’
“Infrastruttura nazionale per il welfare locale” (lo Stato stanzia risorse, definisce poche regole chiare
per il loro utilizzo, sostiene i territori nell’attuazione, ne verifica l’effettivo impiego). Alcune recenti
azioni statali hanno compiuto passi in tale senso, ad esempio il Piano Nidi 2007-2009 e il riparto del
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
FNPS per il 2013. La nostra proposta vuole spingersi ancora più avanti, legando i maggiori stanziamenti contro la povertà all’introduzione – e poi al mantenimento – di una misura stabile ed efficace,
un livello essenziale, di fronteggiamento di questa condizione.
7.Il percorso indicato rappresenta l’unico modo di realizzare una riforma
L’attuazione del Reddito d’inclusione sociale incontrerà inevitabilmente ostacoli di varia natura, dovuti per esempio ai tentativi di frode e alle difficoltà nell’effettiva attivazione di validi servizi alla persona. Esserne consapevoli, però, non costituisce un buon motivo per rinunciare, per una semplice ragione: qualsiasi riforma degna di questo nome è destinata ad incontrare numerose difficoltà sul proprio cammino e, dunque, l’unico modo per non affrontarle è non fare nulla. La consapevolezza delle
criticità operative, invece, rappresenta una spinta a dedicare la massima attenzione alla fase attuativa, mettendo sul tappeto tutti gli strumenti necessari a sostenere i territori: questa è la strada scelta
dal Reis. Si progetta, infatti, un percorso di progressiva introduzione in quattro anni nell’ambito di un
quadro di riferimento pluriennale chiaramente definito, si prevedono incisivi meccanismi di verifica
delle condizioni degli utenti e controlli sui loro comportamenti, ai servizi è rivolta una linea di finanziamento dedicata, i territori sono accompagnati con linee guida – formazione - momenti di verifica e
confronto. Viene messo in campo, nondimeno, un sistema di monitoraggio e valutazione basato su
standard internazionali, che permetta effettivamente di imparare dall’esperienza e di utilizzare quanto appreso per migliorare gli interventi nei territori.
8.Tiene insieme Nord e Sud
Un piano nazionale funziona solo se sa interpretare le grandi differenze socio-economiche esistenti
tra le aree d’Italia (nessun altro paese europeo presenta disuguaglianze territoriali così elevate). Per
definire la possibilità di ricevere il Reis e per quantificarne l’ammontare, s’impiega la soglia di povertà
assoluta: se questa fosse uguale ovunque, si penalizzerebbero le realtà dove il costo della vita è maggiore, cioè quelle settentrionali (sino a + 30% rispetto al meridione). La soglia di povertà dell’Istat, qui
utilizzata, varia invece secondo le macro-aree territoriali (nord/centro/sud) così come in base alla
dimensione del comune di residenza (piccolo/medio/grande), altra causa di differenza di prezzi e tariffe. La differenziazione dei suoi valori fa sì che la soglia assicuri il medesimo potere d’acquisto in
tutto il paese: si garantisce così l’uguaglianza sostanziale nell’accesso e nell’importo del Reddito
d’Inclusione Sociale.
9. I doveri accompagnano i diritti
L’unica strada per combattere seriamente la povertà consiste nell’introdurre un pacchetto di diritti e
doveri, in una logica dove gli uni non possono prescindere dagli altri. Le famiglie cadute in povertà
assoluta hanno il diritto – garantito dalla definizione di un livello essenziale – ad una tutela pubblica
e, contemporaneamente, devono compiere ogni sforzo per raggiungere il loro inserimento sociale.
Può trattarsi, secondo i casi, di frequentare i corsi di formazione o di riqualificazione professionale
previsti, assicurare la frequenza scolastica di chi è in età dell’obbligo, portare i figli a compiere visite
mediche periodiche, rispettare i piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto e così via; in
caso contrario decade la possibilità di ricevere il Reis. All’interno di questa logica si colloca la concezione di condizionalità adottata nella proposta con riferimento alle persone occupabili, che dovranno
cercare attivamente un impiego ed essere immediatamente disponibili in caso di congrua offerta di
lavoro. Particolare attenzione è rivolta alla costruzione di puntuali meccanismi di verifica dei comportamenti degli utenti.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
Puntare sul mix diritti/doveri costituisce la via verso una migliore efficacia dell’intervento, lo dicono
l’esperienza e le ricerche. Nondimeno, in un paese come l’Italia, segnato da una storia di utilizzo della
spesa di welfare con finalità assistenziali-passivizzanti e, sovente, clientelari, sembra possibile chiedere nuovi stanziamenti pubblici solo a patto che al riconoscimento di nuovi diritti si accompagni il rispetto di precisi doveri.
10. È strumento di autonomia
Le famiglie necessitano di azioni capaci non solo di tamponare lo stato di povertà (la mancanza di denaro) ma anche di agire sulle cause (i fattori responsabili delle difficoltà di vita), consentendo loro,
dove possibile, di uscire da questa condizione e, in ogni caso, di massimizzare la propria autonomia. È
il compito dei servizi alla persona, che lo svolgono fornendo competenze e/o aiutando ad organizzare
diversamente la quotidianità. Il Reis, dunque, prevede - a fianco del contributo monetario l’erogazione dei servizi (per l’impiego, formativi, di cura e altri).
Poiché offrire servizi di qualità rappresenta una sfida particolarmente impegnativa, vengono creati
tutti i presupposti necessari per vincerla, cominciando da un adeguato pacchetto di risorse economiche destinate ai servizi nel budget del Reis. Un’ altra condizione per il successo dei servizi consiste in
una fattiva co-progettazione tra Comuni (associati negli Ambiti Sociali), Terzo Settore - si veda il prossimo punto - e altri soggetti del welfare locale, a partire da centri per l’impiego, servizi socio-sanitari,
scuola e formazione regionale. Inoltre, viene costruita l’ “infrastruttura nazionale del welfare locale”,
cioè un insieme di strumenti che lo Stato – in collaborazione con le Regioni - fornisce ai servizi locali
affinché possano operare al meglio: oltre alla risorse, percorsi di accompagnamento e formazione,
momenti di condivisione di esperienze tra diverse realtà, monitoraggio e valutazione dell’esperienza,
interventi diretti nei contesti in grave difficoltà.
11.Tutela dei diritti e promozione della sussidiarietà hanno successo solo insieme
In un dibattito con forti venature ideologiche, questi due fondamentali obiettivi vengono abitualmente presentati come se fossero l’uno indipendente dall’altro (se non in contrapposizione). Da una parte, chi promuove la tutela dei diritti – realizzabile solo attraverso adeguati finanziamenti pubblici – si
concentra molto sul ruolo dei Comuni e spesso sottovaluta l’azione del Terzo Settore nella progettazione e nell’erogazione di servizi. Dall’altra, coloro i quali insistono sull’importanza della sussidiarietà
orizzontale – cioè la valorizzazione degli interventi provenienti dalla società e dal Terzo Settore –
tendono a trascurare la necessità di un adeguato finanziamento pubblico del welfare.
Partendo dai dati concreti, invece, la nostra proposta ribalta la prospettiva. Diritti e sussidiarietà non
solo non sono indipendenti, ma – anzi - producono i risultati di cui ha bisogno la popolazione esclusivamente se vengono tradotti in pratica congiuntamente. Lo Stato definisce il Reis come livello essenziale contro la povertà, con i relativi criteri di accesso, e ne assicura gli stanziamenti. Per quanto riguarda la progettazione e la realizzazione dei servizi nel territorio, è previsto che alla funzione di regia dei Comuni si affianchi un coinvolgimento ampio del Terzo Settore, senza il cui forte ruolo sarebbe impossibile offrire interventi adeguati ai cittadini. Nondimeno, è solo grazie alla definizione dei diritti, ed al conseguente stanziamento di finanziamenti pubblici, che il Terzo Settore può trovare le risorse necessarie a mettere in campo le proprie risposte.
12. È la pre-condizione per una riforma a favore delle persone non autosufficienti
L’introduzione del Reis rappresenta la condizione necessaria affinché si possa avviare l’altra grande
riforma nazionale del welfare sociale oggi al centro dell’attenzione, quella delle politiche rivolte alle
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
persone non autosufficienti (anziani e persone con disabilità). Quest’ultima, infatti, non potrà che
partire da una rivisitazione dell’indennità di accompagnamento, il principale strumento nelle mani
dello Stato in materia, che tutti gli esperti ritengono sia da migliorare. Si noti che dall’analisi dei dati
emerge come la più elevata percentuale di beneficiari nelle aree deboli del paese – perlopiù meridionali – sia dovuta, per una parte, ad una maggiore presenza di aventi diritto e, per l’altra, a un suo utilizzo improprio come misura di supporto alle famiglie povere, di fatto in sostituzione del reddito minimo mancante. Una simile situazione si è già verificata in passato con altre prestazioni d’invalidità.
Gli addetti ai lavori concordano nel ritenere che la riforma dell’indennità dovrebbe rivedere i criteri
di accertamento della non autosufficienza, poiché gli attuali sono assai grezzi (non differenziano tra
livelli diversi di bisogno e hanno sinora reso relativamente semplice erogare la misura a persone che
non ne avevano effettivamente necessità). Migliorarli significa renderli più capaci di cogliere le reali
condizioni di non autosufficienza e, dunque, interromperne l’utilizzo come “reddito minimo sotto
mentite spoglie”. Detto altrimenti, se si fa in modo che chi non è autosufficiente possa ricevere
l’indennità più agevolmente, contemporaneamente si impedisce a chi non ne ha realmente i requisiti
di riceverla. Perché un simile cambiamento sia socialmente gestibile – nelle aree economicamente
più deboli del paese - è necessario però introdurre una vera misura di reddito minimo, cioè il Reis.
Ecco il punto: dato che storicamente il welfare italiano ha costruito il proprio equilibrio imperfetto
attraverso l’impiego di alcune prestazioni per obiettivi diversi da quelli originari, l’intreccio creatosi è
tale che oggi non si può pensare di far cessare gli utilizzi impropri di una misura senza introdurne
un’altra che risponda ai bisogni che altrimenti rimarrebbero scoperti.
1.5. IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTÀ
Acli e Caritas propongono di siglare un Patto Aperto contro la Povertà a tutti soggetti sociali interessati alla lotta per estirpare questo flagello in Italia. Si tratta, dunque, di unire le forze e percorrere insieme un cammino finalizzato a promuovere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale nel nostro paese. Inoltre, se - come ci auguriamo - il Reis diventerà realtà, gli aderenti al Patto si impegneranno ad assicurarne la migliore attuazione possibile.
È invitato ad aderire al Patto ogni soggetto sociale che deciderà di fare propria la proposta, nei suoi
punti chiave, e di contribuire alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze
politiche per ottenerne l’introduzione. Inoltre, in caso di esito positivo, gli aderenti lavoreranno per
promuoverne la corretta attuazione così come per verificarla.
I contenuti dell’attività di sensibilizzazione saranno definiti congiuntamente dai diversi sostenitori, in
coerenza con la logica prescelta; evidentemente non potrebbe definirsi “aperto” un Patto dai contorni già definiti, cioè chiusi. Allo stesso modo, mentre i capisaldi della proposta sono fermi, gli aderenti potranno portare il proprio contributo per migliorarne le specifiche parti, sulla base delle loro
competenze ed esperienze. In caso di esito positivo, un non minore coinvolgimento sarà richiesto nel
controllare l’attuazione del Reis e nel favorire il superamento delle difficoltà che si presenteranno in
fase realizzativa, come è naturale che avvenga passando dalla teoria alla pratica.
Perché un Patto contro la povertà? Allo scopo di superare la distanza tra la scarsa attenzione che, da
sempre, la politica nazionale dedica al problema e l’urgenza di mettere in campo adeguate azioni per
contrastarlo. Nella concretezza delle risposte portate avanti a livello locale, tanti soggetti sono abituati ad unire gli sforzi e a realizzare insieme interventi contro l’esclusione sociale, in innumerevoli
territori. Passando all’attività di sensibilizzazione svolta a livello nazionale, invece, il quadro cambia
perché le numerose azioni effettivamente compiute vengono realizzate da singoli attori, gli uni autonomamente rispetto agli altri. Fare della povertà una priorità della politica nazionale costituisce, oggi,
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
una sfida insieme decisiva ed assai complessa (cfr. par 1.4): per vincerla è necessario un salto di qualità, unendo le forze e dando vita ad un’azione corale. La costruzione del Patto è facilitata dalla peculiarità della lotta alla povertà: su quali dovrebbero essere i punti cardine di una misura nazionale per
fronteggiarla, infatti, esiste ampio consenso tra gli addetti ai lavori. Detto altrimenti, tutti sanno cosa
fare, il problema è riuscirci: mobilitarsi insieme è un passaggio decisivo a tal fine (cfr. par 1.4).
Perché “Aperto” ? Innanzitutto per un motivo di senso. Nessuno – a cominciare dai promotori e dagli
autori della presente proposta - può ritenere di avere il monopolio della lotta alla povertà, la voce di
ognuno ha lo stesso valore di quella degli altri. Vi è, nondimeno, una ragione di contenuto.
L’ampiezza della sfida è tale da rendere necessaria la condivisione di esperienze, competenze e creatività di ognuno, con riferimento ai diversi piani della sensibilizzazione, del miglioramento della proposta e della verifica sulla sua (eventuale) attuazione (box 3).
BOX 3 – IL PATTO APERTO CONTRO LA POVERTA’
L’idea
Tutti i soggetti sociali interessati a combattere la povertà uniscono le forze e percorrono insieme il
cammino finalizzato ad ottenere l’introduzione del Reddito d’Inclusione Sociale
È invitato ad aderire
Ogni soggetto sociale interessato
Che faccia propri i capisaldi del Reis
Che intenda dare il proprio contributo al percorso
Aree di azione dei soggetti coinvolti
Attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche
Miglioramenti di specifici aspetti della proposta
(in caso di introduzione del Reis) Promozione e verifica della corretta attuazione
La logica pattizia permea l’intera proposta. Passando dai soggetti sociali alle forze politiche, infatti,
questa si conferma la chiave di volta per il successo del Reis. Un Patto tra i partiti è necessario affinché tutti insieme decidano l’introduzione del Reis e si assumano la responsabilità di sostenerne congiuntamente l’attuazione, quale che sia la collocazione futura di ognuno (maggioranza o opposizione). In altre parole, si propone loro di prendere un impegno condiviso ad appoggiare il percorso di
messa in pratica della misura negli anni a venire, che ogni attore dovrebbe portare avanti indipendentemente dal colore dei prossimi Governi e dall’evoluzione del confronto politico (box 4).
L’attuazione del Reddito d’Inclusione Sociale incontrerà inevitabilmente numerosi ostacoli: altrimenti
la riforma non sarebbe degna di questo nome. Si ipotizza, pertanto, un percorso pluriennale affinché
i soggetti impegnati localmente - Enti Locali e Terzo Settore – dispongano del tempo necessario ad
assimilare il cambiamento e apprendere come gestire la nuova misura. In questa fase i territori saranno accompagnati da Regioni e Stato grazie a sistemi di monitoraggio e valutazione, azioni formative, momenti di confronto e altro. Solo se graduale e ben supportato, infatti, un percorso di cambiamento del welfare locale può arrivare a buon fine7 (cfr. par 1.4).
7
Inoltre, suddividere l’introduzione in più anni consente di diluire nel tempo il necessario incremento di spesa.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
Il gradualismo è la scelta migliore – l’unica possibile, a ben vedere – per le politiche, cioè per il contenuto degli interventi, mentre presenta alcuni rischi riguardanti la politica, intesa come il confronto tra
le diverse forze coinvolte. Tenere il “cantiere” aperto tre anni8, infatti, significa vivere un lungo periodo di “lavori in corso” durante il quale le naturali difficoltà potrebbero essere sfruttate – secondo le
convenienze del momento – per rimettere il Reis in discussione, facendone il pretesto per una battaglia politica. Gli argomenti addotti potrebbero essere quelli tante volte sentiti, da “siamo realisti, il
welfare italiano non è in grado di amministrare una misura simile” a “sarebbe bello ma costa troppo”9.
Il Patto servirebbe a proteggere la lotta alla povertà da questi rischi, impedendo ai partiti di cadere in
tentazioni strumentali. Si vorrebbe creare così un clima nel quale non venissero messe in discussione
l’esistenza del Reis e il suo impianto – certezze necessarie ai cittadini in povertà per veder rispettati i
propri diritti e agli operatori del welfare per agire in un contesto stabile – e l’attenzione potesse concentrarsi su come affrontare al meglio le difficoltà concrete incontrate nel percorso attuativo.
Può apparire ingenuo, davanti alla realtà del confronto politico italiano, proporre un simile patto e
immaginarne il rispetto nel tempo. D’altra parte, un progetto con queste caratteristiche (è a favore
della parte più debole della società, permette di superare un ritardo ormai insostenibile del nostro
paese, ha il consenso dei tecnici, accompagna diritti e doveri, ed è costruito così da richiedere al bilancio pubblico un impegno sostenibile) costituisce un terreno particolarmente favorevole per un accordo capace di andare oltre le rispettive appartenenze. In ogni modo, si è visto sopra, il Patto tra i
soggetti sociali avrà tra i propri compiti quello di promuovere e verificare la corretta attuazione del
Reis; un’opera costante di stimolo e controllo della politica costituirà una parte centrale di tale funzione.
BOX 4 – LA LOGICA PATTIZIA E LA POLITICA
L’idea
Tutti i partiti insieme decidono di introdurre il Reis e si assumono la responsabilità di sostenerne
nel tempo il percorso attuativo, indipendentemente dall’evoluzione del quadro politico nei prossimi anni
Il significato
Il pluriennale percorso di attuazione incontrerà inevitabilmente numerose difficoltà
Solo un accordo per proteggere il Reis da eventuali strumentalizzazioni politiche può creare il clima adatto ad affrontare con successo gli ostacoli che si presenteranno lungo il cammino
1.6. IL TESTO E IL SITO
Dopo questo capitolo iniziale, che ne ha illustrato il quadro d’insieme e le sue ragioni, la presentazione della proposta si articola nel modo seguente. Il prossimo contributo mette a fuoco il profilo delle
famiglie che sperimentano la povertà assoluta in Italia, dettagliandone i diversi caratteri per età, col-
8
Il quarto anno del percorso di transizione è il primo nel quale la misura a tutti gli utenti, di fatto il primo anno a regime.
9
Le buone ragioni a favore della riforma, presentate nel paragrafo 6.2, confutano queste affermazioni.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
locazione professionale, area geografica di appartenenza, ampiezza e altre dimensioni (cap. 2). Il capitolo successivo comincia a presentare i contenuti del Reddito d’Inclusione Sociale, soffermandosi
sui criteri per riceverlo e sull’ammontare da erogare agli aventi diritto (cap.3). Una volta definiti utenza e importi, il passaggio ulteriore riguarda l’impianto organizzativo ed istituzionale congegnato
per sostenere l’erogazione del Reis, con riferimento ai rapporti tra i diversi livelli di governo – stato,
regioni, enti locali – ed ai vari soggetti operanti nel territorio (cap. 4). All’interno di una struttura così
definita, si gioca il ruolo del welfare dei servizi, approfondito nei due capitoli che seguono. Uno si
concentra sui passi da compiere per accedere al Reis e sulla presa in carico nelle sue diverse componenti, in particolare il progetto personalizzato e il patto con l’utente (cap. 5). L’altro è dedicato ai
percorsi d’inclusione sociale e lavorativa dell’utente - e ai diversi servizi che vi sono coinvolti – per
approfondire successivamente il tema delle verifiche e dei controlli all’accesso e per la permanenza
dei requisiti (cap.6). Il contributo che segue illustra in che modo si prevede di riassorbire all’interno
del Reis le numerose prestazioni già esistenti contro la povertà assoluta (cap. 7). Termina così la presentazione dei diversi elementi che compongono il Reis: la parte rimanente del testo riguarda gli
strumenti e le risorse necessari al suo funzionamento. Si comincia con il sistema di monitoraggio ed
attivazione predisposto, articolato in analisi d’implementazione, un sistema informativo longitudinale, analisi campionarie e un pacchetto di sperimentazioni controllate (cap. 8). Il capitolo seguente espone la strategia per il finanziamento del Reis, partendo dai criteri che ne stanno alla base per poi
approfondire le varie strade individuate per trovare le risorse e quantificarne l’ammontare di ognuna
(cap. 9). Il capitolo successivo, infine, articola il percorso graduale – lungo quattro anni – disegnato
per la messa in atto del Reis, legato al progressivo ampliamento dell’utenza e all’allargamento della
spesa (cap. 10). La presentazione della proposta, in tutti suoi aspetti, termina qui. Per concludere il
testo, invece, ne vengono ripresi i tratti principali confrontandoli con l’esperienza degli altri paesi europei, così da mettere a fuoco cosa sia (e cosa non sia) lecito aspettarsi dall’introduzione del Reis in
Italia (cap. 11)
Il testo può essere scaricato dal sito www.redditoinclusione.it, creato appositamente per il Reis. Il
sito entra in funzione contemporaneamente al lancio pubblico della proposta, nel luglio 2013 e verrà
progressivamente arricchito di materiali. Una volta a regime, cioè dall’autunno 2013, il sito svolgerà
quattro funzioni, alle quali corrispondono contenuti differenti. La prima consiste nell’illustrare la
proposta, proponendone versioni adatte a vari livelli di approfondimento. Verranno presentati il testo integrale (questo), i singoli capitoli separatamente, alcune sintesi (di varia lunghezza), e i paper
tecnici10. La seconda funzione è quella di far conoscere i soggetti coinvolti. Il sito conterrà, pertanto,
informazioni riguardanti gli attori aderenti al Patto aperto contro la povertà così come gli estensori
del Reis. La terza funzione risiede nel seguire la proposta nel tempo. Verranno, pertanto, segnalati gli
eventi riguardanti il Reddito d’Inclusione Sociale, si raccoglieranno gli articoli pubblicati in merito dalla stampa e dai siti, e si riferirà su come procederà la campagna a favore della sua introduzione. Il sito, infine, monitorerà l’evoluzione delle politiche contro la povertà in Italia, fornendo un quadro aggiornato della situazione e dei cambiamenti in atto.
L’ultima funzione è complementare alle precedenti poiché mentre quelle si concentrano sul Reis,
questa volge lo sguardo verso il contesto per il quale la proposta è pensata.
10
Si tratta di contributi che approfondiscono temi strettamente legati alla proposta. Il primo, già disponibile, è
“Le esperienze italiane di contrasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Pierangelo Spano, Ugo
Trivellato & Nadir Zanini. A settembre saranno disponibili i due successivi: “Le esperienze europee di contrasto alla povertà. Che cosa possiamo imparare?” di Stefano Sacchi e “La mappatura territoriale di Ambiti
socio-assistenziali, Distretti socio-sanitari e Centri per l’Impiego" di Mattia Monti e Fabio Dusio.
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1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
1.7. IL PERCORSO COMPIUTO
Più sopra è stato introdotto il Patto aperto contro la povertà, cioè l’architrave del percorso che
s’intende compiere - d’ora in avanti - per promuovere l’introduzione del Reis. Ma qual è stato il tratto
di strada completato sinora, cioè quello che ha permesso di arrivare sino a qui, al lancio della proposta? L’inizio è datato settembre 2011, quando il coordinatore del progetto presentò l’idea ai responsabili delle Acli e a quelli della Caritas, riscontrando subito una forte concordanza di vedute. Da lì è
cominciato un lavoro comune caratterizzato da continui confronti e scambi, allargatosi all’insieme del
gruppo di lavoro che ha elaborato il testo e a tante persone appartenenti alle due organizzazioni.
Se è nel settembre 2011 che il testo qui presentato ha iniziato a prendere forma, i semi che ne hanno
permesso la nascita erano già stati gettati prima. Acli e Caritas, infatti, avevano lavorato in precedenza a proposte che – pur concepite separatamente – muovevano nella stessa direzione. Una è quella
del “Reddito di Autonomia”, promosso dalla delegazione lombarda della Caritas, con riferimento a
tale regione (Lodigiani e Riva, 2011), e innestato sull’ampio patrimonio di spunti e analisi contenuti
nel “Rapporto annuale su povertà ed esclusione sociale in Italia” pubblicato a partire dal 1996 (sino al
2011 in collaborazione con la Fondazione Zancan, Caritas – Fondazione Zancan, anni vari). L’altra è la
proposta di una “Nuova social card”, lanciata tempo fa dalle Acli nazionali al fine di superare la Carta
Acquisti tradizionale e compiere un primo passo verso quella misura di reddito di stampo europeo
mancante nel nostro paese (Gori et alii, 2010); la sperimentazione di un nuovo modello di Social Card
recentemente avviata dal Governo nelle 12 città più popolose d’Italia riflette – in gran parte dei suoi
tratti principali - la proposta Acli11.
Le precedenti proposte di Acli e di Caritas erano coerenti tra loro sotto tre profili. Primo, i contenuti,
dato che ne condividevano i principali: non è necessario richiamarli ora poiché sono i medesimi caposaldi del lavoro che qui comincia, sintetizzati nel par. 1.2. Secondo, il metodo poiché entrambe hanno
un taglio decisamente concreto e operativo, molto attento alla dimensione attuativa; tratti che, di
nuovo, si ritrovano nel presente progetto. Terzo, il fatto di presentarsi come transitorie in attesa della necessaria riforma strutturale di livello nazionale, legandosi a specifiche contingenze.
Per Caritas riguardavano il territorio, poiché si trattava di una proposta rivolta ad una singola regione, con una funzione da “battistrada” per l’auspicata misura da inserire nell’intero paese. Nel caso
delle Acli, invece, la contingenza era temporale, laddove s’intendeva modificare la Social Card al fine
di proporne una nuova configurazione, concepita come il primo passo di un cammino verso la necessaria riforma nazionale. La concordanza su questi diversi aspetti ha fatto sì che – davanti alla necessità di costruire una proposta per una riforma strutturale contro la povertà assoluta - Acli e Caritas abbiano condiviso il proprio impegno. L’unione degli sforzi, è poi diventata una prospettiva fondante
dell’intera operazione avviata, attraverso la proposta di un “Patto aperto contro la povertà”, al fine di
costruire un legame tra il maggior numero possibile di soggetti interessati alla lotta di questo flagello,
come illustrato nel paragrafo 1.5.
Durante l’elaborazione, il lavoro del gruppo Acli-Caritas si è incrociato con un altro in corso da tempo,
quello del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca sociale (ARS) e sostenuto da
11
Tutti gli autori di tale proposta fanno parte del gruppo che ha dato vita a quella qui presentata, e anche il coordinatore è il medesimo.
Pagina 17 1.7
1. LA PROPOSTA E LE SUE RAGIONI
Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS) (AAVV, 2011)12. I due gruppi hanno dato vita
ad un rapporto pienamente coerente con l’idea del “Patto aperto contro la povertà”, in una collaborazione intensa caratterizzata da un fitto scambio di dati, analisi e stimoli.
1.8. RINGRAZIAMENTI
Il cammino che ci permette di lanciare oggi il Reddito d’inclusione sociale e di proporre il Patto aperto contro la povertà è stato – come detto - reso possibile dal sostegno di vari soggetti. Desideriamo
ringraziare, innanzitutto, Acli nazionale e Caritas italiana per aver creduto nel progetto, averlo sostenuto concretamente e accompagnato nel tempo, nell’ambito di un fecondo scambio d’idee con il
gruppo di lavoro.
Per quanto riguarda le Acli, la nostra gratitudine va al presidente Gianni Bottalico, al vice presidente
vicario Stefano Tassinari, al responsabile del dipartimento welfare Andrea Luzi, al coordinatore delle
segreteria Lanfranco Norcini Pala, e al coordinatore del dipartimento welfare, David Recchia. Siamo
ugualmente riconoscenti ad Andrea Olivero e Vittoria Boni, rispettivamente ex presidente ed ex responsabile del dipartimento welfare, che hanno promosso la precedente proposta delle Acli in materia e avviato il cammino che ha portato al Reis.
Per quanto concerne Caritas Italiana, la nostra gratitudine va al presidente, S. Ecc. Mons. Giuseppe
Merisi, al direttore, don Francesco Soddu, e al vicedirettore vicario, Francesco Marsico. Desideriamo
esprimere riconoscenza anche agli autori della proposta del Reddito di Autonomia, Rosangela Lodigiani ed Egidio Riva, dell’Università Cattolica di Milano, e al delegato delle Caritas Lombarde, Don Roberto Davanzo, suo principale promotore.
Inoltre, vogliamo ringraziare gli autori del progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, realizzato dall’Associazione per la ricerca
sociale (ARS) e sostenuto da Fondazione Cariplo e Istituto per la Ricerca Sociale (IRS), guidato da Emanuele Ranci Ortigosa, presidente dell’ARS e direttore scientifico dell’IRS, per aver condiviso con
noi idee, dati e analisi durante l’elaborazione dei rispetti lavori.
Un ringraziamento particolare, infine, lo desideriamo porgere a tutti coloro i quali vorranno – nel
prossimo futuro – confrontarsi con noi sul Reis, aiutarci a migliorarlo e aderire al Patto aperto contro
la povertà. La speranza è di vedere tutti i soggetti interessati alla lotta contro questo flagello alleati e
sempre più capaci di condizionare le scelte politiche.
La responsabilità di quanto scritto in questo testo è condivisa dal gruppo autori ed è esclusivamente
sua.
12
Questo riferimento bibliografico riguarda la prima versione della proposta. Una successiva versione si potrà
trovare dall’ottobre 2013 sul sito di “Prospettive Sociali e Sanitarie” (http://pss.irsonline.it) e successivamente in un numero monografico della medesima rivista.
Pagina 18
2. CHI SONO I POVERI

La proposta qui presentata riguarda la povertà assoluta. Sperimenta questa condizione chi è
privo dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat. Avere un livello di vita “minimamente accettabile” significa, in
concreto, poter raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione con un
minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente e così via

Secondo i dati più recenti, nel 2012 la povertà assoluta colpisce circa 1.72 milioni di famiglie,
il 6.8% di tutte le famiglie italiane.

Tra il 2011 e il 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 5,2% al 6,8% del totale:
un aumento del 31% in un anno.

Tra il 2005 e i 2012 le famiglie in povertà assoluta sono passate dal 4% al 6,8% del totale: un
aumento del 70% in sette anni.

I poveri assoluti sono soprattutto minori, disoccupati, casalinghe, operai con figli, e in genere
le famiglie con al più un reddito da lavoro.

La povertà assoluta è un fenomeno storicamente più presente nel meridione, dove riguarda
oggi il 9,8% delle famiglie. La novità di questa fase è il suo radicamento anche nel nord del
paese, dove nel 2011 toccava il 3,7% delle famiglie mentre nel 2012 è arrivata al 5,5%.

Il capitolo fornisce una panoramica sui concetti di povertà relativa ed assoluta e sui metodi
per calcolarle, analizza i dati più recenti e illustra il metodo da noi scelto per calcolare la povertà assoluta. Si tratta di un metodo coerente con l’obiettivo di costruire un trasferimento
monetario contro la povertà.
Questo capitolo ha l’obiettivo di presentare un quadro della diffusione e delle caratteristiche della povertà assoluta in Italia. Nel primo paragrafo illustriamo le caratteristiche dell’indicatore di povertà assoluta
predisposto pochi anni fa dall’Istat, e mostriamo i più recenti dati disponibili relativi a diffusione ed intensità della povertà assoluta in Italia. Nel secondo paragrafo discutiamo invece le scelte metodologiche che
abbiamo adottato per il calcolo della povertà assoluta, che solo in parte seguono le regole adottate
dall’Istat; passiamo poi, nel paragrafo 3, a descrivere brevemente alcuni dati che applicano queste scelte
di metodo al più recente dataset di microdati disponibile, l’indagine Silc 2010.
2.1. LA POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA
Il metodo tradizionalmente seguito in Italia per la quantificazione del fenomeno della povertà è basato sulla spesa per consumi delle famiglie. L’Istat considera infatti come povere le famiglie di due persone che presentano una spesa inferiore alla spesa media pro-capite (Istat 2012). Per i nuclei di diversa numerosità, la linea di povertà si ottiene moltiplicando la soglia relativa a due componenti per
una scala di equivalenza, che tiene conto della presenza di economie di scala all’aumentare della dimensione della famiglia. L’area della povertà ottenuta in questo modo corrisponde ad un concetto di
povertà relativa, perché si è poveri quando si possiede un tenore di vita significativamente inferiore a
quello medio dell’intera popolazione.
Sempre seguendo un approccio relativo, l’Eurostat calcola invece la povertà sulla base non del livello
della spesa per consumi, ma del reddito disponibile delle famiglie (Eurostat 2012). In questo caso si
Pagina 19
2. CHI SONO I POVERI
considera come povero un individuo che vive in una famiglia il cui reddito equivalente è inferiore al
13
60% del reddito equivalente mediano della distribuzione individuale. Dal 2004, cioè da quando in
Italia viene svolta l’indagine annuale Silc sui redditi delle famiglie, l’Istat pubblica anche i dati sulla
povertà di reddito, calcolati seguendo la metodologia Eurostat.
Negli ultimi anni l’Istat ha arricchito l’analisi della povertà, affiancando al tradizionale calcolo degli
indicatori relativi anche una stima dell’estensione della povertà assoluta. Viene considerata in povertà assoluta una famiglia che presenta una spesa per beni e servizi primari inferiore ad una soglia valutata come indispensabile per poter vivere in modo minimamente dignitoso. Apparentemente questo
criterio sembra prescindere dal tenore di vita medio della popolazione, da cui l’aggettivo assoluto,
ma in realtà anch’esso deve tenere conto del contesto di riferimento. E’ chiaro, ad esempio, che il valore del paniere necessario per poter vivere in modo dignitoso in Italia è sensibilmente superiore a
quello di un paniere capace di garantire una vita modesta ma dignitosa in un’area rurale dell’Africa.
Resta però vero che la povertà assoluta si calcola in modo del tutto indipendente dal reddito medio o
mediano della popolazione, ed è quindi insensibile ad oscillazioni di breve termine dovute a variazio14
ni dei livelli medi o mediani del reddito o del consumo nazionali.
Il livello della soglia di povertà assoluta corrisponde al valore di un paniere di beni e servizi, calcolato
da una commissione di esperti (Istat 2009), differenziato in base a tipologie socio-demografiche quali
il numero e l’età dei componenti, l’area geografica e la dimensione del comune di residenza. Questo
valore viene annualmente aggiornato in base al tasso di variazione dei prezzi per area geografica.
Più in particolare, del paniere fanno parte una componente alimentare, una abitativa ed una residuale (Istat, 2009). La prima viene definita sulla base dei Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti per gli
italiani (Larn). La seconda si basa su un fabbisogno abitativo minimo in termini di ampiezza dell’alloggio,
corrispondente al parametro per la concessione dell’abitabilità individuato dal decreto ministeriale del 5
luglio 1975. A partire da questo viene poi calcolato il costo per l’affitto e quello per le dotazioni
dell’abitazione (energia elettrica, beni durevoli e riscaldamento). Infine, la componente residuale stima la
spesa minima necessaria “per arredare e manutenere l’abitazione, vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute” (Istat, 2009, pag. 59).
Nel 2012, secondo il documento “La povertà in Italia” dell’Istat (2013), 1 milione e 725 mila famiglie
(il 6,8% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni
e 814 mila individui (l’8% dell’intera popolazione). L’incidenza, tra le famiglie, ha mostrato un aumento, rispetto al 2011, di ben 1,6 punti percentuali a livello nazionale, di 1,8 nel Nord e nel Mezzogiorno
e di 1 punto percentuale nel Centro; le variazioni tra gli individui (pari rispettivamente a 2,4, 2,5 e 1,6
punti percentuali) sono ancora più accentuate, a seguito del marcato incremento della povertà assoluta tra le famiglie più ampie. L’incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro
(dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella grande maggioranza dei
13
Il reddito equivalente di una famiglia è il rapporto tra il reddito disponibile di familiare e la scala di equivalenza “Ocse modificata”, che dà peso 1 al primo adulto in famiglia, 0.5 ad ogni altro membro con almeno 14
anni, 0.5 ai bambini fino a 13 anni. A ciascuna persona viene assegnato il reddito equivalente della famiglia
a cui appartiene. La mediana di questa distribuzione tra individui dei redditi equivalenti (cioè il reddito che
divide la popolazione in due gruppi ugualmente numerosi, metà con reddito più basso, metà con reddito
superiore) viene poi moltiplicata per 0.6 per ottenere la linea di povertà.
14
Il reddito medio è quel livello di reddito che sarebbe posseduto da ciascuna famiglia, in caso di distribuzione
perfettamente egualitaria. Si ottiene dividendo il totale per il numero dei casi.
Pagina 20
2. CHI SONO I POVERI
casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due
figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al
16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%). Peggiora anche la condizione delle famiglie di monogenitori
(dal 5,8% al 9,1%) e con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%), per le quali l’incidenza di povertà assoluta ha ormai oltrepassato il valore medio nazionale. Si conferma e si amplia, quindi, lo svantaggio
delle famiglie più ampie, nonostante segnali negativi, seppur su livelli contenuti, si registrino anche
tra le persone con meno di 65 anni, sole (dal 3,5% al 4,9%) o in coppia (dal 2,6% al 4,6%).
Un livello di istruzione medio-alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, non garantiscono più dal rischio di cadere in povertà assoluta, soprattutto quando altri membri della famiglia perdono la propria occupazione o modificano la propria posizione professionale. Peggiorano le condizioni delle famiglie con tutti i componenti occupati (dal 2,5% al 3,6%) o con a capo un occupato (dal
3,9% al 5,5%); oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2%
al 6%); la povertà assoluta aumenta, seppur su livelli più bassi, tra gli impiegati e tra i dirigenti
(dall’1,3% al 2,6%).
Trend negativi si osservano tra le famiglie con redditi da lavoro e da pensione (dal 3,6% al 5,3%). Ne
deriva un aumento della povertà sia tra le famiglie con capo una persona con licenza media inferiore
(dal 6,2% al 9,3%), sia tra quelle con a capo un diplomato o un laureato (dal 2% al 3,3%). Ancora una
volta, tuttavia, l’incidenza cresce tra le famiglie con a capo una persona non occupata (dall’8,4%
all’11,3% se in condizione non professionale, dal 15,5% al 23,6% se in cerca di occupazione) e raggiunge i livelli più elevati tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro: nel 2012 quasi un terzo di
queste famiglie (il 30,8%) è assolutamente povero (erano il 22,3% nel 2011).
Da ultimo una considerazione assumendo una prospettiva temporale più ampia. L’analisi qui proposta si è soffermata sul cambiamento tra il 2011 e il 2012 perché il brusco incremento della diffusione
della povertà assoluta nel nostro paese colpisce e merita attenzione. Ampliamo ora lo sguardo sino al
2005, primo anno per il quale dati comparabili sono disponibili. Le famiglie in povertà assoluta sono
passate dal 4% del 2005 al 6,8% del 2012: vuol dire un incremento del 70% in 7 anni. La povertà assoluta, purtroppo, sta mettendo le radici nel nostro paese.
Al contrario di quanto accade per altri dati, l’Istat non diffonde quelli sulla povertà assoluta a livello regionale. Le tab. 1 e 2 riassumono i principali indicatori sulla dinamica della povertà assoluta in Italia.
TAB. 1 INDICATORI DI POVERTÀ ASSOLUTA IN ITALIA
2005
famiglie povere (migliaia)
famiglie residenti (migliaia)
persone povere (migliaia)
persone residenti (migliaia)
INCIDENZA DELLA POVERTÀ (%)
2007
2008
2009
2010
2011
2012
932
975
1.126
1.162
1.156
1.297
1.725
23268
23.881
24.258
24.609
24.898
25.165
25.384
2381
2.427
2.893
3.074
3.129
3.415
4.814
58.077
58.757
59.261
59.674
60.005
60.287
60.450
(%)
Famiglie
4,0
4,1
4,6
4,7
4,6
5,2
6,8
Persone
4,1
4,1
4,9
5,2
5,2
5,7
8,0
16,3
17,0
17,3
17,8
17,8
17,3
INTENSITÀ DELLA POVERTÀ (%)
(%)
Famiglie
17,7
Fonte: Istat (2013)
Pagina 21
2. CHI SONO I POVERI
TAB. 2 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNE TIPOLOGIE SOCIODEMOGRAFICHE IN ITALIA
2011
2012
Età della persona di riferimento
2011
2012
Ampiezza
della famiglia
2011
2012
Tipologia famigliare
<=34
5.3
8.1
1
5.1
5.5
Persona sola con meno
di 65 anni
3.5
4.9
35-44
4.8
7.4
2
4.1
5.5
Persona sola >= 65
anni
6.8
6.2
45-54
5.3
7.3
3
4.7
6.6
Coppia con capofamiglia <65
2.6
4.6
55-64
3.8
6.6
4
5.2
8.3
Coppia con capofamiglia >=65
4.3
4.0
>=65
6.0
6.1
>=5
12.3
17.2
Coppia con 1 figlio
4.0
5.9
Coppia con 2 figli
4.9
7.8
Coppia con 3+ figli
10.4
16.2
I dati mostrano un forte aumento della diffusione della povertà assoluta nel 2012 rispetto all’ano
precedente, concentrata in particolare tra le famiglie numerose e con figli. Gli anziani, grazie anche
all’indicizzazione delle pensioni ai prezzi, sembrano avere conservato in genere il proprio tenore di
vita, che invece è in deciso peggioramento per le coppie più giovani, anche quelle con un solo figlio.
2.2. LA STIMA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA PER IL CALCOLO DEL REIS
Le nostre stime della povertà assoluta si differenziano in parte dall’approccio seguito dall’Istat, perché adottiamo un criterio misto reddito-consumo: ci basiamo infatti sul confronto tra il reddito di15
sponibile delle famiglie e le linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat. Definiamo quindi in povertà assoluta una famiglia che non percepisce un reddito corrente sufficiente per l’acquisto di un paniere minimale di beni e servizi, lo stesso determinato dalle soglie di povertà assoluta Istat. Abbiamo
scelto di definire la condizione di povertà assoluta sulla base del reddito disponibile corrente per ottenerne una definizione che sia idonea alla predisposizione di una misura di sostegno monetario alle
famiglie che in essa si trovano. Si consideri infatti che:
in primo luogo, la rilevazione analitica della spesa delle famiglie per stabilire l’accesso al beneficio sarebbe un’attività del tutto nuova per le amministrazioni pubbliche e per l’Inps, che invece già possiedono molte informazioni sui redditi delle famiglie;
inoltre, la Carta Acquisti, la misura che attualmente cerca di intervenire sulla platea dei poveri assoluti, prevede un meccanismo di selezione basato sull’Isee, indicatore della situazione economica, che
dipende dal reddito e dal patrimonio delle famiglie ma non dal loro consumo. Anche l’assegno sociale, che è lo strumento che più si avvicina ad un trasferimento contro le forme di povertà più grave
degli anziani, viene erogato in presenza di un ridotto livello di reddito e non di consumo;
15
Il reddito disponibile comprende tutte le possibili forme di entrata ricevute dalla famiglia, al netto delle imposte, così come rilevato dall’Istat nell’indagine Silc.
Pagina 22
2. CHI SONO I POVERI
infine, anche nei paesi europei e negli Usa gli schemi di trasferimento monetario per le famiglie più
povere considerano, sia per la selezione dei beneficiari che per la fissazione del trasferimento, il reddito disponibile (Immervoll, 2012). Sono poi spesso previsti anche vincoli al possesso di attività patrimoniali, che anche noi consideriamo nella nostra proposta, in aggiunta al criterio reddituale.
Se una famiglia possiede la casa in cui risiede, incrementiamo il suo reddito disponibile di una componente figurativa che corrisponde al beneficio ricevuto dalla propria abitazione. Questa componente è pari alla spesa minima per l’affitto che viene inserita dall’Istat nel calcolo della soglia di povertà
assoluta. In questo modo si introduce una differenza tra il tenore di vita effettivo di una famiglia che
vive in proprietà e quello di un’analoga famiglia che vive in affitto, a parità di reddito monetario. Per
le famiglie con mutui in corso di pagamento sottraiamo però gli interessi passivi.
L’adozione delle linee di povertà assoluta elaborate dall’Istat ci permette di tenere conto del diverso
livello dei prezzi tra le aree del paese (Nord, Centro e Sud) e tra comuni di piccola, media e grande
dimensione. In altre parole, con un dato livello di reddito monetario si può essere poveri se si risiede
in una grande città dell’Italia settentrionale, mentre si può non esserlo se si vive in un piccolo comune del Sud.
Per applicare queste scelte metodologiche serve un campione di microdati sulle famiglie italiane. Il
più recente disponibile al momento in cui sono state compiute le nostre analisi (primavera 2013) è il
database Silc 2010, che riporta i redditi del 2009. E’ un periodo relativo ad una fase della crisi ancora
non acuta come negli ultimi due anni ma utile per ottenere alcune informazioni sulle caratteristiche
che la povertà assoluta assume se si adotta il criterio reddito-consumo da noi proposto. Per tenere
conto anche del peggioramento recente della congiuntura, con il forte incremento della diffusione
della povertà, abbiamo proceduto in questo modo: sviluppiamo qui alcune analisi piuttosto approfondite sul dataset Silc 2010 per una discussione delle conseguenze del nostro approccio su dati che
possiamo considerare rappresentativi di un periodo “normale” o quasi (scenario “contesto economico ‘normale’ ”), ma nel capitolo successivo presenteremo anche alcune elaborazioni che aggiornano
sullo stesso dataset la platea dei poveri assoluti alle informazioni recentemente messe a disposizione
dall’Istat (scenario “contesto economico di forte crisi”) (cfr. par 3.3).
2.3 CHI SONO I POVERI ASSOLUTI NELL’APPROCCIO MISTO REDDITOCONSUMO
Nello scenario “contesto economico ‘normale’ ” sviluppiamo alcune analisi dettagliate sull’indagine
campionaria Silc relativa all’anno 2010. In questa indagine vengono rilevate le condizioni di vita delle
famiglie nell’anno 2010 ed il reddito da esse percepito nel corso del 2009. Nel 2009/2010 il periodo
di crisi economica tuttora in corso era agli inizi ed aveva manifestato ancora poche conseguenze sui
redditi delle famiglie italiane. Si potrebbe quindi obiettare che le elaborazioni qui presentate forniscono un quadro non realistico della situazione, perché oggi la povertà è molto più diffusa a causa
dell’aggravarsi della crisi. Ci pare che le nostre elaborazioni siano comunque significative, per diverse
ragioni. In primo luogo, non abbiamo alternative, perché usiamo il dataset sui redditi più aggiornato
messo a disposizione dell’Istat al momento di condurre le nostre elaborazioni (primavera 2012). Inoltre, la situazione non cambierebbe qualora svolgessimo le nostre elaborazioni nel momento nel quale il rapporto viene reso pubblico (luglio 2013) perché ora i microdati disponibili si riferiscono al 2010.
In quest’ultimo anno, il quadro della povertà, infatti, era molto simile al 2009. Inoltre, come si vedrà
tra poco sotto, almeno fino al 2011 la povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile in Italia, e
solo nell’ultimo biennio la crisi stia assumendo una maggiore gravità; le elaborazioni dettagliate qui
Pagina 23
2. CHI SONO I POVERI
presentate non riflettono quindi la fase più grave dell’attuale recessione ma sono comunque rappresentative di un periodo di recessione; esse hanno lo scopo principale di mostrare le conseguenze della definizione della povertà assoluta in termini di basso reddito e non di basso consumo, ma il calcolo
del costo e della platea del Reis sarà effettuato, nel prossimo capitolo, anche sulla base dei più recenti dati Istat riferiti al 2012 (cfr. par 3.3).
Nel 2009 si trovavano – seguendo la nostra metodologia di calcolo - in condizione di povertà assoluta
il 5.4% delle famiglie italiane, una percentuale che corrisponde a circa 1.37 milioni di nuclei, ed il
5.5% degli individui, cioè approssimativamente 3.3 milioni di persone. La tabella 1 confronta le quote
di famiglie e di individui in povertà assoluta da noi calcolate (in base al reddito) con le stime di fonte
16
Istat (ottenute in base alla spesa per consumi). La dimensione del fenomeno è simile nei due approcci. La rilevazione Istat relativa al 2011 produce valori assai simili ai nostri, che si fermano al 2009.
L’incidenza della povertà tra le famiglie da noi calcolata è superiore di circa 0.7 punti percentuali a
quella ottenuta dall’Istat per il 2009, e di circa 0.3 punti per gli individui. La differenza corrisponde a
circa 176 mila nuclei e 181 mila individui. La povertà assoluta nelle stime Istat (consumi) è costantemente in crescita tra 2005 e 2011. Viceversa, i calcoli sulla base dei redditi in Silc mostrano un calo
fra 2005 e 2007 e una ripresa a partire dal 2008.
TAB.3 INCIDENZA DELLA POVERTÀ ASSOLUTA, PER ANNO
Nostre elaborazioni
(reddito)
Istat
(consumi)
% famiglie
% individui
% famiglie
% individui
2005
5.6%
5.6%
4.0%
4.1%
2006
5.2%
5.2%
4.1%
3.9%
2007
4.8%
4.5%
4.1%
4.1%
2008
5.2%
5.1%
4.6%
4.9%
2009
5.4%
5.5%
4.7%
5.2%
2010
4.6%
5.2%
2011
5.2%
5.7%
2012
6.5%
8.0%
Fonte: nostre elaborazioni su vari anni dell’indagine Silc per la seconda e terza colonna, Istat per le altre
La tabella 2 approfondisce il confronto tra i nostri risultati e quelli ottenibili sulla base della spesa per
consumi. Riportiamo anche le elaborazioni di fonte Istat per lo stesso anno. Il quadro che ne risulta è
piuttosto coerente. Tra le aree geografiche, ad esempio, sulla base sia del reddito che del consumo
risulta che nel Nord l’incidenza della povertà è circa la metà di quella riscontrabile nelle regioni meridionali, e che il Centro è assai più vicino al Nord che non al Sud. Rispetto all’analisi dei consumi, la
quota di famiglie povere sulla base del reddito è più ridotta al Sud e maggiore al Centro, mentre si
mantiene attorno al 4% nel Nord. Questa differenza può essere spiegata da diversità territoriali
nell’importanza della produzione domestica. Poiché la definizione di povertà sui consumi è basata
16
Le statistiche sulla povertà assoluta di fonte Istat (consumi) sono tratte dalle note sintetiche sulla povertà disponibili nel sito www.istat.it.
Pagina 24
2. CHI SONO I POVERI
sulla spesa effettiva, nelle aree dove una parte consistente di beni e servizi vengono prodotti in famiglia, e non acquistati sul mercato, è possibile che le famiglie risultino più povere.
Considerando invece la condizione professionale del capofamiglia, emergono alcune similarità ma
17
anche qualche differenza interessante. La quota di famiglie di operai in povertà assoluta è, ad esempio, straordinariamente simile nelle rilevazioni, così come quella delle famiglie di impiegati e dirigenti e quella dei nuclei rientranti nella categoria residuale “altri”, che comprende casalinghe, studenti, inabili al lavoro o altre condizioni non professionali. Secondo le nostre elaborazioni sono invece più a rischio di povertà assoluta, rispetto alla fonte Istat, le famiglie dei disoccupati e quelle dei lavoratori indipendenti. E’ ragionevole ritenere che la causa di questa differenza stia nel diverso metro
da noi usato, cioè il reddito rispetto al consumo. Il reddito è decisamente più volatile del consumo,
dal momento che oscillazioni del primo possono essere compensate da variazioni del risparmio o da
trasferimenti provenienti da eventuali reti informali di aiuto. In questi casi una famiglia potrebbe risultare povera sulla base del reddito corrente, ma non del suo consumo.
Nel caso dei nuclei di pensionati, invece, le nostre elaborazioni producono un minore rischio di povertà. Anche in questo caso, ci pare che ciò possa essere attribuito alla differenza tra reddito e consumo, in particolare alla presenza di alcuni nuclei che, preferendo uno stile di vita sobrio (per abitudine o per il forte timore di dover affrontare nel prossimo futuro rilevanti spese sanitarie), riescono
18
ad avere un risparmio positivo anche in presenza di un reddito non elevato. Viceversa, molte famiglie giovani possono presentare livelli di consumo molto vicini o anche superiori al reddito corrente,
per necessità incomprimibili di spesa legate all’acquisto dell’immobile o alla presenza di bambini, o
perché contano su futuri aumenti del reddito associati alla carriera lavorativa. Inoltre, occorre considerare che le famiglie di pensionati hanno minori spese legate al lavoro, ad esempio per i trasporti, e
hanno più tempo a disposizione per produrre beni e servizi direttamente senza acquistarli sul merca19
to.
Dai nostri risultati, comunque, emerge un quadro della povertà assoluta sostanzialmente coerente
con quello di fonte Istat: la povertà colpisce soprattutto famiglie di operai, disoccupati e di persone in
“altra” condizione, nonché le famiglie molto numerose. La mancanza di adeguati redditi da lavoro in
famiglia sembra emergere come la causa principale, anche se non l’unica, della povertà assoluta.
Tab.4 Incidenza della povertà assoluta tra famiglie: confronto tra le nostre elaborazioni (reddito) e le
stime Istat (consumo) (scenario “contesto economico ‘normale’ ”)
Nostre elaborazioni, 2009
Ampiezza famiglia
Nostre elaborazioni, 2009
Istat 2009
Istat 2009
Condizione capofamiglia
17
Nelle nostre elaborazioni su dati Silc, definiamo il capofamiglia come la persona con maggiore reddito individuale all’interno del nucleo familiare. Nei dati Istat (consumi), il capofamiglia è l’intestatario della scheda
anagrafica.
18
La diffusione della povertà assoluta tra i pensionati cambia pochissimo (dall’1.4% all’1.5%) se sottraiamo dal
reddito famigliare l’indennità di accompagnamento.
19
Battistin et al (2009) e Miniaci et al. (2010) mostrano come il calo nella spesa per consumi al momento del
pensionamento possa essere spiegato da un calo delle spese legate al lavoro e da un aumento della produzione domestica di beni e servizi. Battistin et al. (2009) mostrano anche che il calo può essere dovuto a un
cambiamento nella composizione del nucleo familiare, in seguito all’uscita dei figli adulti.
Pagina 25
2. CHI SONO I POVERI
1
6.9%
4.5%
Operaio
6.0%
2
4.1%
3.8%
Impiegato, dirigente
1.0%
4.2%
Indipendente
6.3%
3
4.0%
4
6.9%
1.5%
2.0%
4.9%
5.8%
Pensionato
1.4%
4.6%
11.3%
9.2%
Disoccupato
36.1%
14.5%
Altro
12.4%
9.1%
Nord
4.1%
3.7%
Totale
5.4%
4.7%
Centro
4.6%
2.7%
Sud
8.0%
8.5%
>=5 comp.
Area geografica
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010 per la seconda colonna, Istat per le altre
Quali forme di intervento sono più opportune per contrastare la povertà assoluta? La risposta dipende dalle caratteristiche delle famiglie povere. Per alcune potrebbe essere essenziale un semplice trasferimento monetario, per altre la combinazione di denaro e nuove opportunità di reinserimento lavorativo, oppure di denaro e servizi di altro tipo (ad esempio servizi di cura o di formazione). Può
dunque essere utile classificare le famiglie che si trovano in povertà in alcuni gruppi, definiti in base
alla condizione della persona di riferimento e descritti nella prima colonna della tabella 5. La penultima contiene il numero di nuclei in povertà assoluta per ciascun gruppo. Tra le famiglie povere, quello decisamente più numeroso è rappresentato da famiglie in cui la persona di riferimento ha un lavoro. Seguono i nuclei con capofamiglia disoccupato o classificato come “altro” (una categoria che
comprende le seguenti modalità rilevate dall’Istat nell’indagine: casalinga, studente, inabile al lavoro,
in altra condizione), con meno di 50 anni e
quelli di anziani. Abbiamo isolato inoltre le famiglie
con persona di riferimento in condizione non professionale ma con oltre 50 anni perché anche per
esse è ragionevole supporre che le prospettive di inserimento occupazionale siano ancora più molto
incerte.
TAB. 5 LA POVERTÀ ASSOLUTA PER ALCUNI GRUPPI DI FAMIGLIE (SCENARIO “CONTESTO
ECONOMICO ‘NORMALE’ )
Composizione dell’intero
insieme delle famiglie (anche quelle non povere)
Capofamiglia che lavora
54.8%
Quota di famiglie in povertà
assoluta all’interno del
gruppo
Composizione dell’insieme
delle famiglie povere assolute
4.3%
43.9%
Capofamiglia disoccupato o "altro" con
4.8%
meno di 50 anni
36.3%
32.1%
Capofamiglia disoccupato o "altro" tra
2.8%
50 e 64 anni
21.1%
11.0%
Capofamiglia con almeno 65 anni
37.6%
1.9%
13.1%
Totale
100%
5.4%
100%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010
Nel gruppo più numeroso, il primo, la grandissima maggioranza delle famiglie vede la presenza di un
solo lavoratore. La loro condizione di povertà dipende quindi soprattutto dalla mancanza di un secondo reddito da lavoro. Ulteriori elaborazioni effettuate sul dataset mostrano che nel 75% delle fa-
Pagina 26
2. CHI SONO I POVERI
miglie povere del primo gruppo vi è almeno una persona, diversa dal capofamiglia, che ha meno di 50
anni e che attualmente non lavora. Questo risultato conferma le osservazioni di Brandolini, Cipollone
e Sestito (2001) e Brandolini (2009), i quali notano come il numero di familiari occupati, in particolare
delle persone diverse dal capofamiglia, sia uno dei fattori più correlati con la probabilità di essere in
20
povertà. Nelle altre tipologie familiari il lavoro è invece praticamente assente. La scarsità di lavoro
sembra quindi essere la principale determinante della povertà assoluta per circa il 70% delle famiglie
in povertà assoluta (considerando il primo gruppo al netto delle famiglie senza altri membri adulti
non occupati ed il secondo gruppo). È però ragionevole pensare che questa sia una valutazione assai
generosa del numero di famiglie che potrebbero uscire dalla povertà attraverso una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, perché probabilmente molti dei loro membri, anche se giovani, sono
scarsamente occupabili, per motivi personali o per la presenza di impegni di cura. Questa stima grossolana ci aiuta comunque a comprendere quale potrebbe essere il bacino interessato, oltre che ad un
trasferimento monetario, anche a servizi di formazione e accompagnamento all’impiego.
Per un altro 20% circa (il resto del gruppo 1 più il gruppo 3) appare difficile ipotizzare che l’uscita dalla povertà possa provenire da un aumento del reddito da lavoro, vuoi perché non vi sono altri membri potenzialmente occupabili oltre al capofamiglia, vuoi perché si tratta di nuclei di disoccupati o
persone in altra condizione, non più giovani anche se non ancora anziani. Per queste famiglie,
l’intervento principale per migliorare il loro tenore di vita sembra essere l’integrazione monetaria. La
mancanza di informazioni dettagliate nel campione sulle caratteristiche personali dei soggetti appartenenti a queste famiglie impedisce di valutare se ed in quale misura altri tipi di servizi, diversi
dall’accompagnamento al lavoro, potrebbero essere rilevanti per questo gruppo, anche se è ragionevole pensare che per molte famiglie la risposta sia positiva. Infine, vi sono in povertà assoluta famiglie di anziani per le quali le principali esigenze riguardano sia un maggiore reddito disponibile che,
molto realisticamente, servizi per un’adeguata assistenza sanitaria. In sintesi, per circa il 70% delle
famiglie povere l’intervento più appropriato sembra consistere nella combinazione di un trasferimento monetario e di servizi per l’impiego e la formazione. Per l’altro 30%, invece, l’elemento centrale
pare essere il trasferimento monetario, affiancato da servizi ad hoc per affrontare situazioni problematiche di varia natura.
I difetti strutturali del sistema assistenziale italiano appaiono con evidenza dalla tab. 6, che mostra
come solo la metà circa delle famiglie in povertà assoluta riceva almeno un aiuto monetario, conside21
rando tra i trasferimenti ogni forma di sussidio in denaro. La tab. 8 presenta la quota di famiglie
che, in ciascun gruppo, ricevono almeno un trasferimento monetario.
20
Il lavoro di Brandolini, Cipollone e Sestito (2001) analizza gli anni 1977-1998 e si riferisce alla povertà relativa
con linee fissate al 40% e 60% della mediana. Gli autori concludono che un basso tasso di occupazione dei
familiari diversi dal capofamiglia è più importante nello spiegare la povertà rispetto alla presenza di bassi
salari. Per quanto riguarda Brandolini (2009), ci riferiamo alla tabella 5 in cui l’autore analizza gli anni 20002006. Simili considerazioni si trovano in Brandolini (2005).
21
Pensioni di ogni tipo o altri trasferimenti (disoccupazione, assegni familiari, trasferimenti da enti locali, sussidi vari, ecc.).I trasferimenti pensionistici comprendono le pensioni di ogni tipo, comprese quelle di reversibilità e invalidità: in Silc, corrispondono alla somma per famiglia delle variabili py100 (old-age pensions),
py110 (survivor benefits) e py130 (disability benefits). I trasferimenti contro la disoccupazione corrispondono alla variabile py090 (unemployment benefits), quelli del terzo gruppo comprendono le variabili
py140n (education-related allowances), hy050 (family / children allowances, hy060 (social exclusion not elsewhere classified) e hy070 (housing related allowances).
Pagina 27
2. CHI SONO I POVERI
TAB.6 FAMIGLIE IN POVERTÀ ASSOLUTA CHE RICEVONO ALMENO UN TRASFERIMENTO
MONETARIO PUBBLICO (SCENARIO “CONTESTO ECONOMICO ‘NORMALE’ ”)
Trasf. pensionistici
Capofamiglia che lavora
2.9%
Trasf. associati alla
mancanza di lavoro
Trasf. assistenziali
Totale
30.3%
27.0%
44.5%
Capofamiglia disoccupato o "altro" con meno
10.2%
di 50 anni
20.3%
22.9%
46.2%
Capofamiglia disoccupato o "altro" tra 50 e 64
29.2%
anni
10.0%
21.9%
45.6%
capofamiglia con almeno 65 anni
84.2%
1.5%
17.9%
84.2%
Totale
18.8%
21.1%
23.9%
50.3%
Fonte: ns. elaborazione su Silc 2010
Mentre tra le famiglie povere assolute “giovani” meno di una su due è raggiunta da sussidi in denaro,
oltre l’80% delle “anziane” ne riceve almeno uno. I sussidi di disoccupazione interessano solo una
piccola minoranza delle famiglie dei disoccupati, solo in parte rimpiazzati da quelli di tipo assistenziale.
Pagina 28
3. UTENTI E IMPORTI

Il Reis è ispirato all’universalismo, quindi può essere richiesto da tutti i residenti in Italia che
si trovino in condizione di povertà assoluta, cioè privi dei beni e dei servizi necessari a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”, come definito dall’Istat. La condizione
di povertà assoluta viene misurata in base al reddito familiare.

Tra i potenziali richiedenti sono inclusi i cittadini stranieri legittimati alla presenza sul territorio italiano e residenti da almeno dodici mesi nel nostro paese.

Per una famiglia con date caratteristiche, l’importo del Reis viene calcolato come differenza
tra la linea di povertà assoluta dell’Istat per quel tipo di famiglia ed il suo reddito disponibile.

Il reddito della famiglia viene verificato attraverso un indicatore di controllo sui consumi, che
consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto.

Inoltre, solo le famiglie che hanno un Isee (riformato) inferiore ad una data soglia possono
ottenere il Reis. In questo modo vengono escluse famiglie con reddito modesto ma significative disponibilità patrimoniali.

La seconda parte del capitolo descrive alcuni effetti quantitativi dell’introduzione del Reis:
numero dei soggetti coinvolti, spesa totale e media, conseguenze sulla diffusione della povertà.

Queste stime vengono presentate in due versioni: a) scenario “Contesto economico ‘normale’” (basato sulla distribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su
microdati al momento di preparare questo rapporto); b) scenario “Contesto di forte crisi economica” (costruito tenendo conto delle recenti stime della povertà assoluta nel 2012, diffuse dall’Istat nel luglio 2013, una settimana prima della presentazione di questo lavoro).

Nel primo scenario, il Reis andrebbe ad 1,28 milioni di famiglie, che si riducono a circa un milione se si assume, realisticamente, che non tutte farebbero domanda (take-up rate del 75%).
La spesa totale per la componente di trasferimenti monetari sarebbe attorno a 4.4 miliardi di
euro all’anno. In questo scenario, l’importo medio del trasferimento economico annuo sarebbe pari a 4675 euro annui, cioè il 58% del reddito familiare medio delle famiglie interessate,

Nel secondo scenario, il 6.5% delle famiglie italiane potrebbe essere interessato al trasferimento (circa 1,6 milioni di nuclei). Assumendo in anche in questo caso un take-up rate del
75%il numero delle famiglie beneficiarie in questi anni di acuta recessione dovrebbe attestarsi, a regime, attorno ad 1,2 milioni, con una spesa totale per la componente di prestazione monetaria di circa 5,5 miliardi annui. In questo scenario, l’importo medio del trasferimento economico annuo sarebbe è pari a 4542 euro annui, circa il 51% del reddito familiare medio delle famiglie interessate.
Pagina 29
3. UTENTI E IMPORTI
3.1. CHI SONO GLI UTENTI
In questo capitolo vengono presentate le principali caratteristiche del trasferimento che proponiamo.
Ci concentriamo in particolare sull’estensione della platea dei beneficiari del Reis, sulle regole di calcolo e sul suo costo complessivo.
3.1.1. Universalismo e contrasto della povertà assoluta
L’obiettivo centrale del Reis è il contrasto della povertà assoluta in Italia, senza vincoli categoriali che
potrebbero restringerne l’utenza. Rispetto agli altri strumenti oggi presenti in Italia per combattere la
povertà, come le carte acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale
(solo per chi ha più di 65 anni22) che sono limitate a specifiche categorie familiari, il Reis ha
un’impostazione decisamente universalistica. È anche soggetto ad una prova dei mezzi, perché
l’utenza è rappresentata, in prima approssimazione, da tutte le famiglie in povertà assoluta, definita
sulla base delle soglie di povertà elaborate dall’Istat. Dal momento che riteniamo che il tenore di vita
di una famiglia non dipenda solo dal reddito percepito ma anche dalle disponibilità patrimoniali accumulate, aggiungiamo anche una soglia definita in termini di Isee per escludere i casi caratterizzati
da basso reddito ma da patrimonio significativo, secondo modalità che verranno dettagliate nel prosieguo del capitolo.
Il Reis è un trasferimento monetario e non una card per l’acquisto di beni di consumo, con vantaggi
in termini di fungibilità del denaro, di riduzione del rischio di stigma, di minori costi di gestione rispetto al voucher. Esso permette anche una ricomposizione del sistema italiano di protezione sociale, in
cui finora manca uno strumento monetario di contrasto della povertà assoluta non categoriale. Si
tratta di un mix di denaro e servizi: al sostegno economico saranno abbinati, per quanto possibile,
percorsi di attivazione dei beneficiari (sociale e/o lavorativa), mirati ad alleviare le situazioni di povertà agendo non solo sulle condizioni di vita, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno
provocate, in una logica d’inclusione attiva.
Il ricorso alle linee di povertà assoluta ci permette inoltre di differenziare l’importo del trasferimento,
a parità di reddito familiare, tra le varie aree del paese, per tenere conto delle notevoli differenze del
costo della vita tra Nord e Sud e tra grandi e piccoli centri urbani. A questo aspetto è dedicato
l’ultimo paragrafo del capitolo.
3.1.2. Per tutte le famiglie residenti in Italia
Anche se in linea di massima il target del Reis è costituito dall’insieme delle famiglie in povertà assoluta, è comunque necessario stabilire un insieme di regole che permettano al trasferimento di essere
efficace e di evitare distorsioni, specie in considerazione del fatto che la misura non comporta solo
un’erogazione monetaria, ma anche una presa in carico con prestazione di servizi, necessariamente
da organizzarsi su base locale da parte dei Comuni. Non è quindi scontato che la platea dei beneficiari del trasferimento corrisponda pienamente a quella dei poveri assoluti né che la componente di
servizi facenti parte della misura porti a percorsi di attivazione identici per tutti sull’intero territorio
nazionale.
22
Da gennaio 2013 l’età minima per richiedere la pensione sociale è passata a 65 anni e 3 mesi. A seguito della
riforma Fornero crescerà poi in base alla speranza di vita con cadenza triennale. Per semplicità, qui e nei capitoli successivi si farà riferimento alla soglia dei 65 anni.
Pagina 30
3. UTENTI E IMPORTI
Iniziamo dalla questione della residenza.
La prima versione della carta acquisti è stata riservata solo ai cittadini italiani, una grave limitazione
se si pensa che tra gli immigrati il rischio di povertà è sicuramente molto alto. La nuova versione, introdotta in via sperimentale nel 2013, corregge questo limite includendo anche gli stranieri, ma si
tratta appunto solo di una sperimentazione con una modesta dotazione finanziaria. Il Reis da noi
proposto si pone in continuità con l’evoluzione introdotta con questa nuova carta acquisti, adattandone lo spirito al carattere integrato e “sintetico” della nuova misura, nella quale confluiscono anche
prestazioni già esistenti, che vengono erogate a prescindere dal requisito della residenza. Hanno
quindi il diritto di accedere al Reis, in presenza dei requisiti economici che verranno descritti nel seguito, tutti i cittadini, di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio nazionale, regolarmente residenti nel Comune italiano nel quale fanno richiesta
della misura ed iscritti in modo continuativo all’anagrafe della popolazione residente in Italia (non
necessariamente nel Comune in cui si fa istanza), da almeno dodici mesi.
In linea con la giurisprudenza oramai consolidata della Corte Costituzionale23 e della Corte Europea, il
Reis va considerato una misura che non solo tutela un diritto soggettivo ma che è “destinata alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili” (Corte Cost. 329/2011) per il contesto familiare in cui il beneficiario è inserito, dovendosi necessariamente considerare anche le persone in condizioni di povertà assoluta, intesa quale condizione di impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni
primari, come soggetti «affetti da un disagio particolarmente grave (…) e dunque particolarmente bisognevoli di specifiche misure di assistenza» (Corte Cost. 40/2013). Qualsiasi discriminazione o limitazione nell’accesso a tale misura fondata sulla diversità di cittadinanza o titolo di soggiorno contrasterebbe quindi con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e rappresenterebbe
una violazione dell’art. 2 della Costituzione Italiana.
Quanto al requisito della residenza, la normativa attuale in Italia, dopo le riforme introdotte dal cosiddetto “pacchetto sicurezza” (legge 15 luglio 2009 n. 94), dal D.M. 06 luglio 2010, istitutivo del “registro delle persone senza fissa dimora”, e con l’introduzione, avvenuta con l’art. 5 della legge 4 aprile 2012, n. 35, della cosiddetta “residenza in tempo reale”, è esplicita nel riconoscere il diritto
all’iscrizione anagrafica a qualunque cittadino regolarmente presente sul territorio nazionale, privo di
una residenza valida in Italia e domiciliato, anche elettivamente, nel Comune in cui fa istanza di iscrizione. Tali provvedimenti non lasciano neppure più dubbi circa la necessità e l’obbligo, per i Comuni,
di istituire nelle proprie anagrafi un’apposita sezione ove iscrivere, presso indirizzi fittizi o domicili elettivi, le persone che la legge considera senza fissa dimora. Anch’esse quindi potranno avere accesso
liberamente al Reis una volta ottenuta la residenza anagrafica. Parimenti il contesto normativo attuale supera e definisce definitivamente le controversie in passato verificatesi tra Comuni in ordine al
riconoscimento del cosiddetto “domicilio di soccorso”, ponendo quale norma di chiusura il requisito
per cui, in assenza di una residenza valida e di un domicilio accertabile, la residenza va concessa dal
Comune di nascita. Potrebbe continuare, almeno per coloro che non hanno un domicilio facilmente
accertabile, vivendo in spazi aperti o transitori, a sussistere un problema in termini di accertamento
del domicilio dichiarato da parte degli ufficiali di anagrafe, quando questo domicilio non sia concesso
presso indirizzi fittizi istituiti dallo stesso Comune o da enti ed associazioni consenzienti. In tali casi la
normativa viene correttamente interpretata con un favor per la persona che fa istanza: si ritiene che
l’accertamento del domicilio vada condotto ricorrendo a tutti i mezzi a disposizione per verificare che
23
Vedi ad esempio le sentenze 348/2007, 349/2007, 306/2008, 11/2009, 187/2010, 329/2011, 3/2013,
40/2013.
Pagina 31
3. UTENTI E IMPORTI
il domicilio dichiarato, fosse anche uno spazio pubblico aperto, corrisponda effettivamente ad un
luogo abitualmente frequentato dalla persona stessa. Accade tuttavia nella prassi che molti Comuni,
specie i più piccoli e meno attrezzati, facciano resistenza a questo tipo di accertamenti ed oppongano
quindi illegittimi dinieghi alla concessione della residenza a persone senza dimora che ne avrebbero
titolo. Si tratta di un problema interpretativo ed amministrativo che, quando sollevato in sede giurisprudenziale, in termini di diritto viene costantemente risolto in favore dell’istante e non
dell’anagrafe. In relazione specifica all’accessibilità del Reis, il problema dunque non si pone poiché,
ove vi fossero illegittimi dinieghi all’iscrizione anagrafica, la persona potrebbe agire per l’acquisizione
della residenza e, una volta ottenuta l’iscrizione, se vi sono gli altri requisiti, richiedere il Reis, che va
dunque considerata una misura pienamente accessibile anche alle persone senza dimora. In caso di
ottenimento della residenza a seguito di azione giudiziale, appare equo, opportuno e necessario considerare, ai fini del Reis, il momento di decorrenza del termine dei dodici mesi di residenza continuativa dalla data della presentazione della richiesta di iscrizione anagrafica e non dalla pronuncia giudiziale.
Quanto al requisito del domicilio, posto che lo stesso può essere anche elettivo o concesso presso associazioni o enti con i quali la persona in condizioni di povertà assoluta sia in contatto, per il Reis è
richiesto meramente che esso sussista nel Comune in cui si fa istanza al momento in cui è stata concessa la residenza anagrafica (ancora valida) alla persona interessata. In caso il domicilio della persona sia nel frattempo variato, ma non sussistano le condizioni per variare o cancellare la residenza anagrafica nel Comune di precedente domiciliazione, la competenza per l’erogazione del Reis rimarrà
in capo al Comune di residenza. Lo stesso potrà eventualmente stipulare intese con il Comune di domicilio effettivo per l’erogazione dei servizi legati alla misura, qualora ciò sia possibile, utile, necessario ed opportuno.
Il Reis è una misura d’inclusione sociale che prevede anche percorsi di presa in carico ed accompagnamento attraverso una relazione stabile con i servizi sociali e le organizzazioni di terzo settore di
un territorio. Per tale motivo il limite di dodici mesi di residenza continuativa in Italia appare congruo, legittimo, sostenibile e compatibile con la necessità d’intervenire in modo sollecito ed urgente
a sollievo delle persone in condizioni di povertà assoluta, tutelando nel contempo l’amministrazione
da potenziali comportamenti opportunistici. Da un lato, infatti, non sono richiesti dodici mesi di residenza continuativa nel medesimo Comune, come nel caso della nuova carta acquisti, eccezion fatta
per il caso di precedente irreperibilità della persona o di prima iscrizione anagrafica in Italia. Ciò in
quanto, a differenza della nuova carta acquisti, il Reis da noi proposto integra in sé trasferimenti monetari nazionali già esistenti, che non presentano tale soglia minima di residenza come requisito per
l’erogazione e di cui i beneficiari potrebbero già godere al momento della richiesta del Reis. Il fatto di
porre una soglia simile a quella della nuova carta acquisti (utile laddove l’obbiettivo sia quello di evitare comportamenti opportunistici e forme improprie di “migrazione assistenziale” verso i Comuni
con migliori e più ampi servizi di supporto) in questo caso equivarrebbe a sancire, per alcuni beneficiari, la potenziale sospensione di prestazioni già ottenute ed in vigore, generando effetti perversi ed
evidenti problemi di equità e legittimità.
Dall’altro, per chi fosse in precedenza irreperibile o sia alla prima richiesta di iscrizione anagrafica in
Italia, dodici mesi appaiono una soglia congrua perché avvenga una “territorializzazione” adeguata
del potenziale beneficiario, intesa come relazione sufficientemente stabile con un territorio e con i
servizi che vi operano. Sotto i dodici mesi la persona non sarà del resto abbandonata, ma assistita
(come avviene già ora) attraverso i servizi “emergenziali” (prevalentemente ma non esclusivamente
gestiti dal terzo settore e dal volontariato e sempre erogati sotto la regia comunale) esistenti sul territorio. Essi potrebbero così focalizzare in questa fase “di accesso” e “di aggancio” le loro attenzioni e
Pagina 32
3. UTENTI E IMPORTI
la loro operatività, senza doversi far carico sine die (come succede adesso) di carichi assistenziali durevoli, impossibili da sostenere.
È evidente che tale requisito temporale andrà accertato solo al momento della prima richiesta della
misura poiché, in caso di trasferimento della residenza del beneficiario da un Comune ad un altro,
andrà previsto, al momento dell’avvenuta nuova iscrizione anagrafica, l’automatico trasferimento
della posizione del beneficiario verso il nuovo Comune senza decadenza o sospensione della misura.
Per evitare che, in caso di temporanea irreperibilità durante un passaggio di residenza, un soggetto
già beneficiario del Reis possa decadere dalla misura (cosa che può verificarsi con persone particolarmente deboli, in difficoltà a gestire correttamente le pratiche di trasferimento della residenza),
con apposita norma transitoria si potrà prevedere che l’interessato, in caso di cancellazione della residenza anagrafica presso un Comune, per i dodici mesi successivi possa continuare a ricevere la
somma presso il Comune di ultima residenza. Questo nell’eventualità che non avvenga subito una
nuova iscrizione anagrafica ma permangano i requisiti per l’erogazione. Il beneficiario dovrà però attivarsi per richiedere una nuova iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.
Per quanto riguarda le notifiche, le comunicazioni e ogni altro scambio di informazioni necessarie tra
il cittadino richiedente e l’amministrazione nell’ambito del processo di erogazione del Reis, nel caso
in cui il domicilio indicato o eletto dalla persona non sia anche domicilio postale e fisico della stessa,
si procederà eleggendone uno ad hoc presso i servizi sociali del Comune di residenza ove l’istanza è
presentata. Il ruolo di possibile domiciliatario e facilitatore amministrativo (che- specie nei confronti
di persone senza dimora o comunque soggetti gravemente emarginati- può essere esercitato dalle
organizzazioni di Terzo Settore che si dichiarino disponibili) può essere particolarmente prezioso sia
per ridurre il carico amministrativo dei servizi sociali, sia per facilitare i processi di accesso alla misura
da parte delle persone più distanti dalla pubblica amministrazione. Tale ruolo andrebbe pertanto riconosciuto ed incentivato.
Sempre allo scopo di tutelare l’amministrazione da comportamenti opportunistici e “falsi positivi” –
ai quali un criterio di accesso alla misura così ampio sotto il profilo della residenza potrebbe dare
luogo - si potranno introdurre una serie di misure cautelative nell’istanza di accesso, in forma di autocertificazione e dichiarazioni di consapevolezza ex art. 76 del D.P.R. 28/12/2000 n. 445. In particolare, essendo il Reis finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie legate alla dignitosa sopravvivenza di individui in povertà assoluta, potrebbe essere pertinente richiedere agli istanti di certificare
l’impossibilità di rivolgersi ai soggetti ex. art. 433 del codice civile per la prestazione dell’obbligo alimentare. È vero che la pubblica amministrazione, stante l’interpretazione giurisprudenziale dell’art.
433 come obbligazione meramente privata e vigente inter partes, non potrebbe comunque rifarsi sugli obbligati qualora si scoprisse della loro esistenza e capienza né richiedere loro alcuna prestazione
o dichiarazione. Tuttavia, una tale autocertificazione potrebbe comunque avere un effetto dissuasivo
in termini “morali” sul potenziale richiedente fraudolento; infatti egli dovrebbe in ogni caso dichiararsi consapevole, attraverso la dichiarazione medesima, che in tali comportamenti potrebbe essere
ravvisata anche la fattispecie penale di truffa a danno dello stato. Questo, ad esempio, potrebbe accadere per uno studente fuori sede, residente nel Comune ma di fatto domiciliato in un altro Comune presso i genitori, che lo mantengono; oppure nel caso di un titolare di residenza presso una seconda casa di fatto, che viva in altro Comune con famigliari il cui reddito sia superiore alle soglie previste per la misura. Sempre in tal senso (e sempre con la consapevolezza che - salvo modifiche normative - non è al momento in potere dei Comuni effettuare interventi di accertamento o segnalazione) potrebbe essere utile anche avvisare formalmente il potenziale beneficiario, al momento di presentazione dell’istanza, che durante il periodo di fruizione della misura potranno essere disposti dalle
amministrazioni competenti accertamenti fiscali ed amministrativi nei confronti suoi e del suo nucleo
Pagina 33
3. UTENTI E IMPORTI
famigliare. Il fine sarebbe quello di verificare la conformità di quanto dichiarato in termini reddituali
con la situazione effettiva ed i consumi, come la misura prevede, informandolo nel contempo
dell’entità delle sanzioni previste ed ulteriori rispetto al decadimento dalla misura. Dopo un congruo
periodo di sperimentazione, qualora si registri un numero eccessivo di falsi positivi, si potrà decidere
un innalzamento delle misure preventive, basato su un’analisi più efficace dei comportamenti da
prevenire.
3.2. I CRITERI PER ACCEDERE AL REIS
Nell’introduzione si è sottolineato che il Reis è un trasferimento monetario alle famiglie povere assolute, di carattere universale quanto a possibili beneficiari, perché non sono previsti criteri categoriali
per la sua erogazione, ma nel contempo selettivo, perché basato sulla verifica della condizione economica della famiglia. La tabella 1 riassume i criteri per l’accesso al Reis e per la determinazione del
suo importo.
TAB. 1 CRITERI PER L’ACCESSO AL TRASFERIMENTO E PER LA DETERMINAZIONE
DELL’IMPORTO: SINTESI
Criteri di accesso
Isee familiare (riformato) inferiore ad una determinata soglia.
Reddito disponibile familiare inferiore alle soglie di povertà assoluta definite dall’ISTAT.
Calcolo del reddito disponibile familiare
Tutte le entrate ricevute dalla famiglia nell’anno precedente alla domanda, compresi i
trasferimenti esenti ad eccezione dell’indennità di accompagnamento, più la componente abitativa per chi risiede in abitazione di proprietà. Per questi ultimi vengono anche
sottratti gli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della prima casa.
Tutti i redditi sono calcolati al netto dell’imposta personale sul reddito.
Ad ogni famiglia viene attribuito un livello minimo di consumi presunti, sulla base della
numerosità familiare, dell’area di residenza, del possesso di automobili e della dimensione dell’abitazione.
Se il reddito disponibile risulta inferiore ai consumi presunti, calcolati in base alla struttura della famiglie, esso viene sostituito con questi ultimi oppure si può procedere con il
ricalcolo del reddito disponibile.
Calcolo dell’importo
Trasferimento = soglia di povertà assoluta - reddito disponibile familiare
In pratica, l’iter da seguire per ricevere la misura dovrebbe essere il seguente:
Le famiglie che richiedono il beneficio presentano la dichiarazione Isee (riformata), eventualmente
integrata da un modulo specificamente pensato per accedere al Reis se la dichiarazione Isee non dovesse, anche dopo la riforma, contenere tutti i dati necessari (su questo punto ritorneremo tra breve). Si fissa dapprima una soglia di Isee al di sopra della quale non si può richiedere il sussidio.
Per le famiglie con Isee inferiore alla suddetta soglia, c’è un secondo criterio di selezione, basato sul
reddito: non beneficiano del trasferimento le famiglie che, malgrado presentino un Isee inferiore alla
soglia Isee, abbiano un reddito superiore alla rispettiva linea di povertà assoluta.
L’importo del trasferimento si calcola come differenza tra la soglia di povertà assoluta Istat ed il reddito disponibile della famiglia.
L’unità di riferimento dell’intervento è la famiglia con i suoi componenti, sia per la misurazione della
condizione economica, che per la possibile attivazione di percorsi d’inclusione. Per l’accesso alla prestazione e il calcolo del suo importo imponiamo una doppia soglia, prima in termini di Isee e quindi in
termini di reddito disponibile familiare. Il senso generale di questa doppia soglia consiste
nell’obiettivo di intervenire a favore delle famiglie con reddito basso, escludendo però i nuclei che
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3. UTENTI E IMPORTI
dispongono di un patrimonio non irrilevante. Vediamo più in dettaglio le ragioni di questo duplice criterio.
3.2.1. Il ruolo dell’Isee
L’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, è da oltre un decennio in uso per graduare l’accesso alle prestazioni sociali agevolate offerte soprattutto dagli enti locali. Sono note a tutti le
criticità dell’indicatore attuale, ampiamente documentate dalla pratica agita. È a queste criticità che
la riforma dell’Isee prevista dall’art. 5 della Legge n. 214 del 2011, di conversione del cosiddetto Decreto ‘Salva Italia’, mirava a dare risposte concrete. Nel corso del 2012 il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali del Governo Monti ha condotto un complesso percorso tecnico, arrivando ad elaborare un articolato progetto di riforma di questo indicatore, che dovrebbe diventare norma operativa
nei prossimi mesi. Riteniamo che l’Isee potrebbe avere un ruolo significativo nel processo di erogazione del Reis, nello specifico come primo filtro per l’accesso, per le seguenti ragioni:
Soprattutto dopo la sua riforma, l’Isee rappresenterà uno strumento fondamentale per selezionare
l’accesso alle prestazioni sociali e socio-sanitarie. L’uso di questo indicatore da parte del Reis garantisce che anche il contrasto alla povertà assoluta si inserisca in modo coerente con l’impostazione universalistica e selettiva che dovrebbe sempre più connotare, anche grazie all’Isee, le politiche sociali
nel nostro paese.
Applicare l’Isee come primo filtro consentirebbe di individuare le famiglie che, pur avendo redditi
contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza. Occorre infatti ricordare che il
benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente, ma anche dallo stock di patrimonio
accumulato.24 In molti paesi un sussidio per il contrasto della povertà viene erogato solo a chi rispetta determinati requisiti in termini di patrimonio mobiliare o immobiliare oltre che di reddito (Immervol, 2012), e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando un criterio di esclusione che
consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali possedute dalla famiglia.
Il ricorso ad una soglia definita in termini di Isee consente di ammettere al beneficio solo una parte
delle famiglie che subiscono una drastica riduzione del reddito corrente, escludendo quelle che possono far fronte a tale peggioramento attingendo alle risorse patrimoniali di cui dispongono. Molte
famiglie, soprattutto di lavoratori indipendenti, sono infatti soggette a variazioni di breve periodo anche molto brusche nel reddito corrente, ma non tutte possono essere considerate “povere” perché
tale situazione può essere solo transitoria, oppure perché possono porvi rimedio attingendo al patrimonio accumulato in passato. In questi anni di crisi è probabile che un numero significativo di famiglie si trovi in questa condizione, e ciò rende ancora più utile applicare l’Isee come selettore
dell’accesso.
Infine, il ricorso ad una preliminare selezione in base all’Isee permette almeno in parte di contrastare
fenomeni di evasione fiscale che possono manifestarsi in false dichiarazioni reddituali, se gli evasori
hanno in precedenza investito i propri redditi nell’acquisto di immobili che, in sede di dichiarazione
Isee, è difficile occultare
Il fatto di avere un Isee inferiore alla rispettiva soglia non garantirebbe l’accesso al sussidio, ma permetterebbe una prima scrematura delle domande, con vantaggi sul piano amministrativo e informativo. Per avere un’idea del livello a cui fissare la soglia Isee, può essere utile osservare la distribuzione
dei valori di Isee per i nuclei che si trovano in povertà assoluta. La figura 1 presenta, per l’insieme del24
Si veda Brandolini et al (2010) per un’analisi del concetto di asset-poverty.
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3. UTENTI E IMPORTI
le famiglie povere assolute, le funzioni di densità cumulata dell’Isee attualmente in vigore ed anche
dell’Isee riformato secondo la proposta del Ministero del Lavoro, ricostruiti entrambi su Silc 2010 con
riferimento a quello che – nelle pagine successive – viene definito lo scenario di “Contesto economico ‘normale’” (cfr. par 3.3.1)25 (i valori dell’Isee, nell’asse orizzontale, sono espressi in migliaia di euro).26 Le due curve sono vicine, ma si nota che i valori dell’Isee riformato sarebbero leggermente superiori a quelli dell’attuale indicatore per una certa quota di famiglie. Circa il 30-40% delle famiglie
povere assolute avrebbe un Isee nullo, e l’80% avrebbe un Isee inferiore a 8-9mila euro. Dato che il
96% dei nuclei risulta avere un Isee inferiore a 20.000 Euro, nel fissare una soglia limite di Isee si potrebbe scegliere un valore elevato, che includerebbe tutti i poveri assoluti, oppure si potrebbe fissare
una soglia relativamente bassa, escludendone una maggiore quota. Ad 8mila euro, per esempio, si
perderebbe circa il 10% delle famiglie povere assolute se si considera l’attuale Isee, poco più del 20%
dopo la sua riforma. Scegliendo un valore elevato di Isee, si ammetterebbe una maggiore quota di
famiglie in povertà. Ci concentriamo sull’Isee riformato perché, come già discusso, il suo calcolo si
avvicina di più al concetto di reddito in base al quale determiniamo l’importo del trasferimento, ed
anche perché è molto probabile che esso sostituisca nel prossimo futuro l’attuale versione dell’Isee.
Occorre poi considerare un aspetto ulteriore, che si collega al senso generale della nostra proposta.
Se nella fissazione dei livelli di povertà assoluta da colmare, definiti in termini di reddito, teniamo
conto della presenza di un maggiore livello dei prezzi nelle regioni centro-settentrionali rispetto al resto del paese, per coerenza si dovrebbero fissare soglie di Isee anch’esse differenziate nelle varie aree del paese. Ciò servirebbe a riconoscere il fatto che un dato ammontare di patrimonio nelle regioni settentrionali “valga meno” della stessa somma nelle regioni meridionali, perché il contesto è in
media più ricco e perché il potere d’acquisto di un’unità di reddito o patrimonio è inferiore, a causa
del maggiore livello medio dei prezzi. Questa impostazione non mette in discussione il ruolo dell’Isee
come selettore definito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ma tiene aperta la possibilità di inserire una variabilità nelle soglie da applicare nelle diverse aree del paese.
Se si accetta quest’impostazione, come è possibile differenziare le soglie Isee tra macro-aree?
L’operazione non è semplice, perché i rapporti tra le linee di povertà assoluta tra Nord e Sud, ad esempio, non sono costanti tra le diverse tipologie familiari. Dopo varie elaborazioni, siamo giunti alla
conclusione che le linee di povertà assoluta calcolate dall’Istat sono al Nord di circa il 30% superiori a
quelle del Sud, mentre lo sono di circa il 25% al Centro. Se fissassimo al Sud una soglia di Isee riformato a 12.000 euro, e la maggiorassimo del 25% al Centro e del 30% al Nord, circa il 10% dei poveri
assoluti rimarrebbe escluso dal programma, sempre secondo i dati Silc. Questo sarebbe un compromesso tra un livello ancora più alto, che ingloberebbe tutti i poveri ma non sarebbe selettivo, ed uno
più basso, che escluderebbe troppi poveri assoluti. Questi livelli di soglia Isee (riformato) sono ovviamente in parte arbitrari, a differenza della scelta delle soglie definite in termini di reddito, che
coincidono con le linee di povertà assoluta Istat. Mentre l’ipotesi di differenziare le soglie Isee ci
sembra coerente con l’approccio generale scelto per il contrasto alla povertà assoluta, che riconosce
la presenza di differenze geografiche nel costo della vita, la scelta delle soglie è un problema da ap-
25
Si tratta di uno dei due scenari sulla complessiva situazione dell’economia italiana per i quali è stato stimato
l’impatto del Reis, l’altro è lo scenario “contesto di forte crisi economica” (cfr. par 3.3.2).
26
La curva di densità cumulata mostra la percentuale di famiglie che presentano un Isee inferiore o al più uguale a ciascun dato valore. Per esempio, dalla figura risulta che circa l’80% delle famiglie in povertà assoluta ha
meno di 6mila euro di Isee (prima della riforma).
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3. UTENTI E IMPORTI
profondire. In Appendice mostriamo alcuni risultati relativi ad un caso alternativo, in cui si adotti una
linea di Isee unica su tutto il territorio nazionale.
Fig.1 Curve di densità cumulata dell’Isee per le famiglie in povertà assoluta – Scenario “Contesto economico ‘normale’ ”
100
90
80
70
60
Isee riformato
50
Isee attuale
40
30
20
10
0
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
>20
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. L’indicatore Isee viene simulato partendo dai dati reddituali
presenti nell’indagine. Una descrizione dettagliata della procedura seguita per la simulazione
dell’Isee è disponibile su richiesta agli autori.
3.2.2. Il confronto tra il reddito e la linea di povertà assoluta
Una volta definite le buone ragioni per l’utilizzo dell’Isee come primo selettore, vale ora la pena di
considerare le motivazioni che spingono ad utilizzare anche un secondo filtro all’accesso, sulla cui base dovrà poi essere definita l’integrazione spettante.
Non usiamo l’Isee per il calcolo del trasferimento, bensì il reddito disponibile, perché il nostro obiettivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La definizione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è calcolata
sulla base della spesa per consumi, ovvero del reddito disponibile spendibile per l’acquisto di un paniere di consumo minimo (cfr. cap. 2). Ecco allora che la principale soglia di accesso dovrebbe essere
espressa proprio nella stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, direttamente
correlabile con quest’ultima. Solo le famiglie che, oltre ad avere un Isee inferiore ad una certa soglia,
presentano anche un reddito minore della linea di povertà assoluta Istat possono ricevere il trasferimento. Come illustrato nel capitolo 2, le soglie di povertà assoluta Istat sono differenziate in base alla
tipologia familiare ed anche all’area geografica di residenza, nonché alla dimensione del Comune. Esse sono quindi crescenti rispetto alla numerosità dei componenti della famiglia, ed a parità di composizione demografica sono maggiori per le regioni centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali.
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3. UTENTI E IMPORTI
In questo modo il Reis tiene conto del fatto che il costo della vita è superiore nel Nord del paese rispetto al Centro e soprattutto al Sud.
L’indicatore reddituale è definito come segue. Innanzitutto, ci riferiamo alla somma di tutti i redditi
esenti e non esenti, calcolati al netto dell’imposizione fiscale e della contribuzione obbligatoria.
L’unica eccezione a questa regola consiste nel fatto che non consideriamo nel calcolo l’indennità di
accompagnamento, prestazione non sottoposta alla prova dei mezzi, a carattere risarcitorio, che viene assegnata in ragione delle maggiori spese che un individuo disabile deve sostenere per l’assistenza
e non come diretto sostegno al reddito (Gori, 2011b)27. Questa decisione aumenterebbe leggermente il numero di famiglie beneficiarie rispetto a quello delle famiglie in povertà assoluta, in particolare
fra gli anziani e fra i capofamiglia in “altra” condizione lavorativa.
Al reddito disponibile monetario corrente delle famiglie che possiedono l’abitazione in cui risiedono
va poi aggiunta la componente abitativa definita dall’Istat per il calcolo delle soglie di povertà assoluta. Si tratta di una somma, variabile a seconda della dimensione del comune e dell’area geografica di
residenza, che corrisponde al canone di affitto che una famiglia con certe dimensioni dovrebbe mediamente pagare per una casa non di lusso nello stesso comune in cui risiede. In questo modo si differenzia il reddito delle famiglie che vivono in proprietà da quello dei nuclei in affitto. Per le famiglie
con mutuo in corso di pagamento sottraiamo dal reddito gli interessi passivi, ma aggiungiamo la
componente abitativa, come per le altre famiglie con alloggio di proprietà.
Di particolare rilievo, in questa fase di crisi economica, sono i casi nei quali vi sia una variazione improvvisa del reddito corrente: si tratta abitualmente di un abbassamento, dovuto principalmente alla
perdita del lavoro ma anche all’insorgere di altre situazioni di crisi nella famiglia. In questi casi, quando la variazione risulti superiore ad una certa percentuale (da stabilire, ad esempio al 20%), il reddito
disponibile dovrà essere calcolato sulla base del reddito medio degli ultimi 3 mesi, moltiplicato per 4
in modo da ottenere un valore annuale. I redditi da lavoro autonomo andranno comunque riferiti agli
ultimi 12 mesi, per tenere conto della stagionalità. Non ci è possibile simulare queste variazioni, poiché nel dataset Silc i redditi vengono riportati con riferimento all’anno precedente rispetto a quello
dell’intervista.28
3.2.3. Come ottenere le informazioni sulla condizione economica
La presenza di un requisito reddituale accanto a quello definito in base all’Isee pone a questo punto
un problema cruciale: come raccogliere le informazioni necessarie per il calcolo del reddito disponibile della famiglia? L’attuale dichiarazione Isee (anteriore alla riforma) non è adatta a questo scopo,
perché nel modulo che viene compilato dai cittadini per autocertificare i propri redditi non c’è la possibilità di indicare in modo differenziato da quali fonti essi provengano (ad esempio da lavoro, da
27
Non si ritiene di utilizzare lo stesso trattamento per la pensione di invalidità in quanto meanstested e dunque
considerabile come un, seppur indiretto, sostegno al reddito. L’indennità di accompagnamento è invece del
tutto indipendente dalle condizioni economiche della famiglia. Sarebbe quindi scorretto considerare come
“meno povera” una persona solo perché riceve l’indennità di accompagnamento.
28
In Silc, ai lavoratori dipendenti viene richiesto di riportare la mensilità corrente netta. La media di questa variabile è però inferiore a quella relativa all’anno precedente, sia perché non viene corretta con gli archivi
amministrativi, sia perché è meno precisa nell’identificare i compensi aggiuntivi. Di conseguenza noi
preferiamo non utilizzarla, sia perché rischieremmo di sovrastimare il calo dei redditi per i lavoratori
dipendenti, sia perché non possiamo simulare la stessa situazione per i lavoratori autonomi e per le
persone in transizione verso il pensionamento.
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3. UTENTI E IMPORTI
pensione, assistenziali), essendo previsto un unico campo nel quale va scritto il totale dei redditi famigliari. Inoltre sono escluse le entrate non fiscalmente rilevanti, come pensioni e assegni sociali, che
invece devono essere considerate tra i redditi per erogare il Reis. Oltre all’incompletezza delle informazioni reddituali, l’attuale dichiarazione Isee soffre di un problema legato al periodo temporale di
riferimento. Vi si trova infatti il reddito dell’intero anno fiscale precedente la data della dichiarazione,
che potrebbe essere molto lontano da quello corrente, in particolare se la caduta in povertà fosse un
fenomeno recente. Nella dichiarazione dell’Isee ipotizzato nel Decreto che intende riordinarlo, si deve dichiarare addirittura il reddito di due anni prima: se si presenta ad esempio la dichiarazione Isee
dell’anno 2012, si deve fare riferimento alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, che a sua
volta è relativa a quello prima ancora, cioè il 2010. Perciò l’Isee in realtà riporta il reddito di un periodo abbastanza lontano dal momento in cui la famiglia richiede l’intervento contro la povertà. Nel decreto di riordino dell’Isee si prevede (articolo 9) di utilizzare un “Isee corrente”, che descriva una
condizione economica più aggiornata nel caso si siano verificate variazioni significative. Questa modalità è in parte indebolita dal fatto che l’Isee corrente viene previsto unicamente come facoltà a
scelta del dichiarante, e non come obbligo, soltanto nel caso sia inferiore del 25% rispetto a quello
standard (che deve già essere noto), ed esclusivamente se è cessata l’attività lavorativa. Inoltre l’Isee
corrente vale solo due mesi e, nella sua formulazione attuale, non è né vincolante né utilizzabile
quando la condizione economica sia mutata per motivi diversi dai redditi da lavoro o sia migliorata.
Nonostante queste difficoltà, nel caso l’Isee venga riformato seguendo lo schema già elaborato dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la possibilità di ricorrere all’Isee corrente appare molto
promettente ai fini del Reis, anche se saranno forse necessari alcuni adattamenti che dovranno essere approfonditi. È comunque essenziale che la nuova Dichiarazione Sostitutiva Unica dell’Isee riformato venga modificata rispetto alla sua versione attuale e permetta di evidenziare le singole voci
reddituali. Nell’eventualità che anche la riformulazione della certificazione relativa all’Isee non permetta di ricostruire con precisione il reddito corrente della famiglia, sarà necessario predisporre un
modulo integrativo che le famiglie richiedenti il Reis dovranno compilare assieme alla dichiarazione
Isee.
3.2.4. Un indicatore integrativo basato sul consumo
Uno dei problemi principali nel determinare la quota di reddito disponibile è dato dalla presenza di
una percentuale consistente di famiglie che dichiarano redditi nulli oppure molto bassi.. Questa situazione si verifica di frequente anche nelle dichiarazioni Isee, come è evidente dalla figura 1, dunque occorrerà calcolare anche un indicatore di controllo sui consumi che consenta di attribuire alle
famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore di vita. Proponiamo quindi di fare riferimento all’impostazione dell’ormai collaudato indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento. Qui l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al
momento del calcolo dell’ICEF (l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se
una stima prudente dei consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato.29
In pratica, per ogni famiglia che richiede l’ammissione al sussidio l’amministrazione calcola un consumo annuo, presunto in base ad alcune semplici informazioni relative al numero dei componenti, al
titolo di godimento dell’abitazione, alla presenza di mutui ancora da estinguere e all’eventuale possesso di automobili. Questa stima viene effettuata a partire dai valori medi di spesa per famiglie povere effettuati dall’Istat nell’Indagine sui consumi delle famiglie, differenziati per area geografica.
29
Per maggiori dettagli, si veda Zanin et al (2011).
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3. UTENTI E IMPORTI
Le categorie di consumo considerate sono solo quelle che si può ragionevolmente assumere siano
strettamente necessarie alla sopravvivenza quotidiana: alimentazione, abbigliamento, energia elettrica e comunicazioni (essenzialmente linea telefonica). Sulla base dei dati Istat sui consumi delle famiglie, raccolti presso il pertinente campione di famiglie trentine, si determina l’ammontare medio
annuo – commisurato alle dimensioni del nucleo familiare - della spesa per consumo in ognuna di
queste voci. Questi valori sono poi ridotti per tenere conto del fatto che si ha a che fare con famiglie
povere. In concreto, la spesa media per consumi alimentari è ridotta del 20%, quella per abbigliamento e calzature del 60%, quella per energia elettrica del 50% e quella per comunicazioni del 60%.
Il reddito familiare stimato sulla base dei consumi imputati viene confrontato con il reddito familiare
dichiarato dal richiedente: il maggiore diventa quello considerato ai fini del calcolo dell’ammontare
dell’integrazione monetaria spettante alla famiglia. Il richiedente può rifiutare questa procedura di
stima e portare dimostrazioni che il suo livello di reddito è quello dichiarato e non quello derivante
dai suoi consumi presunti. La fondatezza delle argomentazioni contrarie addotte dal richiedente viene accertata dai servizi sociali.
L’utilizzo del consumo presunto ha avuto un forte effetto dissuasivo sui casi di falsa positività, pressoché annullati; inoltre, praticamente nessuno, avendo dichiarato un reddito inferiore a quello determinato in base ai consumi presunti, ha rifiutato la revisione verso l’alto del reddito dichiarato.
Nel caso in cui l’indicatore sui consumi sia superiore al reddito dichiarato nel modello ICEF, la domanda viene considerata incongrua e il beneficiario ha due possibilità: (i) accettare l’imputazione
dell’indicatore di condizione economica superiore, corrispondente ai costi dei consumi, (ii) se non accetta, potrà accedere all’intervento solo a seguito di correzione/validazione dell’ICEF. Utilizzando
l’indicatore dei consumi è emerso che molte domande per il Reddito di Garanzia presentavano delle
dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima molto prudente dei consumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente spontaneo abbandono della
pretesa da parte dei richiedenti.
Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità. I consumi di base - alimentari, abbigliamento, energia - dovranno essere accuratamente calcolati, ad esempio individuando il livello minimo come il 1° percentile nella distribuzione dei consumi osservati
nell’Indagine Istat sui Consumi delle Famiglie. Questo livello andrà calcolato separatamente per ciascuna delle tipologie familiari che compongono le soglie di povertà assoluta Istat, ovvero tenendo
conto del numero di componenti, della loro età, dell’area e della dimensione del Comune di residenza. Relativamente alle spese per canoni di locazione e per interessi passivi sui mutui, faranno fede i
valori inseriti nella dichiarazione Isee, mentre le spese per il mantenimento di autoveicoli e di manutenzione dell’alloggio saranno attribuite forfettariamente.
Il calcolo di questi livelli richiederà dunque un lavoro accurato, disaggregato non solo per tipologia
familiare, ma anche per ripartizione geografica e dimensione del Comune di residenza. Occorrerà, inoltre, controllarne la coerenza con le soglie di povertà per evitare che il livello di consumi presunti
finisca per annullare automaticamente il trasferimento. Non è dunque possibile presentare già in
questa sede una stima della riduzione della spesa complessiva che potrebbe risultare da questo controllo dei consumi. Riteniamo tuttavia che l’utilizzo del valore maggiore fra i consumi presunti ed il
reddito disponibile dichiarato potrà ragionevolmente portare ad una riduzione del trasferimento e
dunque del numero totale di beneficiari ammessi. La spesa totale necessaria a finanziare la misura
presentata più avanti potrà dunque essere considerata lievemente sovrastimata.
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3. UTENTI E IMPORTI
3.2.5 La logica complessiva
Prima di presentare alcune stime quantitative su platea, impatto distributivo e costi del Reis, può essere utile cercare di riepilogare i punti fondamentali attorno ai quali ruota la nostra proposta per
quanto riguarda i criteri di accesso. La stella polare è il principio dell’universalismo, in base al quale la
misura viene rivolta a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza differenziazioni di natura categoriale. Nel rispetto di questo principio fondante, vi sono tre punti specifici che guidano la definizione dei
criteri di accesso.
Il primo riguarda il concetto di benessere economico, che privilegiamo. Esso dipende in primo luogo
dal reddito corrente e da ciò che permette di acquistare, coerentemente con il nostro obiettivo di
colmare un gap di reddito. Riteniamo però che il benessere economico di una famiglia dipenda non
solo dal reddito ma anche dal patrimonio, fattore che, riflettendo le scelte di consumo e risparmio
del passato, conferisce al suo possessore margini di manovra che le persone prive di capitale non
hanno. Non ci sembrerebbe quindi coerente concedere l’accesso al Reis anche a famiglie con basso
reddito corrente ma con significative dotazioni patrimoniali. Abbiamo comunque proposto una soglia
piuttosto elevata in termini di Isee, perché in caso contrario rimarrebbero escluse molte famiglie con
reddito oggettivamente basso. L’impianto disegnato, infatti, porta ad escludere solo il 10% delle famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà assoluta30. L’obiettivo di fondo è quello di aiutare le
famiglie in oggettiva difficoltà, quindi sia con basso reddito che con scarso o nullo stock di patrimonio. Ci rendiamo conto che ciò può porre problemi di disincentivo al risparmio per i poveri, ma la soglia Isee è fissata a livelli piuttosto elevati anche per consentire di disporre di un certo risparmio e di
essere comunque beneficiari del Reis.
Il secondo punto che ha guidato la definizione dei criteri d’accesso fa riferimento all’equità territoriale. Proponiamo infatti di differenziare la soglia reddituale di accesso e l’importo del trasferimento
non solo in funzione del reddito e delle caratteristiche della singola famiglia, ma anche dell’area geografica di residenza, visto che l’Italia è un paese dalle grandi disuguaglianze spaziali di natura socioeconomica, senza pari in tutt’Europa. Non abbiamo bisogno a questo scopo di stime nuove, ci basta
applicare le soglie di povertà assoluta calcolate dall’Istat, che tengono conto di queste differenze. Se
è vero che un euro di reddito ha un potere d’acquisto diverso a seconda dell’area di residenza, questa considerazione deve valere anche per un euro di patrimonio. Ci sembra quindi coerente con
l’approccio alla povertà assoluta che anche le soglie preliminari definite in termini di Isee vengano
differenziate geograficamente. Infine, sempre secondo la medesima logica, anche il controllo sui consumi dovrà basarsi su livelli di spesa presunti differenziati per aree.
Infine, c’è il punto della condizionalità. Il Reis spetta solo alle famiglie povere che accettino di rispettare alcuni vincoli, relativi alla verifica della loro condizione economica in termini di Isee, reddito corrente e consumi presunti, nonché ad una serie di impegni successivi all’entrata nel programma che
saranno descritti nel capitolo 6. Solo le famiglie che rispettano questi vincoli di trasparenza e di comportamento potranno ricevere il beneficio.
30
La percentuale del 10% di famiglie in povertà assoluta escluse dal Reis per la loro significativa dotazione patrimoniale vale sia per lo scenario “Contesto economico ‘normale’ ” sia per lo scenario “Contesto di forte
crisi economica” (cfr. par 3.3).
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3.3. ADEGUATEZZA: L'IMPORTO MENSILE E I SUOI EFFETTI
Si è già chiarito che il trasferimento viene calcolato in questo modo:
Trasferimento = Soglia di povertà assoluta – reddito disponibile della famiglia.
Per incentivare il fatto che i beneficiari della misura lavorino, contenendo il più possibile il rischio che
incorrano nella “trappola della povertà”, in linea con i più moderni sistemi di welfare europeo si introdurranno appositi accorgimenti, per i quali si rimanda al capitolo 631. Vediamo ora quanti saranno
i beneficiari del trasferimento e a quanto ammonterà la spesa totale.32 Una simulazione dettagliata
delle conseguenze distributive e di spesa derivanti dalla introduzione del Reis può essere effettuata
solo su un campione di microdati rappresentativo dell’intera popolazione delle famiglie italiane. Al
momento nel quale la maggior parte di queste simulazioni è stato effettuata (primavera 2013), il più
recente dataset Silc disponibile ai ricercatori esterni all’Istat era relativo al 2010 (con i redditi
dell’anno 2009). Simulazioni condotte su questa banca dati possono essere rappresentative di un
quadro sociale ed economico “normale”, perché in quel periodo la crisi in Italia era ancora agli inizi e
non aveva avuto modo di dispiegare grandi effetti sui tassi di disoccupazione e povertà. I dati Silc disponibili, inoltre, sono rappresentativi della realtà della povertà assoluta italiana nel triennio 20092010-2011, quando il suo valore era rimasto sostanzialmente costante. Una settimana prima della
presentazione di questo testo, però, nel luglio 2013, l’Istat ha pubblicato i nuovi dati sulla povertà assoluta nel 2012, che ne mostrano un brusco peggioramento rispetto alla piatta dinamica degli anni
precedenti (dal 5,2% delle famiglie in tale condizione nel 2011 al 6,8% nel 2012, si veda il cap 1). Ci è
sembrato importante, pertanto, cercare di fornire anche una stima degli effetti del Reis che sia più
rappresentativa della situazione di grave crisi economica nella quale ci troviamo.
Le stime sugli effetti del Reis vengono quindi presentate in due versioni: la prima è basata sulla distribuzione dei redditi del 2009, la più recente disponibile per analisi su microdati, e quindi può riflettere ciò che potrebbe accadere in un quadro economico “normale” (Scenario “Contesto economico
‘normale’ ”) , a cui speriamo presto di tornare, mentre la seconda cerca di tenere conto delle recenti
stime della povertà assoluta nel 2012 (Scenario “Contesto di forte crisi economica”). Poiché anche le
stime di questa seconda versione sono condotte sulla stessa banca dati Silc 2010, esse sono necessariamente più incerte della precedente ed incorporano un inevitabile margine di maggiore arbitrarietà
nelle scelte metodologiche, ma ci pare comunque importante inserire il Reis in un contesto più rappresentativo della gravità della crisi in corso. Lavorare su due diversi scenari permette, inoltre, di collocare l’introduzione del Reis nelle differenti configurazioni che l’economia italiana potrebbe assumere nei prossimi anni.
3.3.1 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto economico ‘normale’ “
Iniziamo quindi presentando i risultati delle simulazioni condotte su Silc 2010 (redditi 2009), che possono come suggerito fornire un quadro valido una volta che l’economia italiana sia uscita da questa
fase di emergenza. Seguendo il percorso logico fin qui descritto e ipotizzando la doppia soglia di sele-
31
Di questi accorgimenti non si tiene conto nelle simulazioni seguenti perché non ci è dato in alcun
modo di sapere quale sia la probabilità che gli individui percettori del trasferimento riescano a trovare un lavoro.
32
Abbiamo aggiornato tutti i valori monetari al 2013 per tenere conto dell’inflazione, usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie e assumendo un’inflazione pari all’1.5% nel 2013.
Pagina 42
3. UTENTI E IMPORTI
zione dei potenziali beneficiari, la tabella 1 mostra il caso della copertura integrale del gap per le famiglie con Isee inferiore alla soglia e reddito disponibile inferiore alla linea di povertà assoluta. Sarebbero in questo modo coinvolte dal trasferimento il 90% delle famiglie in povertà assoluta (il 5.1%
delle famiglie italiane), cioè 1.28 milioni di nuclei e 3.2 milioni di persone. Per queste famiglie
l’integrazione media sarebbe pari a 4634 euro all’anno (pari al gap medio tra linea di povertà e reddito), per una spesa complessiva annuale di 5.9 miliardi di euro.
Tale stima è stata effettuata non considerando l’indennità di accompagnamento nel calcolo del reddito disponibile e ipotizzando che tutte le famiglie al di sotto di entrambe le soglie (Isee e povertà assoluta) ricevano il trasferimento, anche quando risulti solo di pochi euro al mese. È realistico pensare
che nel caso di importi modesti, cioè in presenza di redditi appena inferiori alla linea di povertà, molte famiglie possano non presentare domanda. La letteratura disponibile (Hernanz et al, 2004, Matsaganis et al, 2008) su numerosi paesi europei conferma che il take-up rate, cioè la quota di soggetti
che, avendo potenzialmente diritto ad un beneficio, effettivamente lo ricevono, è generalmente inferiore al 100%, a volte anche in modo molto netto. Per l’Italia, la percentuale di take-up relativa
all’esperienza della sperimentazione del reddito minimo di inserimento alla fine degli anni ’90 fu
compresa tra il 40% (al Nord) e l’80% (al Sud), con una media nazionale del 67% (Saraceno, 2002).
Considerato che quella ebbe un carattere sperimentale mentre la prestazione qui proposta dovrebbe
essere permanente, è probabile che la quota di adesioni sia bassa nei primi anni, per poi crescere nel
tempo. D’altra parte, le ricerche internazionali dimostrano che in effetti la probabilità di richiedere
un beneficio è correlata positivamente con l’importo del beneficio atteso (si veda, tra gli altri, Hernanz et al, 2004, pg. 18). È quindi ragionevole ritenere che il take-up rate non potrà mai essere pari al
100%. Sulla base di queste considerazioni, non ci sembra irragionevole aspettarci un take-up rate attorno al 75%, una quota piuttosto alta perché, appunto, superiore a quella della sperimentazione del
RMI di 15 anni fa, pure allora molto pubblicizzata. La percentuale del 75% è anche superiore a quelle
registrate nella gran parte delle varie esperienze locali di reddito minimo finora attuate nel nostro
paese (si veda Spano et al., 2013). Supponendo per semplicità che il minor take up rate sia distribuito
in modo omogeneo, la spesa per la parte del Reis di trasferimenti monetari dovrebbe essere pari, a
regime, a 4425 milioni di Euro annui (tab 2). Per una discussione sulla spesa totale per il Reis, comprensiva anche della componente in servizi e del monitoraggio/valutazione, si rimanda al capitolo 9.
TAB. 2 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO
Gruppo
Capof. disocc. o "altro", più di 50 anni
Capof.
pensionato o 65+
anni
Totale
35.1%
19.9%
1.6%
5.1%
94.0%
84.2%
73.8%
90.5%
Capof. Lavora
Capof. disocc. o
"altro", meno di
50 anni
% famiglie che ottengono il beneficio
in ogni gruppo
4.1%
% famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo
94.5%
Trasferimento medio annuo (euro)
3874
6399
4058
3035
4634
Totale individui beneficiari (migliaia)
1617
1029
247
292
3186
Totale famiglie beneficiarie (migliaia)
567
423
142
147
1280
Spesa totale (mln di euro)
2198
2711
576
447
5931
Totale individui beneficiari con take
1213
772
185
220
2390
Pagina 43
3. UTENTI E IMPORTI
up rate al 75% (migliaia)
Totale famiglie beneficiarie con take
up rate al 75% (migliaia)
425
318
106
110
960
Spesa totale (mln euro) con take up
rate al 75%
1649
2033
432
335
4425
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito
dell’indennità di accompagnamento
La successiva tab. 3 descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il
trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat. Le famiglie beneficiarie sono maggiormente concentrate nelle fasce giovani. La composizione per condizione professionale del capofamiglia evidenzia tra i percettori una più decisa prevalenza dei nuclei dei working
poors rispetto alla ripartizione dei poveri assoluti. La quota di beneficiari che risiede al Sud e Isole
(48.5%) è simile a quella dei poveri assoluti. Si noti inoltre che la probabilità di ricevere il beneficio è
decisamente superiore per le famiglie degli stranieri, ma nonostante ciò i nuclei con capofamiglia di
cittadinanza italiana costituiscono la netta maggioranza della platea totale dei beneficiari. Sarebbe
quindi sbagliato considerare il Reis come un trasferimento destinato prevalentemente agli immigrati,
così come altrettanto erroneo sarebbe ritenerlo un trasferimento a favore soprattutto delle famiglie
meridionali. Più di metà del totale delle famiglie beneficiarie infatti non risiede al Sud (e riceve il 52%
dell’importo totale del trasferimento).
TAB. 3 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARATTERISTICHE
Area geografica
Frequenza
Composizione
Cittadinanza
Frequenza
Composizione
Nord
3.6%
34.2%
Italiana
4.2%
77.8%
Centro
4.4%
17.3%
Altro
18.4%
22.2%
Sud
7.7%
48.5%
Totale
5.1%
100.0%
Totale
5.1%
100.0%
Educazione del cf
Frequenza
Composizione
Età del capofamiglia
Frequenza
Composizione
Elementari
4.5%
22.4%
<30
16.5%
17.6%
Medie
7.0%
38.3%
30-39
7.4%
25.1%
Diploma
4.9%
32.9%
40-49
6.7%
28.3%
Laurea
2.6%
6.4%
50-64
4.0%
19.0%
>=65
1.6%
9.9%
5.1%
100.0%
Frequenza
Composizione
Totale
5.1%
100.0%
Totale
Condizione professionale del
capofamiglia
Frequenza
Composizione
Numero
nenti
Operaio
5.9%
23.2%
1
6.1%
37.6%
Impiegato
0.9%
3.9%
2
3.6%
18.8%
Atipico
21.3%
2.2%
3
4.1%
16.4%
Indipendente
5.8%
15.0%
4
4.8%
16.0%
Pensionato
1.1%
6.2%
5
10.7%
8.3%
Disoccupato
34.3%
19.5%
6+
15.2%
2.9%
Pagina 44
compo-
3. UTENTI E IMPORTI
Altro
11.7%
29.9%
Totale
5.1%
100.0%
Totale
5.1%
100.0%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando
l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.
La tabella 4 mostra, per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio per classi di reddito disponibile
familiare (inclusa la componente per l’affitto). Per le famiglie più povere, l’incidenza del trasferimento è molto elevata e pari a più di sette volte il reddito iniziale. Progressivamente il valore si riduce,
anche se rimane consistente pure per le famiglie della classe più elevata, che includono nuclei più
numerosi o con caratteristiche tali da corrispondere a una soglia di povertà assoluta più elevata. In
media il trasferimento è pari a 4675 euro annui, circa il 58% del reddito familiare medio delle famiglie
interessate, una percentuale in grado di modificare in modo significativo il tenore di vita dei poveri.
TAB. 4 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE
Reddito
medio
familiare
Trasferimento medio
Trasferimento in %
del reddito
Ripartizione % delle
famiglie povere assolute che ottengono il
trasferimento
Classe di reddito
0-3000
1209
9227
763%
12.4%
3000-6000
4523
6168
136%
27.0%
6000-9000
7522
3504
47%
24.3%
9000-12000
10301
3048
30%
14.7%
>12000
15414
2426
16%
21.5%
Totale
8037
4634
58%
100%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile
(esclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati
aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.
Quale sarebbe l’impatto del Reis sulla povertà in Italia? Nell’ipotesi teorica in cui si riescano a raggiungere tutte le famiglie potenzialmente interessate, la povertà assoluta subirebbe ovviamente un
drastico ridimensionamento, perché il nostro obiettivo consiste proprio nel colmare - almeno in teoria - tutto il gap che separa i redditi dei poveri dalle soglie di povertà assoluta. Al limite, se vi fossero
un perfetto targeting ed un totale take-up, la povertà assoluta dovrebbe scomparire. È quindi interessante chiedersi anche cosa accadrebbe alla povertà relativa, calcolata sul reddito disponibile, che
include sia la componente monetaria che gli affitti imputati.33 Essa, se valutata con l’indice di diffusione (la quota di individui o famiglie con reddito inferiore ad una certa quota del reddito medio o
mediano nazionale), rimarrebbe invece sostanzialmente inalterata, perché le soglie ragionevoli di povertà relativa si collocano ben al di sopra di quelle di povertà assoluta. Se una famiglia in condizioni di
indigenza ottiene un incremento notevole del proprio reddito, ma non per questo riesce a superare
la linea di povertà relativa, essa rimane in condizioni di povertà relativa. L’indice di diffusione della
povertà relativa, che misura la quota di famiglie che si trovano sotto la linea, è infatti insensibile alla
gravità della povertà stessa, cioè alla distanza tra il reddito e la soglia. Servono quindi indicatori meno
rozzi per cogliere l’impatto del Reis sulla povertà. L’indice di Forster, Greer e Thorbecke è una media
33
Vengono anche sottratti gli interessi su mutui passivi per l’acquisto della casa di abitazione.
Pagina 45
3. UTENTI E IMPORTI
delle distanze tra soglia e reddito, dove ciascuna distanza viene pesata tanto più quanto è maggiore.
Quindi, anche se nessuna famiglia supera la soglia di povertà, l’indice diminuisce quando aumenta il
reddito delle famiglie povere, e diminuisce tanto più quanto minore è il reddito delle famiglie beneficiarie del trasferimento. Su tutte le famiglie italiane, considerando come soglia di povertà quella calcolata con il metodo relativo al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito equivalente prima del trasferimento, l’indice di FGT34 è pari a 0.024 prima dell’erogazione e scende a 0.012
dopo, con una riduzione molto forte. È ovvio che si tratta di un’ipotesi teorica, perché presuppone un
totale take up e nessuno spreco di risorse a favore di famiglie che non sono povere. Tuttavia, anche
al netto di questi “caveat” l’effetto sulla povertà sarebbe davvero significativo: con circa cinque miliardi la “povertà” in Italia risulterebbe dimezzata, se definita usando un indice che è meno grezzo
della semplice quota di poveri relativi perché pesa maggiormente i redditi bassi.
La fig. 2 mostra come cambia l’indice FGT sulla distribuzione familiare del reddito per alcune dimensioni delle famiglie italiane. La riduzione della povertà sarebbe molto forte in tutte le aree del paese e
per tutte le dimensioni familiari.
FIG. 2 INDICE DI FGT PRIMA E DOPO IL TRASFERIMENTO
Area di residenza
Numero componenti
0,05
0,04
0,03
prima
0,02
dopo
0,01
0
Nord
Centro
0,08
0,07
0,06
0,05
0,04
0,03
0,02
0,01
0
Istruzione capofamiglia
dopo
medie
dipl.
laurea
2
3
4
5
>=6
Nazionalità capofamiglia
prima
elem.
dopo
1
Sud
0,04
0,035
0,03
0,025
0,02
0,015
0,01
0,005
0
prima
0,08
0,07
0,06
0,05
0,04
0,03
0,02
0,01
0
prima
dopo
italiano
straniero
È noto che in Italia il rischio di povertà, sia relativa che assoluta, colpisce soprattutto le persone in
giovane età. Verifichiamo quindi l’impatto del Reis sul rischio relativo di povertà, attraverso il con-
34
La formula dell’indice FGT è (1/N) ∑i ((z-yi)/z)a, dove N è il numero totale delle famiglie, z è la linea di povertà,
y il reddito disponibile equivalente. I risultati riportati nel testo sono stati calcolati con a=2.
Pagina 46
3. UTENTI E IMPORTI
fronto dell’indice FGT prima e dopo il trasferimento, sulla distribuzione individuale del reddito per
classi di età non dei capifamiglia, come fin qui fatto, ma di ciascuna persona (fig. 3). Purtroppo
l’indice di FGT non ha un’interpretazione intuitiva che possa renderlo “attraente”. È utile quindi osservare soprattutto come esso cambia nel passaggio dalla distribuzione del reddito senza Reis a quella che lo include. La riduzione della povertà sarebbe particolarmente forte proprio per le fasce di età
più basse, mentre l’impatto del Reis sulla povertà degli anziani sarebbe poco significativo, perché essa è già oggi bassa.
FIG. 3 INDICE DI FGT PER LA DISTRIBUZIONE INDIVIDUALE DEL REDDITO, PRIMA E DOPO
IL TRASFERIMENTO
0,05
0,045
0,04
0,035
0,03
0,025
0,02
0,015
0,01
0,005
0
prima
dopo
<=9
10-19
20-29
30-39
40-49
50-59
60-69
70-79
>=80
Mantenendo la copertura al 100% delle linee di povertà assoluta Istat, la parte superiore della tab. 1
ci dice che il 10% circa delle famiglie povere assolute non riceverebbero il trasferimento. Le famiglie
escluse sarebbero in genere nuclei con reddito disponibile sostanzialmente simile, in media, a quello
delle famiglie incluse, ma con Isee decisamente più alto. La differenza, quindi, sta nel valore del patrimonio mobiliare ed immobiliare: le famiglie beneficiarie del sussidio sono spesso prive di patrimonio immobiliare, ivi compresa la casa di abitazione (solo un quarto vive in proprietà), mentre rimangono escluse famiglie che, pur essendo povere assolute in termini di reddito, hanno patrimoni significativi. Suddividendole per classe di età del capofamiglia, le famiglie che, malgrado siano povere assolute in termini di reddito, non sarebbero beneficiarie del trasferimento, si concentrano nelle fasce più
avanzate, che hanno avuto nel tempo la possibilità di accumulare uno stock patrimoniale. Sarebbe
infatti escluso dal trasferimento il 29% delle famiglie con persona di riferimento dai 65 anni in su ed il
19% dei nuclei con capofamiglia tra 50 e 64 anni, contro quote inferiori al 10% per le fasce di età inferiori. La selezione in base all’Isee non esclude che sia comunque possibile per i beneficiari detenere
un certo ammontare di patrimonio mobiliare o immobiliare. Non vogliamo, in altre parole, disincentivare l’accumulazione di uno stock patrimoniale. È però importante che vi sia una soglia che tenga
conto del valore del patrimonio, perché altrimenti si corre il rischio di erogare un trasferimento a chi
avrebbe la capacità di far fronte autonomamente, attingendo a patrimoni significativi, a situazioni di
emergenza.
Equità territoriale: l’aggiustamento al costo della vita
Pagina 47
3. UTENTI E IMPORTI
È noto che in Italia il livello dei prezzi di molti beni e servizi è decisamente differenziato tra aree geografiche. Secondo i dati Silc, ad esempio, il canone medio d’affitto nelle regioni settentrionali era nel
2009 di 6020 euro annui, contro 4200 euro in quelle meridionali, una differenza del 43% (del 38% se
restringiamo il calcolo alle zone ad alta densità abitativa). Le statistiche sulla povertà relativa, di reddito o di consumo, non tengono però conto di queste differenze perché sono basate sul confronto tra
i redditi o i consumi delle singole famiglie ed un’unica linea di povertà, calcolata come la media (o
mediana) della distribuzione del reddito o del consumo sull’intero territorio nazionale. Una parte del
maggior reddito medio delle famiglie residenti nel centro-nord rispetto a quelle meridionali non corrisponde però a maggior benessere, ma serve solo a compensare un più elevato livello dei prezzi. Le
misure di povertà relativa calcolate con linea unica nazionale, quindi, sottostimano la povertà nelle
regioni centro-settentrionali e la sovrastimano in quelle del Sud. La stima della povertà assoluta condotta dall’Istat non soffre però d questo limite, perché le linee sono differenziate anche sulla base
dell’area di residenza. Nel 2011, ad esempio, la linea di povertà assoluta per una persona sola residente in un grande comune del Nord è di 747 euro al mese, al Centro 719, al Sud 561. La differenza
percentuale tra Nord e Sud è quindi del 33%. Per una famiglia con due minori tra quattro e dieci anni
e due adulti, i corrispondenti valori per le tre aree sono 1495, 1412 e 1175, con una differenza percentuale tra Nord e Sud del 27%.
Il Reis, basandosi sul principio di colmare il gap tra linea di povertà assoluta e reddito disponibile ed
essendo strettamente collegato alla metodologia seguita dall’Istat per il computo delle soglie di povertà assoluta, risulterà quindi graduato secondo il costo della vita del territorio in cui si trova il richiedente. Le variabili saranno in particolare due: la macro area (Nord, Centro, Sud) e la dimensione
del comune di appartenenza (piccolo, grande, area metropolitana). Si modificherebbe così la situazione attuale, che svantaggia le realtà dove il costo della vita è maggiore, cioè le regioni settentrionali
ed i comuni più grandi. A parità di reddito e di struttura per età dei membri, una famiglia del Nord riceverebbe un trasferimento superiore rispetto a famiglie residenti nel resto del paese, ottenendo
grazie a questa differenziazione il medesimo potere di acquisto.
La tabella 5 mostra i valori medi del trasferimento, del reddito prima di esso e della linea di povertà
assoluta per le famiglie composte da una persona e da quattro persone nelle tre macro-aree del paese. Per le persone sole, la linea di povertà assoluta supera quella delle famiglie meridionali di circa il
35% (comprendendo i comuni di tutte le dimensioni). Il trasferimento medio che va alle persone sole
del Nord è solo di poco superiore a quello percepito dalle corrispondenti famiglie meridionali a causa
del più basso reddito medio pre-trasferimento di queste ultime. A parità di reddito il trasferimento
sarebbe comunque maggiore, in modo da garantire il medesimo potere d’acquisto. Le stesse considerazioni si applicano ai nuclei di quattro componenti: la linea media di povertà del Nord supera del
25% quella del Sud, anche se il trasferimento medio al Nord è inferiore perché il reddito pre-Reis è
decisamente superiore.
TAB. 5 MEDIE ANNUE DEL TRASFERIMENTO, DEL REDDITO PRE-TRASFERIMENTO E DELLA
LINEA DI POVERTÀ ASSOLUTA PER FAMIGLIE RESIDENTI IN DIVERSE MACRO-AREE
Reis
Reddito
familiare
prima del trasferimento
Linea di povertà assoluta
Nord
3510
6009
9519
Centro
3027
6251
9279
Un componente
Pagina 48
3. UTENTI E IMPORTI
Sud
3161
3899
7060
Totale
3285
5262
8547
Nord
5995
13154
19149
Centro
6202
12315
18517
Sud
6079
9208
15287
Totale
6075
10652
16727
Quattro componenti
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare s’intende il reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) più la componente abitativa. Tutti i valori monetari sono
stati aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.
La presenza di linee di povertà assoluta che riflettono i diversi livelli dei prezzi fa sì che la ripartizione
delle famiglie beneficiarie del trasferimento sia decisamente più equilibrata rispetto alla ripartizione
delle famiglie povere in senso relativo. Come già mostrato in tab. 3, nelle regioni meridionali risiede
poco meno della metà delle famiglie potenzialmente beneficiarie del Reis (mentre la prima Social
Card, già più selettiva del criterio della povertà relativa, andò per il 65% a famiglie del Sud35), una
quota comunque ancora superiore a quella delle famiglie meridionali sul totale delle famiglie italiane.
Anche la ripartizione della spesa totale per il trasferimento vede leggermente al di sotto del 50% del
totale le risorse che affluirebbero alle regioni meridionali. Il trasferimento medio è però simile nelle
varie aree del paese (terz’ultima colonna della tab. 6), nonostante le linee superiori al Nord, per due
ragioni principali: le famiglie beneficiarie del Nord e del Centro hanno un reddito pre-trasferimento
decisamente più alto. Essendo inoltre molto più piccole di quelle delle regioni meridionali, riceverebbero in media un Reis inferiore: al Nord solo il 18% dei nuclei che ricevono il Reis è composta da almeno quattro persone, la metà rispetto al Sud.
TAB. 6 ALCUNE STATISTICHE RELATIVE AI NUCLEI BENEFICIARI DEL TRASFERIMENTO, DIVISI PER MACRO-AREA
Ripartizione tutte
le famiglie
italiane
Ripartizione famiglie beneficiarie
Ripartizione spesa totale
Reddito
medio pretrasferimento
Reddito
medio pretrasferimento procapite
Trasferimento medio
% famiglie beneficiarie
con uno o
due componenti
% famiglie beneficiarie
con almeno quattro componenti
Nord
48.3%
34.2%
34.0%
8697
4742
4611
65.0%
17.9%
Centro
19.8%
17.3%
17.7%
8391
4487
4743
63.4%
20.5%
Sud
31.9%
48.5%
48.3%
7445
2972
4611
47.8%
36.1%
Totale
100.0%
100.0%
100.0%
8036
3839
4634
56.4%
27.2%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.
35
Inps 2010.
Pagina 49
3. UTENTI E IMPORTI
La tab. 7 offre una panoramica più disaggregata della distribuzione del Reis, considerando le singole
regioni. La ridotta dimensione campionaria a livello regionale deve naturalmente indurre alla cautela
nell’interpretare questi numeri come veramente rappresentativi, ma la tabella propone comunque
spunti interessanti. La prima colonna espone la quota di famiglie che in ogni regione dovrebbero essere interessate al trasferimento, seguita dal loro numero assoluto. Le ultime tre colonne sono dedicate all’effetto sull’indice FGT di povertà relativa di reddito, che come abbiamo visto attribuisce un
peso maggiore ai cambiamenti di reddito che interessano le famiglie più povere.
TAB. 7 ALCUNE STATISTICHE SULLA RIPARTIZIONE DEL REIS TRA LE REGIONI
Numero fa% famiglie miglie che Trasf. medio
che ricevono ricevono il per famiglia Ripartizione
il Reis
Reis
beneficiaria spesa totale
FGT prima FGT
dopo variazione
(alfa=2)
(alfa=2)
% FGT
Piemonte
4.2%
84675
4751
6.8%
0.01638
0.00582
-64%
Valle d’Aosta
1.9%
1136
4910
0.1%
0.00666
0.00318
-52%
Lombardia
4.1%
177803
4310
12.9%
0.01478
0.00575
-61%
Bolzano
3.1%
6348
3869
0.4%
0.00708
0.00223
-69%
Trento
1.6%
3633
9696
0.6%
0.00916
0.003
-67%
Veneto
3.5%
71571
4185
5.0%
0.01101
0.00428
-61%
Friuli V. G.
3.2%
17700
3279
1.0%
0.01185
0.00657
-45%
Liguria
4.4%
34809
4813
2.8%
0.01726
0.00559
-68%
Emilia Romagna
2.0%
40022
6477
4.4%
0.01058
0.00345
-67%
Toscana
4.2%
67375
4346
4.9%
0.01266
0.00401
-68%
Umbria
3.6%
13524
4729
1.1%
0.01841
0.00667
-64%
Marche
4.0%
25299
5655
2.4%
0.01950
0.00637
-67%
Lazio
4.9%
114902
4776
9.3%
0.01275
0.00436
-66%
Abruzzo
3.8%
20605
5882
2.0%
0.03018
0.01669
-45%
Molise
4.0%
5113
4511
0.4%
0.02900
0.01901
-34%
Campania
9.4%
197645
5007
16.7%
0.05630
0.03184
-43%
Puglia
6.0%
92189
4831
7.5%
0.04078
0.02109
-48%
Basilicata
6.1%
14034
5286
1.3%
0.03950
0.02331
-41%
Calabria
8.2%
64443
3746
4.1%
0.05205
0.03398
-35%
Sicilia
10.2%
204889
4274
14.8%
0.05391
0.03002
-44%
Sardegna
3.2%
22286
4205
1.6%
0.02295
0.01332
-42%
Italia
5.1%
1280003
4634
100%
0.02420
0.01181
-51%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.
3.3.2 Gli effetti del Reis nello scenario “Contesto di forte crisi economica”
In questa sezione finale simuliamo le conseguenze del Reis tenendo conto del forte peggioramento
della crisi economica nel corso degli ultimi mesi. Per farlo non modifichiamo la banca dati di riferimento su cui sono state eseguite le elaborazioni già presentate, cioè il dataset Silc 2010 (redditi
2009), perché non abbiamo a disposizione microdati relativi al periodo 2012-13, ma lo adattiamo sulla base delle informazioni fornite dall’Istat il 17 luglio 2013, relative alla diffusione della povertà rela-
Pagina 50
3. UTENTI E IMPORTI
tiva ed assoluta in Italia nel 201236 In un solo anno, la diffusione della povertà assoluta tra le famiglie
in Italia è passata dal 5.2% del 2011 al 6.8% del 2012, cioè da circa 1,3 ad 1,7 milioni di nuclei. Il peggioramento è stato particolarmente forte per le famiglie numerose con figli. Riprodurre in modo preciso queste dinamiche sul nostro campione Silc 2010 non è possibile, non solo perché noi stimiamo la
povertà assoluta in base al reddito e non al consumo, ma anche perché non possediamo dati sulle distribuzioni congiunte delle famiglie in povertà in base a caratteristiche socio-demografiche. Sulla base del fatto che il nostro metodo di calcolo della povertà assoluta in termini di reddito ha prodotto
nel dataset Silc una quota di famiglie in povertà assoluta molto vicina alle stime Istat fino al 2011, calibriamo i microdati in modo da riprodurre un ampliamento della platea dei poveri assoluti simile a
quello effettivamente registrato dall’Istat per il 2012. A questo scopo riduciamo proporzionalmente i
redditi delle famiglie, con coefficienti di riduzione più elevati per i nuclei con capofamiglia in più giovane età o di dimensione elevata, in modo da ottenere una quota di famiglie in povertà assoluta del
6.8%. Ipotesi alternative sulla dimensione dei coefficienti hanno fornito risultati molto simili. Si noti
che le quote di famiglie in povertà assoluta per fascia di età del capofamiglia non sono simili a quelle
calcolate dall’Istat, perché come si è già osservato nel capitolo 2 l’uso del reddito al posto del consumo incrementa il rischio di povertà per i giovani e lo riduce tra gli anziani. Abbiamo però cercato di
incrementare il rischio di povertà per fasce di età con variazioni simili a quelle che l’Istat ha documentato essersi verificate tra il 2011 ed il 2012. Siamo consapevoli che si tratta di un metodo che
può fornire risultati solo approssimativi, ma in mancanza di microdati più recenti non abbiamo alternative se vogliamo tenere conto delle recenti dinamiche della crisi.
Seguendo la metodologia illustrata, la tab. 8 riprende la precedente tab. 2 e mostra che, con ipotesi
di pieno take-up, il numero di famiglie beneficiarie del Reis passerebbe da 1,28 milioni della tab. 1 a
1,63 milioni di nuclei, per una spesa media di 4451 euro annui per famiglia ed una spesa totale di 7,4
miliardi. Se invece, più realisticamente, ipotizziamo un take-up al 75%37, il numero delle famiglie che
ricevono il Reis raggiunge gli 1,22 milioni, in aumento di 260 mila unità rispetto al caso che non tiene
conto degli sviluppi recenti della crisi. La spesa totale per la componente monetaria del Reis passerebbe a 5,54 miliardi di euro, con una crescita di 1,1 miliardi rispetto al caso “normale” precedentemente considerato.
TAB. 8 LE FAMIGLIE BENEFICIARIE DEL TRASFERIMENTO NELLO SCENARIO DI CRISI
Gruppo
Capof. disocc. o "altro", più di 50 anni
Capof.
pensionato o 65+
anni
Totale
40.0%
22.0%
1.8%
6.5%
95.0%
94.5%
85.1%
73.8%
90.9%
Trasferimento medio annuo (euro)
3944
6239
4154
2944
4542
Totale individui beneficiari (in migliaia)
2578
1228
286
359
4451
Capof. Lavora
Capof. disocc. o
"altro", meno di
50 anni
% famiglie che ottengono il beneficio
in ogni gruppo
6.0%
% famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo
36
Si veda Istat 2013.
37
Sul take-up si veda il par. 3.3.1.
Pagina 51
3. UTENTI E IMPORTI
Totale famiglie beneficiarie (in migliaia)
821
482
157
166
1626
Spesa totale (mln di euro)
3239
3009
652
490
7387
Totale individui beneficiari con take
up rate al 75% (migliaia)
1933
921
214
269
3338
Totale famiglie beneficiarie con take
up rate al 75% (migliaia)
616
361
118
124
1219
Spesa totale (mln euro) con take up
rate al 75%
2429
2257
489
368
5540
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Queste simulazioni incorporano la deduzione dal reddito
dell’indennità di accompagnamento
La tab. 9 che segue descrive le caratteristiche socio-anagrafiche delle famiglie che percepirebbero il
trasferimento, se si colma il 100% del gap rispetto alla soglia di povertà assoluta Istat, ancora nel caso il Reis si introduca in un periodo di forte crisi economica come l’attuale. Se invece assumiamo un
take-up parziale, tutte le percentuali delle colonne “Frequenza” andrebbero proporzionalmente ridotte. Rispetto allo scenario “normale”, la probabilità di ricevere il Reis cresce soprattutto per le famiglie giovani e per quelle numerose, ma nel complesso le caratteristiche dei nuclei maggiormente
interessati dallo schema non dovrebbero cambiare in modo netto. Poco meno della metà della spesa
totale per il Reis andrebbe alle regioni meridionali, e più di un terzo a quelle del Nord. In gran parte
inoltre la spesa totale affluirebbe a famiglie con nazionalità italiana. Molte delle famiglie beneficiarie
hanno persona di riferimento che lavora, ma evidentemente con reddito basso o con molti carichi
familiari. Nell’altra metà dei casi mancano invece redditi da lavoro.
TAB. 9 FREQUENZA E COMPOSIZIONE DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE PER VARIE CARATTERISTICHE
Area geografica
Frequenza
Composizione
Cittadinanza
Frequenza
Composizione
Nord
4.8%
35.9%
Italiana
5.3%
77.0%
Centro
5.3%
16.3%
Altro
24.2%
23.0%
Sud
9.7%
47.8%
Totale
6.5%
100.0%
Totale
6.5%
100.0%
Educazione del capofamiglia
Frequenza
Composizione
Età del capofamiglia
Frequenza
Composizione
Elementari
5.0%
21.5%
<30
19.4%
16.3%
Medie
9.0%
38.7%
30-39
10.1%
26.9%
Diploma
6.3%
32.9%
40-49
9.0%
29.9%
Laurea
3.5%
6.9%
Totale
Condizione professionale del capofamiglia
6.5%
Frequenza
100.0%
Composizione
50-64
5.0%
18.8%
>=65
1.6%
7.9%
Totale
6.5%
100.0%
Numero componenti
Frequenza
Composizione
Operaio
9.3%
28.9%
1
6.5%
31.5%
Impiegato
1.3%
4.3%
2
4.1%
17.3%
Atipico
23.8%
1.9%
3
5.2%
16.2%
Pagina 52
3. UTENTI E IMPORTI
Indipendente
7.5%
15.3%
4
7.9%
20.1%
Pensionato
1.4%
6.1%
5
17.8%
10.1%
Disoccupato
40.0%
17.9%
6+
22.4%
3.4%
Altro
12.7%
25.6%
Totale
6.5%
100.0%
Totale
6.5%
100.0%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Tutti i valori monetari sono stati aggiornati al 2013 usando l’indice
IPCA annuale per tutte le famiglie.
Per le famiglie coinvolte, il trasferimento medio rappresenterebbe ancora una parte molto significativa del reddito disponibile (tab. 10). In media il sussidio annuale è pari a 4542 euro annui, circa il
51% del reddito familiare medio delle famiglie interessate.
TAB. 10 L’EFFETTO DEL NUOVO SCHEMA SUL REDDITO DELLE FAMIGLIE BENEFICIARIE
Classe di reddito
Reddito
medio
familiare
Trasferimento medio
Trasferimento in %
del reddito
Ripartizione % delle
famiglie povere assolute che ottengono il
trasferimento
0-3000
1202
9423
784%
10.3%
3000-6000
4488
6289
140%
22.6%
6000-9000
7487
3838
51%
23.1%
9000-12000
10410
3592
35%
15.6%
>12000
15371
2476
16%
28.4%
Totale
8858
4542
51%
100%
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010. Per reddito familiare si intende reddito monetario disponibile (esclusa l’indennità di accompagnamento) + componente abitativa. Tutti i valori monetari sono stati
aggiornati al 2013 usando l’indice IPCA annuale per tutte le famiglie.
Pagina 53
3. UTENTI E IMPORTI
Appendice 1: Una soglia fissa di Isee
In questa prima appendice consideriamo l’effetto della determinazione di una soglia di Isee fissa, anziché variabile a seconda della macro-area. Presentiamo i risultati con riferimento a due soglie Isee, a
12mila e ad 8mila per tutto il territorio nazionale, relativamente allo scenario “Contesto economico
‘normale’”
Con Isee massimo a 12mila, la spesa totale scenderebbe solo di poco rispetto al caso presentato nel
testo, a 5,77 miliardi di euro (assumendo un pieno take-up), mentre il numero delle famiglie coinvolte sarebbe di 1.24 milioni. Le famiglie escluse sarebbero circa il 13% di quelle in povertà assoluta.
Nel caso di una riduzione della soglia Isee da 12mila ad 8mila euro, il numero delle famiglie beneficiarie diminuirebbe a 1.1 milioni e la spesa annua passerebbe a 5.17 miliardi di euro. Il numero delle
famiglie in povertà assoluta che resterebbero fuori dal Reis si avvicinerebbe al raddoppio, circa il
22%, e questa riduzione colpirebbe soprattutto le famiglie più anziane perché a parità di reddito
l’Isee tende a crescere con l’età.
TAB. A1 BENEFICIARI E SPESA CON SOGLIE FISSE DI ISEE
Gruppo
Capof. Lavora
Capof. disocc. o
"altro", meno di
50 anni
Capof. disocc. o "altro",
più di 50 anni
Capof. pensionato o
65+ anni
Totale
Soglia Isee 12000
% famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo
4.0%
34.2%
18.5%
1.5%
% famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo
92.1%
91.8%
77.3%
71.5%
87.7%
Trasferimento medio annuo (euro)
3,904
6,438
4,085
2,940
4,656
Totale individui beneficiari
1,592,205
1,003,023
234,511
282,047
3,111,786
Totale famiglie beneficiarie
552,781
412,523
131,586
142,164
1,239,055
Spesa totale (mln di euro)
2,158
2,656
538
418
5,770
Spesa totale (mln di euro) con take
up 75%
1619
1992
404
314
4328
3.6%
30.8%
16.1%
1.3%
4.4%
4.9%
Soglia Isee 8000
% famiglie che ottengono il beneficio in ogni gruppo
% famiglie povere assolute che ottengono il beneficio in ogni gruppo
83.2%
83.5%
66.5%
60.3%
78.5%
Trasferimento medio annuo (euro)
3,906
6413
4272
2902
4675
Totale individui beneficiari
1,450,369
909,000
203,340
246,273
2,808,983
Totale famiglie beneficiarie
499,565
371,283
114,548
121,217
1,106,613
Spesa totale (mln di euro)
1,951
2,381
489
352
5,174
Spesa totale (mln di euro) con take
up 75%
1463
1786
367
264
3881
Fonte: nostre elaborazioni su Silc 2010.
Pagina 54
3. UTENTI E IMPORTI
Appendice 2: La riforma degli ammortizzatori sociali
In questa seconda appendice ci chiediamo se la riforma degli ammortizzatori sociali approvata dal
Parlamento nel 2012 (riforma Fornero del mercato del lavoro, legge 92/2012) potrà avere effetti sulla
spesa totale per il Reis e sul numero dei beneficiari. Se, infatti, la riforma aumentasse il numero dei
beneficiari di prestazioni di disoccupazione tra le famiglie che usufruiscono del Reis, alcune di loro
potrebbero non trovarsi più in condizioni di povertà assoluta: nelle nostre stime di spesa dovremmo
tenerne conto.
Dall’inizio del 2013 è entrata in vigore l’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), il nuovo sussidio di
disoccupazione che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria. È prevista una fase di transizione piuttosto lunga verso l’assetto definitivo, che sarà raggiunto solo dal 2016. In quell’anno, l’Aspi
avrà una durata annuale, che potrà essere estesa sino a 18 mesi per gli ultra 55enni che abbiano una
contribuzione continua e regolare. La platea dei possibili beneficiari dell’Aspi comprende tutti i dipendenti, inclusi gli apprendisti ed i soci di cooperativa che svolgono un lavoro subordinato.
Per averne diritto occorre (come per la vecchia indennità di disoccupazione ordinaria) essere iscritti
all’assicurazione contro la disoccupazione da almeno due anni ed avere versato contributi per almeno dodici mesi nel corso dei due anni precedenti l’inizio della disoccupazione. L’importo dell’Aspi è pari al 75%
della retribuzione media se essa non supera i 1180 euro, più il 25% della differenza tra la retribuzione e la
soglia dei 1180 euro, con un massimale. Dopo sei mesi l’indennità viene ridotta del 15%, e di un altro 15%
dopo ulteriori sei mesi. Visto che i requisiti contributivi non si modificano rispetto al passato, non crediamo che l’Aspi possa ridurre la spesa totale per il Reis e la platea ad esso interessata.
Per i disoccupati che non possiedono i requisiti per accedere all’Aspi è prevista una “mini-Aspi”, che
spetta solo se nei 12 mesi precedenti la disoccupazione sono stati accreditati almeno 13 contributi
settimanali, equivalenti a tre mesi in totale (non c’è quindi il requisito dei due anni di iscrizione
all’assicurazione contro la disoccupazione). Questo dovrebbe allargare in modo significativo la platea
dei soggetti coinvolti. L’entità della mini-Aspi è la stessa dell’Aspi; la sua durata massima, pari alla
metà del numero di contributi settimanali accreditati nei 12 mesi precedenti la disoccupazione, varia
da un minimo di un mese e mezzo a un massimo di sei mesi.
Per avere un’idea del possibile impatto della mini-Aspi sul Reis, selezioniamo nel campione Silc quanti abbiano lavorato con un contratto di lavoro dipendente per almeno tre mesi nell’anno precedente
e siano disoccupati nell’anno in corso, senza aver ottenuto un sussidio di disoccupazione. Imputiamo
ad essi un reddito per i mesi lavorati e calcoliamo la mini-Aspi a cui avrebbero diritto. Ci risulta che
circa 115mila disoccupati riceverebbero questo trasferimento, per una spesa totale di circa mezzo
miliardo di euro. Di essi, però, solo il 20% vivrebbe in famiglie povere assolute. Queste simulazioni
sono state effettuate sul campione Silc con redditi al 2009, quindi sono riferite allo scenario “Contesto economico ‘normale’ “. Rispetto all’anno a cui si riferisce il campione, però, il numero dei disoccupati è decisamente aumentato, soprattutto tra i giovani. Poiché molti di loro hanno scarsi versamenti contributivi, è ragionevole ritenere che in questo periodo e negli anni futuri il numero dei soggetti coperti dalla mini-Aspi sarà superiore. Tuttavia, anche ammettendone un numero doppio o persino triplo, l’impatto sul Reis sarebbe comunque piuttosto limitato: nella nostra simulazione relativa
allo scenario normale, ad esempio, considerando l’aumento del reddito familiare reso possibile dal
percepimento della mini-Aspi, la spesa totale per il Reis diminuirebbe di 60 milioni all’anno, ed il numero delle famiglie coinvolte si ridurrebbe di 10mila unità. Lo scenario di crisi acuta aumenterà sicuramente queste cifre, ma il risparmio di spesa per il Reis dovrebbe essere ancora limitato (e compensato da una maggiore spesa per ammortizzatori sociali).
Pagina 55
4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO

Nel quindici anni trascorsi dall’introduzione del Reddito minimo di inserimento, il rapporto fra amministrazione centrale, amministrazioni regionali e amministrazioni locali è
stato sovente caratterizzato da un mediocre coordinamento, quando non da separatezza.
La proposta del Reddito di inclusione sociale (Reis) fa perno, invece, sulla chiara integrazione delle funzioni e sulla collaborazione.

Rispetto ai molteplici compiti che l’implementazione del Reis richiede – dalla sua pubblicizzazione alla prova dei mezzi, all’erogazione monetaria, alle azioni di inclusione sociale
e di attivazione al lavoro – è previsto il concorso di diversi attori: l’Inps, i Comuni organizzati in forma associata negli Ambiti socio-assistenziali, il Terzo Settore, i Centri per
l’Impiego, i Caf/Patronati i Distretti socio-sanitari, le scuole e gli istituti regionali di formazione, le Regioni.

Ciò richiede di combinare una convincente distribuzione e interazione di competenze fra
centro e periferia. Quanto alla struttura centrale, essa è incentrata su un Comitato di gestione, costituito presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (Mlps), che sovraintende e dirige il processo di riforma. Vi è, poi, una Consulta, rappresentativa ma non
pletorica, che esamina lo stato di avanzamento della riforma e fornisce pareri sul modo
col quale conviene procedere. Infine, vi è un’infrastruttura operativa centrale MlpsMinistero dell’Economia e delle Finanze (Mef)-Inps, che svolge due compiti essenziali: è
il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità al Reis e di erogazione del trasferimento
monetario; realizza un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per
l’offerta di servizi e per gli esiti delle azioni di inclusione sociale e di attivazione al lavoro.

La struttura locale poggia sulla scelta degli Ambiti territoriali socio-assistenziali, cioè dei
soggetti che (anche con denominazioni diverse nelle varie Regioni) gestiscono tali funzioni in forma associata per conto di Comuni, come pivot. In ogni Ambito socioassistenziale vi è un Comune capofila. È inoltre prevista la creazione di uno snello Gruppo di coordinamento, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, fanno parte i
principali attori locali (Centri per l’Impiego, Distretti socio-sanitari, ecc.).

Un tassello cruciale per il buon esito del Reis è la collaborazione fra la struttura centrale
e quella locale rappresentata dagli Ambiti, in particolare per quanto riguarda
l’alimentazione e l’accesso all’infrastruttura operativo-informativa incentrata sull’Inps.

In caso di gravi inadempienze degli Ambiti è previsto un tempestivo intervento sostitutivo dello Stato tramite la nomina di un commissario ad acta per il Reis.
Pagina 1
4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
4.1 OBIETTIVI E LEZIONI DALL’ESPERIENZA
Come già sottolineato, l’obiettivo del Reddito di Inclusione Sociale è ambizioso: giungere in poche tappe – nell’arco di quattro anni – a una misura nazionale di contrasto della povertà improntata all’universalismo selettivo, che si propone due obiettivi: integrare il reddito delle famiglie
con un trasferimento monetario che le porti alla soglia considerata essenziale per uno standard
di vita accettabile, assorbendo così i molteplici interventi di stampo categoriale rivolti ai poveri;
affiancare al trasferimento monetario misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impegnative tanto per chi le eroga quanto per i destinatari.
Le esperienze fatte in Italia negli ultimi quindici anni (IRS, Fondazione Zancan e Cles, 2001; Ministero della Solidarietà Sociale, 2007; Granaglia e Bolzoni 2010; Spano, Trivellato e Zanini,
2013) segnalano vari elementi di debolezza dell’impianto istituzionale e organizzativo:
l’eterogeneità dei comportamenti dei Comuni nel gestire il Reddito minimo di inserimento
(Rmi), che pure era stato disegnato come una «sperimentazione» nazionale, con un impianto
largamente omogeneo; le scelte operate dalle Regioni dopo la riforma del titolo V della Costituzione, sovente contraddistinte da un diverso grado di accentramento e da differenti forme di coinvolgimento delle Province e dei Comuni (singoli Comuni, Comuni capofila di ambiti socioassistenziali o di distretti socio-sanitari).
Per il buon funzionamento di una misura di contrasto della povertà quale quella proposta, è essenziale superare questa separatezza dei rapporti fra i diversi soggetti istituzionali e puntare invece a una chiara integrazione delle loro funzioni. Il Reis, in quanto misura nazionale, richiede
una struttura nazionale, che ne assicuri omogeneità di applicazione, segnatamente per la prova
dei mezzi e per il conseguente trasferimento monetario, e la affianchi con un’adeguata, trasparente documentazione. Nel contempo, necessita del cruciale concorso degli enti locali e di altri
attori diffusi sul territorio, per disporre di una capillare rete di pubblicizzazione del Reis ai cittadini, in particolare a quelli più poveri – sovente non raggiunti dagli usuali mezzi di comunicazione –, per fornire agli stessi molteplici ed agevoli “porte di accesso” alla misura, per porre in
essere gli interventi di integrazione sociale e, per le persone in età lavorativa e abili al lavoro, azioni di attivazione al lavoro.
4.2 IL PRIMO LIVELLO ESSENZIALE NEL SOCIALE
Il Reis rappresenterà un livello essenziale delle prestazioni sociali, ai sensi della Costituzione
(art 117, comma 2, lettera m)). Si tratterebbe del primo livello essenziale per le politiche sociali
introdotto nel nostro paese. Diventerebbe così, con il graduale percorso attuativo delineato, un
vero diritto di cittadinanza nazionale per le famiglie povere. Questo livello essenziale sociale
poggerebbe su un rapporto di forte collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, come prospettato nel seguito del capitolo.
I livelli essenziali di assistenza – come noto – oggi sono inesistenti nelle politiche sociali, ma la
loro mancanza diventa sempre meno sostenibile e, da tante parti, se ne sollecita giustamente
l’introduzione. Per definire i livelli essenziali del sociale in modo appropriato è necessario promuovere un confronto maggiore, ma non teorico, astratto, bensì basato sui dati di fatto. La nostra proposta introdurrebbe il primo livello essenziale nelle politiche sociali, accompagnandolo
con un’attenta attività di monitoraggio e di valutazione in corso d’opera. L’attuazione del Reis
diventerebbe, in tal modo, un “laboratorio di livelli essenziali” capace di fornire un bagaglio di
indicazioni assai utili per l’auspicabile introduzione di questi ultimi anche negli altri settori del
sociale.
Pagina 2
4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
4.3 IL RUOLO DEI DIVERSI SOGGETTI NEL REIS E NEL WELFARE LOCALE
Anche alla luce dei soddisfacenti risultati della struttura nazionale che gestisce l’attuale Social
Card e gestirà la breve esperienza della nuova Social Card Sperimentale, si prevede di utilizzare
per il Reis un’infrastruttura informativa centralizzata, facente capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Mlps), al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e, operativamente,
all’Inps. Tale infrastruttura svolgerà peraltro un ruolo essenziale anche per i compiti dei Comuni
(o meglio, degli «Ambiti territoriali» che gestiscono le funzioni socio-assistenziali per conto di
Comuni singoli o associati, secondo la dizione della legge n. 328/2000; della maglia territoriale
locale preferibile discuteremo peraltro nella sez. 4.5 e per ora, per semplicità, spesso parleremo
genericamente di Comuni, intendendoli in forma associata).
La scelta di fare riferimento a un’infrastruttura informativa centralizzata è funzionale sia alla
corretta gestione dell’erogazione del trasferimento monetario – permette, infatti, un drastico
contenimento della discrezionalità –, sia all’effettuazione di verifiche incrociate sui requisiti di
accesso e sulla permanenza degli stessi nel tempo – delle quali garantisce una maggiore rapidità
di svolgimento –. Tale gestione delle erogazioni dovrà essere realizzata in stretta sinergia con i
Comuni che, alleggeriti da compiti burocratico-amministrativi, avranno un ruolo di regista del
Reis a livello locale.
Inoltre, alla struttura informativa confluiranno anche le informazioni essenziali sulle azioni di
sostegno sociale e di attivazione, così come informazioni aggiuntive sui restanti interventi del
welfare locale.
Diversi attori del welfare, istituzionali e non, saranno coinvolti nella specificazione operativa e
nella gestione del Reis. Nel seguito ne delineiamo sinteticamente i ruoli.
Inps
L’Inps costituisce il soggetto attuatore della misura, che verrà poi materialmente erogata
dall’Inps stesso, con accredito sul conto corrente dei beneficiari o attraverso altre modalità (ad
es. assegno postale o bancario, trasferimento ai Comuni che faranno poi il mandato di pagamento ai beneficiari, fino alla possibilità di appoggio dell’assegno presso il servizio sociale per famiglie che debbano essere supportate nell’uso del denaro).
In seguito all’analisi delle domande presentate, l’Inps definirà l’ammissibilità del richiedente
nonché il conseguente ammontare del contributo da erogare. Sarà poi suo compito comunicare
ai Comuni l’elenco degli ammessi e procedere, mensilmente e per un anno1, al trasferimento
monetario.
Il ruolo dell’Inps sarà cruciale anche per l’effettuazione di verifiche sui requisiti di accesso attraverso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, ecc.). In particolare, dovrà effettuare:
Verifiche incrociate ex-ante su tutte le domande, per accertare la veridicità delle informazioni
economico-finanziarie dichiarate all’accesso;
Verifiche in itinere, entro l’anno di permanenza nel Reis, su sollecitazione dei Comuni che
avessero rilevato una modifica del tenore di vita del nucleo beneficiario,per accertare la permanenza dei requisiti e, se del caso, modificare (o revocare) il trasferimento monetario;
1
Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei requisiti di
di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (vedi il paragrafo immediatamente successivo).
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
Verifiche ex-post, allo scadere del primo anno dalla presentazione della domanda, per accertare la permanenza dei requisiti di accesso e, in caso positivo, determinare il pertinente trasferimento monetario, invariato o convenientemente modificato.
È ragionevole prevedere che per gli ammessi al Reis non bisognosi di una presa in carico sociale
o di attivazione al lavoro (essenzialmente gli ultra 65enni senza fragilità), l’erogazione del contributo potrà avvenire da parte dell’Inps subito dopo la definizione conclusiva dell’ammissibilità,
mentre per tutti gli altri nuclei (i cosiddetti “re-inseribili”) sarà subordinata al via libera dei Comuni a seguito degli incontri/colloqui presso i servizi sociali ed alla sottoscrizione del “patto definitivo”, che definisce obblighi reciproci delle amministrazioni e dei beneficiari.
Comuni, o meglio la loro organizzazione in forma associata in Ambiti socio-assistenziali
Ai Comuni (lo ripetiamo, operanti in forma associata tramite gli Ambiti socio-assistenziali, salvo
che per la loro dimensione costituiscano essi stessi un Ambito: vedi oltre la sez. 4.5) compete la
pubblicizzazione della misura tramite gli sportelli e i servizi sul territorio, nonché il concorso
nell’attrazione dei “falsi negativi” (cioè di famiglie povere che, perché non informate a causa della loro grave marginalità sociale o per una forma di ritegno a rivelare la loro condizione economica, neppure presentano domanda per il Reis). Ad essi spetterà anche la funzione di porta di
accesso, eventualmente coadiuvati da altri soggetti (Terzo Settore, Caf, Patronati; le decisioni in
merito saranno presi dai Comuni organizzati a livello di Ambito).
I Comuni concorreranno anche alle verifiche ex ante e periodiche rispetto alla permanenza dei
requisiti. In particolare, nel caso di dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni presentate, i Comuni
procederanno al controllo dei consumi, facendo riferimento, di massima, all’impostazione
dell’indicatore di controllo previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento
(vedi cap. 3) .
Dopo aver ricevuto l’elenco dei nuclei ammessi dall’Inps, i re-inseribili sono convocati dal Comune, se del caso coadiuvato dal Terzo Settore, per un incontro/colloquio di valutazione multidimensionale svolto presso i servizi sociali (o effettuato a domicilio da parte di un assistente sociale). Tale colloquio potrà essere reiterato per i casi più complessi e culminerà nella sottoscrizione del patto definitivo, col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento. A seguito
alla sottoscrizione del patto si procederà anche all’attivazione dell’erogazione, tramite comunicazione all’Inps.
Per quanto riguarda, infine, i percorsi di inclusione sociale e lavorativa, al Comune spettano specifici ruoli, quali:
il presidio di tutti i percorsi e il raccordo, tramite appositi protocolli di intesa, con gli altri attori territoriali;
la progettazione e gestione diretta dei percorsi di inclusione sociale, laddove possibile sulla
base delle risorse interne;
il presidio della “condizionalità”, cioè dei doveri dei beneficiari associati ai diritti e alle prestazioni di cui godono, di concerto con gli altri attori territoriali (Centri per l’Impiego in primis);
la revoca, decurtazione o sospensione della misura qualora vengano meno (o si modifichino) i
requisiti di ammissibilità economica accertati dall’Inps e/o nel caso di mancato rispetto del
patto definitivo.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
Terzo Settore
Il Terzo Settore, sarà coinvolto dai Comuni in fase di programmazione degli interventi e dei piani
di inclusione sociale. Il suo contributo potrà rivelarsi essenziale nella fase di network building,
necessaria a garantire l’integrazione dei servizi e delle prestazioni a supporto dei percorsi di inclusione. Il Terzo Settore avrà un ruolo di primo piano nella pubblicizzazione della misura, contribuendo in particolare all’individuazione dei falsi negativi, grazie alla sua rete sul territorio e ai
contatti con le persone in condizioni di grave marginalità, alle quali potrà garantire
un’informativa capillare sul Reis.
Le organizzazioni di Terzo Settore potranno, inoltre, svolgere la funzione di porta di accesso al
Reis, se così indicato dai Comuni attraverso apposite convenzioni. In contesti di particolare difficoltà dei Comuni e dei loro servizi sociali va prevista pure la possibilità che queste organizzazioni realizzino anche il lavoro di presa in carico della misura, di nuovo su indicazione dei Comuni
attraverso apposite convenzioni. In tal caso sarebbe il Terzo Settore a svolgere colloqui con i potenziali beneficiari e a sottoscrivere il patto definitivo (al solito, solo per i re-inseribili). In queste
situazioni si dovrà, comunque, prevedere un rigoroso percorso di potenziamento delle capacità
operative dei relativi servizi sociali comunali.
Per quanto riguarda i percorsi d’inclusione sociale e lavorativa, il Terzo Settore svolgerà un ruolo fondamentale nel fornire i propri servizi al fine di promuovere l’inserimento sociale e occupazionale delle persone coinvolte. Proprio perché la proposta del Reis mette al centro la funzione
dei servizi come strumenti di autonomia, fornendo competenze alle persone e aiutandole a riprogettare la loro quotidianità, il ruolo del Terzo Settore – dato il suo bagaglio di competenze - è
decisivo.
Infine, il Terzo Settore potrà contribuire al monitoraggio e alla valutazione della misura, fornendo, come tutti gli altri attori, le informazioni richieste per l’alimentazione del sistema informativo nazionale (vedi oltre il cap. 8) e mettendo inoltre a disposizione le risultanze dei propri osservatori.
2
CAF/Patronati
Tali soggetti, specificamente accreditati dalle Regioni sulla base di un sistema nazionale di accreditamento, potranno supportare i Comuni nell’accesso alla misura (se questi ultimi lo riterranno opportuno). Anch’essi, così come gli operatori dei Comuni, dovranno provvedere ad informare e orientare i potenziali beneficiari rispetto all’intera gamma di possibili altre prestazioni che potrebbero ricevere, anche se dovessero chiederle in una sede diversa.
Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono ai Patronati per la domanda di pensione di
invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tali enti anche per richiedere il Reis per evitare un
nuovo iter. I disabili beneficiari del Reis già inseriti in percorsi socio-sanitari continueranno a
seguirli e a rivolgersi ai servizi a cui risultano già in carico; starà a tali servizi attivare i rapporti
con i Patronati per la domanda del Reis.
2
I CAF si occupano di assistenza fiscale, seguono le pratiche relative a redditi, tasse, visure (730, Unico, RED,
ISEE, IMU), curano anche la richiesta di prestazioni sociali agevolate quali l’assegno di maternità e l’assegno
al nucleo familiare, fino alle agevolazioni sulle tariffe elettriche (bonus gas ed elettricità). I Patronati si occupano della parte previdenziale (contributi e pensioni varie), tra cui l’assegno e la pensione sociale. Per il Resi,
fino alla sua piena messa a regime, gli interlocutori saranno presumibilmente i CAF. Poi si potrà ipotizzare
una gestione congiunta CAF/Patronati; questi ultimi risulteranno infatti progressivamente “svuotati” della gestione delle pensioni e degli assegni sociali, che saranno assorbiti nella nuova misura.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
Presso i CAF/Patronati avrà poi luogo la compilazione e la certificazione della domanda di accesso al Reis, corredata dalla dichiarazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente
(Isee) e del reddito disponibile. Ai CAF/Patronati spetterà anche, in grandissima parte,
l’essenziale controllo di composizione della famiglia anagrafica.
Centri per l’Impiego
I Centri per l’Impiego (CpI) avranno un ruolo importante nella progettazione, attivazione e presidio dei percorsi di inclusione lavorativa. La condizionalità dei percorsi sarà definita in accordo
con i Comuni. Questi aspetti verranno analizzati in dettaglio nel capitolo 5 per gli aspetti organizzativi e nel capitolo 6 per quelli sostantivi. Qui basti dire che per i soggetti in età da lavoro ritenuti abili al lavoro il patto definitivo stipulato dai beneficiari del Reis con i servizi sociali viene
ulteriormente specificato da un “patto di servizio” stipulato con i CpI, che ne costituisce parte integrante. Il “patto di servizio” specifica le azioni di inserimento lavorativo e di formazione e riqualificazione professionale che il beneficiario del Reis deve intraprendere e che il CpI si impegna a fornire, così come gli obblighi che ne conseguono, e ricorda le sanzioni previste in caso di
non ottemperanza (che sono stabilite per il Reis a livello nazionale).
Distretti socio-sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione
Tali soggetti saranno responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici
piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di assistenza sociale, sempre in accordo con i Comuni (come ipotizzato per i CpI).
Regioni
Data la natura del Reis – livello essenziale nel sociale, improntato a una logica nazionale e caratterizzato da un forte ruolo dei Comuni – è naturale domandarsi quale ruolo assumano in questo
contesto le Regioni. Il loro spazio di autonomia decisionale –– sarà rilevante ma verrà necessariamente ridefinito nell’ottica dell’integrazione Stato-Regioni-Enti e soggetti locali.
Alle Regioni restano ruoli importanti, vuoi sul piano istituzionale vuoi affidati alla loro iniziativa.
Quanto alla prima dimensione, sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta
(vedi la successiva sez. 4.4) e avranno quindi un’importante funzione di raccordo tra il livello
centrale e quello locale. Inoltre, sulla base di criteri definiti a livello nazionale, procedono
all’accreditamento dei CAF/Patronati e dei soggetti del Terzo Settore.
Le Regioni avranno poi un rilevante spazio di responsabilità e di azione in varie direzioni:
favorire lo scambio di esperienze fra Comuni, anche con iniziative sistematiche di incontro/confronto;
accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, segnatamente
tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate;
documentare il procedere del programma a livello regionale, tramite un rapporto annuale;
in definitiva, favorire la conoscenza e la diffusione di buone pratiche e in tal modo stimolare e
sostenere la sperimentazione di nuove forme d’intervento (di attivazione al lavoro e/o di integrazione sociale), aggiuntive a quelle dell’azione nazionale, definite in accordo con la Struttura Unitaria di Valutazione (vedi oltre la sez. 8.2.2) anche per quanto riguarda il disegno della
sperimentazione e i metodi per favorirne una rigorosa valutazione degli effetti;
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
BOX 1 – I MOLTEPLICI SOGGETTI COINVOLTI NELLA REALIZZAZIONE DEL REIS
Soggetti
Funzioni salienti
A livello centrale: Inps
Verifica finale sull’ammissibilità al Reis ed erogazione del trasferimento monetario; gestione del Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica (vedi cap. 8).
A livello locale e regionale: Ambiti territoriali socio-assistenziali (che gestiscono tali servizi in forma associata,
per conto dei Comuni)
Pivot del sistema a livello locale: curano la pubblicizzazione del Reis; concorrono
alle verifiche ex-ante e periodiche sulle condizioni di ammissibilità, incluso il
controllo dei consumi; hanno la responsabilità ultima delle porte di accesso al
sistema e della presa in carico; stabiliscono e sottoscrivono il patto definitivo
per gli interventi d’inserimento sociale e/o lavorativo; coordinano, tutti i percorsi in raccordo con i diversi attori locali.
Terzo Settore
Collabora con i Comuni per l’individuazione dei cosiddetti “falsi negativi” e nelle
fasi di programmazione dei piani locali d’inclusione sociale. È una delle possibili
porte di accesso al sistema. In contesti di particolari difficoltà dell’ente pubblico
può occuparsi anche della presa in carico. Fornisce servizi per i percorsi
d’inclusione sociale e occupazionale
CAF/Patronati
Sono una delle possibili porte di accesso al Reis. In questo caso compilano e certificano la domanda del Reis, dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) e del reddito disponibile.
Centri per l’Impiego (CpI)
In accordo con gli Ambiti, progettano e realizzano i patti di servizio per i percorsi
di attivazione per le persone abili al lavoro.
Distretti socio-sanitari, istituti scolastici
e istituti regionali di formazione
Sono responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici
piani di assistenza socio-sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di
integrazione sociale, sempre in accordo con gli Ambiti.
Regioni
Sono rappresentate nel Comitato di gestione e nella Consulta (box 4.2); hanno
quindi una funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale. Hanno poi
uno spazio di responsabilità e di azione per favorire lo scambio di esperienze fra
Ambiti, accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative, svolgere attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione adeguate, favorire la diffusione di buone pratiche, documentare il procedere del Reis a livello regionale con un rapporto annuale.
inoltre, compartecipare al finanziamento del Reis, innanzitutto rafforzando strutturalmente e
sostenendo correntemente l’insieme dei servizi di sostegno della misura: di presa di carico, di
inclusione sociale, di attivazione al lavoro.
Rientrerà, infine, nelle loro competenze anche l’eventuale incremento dei trasferimenti monetari
alle famiglie tramite l’innalzamento delle soglie di povertà nazionali. È, questa, peraltro,
un’ipotesi che riteniamo ad un tempo poco probabile e poco opportuna. Poco probabile per i
vincoli di finanza pubblica che costringono, e per un non breve lasso di tempo costringeranno, il
nostro paese, quindi anche le singole Regioni. Poco opportuna, perché la proposta del Reis prevede soglie di povertà differenziate territorialmente – per ripartizione geografica e per dimensione del Comune –, in grado quindi di tenere ragionevolmente conto di disparità nel costo della
vita. Piuttosto, per Regioni con discrete disponibilità finanziarie e propense a dedicarne una parte crescente all’area socio-assistenziale non mancano certo altri spazi per sviluppare un’azione
ad un tempo equa ed efficace.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
4.4 LA STRUTTURA CENTRALE
Già da questa traccia sul ruolo dei soggetti coinvolti nel Reis e nel welfare locale emerge un elemento di novità della proposta: combinare una convincente distribuzione di competenze fra centro e periferia, assicurando contestualmente una loro efficace interazione.
Vediamo ora di completarla con indicazioni di larga massima, potremmo dire con prime sommarie ipotesi, sull’organizzazione rispettivamente della struttura centrale e di quella locale, nonché
con una notazione sull’importanza di una piena collaborazione fra le due strutture.
La struttura centrale può essere convenientemente articolata in un Comitato di gestione, una
Consulta e in un’infrastruttura operativa.
Comitato di gestione
E’ costituito presso il Mlps. Il suo compito basilare è dirigere il processo di riforma delle misure
di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis (e di continuare poi
l’opera di manutenzione/miglioramento della misura). Di conseguenza è anche l’organo di supporto e consulenza del Ministro, che ne risponde in Parlamento. Quanto alla sua composizione,
ne dovrebbero fare parte il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali, un alto dirigente del Mef, un alto dirigente dell’Inps, un rappresentante rispettivamente della Conferenza
unificata Stato-Regione, dell’Anci e del Forum del Terzo Settore, il presidente della Struttura Unitaria di Valutazione (vedi il cap. 8), ed eventuali poche altre figure necessarie per il suo efficace
funzionamento.
Consulta
Si riunisce di massima due volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della
riforma e di fornire pareri sul modo col quale conviene procedere. Presieduta dal Ministro (o dal
vice-ministro), dovrebbe comprendere i componenti del Comitato di Gestione; i Direttori Generali per i servizi del lavoro e per le politiche attive e passive del lavoro del Mlps; dirigenti di rilievo dei ministeri degli Interni, della Pubblica Istruzione e della Salute; alcuni rappresentanti
delle Regioni e dell’Anci impegnati nel settore delle politiche sociali ed eventuali altre figure,
comunque in misura tale che le esigenze di rappresentatività non vadano a scapito di quelle di
capacità decisionale.
Infrastruttura operativa centrale
È costituita da dirigenti e personale tecnico di Mlps, Mef e Inps. In termini generali, essa presenta analogie con l’attuale infrastruttura per la Social Card, ma nello stesso tempo se ne differenzia
decisamente. Da un lato, essa dev’essere fortemente potenziata nelle sue capacità di amministrazione del Reis, del quale diviene il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e di erogazione del trasferimento monetario. Dall’altro, deve configurarsi come un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella
gestione del Reis e più in generale del welfare locale, non soltanto per gli aspetti di erogazioni
monetarie ma anche per l’offerta di servizi e per gli esiti di questi interventi (torneremo
sull’argomento nel cap. 8).
4.5 La struttura locale e la sua mappa territoriale
L’altro polo del Reis è costituito dai Comuni, che, largamente per il tramite dei CAF/Patronati,
concorrono allo svolgimento della prova dei mezzi e sono poi il perno delle azioni d’inclusione
sociale e di attivazione al lavoro dei beneficiari, nelle quali vengono coinvolti molti altri attori locali.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
Ma come organizzare in maniera convincente, idonea a favorire un’azione efficiente degli enti locali, la moltitudine dei Comuni italiani: oltre 8.000, di dimensioni e capacità operative le più diverse? E come farlo nell’attuale, confuso contesto di discussione/decisione sui riassetti istituzionali, che coinvolge non solo Governo e Parlamento nazionale, ma anche le Province?
L’idea base dalla quale prendiamo le mosse è quella di una ricomposizione dei Comuni in chiave
associata, centrata sulle funzioni socio-assistenziali ma attenta anche alle necessarie interazioni
con gli altri attori locali che abbiamo richiamato nella sez. 4.3 – scuole e istituti di formazione,
CpI, distretti socio-sanitari, Terzo Settore –, il cui concorso è indispensabile per gran parte delle
azioni di recupero sociale e al lavoro.
Un ragionevole punto di partenza è dato dalla legge 328/2000 (all’art. 8, comma 3 lett.a)), che ha
stabilito la determinazione, da parte delle Regioni, di «Ambiti territoriali [socio-assistenziali …]
per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. […con] incentivi a favore
dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari»3. In tutte le regioni questi organismi sono stati costituti, sia pure con nomi diversi (Ambiti, Consorzi, Zone, ecc.), anche se con un affidamento ad essi delle funzioni socioassistenziali dei Comuni di varia dimensione. Operano comunque da anni e le loro potenzialità
sono state sfruttate in
BOX 2 – LA STRUTTURA DI GOVERNO DEL REIS
A livello centrale:
Il Comitato di gestione è costituito presso il Mlps col compito di dirigere il processo di riforma
delle misure di contrasto contro la povertà, fino alla compiuta realizzazione del Reis, e di continuare poi, al massimo livello, l’opera di manutenzione/miglioramento della misura.
La Consulta comprende i membri del Comitato di gestione e rappresentanze di altri Ministeri
coinvolti, delle Regioni e dell’Anci. Rappresentativa ma non pletorica, si riunisce di massima due
volte l’anno, col compito di esaminare lo stato di avanzamento della riforma e di fornire pareri
sul modo col quale conviene procedere.
L’infrastruttura operativa centrale Mlps-Inps (i) è il soggetto finale di verifica dell’ammissibilità e
di erogazione del trasferimento monetario e (ii) realizza un sistema informativo adeguato a rispondere alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione
del Reis, anche per l’offerta dei vari servizi e per i loro esiti.
A livello locale:
L’Ambito territoriale socio-assistenziale (che gestisce tali servizi in forma associata per conto dei
Comuni che ne fanno parte) è maglia territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale:
in un’ottica interna, coordina gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa critica
e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione nei compiti che svolgono;
nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che lo rende interlocutori adeguato
degli altri attori locali presentati nel Box 4.1.
In ogni Ambito è individuato un Comune capofila, con funzioni e poteri di coordinamento.
In ogni Ambito è costituito uno snello Gruppo di coordinamento, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, fanno parte rappresentanti dei CAF/Patronati, dei CpI dei Distretti sociosanitari, della rete di scuole e istituzioni formative regionali, e del Terzo Settore. Esso è essenziale perche essi operino in modo coordinato ed efficace nel progettare e realizzare gli interventi di
integrazione sociale e di attivazione al lavoro.
misura variabile, in alcuni casi in modo apprezzabile, nei diversi territori. Essi hanno una maglia
territoriale appropriata ai compiti del Reis a livello locale, sotto un duplice profilo:
3Va
da sé che per Comuni con dimensione demografica abbastanza grande l’Ambito coincide col Comune, salva
al più l’inclusione di piccoli comuni di cintura.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
- in un’ottica interna, coordinano gruppi di operatori sociali, che costituiscono così una massa
critica, “lavorano insieme” e possono quindi introdurre un ragionevole grado di specializzazione
nei compiti che svolgono;
- nell’ottica dei rapporti con l’esterno, hanno una dimensione che li rende interlocutori adeguati
degli altri attori locali appena richiamati. Palesemente, non hanno problema alcuno a interloquire con scuole e istituti di formazione, che tipicamente sono presenti entro il territorio degli Ambiti. Inoltre, il grado di sovrapposizione territoriale di Ambiti, Distretti socio-sanitari e CpI è notevole e ne agevola l’interazione.
Una ricerca condotta da Monti e Dusio (2013) fornisce dati di sicuro interesse. Restando alle evidenze essenziali, il tasso di sovrapposizione dei bacini di utenza di Ambiti socio-assistenziali e
Distretti socio-sanitari è molto alto, mediamente dell’80%, nel senso che l’80% dei Distretti socio-sanitari ha un ambito territoriale che coincide con quelli degli Ambiti socio-assistenziali (vedi Tab. 1).
TABELLA 1 - TASSO DI COINCIDENZA DELL’AMBITO TERRITORIALE DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI
CON GLI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI
Ripartizione geografica
Tasso di coincidenza (%)
Nord-Est
77,9
Nord-Ovest
72,4
Centro
96,7
Sud e isole
77,7
Italia
80,0
Fonte: Bellentani et al. (2011), pag. 31.Dati riferiti a 678 Distretti su 711; indagine del 2010.
Inoltre, l’esame delle rispettive mappe territoriali in 5 regioni – Piemonte, Emilia-Romagna,
Marche, Lazio e Puglia – rivela che le differenze sono inesistenti (Emilia-Romagna e Marche) o
comunque contenute (vedi Tab. 2).
Più variegata è la situazione se si guarda alla sovrapposizione delle mappe fra Ambiti e CpI, che
resta comunque soddisfacente. La differenza è molto ridotta in Puglia e Piemonte (una volta che
per il Piemonte si tenga conto delle 21 sedi decentrate dei CpI). È più marcata in Lazio e soprattutto elle Marche, dove la dimensione territoriale dei CpI è decisamente maggiore. L’opposto accade, invece, in Emilia-Romagna, ove i CpI sono più numerosi,quindi più distribuiti, che non gli
Ambiti.
TABELLA 2 - NUMERO DI AMBITI, DISTRETTI E CPI IN 5 REGIONI
Regione
Ambiti
Distretti
CpI
Piemonte
65 (55 + 10 a Torino)
58 (48 + 10 a Torino)
30 (+ 21 sedi decentrate)
Emilia-Romagna
38
38
46
Marche
23
23
13
Lazio
55
55
27
Puglia
45
49
44
Fonte: elaborazioni su dati di Monti e Dusio (2013).
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
In via esemplificativa, un’interessante visualizzazione è fornita dalle Figg. 1 e 2, che presentano
rispettivamente la sovrapposizione delle mappe dei Piani di Zona (ovvero degli Ambiti) e dei Distretti socio-sanitari del Lazio e dei Consorzi socio-assistenziali (ovvero degli Ambiti) e dei CpI
del Piemonte.
La nostra scelta di massima è, dunque, quella di individuare gli Ambiti territoriali socioassistenziali come i soggetti locali responsabili della gestione del Reis. Tipicamente, poi, ad ogni
Ambito corrisponde un Comune capofila (così, ad esempio, formalmente in Friuli Venezia Giulia
e in Puglia, ma sostanzialmente ovunque). Se fosse necessario istituzionalizzare tale figura, si
può prevedere che le Regioni vi provvedano sollecitamente, sentiti i Comuni interessati.
Il numero e la distribuzione degli Ambiti (così come dei Distretti) per Regione non sono facili da
determinare, perché sono soggetti a non infrequenti variazioni nel tempo da parte delle Regioni
stesse. I dati, per molte Regioni aggiornati, sono riportati nella Tabella 3: complessivamente, gli
Ambiti socio-assistenziali sfiorano i 760.
Laddove possibile sulla base delle risorse interne, l’Ambito provvederà direttamente alla progettazione dei percorsi d’inclusione sociale, mentre coinvolgerà i Centri per l’impiego per
l’inclusione lavorativa. È dunque l’Ambito – eventualmente con la collaborazione di altri attori
sociali che si riveli necessario o opportuno, coinvolgere – che inizialmente opera la partizione
(reversibile) fra famiglie/persone che abbisognano di percorsi di integrazione sociale, persone
in età lavorativa ed abili al lavoro e, per residuo, famiglie che necessitano solo del trasferimento
monetario.
Per un efficace funzionamento del Reis, larga parte dei progetti di integrazione sociale e certamente i programmi di attivazione al lavoro (nonché la documentazione dei loro esiti) richiederanno peraltro il concorso di altri attori locali. Servirà quindi la creazione di uno snello “Gruppo
di coordinamento”, del quale, accanto alla rappresentanza dell’Ambito, facciano parte rappresentanti dei CAF/Patronati, dei Distretti socio-sanitari, della rete di scuole e istituzioni formative
regionali, dei CpI e del Terzo Settore.
Rispetto alla maglia territoriale omogenea costituita dagli Ambiti va considerata con attenzione
l’opportunità di ammettere l’eccezione per aree sostanzialmente “provinciali” – e istituzionalmente col rango di Regione a statuto speciale –, rappresentate dalla Valle d’Aosta e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. Aspetto tutt’altro che trascurabile, queste tre Regioni hanno
già una misura di contrasto della povertà prossima al Reis, che funziona piuttosto bene.
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
FIGURA 1 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI PIANI DI ZONA ( AMBITI) SOCIOASSISTENZIALI E DEI DISTRETTI SOCIO-SANITARI DEL LAZIO
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
FIGURA 2 – CONFRONTO DELLE MAPPE TERRITORIALI DEI CONSORZI ( AMBITI) SOCIOASSISTENZIALI E DEI CENTRI PER L’IMPIEGO DEL PIEMONTE
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4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
ABELLA 3 – NUMERO DI AMBITI SOCIO-ASSISTENZIALI E DI DISTRETTI SOCIO-SANITARI NELLE REGIONI
Regioni
Fonti:
Distretti socio-sanitari
Ambiti socio-assistenziali
Piemonte
58
65
Valle d’Aosta
4
5
Lombardia
81
98
P.a.di Bolzano
20
20
P.a.di Trento
13
16
Veneto
50
50
Friuli Venezia Giulia
20
19
Liguria
19
71
Emilia Romagna
38
38
Toscana
34
34
Umbria
12
12
Marche
23
23
Lazio
55
55
Abruzzo
25
35
Molise
7
7
Campania
72
42
Puglia
49
45
Basilicata
11
7
Calabria
35
35
Sicilia
62
55
Sardegna
23
25
Italia
711
757
per i Distretti Belentani et al. (2011), pag. 31: dati riferiti ai 711 distretti esistenti al 31.12.2009; per gli
Ambiti Monti e Dusio (2013),esclusi Veneto e Calabria; per queste ultime due Regioni dati tratti da Pesaresi (2008), pag. 8, riferiti al 2005.
4.6 LA COLLABORAZIONE FRA LE DUE STRUTTURE
La collaborazione fra la struttura centrale, in particolare quella operativo-informativa incentrata
sull’Inps e la struttura locale rappresentata dagli Ambiti è un tassello cruciale per il buon esito
del Reis. Essa verte:(a) sul vaglio iniziale e il controllo corrente dei requisiti di ammissibilità; (b)
sull’arricchimento del sistema informativo centrale di gestione delle erogazioni monetarie con la
documentazione sugli interventi di attivazione e di sostegno sociale e i loro esiti; (c) sulla conseguente accessibilità dei Comuni al sistema informativo centrale, in relazione ad entrambi i punti
precedenti.
Questi aspetti sono prossimi all’attività di documentazione e monitoraggio: sono trattati pertanto nel capitolo 8.
Pagina 14
4. L’IMPIANTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
4.7 Poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze
In caso di gravi inadempienze degli Ambiti, da “tipizzare” convenientemente anche sulla base di
ormai consolidati standard utilizzati in relazione ai Fondi strutturali dell’Unione europea (ad es.
inadeguata attività istruttoria per l’ammissibilità al Reis, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei trasferimenti monetari per i beneficiari, ritardi o utilizzazioni incoerenti dei fondi per i servizi da
attivare a livello locale, inadempienza rispetto ad impegni assunti rispetto al monitoraggio e alla
valutazione dell’intervento), va previsto un tempestivo intervento sostitutivo dello Stato.
A differenza di quanto avvenuto in almeno una circostanza nel corso della «sperimentazione»
del reddito minimo di inserimento, dove l’intervento dello Stato, tramite il Prefetto, è consistito
nella chiusura della «sperimentazione» nel Comune inadempiente, per il Reis l’intervento dello
Stato deve essere volto ad assicurarne il proseguimento con modalità consone. La soluzione che
ci pare preferibile, se non addirittura necessaria, è la nomina, da parte del Ministro del Lavoro e
delle Politiche Sociali, di un commissario ad acta. Proprio in ragione delle inadempienze che portano a tale nomina, inadempienze che rivelano un mix di inefficienza e di comportamenti incoerenti con le finalità del Reis – forse al limite del fraudolento –, è indispensabile che il commissario sia persona di provata competenza e autorevolezza, sia esterno alla regione ove si trova
l’Ambito commissariato e possa rivolgersi al Comitato di Gestione da un lato e alla Struttura Unitaria di Valutazione (di cui si tratta nel capitolo 8) dall’altro, rispettivamente per il necessario
supporto e per suggerimenti di natura tecnico-scientifica.
Pagina 15
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
L’ACCESSO E LA PRESA IN CARICO

Il Reis è una misura integrata, mix di denaro e servizi, non una card per l’acquisto di beni
di consumo; mira ad alleviare la condizione di povertà delle famiglie, promuovendo
l’inclusione sociale e/o lavorativa dei componenti, secondo la logica del welfare attivante.

Sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi; il suo
accesso non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, in quanto la selezione
dei potenziali beneficiari avverrà già in base alla condizione economica.

La funzione di accesso del Reis sarà svolta da Comuni (Associati in forma di Ambito) CAF,
Patronati o Terzo Settore, sulla base della scelta dei Comuni. Sarà definito un sistema comune di accreditamento che prevedrà, tra l’altro, una idonea formazione dei rispettivi operatori e l’utilizzo di un sistema informativo unico.

Tutti i potenziali beneficiari della misura, già all’atto della presentazione della domanda,
saranno chiamati a sottoscrivere il proprio impegno (‘patto preliminare’) rispetto
all’utilizzo del denaro e a garantire stili di vita e regole di comportamento di buona cittadinanza.

I beneficiari ammessi al Reis, ultra 65enni, anche se già beneficiari di pensione sociale, soli
o con coniuge ma senza altre fragilità oltre il disagio economico, non sottoscriveranno ulteriori impegni e riceveranno solo il contributo economico.

I beneficiari di età inferiore a 65 anni o ultra 65enni con membri familiari più giovani e/o
con particolari e ulteriori fragilità saranno convocati presso i servizi sociali comunali/Terzo Settore per un incontro/colloquio di valutazione multidimensionale delle condizioni del nucleo familiare, sulla base del quale si opererà una distinzione (reversibile) fra:

persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento lavorativo,

persone bisognose di un percorso di inserimento sociale, socio-sanitario o socio-educativo.

Alla luce di queste valutazioni sarà definito un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e
proprio ‘programma di presa in carico’, sottoscritto dalle parti interessate (beneficiari e
servizi).
5.1 L’INFRASTRUTTURA NAZIONALE PER IL WELFARE LOCALE
È il Governo nazionale, innanzitutto, ad essere chiamato in causa per la traduzione della nostra proposta nella realtà. In quanto livello essenziale delle prestazioni sociali, infatti, una nuova misura di
contrasto alla povertà ispirata ai principi dell’universalismo dev’essere impostata a livello centrale ed
opportunamente declinata ai diversi livelli di governo, in coerenza con quanto sancito dalla legge
328/00 e dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Nell’impostazione del Reis, il ruolo dello Stato è tanto decisivo quanto precisamente delimitato.
Quest’ultimo, infatti, ha la responsabilità di introdurre il diritto al Reddito d’inclusione sociale per
tutte le famiglie in povertà assoluta, definendone i criteri di accesso, e di assicurare i relativi finanziamenti. Oltre a ciò, è compito dello Stato indicare poche regole – specificate in modo chiaro – per
l’azione dei servizi a livello locale: le illustrano presente capitolo e il prossimo. Dopodiché si lascia un
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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
ampio spazio di autonomia ai territori nella determinazione degli aspetti applicativi, in modo che
questi ultimi possano essere adattati al contesto sociale, politico ed economico di riferimento.
Complessivamente, il compito dello Stato consiste nel costruire l’ “infrastruttura nazionale per il welfare locale”, cioè attivare quell’insieme di elementi capaci di mettere gli enti locali e gli altri soggetti
impegnati sul territorio nella situazione migliore possibile per offrire un Reis di qualità e “vestito” sulle caratteristiche del contesto locale. Detto altrimenti, più che (spesso irreali) prescrizioni lo Stato
deve fornire ai territori le condizioni che offrano loro le migliori possibilità effettive di costruire interventi. L’infrastruttura nazionale si compone di:
− il diritto al Reis per tutte le famiglie in povertà, definendo i criteri di accesso (cfr.cap.3) e il relativo finanziamento (cfr. cap 9),
− poche regole per l’operato dei soggetti impegnati nel contesto locale (cfr. questo capitolo e il
prossimo)
− un sistema di monitoraggio e valutazione che permetta di imparare dall’esperienza e di rendere quanto appreso effettivamente fruibile per chi opera localmente (cfr. cap. 8),
− un insieme di azioni e strumenti capaci di accompagnare i territori nel proprio sforzo (favorire lo scambio di esperienze fra Enti Locali, anche con iniziative sistematiche di incontro/confronto; accompagnarli e sostenerli in presenza di criticità organizzative e/o operative,
segnatamente tramite attività di formazione di operatori con competenze e specializzazione
adeguate e così via) (cfr. cap 4)
− interventi sostitutivi in caso di inadempienze gravi (ad esempio grandi ritardi nell’utilizzo dei
fondi Reis o loro dirottamente su altri impieghi) in modo da tutelare i cittadine delle aree
colpite (cfr. cap. 4).
Come mostra il capitolo 4, le Regioni hanno vari compiti di affiancamento dello Stato nel mantenimento dell’infrastruttura, con particolare riferimento ai punti c) e d), ma non solo.
Alla base dell’impostazione prescelta si trovano due considerazioni. Primo, le politiche pubbliche
possono avere successo solo se risultano duttili rispetto alle diverse realtà territoriali: non si può correre il rischio che queste ultime siano soverchiate dall’onere di rispettare norme eccessivamente dettagliate, perdendo di vista l’obiettivo di fondo. Una cornice normativa essenziale non solo evita di
appesantire il lavoro già oneroso degli Enti Locali e degli altri soggetti cui è affidata la realizzazione
della policy ma gli dà valore. La logica del Reis, infatti, mira a rendere gli attori territoriali non meri
esecutori di politiche top-down (“dall’alto verso il basso”), ma vuole valorizzare le loro capacità di fare sistema in vista di un obiettivo comune, divenendo così protagonisti bottom-up (“dal basso verso
l’alto”) e, dunque co-registi dell’azione locale. Secondo, dare priorità all’autonomia dei territori non
significa affatto abbandonarli a se stessi, bisogna anzi superare questo utilizzo improprio del concetto
di autonomia, che è stato diffuso in anni recenti come artificio retorico per giustificare il sostanziale
disinvestimento dello Stato dal sociale. Assegnare autonomia, invece, vuol dire mettere i territori nelle migliori condizioni di compiere le proprie scelte, senza però interferire con esse, ovviamente nella
misura in cui queste si realizzino nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini.
Nel presente capitolo tratteremo nel dettaglio il percorso che i nuclei familiari dovranno seguire per
accedere alla misura, nonché la successiva presa in carico da parte del sistema dei servizi sociali, laddove prevista. Sarà quindi chiaro, alla fine, quale organizzazione è disegnata per la misura, quali soggetti sono coinvolti e in che modo. Anche il capitolo successivo sarà dedicato al welfare dei servizi,
ma approfondirà nello specifico gli aspetti relativi ai percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le regole di condizionalità e il sistema dei controlli. I due capitoli, dunque, illustrano il quadro delle regole
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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
nazionali per il welfare locale e muovono naturalmente dalle stesse premesse di partenza, quelle qui
enunciate.
5.2 UN MIX DI PRESTAZIONI MONETARIE E SERVIZI
La proposta del Reis nasce da più di dieci anni di osservazione e studio delle misure di contrasto alla
povertà, a partire dalla sperimentazione nazionale del Reddito Minimo d’Inserimento1, passando per
le esperienze regionali con un epilogo più o meno felice2, per arrivare alla Social Card (SC) del 20083 e
all’attuale Nuova Social Card (NSC)4 introdotta in via sperimentale nel secondo semestre del 2013
nelle maggiori città italiane. In particolare, il recente dibattito ha messo in forte dubbio che una
“card” riservata all’acquisto di beni di consumo sia preferibile ad una semplice erogazione monetaria
quale misura di contrasto alla povertà, per diverse ragioni che di seguito elenchiamo.
Innanzitutto, la carta impone al beneficiario di esibire la sua condizione di povertà nei luoghi dove va
utilizzata per l’acquisto dei beni previsti; questi luoghi spesso sono quelli della vita quotidiana, ad esempio il supermercato sotto casa. Il possibile stigma, cioè la paura di essere in qualche modo disapprovati socialmente o – peggio – ‘marchiati’ come poveri, può generare una sorta di auto-selezione
dei potenziali beneficiari della misura, come è accaduto ad esempio nell’utilizzo della carta acquisti,
rifiutata da molti anziani che pure avevano i requisiti per fruirne.
A tal proposito, può essere utile ricordare che diversi Comuni non hanno scientemente attuato la disposizione che prevedeva la pubblicazione di “albi” nominativi dei beneficiari di assistenza economica comunale5.
La seconda ragione consiste nel fatto che una carta pre-pagata e con un preciso vincolo d’uso vanifica
il principale vantaggio dell’utilizzo del denaro, ossia la sua fungibilità. Ad esempio la carta acquisti (sia
SC sia NSC) può essere utilizzata solo per le spese alimentari presso esercizi commerciali convenzionati o può consentire di pagare le utenze domestiche (gas ed elettricità) presso gli Uffici Postali. I tito-
1
Il Reddito Minimo di Inserimento, introdotto in via sperimentale con il D.lgs 237/98, è una misura di
contrasto della povertà che si basa su due elementi: un'erogazione monetaria e la partecipazione a
programmi di reinserimento sociale. La sperimentazione, limitata a 39 Comuni nel biennio 1999-2000,
venne poi estesa per una seconda fase ad altri 267 Comuni dal 2001 al 2003. Per un approfondimento
dei principali risultati della sperimentazione nazionale si rimanda a Ranci Ortigosa E., Mesini D., 2002 e
Saraceno, 2002.
2
Si fa riferimento ad esempio al Reddito di Cittadinanza campano (LR n.2/2004) e al più recente Reddito di Base per la Cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (LR n.6/2006, art. 59).
3
La Social Card o carta acquisti, introdotta con il D.lgs 112/2008 (convertito, con modificazioni, con la
legge del 6 agosto 2008 n. 133, articolo 81, comma 32), è una tessera anonima, simile ad una normale
carta di credito, concessa dallo Stato a coloro che versano in situazioni di disagio sociale ed economico
per l'acquisto di alimenti e più in generale di prodotti di prima necessità, di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e per il pagamento delle bollette di luce e gas. La Social Card ha una disponibilità economica di € 40,00 mensili e può essere utilizzata per effettuare i propri acquisti in tutti i negozi abilitati. È rivolta in particolare ad anziani e famiglie con figli sotto i 3 anni.
4
La Nuova Social Card o Social Card Sperimentale, introdotta con Decreto Interministeriale del 10 gennaio 2013 n.102, è una carta acquisti in via di sperimentazione nelle 12 maggiori città italiane e rivolta
alle famiglie povere con minori. Tale carta affianca la Social Card ordinaria, senza possibilità di sovrapposizione: i beneficiari della carta acquisti ordinaria devono rinunciarvi, limitatamente al periodo di
sperimentazione, se vogliono beneficiare della nuova.
5
Ci si riferisce qui all’Albo prescritto dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 118 e
precisamente agli articoli 1 e 2.
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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
lari della carta acquisti non possono in alcun modo ‘spenderla’ presso altri negozi o per altre finalizzazioni, quali ad esempio la copertura di parte dell’affitto, l’abbonamento al trasporto pubblico o la
mensa scolastica dei figli.
Vero è che il rischio di fornire denaro contante a persone fragili e spesso incapaci di utilizzarlo se non
in maniera impropria (ad esempio per l’acquisto di alcool o sostanze, a scapito del soddisfacimento di
bisogni primari quali cibo e abbigliamento) è effettivo; nel caso gli operatori dei servizi potrebbero
valutare se per segmenti molto circoscritti di utenza non sia più opportuno trasformare il contributo
monetario spettante in una carta. In generale comunque possibili usi impropri del denaro andranno
sicuramente fronteggiati con una forte condizionalità nell’utilizzo del trasferimento monetario e
quindi nella sottoscrizione di precisi impegni ed obblighi da parte del beneficiario.
Un’altra motivazione a sfavore della formula ‘card’ è che un voucher mal si presterebbe ad una progressiva ricomposizione delle misure categoriali attualmente orientate al sostegno ai poveri, che la
nostra proposta mira a perseguire.
La gestione di un voucher implica inoltre rilevanti costi dedicati, sia di investimento nel sistema che la
produce che di gestione corrente e manutenzione, che potrebbero essere gradualmente eliminati
trasformando la forma dell’erogazione.
Da ultimo si aggiunga il fatto che in tutti i sistemi di welfare europeo che hanno attivato delle politiche di contrasto alla povertà si prevedono dei trasferimenti monetari abbinati a percorsi di attivazione più o meno stringenti, ma in nessun caso carte acquisti pre-pagate.
Se è vero, come fin qui sostenuto, che l’erogazione monetaria è in generale preferibile ad una “card”,
è anche vero che essa da sola non può costituire una misura efficace per contrastare la povertà. A
questo proposito il dibattito degli ultimi anni ha sottolineato l’esigenza di prevedere oltre al sostegno
economico anche percorsi di inclusione sociale e lavorativa, secondo un approccio volto alla valorizzazione e attivazione delle capacità dei beneficiari. La NSC prevede già, in effetti, che una buona parte dei fruitori dello strumento sia coinvolta in percorsi di questo tipo. Sul solco di questa esperienza,
la nostra riforma intende abbinare al contributo monetario, per quanto possibile, progetti di attivazione dei beneficiari mirati ad alleviare le situazioni di povertà agendo non solo sulle condizioni di vita, migliorandole, ma anche sui comportamenti che le hanno provocate. In altre parole, si tratta di
accompagnare la prestazione monetaria a specifici servizi (sociali, educativi, formativi, lavorativi) che
siano promozionali ed incentivanti per i beneficiari e li portino gradualmente ad affrancarli dalla povertà.
La necessità di combattere la povertà attraverso un mix di denaro e servizi è condivisa da tutti gli esperti, in Italia (ad esempio Ranci, Mesini, 2012; Caritas, Fondazione Zancan, 2012; Campiglio, Rovati,
2009) come a livello internazionale (Immervol, 2012), e suggerita dalle istituzioni comunitarie6. Si
tratta, peraltro, della strada seguita nel resto d’Europa. In generale la maggior parte dei Paesi aderisce alla logica dell’inclusione attiva condizionando l’erogazione monetaria a obblighi di comportamento e (per gli abili al lavoro) di attivazione lavorativa più o meno stringenti. Occorre tenere conto,
tuttavia, delle possibilità di attuazione reali di tali comportamenti richiesti e controprestazioni, che
dipendono sia dalle potenzialità dei beneficiari a cui si rivolgono, sia dai diversi contesti nazionali (si
6
Tra le altre si ricordano la Raccomandazione Commissione Europea del 3 ottobre 2008 e la Risoluzione
del Parlamento Europeo del 6 maggio 2009, sull’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del
lavoro; da ultima la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2010, che ha proposto
l’introduzione di sistemi di reddito minimo in tutti gli Stati membri dell’Unione per combattere la povertà.
Pagina 4
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
pensi in particolare al sistema dei servizi e al mercato del lavoro, che scontano oltretutto gli effetti
dell’attuale congiuntura economico-finanziaria).
Nella tab. 1 si propone uno schema di sintesi delle principali caratteristiche del Reis.
TABELLA 1 - LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL REIS
Elimina il rischio di stigma
Consente un libero utilizzo (fungibilità del denaro)
È un’erogazione monetaria, non un voucher
Permette un risparmio dei costi di produzione/gestione
del voucher
Renderà possibile la progressiva ricomposizione di altre
misure contro la povertà
È di importo variabile, non a cifra fissa
L’integrazione spettante è pari alla differenza tra reddito disponibile e soglia di povertà assoluta, dunque correlata all’effettivo disagio economico del nucleo
È una misura integrata, con interventi e servizi
di attivazione
Mira alla responsabilizzazione del beneficiario nella direzione della sua progressiva autonomizzazione
Prevede percorsi di re-inclusione sociale e/o lavorativa,
attuati dai soggetti territoriali
5.3 ACCESSO E PRESA IN CARICO
5.3.1 La porta di accesso alla misura
La nuova misura sarà introdotta tramite legge nazionale a cui seguiranno specifici decreti attuativi. La
sua pubblicizzazione avverrà innanzitutto tramite lo sforzo congiunto dei Comuni (associati in forma
di Ambito territoriale) e dei vari soggetti del Terzo Settore, nelle loro occasioni di rapporto con il
pubblico dei potenziali beneficiari. In questa fase informativa iniziale avranno un ruolo fondamentale
anche le organizzazioni del Terzo Settore, che attraverso la loro rete capillare sul territorio potranno
contribuire in modo significativo ad attrarre i ‘falsi negativi’7 (le persone senza fissa dimora in particolare, ma anche tutti i soggetti fragili che i servizi sociali intercettano con maggiore difficoltà, come in
qualche caso avviene con gli anziani soli). L’attenzione ai falsi negativi, cioè i soggetti che pur possedendo i requisiti non presentano domanda per accedere alla misura, è un elemento innovativo della
nostra proposta. Dal 1999 ad oggi, infatti, in nessuna misura di contrasto alla povertà abbiamo trovato attività mirate a individuare tali soggetti. L’attenzione posta invece su questo tema in altri Paesi
(per una meta-analisi della letteratura si veda Bargain et al., 2012) sollecita un intervento per colmare questo vuoto (Spano, Trivellato, Zanini, 2013).
L’accesso alla nuova misura non sarà regolato tramite bando, ma avverrà ‘in continuo’, cioè sarà diretto, non contingentato e la domanda per accedervi potrà essere presentata in qualsiasi momento
dell’anno. La prima ragione di questa scelta è che non vi è necessità alcuna di razionamento dei potenziali beneficiari, pertanto la selezione avverrà semplicemente in base alla soglia di accesso. Inoltre
pressoché nessuna delle misure esistenti contro la povertà, sia locali (assistenza economica dei Comuni) sia nazionali (assegni sociali, bonus energia, SC, ecc.), che oltretutto si intende progressivamente riassorbire nel Reis, è attivata tramite bando. L’unica prestazione che lo prevede è il contributo per l’affitto, il cui accesso ha evidenziato tuttavia rilevanti criticità sia in termini gestionali-
7
Con questo termine si intendono i potenziali beneficiari che, pur avendo i requisiti per esservi ammessi, rimangono esclusi dall’intervento per qualche motivo.
Pagina 5
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
organizzativi sia di tempestività nella risposta agli effettivi bisogni. Per queste ragioni anche la maggior parte dei Comuni coinvolti nella nuova NCS ha deciso di non utilizzare questa modalità per la fase sperimentale.
L’accesso al ReIS consisterà essenzialmente in un colloquio con l’operatore appositamente incaricato
mediante in quale verrà approfondita l’istanza da parte del cittadino e valutati i requisiti di ammissibilità per accedere al beneficio.
La porta di accesso alla nuova misura sarà rappresentata dai Comuni in forma associata, eventualmente supportati da altri soggetti (es. CAF, Patronati, Terzo Settore) abilitati dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze ed appositamente accreditati dalle Regioni, sulla base di un sistema
nazionale di accreditamento. I requisiti essenziali da garantire ai fini dell’accreditamento saranno nello specifico:
− la dotazione di una struttura organizzativa idonea, che può parzialmente variare a seconda
del contesto territoriale;
− l’utilizzo del sistema informativo unico per la gestione della misura;
− la presenza di personale qualificato per svolgere le mansioni sia amministrative sia di orientamento e informazione dei potenziali beneficiari.
Riguardo al punto 2, in particolare, si fa riferimento all’obbligo di utilizzare l’infrastruttura informativa centralizzata che sarà prevista quale strumento chiave di gestione della misura (cfr. Cap. 8). Tale
flusso informativo, cui potranno accedere tutti i soggetti che entreranno in contatto con la misura,
conterrà in particolare tutta la documentazione presentata dal richiedente in fase di accesso, oltre
che lo stato di avanzamento della domanda e gli esisti di verifiche e controlli.
In relazione al punto 3, invece, la struttura di primo accesso avrà l’obbligo di svolgere, oltre alle funzioni amministrative, anche una funzione informativa e di orientamento rispetto al percorso relativo
al Reis, oltre che sull’intera gamma di possibili prestazioni che il cittadino può ricevere, in aggiunta
alla misura, anche se deve chiederle in una sede diversa. Lo svolgimento di questa funzione è indispensabile al fine di colmare l’attuale carenza informativa del nostro sistema di welfare, che si ripercuote soprattutto sui soggetti più fragili e ai margini, tipicamente a maggior rischio di isolamento. La
nostra riforma mira perciò a valorizzare il servizio di informazione e orientamento, prevedendo una
formazione ad hoc degli operatori nonché strumenti che lo rendano concretamente possibile. Come
si delineerà meglio più avanti (Cap. 8, appendice A), uno strumento utile potrebbe essere un catalogo
strutturalmente dinamico delle misure di contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato
con l’obiettivo di aiutare gli operatori a:
−
conoscere con facilità e con costante aggiornamento la mappa delle diverse prestazioni che
sono disponibili, ovunque, per i cittadini;
−
trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere.
Nella pratica tale strumento dovrebbe consentire di ottenere in modo diretto, inserendo a sistema le
caratteristiche della famiglia, un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, incluse le informazioni
dedicate alle modalità con cui richiedere gli interventi (“come, dove e quando”). Un database unico,
aggiornato e interrogabile ad hoc è funzionale rispetto allo scopo informativo sui servizi al cittadino,
che sono variabili nel tempo così come rispetto ai destinatari cui di volta in volta si rivolgono.
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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
TABELLA 2 – FAVORIRE L’ACCESSO AI SERVIZI A CHI HA PIÙ BISOGNO
Azioni
Soggetti coinvolti
1. Intercettare chi ha bisogno ma è isolato rispetto
ai servizi/Reis
Terzo Settore
2. Informare e orientare i
potenziali beneficiari del
Reis su tutti i servizi
Soggetto responsabile
dell’accesso (Comune,
eventualmente coadiuvato da Terzo Settore, CAF
o Patronato)
Quando
Modalità di intervento
Nell’attività ordinaria
Pubblicizzare il Reis, accompagnare la persona a fare domanda, informare sulle altre prestazioni cui può accedere.
Nella fase di accesso e presentazione della domanda
Fornire informazioni e orientare
il richiedente su tutti i servizi cui
può accedere, anche se occorre
fare domanda presso una sede
diversa.
La porta di accesso alla misura sarà come già detto costituita dai Comuni associati, eventualmente
supportati da altri soggetti territoriali. Occorre infatti considerare che i territori presentano risorse e
soggetti estremamente diversificati. Ad esempio: alcune associazioni di Comuni sono più efficienti di
altre; presso alcuni Comuni esistono degli sportelli INPS, presso altri no; i CAF e i Patronati non si trovano ovunque e così via. Sembra dunque opportuno prevedere la possibilità che il primo accesso avvenga non solo presso i Comuni associati, i soli di fatto ad averne la titolarità giuridica; ove i Comuni
lo riterranno sostenibile e perseguibile, sarà infatti lasciata loro la possibilità di essere supportati negli accessi anche da altri soggetti privati, purché a ciò appositamente accreditati. In questo modo si
potrà, se ritenuto opportuno, evitare di sovraccaricare gli Ambiti con ulteriori oneri amministrativi.
Presso i soggetti responsabili dell’accesso avrà luogo la presentazione dei documenti necessari per la
compilazione della dichiarazione ISEE e del reddito disponibile. Gli assistenti sociali dei Comuni provvederanno anche al calcolo dell’indicatore di controllo sui consumi, predisposto sul modello trentino
(cfr. Cap 3), sulla base delle informazioni e autocertificazioni fornite. La compilazione di questi documenti sarà coadiuvata da applicativi ad hoc. Le persone con disabilità, che già in parte si rivolgono al
Patronato per fare domanda di pensione di invalidità, potranno continuare a rivolgersi a tale ente
anche per richiedere il Reis, al fine di evitare di sovraccaricarle con iter eccessivamente lunghi e onerosi.
Ai soggetti responsabili dell’accesso alla misura spetterà anche l’essenziale controllo di composizione
della famiglia anagrafica, che potrà avvenire, tramite la consultazione delle anagrafi comunali, progressivamente integrate in un’anagrafe unitaria esistente presso l’ISTAT8. Per legge anche le persone
senza fissa dimora devono essere registrate presso le anagrafi comunali, attraverso l’attribuzione di
una residenza fittizia (legge 15 luglio 2009, n. 94). In realtà, non tutti i Comuni sono stati solerti nel
8
Dal punto di vista normativo sono già state attivate varie indicazioni sia per rendere interoperabili le
anagrafi comunali con altri soggetti (pubblici), sia per costruire una anagrafe unitaria presso il Ministero degli Interni alimentata correntemente dalle anagrafi locali (DL 18 ottobre 2012 , n. 179 (art 2),
pubblicato nel supplemento ordinario n. 194/L alla Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2012, n. 245, coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, recante: «Ulteriori misure urgenti per la
crescita del Paese»). Questo decreto istituisce l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente
(ANPR), che si prevede subentrerà completamente alle anagrafi comunali entro il 31/12/2014.
L’accesso all’ANPR sarebbe aperto alle PA e a tutti gli organismi che erogano pubblici servizi. Al fine di
superare i vincoli del Garante sulla Privacy, l’unica strada percorribile appare il fatto che sia la norma
che istituisce la prestazione a definire anche il sistema per erogarla, includendo appunto l’accesso alle
anagrafi da parte di tutti gli attori che concorrono alla gestione, individuati con formale procedura come accreditati/concessionari per svolgere una funzione pubblica. La vicenda dell’anagrafe unitaria è
ancora in divenire dunque la reale possibilità di utilizzo ai fini del Reis non si può, allo stato attuale, dare ancora per certa.
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5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
mettere in atto questa norma, pertanto si prevede, in vista dell’introduzione del Reis, di fare
un’opportuna sollecitazione a livello nazionale/regionale nei confronti dei Comuni inadempienti (cfr.
Cap. 3).
5.3.2 Il percorso di accesso
Contestualmente alla presentazione della domanda tutti i potenziali beneficiari saranno tenuti a sottoscrivere il ‘patto preliminare’, ovvero un accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia
richiedente il Reis e l’operatore del soggetto abilitato all’accesso, contenente l’assunzione di responsabilità del beneficiario nei confronti delle regole di ‘buona cittadinanza’, quali ad esempio il pagamento delle utenze domestiche o l’obbligo di mandare i figli a scuola, configurando così una condizionalità “di base”. Lo scopo essenziale di questo patto (la cui rottura comporta delle sanzioni: vedi
cap. 6.3.2) è una prima forte responsabilizzazione dei destinatari del Reis (si pensi, appunto,
all’impegno all’obbligo scolastico), così da porre le basi di un accordo fra beneficiario e soggetto pubblico.
La stipula del patto preliminare è condizione necessaria e sufficiente per l’erogazione del Reis nel caso dei beneficiari che abbiano raggiunto l’età pensionabile (ultra 65enni), soli o con coniuge, non portatori di altre fragilità oltre il disagio economico9. Per queste persone infatti l’erogazione monetaria
potrà partire subito dopo le verifiche sui requisiti di accesso, pertanto tale patto sarà già da considerarsi ‘definitivo’. Nel caso in cui invece l’anziano vivesse con persone più giovani o si riscontrassero
particolari fragilità oltre al disagio economico, i nuclei in questione seguirebbero un percorso di vera
e propria presa in carico da parte dei servizi sociali, attraverso colloqui successivi. La scelta di non
prevedere per tutti i beneficiari un possibile successivo passaggio presso i servizi sociali è legata a
considerazioni di realismo: i servizi comunali rischierebbero un eccessivo carico di lavoro, anche in
considerazione delle difficoltà oggettive che gli operatori incontrerebbero nell’offrire percorsi di inclusione a persone difficilmente reinseribili, soprattutto dal punto di vista lavorativo. Si sottolinea in
ogni caso come per queste persone il Reis non si esaurisca alla sola erogazione monetaria, dal momento che, come sopra detto, in fase di accesso riceveranno un servizio di informazione e orientamento su tutti i servizi cui possono accedere. L’obiettivo è perciò quello di accompagnare la persona
nella valutazione della propria condizione di bisogno e nella selezione dei servizi cui rivolgersi, perché
non si trovi sola e, come spesso succede, incapace di orientarsi.
Per facilitare il riconoscimento di eventuali fragilità, come l’abuso di sostanze alcoliche o la dipendenza da gioco, sarà possibile, in fase di accesso, somministrare brevi questionari volti a farle emergere10. Naturalmente questa operazione, qualora prevista, si inserirà all’interno del servizio di informazione e orientamento.
Per tutti i beneficiari che invece non hanno ancora compiuto 65 anni, o che hanno un’età maggiore
ma vivono con persone più giovani o presentano fragilità particolari, il ‘patto preliminare’ prevederà
l’impegno a formulare successivamente un ‘contratto’ più sostantivo con l’operatore sociale, che innescherà l’avvio di percorsi di inclusione sociale o lavorativa. Al primo patto ne seguirà perciò un secondo che prevederà diritti e obblighi più vincolanti.
9
Per convenienza, si farà riferimento ai soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile come “ultra
65enni” e la soglia sarà appunto posta a 65 anni. Siamo consapevoli che tale soglia andrà modificata in
connessione all’aumento automatico dell’età pensionabile in conseguenza dell’aumento della speranza
di vita, previsto dalle correnti regole previdenziali (vedi cap. 3).
10
Si veda ad esempio: Federzoni, De Girolamo, Goldoni (2005), Valutazione di un questionario telefonico per
l’identificazione di anziani fragili, al’indirizzo http://www.provincia.modena.it/sociale/allegato.asp?ID=40554.
Pagina 8
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
I soggetti responsabili dell’accesso inseriranno nel sistema informativo unico le domande ammissibili,
che saranno così a disposizione di INPS, Comuni e Terzo Settore per le rispettive verifiche successive.
In questa fase il ruolo dell’INPS sarà quello di effettuare verifiche incrociate su tutte le domande presentate, attraverso gli strumenti a sua disposizione (Agenzia delle Entrate, Anagrafe Tributaria, eventualmente il Pubblico Registro Automobilistico, etc.), per accertare la veridicità delle informazioni economico-finanziarie dichiarate, nonché per verificare la presenza dei requisiti necessari per
l’ammissibilità al Reis (cfr. par. 6.3.1).
I Comuni potranno svolgere, di concerto con il Terzo Settore e solo con riferimento agli aspiranti beneficiari ‘noti’, perché già in carico ai servizi comunali o al privato sociale11, un ulteriore controllo sulla corrispondenza tra il dichiarato ed il reale tenore di vita delle famiglie richiedenti la misura. Il fine è
quello di sventare gli eventuali ‘falsi positivi’, ovvero quei soggetti che risultano formalmente ammissibili dall’analisi dei documenti presentati (ISEE, dichiarazione dei redditi,…), ma il cui stile di vita è
ben al di sopra delle disponibilità economiche dichiarate, motivo per cui occorre che siano esclusi
dalla misura, o quantomeno ‘riverificati’. In particolare, i Comuni ed il Terzo Settore potranno esaminare l’effettiva entità delle prestazioni assistenziali da loro direttamente erogate ai nuclei in carico, e
da questi ultimi auto-certificate (o meno) nella domanda di accesso. Comuni e Terzo settore non potranno svolgere verifiche ispettive ed invasive, anche perché non giuridicamente titolati ad effettuarle; tuttavia, data la loro vicinanza agli utenti, saranno sicuramente in grado di ravvisare situazioni sospette. Tali situazioni dovranno essere immediatamente segnalate all’INPS per ulteriori verifiche, e si
potrà anche richiedere ai potenziali beneficiari, se rilevate incongruità, di ripresentare formalmente
la domanda.
Vale la pena ricordare che, in generale, i controlli da parte di INPS, Comuni e Terzo Settore dovrebbero avvenire in uno stesso momento e non in tempi successivi: ciò sarà reso possibile dal sistema informativo unico tramite il quale si potranno attivare, a seconda dei casi, ‘semafori rossi’ o ‘semafori
verdi’ rispetto al via libera sull’ammissione del Reis.
Una volta definiti i nuclei ammessi, l’INPS calcolerà per ciascuno l’ammontare di integrazione spettante e metterà a disposizione sul sistema informativo unico l’elenco dei nominativi.
Nel caso degli ultra 65enni soli o con coniuge e non portatori di altre problematiche oltre al disagio
economico, a seguito dell’ammissione al Reis l’INPS potrà automaticamente procedere con la liquidazione del contributo. Tutti gli altri ammessi, invece, saranno convocati con apposita lettera dal Comune o dal Terzo Settore12 per un successivo incontro/colloquio, durante il quale verrà effettuata
una valutazione multidimensionale della situazione del nucleo familiare.
Entro un tempo massimo da stabilire dal ricevimento della lettera, i componenti delle famiglie convocate si dovranno presentare ai (o, se impediti da condizioni fisiche o di salute, dovranno essere oggetto di una visita da parte dei) servizi sociali del Comune o soggetti del Terzo Settore. Durante
l’incontro saranno valutate, oltre alle fragilità e ai bisogni dei componenti del nucleo, anche le loro
concrete possibilità di attivazione13. Tale incontro/colloquio potrà essere reiterato per i casi più com-
11
Non è possibile richiedere ai Comuni una verifica anche sugli aspiranti beneficiari non noti, poiché, a
maggior ragione, mancherebbe loro la titolarità giuridica per investigazioni ispettive di questo tipo.
12
Il concorso del Terzo Settore in questa fase è previsto più che altro in contesti di particolari difficoltà dei
Comuni, ed è comunque possibile solo entro certi limiti, al fine di evitare una delega totale da parte
dell’ente locale.
13
Al fine di fornire una valutazione corretta dell’abilità al lavoro e delle possibilità di attivazione lavorativa, è auspicabile già in questa fase una stretta collaborazione fra servizi sociali e Centri per l’impiego:
vedi la sezione 5.3.3.
Pagina 9
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
plessi e culminerà nella sottoscrizione del ‘patto definitivo’, un accordo in forma scritta stipulato fra
la persona/famiglia ammessa al Reis e il Servizio sociale del Comune o il soggetto del Terzo Settore,
col quale si darà formale avvio ai percorsi di reinserimento.
Solo a questo punto il Comune/Terzo Settore potrà dare il via libera alla liquidazione del contributo, e
l’INPS provvederà ad effettuare il primo trasferimento monetario alle famiglie. Per i nuclei ammessi,
la subordinazione dell’erogazione del Reis alla presentazione al colloquio e alla sottoscrizione del
‘patto definitivo’ vuole naturalmente costituire un incentivo a recarsi presso i servizi sociali/Terzo
Settore. In ogni caso, per evitare che famiglie in grave difficoltà economica tardino a percepire il contributo, a causa della lentezza del processo, si auspica che passi un massimo di 30/40 giorni dal colloquio alla prima erogazione.
Come si è visto, in tutti i passaggi di accesso alla misura il Terzo Settore compare sempre, insieme al
Comune, quale soggetto potenzialmente coinvolto in prima linea. Questo accadrà anche nella fase di
presa in carico dell’utente, che declineremo nel successivo paragrafo. In effetti la nostra riforma si
inserisce nel solco della NSC, che già prevede un ampliamento del ruolo del Terzo Settore rispetto alla SC. Vale la pena, in ogni caso, esplicitare meglio quale ruolo dovrà avere il Terzo Settore e quale
equilibrio si dovrà creare con il Comune. Da un lato, il ruolo del Terzo Settore è legato alla considerazione delle sue caratteristiche peculiari, che ne fanno un attore cruciale come sensore dei bisogni:
abbiamo già visto, ad esempio, come nella fase iniziale di pubblicizzazione della misura possa proficuamente utilizzare le proprie “antenne” per avvicinare i cosiddetti “falsi negativi”. Ancora, è importante valorizzare il suo ruolo nell’ambito della co-progettazione del welfare e dell’offerta di servizi
che possono rendere la misura più efficace nel rispondere ai bisogni delle famiglie in povertà. Si vedano ad esempio i servizi a bassa soglia destinati alle persone in grave emarginazione (cfr. Cap.
6.2.2). Questo non significa che il Terzo Settore debba subentrare all’ente pubblico: i Comuni continueranno a mantenere la regia del welfare locale, ma il Terzo Settore potrà via via esercitare un ruolo cruciale di supporto, o in alcuni casi anche sostitutivo delle funzioni comunali (si pensi alla fase di
accesso alla misura), forte delle sue competenze, specificità e vicinanza ai bisogni.
Certo è che il suddetto iter di accesso al ReIS potrà essere realizzato con tempi diversi, in funzione
delle differenti dotazioni professionali ed organizzativa effettivamente disponibili, che a loro volta dipenderanno dai differenti sistemi territoriali di riferimento. La messa a regime della macchina indubbiamente potrà beneficiare del percorso graduale di implementazione della misura previsto in almeno quattro anni (cfr. cap.10).
A conclusione del paragrafo proponiamo due diagrammi di sintesi del percorso di accesso alla misura: il primo rappresenta i passaggi iniziali, e si conclude con l’erogazione del Reis per gli anziani senza
particolari fragilità o con la non ammissione alla misura; il secondo illustra la continuazione del percorso per le persone con età inferiore a 65 anni o anziane con ulteriori problemi oltre a quello economico.
Pagina 10
SOGGETTO RESPON- RICHIEDENTE
SABILE DELL’ACCESSO
Percorso di accesso (1)
(Se anziano senza
particolari
Si reca al Comune, eventualmente coadiuvato da
Compila e certifica la dichiarazione del reddito
La doman-
NO
Fi
SI’
Sottoscrive il ‘patto preliminare’ insieme al richiedente
Fa verifiche incrociate (Agenzia delle Entrate, Ana-
Calcola l’ammontare di contributo spettante e invia al Comune/Terzo Settore l’elenco degli
SI’
La doman-
TERZO SETTO- COMUNE
INPS
RE
(in forma associata)
Riceve let-
Fa un check sui richiedenti già in carico verificando:
- corrispondenza tra dichiarato e reale tenore
di vita delle famiglie ri-
NO
Invia lettera al rihi d t
(Se under-65 o
anziano con frailità) i
l t
Si reca (entro 2 settimane) presso i
SS/T
S tt
(Se under-65 o
anziano con
Riceve il ‘via libera’
COMUNE
(da qui) Riceve l’elenco
degli ammessi e convoca
TERZO SETTORE
NO
SI’
INPS
SOGGETTO RESPON- RICHIEDENTE
SABILE
DELL’ACCESSO
Percorso di accesso (2)
(da qui) Riceve l’elenco
degli ammessi e convoca
Sottoscrive il ‘patto definitivo’ con il beneficiario; attiva i
percorsi di inclusione sociale
(presso il Comune stesso,
servizi specializzati Terzo
Sottoscrive il ‘patto definitivo’ con il beneficiario; attiva i
percorsi di inclusione sociale
(presso il Terzo Settore stesso servizi specializzati Co-
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
5.3.3 La presa in carico e il contratto con l’utente
Durante l’incontro/colloquio con i servizi sociali del Comune o gli operatori del Terzo Settore si opererà una distinzione, con carattere di reversibilità, fra:
(i) persone idonee al lavoro, in vista di un percorso di inserimento formativo e/o lavorativo e
(ii) persone o famiglie bisognose di un percorso di inserimento sociale.
Nella realtà la distinzione non sarà così netta perché all’interno di uno stesso nucleo familiare si potrebbe verificare la necessità di un percorso di inserimento sociale per uno dei componenti (es. alfabetizzazione della madre o obbligo scolastico dei figli minori) e di un (re)inserimento nel mercato del
lavoro per un altro membro. Inoltre, poiché la valutazione circa l’idoneità al lavoro o a percorsi di tipo socio-assistenziale è reversibile, essa dovrà essere riesaminata periodicamente.
Alla luce delle suddette valutazioni, gli operatori dovranno definire per questi gruppi di persone o
famiglie un ‘patto definitivo’, che consisterà in un vero e proprio ‘programma di presa in carico’ con
precisi diritti e obblighi, definiti sia per i servizi sociali sia per il soggetto beneficiario.
Il patto definitivo potrà anche coincidere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio, ed in
questo caso conterrà una specifica definizione del progetto personalizzato, dei suoi passaggi e delle
regole di condizionalità applicabili. Il patto definitivo afferente l’avvio di un percorso di inclusione lavorativa rimanderà invece al ‘patto di servizio’ per la sua definizione puntuale (cfr. par. 6.2.3).
Il ‘patto di servizio’ sarà curato dal Centro per l’Impiego in accordo con i servizi sociali. Pare appropriato immaginare, in questa fase, una stretta collaborazione fra CpI e servizi sociali, se non addirittura una valutazione congiunta e condivisa dell’abilità al lavoro, eventualmente coinvolgendo anche i
servizi sanitari. Si arriverebbe così ad una valutazione integrata e multidimensionale della situazione
individuale e di quella familiare, verosimilmente preferibile rispetto alla valutazione da parte dei soli
servizi sociali che poi inviano ai CpI i beneficiari attivabili. L’esperienza comparativa mostra infatti
come alcuni percorsi di reinserimento lavorativo o di formazione o riqualificazione professionale
debbano essere preceduti e/o affiancati da prestazioni mediche e psicologiche, che richiederebbero
pertanto una valutazione integrata.
In conclusione, il patto definitivo dovrà essere sottoscritto dagli interessati pena la non ammissione
alla misura. Si auspica che anche in questo caso intercorra un tempo massimo di 30/40 giorni tra la
prima erogazione del contributo e l’effettivo avvio di percorsi di inserimento.
Il Reis sarà poi erogato, mensilmente e per un anno14, con possibilità di rinnovo nell’anno successivo
previa verifica della permanenza dei requisiti di accesso. Le modalità di pagamento potranno differenziarsi a seconda delle esigenze: accredito bancario su conto corrente oppure altre modalità (es.
trasferimento ai Comuni/Ambiti territoriali socio-assistenziali che faranno poi il mandato di pagamento ai beneficiari), nel caso in cui i beneficiari non possiedano un conto corrente. Sarà anche possibile l’erogazione attraverso assegno, che potrà in alcuni casi essere recapitato al servizio sociale
perché siano gli operatori stessi a consegnarlo, ad esempio laddove è previsto un accompagnamento
del beneficiario nell’uso del denaro. In generale, durante tutto il percorso di accesso e presa in carico
della misura, il Comune manterrà il ruolo di regia: suo sarà infatti il compito, seppure di concerto con
l’INPS e con gli altri soggetti territoriali coinvolti, sia di far partire l’erogazione per le persone di età
14 Salvo casi di revoca, riduzione o sospensione temporanea della misura, a seguito del venir meno dei
requisiti di accesso economico-reddituali e/o anagrafici o per mancato rispetto dei patti (cfr. par.
6.4.2).
Pagina 13
5. IL WELFARE DEI SERVIZI (I)
inferiore a 65 anni o gli anziani con fragilità, sia di sospendere, decurtare e/o revocare il trasferimento nei casi in cui il patto non sia stato rispettato e/o i requisiti di accesso siano venuti meno.
Nella tabella sottostante si propone un box riassuntivo dei principali “contratti” previsti dal Reis15.
TABELLA 3 – IL CONTRATTO CON L’UTENTE
Tipologie di contratti con l’utente
Patto preliminare
Patto definitivo
Patto di servizio
15
Chi lo sottoscrive?
Contenuti
Tutti i beneficiari
(per i beneficiari non avviati a percorsi di inserimento coincide con il
patto definitivo)
Accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia richiedente il Reis e l’operatore del soggetto responsabile dell’accesso alla misura, contenente
l’assunzione di responsabilità del beneficiario (o della
persona di riferimento della famiglia) nei confronti delle
regole di ‘buona cittadinanza’. Il patto contiene anche
l’impegno ad avviare successivamente (qualora ce ne
siano le condizioni) dei percorsi di reinserimento. La
stipula del patto preliminare è condizione necessaria e
sufficiente per l’erogazione del contributo per i beneficiari non inseriti in percorsi.
Solo i beneficiari avviabili
a percorsi di reinserimento sociale/lavorativo
Accordo in forma scritta stipulato fra la persona/famiglia ammessa al Reis e l’operatore dei servizi
sociali o del Terzo settore, contenente il reciproco impegno a rispettare il percorso di inclusione sociale/lavorativa concordato. Il patto definitivo può coincidere con il percorso di inclusione sociale vero e proprio
e contenerne una specifica definizione, passaggi e obblighi.
Solo i beneficiari attivabili nel mercato del lavoro
Accordo in forma scritta stipulato, fra il Centro per
l’impiego in accordo con i servizi sociali, e il beneficiario
in età lavorativa avviabile ad un re-inserimento nel
mercato del lavoro. Nel patto di servizio sono specificate le azioni e gli obblighi reciproci cui i contraenti sono
tenuti per la realizzazione di tale percorso.
Le diciture ‘patto preliminare e patto definitivo’ prendono spunto dalla promettente esperienza del
Reddito di Base per la Cittadinanza, introdotta in fase sperimentale in Regione Friuli Venezia Giulia
(L.R. n. 6/2006), ma purtroppo soppressa, a meno di un anno dall’avvio effettivo della misura, dopo solo la fase di ‘collaudo’. Per un approfondimento dell’esperienza friulana si rimanda a: (Ranci Ortigosa
E., Mesini D.), Il Reddito di Base per la Cittadinanza in Friuli Venezia Giulia: resoconto di un’esperienza
interrotta, in Granaglia E., Bolzoni M., “Il reddito minimo di inserimento. Analisi e valutazioni di alcune
esperienze locali”, Quaderni CIES (Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale), n. 3, 2010.
Pagina 14
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
I PERCORSI D’INCLUSIONE E I CONTROLLI

Il Reis è una misura di integrazione monetaria e di attivazione: specifici percorsi di inclusione sociale
e lavorativa saranno realizzati nei confronti dei componenti le famiglie in carico, secondo una logica
di empowerment che tenga conto delle caratteristiche ed abilità dei soggetti.

Il Servizio Sociale dei Comuni, associati in forma di Ambito, curerà, attraverso specifici protocolli
d’intesa, i rapporti con gli attori del territorio deputati all’avvio ed alla realizzazione dei percorsi di
inclusione lavorativa (in primo luogo i CpI) e sociale (in primo luogo il Terzo Settore, specie con riferimento alla marginalità grave) e definirà di concerto con i suddetti soggetti gli obblighi e gli impegni
per i beneficiari.

Il trasferimento monetario sarà erogato a tutti tramite l’INPS, mensilmente e per un anno, dopo le
opportune verifiche di ammissibilità e, per i soli beneficiari potenzialmente destinatari di un percorso di inclusione, dopo la sottoscrizione del ‘patto definitivo’. Alla scadenza del primo anno il nucleo
familiare potrà ripresentare la domanda.

Le verifiche circa il rispetto del patto definitivo e la permanenza dei requisiti saranno effettuate in
itinere e saranno responsabilità dei Comuni associati, in accordo con gli altri soggetti coinvolti (INPS,
terzo settore, ecc.).

La condizionalità sarà maggiormente stringente per i percorsi lavorativi destinati ad adulti abili senza altre patologie e /o fragilità, ferma restando comunque la tutela dei minori. In caso di mancato rispetto del patto sarà prevista una riduzione progressiva, fino alla decurtazione.

Il ritorno al lavoro sarà reso ‘conveniente’ tramite appositi incentivi monetari.
6.1 PREMESSA
Come il precedente, questo capitolo è dedicato al welfare dei servizi, che rappresenta una delle
componenti essenziali del Reis. Nello specifico qui saranno approfonditi gli aspetti relativi ai
Pagina 1
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
percorsi di inclusione sociale e lavorativa, le regole di condizionalità e il sistema dei controlli.
Nell’affrontare questi temi ci siamo basati ancora una volta su un approccio pragmatico, finalizzato all’obiettivo, e sul principio della sussidiarietà, di cui si è già detto nel cap. 5, par.1.
Cominceremo trattando i percorsi di inclusione che saranno realizzati nei confronti dei componenti le famiglie in carico, secondo una logica di empowerment che tenga conto delle loro caratteristiche socio-anagrafiche, abilità e potenzialità. Un’attenzione particolare in questo capitolo
sarà inoltre rivolta ai controlli, sia relativi al possesso e alla permanenza dei requisiti di accesso
di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, che al rispetto degli impegni assunti con i
percorsi di inclusione intrapresi. La messa in campo di azioni di verifica e di accertamento
nell’ambito del Reis ha come obiettivo generale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere situazioni opportunistiche e improprie, evitando che “finti poveri” ne beneficino senza averne diritto, a scapito di famiglie meritevoli che ne resterebbero ingiustamente escluse. Infine,
un’ultima focalizzazione riguarderà i possibili incentivi per rendere conveniente per il beneficiario del Reis intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay).
6.2 I percorsi di inclusione sociale e lavorativa e i relativi servizi
6.2.1 Di quale inclusione stiamo parlando?
Il Reis prevede di abbinare al trasferimento monetario interventi di attivazione, recupero e responsabilizzazione dei beneficiari. La possibilità di reale empowerment sarà tuttavia direttamente proporzionale alle caratteristiche e potenzialità dei beneficiari, oltre che alle effettive opportunità del sistema dei servizi e del mercato del lavoro in cui tali percorsi saranno progettati e
condotti.
Posto che per tutti i beneficiari del Reis sarà doverosa un’assunzione di responsabilità rispetto
all’utilizzo del contributo (es. per la copertura di utenze o affitto) e all’impegno a garantire determinati stili di vita e regole di comportamento (es. il rientro da morosità, la frequenza scolastica dei figli minori, la partecipazione ai colloqui con gli insegnanti), possiamo introdurre la seguente distinzione rispetto alla possibilità di ‘inclusione’:
-
per soggetti portatori di problematiche complesse, in situazione di disagio sociale e/o di
forte emarginazione o in condizione di salute incompatibile con lo svolgimento di attività
lavorativa, saranno realizzati percorsi di inclusione sociale e relazionale o sociosanitaria;
-
ai minori appartenenti a famiglie in disagio economico e sociale saranno rivolti specifici
percorsi di inclusione socio-educativa, ad esempio finalizzati a prevenire la dispersione
scolastica, o a favorirne il recupero ed il rendimento;
-
per i soggetti in età attiva e abili al lavoro in condizione di disoccupazione, inoccupazione, inattività, oppure iscritti nelle liste di mobilità, in cassa integrazione (ordinaria, straordinaria o in deroga), ma anche per i cosiddetti “working poor”, cioè lavoratori a basso
reddito, saranno attivati percorsi formativi e di inclusione attiva nel mercato del lavoro;
-
i soggetti che abbiano raggiunto l’età pensionabile (per convenienza qui e altrove: ultra
65enni; vedi cap. 3), anche già beneficiari di pensioni sociali, soli o coniugati ma non portatori di altre fragilità al di là del disagio economico, saranno destinatari del solo trasferimento monetario;
-
le persone con disabilità o non autosufficienti che, indipendentemente dall’età, beneficiano del Reis, continueranno a seguire i percorsi socio-sanitari in cui sono inseriti e a rivolgersi ai servizi cui risultano già in carico, fatta salva una valutazione dei servizi sociali
Pagina 2
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
circa l’opportunità di attivazione di nuovi e differenti percorsi per sopravvenuti o modificati bisogni (tab 1).
Vale qui la pena ricordare che, essendo la famiglia l’unità di riferimento dell’intervento, i percorsi di inclusione attivabili in capo ad uno stesso nucleo familiare potranno essere più di uno, tanti
quanti saranno gli effettivi bisogni riscontrati al suo interno.
La distinzione fra persone abili al lavoro e non abili, così come il grado di complessità delle problematiche che potrà rendere più o meno percorribili percorsi di attivazione, avrà ovviamente
carattere di reversibilità e dipenderà dall’evoluzione delle condizioni umane, sociali ed economiche della persona, e del suo nucleo familiare di appartenenza. Sarà dunque compito degli operatori dei servizi giudicarne l’entità e formulare eventuali rivalutazioni durante il periodo di trattamento del Reis. In particolare, gli operatori dei servizi (sociali e per l’impiego) valuteranno attentamente le reali chances di occupabilità dei beneficiari ultra-60enni al fine della previsione
effettiva di misure di attivazione per tali beneficiari, anche in considerazione dei costi effettivi di
tali misure relativamente ai benefici attesi.
TABELLA 1 – BENEFICIARI E PERCORSI DI INCLUSIONE
Tipologie di beneficiari possibili
Percorso di inclusione?
Quale inclusione possibile?
Soggetti portatori di fragilità sociali più
o meno complesse, indipendentemente
dall’età
Sì
Inclusione socio-relazionale o sociosanitaria
Minori appartenenti a famiglie in disagio economico e sociale
Sì
Inclusione socio-educativa
Soggetti in età attiva e abili al lavoro, in
condizioni di disagio lavorativo
Sì
Inclusione attiva nel mercato del lavoro
Persone con disabilità
Sì
Nei percorsi socio-sanitari in cui sono già
inseriti, presso i soggetti cui sono in carico,
fatta salva l’opportunità di attivazione di
nuovi e differenti percorsi per sopravvenuti o modificati bisogni.
Soggetti ultra 65enni, anche già beneficiari di pensioni sociali, soli o coniugati
ma non portatori di altre fragilità al di là
del disagio economico
No
Solo erogazione monetaria.
6.2.2. I percorsi di inclusione sociale e i servizi alla persona
I percorsi di inclusione sociale, come già più volte sottolineato, hanno lo scopo di favorire il superamento dell'emarginazione dei singoli e delle famiglie in carico alla misura attraverso la
promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica. Tali programmi, personalizzati sulla base delle caratteristiche, abilità e fragilità di ciascuno sono orientati a raccordare il
REIS con altri servizi ed interventi relativi alle politiche di protezione sociale, socio-sanitaria,
educativa ed in generale con tutti gli altri interventi finalizzati al benessere della persona ed alla
prevenzione delle condizioni di disagio sociale.
Relativamente alla possibile casistica prefigurabile ci vengono in aiuto le esperienze di Reddito
Minimo nazionale e regionale sperimentate in Italia nell’ultimo decennio (IRS, Fondazione Zancan, Cles, 2001; IRS, Censis, Cles, Fondazione LABOS, 2004; Ranci, Mesini, 2010; Mesini, 2011;
Spano, Trivellato, Zanini, 2013). E’ possibile distinguere i percorsi di inclusione sociale in 4 cate-
Pagina 3
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
gorie, che indubbiamente non esauriscono l’insieme degli interventi attivabili nei confronti dei
beneficiari del REIS, ma ne danno una rappresentazione indicativa (Lodigiani e Riva, 2011):
- Percorsi di tipo terapeutico-riabilitativo - rivolti essenzialmente a persone portatrici di problematiche complesse e spesso in condizioni di salute compromesse, anche per l’uso di sostanze; possono essere fatti rientrare in questa categoria trattamenti presso i servizi specialistici o l’inserimento in comunità terapeutiche;
- Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari - riguardanti il supporto ad attività di cura e
accudimento di anziani e minori, interventi di prevenzione e sostegno socio-sanitario e psicologico alle famiglie ed alle coppie;
- Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione1 - finalizzati a limitare la dispersione scolastica
e il rendimento dei minori, ma anche a promuovere il recupero della scolarità perduta degli
adulti e percorsi di alfabetizzazione per cittadini stranieri;
- Percorsi di integrazione socio-relazionale - rivolti all’inserimento dei beneficiari in attività di
volontariato presso associazioni e cooperative e finalizzati ad accompagnare la persona
nell’acquisire maggiore autonomia e autostima, in una logica di empowerment; si tratta ad
esempio dell’inserimento in Centri di Aggregazione, ludoteche, esperienze di educativa territoriale.
Il percorso di inclusione sociale può riguardare uno o più dei componenti il nucleo in carico, è
costruito in modo personalizzato, dopo la valutazione multidimensionale dei SS, tiene conto delle caratteristiche e delle esigenze individuali e familiari secondo obiettivi, contenuti e impegni
ben definiti, inclusi nel Patto definitivo e sottoscritti dai beneficiari.
Per ciascun percorso sarà prevista la figura di un tutor (o case manager), individuata fra il personale dei Servizi sociali territorialmente competenti. Tale figura avrà compiti di coordinamento, accompagnamento e verifica dell’attuazione del progetto di attivazione e del rispetto degli
obblighi previsti. L’adozione di tale figura risponde alla necessità di affrontare il fenomeno della
povertà ed esclusione sociale nella sua natura multidimensionale, cumulativa e preventiva, tesa
a rimuovere le cause scatenanti e quindi a ridurre progressivamente gli effetti complessivi della
povertà sui corsi di vita individuali e familiari. Si prevede che tale figura si manterrà, per quanto
possibile, stabile per tutta la durata del REIS: il programma personalizzato dovrà essere accompagnato e seguito nei suoi esiti nel tempo, attraverso un lavoro di monitoraggio del caso.
I suddetti percorsi non possono essere portati avanti dai soli servizi sociali ma richiedono una
rete di collaborazioni con i servizi territoriali per la presa in carico e l’accompagnamento delle
persone verso percorsi di autonomia. Si tratta di collaborazioni in molti casi già presenti e attive,
che il Reis consentirà di consolidare e potenziare. Un ruolo significativo sarà quello dei servizi
socio-sanitari specialistici quali SERT e DSM in primis, ma anche dei centri socio-educativi, consultori familiari, istituti scolastici e istituti professionali ed organizzazioni del terzo settore, nella
pluralità delle loro forme. Queste ultime svolgeranno in tutti i contesti un ruolo importante, forti
delle loro specificità e vicinanza ai territori. La loro attività sarà particolarmente utile, poi, in alcune zone del Sud Italia, dove più debole e meno strutturata è l’azione dei servizi, e nei confronti
della marginalità grave, come ampiamente trattato nel paragrafo successivo.
1
La conoscenza della lingua italiana tra i beneficiari del REIS non è cosa scontata. L’esperienza del Reddito di
Garanzia della Provincia di Trento insegna come tra i beneficiari sia lecito attendersi una quota di stranieri più
che proporzionale rispetto all’incidenza sull’intera popolazione. Dovranno essere dunque predisposti degli interventi adeguati, quali corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, anche con l’aiuto di mediatori
culturali e preliminarmente all’avvio di percorsi di attivazione nel mercato del lavoro.
Pagina 4
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
TABELLA 2 – PERCORSI DI INCLUSIONE SOCIALE
Possibili tipologie di percorsi di inclusione sociale
Soggetti attivabili
Percorsi terapeutico-riabilitativi
Servizi specialistici (SERT, DSM, ecc….), Terzo Settore (es. gruppi
di mutuo aiuto)
Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari
SS comunali, Terzo Settore
Percorsi socio-educativi e di alfabetizzazione
Scuole, istituti di formazione, Terzo Settore
Percorsi di integrazione socio-relazionale
Terzo Settore (Centri di Aggregazione, ludoteche, associazioni di
volontariato, cooperative, etc…)
6.2.3 I senza fissa dimora e i servizi per l’emarginazione grave
Il Reis, nell’ambito della lotta alla grave emarginazione e del lavoro con le persone senza fissa
dimora, può rappresentare un punto di svolta. Esso costituisce infatti, per la prima volta nel welfare italiano, una misura strutturale di tipo non emergenziale che viene messa a disposizione dei
percorsi di inclusione sociale e inclusione attiva per la grave emarginazione. Oggi la protezione
delle persone senza fissa dimora passa prevalentemente dalla disponibilità di servizi di emergenza a sostegno e sollievo delle fasi critiche degli eventi emarginanti (perdita dell’alloggio, disponibilità di un riparo durante i periodi freddi, sostegno in caso di malattia, etc.) ma si tratta di
una risposta insufficiente. L’esperienza di molti contesti locali – in Italia ed in Europa – dimostra
invece in modo inequivocabile l’esistenza di alcune condizioni per il successo degli interventi di
contrasto alla grave emarginazione: la disponibilità di una misura universale di sostegno economico di base; la presenza di servizi di accompagnamento e supporto in una dimensione personalizzata e non istituzionalizzante; la disponibilità di capitale sociale e relazionale da mettere
a disposizione delle persone emarginate quale vettore di riconoscimento, valorizzazione identitaria, appartenenza territoriale e fiducia in se stessi e nel proprio futuro (European Observatory
on Homelessness, 2009).
Il REIS non può garantire tutto questo, ma, specie se riconosciuto come livello essenziale di assistenza sociale, può rappresentare il punto di innesco sul quale finalmente costruire, nella rete
locale dei servizi pubblici e privati, percorsi integrati, personalizzati e multidimensionali ai quali
le persone possano avere accesso.
Disporre del REIS può consentire alle persone in stato di grave emarginazione, soprattutto se
senza dimora, di avere a disposizione un minimo potere di acquisto attraverso il quale scegliere,
in un contesto protetto e con il supporto di operatori specificatamente preparati, un percorso
comunitario effettivo di reinclusione sociale. In questo modo avranno anche la possibilità di
emanciparsi dai circuiti socio-assistenziali attuali dell’emergenza abitativa e reddituale (mense,
dormitori, centri di distribuzione indumenti etc.), in una logica di progressivo empowerment.
Si può immaginare anche che, attraverso il REIS, progressivamente e mano a mano che il sistema
di offerta privato e pubblico evolva, i beneficiari possano acquistare a condizioni agevolate beni
e servizi aggiuntivi importanti. Si potrebbero ipotizzare, ad esempio: pernottamenti in strutture
alberghiere low cost; periodi di permanenza in alloggi; prestazioni medico-specialistiche ed odontoiatriche; farmaci; servizi telefonici e di accesso alla rete internet e altre utenze; titoli di viaggio del trasporto pubblico locale ed altre forme di mobilità sostenibile; quote di piani di copertura mutualistico-assicurativa prestata da programmi locali di welfare integrativo, programmi
per la socializzazione ed il tempo libero ecc. Questa nuova offerta di servizi e prestazioni, da cui
oggi le persone in grave emarginazione sono generalmente escluse, dovrebbe essere sinergica e
complementare a quella dei servizi esistenti, adottando piattaforme compatibili ed accreditando
nel sistema una pluralità di servizi, contesti ed opportunità che al momento, pur avendo anche
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
una valenza sociale, non sono formalmente inclusi nei circuiti di welfare (si pensi agli albergatori
che praticano tariffe molto basse).
E’ evidente che un tale strumento potrebbe, con logiche bottom-up, favorire la riconfigurazione
di molte attività che attualmente i soggetti erogatori di tali servizi, specie quelli del Terzo Settore, svolgono esclusivamente attraverso l’intermediazione dell’acquirente istituzionale (Comune)
e che si trovano oggi in seria crisi a causa dei tagli ai budget dei Comuni. Questo potrebbe inoltre
dare vita a un laboratorio assai interessante di innovazione sociale, nel quale sviluppare offerte a
basso costo ma di qualità da rendere accessibili al maggior numero di persone possibili, a partire
dalle più svantaggiate, che possano quindi ambire a sviluppare volumi importanti di mercato,
rendendo anche economicamente interessante l’investimento privato in questo ambito. Il Terzo
Settore avrà indubbiamente un ruolo preponderante nel promuovere e sviluppare da un lato
l’integrazione/collaborazione con il sistema pubblico, dall’altro forme innovative di risposta al
bisogno.
6.2.4 L’inclusione lavorativa e i servizi per l’impiego
I percorsi di inclusione lavorativa hanno lo scopo di consentire ai beneficiari abili al lavoro di inserirsi, per quanto possibile, nel mercato del lavoro, anche attraverso percorsi di formazione e
riqualificazione volti a far loro ottenere le competenze necessarie. Essi devono quindi iscriversi
al Centro per l’impiego provinciale, impegnarsi attivamente nella ricerca di un lavoro e dichiararsi immediatamente disponibili ad accettare un’offerta di lavoro congrua (nei limiti di un pendolarismo ragionevole ed economicamente sostenibile) e a frequentare corsi di formazione o di
riqualificazione professionale. A tal fine il Centro per l’impiego predispone un patto di servizio,
con un programma personalizzato di inserimento lavorativo e/o formativo o di riqualificazione
professionale, stilato in base ad una valutazione delle caratteristiche individuali. Il patto di servizio impegna bilateralmente i servizi per l’impiego e il beneficiario. Come visto, esso non esclude
per gli stessi beneficiari la copertura di bisogni di natura extra-occupazionale, che dovrebbe essere fornita dai servizi sociali.
I contenuti del patto di servizio dovranno necessariamente essere raccordati con quanto previsto dalla legge 92/2012 recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita, con i contenuti dell’attuazione della delega sulle politiche attive del lavoro prevista dalla legge 247 del 2007 e ribadita dalla legge 92 del 2012, e con le azioni di implementazione della raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea sulla Youth Guarantee
(Garanzia per i giovani) di febbraio 2013, che pone particolare attenzione ai giovani con meno di
25 anni che non studiano né lavorano (i NEET) 2.
− La legge 92/2012 prevede che, nei confronti di “beneficiari di ammortizzatori sociali per
i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito”, i Centri per l’impiego devono garantire:
− colloquio di orientamento entro i tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;
2
La raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del febbraio 2013 invita i governi nazionali a “garantire che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita
dal sistema d'istruzione formale”. A valere sui fondi di coesione 2014-2020, il Consiglio europeo di giugno
2013 ha stabilito lo stanziamento, per l’Iniziativa per l’occupazione giovanile di cui la Garanzia per i giovani
è parte, di 6 miliardi di Euro per gli anni 2014-15 nei paesi, tra i quali l’Italia, dove il tasso di disoccupazione
giovanile sia superiore al 25%. A tal fine l’Italia deve elaborare entro la fine del 2013 un piano per combattere
la disoccupazione giovanile, che comprenda anche l’attuazione della Garanzia per i giovani a partire da gennaio 2014. È da notare come nella definizione delle azioni l’età massima per fruire delle misure della garanzia
per i giovani in Italia verrà innalzata a 29 anni.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
− azioni di orientamento collettive tra i tre ed i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupa-
zione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al
contesto produttivo territoriale;
− formazione di durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei ed i dodici mesi
dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato ed alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza;
− proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.
Le suddette disposizioni possono costituire un benchmark per la formulazione dei patti di servizio; in altre parole i beneficiari del REIS dovrebbero ottenere almeno quanto stabilito per i beneficiari di sussidi di disoccupazione nei tempi previsti, e se possibile in tempi più brevi, quantomeno per il colloquio di orientamento presso il Centro per l’impiego, così da dar luogo al patto di
servizio. Ulteriori indicazioni sull’attuazione di queste azioni, e sulla cornice nella quale si situano le attività di formazione e riqualificazione in particolare, potrebbero poi venire dall’esercizio
della delega sulle politiche attive prevista dalla legge 92/2012 e non attuata nella passata legislatura.
Una possibile criticità connessa all’estensione ai beneficiari del REIS abili al lavoro delle previsioni di tale legge in materia di doveri dei Centri per l’impiego nei confronti dei beneficiari di
sussidi di disoccupazione è dovuta all’incertezza circa la reale capacità dei CpI in alcune zone
d’Italia, in mancanza di un serio piano di costruzione di capacità istituzionali e senza finanziamenti specifici , di riuscire ad attuare il dettato normativo. Questo vale a maggior ragione per individui quali i beneficiari di uno schema di reddito minimo che, ex ante, si possono considerare
meno occupabili e con maggiori necessità di formazione o riqualificazione rispetto a percettori
di sussidi di disoccupazione, come tali occupati sino a poco tempo prima. Tale considerazione si
estende poi anche all’effettivo esercizio della condizionalità: se i Centri per l’impiego sono inadempienti, la misura perde parte della sua natura, quantomeno per quanto concerne l’obbligo di
accettare offerte di lavoro o formazione che provengano dai servizi pubblici per l’impiego (non
viene meno l’obbligo di cercare attivamente un’occupazione). Nell’attesa dell’attuazione della
parte della legge 92/2012 che prevede l’attivazione di un sistema di premialità per la ripartizione delle risorse del Fondo sociale europeo per gli interventi da questo cofinanziati, legato alla
prestazione di politiche attive e servizi per l’impiego, potrebbe essere previsto per il REIS un sistema di incentivi e sanzioni per i dirigenti dei Centri per l’impiego in base alla capacità effettiva
di offrire servizi3.
In generale, comunque, e preliminarmente a tutto il resto, a tutti i beneficiari devono essere offerti dal Centro per l’impiego corsi qualificati volti all’acquisizione e all’affinamento delle capacità relazionali di base necessarie per ottenere e mantenere un posto di lavoro, scrivere un curriculum, cercare e rispondere a offerte di lavoro, sostenere un colloquio, e così via.
Al fine di aumentare le opportunità occupazionali dei beneficiari del REIS, i Centri per l’impiego
segnalano i soggetti presi in carico che siano abili al lavoro anche alle Agenzie per il lavoro di natura privata. È auspicabile che accordi in questo senso vengano raggiunti con le associazioni di
categoria Assolavoro e Alleanza lavoro.
Inoltre, gli inserimenti lavorativi potranno coinvolgere tutta una serie di soggetti che andranno
anche al di là dei CpI, a partire dai servizi di inserimento lavorativo dedicati alle politiche attive
del lavoro e presenti all’interno di molti Comuni, oltre che le cooperative di tipo B, tipicamente
3
Occorre qui fare attenzione al rischio di un “effetto sabbie mobili”, in cui i territori che hanno maggior necessità di incentivi e risorse sono proprio quelli nei quali le percentuali di successo sono inferiori.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
attive sul fronte del lavoro protetto. Presumibilmente la condizionalità legata a quest’ultimo tipo
di percorsi più ‘protetti’ dovrà essere meno stringente rispetto al (re)inserimento nel mercato
del lavoro regolare.
TABELLA 3 – PERCORSI DI INCLUSIONE LAVORATIVA
Obblighi dei servizi per l’impiego
Obblighi dei beneficiari
 - orientamento occupazionale
 - promozione di proposte formative
 - promozione di iniziative di inserimento lavorativo
 - iscrizione presso il CpI provinciale
 - impegno attivo (e documentabile) nella ricerca di un lavoro
 - disponibilità ad accettare una ‘congrua offerta’ di lavoro
 - disponibilità a partecipare a corsi di formazione o riqualificazione professionale
6.2.5 Inclusione lavorativa… ma con un sano realismo
L’inclusione lavorativa può essere:
a) reversibile e
b) modulabile, rispetto alle reali possibilità di attivazione dei beneficiari.
La reversibilità può essere dovuta alla sopravvenienza di fragilità (si pensi alla dipendenza da
gioco o da sostanze) che rendano il beneficiario inadeguato rispetto all’inserimento lavorativo o
di esigenze di cura per cui questi non possa garantire l’impegno lavorativo. Naturalmente vi può
essere anche il processo inverso, per cui un beneficiario inizialmente non idoneo al lavoro lo diventi in seguito.
Per quanto riguarda la modulabilità del percorso di inclusione, è opportuno che siano tenute in
conto le reali possibilità di attivazione dei beneficiari, nonché i diversi livelli di occupabilità. In
vari casi nazionali (ad esempio la Germania e la Danimarca) i beneficiari attivabili sono inclusi in
categorie diverse, a seconda dei loro bisogni e delle loro chance di occupabilità. In Germania, ad
esempio, sono previste quattro categorie, a ciascuna delle quali sono associati differenti percorsi
di reinserimento (Sacchi,2013). Coloro i quali rientrano nella prima categoria sono ritenuti immediatamente in grado di rientrare nel mercato del lavoro, pertanto senza ulteriore formazione;
quanti sono nella seconda necessitano di brevi periodi di counseling e riorientamento; i soggetti
nella terza hanno bisogno di counseling e percorsi più lunghi di formazione qualificante o riqualificante; chi rientra nella quarta necessita di un’attenzione speciale che eviti per quanto possibile il cronicizzarsi della situazione di bisogno. I servizi formativi vengono forniti tendenzialmente
solo ai beneficiari inclusi nelle categorie due e tre, mentre per i beneficiari inclusi nella categoria
quattro, con minori probabilità di uscire dallo schema attraverso un’occupazione non protetta, si
prevede che il dovere di attivazione venga assolto attraverso lavori di utilità collettiva non remunerati, se non a un tasso di salario simbolico (i one-euro jobs). Facendo tesoro dell’esperienza
tedesca, la nostra proposta suggerisce che anche i CpI tengano conto di simili categorie
nell’elaborazione della proposta di percorso d’inclusione, pur senza adottare una distinzione rigida che porterebbe con sé il rischio dell’etichettamento e della ghettizzazione.
Inoltre l’inclusione lavorativa dei beneficiari di uno schema di garanzia di risorse minime va
considerata con un po’ di sano realismo.
La previsione di un diritto dei beneficiari ad ottenere - in breve tempo da parte dei servizi per
l’impiego - servizi come quelli descritti nella sezione precedente (tipicamente immaginati per i
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
beneficiari dei sussidi di disoccupazione) non è da dare per scontata, anche nelle esperienze più
avanzate (vedi cap. 11), e non può che fare i conti con le possibilità reali del sistema di offerta in
cui i servizi si trovano ad operare. Si pensi in primis alle condizioni del mercato del lavoro, che
possono variare di molto da zona a zona e contribuire al successo o al fallimento di alcuni interventi.
Infine, bisogna essere consapevoli del fatto che tipicamente le percentuali di reinserimento lavorativo degli schemi di reddito minimo sono relativamente basse anche nei contesti istituzionali
più virtuosi (cap. 11). Ciò vale soprattutto per gli schemi di attivazione rivolti ai soggetti più deboli, quali è presumibile siano coloro che, pur essendo abili al lavoro, versano in condizioni di
povertà assoluta.
Valutare il successo o il fallimento di una programma di tutela di base (per sua natura complesso
e multidimensionale, anche in considerazione dell’estrema eterogeneità dei target e delle tipologie di percorsi attivabili) prevalentemente attraverso i tassi di reinserimento lavorativo dei beneficiari, significa commettere un grave errore di politica pubblica ed ignorare in maniera miope
l’evidenza empirica internazionale.
6.3 CONTROLLI, CONDIZIONALITÀ E INCENTIVI
6.3.1 Verifiche e controlli all’accesso e sulla permanenza dei requisiti
La partita dei controlli è assai ampia e riguarda da un lato quelli sul possesso e la permanenza
dei requisiti di accesso di tipo socio-anagrafico, economico e patrimoniale, dall’altro quelli relativi al rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi.
Mettere in campo azioni di verifica ed accertamento nell’ambito del REIS ha come obiettivo generale quello di ‘sventare’ o quantomeno contenere situazioni opportunistiche ed improprie, evitando che finti poveri ne beneficino senza averne diritto. Relativamente alle verifiche sul possesso e la permanenza dei requisiti di ammissibilità, verranno utilizzati, come ampiamente descritto nel capitolo 3 due selettori: l’ISEE e il reddito disponibile.
Considerare l’Isee, riformato, come primo ‘filtro’ consentirà di selezionare famiglie che, pur avendo redditi contenuti, possiedono dotazioni patrimoniali di una certa rilevanza (cfr.cap. 3).
Occorre infatti ricordare che il benessere di una famiglia non dipende solo dal reddito corrente,
ma anche dallo stock di patrimonio accumulato. In molti paesi un sussidio per il contrasto della
povertà viene erogato solo a chi non supera certe soglie di patrimonio mobiliare o immobiliare,
oltre che di reddito (vedi cap. 11) e l’Isee può essere utilizzato proprio a questo scopo, fissando
un criterio di esclusione che consideri non solo il reddito, ma anche le dotazioni patrimoniali
possedute dalla famiglia.
Il secondo filtro all’accesso, sulla cui base dovrà poi essere definita l’integrazione spettante, non
sarà l’Isee, bensì il reddito disponibile. Questa motivazione dipende dal fatto che il nostro obiettivo è il contrasto della povertà assoluta, che abbiamo definito seguendo l’approccio Istat. La definizione della povertà assoluta adottata dall’Istat, in effetti, prescinde dall’Isee, in quanto è calcolata sulla base della spesa per consumi, oppure del reddito disponibile spendibile per
l’acquisto di un paniere di consumo minimo. Ecco allora che la seconda soglia di accesso sarà
rappresentata proprio dalla stessa unità di misura utilizzata per la stima dei poveri assoluti, direttamente correlabile con quest’ultima.
I (potenziali) beneficiari del REIS dovranno dunque presentare in sede di accesso e di verifica in
itinere, sia la dichiarazione Isee, sia la dichiarazione di reddito disponibile, con tutte le informazioni necessarie per completarle ed eventualmente ‘attualizzarle’ nel caso siano intervenute in
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
corso di erogazione del REIS delle variazioni significative della situazione economica e/o socioanagrafica (cfr.cap. 3.
Tuttavia, dal momento che, nonostante il doppio filtro numerosi saranno ancora i casi di famiglie
con Isee e redditi nulli oppure molto bassi, occorrerà introdurre un ulteriore strumento di verifica, che consenta di attribuire alle famiglie un reddito presunto più in linea con l’effettivo tenore
di vita. Si propone qui di fare riferimento ad un indicatore di controllo sui consumi, come peraltro già variamente utilizzato in alcune Regioni in sostituzione o a conferma dell’Isee (Mesini,
2006)4. Come già anticipato (cfr.cap. 3 ), l’indicatore di controllo che intendiamo adottare nella
presente proposta si riferisce all’impostazione del più recente ma ormai collaudato indicatore
previsto dal Reddito di Garanzia della Provincia Autonoma di Trento.
A Trento l’indicatore di controllo sui consumi viene utilizzato al momento del calcolo dell’ICEF
(l’Isee locale), come indicatore di congruità alla fonte, per verificare se una stima prudente dei
consumi possa essere in linea o nettamente superiore al reddito dichiarato. Utilizzando
l’indicatore dei consumi è emerso che ben il 25% delle domande per il Reddito di Garanzia presentavano delle dichiarazioni ICEF incongrue, e dunque passibili di verifica, in cui una stima molto prudente dei consumi era superiore al reddito dichiarato, con frequente conseguente spontaneo abbandono della pretesa da parte dei richiedenti.
Il calcolo dei consumi presunti diventa quindi cruciale per la determinazione dell’ammissibilità.
Successivamente a questa scrematura ed al check sui consumi, altre verifiche incrociate saranno
effettuate sugli ammissibili da parte dell’INPS attraverso le banche dati a sua disposizione, tra le
quali le più significative sono:
− INPS/INPDAP - permettono la lettura: dell’estratto conto contributivo, del CUD di pensionato e assicurato, del modello ObisM, del pagamento di pensioni (ammontare, n. del
certificato, categoria, decorrenza), degli importi erogati dall’INPS a qualsiasi titolo (indennità di disoccupazione, maternità, mobilità, malattia), dei contributi versati dai lavoratori dipendenti e stipendi percepiti, nonché ricerche sulle aziende per conoscere
l’elenco dei dipendenti e dei contributi e stipendi pagati;
− Agenzia delle Entrate (sistema SIATEL), con lettura delle dichiarazioni effettuate ai fini
fiscali
− Agenzia del Territorio (sistema SISTER). La lettura del catasto consentirà di verificare le
proprietà immobiliari (terreni e fabbricati) posseduti dal soggetto in tutta Italia, avendo
la possibilità di stampare la visura catastale da cui si evincono, oltre alla categoria e alla
rendita, la percentuale di possesso e i comproprietari con indicazione dell’atto con cui si
è diventati proprietari
4
Esperienze passate significative in proposito sono quelle della Regione Basilicata e della Regione Campania. In
particolare, appare interessante menzionare quanto previsto dal Regolamento attuativo del Reddito di Cittadinanza della Regione Campania, istituito con la legge regionale n. 2 del 19 febbraio 2004. Data la straordinaria
incidenza (oltre il 70%) delle dichiarazioni ISEE pari a zero sul totale delle dichiarazioni ISEE entro la soglia
massima per poter accedere alla misura, fissata all’ora in 5.000 euro annui, si è deciso di ricorrere alla determinazione di un reddito presunto che tenesse conto dei consumi relativi alle utenze domestiche, di quelli relativi
alla proprietà di automobili e motocicli, alla casa di abitazione, nonché del valore del parametro della scala di
equivalenza. Il reddito presunto così calcolato veniva quindi utilizzato, oltre che per la determinazione
dell’importo di reddito soglia, anche come meccanismo di verifica dei mezzi per l’accesso alla misura.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
− Pubblico Registro Automobilistico (PRA) 5 consente di verificare il possesso di beni mobili registrati, tramite il nominativo dell’utente o la targa dell’auto
Spetterà poi ai soggetti responsabili dell’accesso la verifica sulla composizione della famiglia anagrafica, tramite il sistema informativo messo a disposizione di tutti gli enti che entreranno in
contatto con la misura (cfr. cap 8); infine, competerà ai Comuni associati in forma di Ambito, ed
al Terzo Settore verificare la rispondenza delle informazioni dichiarate, rispetto al reale tenore
di vita dei beneficiari in carico e dunque già noti, sia in fase di accesso alla misura che durante
l’erogazione del REIS. Eventuali situazioni sospette dovranno essere segnalate in qualsiasi momento all’INPS per ulteriori verifiche.
I beneficiari della misura dal canto loro avranno l’obbligo di segnalazione immediata al Comune
in qualsiasi momento, di variazioni nelle condizioni di ammissibilità al beneficio. Esse non dovranno riguardare solo la condizione economica e patrimoniale del nucleo, ma anche quella anagrafica, come la nascita o la morte di un componente, o l’intrapresa di un nuovo lavoro.
Spetterà ancora una volta al Comune segnalare all’INPS le modifiche intervenute in corso di erogazione del REIS e quest’ultimo ricalcolerà l’importo spettante alla famiglia. La mancata comunicazione delle suddette variazioni potrà comportare temporanee sospensioni e/o riduzioni del
contributo (cfr. paragrafo 6.4.2).
Oltre ai controlli sulla situazione economica e anagrafica delle famiglie ci dovranno anche essere
verifiche circa il rispetto da parte dei beneficiari in carico del percorso di inserimento intrapreso. Tali verifiche saranno effettuate ogni 3/6 mesi e saranno responsabilità dei Comuni associati,
in accordo con gli altri soggetti chiamati in causa per i rispettivi percorsi con i quali saranno
formalizzati specifici accordi e protocolli d’intesa.
Al fine di sventare possibili comportamenti opportunistici da parte dei beneficiari, quale ad esempio il fatto di mantenere un’occupazione nell’ambito del sommerso pur percependo il REIS,
sia l’esperienza internazionale, sia quella del Reddito minimo di inserimento nazionale forniscono alcune possibili contromisure al riguardo. In Germania ad esempio il beneficiario è tenuto,
durante i giorni lavorativi, ad essere rintracciabile dal proprio assistente all’indirizzo fornito o
ad essere disponibile, se richiesto, a recarsi in breve tempo all’Agenzia del Lavoro di pertinenza.
L’esperienza della sperimentazione nazionale è consistita nell'uso strumentale di programmi di
inserimento ben definiti e monitorati che prevedono l’impegno quotidiano del soggetto in determinate ore della giornata, risultando, così poco compatibili con lo svolgimento di lavoro “in
nero”. Il Reddito Minimo nazionale e le esperienze regionali insegnano anche quanto un potenziamento del lavoro di rete sul territorio, attraverso la formalizzazione di accordi ad hoc (convenzioni, protocolli d'intesa, ecc) con i soggetti territoriali per la segnalazione dei casi dubbi, oltre che il diretto coinvolgimento della polizia municipale per controlli a campione sui casi di palese contraddizione tra il dichiarato e l'effettivo fossero, siano risultati efficaci a sventare situazioni indebite.
5
In effetti appare onerosa e di difficile realizzazione una verifica ex-ante da parte dell’INPS sul possesso di autoveicoli e motoveicoli: spesso gli archivi del PRA sono poco aggiornati e di non facile consultazione. Si propende dunque, come peraltro previsto dalla nuova SCS, per una autocertificazione del possesso di autoveicoli
da parte dei cittadini, le cui dichiarazioni potranno essere verificate ex-post i sensi dell’art. 71 del DPR n.
445/2000. Il valore degli autoveicoli e motoveicoli, rientrerà, seppur forfetariamente, come già detto,
nell’indicatore di controllo sui consumi.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
TABELLA 4 – IL SISTEMA DEI CONTROLLI
Tipologia di controllo ex ante e in
itinere
Soggetti coinvolti
Strumenti
1. controlli sui requisiti socio-anagrafici ed economico-patrimoniali
- situazione socio-anagrafica
- requisiti economico-patrimoniali
Soggetto responsabile dell’accesso
(Comune, CAF, Patronato, Terzo Settore)
- INPS
- Comune e Terzo Settore
Anagrafi comunali
ISEE, reddito disponibile, indicatore di
controllo sui consumi, banche dati
(INPS/INPDAP, Agenzia delle Entrate,
Agenzia del territorio, PRA,…)
- documentazione sui contributi erogati dal soggetto stesso
- osservazione diretta sul territorio
2. rispetto degli impegni assunti con i percorsi di inclusione intrapresi
Comune (servizi sociali) e tutti i soggetti coinvolti nei percorsi (CpI, scuole,…)
Osservazione diretta sulla base dei patti sottoscritti (patto definitivo, patto di
servizio,…)
6.3.2 Regole di condizionalità
Il Reis prevede un trasferimento monetario condizionato al rispetto ed al mantenimento di impegni più o meno stringenti, tenuto conto delle reali possibilità di inserimento ed accompagnamento connesse al sistema dei servizi e del mercato del lavoro locali, particolarmente provati
dall’attuale congiuntura, nonché delle effettive chances di attivazione dei beneficiari.
Tutti i beneficiari della nuova misura saranno comunque tenuti al rispetto di comportamenti virtuosi che potremmo definire di ‘buona cittadinanza’ in generale, e di ‘buona genitorialità’ nei
confronti del proprio nucleo familiare. Questo significa che all’atto della stipula del ‘patto preliminare’ dovranno già essere specificate precise controprestazioni, che diverranno operative con
il ‘patto definitivo’ siglato con i Servizi Sociali, quali ad esempio portare i figli a visite mediche
periodiche, garantirne la frequenza scolastica, partecipare ai colloqui con gli insegnanti, pagare
le utenze, rispettare piani di rientro da morosità nel pagamento dell’affitto, ecc.6
Il mancato rispetto dei suddetti impegni basilari così come l’inadempienza rispetto a quanto definito nell’ambito dei percorsi di (re)inserimento, oltre che la mancata comunicazione di variazioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica, potranno comportare la temporanea sospensione dell’erogazione del Reis e/o la sua progressiva decurtazione.
In particolare, il Servizio Sociale dei Comuni, associati sotto forma di Ambito territoriale, potrà:
−
6
sospendere l’erogazione spettante, fino al momento dell’accertato rispetto degli impegni assunti;
Ad esempio, il programma Bolsa Familia, introdotto nell’ottobre 2003 in Brasile, prevede che le famiglie beneficiarie garantiscano un tasso di frequenza scolastica dei figli pari all’85% delle lezioni.
Pagina 12
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
−
eventualmente prevedere la riduzione dell’integrazione spettante, in percentuale variabile e
comunque correlata alla gravità della violazione degli obblighi ed impegni assunti, fino al
momento dell’accertato rispetto degli stessi;
−
eventualmente revocare la misura nel caso in cui le cause che hanno prodotto le sospensioni
e/o le riduzioni non siano state superate nell’arco di 3 mesi dalla prima segnalazione/monito.
Infine, nel caso in cui il mancato rispetto degli obblighi assunti sia imputabile solo ed esclusivamente ad uno dei membri della famiglia, il Servizio Sociale, di concerto con gli altri soggetti competenti potrà valutare l’opportunità di continuare ad erogare il contributo, eventualmente ridotto, a beneficio dei minori presenti nel nucleo, come già avviene ad esempio in Provincia di Bolzano.
Comunque il mancato rispetto della condizionalità di base dovrebbe essere usato come campanello di allarme di situazioni di particolare criticità, da investigare e seguire ulteriormente da
parte dei servizi sociali. L’evidenza empirica internazionale a tal proposito evidenzia che i risultati migliori in termini di attivazione dei beneficiari vengono raggiunti laddove a sanzioni parziali in caso di inadempienza si affiancano effettivi programmi di orientamento e recupero, mentre
sanzioni più severe (quali l’immediata espulsione dal programma) rischierebbero di generare
forti tassi di abbandono tra i beneficiari più deboli dal punto di vista delle prospettive di reinserimento (Immervoll, 2012).
Ovviamente la condizionalità più rigida sarà prevista con riferimento all’attivazione lavorativa.
In aggiunta alle controprestazioni di base viste sopra, tutti i soggetti abili al lavoro saranno cioè
tenuti a rispettare il ‘patto di servizio’ e i doveri in questo contenuti. In generale, dovranno cercare attivamente un’occupazione ed essere immediatamente disponibili al lavoro, accettando
pertanto qualsiasi ‘congrua’ offerta di lavoro da parte del Centro per l’impiego, o dei servizi per
l’impiego più in generale, e svolgendo le attività di formazione e riqualificazione previste.
Ma vediamo che cosa è bene intendere per ‘congrua offerta di lavoro’.
Al di là di quanto previsto dalla Legge Fornero, rispetto alla condizionalità associata ai sussidi di
disoccupazione7, si preferisce qui riferirsi all’esperienza tedesca relativa allo schema di assistenza sociale per gli abili al lavoro (ALG II, vedi cap. 11), e dunque prevedere che il beneficiario
del Reis debba accettare qualsiasi lavoro sia in grado di svolgere. Se il reddito derivante da tale
occupazione dovesse essere inferiore al trasferimento fornito dal Reis, quest’ultimo integrerebbe la differenza, funzionando come in-work benefit, ed anzi verrebbero previsti opportuni incentivi cosicché il reddito percepito dal beneficiario che trova un’occupazione sarebbe comunque
superiore all’importo della sola prestazione monetaria del Reis (cfr paragrafo 6.4.3).
Un altro aspetto da considerare circa la congruità dell’offerta di lavoro è quello relativo agli spostamenti richiesti per raggiungere il luogo di lavoro, ai costi di produzione del reddito ad esso
connessi e alle eventuali conseguenze sulla fornitura di cura all’interno della famiglia. La legge
92/2012, al riguardo, considera accettabili (e come tali non rifiutabili, pena la perdita dello stato
di disoccupazione necessario per la corresponsione dei relativi sussidi) le attività lavorative o di
formazione ovvero di riqualificazione che si svolgono in un luogo che non dista più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore, o è comunque raggiungibile mediamente in 80 minuti con i
7
La legge 92 del 2012 definisce ‘congruo lavoro’ un lavoro che dia luogo a un livello retributivo superiore almeno del 20% rispetto all’indennità percepita.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
mezzi di trasporto pubblici8. Questa sembra una definizione ragionevole di pendolarismo accettabile, ma riteniamo che, nell’ambito del Reis, vada valutata dai Servizi Sociali di concerto con i
servizi per l’impiego in relazione ad eventuali compiti di cura del beneficiario. Potrebbero ad esempio essere prese in considerazione forme di sussidio ulteriore per compensare, almeno parzialmente e sino a certe soglie, le spese di produzione del reddito con riferimento ai costi di spostamento, nel caso in cui questi siano rilevanti. Ciò potrebbe esser fatto in forma di prestazioni in
natura (abbonamento ai mezzi pubblici, o al treno), di agevolazioni (il mantenimento delle agevolazioni per il trasporto pubblico previste per i disoccupati, ad esempio) o ancora di trasferimento monetario ulteriore, in una prospettiva di make work pay.
Per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, date le caratteristiche del contesto italiano, pare
appropriato adottare un sistema sufficientemente severo, nel quale siano previste riduzioni consistenti, o vere e proprie sospensioni dalla fruizione della prestazione, in caso di indisponibilità
al lavoro o di non partecipazione ai programmi formativi o di riqualificazione. Al riguardo, molti
paesi europei adottano un approccio graduale, nel quale inoltre le sanzioni possono essere differenziate a seconda della gravità dell’infrazione (vedi Cap.11). Sulla scorta di quanto accade
nell’esperienza internazionale, si potrebbe pensare, per il Reis, a delle sanzioni consistenti nella
decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per
almeno sei mesi in caso di ulteriori violazioni.
Tuttavia, in quasi tutti i paesi europei, i soggetti in età lavorativa, potenzialmente abili ma impegnati in attività di cura diretta e continuativa di minori, anziani o persone con disabilità, sono
esonerati dall’obbligo dell’attivazione nel mercato del lavoro9. Riteniamo che questo criterio sia
applicabile anche al Reis, previa presentazione di apposita documentazione, temporaneamente e
comunque per il tempo di effettiva sussistenza del bisogno di cura, che per i minori potrebbe significare il compimento dei 3/6 anni di età. Occorre tuttavia a questo proposito prestare attenzione al rischio di replicare il modello di divisione del lavoro di genere di tipo male breadwinner:
donne adibite a compiti di cura, uomini abili al lavoro e oggetto di formazione/riqualificazione,
con il risultato di aumentare il capitale umano e le chance di rioccupabilità di questi, ma non di
quelle, incatenandole alla famiglia e legando le chance della famiglia stessa di uscire da condizioni di povertà alla sola capacità lavorativa del maschio capofamiglia. Per non incorrere in questo rischio sarebbe opportuno prevedere per il Reis un mix che comprenda compiti lavorativi
part-time o di formazione/riqualificazione anche per chi ha compiti di cura; nel caso l’impegno
lavorativo o di formazione fosse completamente assorbente, occorrerebbe fornire servizi sociali
che riducano i compiti di cura, liberando tempo per poter attuare il mix cura/attivazione.
TABELLA 5 – REGOLE DI CONDIZIONALITÀ POSSIBILE
Condizionalità di base
8
Sembra in ogni caso sensato prendere in considerazione le condizioni dei trasporti pubblici locali, giacché un luogo
di lavoro situato a distanza relativamente breve dal luogo di residenza potrebbe essere raggiunto soltanto con difficoltà (molte coincidenze, ecc.) o in tempi lunghi senza un mezzo di trasporto privato.
9 La Provincia di Trento esonera dalla ricerca attiva di un lavoro anche studenti di scuola secondaria di secondo grado
fino all'età di 21 anni o comunque nel corso legale di studi, studenti universitari titolari di borsa di studio, studenti
frequentanti corsi post-universitari e persone impegnate nel servizio civile volontario.
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
 Mancato rispetto degli impegni di ‘buona cittadinanza’
 Mancata comunicazione delle variazioni nella situazione familiare
 Inadempienza rispetto ai percorsi di inclusione sociale
 sospensione dell’erogazione spettante, fino al momento
dell’accertato rispetto degli impegni assunti;
 eventuale riduzione dell’integrazione spettante, in percentuale variabile e comunque correlata alla gravità della
violazione;
 eventuale revoca nel caso in cui le cause che hanno prodotto le sospensioni e/o le riduzioni non siano state superate nell’arco di 3 mesi;
 preservazione della ‘quota minori’
 Condizionalità legata al lavoro
 Mancato rispetto del ‘patto di servizio’ per i beneficiari potenzialmente ‘abili’
 decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso
della prima violazione, del 50% per ulteriori tre mesi nel
caso di una seconda violazione e la revoca della prestazione monetaria per almeno sei mesi in caso di ulteriori
violazioni;
 temporanea esenzione dall’obbligo di attivazione per i
beneficiati impegnati in attività di cura
6.3.3 Incentivi all’integrazione dei beneficiari in occupazioni remunerate
Gli schemi volti a incentivare l’integrazione dei beneficiari nell’occupazione remunerata sono in
generale di due tipi: incentivi all’assunzione dei beneficiari, rivolti agli imprenditori, e schemi intesi a rendere il lavoro conveniente per i beneficiari rispetto alla mera fruizione della prestazione di reddito minimo (make work pay), attraverso varie forme.Una di tali forme è quella della
creazione diretta di posti di lavoro, tipicamente nel settore pubblico, della quale è bene occuparsi subito. Un’analisi delle esperienze internazionali mostra che questi schemi, normalmente rivolti a beneficiari di difficile occupabilità, sopravvivono in alcuni sistemi, mentre sono stati aboliti in altri, che è la scelta fatta con il Reis10. L'evidenza empirica relativa a tali esperienze insegna
come i lavori pubblici sussidiati siano scarsamente efficaci nell'integrare nel mercato del lavoro
regolare i beneficiari del reddito minimo (Immervoll 2010, Kuddo 2012)11. Date le condizioni di
finanza pubblica in Italia, e l’esperienza dell’Rmi e dei lavori socialmente utili nel nostro paese la
scelta di escludere recisamente la possibilità di occupazione sussidiata nel settore pubblico dal
10
Se in Olanda l’uso di schemi di impiego pubblico è stato eliminato e l’occupazione sussidiata drasticamente
ridotta, in Francia lo strumento di inserimento lavorativo più diffuso tra i beneficiari del reddito minimo è il
Contratto di accompagnamento nell’occupazione (CUI-CAE, Contrat d’accompagnement dans l’emploi), che
è un contratto di durata sino a 2 anni (5 per i beneficiari ultracinquantenni), pressoché interamente sussidiato
nei settori non di mercato (settore pubblico e terzo settore), rivolto a quanti abbiano particolari problemi di
occupabilità, che prevede un salario orario pari al salario minimo. Lo strumento più utilizzato in Germania è
l’Arbeitsgelegenheiten (“opportunità di lavoro”), i cosiddetti one-euro jobs, lavori di utilità collettiva remunerati con un salario simbolico (1,5 euro all’ora). Dal 2011 è però stata abolita la creazione diretta di posti sussidiati nel settore pubblico (i cosiddetti ABM, Arbeitsbeschaffungsmaßnahme).
11
Né, d'altro canto, sembra esservi evidenza di effetti positivi di tipo non occupazionale di tali lavori: “Questi
programmi potrebbero, comunque, essere giustificati sulla scorta di altre considerazioni. Potrebbero infatti
servire come test di disponibilità da parte di individui che vengono solitamente percepiti come poco motivati
nella ricerca di lavoro. Inoltre, potrebbero mirare a promuovere abitudini e condotte lavorative (una sorta di
training sul posto di lavoro) nonché l’inclusione sociale dei partecipanti, che potrebbero esser stati fuori dal
mercato del lavoro per parecchio tempo. Vi è, però, poca evidenza concreta sui meriti dei programmi di occupazione nel settore pubblico nel promuovere esiti non occupazionali di questo genere” (Immervoll 2010, 42,
nostra traduzione).
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
novero delle possibilità contemplate dal Reis ci pare pienamente giustificata. Tale divieto non si
estende a lavori di utilità collettiva remunerati con un salario simbolico.
Per quanto riguarda gli incentivi all’assunzione da parte degli imprenditori, questi sono di vario
genere: integrazioni salariali, rimborsi o riduzione dei contributi sociali, incentivi fiscali, rimborso dei costi sostenuti per la formazione, per citarne alcuni. Nell’esperienza comparativa, tali incentivi vengono usati correntemente, nelle loro varie forme. In Francia i beneficiari dello schema
di reddito minimo possono avere accesso al Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE,
Contrat initiative emploi) nel settore del commercio e dell’industria12. Il Contratto d’iniziativa per
l’occupazione ha una durata compresa tra 6 e 24 mesi (5 anni per gli ultracinquantenni), per almeno 20 ore settimanali retribuite al minimo salariale. Il datore di lavoro ottiene un rimborso
pari al 47% del salario lordo, ma può stipulare tale contratto solo se non ha licenziato lavoratori
nei 6 mesi precedenti e se non utilizza il beneficiario del reddito minimo per sostituire un licenziamento. Anche in Germania sono previste agevolazioni per le imprese che assumano beneficiari dell’assistenza sociale per gli abili al lavoro, con caratteristiche molto simili a quelle francesi.
In Italia, il decreto legge 76 del 2013 ha previsto, in via sperimentale sino a giugno 2015, degli
incentivi all’occupazione per i giovani tra i 18 e i 29 anni di età che rientrino in una delle tre seguenti categorie:
a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
b) siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionalizzante;
c) vivano soli con una o più persone a carico.
Per queste categorie, la legge prevede un incentivo per il datore di lavoro che proceda ad assunzioni con contratto a tempo indeterminato pari a un terzo della retribuzione mensile lorda sino a
12 mesi, con un tetto di 650 euro mensili. L’incentivo viene attivato se le assunzioni comportano
un incremento occupazionale netto, calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei dodici mesi
precedenti all’assunzione.
Mentre sono da valutare i comportamenti individuali e familiari indotti dalla misura per quanto
riguarda le categorie (b) (giovani a bassa scolarizzazione) e (c) (giovani con persone a carico) e
la loro compatibilità con i principi ispiratori del Reis (ad esempio, quanto all’obiettivo della formazione e della qualificazione professionale dei beneficiari del Reis abili al lavoro), gli incentivi
per l’assunzione dei giovani disoccupati da più di 6 mesi sono certamente da promuovere e utilizzare ai fini del reiserimento lavorativo dei beneficiari del Reis. Potrebbero a tale fine essere
previste delle azioni prioritarie, rivolte ai beneficiari del Reis, nel quadro delle risorse messe a
disposizione dalla nuova programmazione comunitaria 2014-2020 che vadano oltre la fase di
sperimentazione che si concluderà nel 2015. Più in generale, peraltro, sarebbe pienamente compatibile con il diritto comunitario l’adozione di un sistema di incentivi all’occupazione dei beneficiari del Reis (indipendentemente dall’età) disoccupati da oltre sei mesi, che copra sino al 50%
dei costi del lavoro per un periodo sino a 12 mesi13.
12
I beneficiari dello schema di reddito minimo hanno accesso al Contratto unico di inserimento (Contrat unique
d’insertion, CUI), ulteriormente differenziato nel Contratto d’iniziativa per l’occupazione (CUI-CIE) nel settore del commercio e dell’industria oppure, per i casi di più difficile occupabilità, nel Contratto di accompagnamento nell’occupazione (CUI-CAE), che è un contratto interamente sussidiato nel settore pubblico o nel
terzo settore (vedi nota 12).
13
Tali previsioni sono infatti in accordo con il Regolamento CE 800/2008 che dichiara alcune categorie di aiuti
compatibili con il mercato comune. Tale Regolamento si applica sino al 31 dicembre 2013; occorrerà pertanto
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
Il decreto legge 76 del 2013 prevede inoltre degli incentivi per gli imprenditori che assumano a
tempo pieno e indeterminato lavoratori che fruiscono dell’Aspi14. Si potrebbe valutare
l’estensione di tali incentivi, opportunamente rimodulati quanto a durata, anche per l’assunzione
di beneficiari del Reis.
Ovviamente, tutto ciò implicherebbe significativi costi aggiuntivi per la finanza pubblica, opportunamente da valutare in aggiunta ai costi di finanziamento del Reis, e da computare nella voce
relativa alle azioni di accompagnamento.
Circa gli incentivi che agiscono sul versante dell’offerta di lavoro, rendendo conveniente per il
beneficiario intraprendere un’occupazione remunerata (make work pay), questi possono essere
suddivisi in due gruppi: 1) incentivi e agevolazioni all’auto-imprenditorialità (start-up subsidies);
2) schemi volti ad evitare la trappola della disoccupazione.
Circa i primi, l’evidenza internazionale porta ancora una volta a considerare il caso tedesco, nel
quale è possibile, a discrezione dell’autorità che eroga la prestazione di assistenza sociale per gli
abili al lavoro, autorizzare l’ammissione del beneficiario del reddito minimo (ALG II) allo schema
Gründungszuschuss (sussidio allo start-up) previsto per i beneficiari del sussidio di disoccupazione (ALG I). Tale schema prevede, a fronte della costituzione di un’impresa individuale, il pagamento della prestazione sino a sei mesi, più un contributo in somma fissa di 300 € al mese per
coprire gli oneri sociali e previdenziali.
Una previsione simile è ora in vigore anche in Italia per i beneficiari di sussidi di disoccupazione.
La legge 92/2012 prevede che, in ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, in via sperimentale, i
lavoratori aventi diritto all'Aspi e alla mini-Aspi potranno richiedere e ottenere la liquidazione
degli importi del relativo trattamento, al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo
ovvero per avviare un’attività in forma di auto-impresa o di microimpresa o per associazioni in
cooperativa. Per l'iniziativa la legge ha stanziato 20 milioni di euro per ciascuno degli anni interessati all'incentivo. Come in Germania, si potrebbe estendere tale previsione anche ai beneficiari del Reis.
Quanto alla trappola della disoccupazione, che si verifica quando un incremento unitario di reddito da lavoro dà luogo ad una riduzione almeno di pari importo nella prestazione, l’evidenza
comparata mostra vari tipi di schemi volti ad evitarla, tutti applicabili alla situazione in cui un
beneficiario trovi un’occupazione remunerata nel periodo di fruizione del reddito minimo.
L’obiettivo di tutti è quello di rendere conveniente il ritorno al mercato del lavoro secondo la logica del welfare attivo, evitando così il rischio che abbandonare il sistema dei sussidi comporti
un impoverimento. L’aspetto più significativo è la possibilità di cumulare il reddito da lavoro con
il percepimento del sussidio, il cui diritto non decade se non a fronte di una situazione occupazionale adeguata ad innalzare il reddito della persona al di sopra della soglia di povertà, e in realtà tipicamente ad un multiplo di questa, cosicché sia conveniente trovare un lavoro. In molti
paesi pertanto gli schemi di reddito minimo prevedono una deduzione sul reddito da lavoro derivante dall’occupazione reperita durante il periodo di fruizione della prestazione. Ciò funziona
inoltre come in-work benefit per occupazioni a bassa remunerazione o part-time, che diano luogo a un reddito inferiore alla soglia. In Germania, in Finlandia e in Olanda vige un sistema di questo tipo, con deduzioni tipicamente intorno al 20% del reddito da lavoro. In Francia si consente
14
verificare la compatibilità delle proposte qui avanzate con le nuove norme europee sulla compatibilità con il
mercato comune in corso di adozione.
L’incentivo è pari, per ciascuna mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, al cinquanta per cento
dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Sono previste delle condizioni miranti ad evitare comportamenti opportunistici da parte del datore di lavoro (licenziamento e riassunzione per
godere degli incentivi).
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6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
ai beneficiari che trovano un’occupazione di mantenere il reddito minimo sommandovi il reddito
da lavoro nella misura del 62% (quindi con una deduzione su questo pari al 38%), sino al raggiungimento di una soglia pari a 1,4 volte il salario minimo (che in Francia è fissato per legge ed
è posto alla base delle prestazioni di assistenza sociale).
In altri paesi, ai beneficiari di reddito minimo che trovino un’occupazione viene mantenuto il
sussidio per un certo periodo di tempo, seppure in forma ridotta. Questo accade ad esempio in
Austria, dove il sussidio viene preservato per un massimo di 18 mesi per un ammontare di regola pari al 15%. Una previsione simile è stata introdotta nel Reddito di Garanzia della Provincia di
Trento. Qui lo schema di make work pay è congegnato come una lump sum: se un beneficiario
trova un’occupazione remunerata che lo porta al di sopra della soglia di accesso al programma,
allo scadere del primo anno di attività lavorativa ininterrotta può, su domanda, ricevere un trasferimento in somma fissa pari a due mensilità della prestazione goduta in precedenza.
A fronte dell’esperienza comparativa, è auspicabile prevedere una deduzione con riferimento ai
redditi derivanti da un’occupazione reperita durante il periodo di permanenza nel programma.
Si potrebbero prospettare due soluzioni.
Ai fini della valutazione dei requisiti di persistenza nel programma, i redditi da lavoro potrebbero essere considerati solo nella misura dell’80% per il primo anno e del 90% nel secondo, prevedendo dunque una deduzione rispettivamente del 20% e del 10%. Uno schema simile rende il
lavoro conveniente, e si configura come un in-work benefit per quanti trovino un’occupazione insufficiente a portarli sopra la soglia di povertà. In ogni caso, però, tale deduzione dovrebbe applicarsi ai soli redditi da lavoro maturati durante la permanenza nel programma, e non prima di
tre mesi dall’ammissione. Questo al fine di evitare comportamenti opportunistici da parte dei
beneficiari. Gli aspiranti beneficiari potrebbero essere infatti indotti a rinviare l’avvio di una
nuova possibile occupazione a un momento successivo all’adesione al programma. sfruttando
così le facilitazioni previste dal Reis. Un’eccezione a tale previsione sarebbe in vigore nel caso in
cui l’offerta provenisse dal locale Centro per l’Impiego o da un’Agenzia per il lavoro nel quadro
degli accordi auspicati.
In alternativa, si può immaginare uno schema di incentivo semplificato, ispirato alle esperienze
austriaca e trentina, nel quale qualsiasi remunerazione ottenuta a fronte di un’occupazione nel
mercato del lavoro regolare, trovata dopo almeno 6 mesi dall’ingresso nel programma, darebbe
luogo ad un’indennità pagabile per un anno al massimo. Il suo ammontare potrebbe essere convenzionalmente fissato nel 15% dell’entità della prestazione ricevuta prima di trovare l’impiego.
Per coloro i quali grazie all’occupazione remunerata sono usciti dal programma, l’indennità costituisce un premio; per quanti nonostante l’ottenimento di un’occupazione remunerata siano
ancora nel programma l’indennità si configura come un in-work benefit.
Naturalmente quanto finora illustrato è percorribile nel caso in cui il beneficiario trovi
un’occupazione regolare durante il periodo di percepimento del trasferimento. Occorre però
prevedere, e dunque impedire, la possibilità di erogare il Reis in aggiunta ad un’occupazione
continuativa nel sommerso. Rispetto a questa questione si rimanda a quanto già esposto nel paragrafo sulla condizionalità.
Pagina 18
6. IL WELFARE DEI SERVIZI (II)
TABELLA 6 - GLI INCENTIVI AL LAVORO
Tipologie possibili
1. creazione diretta di
posti di lavoro nel settore
pubblico
2. incentivi/sgravi alle
imprese che assumono
Previsti nel Reis
No
Sì
(previa stima costi
aggiuntivi e relativa
sostenibilità)
Modalità attuative
Fatta salva la possibilità di lavori di utilità collettiva remunerati con
salario simbolico (one euro jobs)
Incentivi all’assunzione dei beneficiari disoccupati da più di 6 mesi,
sino al 50% dei costi totali del lavoro per un periodo sino a 12 mesi.
Estensione degli incentivi previsti per le assunzioni dei percettori di
ASPI.
a. start-up subsidies
- possibilità di chiedere la liquidazione del contributo al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo/imprenditoriale (possibile
estensione di quanto previsto per ASPI e Mini ASPI dalla legge
92/2012)
3. politiche ‘make work
pay’
Pagina 19
Sì
b. schemi contro la trappola della disoccupazione
- deduzione dei redditi da lavoro (trovato durante il periodo di permanenza nel programma e non prima di tre mesi dall’ammissione)
del 20% e del 10% rispettivamente nel primo e nel secondo anno;
- indennità a fronte di un’occupazione trovata dopo almeno 6 mesi
dall’ingresso nel programma, di importo pari al 15% dell’entità della
prestazione ricevuta prima di trovare impiego (prevista per un anno
al massimo)
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA

L’attuale sistema di interventi pubblici contro la povertà è frantumato in almeno 5 diversi
segmenti scoordinati: 1) interventi INPS per la povertà di anziani e nuclei; 2) detrazioni/deduzioni fiscali, 3) prestazioni istituite da leggi nazionali; 4) riduzioni di costi di servizi;
5) interventi locali di Regioni e Comuni. Un simile sistema – oltre a mancare di equità e generare sprechi - produce una molteplicità di effetti negativi per i potenziali beneficiari, ad esempio l’impossibilità per i più fragili di conoscere tutto ciò che potrebbero richiedere. Inoltre la dispersione delle erogazioni tra più Enti impedisce che per una stessa famiglia si possano compattare le differenti risorse in un progetto organico.

Si propone una transizione al nuovo sistema del REIS che includa una forte ricomposizione
degli attuali interventi ma con una progressione graduale e con la tutela dei diritti acquisiti.
In tal modo, chi già fruisce di interventi al momento del riordino potrà continuare a fruirne,
con una messa a regime del nuovo sistema che eviti drastiche interruzioni di prestazioni o
peggioramento delle protezioni .

Secondo questa logica, al primo avvio del Reis:

Chi riceve assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS continua a
fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a regime. Chi ancora non ne riceve quando si
avvia il REIS, se li richiede nei primi 3 anni può fruirne ma con metodi di valutazione delle
proprie condizioni economiche più equi (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del
reddito, e di tutti i membri del nucleo familiare).

Chi riceve social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità,
contributi per l’affitto, esenzione canone RAI continua a riceverli solo sino alla messa a regime del REIS. Chi non ne riceve quando si avvia il REIS può ricevere soltanto il REIS (peraltro più vantaggioso) se ne ha diritto; in caso contrario può riceverli solo sino alla messa a regime del REIS.

Al momento della messa a regime, per le famiglie in povertà assoluta il REIS sostituirà sia assegni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS, sia le altre prestazioni
nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed elettricità,
contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento richiedano per la prima volta interventi contro la povertà e siano effettivamente sotto le soglie
di povertà assoluta ISTAT potranno fruire solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali
messe in opera da Regioni e Comuni.

La gradualità della transizione consentirà di approfondire i successivi snodi del riordino, evitando cadute di prestazioni, pur modificando a fondo il sistema.
In queste pagine ci si propone di:
descrivere gli interventi attualmente esistenti contro la povertà economica ed evidenziarne le criticità,
che la proposta del REIS intende ridurre;
disegnare come può avvenire la transizione dal sistema attuale sino alla messa a regime del REIS, ricomponendo gli interventi oggi operanti.
Pagina 1
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
7.1 IL SISTEMA ATTUALE CONTRO LA POVERTA’ E I SUOI EFFETTI NEGATIVI
7.1.1 La mappa degli interventi esistenti e dei percorsi per i cittadini
Se osserviamo le prestazioni contro la povertà che consistono in sostegni al reddito, il welfare pubblico
propone oggi interventi scoordinati e frantumati sotto diversi profili: i criteri di accesso, le prestazioni
ricevute, gli Enti che li gestiscono. Ne risulta un sistema di non semplice descrizione né di facile conoscenza per i cittadini. Per ricostruirne una sintetica mappa si possono richiamare i principali interventi
esistenti nel 2013, e i percorsi che deve seguire il cittadino per accedervi:
Le prestazioni assistenziali INPS per la povertà di anziani e nuclei
Comprendono i trasferimenti monetari di natura assistenziale, ossia erogati indipendentemente dai
contributi versati. Tra questi le misure di maggior rilievo sono:
L’assegno sociale (sino al 31/12/1995 denominato “pensione sociale”), che viene erogato sino a un
massimo di 442,29 Euro mensili (per 13 mesi) se il reddito dell’anziano oltre i 65 anni non coniugato
(oppure dell’anziano e del coniuge) è inferiore a una soglia stabilita; dal 2013 l’età crescerà progressivamente sino a raggiungere nel 2018 i 66 anni e 7 mesi. Nella valutazione della condizione economica
non vengono considerati i beni mobiliari ed immobiliari, né i redditi di eventuali altre persone diverse
dal coniuge che compongono il nucleo familiare 13 .
Le integrazioni di pensioni (integrazioni al minimo) e le maggiorazioni sociali: l’integrazione prevede
che se con le pensioni percepite (di invalidità, vecchiaia e per i superstiti, e gli assegni sociali) il reddito dei pensionati resta inferiore a una soglia minima, l’INPS le integra sino a garantire un reddito minimo. Nel 2013:
se il pensionato è solo il reddito deve essere inferiore a 6.440,59 Euro annui; se è coniugato il reddito
della coppia deve essere inferiore a 19.321,38 Euro annui. In questi casi la pensione è integrata per
portarla a 495,43 euro per 13 mesi (6440,59 annui);
se il reddito del pensionato solo è tra 6440,59 Euro e 12.881,18 Euro annui, e quando coniugato il reddito della coppia è tra 19.321,77 Euro e 25.762,35 Euro annui, l’INPS integra con importi più limitati la
pensione.
Oltre questi ultimi limiti di reddito (che sono multipli dell’importo della pensione minima INPS) non è
prevista integrazione. L’integrazione al minimo non si applica alla pensioni calcolate col metodo contributivo. La maggiorazione sociale è un importo mensile aggiuntivo alla pensione, crescente in base
all’età, per chi ha redditi inferiori a soglie definite; per chi ha più di 70 anni (o di 60 se invalido) la
maggiorazione ha anche un “incremento per soggetti disagiati”per portare la pensione a 631,86 Euro
al mese.
Inoltre a chi riceve una pensione derivante da contributi versati (esclusi pertanto pensione o assegno
sociale) e non ha diritto alla maggiorazione sociale può essere erogato, se non supera limiti di reddito
personali e del coniuge, un importo aggiuntivo una tantum alla tredicesima mensilità di 154,94 Euro.
Può anche essere erogata una somma aggiuntiva una volta l’anno (cosiddetta “quattordicesima”) crescente in base ai contributi che sono stati versati dal pensionato, sino a 500 Euro.
Per tutti questi interventi si valuta esclusivamente il reddito dell’anziano e del coniuge, e non viene
considerato il valore dei beni mobiliari ed immobiliari posseduti 14.
13
14
Al 31/12/2011 erano vigenti 136.541 pensioni sociali (con un importo medio mensile di 399 Euro) e 691.259 assegni sociali (con un importo medio di 388 Euro). Fonti : INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it), oppure dati in “Open data INPS” (www.inps.it)
Al 31/12/2011 le pensioni integrate al minimo erano 3,8 milioni (con una spesa stimata nell’intero 2010 di circa 12 miliardi di euro 14 ) e le maggiorazioni sociali erano erogate su 1.185.000 pensioni, per un importo an-
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
Gli assegni al nucleo familiare: per nuclei familiari di lavoratori e pensionati l’INPS eroga un assegno
mensile quando i redditi del nucleo sono inferiori a soglie determinate ogni anno. Si considerano i redditi complessivi assoggettabili all’Irpef (da lavoro e pensione, da immobili, rendite) e i redditi di qualsiasi altra natura (esenti da imposta, soggetti alla ritenuta alla fonte, a imposta sostitutiva). Sono escluse le indennità di accompagnamento e le rendite INAIL quando superano una determinata soglia (che
nel 2012 era di 1.032,91 Euro). Almeno il 70% del reddito familiare deve derivare da lavoro o pensione.
Il percorso di accesso ad assegno sociale, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali implica la presentazione di una richiesta all’INPS, direttamente o tramite un Patronato. Gli assegni al nucleo familiare vanno invece richiesti, se lavoratori dipendenti, al proprio datore di lavoro.
Detrazioni e deduzioni fiscali
Includono anche benefici per persone con redditi inadeguati: in particolare se nell’anno per il quale si
presenta la dichiarazione IRPEF si è abitato in un alloggio in affitto (con contratto registrato) e si dichiara un reddito inferiore ad una soglia definita, si può ottenere una detrazione di circa 400 Euro. Se
la persona non deve versare nulla di IRPEF, perché il reddito posseduto è basso, la detrazione diventa
un accredito ossia un’erogazione monetaria che la persona riceverà.
Per utilizzare questa detrazione è necessario presentare la dichiarazione IRPEF. Una conseguenza per i
cittadini più poveri (e meno autonomi) è la necessità di presentare per questa unica ragione il 730, di
norma tramite un CAF.
Contributi economici istituiti da specifiche leggi nazionali
Questa area di interventi è cresciuta con tratti spesso caotici in particolare negli ultimi 15 anni; tra gli
interventi operanti nel 2013:
La “Carta Acquisti” (o “social card”), che incorpora 40 Euro al mese (ricaricabili ogni due mesi) per acquisti effettuati presso esercizi commerciali abilitati al circuito Mastercard, o per pagare bollette agli
Uffici Postali. 15 Nel 2011 i beneficiari (anziani e minori) sono stati 535.412, per un importo erogato di
207,1 milioni di Euro 16 .
Un contributo (erogato in unica soluzione) se il nucleo ha sostenuto negli anni precedenti spese per
l’affitto dell’abitazione che superano una percentuale definita del suo reddito annuo. Questa misura
deriva dal Fondo Nazionale per il Sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione istituito con la legge
431 del 1998 e si fonda su risorse nazionali che sono state progressivamente molto ridotte. Gli importi
che si possono ricevere dipendono sia dai criteri attuativi regionali che dall’entità del finanziamento
per il bando dell’anno in corso.
Un assegno per nuclei con un nuovo nato (denominato anche “assegno di maternità di base”) e un assegno a nuclei con almeno 3 figli minori di età, che presentino un ISEE inferiore a soglie definite; nel
2013 l’assegno per il nuovo nato è erogato se una famiglia di 3 persone ha un ISEE non superiore a
34.873,24 Euro; quello per i 3 minori se una famiglia di 5 persone ha un ISEE inferiore a 25.108,71 Eu-
nuo di 1,7 miliardi di euro. Sempre nel 2011 circa 1 milione di pensioni ha ricevuto l’assegno aggiuntivo una
tantum (con una spesa di 147 milioni di euro), ed a 2,6 milioni di pensioni è stata erogata la “quattordicesima
mensilità” per oltre 1 miliardo di euro. Fonte: INPS “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it),
15
Nel secondo semestre 2013 si avvia la sperimentazione, in 12 grandi Comuni, della “nuova social card” (attivata con Decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali pubblicato in G. Uff. il 3/5/2013, in attuazione dell’articolo 60 del D. L.
9/2/2012, n. 5, come modificato dalla legge di conversione 4/4/2012, n. 35) che prevede un accesso ai servizi dei Comuni
(che devono anche proporre percorsi di inserimento formativo/lavorativo), un importo più significativo, e una tipologia di
utenza più circoscritta. Questa nuova social card si estenderà anche alle regioni del Mezzogiorno, attraverso la “carta di
inclusione sociale”, che raggiungerà una platea più ampia (170mila persone), rispondente agli stessi criteri della sperimentazione: famiglie con minori e con disagio lavorativo (disoccupati o con remunerazione molto bassa). E partirà entro il
primo bimestre del 2014.
16
INPS: “Bilancio Sociale 2011” (reperibile sul sito www.inps.it)
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
ro. Se nel nucleo sono compresenti sia un nuovo nato che tre minori si possono ricevere entrambi gli
assegni. L’assegno per i 3 minori nel 2013 è di 139,49 Euro mensili per 13 mesi; quello per il nuovo nato è un assegno unico di 1672,65 Euro. 17
L’accesso a queste prestazioni implica percorsi diversi per i cittadini:
a) La Carta acquisti (“social card”) si richiede agli Uffici Postali presentando l’ISEE, e quando concessa
va ritirata sempre agli Uffici Postali. 18
b) Il contributo sull’affitto pagato va richiesto al Comune, ma solo dopo che la Regione attiva il bando
per raccogliere le richieste dell’anno in corso. Il Comune nega o accoglie l’istanza.
c) Gli assegni per il nuovo nato e i 3 figli vanno richiesti dal cittadino presentando l’ISEE ai Comuni di
residenza, i quali accertano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo accoglimento all’INPS, che provvede al pagamento. Molti Comuni hanno affidato tutte le fasi del rapporto
con i cittadini e la gestione delle richieste ai CAF convenzionati.
Riduzioni di tariffe e costi di servizi
Alcuni di questi benefici sono stati introdotti con apposita legge nazionale:
Riduzione di costi di servizi per l’abitazione, come il “bonus gas” (sui consumi di gas dell’abitazione
principale) e il “bonus elettricità” (sui consumi di energia elettrica), che possono produrre una riduzione del costo sino a circa il 20%, in modo variabile in base ai componenti il nucleo familiare, sino a
un massimo (per il 2013) di 242 Euro per i costi del gas, e di 155 Euro per l’energia elettrica. La riduzione del costo del gas opera solo per il metano distribuito in rete.
L’esonero dal pagamento del canone di abbonamento alla RAI TV per chi ha compiuto 75 anni entro il
termine di pagamento, non convive con altri soggetti diversi dal coniuge titolare di reddito proprio e
possiede un reddito che (unitamente a quello del proprio coniuge convivente) non è superiore a una
soglia stabilita annualmente. Nel 2013 il limite deve essere inferiore a 6.713.98 Euro, considerando il
solo reddito imponibile ai fini IRPEF (al netto delle detrazioni).
Altre riduzioni sono attivate dai singoli gestori di servizi; ad esempio:
La riduzione del canone Telecom del 50% per nuclei familiari che includano una persona che percepisce la pensione di invalidità civile o la pensione sociale, oppure un anziano di età superiore ai 75 anni,
o il capo famiglia disoccupato. L’ ISEE del nucleo familiare non deve essere superiore a una soglia definita ogni anno.
Anche l’accesso a queste prestazioni richiede percorsi diversi per i cittadini:
I bonus per gas ed elettricità vanno richiesti dal cittadino ai Comuni di residenza presentando l’ISEE; i
Comuni verificano i requisiti per fruirne, respingono la richiesta oppure inviano il suo accoglimento
agli erogatori delle forniture di energia. Anche per questo beneficio molti Comuni hanno affidato tutti i
rapporti con i cittadini e la gestione delle richieste a CAF convenzionati.
Per il canone RAI bisogna spedire la domanda con gli allegati in plico raccomandato all’Agenzia delle
Entrate, oppure consegnare la domanda presso un ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Per il canone Telecom occorre presentare richiesta alla Telecom, seguendo la procedura ogni anno adottata.
17
18
Nel 2011 i beneficiari dell’assegno per i nuovi nati sono stati 143.437; quelli dell’assegno per 3 figli minori
199.944. Dati contenuti nella relazione tecnica del Ministero del Welfare di accompagnamento al DPCM proposto dal Governo per la revisione dell’ISEE (dicembre 2012)
La “nuova social card” in sperimentazione da metà 2013 prevede l’accesso tramite i Comuni
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
Interventi delle Regioni e dei Comuni (o degli Enti che gestiscono i servizi socio assistenziali per conto dei Comuni)
Includono le prestazioni messe in opera dai Comuni, anche sulla scorta di eventuali norme nazionali o
regionali, in genere con spesa non coperta da finanziamenti nazionali specificamente mirati alla singola prestazione. Si articolano in due tipologie principali:
Quasi tutti i Comuni prevedono interventi di assistenza economica: trasferimenti monetari erogati o in
modo continuativo (per innalzare il reddito mensile sino ad un valore minimo finché permangono le
condizioni di povertà) oppure per fronteggiare eventi momentanei e criticità straordinarie. Criteri erogativi ed importi presentano rilevanti differenze e variabilità nei diversi territori, perché dipendono
da eventuali norme regionali sul tema (peraltro molto rare) e/o dalle scelte degli enti gestori locali.
Per l’accesso a queste prestazioni i richiedenti devono di norma presentare una richiesta al servizio
sociale del territorio di residenza.
Riduzioni di tariffe e costi di servizi locali:
riduzioni dei costi trasporti pubblici locali per persone e nuclei con basso reddito.
In molti territori le società fornitrici della rete idrica prevedono un rimborso ai nuclei in difficoltà economica su quanto pagato per la fornitura dell’acqua (c.d. “bonus acqua”).
Opera in molti Comuni una riduzione sulla tassa raccolta rifiuti dell’abitazione principale, in presenza
di difficoltà economiche, nonché esoneri o riduzioni nelle tariffe per le mense scolastiche e dei nidi.
Diversi Comuni prevedono esenzione dal pagamento dell’addizionale comunale IRPEF per chi ha redditi inferiori a soglie definite dal Comune stesso .
Per l’accesso a queste prestazioni di norma i richiedenti devono presentare una richiesta agli uffici delle specifiche amministrazioni o aziende che gestiscono i diversi servizi (trasporti, acqua), od al Comune.
Va ricordato che sono anche presenti altri interventi economici contro la povertà, come quelli che diverse Regioni hanno attivato per famiglie povere con figli (i cosiddetti “bonus bebè”) o la possibilità che era stata avviata nel 2009 - di beneficiare di riduzioni dei costi per cure odontoiatriche presso i
dentisti aderenti ad un accordo tra Ministero del welfare e Associazioni di dentisti. Inoltre soprattutto
nei Comuni possono essere attive altre misure di sostegno del reddito e agevolazione per famiglie con
basso reddito.
Questo scenario di prestazioni e canali di accesso per il cittadino può essere rappresentato nella mappa al grafico 1, che presenta in alto gli interventi operanti a livello nazionale ed in basso quelli locali.
GRAFICO 1
IL CITTADINO DEVE ACCEDERE
Al’INPS o tramite i Patronati
Al datore di lavoro o all’INPS
PER RICHIEDERE
A CHI CHE COSA
INPS
INPS
INTERVENTI
- Assegno sociale
- Integrazione al minimo della pensione
- Maggiorazioni sociali della pensione
Assegni al nucleo familiare
ALI
Pagina 5
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
A Poste Italiane
Al Comune
A RAI e TELECOM, anche
tramite Agenzia delle Entrate
Al Comune, o ai CAF
Ai CAF o al sostituto
d’imposta
INPS
Comune
RAI, TELECOM
Social card (Carta acquisti)
Contributo per l’affitto
pagato in anni precedenti
Riduzione canone e tariffe
Assegni per un nuovo
nato e per 3 figli minori
Sostituto d’imposta
Detrazione IRPEF per
l’affitto pagato
Comune , o gestore
dei servizi sociali
All’Azienda che gestisce
i trasporti locali
Gestore dei trasporti
Al Comune
Riduzione tariffe gas e/o elettriche
Comune/INPS
Al Comune , o al gestore
dei servizi sociali
All’Azienda che gestisce
la fornitura dell’acqua
Pagina 6
Gestore forniture gas e/o
elettriche
Gestore dell’acqua
Comune
Assistenza
economica
Riduzione
tariffe
trasporti urbani
Contributo per il pagamento dell’acqua
Esenzione/riduzione
TARSU e addizionale IRPEF; altre riduzioni o esoneri di tariffe (ad es. nei
idi)
LOCALI
Al Comune, o ai CAF
se previsto dal Comu-
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
Una sintesi di criteri e modalità delle richieste ed interventi è esposta anche nella tabella 1
TABELLA 1. INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITÀ
INTERVENTI A SOSTEGNO DEL REDDITO: MODALITA’
Misura / Intervento:
I criteri per fruirne sono
definiti da norma nazionale
L’intervento si ripete o dura nel
tempo:
La richiesta va presentata entro scadenze rigide:
Assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali INPS
SI
SI
NO
Assegni per il nucleo familiare
SI
SI
NO
Detrazioni fiscali per l’affitto pagato
SI
NO
SI
Contributo per pagare l’affitto
NO (1)
SI
SI
Assegni per i nuovi nati e per 3 figli
minori
SI
NO
SI
Bonus per l’acqua pagata
NO
NO
SI
Assistenza economica
NO
Dipende dai criteri
locali
In genere NO
Carta Acquisti (social card)
SI
SI
NO
Bonus per elettricità e per il gas
SI
SI
NO
Riduzione spese trasporti locali e
scolastiche; esenzioni IRPEF comunale
NO
SI
Dipende dai criteri locali
SI
SI
Con l’intervento il
cittadino ottiene:
Denaro
Riduzione o esonero del canone Tele- SI
com e RAI
NOTE:
Definiti dalle Regioni ma con forti vincoli (finanziari e di merito) nazionali
7.2. GLI EFFETTI NEGATIVI DEL SISTEMA ATTUALE
Lo scenario di interventi contro la povertà sopra descritto presenta almeno queste criticità:
Pagina 7
Riduzione di costi
specifici che deve
sostenere
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
Sono assai diverse tra i vari interventi le componenti fondamentali dei criteri di accesso, che determinano “quanto” e “a chi” si eroga, come le modalità di valutazione delle condizioni economiche dei beneficiari (come si misura la povertà, i “test dei mezzi”), il concetto di “nucleo familiare” sia come beneficiario
(l’erogazione è diretta a tutto il nucleo o solo ad alcuni), sia come produttore di redditi (si valuta la condizione economica di tutti o solo di alcuni). E ciò spesso senza motivazioni ragionevolmente fondate, ma
come conseguenza di scarsa coerenza tra le scelte e gli strumenti utilizzati nelle differenti prestazioni e
politiche.
Il diritto del cittadino a ricevere interventi, ed il conseguente dovere delle amministrazioni a provvedervi, è assai diverso tra le differenti prestazioni:
vi sono interventi (pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, bonus elettricità e gas, assegni per i nuovi nati e i 3 minori) regolati da norme nazionali che ne fissano con
precisione criteri ed esigibilità. Questi interventi dunque:
- hanno criteri di accesso ed erogazione identici in tutta Italia;
sono assimilabili a diritti soggettivi perfetti per il cittadino, esigibili quando il richiedente possiede le
condizioni di accesso, e per i quali l’amministrazione pubblica non può dilazionare o negare
l’erogazione motivandolo con la scarsità di risorse disponibili, pena il ricorso vincente del cittadino alla
Magistratura.
Per altri interventi attivati in sede nazionale, come il contributo per l’affitto, la social card, le riduzioni tariffarie Rai e Telecom, la consistenza dell’intervento e la garanzia di esigibilità dipendono dal variare del
finanziamento previsto e dai criteri (ad esempio per i contributi per l’affitto), regolabili anche con atti
delle Regioni.
Le prestazioni attivate dai Comuni dipendono dalle scelte locali, anche connesse alle disponibilità finanziarie. L’assistenza economica dei Comuni a sostegno del reddito è prevista dalle legge 328/2000 come
uno degli interventi essenziali del sistema dei servizi sociali; in base all’art. 117 della Costituzione i suoi
criteri dovrebbero perciò essere definiti nel contesto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che lo
Stato deve approvare come “diritti sociali minimi” da garantire ovunque19. Al momento, però, lo Stato
non ha definito i LEP per gli interventi di assistenza sociale, e pochissime Regioni hanno normato questa prestazione. Ne consegue che le prestazioni di assistenza economica dei Comuni:
sono in genere definite con scelte esclusivamente locali (dei Comuni e loro Enti gestori), e sono perciò
molto differenti nei diversi territori;
non costituiscono per il cittadino un “diritto esigibile”, perché le prestazioni possono essere facilmente
modificate dagli Enti locali, anche a seguito della riduzione delle loro risorse finanziarie.
Nel sistema attuale per il sostegno del reddito quindi, oltre ai bonus energia ed agli assegni per i nuovi
nati e i 3 figli minori, l’unico segmento che presenta le caratteristiche di diritto esigibile è quello degli assegni sociali e integrazioni al minimo INPS. Tuttavia questi, come si è detto, sono anche gli interventi erogati con criteri meno mirati alle famiglie povere e dunque meno equi.
Il mix delle prestazioni contro la povertà, lungi dal presentarsi come un sistema organico di offerte, si
connota come un coacervo di prestazioni scoordinate. Ed alcune misure (come il bonus elettricità e gas,
il contributo per l’affitto, le riduzioni Telecom e RAI, gli assegni per i figli minori) possono essere richieste solo entro specifiche finestre temporali durante l’anno. Ne derivano almeno queste conseguenze:
Questo sistema implica che i poveri siano “costantemente competenti”, sempre ben informati sul mix di
prestazioni che possono richiedere, sul luogo al quale rivolgersi, e sulle scadenze entro le quali presentare le diverse richieste. Comporta inoltre che possano recarsi in diverse sedi (Comune, CAF, INPS, etc.) in
diversi periodi e sappiano produrre in ciascuna la documentazione necessaria. Ed è persino banale constatare come mettere in atto queste capacità sia difficile per i possibili beneficiari più fragili, come gli
19
Si veda al proposito anche il cap. 4
Pagina 8
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
anziani che non hanno familiari o le persone in povertà estrema. Il rischio è perciò che il sistema contro
la povertà non raggiunga proprio quegli utenti che dovrebbero essere il suo target prioritario, e imponga percorsi di accesso tali per cui i più deboli non arrivano nemmeno a richiedere interventi ai quali pure avrebbero diritto e che potrebbero ricevere. Inoltre la frantumazione degli interventi in molti canali di
accesso rende quasi impossibile ai servizi che ricevono cittadini in condizioni di povertà (Comuni o CAF
o associazioni) poter dare informazioni sull’intera gamma delle prestazioni che le persone potrebbero
richiedere. 20
L’avere man mano aggiunto al sistema interventi molto settoriali, invece di muovere verso un sostegno
del reddito più organico e unificato al nucleo, ha generato distorsioni anche interne alla singola prestazione. Ad esempio, il “bonus gas” è fruibile solo da chi utilizza il gas distribuito in rete mentre una famiglia che usa il gas a bombole non può fruirne anche se è povera. E ancora: il fatto di dover presentare la
dichiarazione IRPEF per ottenere una detrazione fiscale per l’affitto obbliga i cittadini più poveri (e
spesso meno autonomi) a presentare per questa unica ragione il 730 (adempimento dal quale in base al
loro reddito sarebbero esentati in quanto “incapienti”), operazione che in genere richiede il supporto di
un CAF, che per questo deve essere pagato.
Ben lontani dalle ipotesi di federalismo, in questo sistema di offerte prevalgono i trasferimenti monetari
dallo Stato al cittadino. Alcuni di essi (bonus elettricità e gas, contributo per l’affitto, assegni per i nuovi
nati o i 3 figli minori), prevedono per i Comuni un ruolo minimale, di mera “agenzia esecutiva locale”
che deve limitarsi a raccogliere le richieste dei cittadini, validarle ed inviarle a chi eroga. Non vi è dunque
traccia di un ruolo di “governo” locale che consenta ai Comuni di costruire organici progetti per la famiglia in povertà connettendo in modo coordinato tutte le risorse possibili.
Il fatto che le erogazioni a sostegno del reddito siano disperse in molti flussi, gestiti da diversi enti, impedisce non solo che per la stessa famiglia si possano compattare in una offerta più organica tutte le risorse, ma anche che si possa fornire (quando è necessario) un aiuto per usare il denaro nelle esigenze
primarie e per mantenere beni essenziali. Un tipico esempio di questa situazione si ha quando persone
di grande fragilità rischiano di perdere la casa perché non sono in grado di utilizzare i contributi economici ricevuti per il pagamento costante dell’affitto. E questo supporto “per la gestione” delle risorse non
può che essere esercitato dai servizi più vicini al cittadino, quelli comunali. 21
La presenza di diversi interventi gestiti da soggetti differenti produce costi moltiplicativi del welfare
pubblico che sono assorbiti dalle spese di mera organizzazione, poiché ogni gestore deve attivare (e poi
mantenere) il suo specifico sistema di erogazione. Molte delle misure elencate implicano investimenti
per la messa in opera, nonché spese correnti per mantenere la gestione. E ciò accade sia a livello nazionale (ad esempio per i sistemi gestionali delle carte acquisti, per le riduzioni tariffarie di elettricità e gas e
per gli assegni per i figli minori), che entro gli Enti locali (personale e organizzazioni dedicate, collaborazioni con i Caf); e sono spese che si moltiplicano quanto più occorre gestire processi erogativi forzatamente diversi e non unificabili.
Molti dei luoghi di accesso per la famiglia che richiede interventi contro la povertà sono rappresentati da
sportelli con funzioni esclusivamente amministrative. Gli sportelli INPS, i Patronati e i CAF svolgono di
fatto l’unico ruolo di verificare le condizioni di accessibilità alla prestazione sotto il profilo amministrativo, ricevendo la dichiarazione del cittadino sulle proprie condizioni economiche e attivando l’intervento
conseguente (assegno sociale, bonus gas/energia, assegno per il nuovo nato e/o i tre minori nel nucleo). In queste circostanze La famiglia povera ha quindi accesso solo a luoghi che non possono svolgere
anche le funzioni di:
20
21
Una proposta specifica per ridurre questa criticità è presentata nell’allegato A al capitolo 8
In proposito è sempre utile ricordare Amartya Sen, 2000: il denaro è solo uno strumento per gestire bisogni, ossia occorre che chi lo riceve possa trasformare le “risorse” in “funzionamenti concreti” per vivere con libertà dai
bisogni. Dunque una lotta alla povertà che si limita a fornire denaro, e che trascura i sostegni per fronteggiare
l’eventuale incapacità di usarlo, rischia di essere miope e monca per i più fragili.
Pagina 9
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
informare sull’intera gamma di possibili altri interventi contro la povertà che potrebbe ricevere, anche
se in sedi diverse; 22
valutare eventuali altri problemi sociali presenti, ad esempio rischio di sfratto, esigenze di potenziare le
capacità per non aggravare la povertà, fragilità che rischiano di far sprecare il sostegno economico (ad
esempio alcoolismo o presenza di disabilità).
attivare, quando occorre, oltre all’erogazione monetaria anche una presa in carico più articolata dei problemi del nucleo, ed anche poter proporre percorsi/progetti di inserimento sociale oltre al contributo in
denaro .
La povertà si connota spesso come una spirale di esclusione: a causa della perdita del lavoro e delle difficoltà economiche si perde la casa per sfratto, si peggiorano le possibilità di crescita ed occupazione qualificata dei figli, e così via. La povertà dunque richiede di essere fronteggiata con pacchetti articolati, che
contengano diversi interventi e sappiano offrire “non solo denaro”, ma soluzioni coordinate a problemi
vitali diversi (il reddito, l’abitazione, l’emancipazione tramite attività lavorative)23. Per contro le politiche
sociali italiane sono governate da normative nazionali interne solo alla singola politica (casa, lavoro, sanità, previdenza), ed è quasi del tutto assente sul piano normativo l’adozione di dispositivi che coordinino misure erogative connettendo più politiche. Ne deriva che interventi più organici e multidimensionali, ossia cercare di offrire “non solo denaro”, vanno costruiti quasi esclusivamente con iniziative locali;
tocca oggi di fatto ai Comuni l’arduo compito di tentare di compattare politiche costruite come separate
alla fonte, e peraltro senza che i Comuni possano utilizzare tutte le risorse pubbliche per l’assistenza.
Pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni delle pensioni, erogate dall’INPS, sono
le più diffuse prestazioni nazionali contro la povertà economica (sebbene solo per gli anziani) e rappresentano la maggior spesa pubblica in materia di assistenza sociale24. Tuttavia sono erogate non solo a
poveri, e producono quindi effetti redistributivi gravemente distorti: una elaborazione sui bilanci delle
famiglie rilevati dall’ISTAT, che divide per decili le famiglie in base al loro reddito, segnala che la metà più
ricca delle famiglie italiane fruisce del 24,2% delle pensioni sociali/assegni sociali, che sono prestazioni
che dovrebbero invece essere riservate al contrasto della povertà 25. Per erogare questi interventi infatti
viene valutata una “strana povertà”, perché si considera: a) solo la condizione economica del richiedente
e del suo coniuge, e non di altri componenti il nucleo familiare; b) solo il reddito e non il valore dei beni
mobiliari ed immobiliari posseduti. Questa disfunzionalità, anche se riguarda il livello macro del sistema
contro la povertà, non è meno importante delle altre per le distorsioni che produce anche nella spesa.
7.3 COSA SIGNIFICA RICOMPORRE UN SISTEMA FRAMMENTATO?
Nel dibattito sulle politiche contro la povertà, la ricomposizione è argomento particolarmente complesso
e, più di altri, presta il fianco a fraintendimenti e strumentalizzazioni. La ragione risiede nella natura
stessa della ricomposizione, che di fatto costituisce un nodo al crocevia tra una varietà di temi differenti.
Si pensi ad una frase che ogni osservatore o operatore del welfare sottoscriverebbe: “bisogna ricomporre le numerose prestazioni oggi rivolte alle famiglie in povertà in un’unica misura nazionale, che costituisca un diritto per tutti coloro i quali vivono tale condizione”. Nel pronunciarla si possono sottinten-
22
La proposta che si presenta in questo testo punta anche a prevedere che i luoghi nei quali il cittadino richiede
prestazioni contro la povertà, incluso il REIS, possano informare su tutte le misure delle quali la famiglia potrebbe fruire, nonché raccordarsi con i servizi sociali locali. Sul punto si veda il capitolo 5 .
23
Si vedano al proposito i capitoli 5 e 6
Circa 16 miliardi di euro nel 2010, a fronte di 8,6 miliardi dell’intera spesa dei Comuni sia per servizi che in trasferimenti monetari. Fonte: IRS, 2011.
Ibidem, pagina 20
24
25
Pagina 10
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
dere almeno sette obiettivi diversi: più equità orizzontale26 (a differenza di oggi, ogni famiglia in povertà
deve ricevere il medesimo trattamento dal sistema pubblico), più equità verticale (il sistema di welfare
italiano deve sostenere maggiormente chi sta peggio, cioè le famiglie povere), maggiore accessibilità (una sola misura contro la povertà significa maggiore semplicità e chiarezza, rendendo così più facile per
persone con bassi livelli d’istruzione e ridotte competenze relazionali richiederla e riceverla), introduzione di un livello essenziale (la ricomposizione deve portare con sé la definizione di un diritto rivolto a
tutte le famiglie povere), incremento di efficacia (le risorse pubbliche oggi destinate alla povertà devono
essere impiegate meglio), crescita di spesa pubblica (per coprire tutti i poveri alla ricomposizione delle
risorse esistenti se ne devono aggiungere ulteriori), redistribuzione della spesa sociale come strategia
del finanziamento (assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali non devono essere
più fornite a chi non è povero: con le risorse risparmiate si può finanziare la lotta alla povertà), decentramento delle risorse (ricomporre la spesa significa incrementarne la parte a disposizione del welfare
territoriali). Alcuni di questi obiettivi sono compatibili tra loro, altri meno, certamente il campo di attenzione è ampio. Inoltre, comune a tutti è il tema della transizione, cioè come passare gradualmente dal
contesto attuale al REIS, tema particolarmente impegnativo in una realtà che coniuga la complessiva
scarsità dello sforzo contro la povertà alla presenza di molteplici prestazioni con criteri di accesso differenziati.
Se così è, prima di dettagliare le proposte per la ricomposizione, è opportuno precisare le coordinate della proposta del REIS. Intanto, alcuni obiettivi richiamati sopra vengono fatti propri dalla proposta ma non
sono discussi in questo capitolo 27 , dove ci si concentra sulla ricomposizione in senso stretto, cioè su
come passare da una varietà di misure contro la povertà ad una sola. Dentro una simile prospettiva, il ragionamento che segue ha tre punti fermi:
Un’unica prestazione per ogni nucleo in povertà assoluta. Infatti, alla fine della transizione, per tutte le
famiglie in povertà assoluta deve esistere solo il REIS e la condizione di povertà deve essere affrontata
esclusivamente attraverso questa misura nazionale mirata al sostegno del reddito, ferme restando le possibili integrazioni economiche attivate dai governi locali.
Tutela dei diritti acquisiti e gradualità della transizione. Va previsto che chi già fruisce di interventi al
momento del riordino possa continuare a fruirne, facendo avviare il nuovo sistema in modo graduale ed
evitando di peggiorare le condizioni di alcuno.
Separazione tra il tema della ricomposizione e quello del finanziamento. I due argomenti vengono affrontati autonomamente l’uno dall’altro, concentrandosi separatamente sulle specificità di ognuno28 (il
finanziamento è discusso nel capitolo 9).
26
27
28
L’equità orizzontale consiste nella capacità di tutelare allo stesso modo individui/famiglie nelle medesime condizioni mentre quella verticale riguarda la capacità di tutelare in modo peculiare le famiglie in condizioni di maggiore difficoltà.
L’importanza dell’equità verticale e dell’efficacia nello sforzo pubblico è insita nel disegno della proposta, in merito a come rendere accessibile il Reis si vedano i cap 5 e 6, su decentramento e livelli essenziali il capitolo 4,
sulla necessità di maggiore spesa pubblica il capitolo 9.
Si tratta di una differenza con il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e
degli interventi socioassistenziali”, richiamato nel cap. 1, che affronta i temi congiuntamente. Mentre quel progetto predilige la redistribuzione interna alla spesa sociale come strategia di finanziamento, questo considera un
insieme di opzioni differenti.
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
7.4 LA TRANSIZIONE AL NUOVO SISTEMA E LE TAPPE DEL RIORDINO
7.4.1 Nel periodo di transizione sino alla messa a regime del REIS
Allo scopo di offrire la massima tutela ai possibili beneficiari, il percorso d’introduzione del REIS è caratterizzato da gradualità. Nei primi tre anni vengono compiuti una serie di passi intermedi, che a partire
dal quarto portano alla complessiva ricomposizione del sistema. Il REIS pertanto, opererebbe a pieno
regime al quarto anno dal suo avvio, come descritto al capitolo 10. La transizione può essere così disegnata:
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
La logica della transizione
Per gli assegni sociali, integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali INPS :
Chi già li riceve al primo avvio del REIS continua a fruirne, sia nei primi tre anni che dopo la messa a regime del REIS, purché restino vive le condizioni per riceverli. Può ricevere anche il REIS se il nucleo ne
ha i requisiti, e nella misura utile ad integrare le altre prestazioni.
Chi non ne riceve quando si avvia il REIS se li richiede nei primi 3 anni può fruirne, anche proseguendo
dopo la messa a regime del REIS, purché permangano le condizioni per riceverli. Ai nuovi interventi di
questo tipo attivati dopo il primo avvio del REIS si applicano subito modalità più eque di valutazione delle condizioni economiche dei richiedenti (valutazione del valore dei patrimoni oltre che del reddito, e di
tutti i membri del nucleo familiare29). Dovrà essere approfondito il meccanismo da adottare per queste
nuova modalità di valutazione della condizione economica del nucleo familiare, ricercandone la maggior
coerenza possibile con il meccanismo del REIS. I nuclei possono chiedere anche il REIS, sia nei primi 3
anni che a regime, se hanno i requisiti e nella misura che integra le altre prestazioni.
Per gli altri interventi nazionali contro la povertà (social card, assegno per il primo figlio 30 o per 3 minori, bonus gas ed elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI):
chi già li percepisce al primo avvio del REIS continua a fruirne solo sino alla messa a regime del REIS.
Può ricevere anche il REIS se il nucleo ha i requisiti per accedervi e nella misura utile per integrare le altre prestazioni. Può decidere se optare per il REIS rinunciando alle altre prestazioni.
chi non ne riceve quando si avvia il REIS può beneficiare soltanto del REIS (che peraltro è più vantaggioso) se il nucleo ne ha i requisiti in base alle soglie di accesso del momento. In caso contrario può riceverli solo sino alla messa a regime del REIS. Poiché le soglie di accessibilità al REIS crescono nei primi 3 anni (come previsto al capitolo 10) progressivamente si riduce la platea di nuclei che per la prima volta
fruisce di questi attuali interventi al posto della nuova misura.
Per le famiglie che sono sotto la soglia di povertà assoluta, al momento della messa a regime del REIS
questo intervento sostituirà sia assegni sociali / integrazioni al minimo / maggiorazioni sociali INPS,
sia le altre prestazioni nazionali (social card, assegno per il primo figlio o per tre minori, bonus gas ed
elettricità, contributi per l’affitto, esenzione canone RAI). Persone e famiglie che da quel momento richiedano per la prima volta interventi per affrontare la loro condizione di povertà assoluta potranno fruire solo del REIS, più le eventuali integrazioni locali attivate da Regioni e Comuni.
Esempi concreti
Alcuni esempi di questa transizione, illustrata anche nella tabella 2 e nel grafico 2, possono essere i seguenti. Questi esempi, come anticipato, riguardano esclusivamente famiglie in povertà assoluta.
Una famiglia composta da due anziani che all’avvio del REIS già ricevono assegno sociale e integrazioni/maggiorazioni INPS, ed anche bonus energia e contributi per l’affitto:
Questo riordino, oltre a rendere più eque e mirate ai veri poveri queste prestazioni, produce progressivi risparmi perché si riducono tra i beneficiari le famiglie non povere, risparmi che possono essere dirottati sul REIS.
30 L’assegno per il primo figlio, anche denominato “di maternità di base” è regolato dalla legge 448/1998, art. 66, e
dal D.Lgs. 26/3/2001, n. 151, art. 74), ed è corrisposto alle madri (o donne che hanno adottato) che non beneficiano del trattamento previdenziale della indennità di maternità. Tuttavia qualora beneficino di indennità di maternità (o trattamenti economici assimilabili) questo assegno può comunque essere erogato se l’ISEE del nucleo
è inferiore alle soglie previste, ed in un importo pari alla differenza tra quanto ricevono come indennità di maternità e l’importo previsto per l’assegno. Si tratta dunque di un intervento che è un mix di “sostituzione di indennità di maternità non percepite” e di “erogazione a causa della povertà del nucleo”. E questo secondo aspetto
è prevalente, perché in ogni caso per erogare l’assegno e determinarne l’importo non si considera solo la madre,
ma l’ISEE di tutto il nucleo, ossia reddito e patrimoni di tutti i conviventi. Dunque non è una misura costruita e
dimensionata solo sull’evento “maternità”, ma (soprattutto) sulla condizione “povertà dell’intero nucleo” anche
chi percepisce indennità di maternità può ricevere questo assegno, sempre valutando l’ISEE di tutto il nucleo
29
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7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può avere anche il REIS se ne
ha i requisiti, per integrare quanto già percepisce sino all’importo del REIS.
Alla messa a regime del REIS cessa di percepire bonus energia e contributo per l’affitto, continua a ricevere le prestazioni INPS e può avere anche il REIS se ne ha i requisiti, per integrare quanto già riceve sino all’importo del REIS. Le somme erogate come bonus energia e contributo per l’affitto vengono sostituite (ed anzi aumentate) dal REIS.
Una famiglia composta da due genitori e tre minori che all’avvio del REIS già fruisce dell’assegno per il
nuovo nato, per i tre figli minori e della carta acquisti (social card):
Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere questi interventi, e può ottenere anche il REIS se
ne ha i requisiti, nella misura utile per integrare quanto già riceve.
Alla messa a regime del REIS cessano gli altri interventi: il nucleo può ricevere solo il REIS se ne ha i requisiti. Quanto percepiva è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS.
Una famiglia con un anziano e con due adulti, nella quale all’avvio del REIS l’unica prestazione fruita sia
l’assegno sociale per l’anziano:
Nei primi 3 anni dall’avvio del REIS continua a ricevere l’assegno sociale. Se non ha i requisiti per il REIS
può fruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi per l’affitto,
etc). Se invece li possiede può ricevere solo il REIS, per integrare l’assegno sociale sino all’importo del
REIS per il nucleo, sicuramente maggiore del mix delle altre prestazioni.
Alla messa a regime del REIS cessano gli eventuali interventi diversi dall’assegno sociale, che invece prosegue. La famiglia può ricevere il REIS se ne ha i requisiti. Quanto percepiva dalle prestazioni diverse
dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi aumentato) dal REIS.
Una famiglia con un anziano, due adulti e tre minori che all’avvio del REIS non fruisce di alcun intervento:
Nei primi 3 anni del REIS può ricevere assegno sociale (e integrazioni/ maggiorazioni INPS) per
l’anziano. Può usufruire anche degli altri interventi nazionali (bonus energia, carta acquisti, contributi
per l’affitto, assegno per il nuovo nato e i tre minori) se non ha i requisiti per il REIS; in caso contrario
ottiene il REIS.
Alla messa a regime del REIS continua a fruire dell’assegno sociale se è stato richiesto nei 3 anni precedenti. Riceve il REIS al posto degli altri interventi, nell’importo utile per integrare l’assegno sociale.
Quanto percepiva dalle prestazioni diverse dall’assegno sociale è sostituito (ed anzi sicuramente aumentato) dal REIS.
Famiglie di due anziani e un adulto, oppure con adulti e minori, che non fruiscono di alcun intervento
quando il REIS viene messo a regime (ossia sono nuclei che cadono in povertà dopo quel momento), se
sono sotto le soglie ISTAT di povertà assoluta possono ricevere solo il REIS, entro il quale sono ricomposti tutti gli interventi.
La Tabella 2 schematizza che cosa accade nella transizione ed a regime
Pagina 14
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
TABELLA 2 – IL PERIODO DI TRANSIZIONE E QUELLO DI MESSA A REGIME DEL REIS
ALLE PERSONE E NUCLEI CHE
ALL’AVVIO DEL REIS:
Non ricevono dall’INPS assegni
sociali, integrazioni al minimo,
maggiorazioni sociali
CHE COSA ACCADE:
NEI PRIMI 3 ANNI DALL’AVVIO DEL REIS
A REGIME, AL QUARTO
ANNO DEL REIS
Se li richiedono in questo periodo possono fruirne.
Sin dall’avvio del REIS i nuovi interventi di questo tipo vengono erogati con criteri più equi: si valuta sia
il reddito che il valore dei patrimoni, e di tutti i
membri del nucleo. Possono ricevere anche il REIS
se il nucleo ne ha i requisiti, nella misura utile per
integrare le prestazioni INPS
Continuano a fruirne purché restino vive le condizioni per riceverli. E possono ottenere il REIS se utile
per integrare quanto continuano a ricevere
Se non li hanno richiesti sino a questo momento e il
nucleo è sotto le soglie di
povertà assoluta possono
chiedere e ricevere solo il
REIS
Non ricevono altri interventi nazionali contro la povertà (social
card, assegni per il nuovo nato e
i 3 figli minori, bonus gas ed energia, contributo per l’affitto,
esenzione canone RAI)
Se li richiedono in questo periodo:
1) Se non possono fruire del REIS li riceveranno sino
alla messa a regime del REIS. Possono ottenere anche il REIS se ne hanno i requisiti, e per integrare
quanto ricevono
2) Ricevono invece solo il REIS se hanno le condizioni per potervi accedere
Possono fruire solo del REIS
e gli altri interventi vengono eliminati
Già ricevono dall’INPS assegni
sociali, integrazioni al minimo,
maggiorazioni sociali
Continuano a fruirne, purché restino vive le condizioni per riceverli all’avvio dell’erogazione. Possono
ricevere anche il REIS se il nucleo ne ha i requisiti,
nella misura utile per integrare le prestazioni INPS
Continuano a fruirne, purché restino vive le condizioni per riceverli. Possono
ottenere anche il REIS se
utile per integrare quanto
continuano a ricevere
Già ricevono altri interventi nazionali contro la povertà (elencati due righe sopra)
Continuano a fruirne, se restano vive le condizioni
per riceverli, sino alla messa a regime del REIS. Possono ricevere anche il REIS se ne hanno i requisiti,
per integrare le altre prestazioni
Possono fruire solo del REIS
e gli altri interventi vengono eliminati
7.4.2 La ricomposizione degli interventi a regime
A regime dunque il REIS:
Per tutti i nuclei familiari che sono sotto le soglie di povertà assoluta ISTAT sostituisce e ricomprende: assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni e loro maggiorazioni sociali, assegni alle famiglie con
nuovo nato e/o tre figli minori, carta acquisti, contributi per affitti pagati (ex legge 431/98), bonus gas
ed energia, esenzione del canone RAI. Ossia tutti gli interventi nazionali erogati ai nuclei familiari per
ridurne la povertà economica.
Non ricomprende i seguenti interventi, che continuano ad essere erogati come attualmente:
Assegni al nucleo familiare e prestazioni legate a requisiti contribuitivi (anche minimi), come le indennità di disoccupazione o gli assegni ordinari di invalidità.
I trasferimenti monetari erogati in base ad una condizione di limitazione dell’autosufficienza personale,
come le indennità di accompagnamento, le pensioni di invalidità civile/assegni di invalidità (nelle loro di-
Pagina 15
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
verse articolazioni, anche se concesse previa valutazione della condizione economica dei beneficiari), le
rendite INAIL.
Vale la pena sottolineare, infatti, che il REIS mira a combattere la povertà assoluta e non va confuso con
altri interventi contro i rischi di impoverimento. La seconda condizione è diversa dalla prima quando le
famiglie che si impoveriscono, a differenza dei beneficiari del REIS, non scendono sotto la soglia di povertà. Ciò che può farle scivolare verso l’indigenza è il sopraggiungere di un evento critico al quale non
venga fornita adeguata risposta, come la perdita dell’occupazione di uno o più membri, oppure forti spese connesse all’affitto dell’abitazione, o per la crescita ed educazione dei figli. Ma il REIS non può sostituire tutte le altre politiche sociali, come quelle dirette alla promozione del lavoro, alla risposta ai problemi
abitativi, a facilitare l’inserimento scolastico; e all’interno di ciascuna di queste politiche devono essere
presenti specifici meccanismi di tutela per i più fragili e poveri.
Anche il farsi carico di un familiare fragile o non autosufficiente può avviare la famiglia verso una spirale di impoverimento (basti pensare alle elevate rette per l’inserimento in strutture residenziali, o ai costi
per garantire una consistente assistenza al domicilio), ma il REIS non va confuso con le prestazioni a sostegno della non autosufficienza. Non vi è dubbio che fronteggiare la perdita di autonomia di un familiare implichi anche l’impiego di non poche risorse economiche del nucleo, specialmente dove la rete dei
servizi pubblici è più carente. Ma questi bisogni devono trovare risposta tramite altre politiche, che siano appositamente finalizzate a sviluppare le prestazioni per la non autosufficienza ed a supportare le
famiglie che devono con essa misurarsi, con una rete di misure che siano pensate in modo sistematico e
coordinato, dal potenziamento dei servizi e del lavoro di cura sino a sostegni economici mirati per le famiglie, che vanno finalizzati in modo specifico a favorire i sostegni per la non autosufficienza:
l’introduzione del REIS non rappresenta di certo l’unica riforma di cui il welfare italiano ha urgenza . 31
Tra gli interventi contro la povertà sono oggi in atto, come si è detto, anche erogazioni monetarie assistenziali locali. Nello sviluppo del REIS, che diventa una prestazione nazionale per garantire un reddito
minimo del nucleo familiare, Regioni e Comuni possono continuare a mettere in campo eventuali altri
interventi che servano ad innalzare ulteriormente questo reddito minimo. Dunque gli interventi locali,
come l’assistenza economica dei Comuni, vengono “naturalmente” assorbiti nel sistema del REIS, nel
senso che saranno erogati se Regioni e Comuni decideranno di integrare ulteriormente il reddito garantito con il REIS, anche quando questa misura sarà a regime. La proposta del REIS punta infatti a riordinare e potenziare il sostegno economico nazionale alla povertà assoluta, in modo da renderlo più solido e
complementare sia ad altre politiche nazionali di contrasto della povertà (ad esempio nel settore
dell’abitazione e delle politiche attive del lavoro), sia alle iniziative locali. Questi orizzonti della proposta
sono più ampiamente presentati nel capitolo 1.
L’itinerario della transizione e il percorso per ricomporre entro il REIS le prestazioni già esistenti vengono descritti anche nel grafico 2
31
Iniziative e proposte per sviluppare le reti del welfare per la non autosufficienza stanno per fortuna crescendo.
Ad esempio, considerando che spesso una rilevante spesa dei familiari di un non autosufficiente è destinata alla
retribuzione di lavoratori al domicilio (le cosiddette “badanti”), un’utile analisi delle esperienze di Regioni ed Enti
Locali per supportare il lavoro di cura al domicilio, e una rassegna di proposte per riordinare le politiche a questo scopo, è in S. Pasquinelli e G. Rusmini, 2013.
Pagina 16
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
GRAFICO 2 – ITINERARIO DELLA TRANSIZIONE E PERCORSO DI RICOMPOSIZIONE DEL REIS.
Persone/Famiglie
all’avvio del REIS
Non ricevono
Assegni
sociali,
integrazioni
al
minimo INPS e
maggiorazioni
A REGIME AL QUARTO ANNO DEL REIS
NEI PRIMI 3 ANNI DEL REIS
Possono
fruire degli
interventi
INPS
con
nuovi criteri
(NOTA
2). E ricevere anche
REIS se in-
Già ricevono
Altri
interventi
nazionali contro la
povertà (NOTA 1)
Se non richiesti
sino a questo
momento, e se
il nucleo è sotto
le soglie di povertà assoluta
possono ricevere solo il
REIS
Pagina 17
Assegni
sociali,
integrazioni
al
minimo INPS e
maggiorazioni
Hanno i requisiti per il
REIS?
NO
SI
Possono fruire dei vari interventi contro la povertà;
e ricevere anche REIS se
integra
Continuano a
fruire di questi
interventi;
possono ricevere
anche
REIS se inte-
che
Ricevono
solo
il
REIS
Ricevono
solo
il
REIS
Continuano
a fruire di
questi interventi. E possono ricevere
anche
REIS se integra
Altri
interventi
nazionali contro la
povertà (NOTA 1)
Continuano
a fruire di
questi interventi. E possono ricevere
anche
REIS se integra
Ricevono
solo
il
REIS
7. LA RICOMPOSIZIONE DEL SISTEMA
7.4.3 Problemi da valutare e momenti critici della transizione
Quando cessa la possibilità di fruire di precedenti interventi e sorge l’obbligo di usare invece il REIS, è
essenziale che questa transizione forzata non sia penalizzante per gli utenti. E’ prevedibile che ciò non
accada per chi riceve social card, assegni per il nuovo nato e i 3 figli minori, bonus gas ed energia, contributo per l’affitto, esenzione canone RAI, perché l’erogazione tramite il REIS è maggiore del mix di
questi interventi. Potrebbe forse presentarsi la possibilità di lievi riduzioni per gli assegni sociali e le altre prestazioni pensionistiche INPS, solo in quei territori ove la soglia di povertà assoluta dell’ISTAT (valore massimo erogabile con il REIS) sia inferiore all’importo massimo erogabile dall’INPS per tali misure. Questo aspetto dovrà essere approfondito e presidiato nella transizione a regime anche con simulazioni mirate, valutando anche le evoluzioni delle soglie di povertà ISTAT nei diversi territori e le loro
convergenze/distanze con gli importi delle prestazioni INPS. Senza tuttavia dimenticare che uno snodo
cruciale del riordino che qui si propone è di traghettare anche queste prestazioni INPS, oggi scarsamente redistributive perché fruite anche da famiglie non povere, entro la logica del REIS, meglio costruito
sulla povertà dell’intero nucleo familiare (valutando sia redditi che patrimoni) e ancorato ai costi della vita diversi nei differenti territori.
I bonus gas ed energia, nonché l’esenzione del canone RAI, dovrebbero essere inclusi nel REIS, sia per la
loro chiara natura di sostegno del reddito sia per evitare al cittadino di peregrinare tra sportelli diversi.
Tuttavia essi non consistono in denaro erogato alle famiglie bensì in riduzioni sulle bollette operate dal
gestore della fornitura. Per ricomprenderle nel REIS sarà dunque necessario compiere una di queste operazioni: considerarle alla stregua di denaro (eliminando i sistemi che imputano gli sconti sulle bollette
e sul canone RAI e calcolandone l’importo come una parte del REIS), oppure prevedere che il servizio
che attiva il REIS possa imputare parte dell’erogazione ad una funzione “trasferimento in denaro” e parte ad una funzione “sconto su bollette” ed ”esenzione canone RAI”.
Pagina 18
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE

Realizzare un efficace Reddito d’inclusione sociale (Reis) richiede tempo e capacità di apportare correzioni e affinamenti, imparando dall’esperienza. Per concorrere a migliorare
l’intervento, monitoraggio e valutazione vanno approntati in modo prospettico. L’impianto
complessivo poggia su quattro capisaldi, interconnessi e con obiettivi in larga parte integrati,
che hanno come oggetto l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia e i suoi componenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo.

Sovraintende l’impianto una snella e autorevole struttura di coordinamento tecnicoscientifico, la Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), da rendere operativa e da dotare di risorse ad hoc prima dell’avvio dell’intervento. La SUV opera in autonomia per definire il processo
di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis e per assicurare
l’interconnessione fra i quattro capisaldi e la coerenza dell’insieme delle attività di osservazione/documentazione/valutazione.

Il primo caposaldo è l’osservazione continua di una sessantina di Ambiti-sentinella per
l’analisi di implementazione del Reis, per (i) identificare inadeguatezze nelle modalità
dell’intervento, in vista di porvi rimedio, e per (ii) definire modelli di rilevazione e schemi di
classificazione più affinati dei vari strumenti di attuazione del Reis.

Il secondo caposaldo è la costruzione di un Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e
gli Individui in Difficoltà Economica(SILFIDE), alimentato dagli attori centrali e locali del Reis
e accessibile agli stessi.

Il terzo caposaldo consiste nello svolgimento di indagini campionarie “a due onde”, immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno dopo, sia sui beneficiari del Reis sia sui non
beneficiari che si collochino nella fascia di reddito immediatamente superiore alla soglia di
povertà. Lo scopo è quello di valutare gli effetti dell’intervento sulle condizioni di deprivazione
materiale e sui pattern dei consumi dei poveri.

Il quarto caposaldo riguarda il disegno e la realizzazione di una decina di studi-pilota condotti
con esperimento randomizzato (mediante sorteggio dei soggetti trattati in un modo e di quelli
trattati in un altro modo, o non trattati affatto)su più Comuni. Il fine è quello di valutare
l’efficacia di progetti/azioni per le quali appare di particolare interesse adottare modalità di
operare (trattamenti) differenti.

I microdati che risultano dall’insieme di tali attività divengono patrimonio informativo della
comunità dei ricercatori. Pertanto, ragionevolmente protetti rispetto alle esigenze di privacy
con avanzate soluzioni tecnico-informatiche,vengono resi accessibili a tutti gli analisti qualificati per finalità di ricerca.
Pagina 1
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
8.1 UN’INDISPENSABILE PREMESSA: ATTREZZARSI PER IMPARARE
DALL’ESPERIENZA
“Monitoraggio e valutazione” sono un indissolubile, talvolta equivoco binomio, affermato in ogni
provvedimento adottato per contrastare la povertà. Salve poche eccezioni, è tuttavia rimasto allo
stato di enunciazione.
Anche per questa ragione non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare attuazione a
un coerente, crescente impegno sul versante della lotta alla povertà. E c’è da interrogarsi se ci sia,
nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del
problema. Ne è una spia la sciatta disinvoltura con cui nel dibattito pubblico sovente si parla, va1
gamente e indistintamente, di “reddito di cittadinanza” e di “reddito minimo” (garantito, di inse2
rimento, di solidarietà attiva, o – come lo chiamiamo in questa proposta – di inclusione sociale) .
È essenziale, invece, prendere le collegate - ma ben distinte - attività di monitoraggio e di valutazione sul serio, perché le esigenze conoscitive connesse alla progressiva implementazione del
Reis, con gli inevitabili adattamenti in itinere che esso richiederà, non possono essere ignorate,
pena il contribuire al rischio non banale di insuccesso.
Occorre dunque saper imparare davvero dall’esperienza. È questo l’elemento primo, fondamentale, della nostra proposta. Il monitoraggio e la valutazione, pur riguardando ciò che è accaduto, vanno approntati in modo prospettico, in una logica di apprendimento, così da concorrere al miglioramento dell’intervento. Vale forse la pena di aggiungere che le indicazioni che seguono da questa
impostazione non rispondono a istanze accademiche, finalizzate alla ricerca, ma sono funzionali al
processo di costruzione di una policy efficace. Del resto, è questa l’esperienza che ci consegnano
ormai molti paesi, sviluppati e in via di sviluppo. Gurdando a due paesi a noi prossimi, in Francia
l’ultima riforma in tema di reddito minino è rappresentata dal revenu de solidarité active, introdotto nel 2009 dopo una sperimentazione condotta nell’arco di due anni in 34 départements. In Germania, poi, un organico insieme di riforme del mercato del lavoro e della protezione sociale noto
come riforme Hartz (dal nome del presidente della Commissione istruttoria istituita dal governo
federale nel 2002), è stato realizzato dal 2003 al 2005, con l’obbligo – pienamente osservato – di
3
condurre una valutazione dell’implementazione e degli effetti .
In secondo luogo, per rendere evidenti le esigenze conoscitive connesse alla realizzazione di una
riforma di questa portata e di questa complessità, di proposito abbandoniamo il binomio “monitoraggio e valutazione” e preferiamo articolare gli strumenti di indagine in quattro aree. Ciò consente di rendere evidenti le domande, in parte specifiche, alle quali essi mirano a rispondere e, insieme, di mettere in luce come i diversi strumenti di indagine concorrano a finalità conoscitive integrate, di vaglio di un’appropriata realizzazione del Reis e di valutazione dei suoi effetti.
1
Un reddito universale, che garantisce a qualunque persona un trasferimento monetario a prescindere dalle sue
condizioni economiche, slegato da qualsiasi obbligo. Un’ipotesi interessante sul piano della filosofia sociale,
ma largamente impraticabile per ragioni vuoi economiche vuoi di accettabilità sociale.
2Come
ben chiarito nel capitolo introduttivo, si tratta di un intervento informato all’universalismo selettivo, che
consta di un trasferimento monetario il quale integra il reddito familiare fino a una data soglia di povertà.
All’erogazione vengono affiancate azioni di sostegno sociale e, per le persone in condizioni di occupabilità, azioni di attivazione al lavoro sostenute da condizionalità, in una logica di obblighi reciproci.
3
Vedi, rispettivamente, http://fr.wikipedia.org/wiki/Revenu_de_solidarit%C3%A9_active e Martini e Trivellato,
2011, pp. 82-90 e 160-163. Per le esperienze nei paesi in via di sviluppo vedi, tra i molti, Gertler (2011).
Pagina 2
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
8.2 L’IMPIANTO COMPLESSIVO
L’impianto si articola su quattro basilari linee di indagine e fa perno su una snella struttura di coordinamento.
8.2.1 I quattro strumenti di documentazione e di indagine, in sintesi
Per rispondere alle esigenze conoscitive connesse all’implementazione e agli esiti del Reis, organizziamo gli strumenti d’indagine in quattro aree, interconnesse e con obiettivi in larga parte integrati, che hanno come oggetto di osservazione l’Ambito territoriale socio-assistenziale, la famiglia
e i suoi componenti e il progetto di inserimento sociale o lavorativo.
In sintesi, gli strumenti di indagine sono i seguenti.
L’osservazione diretta di una sessantina Ambiti, per l’analisi dell’implementazione del Reis. La domanda alla quale si intende rispondere è se gli Ambiti facciano, o meno, quanto loro richiesto per il
funzionamento della misura – sia al loro interno sia nell’azione di coordinamento degli altri attori
locali – e quali siano gli ostacoli che trovano.
La costruzione di un sistema informativo longitudinale sulle famiglie e gli individui in difficoltà economica, facente capo all’Inps, che risponda a una duplice esigenza. La prima è la corretta gestione dei trasferimenti monetari. La seconda éla documentazione dell’attività degli Ambiti sul terreno dei progetti di inserimento sociale e di attivazione al lavoro, inclusi i loro esiti, con la possibilità per Ambiti e Comuni di avere accesso al sistema informativo. La realizzazione di un tale sistema, correntemente aggiornato, è uno strumento essenziale per rispondere a una molteplicità
di domande per vagliare se e come funziona il Reis (nella gestione della misura nei suoi aspetti
amministrativi e finanziari, nell’attuazione delle azioni attese da parte degli Ambiti – e degli altri
attori locali –, per analisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali, fino a svolgimenti di
analisi di valutazione degli effetti della misura con metodi non-sperimentali).
La conduzione di indagini campionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima
dell’ammissione al Reis e un anno dopo, in circa 60 Ambiti (di massima diversi da quelli del punto
(i)), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nella fascia di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. La domanda alla quale si intende rispondere riguarda i cambiamenti rilevati nella condizione di deprivazione materiale, nel pattern dei consumi e in
altri aspetti riguardanti la normale partecipazione alla vita sociale e la possibilità di valutare gli effetti del Reis al riguardo sulla base del confronto delle differenze nel tempo fra beneficiari e non
beneficiari.
Lo svolgimento di una decina di esperimenti randomizzati su azioni di integrazione sociale o lavorativa, ritenute di preminente interesse e svolte in modo differente in diversi Ambiti. La domanda
alla quale questi esperimenti randomizzati intendono rispondere riguarda la diversa efficacia che
possono avere due interventi con lo stesso obiettivo, ma disegnati e attuati in maniera differente –
si pensi, ad esempio, a due diversi “trattamenti” di orientamento e placement –, in generale o rispetto a particolari categorie di beneficiari.
8.2.2 Una snella struttura di coordinamento
Queste aree di documentazione e indagine richiederanno competenze diverse e saranno quindi
condotte da soggetti diversi. Prima di delineare meno sommariamente alcune caratteristiche salienti delle quattro aree, è essenziale sottolineare che serve una snella, efficace struttura di coordinamento, la quale deve essere operativa ancor prima dell’avvio dell’intervento, appena approvata
la legge. Così come è importante si sia consapevoli che sono necessarie risorse ad hoc, seppur di
entità decisamente modesta (a fronte del costo del Reis), evitando la facile – e fallace – tentazione
della clausola «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica». La valutazione costa, se davvero si
Pagina 3
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
vuole che generi conoscenza per influire sulle decisioni (in proposito si vedano la sez. 8.10 e
l’Appendice B a questo capitolo).
La Struttura Unitaria di Valutazione (SUV), distinta dal Comitato di Gestione (al quale innanzitutto
riferisce: vedi cap. 4), è un agile organismo tecnico-scientifico, che opera in piena autonomia nel
definire e gestire il processo di raccolta dell’evidenza empirica sul funzionamento del Reis. Esso è
composto, di massima, da 5 persone: il Direttore Generale per l’Inclusione e le Politiche Sociali e 4
esperti di valutazione delle politiche sociali, nominati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentite le pertinenti Commissioni parlamentari, sulla base di curricula vitae pubblici acquisiti
a seguito di apposito avviso. I quattro esperti sono impegnati a metà tempo per due anni (rinnovabili per altri tre anni). La SUV elegge al proprio interno, tra gli esperti, il presidente.
Naturalmente, la SUV si avvale della pertinente struttura tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (d’ora in avanti MLPS).
La SUV persegue gli obiettivi conoscitivi nelle quattro aree appena menzionate, secondo le linee
che seguono.
8.3 OSSERVAZIONE CONTINUA DI UNA SESSANTINA DI AMBITI-SENTINELLA PER
L’ANALISI DI IMPLEMENTAZIONE
Questa prima attività va condotta su un campione di circa 60 Ambiti socio-assistenziali, scelti in
maniera ragionata per macroarea geografica e per dimensione. Su questi Ambiti si svolge l’analisi
dell’implementazione del Reis con strumenti di tipo investigativo, ma non ispettivo-sanzionatorio.
Detto altrimenti, l’oggetto è l’osservazione diretta non intrusiva della realizzazione dell’intervento,
muovendo dall’esigenza primaria di sapere che cosa succede realmente negli Ambiti e nei Comuni, andando in profondità e cogliendo quindi, per quanto possibile, il perché di quello che succede
e non succede.
La SUV gestisce direttamente il processo di raccolta delle evidenze, valendosi di massima di 20 collaboratori assunti a tempo pieno determinato mediante annuncio pubblico e valutazione di titoli e
colloquio.
Le domande cruciali ruotano attorno al fatto che gli Ambiti facciano, o meno, quello che devono fare e agli ostacoli che trovano. Si mira innanzitutto ad osservare/stimare:
i modi con i quali avviene la pubblicizzazione del Reis;
gli aspetti operativi e gestionali attinenti all’organizzazione e supervisione delle “porte di accesso”
alla misura (i Comuni che hanno optato anche per un accesso diretto e i CAF/Patronati), delle modalità con le quali avvengono la compilazione e il controllo delle domanda di ammissione;
l’evidenza, per quanto possibile documentata ma anche aneddotica, di falsi positivi e di falsi negativi;
come avviene l’iniziale identificazione (reversibile) delle persone in età attiva e idonee al lavoro e
delle persone che non lo sono;
come avviene la definizione e messa in atto dei progetti di inserimento lavorativo e/o sociale;
se e come è realizzata la condizionalità.
In altre parole, gli obiettivi conoscitivi primari di questa fase riguardano l’impianto di organizzazione e gestione del Reis da parte degli Ambiti socio-assistenziali, i perni su quali si fonda il Reis
nei territori (vedi il cap 4): la verifica della congruità della determinazione dei flussi di trasferimenti monetari (per quanto Ambiti e Comuni vi concorrono) e della messa in atto delle componenti di
Pagina 4
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
servizi e di attivazione. La procedura di osservazione si serve di vari strumenti di rilevazione, sia
predeterminati (check-list, questionari semi-strutturati), sia flessibili (interviste libere, focus
groups, osservazione).
È importante sottolineare che i 60 Ambiti vanno solo osservati, senza l’intento diretto di “affiancarli”; ad essi non viene correntemente offerto alcun feedback. Le lezioni che se ne ricavano, sia in
termini di funzionamento dell’organizzazione e gestione del Reis a livello nazionale che di esigenze di aggiustamento complessivo, vanno veicolate al Comitato di Gestione.
La SUV produce rapporti a cadenza quadrimestrale nel primo anno e semestrale negli anni successivi; elabora inoltre una relazione annuale, entro 12 mesi dall’avvio del Reis e poi ogni anno solare
successivo, sullo stato di avanzamento del programma e sulle difficoltà relative alla sua attuazione.
Dal momento che i rapporti (sia quelli intermedi che la relazione annuale) possono evidenziare
carenze e gettare una luce negativa sugli attuatori della misura, è essenziale che alla SUV venga garantita piena autonomia.
Le ricadute di questa attività di ricognizione continua avvengono in due direzioni: (i) se del caso, il
Comitato di Gestione suggerisce al Ministro l’adozione di ulteriori direttive, volte a porre rimedio
a inadeguatezze nelle modalità dell’intervento; (ii) l’evidenza acquisita porta a definire modelli di
rilevazione e schemi di classificazione dei vari strumenti di attuazione del Reis via via più affinati
(dal controllo delle condizioni di ammissibilità alla classificazione delle modalità di presa di carico e
4
dei progetti di inserimento sociale o lavorativo) .
Completato questo iter, è ragionevole che l’informazione raccolta sugli Ambiti-sentinella venga restituita agli stessi e alle Regioni, in quanto utile a una loro riflessione al livello al quale, rispettivamente, operano.
8.4 COSTRUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO LONGITUDINALE SULLE FAMIGLIE E GLI INDIVIDUI IN DIFFICOLTÀ ECONOMICA
Oggi il sistema informativo di Mlps-Ministero dell’Economia e delle Finanze-Inps è mirato solo
all’erogazione (della Social Card e della Social Card Sperimentale). Con la progressiva realizzazione
del Reis, esso va ridisegnato e potenziato, nella prospettiva della costruzione di un Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica (SILFIDE). La denominazione completa ne suggerisce l’ambito e la portata; l’acronimo segnala l’esigenza che il sistema
informativo sia “amichevole”, utilizzabile in modo agile non solo dal centro per l’erogazione monetaria ma anche, e fortemente, dagli Ambiti e dai Comuni per le loro azioni di attivazione
L’obiettivo è quello di giungere progressivamente a un archivio delle persone vulnerabili: povere,
non più povere e a rischio di povertà. A questo scopo SILFIDE raccoglie e conserva l’informazione
Qualche lume per questa attività di osservazione continua può venire dal monitoraggio del piano nidi e dagli obiettivi
di servizio per i servizi di cura per l’infanzia nelle regioni del Mezzogiorno (vedi rispettivamente
http://www.politichefamiglia.it/documentazione/dossier/piano-straordinario-per-lo-sviluppo-dei-servizi-socioeducativi-per-la-prima-infanzia/il-piano-straordinario.aspx
http://www.officinafamiglia.it/news/in-primo-piano/2013/aprile/monitoraggio-del-pianonidi/ttp://www.dps.tesoro.it/obiettivi_servizio/servizi_infanzia.asp).
4
Occorre tener presente, peraltro, la profonda diversità dei contesti: interventi – quello del piano nidi e dei servizi di
cura per l’infanzia – circoscritti, con target pre-definiti, con indicatori che monitorano il processo di avvicinamento ai
target vs. un intervento complesso e a spettro largo – il Reis –, che non ha target sensatamente definibili a priori e si
confronta con l’esigenza di valutarne gli effetti secondo una logica controfattuale. Un’analogia più calzante, ma, ahimè,
ben poco incoraggiante, è il processo di messa in opera dei servizi per l’impiego (Barbieri et al., 2003; Pirrone e Sestito, 2006; Naticchione e Loriga, 2008; Trivellato, 2011).
Pagina 5
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
su tutte le famiglie che presentano domanda (identificando tutti i loro componenti), siano esse
ammesse o meno al ReIS, incluse le famiglie beneficiarie una volta che siano uscite dalla misura
(almeno per un certo numero di anni, che per i minori coincide con gli anni residui fino alla maggiore età). L’ipotesi è che ricevere, o aver ricevuto o anche solo richiedere, l’erogazione di un reddito minimo sia un indizio di vulnerabilità economica che non si esaurisce nel breve periodo. Per
produrre un quadro esaustivo delle condizioni che portano a condizioni di povertà, SILFIDE integra le informazioni di natura amministrativa prodotte dalla gestione del trasferimento monetario
con informazioni su retribuzione, altri redditi e partecipazione al lavoro, tratte prevalentemente da
altri archivi Inps e fiscali. Vengono infine aggiunte le informazioni fornite dagli Ambiti socioassistenziali sulla classificazione (reversibile) degli utenti – che necessitano solo del sostegno monetario, che sono in età attiva e abili al lavoro, non abili al lavoro che richiedono un supporto per
l’integrazione sociale – e sulle caratteristiche dei progetti di inserimento lavorativo e sociale, nonché sugli esiti degli stessi.
In sintesi, i tratti distintivi di SILFIDE, a regime, possono essere così riassunti.
Rappresenta un sistema informativo integrato, aggiornato correntemente, che, tra l’altro, consente di mettere in rilievo, oltre che l’unità “persona”, anche l’unità (mutevole) “famiglia”.
L’informazione accumulata consente la produzione periodica di rapporti che illustrano la situazione a livello nazionale sui beneficiari, sulla spesa e sull’organizzazione, su realizzazione ed esiti dei
servizi per il lavoro e sociali.
Restituisce alle Regioni, agli Ambiti e ai Comuni l’insieme delle informazioni pertinenti, alla scala
micro e corredato da un primo insieme di elaborazioni standard.
Non è questa la sede per approfondire gli aspetti attinenti all’infrastruttura informatica perché sia
in grado di garantire un’efficace gestione del Reis. Il punto-chiave è che serve un sistema informativo dedicato, per l’ appunto SILFIDE. Organizzato a livello statale ma, nello stesso tempo, offerto
agli Ambiti socio-assistenziali e ai diversi attori locali che concorrono a gestire la prestazione, sia
nella componente passiva che in quella attiva. Le basilari funzionalità che SILFIDE deve fornire attengono quindi alla gestione e al controllo delle richieste di accesso al Reis da parte dei cittadini,
alla tempestiva e congrua erogazione (anche rispetto a variazioni della composizione e delle condizioni della famiglia nel tempo e/o a suoi trasferimenti di residenza), al recepimento delle informazioni fornite dagli Ambiti sui progetti di inserimento lavorativo e sociale e sui loro esiti.
In questa prospettiva, è importante che il sistema sia integrato, cioè a dire organizzato in modo
che i vari operatori abilitati a differenti funzioni (a partire dagli operatori di front-office) siano posti nella condizione di svolgerle in maniera “amichevole” e, soprattutto, evitando inutili, anzi pericolose, duplicazioni di immissione di dati: fonte di errori, incongruenze e lungaggini.
A tale scopo, come già segnalato nel cap. 4, è importante giungere rapidamente a connettere, in
modo strutturale e continuo, il sistema che gestisce il Reis con le anagrafi dei residenti nei Comuni
(o con una corrispondente anagrafe unitaria nazionale). Ciò consentirebbe, tra l’altro, di disporre
correntemente di dati affidabili sul nucleo familiare, quindi di far cessare (o ridurre) automaticamente il Reis in caso di decessi e, più in generale, di adattare l’ammontare del trasferimento monetario a variazioni rilevanti del nucleo, evitando erogazioni monetarie improprie.
Come chiarito nel capitolo iniziale, la realizzazione del Reis comporterà il progressivo assorbimento della miriade di interventi categoriali di contrasto della povertà oggi esistenti. Questa ricomposizione richiederà tuttavia, nella proposta qui presentata, un quadriennio. Non toccherà,
poi, misure con finalità di contrasto di altre specifiche condizioni di disagio (quali la disabilità, la
non autosufficienza e simili), né tantomeno integrative o di emergenza che quasi inevitabilmente
si riveleranno necessarie e graveranno a livello locale. SILFIDE potrebbe utilmente prestarsi anche
a questa ulteriore esigenza, costituendo un portale offerto ai Comuni per migliorare, secondo stan-
Pagina 6
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
dard orientati all’utenza e quindi ragionevolmente uniformi, le informazioni a disposizione dei cittadini: detto altrimenti, garantire che i molti “luoghi” del welfare che incontrano i cittadini poveri
possano informare compiutamente. Quest’ulteriore prospettiva di utilizzo del sistema informativo
5
longitudinale centrale è brevemente delineata nell’Appendice A a questo capitolo.
Come già abbiamo anticipato, se ben disegnato e mantenuto correntemente aggiornato, SILFIDE
può diventare uno strumento essenziale non solo per valutare se e come funziona il Reis (per analisi descrittive dei trend e delle differenze territoriali nel tasso di adesione alla misura da parte delle
famiglie ammissibili, di eventuali trappole della povertà e incentivi perversi), ma anche per valutazioni non sperimentali dei suoi effetti e, ancora, per capire meglio il complesso fenomeno della povertà.
Il Sistema Informativo Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica appena
tratteggiato, di importanza cruciale per il Reis, dovrà naturalmente essere raccordato al meglio
con altre iniziative del Ministero, già in atto, di costruzione/sperimentazione di sistemi informativi nell’area delle politiche sociali: quello degli interventi per le persone non autosufficienti (SINA),
quello sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie (SIMBA) e, soprattutto, quello su
interventi e servizi sociali a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale (SIP). Duplicazioni e/o
carenze di integrazione, infatti, oltre a comportare spreco di risorse, possono compromettere la
stessa qualità, quindi l’utilizzabilità, dei sistemi informativi.
8.5 SUGLI OBIETTIVI CONOSCITIVI DELLA VALUTAZIONE
Prima di procedere a specificare per le due restanti aree gli obiettivi conoscitivi, focalizzati sulla
valutazione degli effetti del Reis, conviene soffermarsi brevemente sul tema della valutazione degli
effetti dell’intervento e su alcune tra le principali variabili-risultato alle quali è naturale guardare
per un programma di reddito minimo.
La valutazione degli effetti dell’intervento va condotta secondo la logica controfattuale. Sebbene il
termine sia entrato nel linguaggio comune di operatori e policy makers, non è inutile spendere
qualche riga per chiarire qual è la definizione controfattuale di effetto. L’effetto di un intervento è
la differenza fra quanto si osserva, su un dato insieme di beneficiari in un dato tempo, in presenza
dell’intervento stesso, e quanto si sarebbe osservato, sugli stesso beneficiari in quello stesso tempo, in sua assenza. È immediato notare che, mentre il primo termine del confronto è osservabile, il
secondo è ipotetico, inosservabile per definizione. Questo risultato ipotetico è definito appunto situazione o risultato “controfattuale”. L’obiettivo della valutazione degli effetti è ricostruire in maniera credibile il controfattuale, detto altrimenti che cosa sarebbe accaduto ai beneficiari in assenza
dell’intervento,e determinare l’effetto per differenza rispetto a ciò che è accaduto.
Nel caso sia fattibile, il metodo preferibile per determinare gli effetti medi di un intervento è la rea6
lizzazione di un esperimento randomizzato , perché garantisce per costruzione (mediante il sor5La
qualifica del sistema informativo come “longitudinale” sta a significare che esso non costituisce una “fotografia” – o una serie di “fotografie” indipendenti l’una dall’altra – dei soggetti presenti nel sistema in vari istanti di tempo (tecnicamente, una sequenza di osservazioni sezionali su popolazioni diverse di soggetti). Esso
è, invece, organizzato in modo da poter collegare tutte le informazioni riferibili a una stessa unità, persona o
famiglia, nel tempo. Il sistema, in altre parole, è in grado di documentare le “storie di vita” di queste unità,
quindi la dinamica che le caratterizza.
6Poniamoci nella semplice situazione in cui siamo interessati a valutare l’effetto di un nuovo trattamento, denominato A (si pensi a un programma integrato di orientamento/formazione breve mirata/placement), rispetto
al trattamento tradizionale (si pensi a un corso lungo di formazione professionale), chiamato B. L’esperimento
randomizzato si caratterizza per il fatto che, definito l’insieme dei soggetti che vi prenderanno parte, essi sono
assegnati al trattamento A, oppure non vi sono assegnati (quindi sono assegnati al trattamento tradizionale B
Pagina 7
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
teggio) l’assenza di differenze sistematiche nelle condizioni di partenza di beneficiari e non beneficiari; in tal modo la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamente dei primi e dei
secondi fornisce la stima dell’effetto. Gli esperimenti randomizzati sono particolarmente appropriati nei casi in cui, a priori, l’effetto dell’intervento sia incerto – sicché l’obiettivo primo è apprendere se esso sia positivo (e quanto), nullo o addirittura negativo – ed è quindi utile provarlo
inizialmente su piccola scala, tramite interventi-pilota. In sostanza, gli esperimenti randomizzati
forniscono risultati robusti e di immediata lettura sugli effetti di specifici interventi-pilota.
In contesti non sperimentali, quale quello fornito da SILFIDE, possono mostrarsi appropriati metodi per contesti osservazionali, di massima combinando metodi di abbinamento statistico (al
gruppo dei beneficiari si abbina, per confrontarlo e stimarne per differenza l’effetto, un gruppo di
non-beneficiari adeguatamente simili ai primi rispetto a un pertinente insieme di caratteristiche
osservabili) e il metodo della differenza-nelle-differenze (al quale abbiamo accennato introducendo l’area di indagine (iii), tramite indagini campionarie “a due onde”, sulla quale torneremo tra po7
co) o sfruttando eventuali discontinuità nel trattamento .
In prima approssimazione, i principali esiti rispetto ai quali valutare gli effetti dell’intervento sono
del seguente tenore:
cambiamenti nel rispetto delle norme (sulla cura dei minori, sull’adempimento dell’obbligo scolastico, sul pagamento di utenze, ecc.) nonché di regole basilari della convivenza civile,per tutti i beneficiari;
cambiamenti nel grado di deprivazione materiale, nel livello e nella composizione della spesa per
consumi – verso consumi alimentari sufficienti e qualitativamente equilibrati everso consumi durevoli essenziali –, nella qualità dell’abitazione;
per le persone in età attiva e idonee al lavoro, cambiamenti nella probabilità di accedere al lavoro,
nella stabilità e qualità dello stesso, nella retribuzione;
per le persone non idonee al lavoro e destinatarie di un intervento di sostegno/integrazione sociale, miglioramento della loro integrazione sociale e in altre dimensioni di benessere materiale e
mentale;
raggiungimento dell’autosufficienza economica, con conseguente uscita dalla condizione di povertà, quindi dall’ammissibilità alla misura, per un orizzonte di almeno due anni.
8.6 INDAGINI CAMPIONARIE SULLE CONDIZIONI DI VITA
Si potrebbe sostenere che il trasferimento monetario, che integra il reddito della famiglia fino alla
prefissata soglia di povertà, in un certo senso realizzi – verrebbe da dire automaticamente, per definizione – l’obiettivo del Reis per quanto riguarda la componente passiva. Quando la realizzazione
del Reis sarà giunta a regime, infatti, tenuto conto delle differenze nella composizione della famiglia e nel costo della vita del comune in cui risiedono, tutte le famiglie ammissibili (che abbiano fat-
che consta di un lungo corso di formazione professionale e nient’altro) in maniera casuale.
(Quest’assegnazione casuale viene poi mantenuta inalterata, integra, per l’intero periodo di svolgimento
dell’intervento.) Chiamiamo i due gruppi rispettivamente “trattati” e “non trattati”. Data la modalità di assegnazione dei soggetti all’uno o all’altro gruppo, casuale – mediante sorteggio –, per costruzione i due gruppi
sono in media equivalenti rispetto all’insieme delle condizioni di partenza, non mostrano cioè differenze sistematiche rispetto a tali condizioni. Pertanto, la differenza fra la media della variabile-risultato rispettivamente dei trattati e dei non-trattati rivela l’effetto medio del trattamento (A) rispetto a quello (B).
7 Per introduzioni all’argomento vedi, tra gli altri, Martini e Sisti (2009), Trivellato (2010) e Martini e Trivellato
(2011).
Pagina 8
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
to domanda) riceveranno un’integrazione che le porta a uno stesso livello di reddito, coincidente
con la soglia di povertà.
Tuttavia, l’eterogeneità che, inevitabilmente, caratterizza le famiglie con la stessa composizione e i
loro comportamenti di spesa, suggerisce di indagare anche questo basilare aspetto del Reis. Farlo è
teoricamente facile. Operativamente lo è molto meno, e può essere abbastanza costoso.
L’operazione da fare è logicamente chiara, a prima vista semplice. Occorre disporre di una serie di
informazioni attinenti al grado di deprivazione materiale, al pattern dei consumi alimentari (più o
meno sufficienti e e più o meno qualitativamente equilibrati), alla disponibilità di beni di consumo
durevole essenziali, alla congruità dell’abitazione, ecc., che caratterizzano le famiglie povere prima
dell’ammissione al reddito minimo, e la parallela serie di informazioni delle stesse famiglie (che
per semplicità ipotizziamo invariate) un certo tempo dopo, diciamo un anno dopo il godimento
del trasferimento monetario. Per contare su un indispensabile termine di paragone, che consenta
di tener conto della dinamica che caratterizza i comportamenti di spesa/consumo, occorre disporre poi di un’analoga serie di informazioni con la stessa cadenza temporale – quindi prima e
dopo l’introduzione del Reis – per un adeguato insieme di famiglie non povere, ma sufficientemente vicine alle stesse quanto a reddito disponibile: diciamo nel decile (forse meglio un percentile inferiore, nel ventesimo) immediatamente superiore della distribuzione del redditi.
Tuttavia, mettere in pratica questo disegno, per poi confrontare le differenze nella (auspicabile)
riduzione del grado di deprivazione materiale e negli altri indicatori di interesse tra famiglie beneficiarie del Reis e famiglie di poco al di sopra della soglia di povertà – e ricavarne quindi, ancora
per differenza, una plausibile stima dell’effetto del Reis su queste variabili –, è tutt’altro che agevole. Per segmenti ridotti della popolazione di famiglie, dell’ordine del 5%, si possono avere stime di
larga massima a livello nazionale da indagini campionarie nazionali condotte dall’Istat (ad es., la
sezione italiana della europea Survey on Income and Living Conditions) o dalla Banca d’Italia
8
(l’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane) , almeno per alcune delle principali variabili-risultato .
8
risultato .
L’alternativa è appunto quella enunciata nella sez. 8.2.1: la conduzione di apposite indagini campionarie cosiddette “a due onde”, cioè immediatamente prima dell’ammissione al Reis e un anno
dopo, in circa 60Ambiti (di massima diversi da quelli utilizzati per l’osservazione
dell’implementazione della misura), sia sui beneficiari del Reis sia sui non beneficiari che si collochino nel decile (o nel ventesimo) di reddito immediatamente superiore alla soglia di povertà. Il
guadagno in ricchezza dell’informazione sui temi della deprivazione materiale, dei pattern di consumo e, in generale, nelle condizioni di vita è notevole (come documenta l’esperienza condotta per
il Reddito di garanzia di Trento, cfr. Spano, Zanini e Trivellato, 2013). L’impegno e i costi per realizzare siffatte indagini sono, però, tutt’altro che trascurabili.
Per la somministrazione dei questionari agli ammessi al Reis si può fare ricorso agli operatori sociali, convenientemente formati; inoltre, i questionari possono essere abbastanza snelli, limitarsi
cioè alle domande essenziali sulle condizioni di vita, perché le informazioni di contesto (sulla composizione della famiglia, sulle caratteristiche demografiche dei suoi componenti, sul reddito disponibile) vengono già acquisite nel corso dell’esame delle domande di ammissione. Ciò non vale, tut9
tavia, per larghissima parte del campione di controllo , rappresentato dalle famiglie nella fascia
8Dovendo
per di più ricorrere a correzioni ad hoc delle stime, perché le misure di contrasto della povertà di solito
non raggiungono tutti gli ammissibili, hanno cioè un tasso di adesione parecchio inferiore al 100%, per di più
difficile da determinare.
9 Si tenga presente che nel campione di controllo confluiscono anche le famiglie che hanno fatto domanda e sono
no risultate non ammissibili al Reis perché superavano la soglia di reddito. Peraltro, esse sono utilizzabili sol-
Pagina 9
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
immediatamente superiore alla soglia di povertà, delle quali, tra l’altro, non è nemmeno agevole
l’identificazione (stante l’assenza di informazioni affidabili sulla distribuzione dei redditi riferita
all’intera popolazione). Per il campione di famiglie di controllo occorre un questionario più ricco e
complesso, che grosso modo rilevi l’insieme delle informazioni disponibili per i beneficiari del
Reis; serve una accurata strategia di campionamento che consenta di identificare un campione affidabile; bisogna condurre l’indagine dapprima contattando le famiglie e poi recandosi a domicilio.
La soluzione che appare auspicabile è un accordo tra il MLPS e l’Istat, che porti all’affidamento
dell’indagine sui non beneficiari all’Istituto di Statistica, facendo così tesoro della sua rete di rileva10
zione e della sua esperienza in tema di indagini sociali sulle famiglie .
Almeno per due tappe del processo di introduzione del Reis, la prima e forse la terza, questo apparato di indagini longitudinali sulle condizioni di vita – nelle quali cioè le stesse famiglie devono essere intervistate ripetutamente nel tempo, dunque i soggetti intervistati nella seconda onda (ed
eventualmente in onde successive, per documentarne la dinamica su un arco di tempo più lungo)
debbono coincidere con quelli della prima – appare comunque utile per un’ adeguata valutazione
degli effetti del Reis, innanzitutto della sua componente passiva, sulle condizioni di vita delle famiglie beneficiarie. Quest’area d’indagine richiederà, dunque, un’analisi e una progettazione particolarmente accurate, anche per contenere ragionevolmente i costi.
8.7
Disegno e supervisione di una decina di esperimenti randomizzati
Come già segnalato nella sezione introduttiva, è facile enunciare obblighi e obiettivi (ad es., si può
disporre per legge che tutti i beneficiari siano coinvolti in progetti di attivazione, in particolare che
tutte le persone in età lavorativa e idonee al lavoro firmino patti di servizio), ma il rischio che tutto
– o gran parte – resti soltanto sulla carta è alto. Pochi sono capaci di realizzare interventi la cui efficacia sia scientificamente provata, credibile e allo stesso tempo applicabile ad altri contesti. È
bene esserne consapevoli: non c’è scorciatoia possibile. Ci vogliono anni di sperimentazione per
imparare a disegnare interventi capaci di incidere efficacemente sui meccanismi di uscita dalla
povertà. In due paesi a noi vicini, Francia e Germania, le misure di reddito minimo sono state introdotte rispettivamente nel 1988 e nel 1961 e varie volte, anche in maniera marcata, sono state
modificate alla luce dell’esperienza (Ferrera, 2012).
È essenziale, quindi, che la SUV, sulla base dei feedback periodici ottenuti durante il primo anno,
stabilisca di condurre approfondimenti sugli Ambiti e/o Comuni disponibili a partecipare a sperimentazioni controllate di iniziative sulla cui efficacia vi sia incertezza.
Nel contesto del Reis, inoltre, la realizzazione di esperimenti randomizzati multicentrici è relativamente facile da gestire, per due ragioni. Primo, il fatto che la misura è di tipo nazionale ma viene
realizzata in circa 760 Ambiti socio-assistenziali, e in oltre 8.000 Comuni, facilita il reclutamento
dei siti in cui realizzare l’esperimento. Secondo, i membri dei gruppi di controllo sono tipicamente
esentati dal dover partecipare a qualche attività onerosa in termini di tempo (come seguire particolari protocolli per colloqui di orientamento nei CpI, partecipare a corsi di formazione con specifiche caratteristiche quanto a contenuti/durata/frequenza, ecc.) e le informazioni che li riguardano possono essere tratte da da archivi amministrativi.
L’ipotesi che appare ragionevole prospettare è che le prime 5 sperimentazioni controllate siano
individuate dalla SUV alla fine del primo anno, e assegnate a enti di ricerca qualificati mediante
una procedura competitiva. Ulteriori 5 sperimentazioni controllate vanno poi individuate entro il
tanto se viene loro somministrato lo snello questionario aggiuntivo sulle condizioni di vita del quale abbiamo
appena detto, il che non appare banalmente facile.
10L’alternativa, verosimilmente più costosa e con risultati qualitativamente non migliori, è di affidare questa cruciale parte dell’indagine a una società di rilevazione, selezionata con un buon bando di gara.
Pagina 10
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
secondo anno e assegnate in maniera analoga. I risultati preliminari devono essere forniti entro la
fine del quarto anno e quelli definitivi entro la fine del quinto.
Gli specifici interventi vanno individuati nel quadro degli obiettivi conoscitivi della valutazione del
Reis, sommariamente delineati nella sezione precedente. La loro identificazione e il loro disegno
richiederanno un adeguato approfondimento congiunto da parte della SUV e degli Ambiti o Comuni coinvolti. In prima approssimazione, essi dovrebbero comunque estendersi sia a progetti di sostegno sociale sia a azioni di attivazione al lavoro, e concentrarsi su progetti/azioni per le quali
appare di particolare interesse adottare modalità di operare diverse (detto in altre parole, “trattamenti” differenti), quali:
interventi mirati a indurre comportamenti corretti(cura dei minori, obbligo scolastico, ecc.);
interventi d’integrazione sociale per nuclei familiari con problemi gravi (ad es., con persone con
disabilità);
interventi di alfabetizzazione funzionale per persone in età lavorativa e per il resto idonee al lavoro;
una varietà di interventi-pilota di avviamento al lavoro – in tema di orientamento, formazione,
placement, modi di applicazione delle condizionalità –, quindi in prospettiva mirati all’autonomia
economica e alla conseguente uscita dalla condizione di povertà.
Come già detto (vedi la sez. 4.3), altri esperimenti con randomizzazione potranno essere promossi
dalle Regioni. Il disegno e le misure per assicurare l’integrità dell’esperimento randomizzato, cruciali perché esso fornisca risultati credibili, andranno definiti d’intesa fra la Regione interessata e
la SUV.
8.8 I MICRODATI COME PATRIMONIO INFORMATIVO PER LA COMUNITÀ DEI RICERCATORI
Sinora abbiamo sottolineato l’esigenza che l’accesso al patrimonio informativo che si genera per
la corretta gestione del Reis, in particolare (ma non solo) SILFIDE, sia utilizzabile, secondo regole di
accesso ragionevolmente aperte, da tutti i soggetti coinvolti, amministrazione centrale ed attori locali.
In verità, l’istanza di accessibilità è ben più ampia. La valutazione di una specifica politica –nel nostro caso il Reis –, infatti, non è tanto (o comunque soltanto) un’operazione circoscritta svolta da
un solo gruppo di analisti-valutatori ufficialmente incaricati di questo specifico compito. È un
processo che si dispiega nel tempo, animato dal confronto fra più analisti indipendenti. Più stringente e serrato sarà il confronto sugli effetti del Reis, più stringente sarà il vaglio di affidabilità degli studi di valutazione, conseguentemente più credibili saranno le conclusioni che si raggiungono.
Come è stato detto con efficace sintesi, «le valutazioni [degli effetti] si costruiscono sulla conoscenza cumulativa» (Heckman e Smith, 1995, pag. 93). La replicabilità degli studi ne è una condizione
necessaria. Ciò ha un’importante implicazione: che i microdati, ragionevolmente protetti rispetto
alle esigenze di privacy,per finalità di ricerca siano accessibili a tutti gli analisti qualificati.
A questo scopo serve una revisione della normativa italiana sull’accesso ai microdati per la ricerca, irragionevolmente restrittiva. Ma ancor più tornano utili soluzioni tecnico-informatiche, che
consentono elaborazioni su microdati tramite remote data access, proteggendone nel contempo
Pagina 11
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
l’anonimità (vedi, ad es., l’esperienza svedese del Microdata OnLine Access e quella del Secure Data
11
Service dell’UK Data Archive) . Una tale modalità di accesso dovrebbe valere per:
SILFIDE;
i microdati delle indagini campionarie a due onde sulle condizioni di vita;
i 10 esperimenti randomizzati, una volta concluse dagli enti di ricerca incaricati;
i microdati di altri studi di valutazione che siano stati finanziati con risorse pubbliche o di fondazioni, una volta che i soggetti affidatari dello studio li abbiano conclusi.
8.9 IL RACCORDO CON ALTRI PROGRAMMI CONTRO LA POVERTÀ
L’ipotesi dalla quale appare ragionevole muovere è che dal varo del Reis, presumibilmente ad inizio 2014, sino alla sua messa a regime, si realizzi progressivamente la ricomposizione entro questa misura di diverse prestazioni oggi presenti contro la povertà, descritta al cap. 7. Fino a poco
tempo fa, questa transizione avrebbe implicato, tra l’altro, il superamento della Social Card, inclusa
quella sperimentale avviata nel 2013. Il quadro, però, è ora mutato. Da una parte, la sperimentazione della Nuova Social Card nei 12 comuni più popolosi non si concluderà prima della fine del
primo semestre 2014; dall’altra il Governo ha recentemente deciso la sperimentazione nel Mezzogiorno della Carta per l’inclusione (così viene ora denominata la Social Card Sperimentale), grazie
alla disponibilità di fondi comunitari, muta decisamente il quadro della situazione.
Stanti soprattutto i margini di incertezza che ancora connotano tempi e modi di questo allargamento della Carta per l’inclusione, sarebbe azzardato tentare di definire, anche solo a maglie larghe, le forme di raccordo del monitoraggio e della valutazione di questi interventi con le linee di azione suggerite per il Reis.
Il significativo elemento di novità è la determinazione con cui il Ministero sta tracciando un impegno sistematico sul fronte del monitoraggio e della valutazione anche di questi interventi in qual12
che misura “sperimentali” e con orizzonte temporale limitato . Appena essi saranno compiutamente definiti, servirà dunque porre attenzione a un raccordo fra le attività di ma osservazione/analisi/valutazione da mettere in atto per questi interventi e quelle delineate per la realizzazione progressiva del Reis.
8.10 UNA PRIMA STIMA DI MASSIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E
DELLA VALUTAZIONE
Stimare, anche grossolanamente, i costi per l’attività di monitoraggio e valutazione delineata non
è certo agevole. Molti interventi, infatti, possono comportare una forte variabilità dei costi, a seconda della scala alla quale vengono condotti e del modo col quale vengono disegnati. Per fare un
solo esempio, il costo di un esperimento randomizzato varia significativamente a seconda della
numerosità del campione complessivo – di trattati e di non-trattati – e della sua dispersione terri-
11Vedi
rispettivamente http://www.scb.se/Grupp/Tjanster/MONA_produktblad_engelsk.pdf e
archive.ac.uk/news-events/news.aspx?id=2375
12Su
http://www.data-
un terreno in parte diverso, attinente essenzialmente al monitoraggio e all’accountability, la definizione dello schema di riparto del Fondo Nazionale Politiche Sociali (FNPS) per il 2013 agli artt. 4 e 5 stabilisce che le
Regioni si impegnano a programmare le risorse loro destinate per «aree di utenza», «macro-livelli» e «obiettivi
servizio». Palesemente, anche queste indicazioni comportano la necessità di un monitoraggio più stringente,
supportato da un adeguato sistema informativo.
Pagina 12
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
toriale, così come varia ancor di più se esso comporta l’erogazione, ai trattati, di un trattamento
costoso.
Ci limitiamo qui a sintetiche indicazioni di massima, muovendo da una prima, motivata assunzione: l’esclusione dalle voci di costo della realizzazione e gestione di SILFIDE, il Sistema Informativo
Longitudinale sulle Famiglie e gli Individui in Difficoltà Economica. Infatti, tale sistema fa parte
dell’insieme dei compiti istituzionali dell’Inps, che ha già attuato larga parte dello sviluppo del “Sistema informativo dei percettori di sostegno del reddito”, mirato a connettere le informazioni in13
dividuali relative ai vari ammortizzatori sociali . Col decollo del Reis e il modo col quale ne abbiamo previsto la realizzazione centralizzata del sistema informativo, un analogo obbligo vale di fatto,
ci pare, per l’Inps anche per l’insieme delle persone che abbiamo qualificato “povere, non più povere e a rischio di povertà”. Il Sistema informativo dei percettori di reddito – si noti – potrebbe
fornire importanti indicazioni per la realizzazione di SILFIDE, che con esso dovrebbe, tra l’altro,
poter colloquiare in maniera agevole.
La seconda assunzione dalla quale muoviamo è di contenere fortemente i costi, senza compromettere tuttavia l’essenziale per una solida attività di monitoraggio e valutazione. Rinviando
all’Appendice B per sintetiche chiarificazioni, conviene segnalare innanzitutto che le nostre stime
presuppongono un’attività di monitoraggio e valutazione estesa su cinque anni (comprensivi di 46 mesi precedenti l’avvio operativo del Reis e di 8-6 mesi successivi alla sua piena attuazione). La
stima del totale dei costi è dell’ordine di 2,4 milioni di euro l’anno, complessivamente di circa 12
milioni di euro sino al completamento della valutazione del Reis a regime.
Si tratta di cifre che rappresentano una frazione esigua del costo totale dell’intervento, incomprimibili per una credibile attività di monitoraggio e valutazione.
13Questo sistema, accessibile all’indirizzo http://www.inps.it/portale/default.aspx?iMenu=2&iiDServizio=113 , mira a
consentire ricerche incrociate in relazione alle diverse tipologie di ammortizzatori sociali. Lo scopo è duplice: (i) monitorare gli esiti delle misure di sostegno al reddito; (ii) rendere effettiva la sanzione della decadenza da tali misure in
caso di mancato rispetto degli obblighi di produrre la dichiarazione di disponibilità e di accettare un’offerta di riqualificazione o di lavoro congruo. Vi sono contenuti i dati dei percettori delle principali misure precedenti la cosiddetta
“riforma Fornero” (Indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, Disoccupazione ordinaria e trattamento speciale edilizia, Disoccupazione lavoratori marittimi e sospesi, CIG ordinaria e in deroga, Indennità di mobilità
ordinaria/lunga e in deroga, Sussidi). Gli utenti abilitati alla lettura sono Mlps, Regioni, Servizi per l’impiego (Centri
per l'impiego e altri organismi autorizzati), Enti convenzionati allo scopo con Inps, Fondi interprofessionali (convenzionati con Inps).
Pagina 13
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
Appendice A: Uno strumento per migliorare informazioni e sostegni ai cittadini14
Il sistema di welfare locale contro la povertà è segnato da una doppia criticità: da un lato i cittadini
non possono conoscere tutte le possibili prestazioni che potrebbero richiedere (e spesso proprio i
più fragili non riescono a fruirne), e dall’altro gli operatori di front-office non sono in grado di esserne pienamente aggiornati né di descriverle in modo adeguato alle persone che potrebbero utilizzarle. Questa criticità si presenterà anche dopo l’auspicata introduzione del Reis perché mentre
le principali prestazioni monetarie contro la povertà saranno in esso riassorbite, l’insieme di interventi, luoghi e possibilità ai quali le famiglie in povertà potrebbero accedere, ma di cui non sono
a conoscenza, rimarrà comunque articolato ed eterogeneo. Si tratta, dunque, di predisporre uno
strumento informativo efficace, che contribuisca a superare la situazione descritta.
Per riflettere su questo strumento è utile considerare due aspetti.
1)
Gli operatori che oggi lavorano in front-office che ricevono famiglie povere (nei servizi socio-assistenziali dei Comuni o dei loro Enti gestori, nei centri di ascolto di associazioni) hanno ben
chiara l’esigenza di informare in modo completo su tutti gli interventi che la famiglia potrebbe richiedere, inclusi quelli messi in opera da altri servizi o Enti. Ma devono costruirsi una propria
mappa delle offerte, con varie modalità (schede, appunti, file di servizio o di singoli operatori, cataloghi e software locali, fotocopie di norme e circolari ). Con due conseguenti limiti:
l’utilizzo di questa mappa è molto dipendente dalle scelte e possibilità personali dei singoli operatori o servizi, e non è detto si riesca a garantirne la messa in comune tra tutti coloro che potrebbero utilizzarla;
sono evidenti le difficoltà di mantenere sempre aggiornato il “catalogo” delle offerte, che deve contenere non solo le prestazioni di specifica competenza di quel servizio (ad esempio le prestazioni
del Comune), ma anche di altri soggetti (le prestazioni Inps e quelle nazionali, i vari “bonus”, ecc.).
2)
Lo strumento da costruire non può essere un testo scritto, ossia un catalogo cartaceo statico delle offerte disponibili, per due motivi:
le prestazioni sono (purtroppo) molto diversificate per tipologia di possibili beneficiari, e sovrapposte: alcune sono fruibili solo da anziani, altre da anziani e minori, altre da nuclei solo se con minori, ecc.. Ciò implica che se l’operatore dispone solo di un catalogo stampato, pur con un indice
ben articolato, gli è quasi impossibile ricostruire l’elenco delle misure che si attagliano alla persona
o nucleo che ha di fronte, stante il caotico intreccio di possibili destinatari. Così come è quasi impossibile spiegare dove e quando quello specifico cittadino può richiedere le diverse prestazioni, a
meno che l’operatore ricopi su un testo che redige ad hoc ciò che ogni scheda del catalogo cartaceo riporta.
Inoltre lo scenario delle prestazioni disponibili è soggetto a molte variazioni (nuove scadenze, modifiche di criteri). Dunque occorre un elenco dinamico per garantire agli operatori un buon aggiornamento a cura di un suo gestore, evitando che tale compito ricada (come ora accade) solo su
interventi locali di manutenzione delle informazioni.
Uno strumento utile potrebbe perciò essere un catalogo strutturalmente dinamicodelle misure di
contrasto alla povertà, fondato su un database dedicato con l’obiettivo di aiutare gli operatori di
tutti i front-office a:
14
Ragioni e contenuti di questa proposta sono anche descritti in Motta , 2013.
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8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
conoscere con facilità (e con costante aggiornamento) la mappa delle diverse prestazioni che sono
disponibili, ovunque, per i cittadini;
trasmettere meglio queste informazioni alle famiglie povere.
Lo strumento dovrebbe consentire all’operatore di:
inserire in una maschera le caratteristiche principali del nucleo che deve informare
e ricavarne un catalogo “su misura” delle prestazioni fruibili, ossia quelle (e solo quelle) disponibili
in quel momento per quella persona/nucleo, potendo stamparlo; incluse le informazioni dedicate a
“dove, come e quando si possono richiedere quegli interventi”.
Nell’utilizzo di un simile strumento potrebbero essere intravisti questi possibili rischi:
Una dilatazione del tempo che va dedicato ad ogni utente ricevuto, se ai contenuti del colloquio
dedicato al Reis si aggiungono contenuti informativi ulteriori.
Il rischio di far individuare il front-office come il responsabile di tutte le prestazioni che vengono
descritte, attribuendo a chi ha fornito l’informazione le disfunzioni che il cittadino incontra nei
successivi percorsi (“voi mi avete detto che se andavo là potevo avere...e invece poi mi hanno detto…”).
Queste possibili preoccupazioni devono tuttavia essere valutate considerando che:
già attualmente gli operatori svolgono funzioni di “segretariato sociale”, ma con strumenti poco
efficaci e che implicano un faticoso lavoro locale di costruzione e manutenzione;
il segretariato sociale è uno dei pochi livelli essenziali che già la normativa prevede debba esistere,
e peraltro questo dovrebbe essere un ruolo di elezione dei servizi sociali di front-office;
lo strumento potrebbe essere utilizzato da molti front-office dedicati al rapporto con utenza fragile,
e tendenzialmente da tutti i luoghi di incontro con la povertà (Comuni, Centri d’ascolto, Associazioni varie, CAF, Patronati). Ed inoltre le offerte attivate da questi attori del welfare potrebbero essere man mano incluse tra le schede descrittive del catalogo.
Il catalogo delle prestazioni contro la povertà potrebbe essere organizzato su più livelli:
il catalogo base delle prestazioni nazionali, gestito e aggiornato dal livello statale;
ulteriori schede sulle prestazioni locali, mantenendo la stessa struttura e funzionalità di ricerca.
Ovviamente da tenere aggiornata con responsabilità locali.
Ogni prestazione può essere descritta in una breve scheda che contenga:
di che cosa si tratta, chi ne può fruire, con quali criteri di accesso ed erogazione;
dove, come e quando si può richiedere (con la possibilità di stampare la relativa modulistica per la
richiesta);
ulteriori informazioni eventuali per gli operatori (indirizzi web, normativa).
Di fronte al nucleo da informare l’operatore potrebbe riempire una “maschera” che descrive il nucleo, oppure cercare parole chiave e tag significativi (ad esempio per tipo di utenza), e ricavarne
informazioni per sé, da descrivere agli utenti, e soprattutto una stampa mirata da consegnare al
cittadino.
Va segnalato che la costruzione di questo strumento, in parte sperimentato in alcuni Comuni, non
implica rilevanti costi, perché questo sistema non deve gestire elaborazioni e processi, ma solo
presentare risposte componendole in base alle schede del catalogo.
Pagina 15
8. IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE
Come illustrato nel cap. 5, la presenza e l’utilizzo di questo catalogo saranno richiesto come requisito per l’accreditamento a: a) i soggetti responsabili della funzione di accesso e di prima verifica
dei requisiti per accedere alla misura; b) quelli incaricati dell’incontro/colloquio di valutazione
multidimensionale delle condizioni del nucleo familiare, sulla base del quale verrà definita la presa
in carico e il percorso d’inclusione (sociale o lavorativa). Detto altrimenti, tutti i soggetti impegnati
nel fornire il Reis nel territorio dovranno disporre di un ampio patrimonio d’informazioni condivise. Ciò sarà requisito di accreditamento valido in tutto il paese.
Si aggiungono poi due auspici. Primo, che il catalogo possa venire utilizzato anche dalle realtà impegnate nel territorio a sostegno delle persone in povertà, ma non direttamente coinvolte nel Reis.
Secondo, che le informazioni contenute nel catalogo riguardino sempre più non solo la povertà ma
anche altri settori presso i quali inviare chi fa domanda per il Reis, ad esempio quelli concernenti
non autosufficienza e disabilità. Si tratta, però, di auspici che sarebbe eccessivo inserire tra i criteri di accreditamento validi per tutto il paese. Se ne può, invece, augurare uno sviluppo a livello locale (sviluppo che potrà essere facilitato dal lavoro di scambio di esperienze tra i diversi territori
promosso dalle Regioni, così come dall’attività di queste ultime nel sostenere il miglioramento delle realtà locali, tramite formazione e altro; vedi il cap. 4).
APPENDICE B: SINTETICHE CHIARIFICAZIONI SULLA STIMA DEI COSTI DEL MONITORAGGIO E DELLA
VALUTAZIONE
Voci di spesa
Quattro esperti del SUV (comprese spese di mobilità)
Venti persone per osservazione continua degli Ambiti-sentinella (comprese spese di
mobilità)
SILFIDE
Due indagini campionarie “a due o tre onde” sulle condizioni di vita (per beneficiari
operatori sociali; per controlli Istat): costo distribuito per anno
Cinque esperimenti randomizzati senza erogazione di un
trattamento oneroso (dimensione campionaria minima 350
trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni)
Cinque esperimenti randomizzati con erogazione di un trattamento oneroso (dimensione campionaria minima 350 trattati + 350 controlli; 3 rilevazioni): costo distribuito per anno
Costo totale
Pagina 16
€ 1 anno
200.000
800.000
550.000
250.000
€ 5 anni
1.000.000
4.000.000
2.750.000
1.250.000
600.000
3.000.000
2.400.000
12.000.000
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
•
La maggior spesa pubblica necessaria per l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale è pari a circa 5,3 miliardi di Euro annui. Si tratta della spesa a regime, cioè a partire dal quarto anno della transizione.
•
-Al fine di reperire queste risorse si possono individuare varie strategie di finanziamento. Per
essere ritenute utilizzabili, le strategie devono rispettare, simultaneamente, tre criteri di accettabilità: la concretezza (devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del caso, correggerne le inefficienze).
•
Il capitolo presenta numerose opzioni di finanziamento che rispettano i tre criteri, cominciando da quelle riguardanti minori spese. Si guarda qui alla possibilità di riduzione e/o riordino
di alcune voci di spesa per la previdenza e l’assistenza, con riferimento alle pensioni d’oro e ai
trattamenti pensionistici di carattere assistenziale destinati specificatamente al sostegno del
reddito (pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni). Interventi di questo
tipo possono migliorare, da un lato, l’equità attuariale del sistema previdenziale, dall’altro, la
target efficiency della spesa per l’assistenza, permettendo di concentrare maggiormente le risorse disponibili a favore dei più bisognosi. Vengono inoltre considerati, seppure impatto assai minore, possibili interventi sulle spese generali per le istituzioni.
•
Una parte delle risorse necessarie al finanziamento della nuova misura di contrasto della povertà assoluta potrebbe invece essere reperita dal lato delle entrate, attraverso: un incremento
delle accise su tabacco e bevande alcoliche; una maggiore imposizione sui concorsi a premio; il
riordino delle agevolazioni fiscali in sede IRPEF; il riordino dei trasferimenti alle imprese private; la proroga e la revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF; l’introduzione di una
imposta progressiva sul patrimonio; la revisione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni; l’incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per
uso caccia.
•
Complessivamente viene individuato un insieme di possibili misure per finanziare il Reis, ognuna coerente con i tre criteri di accettabilità indicati, le quali permetterebbero di recuperare
risorse in un intervallo tra un minimo di 13.084 milioni di Euro annui e un massimo di 18.804
milioni.
•
Tra le opzioni così individuate, è responsabilità del decisore politico scegliere quali modalità di
finanziamento privilegiare per ottenere i circa 5,3 miliardi necessari a regime.
1
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
9.1. INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo capitolo è individuare possibili strategie di finanziamento dirette al reperimento di risorse da destinare all’adozione del nuovo Reddito di inclusione sociale (Reis). Inizialmente si quantificano le risorse necessarie all’istituzione del Reis (par 9.2) e in seguito si illustrano la logica scelta per affrontare il tema del finanziamento e le ragioni che la sostengono (par 9.3).
Il successivo paragrafo discute le possibili strategie di finanziamento, riguardanti maggiori entrate e minori uscite (par. 9.4) mentre poi ne vengono esaminate le implicazioni distributive (par. 9.5
e 9.6). Infine, si forniscono alcuni spunti di riflessione inerenti la preferibilità di alcune fonti di finanziamento tra le numerose analizzate in questo Capitolo (par 9.7).
9.2. LA SPESA
TAB 1 – LA SPESA ANNUALE AGGIUNTIVA A REGIME (DAL QUARTO ANNO)
MILIONI DI EURO
Contributo economico
4.425
Servizi alla persona
885
Monitoraggio e valutazione
2,5
Totale
5.312,5
A regime, cioè a partire dal quarto (e ultimo) anno della transizione, il Reis costa 5.312,5 milioni di
1
Euro annui , pari allo 0,30% del Pil2. Il totale si compone di tre parti: la spesa per il contributo economico, quella destinata ai servizi alla persona e le risorse dedicate a monitoraggio e valutazione (tab 1). Vediamole separatamente.
La componente di spesa annua per la parte monetaria ammonta a 4.425 milioni di Euro, calcolati
ipotizzando un take-up rate (cioè il rapporto tra il numero degli utenti effettivi e quello degli aventi
diritto) pari al 75%. Come mostra il capitolo 3, si tratta di una percentuale piuttosto elevata, dato
che in altri paesi simili al nostro il take-up rate è più basso e che la sperimentazione dell’RMI nazionale di fine anni ’90, ampiamente pubblicizzata, lo vide arrivare al 67%. Nondimeno, le esperienze regionali esaminate da Spano ed altri hanno fatto registrare, nella gran parte dei casi, una
percentuale al di sotto del 75% (Spano, Zanini e Trivellato, 2013).
La parte di stanziamenti pubblici ulteriori da destinare ai servizi è di 885 milioni annui, uguale al
20% della componente per i contributi economici. A differenza di quest’ultima e della componente
per monitoraggio/valutazione, però, i finanziamenti ulteriori dedicati ai servizi non corrispondono all’ammontare di risorse che risulteranno effettivamente disponibili. Infatti, agli 885 milioni
bisogna aggiungere la spesa attuale dei Comuni per la lotta alla povertà, pari a 566 milioni di Euro
1
2
). I 5.312,5 milioni di euro annui sono le risorse pubbliche addizionali da stanziare rispetto ad oggi. Circa 5,3
miliardi annui per una misura nazionale contro la povertà assoluta è un importo in linea con le altre stime esistenti in materia, si veda ad esempio il progetto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle
politiche e degli interventi socioassistenziali” richiamato nel capitolo 1.
Questa percentuale è calcolata nell’ipotesi che l’introduzione del Reis avvenga nel quadriennio 2014-2017 e
quindi il 2017 sia il primo anno a regime (cfr. cap. 10).
2
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
3
annui (Istat, 2013). Il totale della spesa per la componente servizi ammonta, dunque, a 1451 mi4
lioni annui, pari a circa un terzo della componente monetaria . Queste risorse finanziano, innanzitutto, la verifica iniziale dei criteri di eleggibilità dei richiedenti, accompagnata da informazione e
orientamento, e la successiva attività di valutazione multidimensionale e presa in carico degli utenti. Sulla base di alcuni studi precedenti, come l’analisi della sperimentazione del RMI nel periodo
1999-2022, è ragionevole supporre che queste attività richiedano una spesa pari al 10% della
componente monetaria. La quota rimanente (maggioritaria) delle risorse per servizi serve a coprire le attività legate all’inserimento sociale e lavorativo, che possono riguardare i centri per
l’impiego, i servizi socio-sanitari, i servizi socio-educativi, altre componenti dei servizi sociali e altro ancora (cfr. cap. 6). S’immagina, dunque, che questa parte del budget venga allocata tra i diversi
servizi menzionati in quote proporzionali al loro coinvolgimento nel percorso d’inserimento sociale e/o lavorativo.
Il calcolo del costo della componente servizi merita alcune considerazioni. Innanzitutto, il tema è
assai poco studiato, in Italia così come all’estero, dunque le nostre stime sono da ritenere provvisorie e maggiore ricerca è in merito è urgente. Ciò detto, l’ammontare di risorse ipotizzato è certamente necessario per rendere concreto quel ruolo di primo piano dei servizi alla persona che
noi auspichiamo, in linea con il dibattito italiano ed europeo. Detto altrimenti, forse ci vogliono
maggiori risorse per i servizi, di sicuro meno non permetterebbero di realizzare una misura di
lotta alla povertà assoluta degna di questo nome.
Venendo a monitoraggio e valutazione, la spesa annua prevista è di 2,4 milioni annui, sulla base dei
costi presentati in dettaglio nell’Appendice 2 del capitolo 8. Si tratta di risorse, che, pur residuali rispetto alla spesa complessiva del Reis, consentirebbero di svolgere le funzioni di monitoraggio e
valutazione in modo coerente con il rilievo che il nostro progetto vi attribuisce.
9.3. LA LOGICA DEL FINANZIAMENTO
Come reperire le risorse necessarie? La strada qui scelta si articola in tre passaggi. Primo, si definiscono i criteri di accettabilità, cioè quelli che secondo noi ogni ipotesi di finanziamento deve rispettare – nel loro insieme - per poter essere giudicata utilizzabile. Sono: la concretezza (le opzioni devono essere misurabili), l’equità (devono favorire le fasce di popolazione con redditi più bassi) e l’efficienza (devono interferire il meno possibile con il funzionamento del mercato e, se del
caso, correggere le inefficienze del mercato stesso), come si cerca illustra nel prossimo paragrafo.
Secondo, s’individuano un mix di misure di riduzione e/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di imposizione fiscale che rispettano tali criteri e sulle quali si ritiene possibile intervenire.
Dato il contesto economico attuale e i vincoli di natura politica esistenti, è inevitabile che il piano
di finanziamento faccia riferimento a un insieme piuttosto ampio e variegato di strumenti. Di ognuna delle possibili fonti di finanziamento si quantificano la minore spesa o il maggior gettito
che ne potrebbe derivare e, ove possibile, l’impatto redistributivo atteso. Come si vedrà, l’insieme
degli interventi prospettati permetterebbe di raccogliere risorse comprese tra i 13 e i 19 miliardi
di Euro, dunque ben al di sopra dei circa 5,3 miliardi necessari al Reis a regime. Il terzo e ultimo
passaggio nella definizione della nostra logica di finanziamento consiste nella scelta di quali fonti
I 556 milioni sono il totale della voce “Povertà, disagio adulti e senza fissa dimora” nell’indagine censuaria Istat sulla
spesa per servizi e interventi sociali, riferito al 2010, l’anno più recente disponibile (Istat, 2013). Questa voce si divide,
a sua volta, in spesa per servizi (da aggiungere alla stima della spesa Reis perché rivolta alla sua stessa popolazione
target) e in spesa per trasferimenti monetari (da aggiungere perché non viene conteggiata nei modelli economici che
stimano le risorse disponibili per gli interventi pubblici contro la povertà e quelle necessarie, cfr. cap. 3).
3
4
Si è presa a riferimento questa percentuale, pur nella grande incertezza degli studi in materia (si veda oltre), sulla
base delle esperienze italiane già menzionate negli altri capitoli della proposta e di alcuni studi comparativi (in particolare Immervol, 2010, 2012; Frazer & Marlier, 2009; Kuddo, 20102).
3
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
di finanziamento privilegiare, tra quelle qui proposte, per finanziare la misura: questa decisione
non può che spettare al livello politico.
Prende così forma un approccio alternativo alla diatriba – dai tratti sovente schizofrenici – tra chi
sostiene che “con tutti gli sprechi esistenti nel sistema pubblico si possono trovare tante risorse” e
coloro i quali controbattono affermando che “non si può fare niente perché non ci sono soldi”. Come si cercherà di dimostrare nel prosieguo del capitolo, alcune risorse finanziarie possono essere
recuperate, probabilmente minori di quanto ritengano i primi ma maggiori di ciò che pensano i
secondi.
Ciò detto, la scelta sulle specifiche strategie di finanziamento da adottare è nelle mani della politica.
È, invece, compito di chi avanza una proposta mostrare che gli stanziamenti disponibili, se si vuole, non solo ci sono, ma si possono anche trovare nel rispetto di elementari principi di equità ed efficienza.
9.3.1. Criteri di accettabilità delle strategie di finanziamento
Al fine di individuare possibili strategie di finanziamento del Reis occorre definire i criteri per
l’accettabilità tecnica e politica delle strategie medesime: si ritiene che tali criteri debbano avere a
che fare con i possibili effetti di equità ed efficienza che il finanziamento della nuova misura (Reis)
può determinare. In linea di principio ciascuna modalità di finanziamento del nuovo istituto di lotta alla povertà assoluta dovrebbe, infatti, poter essere valutata negli effetti che essa produce sui
comportamenti economici (aspetti di efficienza) e sulla distribuzione finale delle risorse (aspetti di
equità). Risulta altresì immediatamente evidente che il prerequisito fondamentale di qualsiasi criterio di accettabilità delle diverse modalità di finanziamento del Reis consiste nella possibilità di
misurarle in modo puntuale e di poterne esaminare gli effetti economico-sociali.
Lo strumento ideale per analizzare gli effetti di equità ed efficienza di ipotetiche forme di finanziamento del nuovo istituto di lotta alla povertà assoluta sarebbe un modello di microsimulazione
tax-benefit. Questo tipo di modellistica è infatti in grado di quantificare non solo l’impatto sul bilancio pubblico delle diverse fonti di finanziamento della nuova misura, ma anche di valutare gli
effetti di breve periodo sui bilanci familiari e sulla distribuzione del reddito (analisi di equità),
nonché le possibili reazioni comportamentali, con particolare riferimento alle scelte individuali in
materia di offerta di lavoro e/o di risparmio (analisi di efficienza). Ciò detto, approfondiamo ora
ulteriormente i tre criteri di accettabilità.
a)Concretezza
Questo criterio potrebbe apparire a prima vista scontato ma così non è. È con riferimento a un
principio di concretezza che, ad esempio, la nostra proposta non contempla, tra le possibili fonti di
finanziamento del Reis, un recupero di risorse dal lato della lotta all’evasione fiscale e/o alla corruzione, essendo tali misure di incerta quantificazione.
b)Equità
Si tratta evidentemente di valutare se, e in che misura, gli ipotetici interventi dal lato del finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale producano effetti sul livello della diseguaglianza e
della povertà economica. Sotto il profilo dell’equità, e per quanto questo concetto sia passibile di
diverse interpretazioni, appaiono preferibili quelle forme di finanziamento che determinano una
riduzione della forbice tra ricchi e poveri o una redistribuzione a favore dei nuclei familiari di reddito più basso.
4
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
c) Efficienza
Si tratta qui, invece, di studiare i possibili effetti di medio-lungo periodo che tale finanziamento avrebbe sulle scelte economiche degli individui: si può presumere, infatti, che qualunque forma di
tassazione e di spesa pubblica per l’assistenza subordinata a criteri di selettività economica, o loro
ipotetiche riforme, influenzi le scelte economiche dell’individuo, determinando, ad esempio, un disincentivo all’offerta di lavoro e quindi alla produzione del reddito. Un incremento delle aliquote
d’imposta o un’accentuazione della selettività sottesa alla fornitura di determinati programmi di
spesa di welfare, aumentano infatti il carico fiscale che grava sul reddito (individuale o familiare) o
riducono l’importo del beneficio assistenziale a cui si ha diritto. Sempre con riferimento ad
un’analisi di efficienza, in linea teorica, si potrebbe anche voler misurare se, e quanto, ciascuna
ipotetica misura di finanziamento del nuovo istituto di contrasto della povertà assoluta incida negativamente sul tasso di crescita potenziale dell’economia o se, al contrario, sia in grado di correggere eventuali distorsioni preesistenti sui mercati. È evidente che, sotto questo profilo, sono tanto
più accettabili quelle misure di finanziamento che hanno il minimo impatto distorsivo sulle scelte
economiche degli individui o delle famiglie.
Nella costruzione delle nostre ipotesi di finanziamento ai tre criteri guida illustrati si affianca un
preciso approccio verso il tema in esame. Si tratta di una certa parsimonia nell’individuare le opzioni da includere tra le strategie di finanziamento possibili, come mostrano alcuni esempi. Primo,
per ognuna delle ipotesi di finanziamento considerate vengono presentati un valore minimo ed un
valore massimo di risorse ottenibili: quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, è piuttosto inferiore all’ammontare più alto di risorse che si potrebbe effettivamente ottenere applicandola. Secondo, non vengono considerate le risorse ulteriori che si potranno liberare nel periodo 2014-2017
grazie al maggior gettito dovuto alla ripresa della crescita del Pil (cfr. cap 10). Terzo, non vengono
presi in considerazione stanziamenti aggiuntivi che potrebbero essere resi possibili da un eventuale allentamento dei vincoli europei alla spesa pubblica. La congiunzione tra l’approccio parsimonioso e il criterio della concretezza porta alla luce il messaggio di fondo del capitolo, che emergerà nelle prossime pagine: è difficile trovare le risorse per il Reis ma se esiste una volontà politica
in questa direzione è possibile farlo, ed è possibile farlo compatibilmente con i criteri di giustizia
sociale e sostegno allo sviluppo economico, che sono da ritenersi imprescindibili.
Salvo rarissime eccezioni, la modellistica di microsimulazione impiegata in Italia, ma anche a livello europeo, si limita a considerare i soli effetti d’impatto delle politiche pubbliche di spesa e di prelievo di tipo monetario; non vengono invece presi in esame né la redistribuzione attuata tramite i
servizi (si pensi alla spesa pubblica per l’istruzione, per la sanità o agli interventi nel campo delle
politiche abitative), né gli effetti di più lungo termine che tali politiche o loro ipotetiche riforme
possono determinare sui comportamenti economici. Il modello di simulazione adottato in questa
sede rientra in quest’ultima famiglia di strumenti d’analisi, essendo stato sviluppato, messo a punto e applicato ripetutamente nello studio degli effetti sul bilancio pubblico e sulla distribuzione
personale del reddito delle principali riforme tributarie realizzate nel nostro paese dalla metà del
decennio scorso ad oggi.
5
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
9.4. LE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO5
9.4.1. Minori spese
Non è tra gli obiettivi del presente capitolo quello di indagare se e in che grado siano disponibili
spazi di riduzione dei livelli attuali della spesa pubblica complessiva, a partire dalla individuazione
di possibili aree di spreco o di inefficienza presenti nell’organizzazione dell’offerta dei servizi e
investimenti pubblici e negli interventi finanziari disposti a favore di famiglie e/o imprese. La nozione di inefficienza nella produzione di servizi pubblici e nell’organizzazione dell’intervento
pubblico ha una tale varietà e complessità di dimensioni che meriterebbero una trattazione sepa6
rata, che va ben al di là del presente lavoro .
La Tabella 2 riporta per il 2011 la spesa pubblica primaria per funzioni rispetto al PIL in Italia, in
alcune delle economie europee facenti parte del nucleo precedente all’allargamento ad Est e nella
media a 27 paesi (UE-27), mentre la Tabella 3 riporta la corrispondente composizione della spesa
primaria. Fatta eccezione per la spesa per la protezione sociale, che risulta più alta della media europea di circa un punto percentuale assoluto, le altre voci relative all’Italia (Tabella 1) sono minori
o al più sostanzialmente uguali a quelle che si registrano mediamente nel resto dell’Europa. Lievemente superiori alla media europea risultano solo la spesa per i servizi generali (3,9 per cento
del PIL in Italia contro il 3,7 in Europa), l’ordine pubblico (2 per cento del PIL contro l’1,9) e la sanità (7,4 per cento contro 7,3). Analoghe considerazioni valgono se si considera la composizione
della spesa primaria (Tabella 3). Come si evince dai dati, il 45,5 per cento della spesa primaria in
Italia è assorbita dalla protezione sociale, contro il 42,4 per cento in Europa. È questa l’unica voce
che, in relazione al forte peso che al suo interno riveste la spesa per pensioni, registra un sensibile
differenziale positivo (circa tre punti percentuali) tra il nostro paese e il resto d’Europa.
TABELLA 2. SPESA PUBBLICA PRIMARIA RISPETTO AL PIL - 2011
Servizi
Ordine
Difesa
generali
pubblico
Affari economici
Ambiente
Abitazioni
Totale
Protezione
e territo- Sanità Cultura Istruzione
spesa
sociale
rio
primaria
Italia
3,9
1,5
2,0
3,6
0,9
0,7
7,4
0,6
4,2
20,5
45,1
Francia
3,9
1,8
1,8
3,5
1,1
1,9
8,3
1,4
6,0
23,9
53,4
Germania
3,7
1,1
1,6
3,5
0,7
0,6
7,0
0,8
4,3
19,6
42,8
Belgio
4,5
1,0
1,8
6,5
0,8
0,4
7,9
1,3
6,2
19,5
49,8
Irlanda
2,2
0,4
1,8
7,9
1,0
0,6
7,5
0,9
5,2
17,3
44,8
Grecia
5,6
2,4
1,7
3,2
0,5
0,2
6,0
0,6
4,1
20,4
44,6
Paese
Nella definizione delle possibili fonti di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale non si fa riferimento
alle risorse che si renderanno disponibili ad opera del Fondo sociale europeo, relativamente al periodo di programmazione 2014-2020, non essendo ancora stati perfezionati (al momento della stesura del presente lavoro) gli “accordi
di partenariato” e i programmi operativi previsti dalla Commissione europea. La promozione dell’inclusione sociale e
la lotta alla povertà rientra, tuttavia, tra le aree tematiche rilevanti per le singole missioni/obiettivi individuati a livello comunitario per quanto concerne l’uso del Fondo sociale 2014-2020.
5
6 Sulla performance delle amministrazioni pubbliche in tema di economicità, qualità ed efficienza dei servizi pubblici
in Italia, con particolare riferimento al tema della “revisione della spesa pubblica” (spending review), si veda il Rapporto presentato dall’allora Ministro con delega al programma di governo, Piero Giarda, al consiglio dei Ministri del 30
aprile 2012, poi confluito nel Rapporto riguardante l’analisi di alcuni settori della spesa pubblica (Presidenza del Consiglio dei Ministri 2013). Sul tema della revisione della spesa pubblica nel contesto più ampio delle riforme istituzionali si veda anche il Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti (Corte dei Conti
2013, pp.65-75, 221-245).
6
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Spagna
3,2
1,1
2,2
5,3
0,9
0,6
6,3
1,5
4,7
16,9
42,7
Finlandia
5,9
1,5
1,5
4,8
0,2
0,6
7,8
1,2
6,4
23,7
53,6
Svezia
6,1
1,5
1,4
4,2
0,3
0,7
7,0
1,1
6,8
20,8
49,9
Regno Unito
2,4
2,5
2,6
2,6
1,0
0,9
8,0
1,0
6,5
17,9
45,4
Media UE-27
3,7
1,5
1,9
4,0
0,9
0,9
7,3
1,1
5,3
19,6
46,2
Fonte: Ragioneria generale dello Stato, 2013.
TABELLA 3. COMPOSIZIONE DELLA SPESA PUBBLICA PRIMARIA - 2011
Servizi
Ordine
Difesa
generali
pubblico
Affari economici
Ambiente
Abitazioni
Totale
Protezione
e territo- Sanità Cultura Istruzione
spesa
sociale
rio
primaria
Italia
8,6
3,3
4,4
8,0
2,0
1,6
16,4
1,3
9,3
45,5
100,0
Francia
7,3
3,4
3,4
6,6
2,1
3,6
15,5
2,6
11,2
44,8
100,0
Germania
8,6
2,6
3,7
8,2
1,6
1,4
16,4
1,9
10,0
45,8
100,0
Belgio
9,0
2,0
3,6
13,1
1,6
0,8
15,9
2,6
12,4
39,2
100,0
Irlanda
4,9
0,9
4,0
17,6
2,2
1,3
16,7
2,0
11,6
38,6
100,0
Grecia
12,6
5,4
3,8
7,2
1,1
0,4
13,5
1,3
9,2
45,7
100,0
Spagna
7,5
2,6
5,2
12,4
2,1
1,4
14,8
3,5
11,0
39,6
100,0
Finlandia
11,0
2,8
2,8
9,0
0,4
1,1
14,6
2,2
11,9
44,2
100,0
Svezia
12,2
3,0
2,8
8,4
0,6
1,4
14,0
2,2
13,6
41,7
100,0
Regno Unito
5,3
5,5
5,7
5,7
2,2
2,0
17,6
2,2
14,3
39,4
100,0
Media UE-27
8,0
3,2
4,1
8,7
1,9
1,9
15,8
2,4
11,5
42,4
100,0
Paese
Fonte: Elaborazione su dati Ragioneria generale dello Stato, 2013.
Se si considera l’attuale struttura della spesa pubblica primaria, sembra difficile nel breve periodo
trovare margini di manovra che comportino, ai fini del finanziamento del Reis, un significativo recupero di risorse dal lato della spesa, se non con riferimento alla protezione sociale e, segnatamente, alla spesa previdenziale e assistenziale. Più in particolare, le risorse necessarie per finanziare la
nuova misura a contrasto della povertà assoluta potrebbero essere reperite attraverso i canali illustrati di seguito.
Interventi in materia di spesa per la previdenza
Sul versante della spesa previdenziale, risparmi di spesa a carico delle pensioni più elevate andrebbero nella direzione di rendere più incisive le restrizioni alla perequazione automatica al tasso di inflazione delle pensioni e i prelievi sulle cosiddette pensioni d’oro, peraltro già introdotti fin
dall’estate 2011 e a valere per il biennio successivo. Rientrerebbero in questo gruppo di interventi
il blocco della rivalutazione automatica di tutti i trattamenti pensionistici che raggiungono un determinato importo (tipicamente un multiplo del trattamento minimo INPS) o una loro rivalutazio7
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
7
ne inferiore al 100 per cento , e il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo superiore a
determinati livelli (nel 2012 tale soglia era stata fissata a 90 mila euro annui). Interventi di questo
tipo, e in particolare il ricorso a un contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, avrebbero un carattere progressivo e quindi di equità verticale (tale da ridurre le distanze relative tra i redditi dei
pensionati) e si concentrerebbero principalmente sui trattamenti di anzianità erogati in anni passati, in media più alti e palesemente non rispettosi del concetto di equità attuariale (Baldini e Pacifico 2011; Mazzaferro e Morciano 2012; Boeri e Nannicini 2013). In aggiunta ai problemi di legittimità costituzionale che interventi restrittivi di questo tipo sollevano, rimarrebbe da valutare, sul
piano strettamente economico, quanto essi possano rallentare la dinamica della domanda aggregata per consumi in una fase di persistente stagnazione dell’economia. Al netto degli effetti
dell’imposizione fiscale e del loro carattere più o meno permanente, si stima che questi interventi
sulla spesa pensionistica possano permettere di recuperare 1-1,5 miliardi di euro.
Interventi in materia di spesa per l’assistenza
Per quanto concerne, invece, gli interventi sul versante della spesa per assistenza, essi si giustificherebbero, oltre che sul piano del recupero di risorse utili a finanziare la nuova misura, anche e
soprattutto sul piano del conseguimento di una più elevata target efficiency della spesa stessa, ovvero della capacità di andare a vantaggio dei soggetti effettivamente meritevoli di sostegno economico pubblico.
Alcune stime mostrano come circa un quarto della spesa per pensioni sociali (1 miliardo su 4) e il
60 per cento della spesa per indennità di accompagnamento (la cui spesa complessiva si aggira sui
12 miliardi) vadano a vantaggio del 50 per cento più ricco delle famiglie italiane (IRS 2011). Se il
dato per le indennità di accompagnamento riflette l’opportuna assenza di qualunque forma di selettività economica, quello relativo alla spesa per pensioni e assegni sociali denota invece
l’insoddisfacente impatto redistributivo della normativa vigente. Dalla revisione dei criteri di means-testing che si applicano alla spesa per assegni e pensioni sociali sarebbe possibile ottenere
una riduzione di spesa di circa 1 miliardo di euro. Ciò potrebbe essere conseguito attraverso una
modifica dei criteri di selettività a cui è condizionato il calcolo dell’importo del beneficio - criteri
basati sul reddito dichiarato a fini fiscali (IRPEF) – e, in particolare, con l’estensione dell’ISEE anche a tali prestazioni.
Anche la distribuzione della spesa della componente integrata al minimo delle pensioni è verosimile che abbia un andamento non conforme a elementari criteri di equità verticale: in passato alcuni
studi hanno stimato che non più del 25 per cento del totale di questo programma di spesa andasse
8
ai nuclei familiari che occupavano i due decili più poveri della distribuzione (Toso 2000) . Considerando che la spesa per le integrazioni al minimo delle pensioni è attualmente nell’ordine di 1112 miliardi di euro, non si può non rimarcare la deludente azione di contrasto della povertà esercitata da questo istituto. L’introduzione del metodo contributivo, con la riforma Dini delle pensioni,
ha in linea di principio fatto venire meno l’istituto dell’integrazione al minimo della pensione, senza tuttavia comportarne l’immediato superamento, considerati i tempi lunghi con i quali la riforma
7 Come è noto, la legge n. 214/2011, di conversione del decreto “Salva-Italia”, ha previsto per il biennio 2012-2013 la
rivalutazione integrale per le pensioni fino a tre volte il minimo e nessun incremento sopra a tale soglia. Dal 2014 si
sarebbe dovuto tornare al sistema delineato in precedenza dalla l. n. 388/2000, con la rivalutazione al 90% per le
pensioni tra tre e cinque volte il minimo INPS e al 75 per cento oltre cinque. Nella legge di stabilità per il 2013 (l. n.
228/2012, art. 1, c. 236), tuttavia, al fine di trovare risorse finanziarie per i cosiddetti lavoratori esodati, è stato stabilito per il 2014 di non rivalutare le pensioni che superano la soglia di sei volte il trattamento minimo.
8
Più recenti analisi contenute nel rapporto “Costruiamo il welfare di domani: proposta di riforma delle politiche e degli interventi socioassistenziali”, di IRS e Fondazione Cariplo ( richiamato nel capitolo 1), mostrano la persistenza
di forti iniquità nella distribuzione di questa spesa.
8
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
andrà a regime. Anche in questo caso, analogamente a quanto scritto sopra con riferimento a
pensioni/assegni sociali, si potrebbe ipotizzare una revisione dei criteri di verifica della condizione economica a cui è subordinato il computo dell’integrazione al minimo che comporti l’adozione
dell’ISEE. Da tale riforma sarebbe possibile ottenere una minor spesa stimabile in via prudenziale
di circa 2,5-3,5 miliardi di euro.
Un ulteriore capitolo di spesa che, se riformato, potrebbe contribuire al finanziamento di una
nuova misura di contrasto della povertà, è quello delle pensioni di guerra indirette (ossia erogate
al coniuge una volta deceduto il beneficiario), per le quali può essere opportuno condizionarne
l’accesso a stringenti criteri di verifica della condizione economica, essendo meno cogente la natura risarcitoria della prestazione. Attualmente la spesa per pensioni di guerra indirette è stimabile
in poco più di 500 milioni.
3)Riduzione spesa pubblica per i servizi generali
Le tabelle 2 e 3 mostrano uno scostamento nella spesa per i servizi generali delle amministrazioni
pubbliche tra il nostro paese e la media europea. Come quota di Pil siamo 0,2 punti percentuali al
di sopra della media (3,9 rispetto a 3,7) e come quota della spesa pubblica primaria siamo sopra di
0,6 punti percentuali (8,6 rispetto ad 8,0). Questa voce di spesa copre i costi di funzionamento
delle istituzioni e al suo interno è così suddivisa: 63% del totale per “Organi esecutivi e legislativi,
attività finanziarie e fiscali e affari”, 19% per “servizi generali”, e poi varie funzioni minori (Ragioneria Generale dello Stato, 2013).
Pur essendo la portata di questa strategia di finanziamento più contenuta rispetto alla quasi totalità di quelle riguardanti minori spese, in un’epoca storica segnata da particolare attenzione ai costi
del sistema politico-istituzionale e davanti a dati empirici che ne mostrano una spesa dedicata particolarmente alta è parso opportuno inserirla. L’ipotesi massima è 1,6 miliardi, pari a quello 0,2%
del Pil che ci distanzia dalla media europea, mentre l’ipotesi minima è di 0,8 miliardi, cioè lo 0,1%
del Pil.
In sintesi, esistono, almeno sulla carta, ampi margini di manovra, sia per ricondurre a obiettivi di
maggiore equità la spesa per l’assistenza corrente, sia per recuperare risorse ai fini del sostegno
del reddito di famiglie in condizioni di effettivo disagio economico. Complessivamente, gli interventi proposti sul versante della spesa, oltre a contribuire alla riqualificazione dei principali trasferimenti monetari gestiti direttamente dal governo centrale, garantirebbero una disponibilità di
risorse comprese tra 6,3 e 8,6 miliardi di euro (si veda, più avanti, la Tabella 4).
9.4.2. Maggiori entrate
Per quanto riguarda le maggiori entrate, le risorse potrebbero essere reperite attraverso le seguenti misure.
1) Un incremento dell’accisa sul tabacco. Nel 2011 il gettito derivante dal consumo di tabacco è
stato pari a 10,4 miliardi, solo moderatamente cresciuto nell’ultimo quinquennio (il gettito 2006
era pari a 9,3 miliardi) (Banca d’Italia, 2012).
Rispetto ad altri paesi, l’Italia è caratterizzata da un prezzo di vendita del tabacco relativamente
basso, nonostante i tributi costituiscano circa il 75 per cento del prezzo di vendita. Un incremento
troppo consistente delle accise in questo comparto potrebbe determinare una forte contrazione
dei volumi di vendita, già in calo nell’ultimo biennio a causa sia della crisi economica, sia della crescita dell’utilizzo delle cosiddette sigarette elettroniche. Un lieve incremento dell’accisa (e
l’introduzione, come sembra sia possibile, di un’accisa per le sigarette elettroniche) potrebbe invece costituire un’adeguata fonte di finanziamento.
9
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Tale misura dovrebbe peraltro incontrare una scarsa resistenza politica, a causa delle forti esternalità negative prodotte dal fumo. Considerando solamente le famiglie dove risiede almeno un fumatore, l’incidenza della spesa per il tabacco è fortemente decrescente all’aumentare del reddito;
l’impatto distributivo atteso dall’incremento del sistema di accise sul tabacco è pertanto regressivo (vedi infra). Tale risultato non deve tuttavia essere da ostacolo, a causa delle ricordate esternalità
negative del consumo di tabacco.
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i volumi di vendita legali di tabacco in Italia
ammontano a circa 90 mila tonnellate all’anno. Poiché un chilogrammo equivale a circa mille sigarette, i pacchetti di sigarette venduti nel circuito regolare annualmente sono quantificabili in 4,5
miliardi. Ipotizzando una variazione del sistema dell’accisa che consenta un aumento di 25 centesimi del prezzo di ogni pacchetto venduto, l’incremento di gettito è quantificabile in un 1,1 miliardi di euro; ipotizzando un aumento del prezzo di vendita pari solamente a 10 centesimi, il gettito
aggiuntivo è stimabile in circa 450 milioni di euro. Poiché non è ancora certa l’introduzione
dell’accisa sulle sigarette elettroniche ed è difficile poter prevedere la possibile riduzione del consumo di tabacco nei prossimi anni, si considerano prudentemente incrementi di gettito minori del
15 per cento rispetto a quelli calcolati con gli ultimi dati disponibili, pari a 900 e 380 milioni di euro, rispettivamente.
2) Un incremento dell’accisa sulla produzione di bevande alcoliche. Attualmente l’accisa sul vino è
assente; l’accisa sulla birra è pari a 2,35 euro per ettolitro e per grado plato, mentre è pari a 68,51
euro per ettolitro per i prodotti alcolici intermedi.
Per quanto riguarda la birra, il gettito derivante dall’accisa è pari nel 2011 a 529 milioni di euro
(Relazione generale sulla situazione economica del paese – 2011, 2012). Nel 2011 sono stati prodotti 13,4 milioni di ettolitri e consumati 17,7 milioni; i volumi importati ammontano a 6,4 milioni
mentre le esportazioni sono pari a 2,1 milioni di ettolitri. In media oggi l’accisa per litro di birra
prodotta è pari a 39 centesimi di euro. Ipotizzando un aumento dell’accisa di 10 centesimi sarebbe
possibile ottenere un gettito aggiuntivo di circa 130 milioni di euro.
Per quanto riguarda gli spiriti, il gettito dell’accisa nel 2011 è pari a 554 milioni di euro (Relazione
generale – 2011, 2012), corrispondenti a circa 8 milioni di ettolitri. Ipotizzando anche per questo
comparto un incremento dell’accisa nell’ordine di 10 centesimi sarebbe possibile ottenere un
maggior gettito stimabile in circa 80 milioni di euro.
Passando al vino, dati gli elevati volumi di vendita (il raccolto 2012 è stimato in circa 40,8 milioni
di ettolitri), sarebbe possibile, anche con l’introduzione di una accisa decisamente contenuta, pari
ad esempio alla metà di quella oggi applicata in media sulla birra (20 centesimi di euro al litro),
ottenere un gettito di circa 800 milioni di euro. Applicando un’accisa pari ad un quarto di quella
prevista in media oggi sulla birra (10 centesimi di euro) il gettito ottenibile sarebbe pari a circa
400 milioni. Infine, poiché l’Italia è anche un forte esportatore di vino, una parte consistente
dell’accisa (nell’ipotesi di piena traslazione) non inciderebbe sui costi dei produttori nazionali ma
graverebbe sui consumatori esteri, rendendo politicamente più appetibile l’introduzione di
un’accisa sul vino, oggi assente.
3) Un incremento del prezzo di vendita dei concorsi a premio (lotto e superenalotto) e
l’introduzione o l’aumento dell’aliquota d’imposta sulle vincite. Le entrate derivanti da lotto e lotterie sono complessivamente pari nel 2011 a 12,8 miliardi di euro (Banca d’Italia, 2012).
Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (2012), l’ammontare complessivo della raccolta dei giochi nel 2011 è pari a 79,8 miliardi di euro. La quota trasferita all’erario è variabile da
10
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
gioco a gioco: è circa il 50 per cento per il Superenalotto, ma per molti altri giochi le percentuali
sono inferiori. L’ammontare delle vincite pagate è pari a 61,3 miliardi; molte vincite sono esenti da
imposta oppure tassate con aliquote estremamente ridotte.
Scomponendo l’ammontare complessivo, i giochi che garantiscono la maggior raccolta sono quelli delle “macchinette” e i giochi on line, per un ammontare pari a 44,9 miliardi di euro; seguono le
lotterie (10,1 miliardi), il lotto (6,8), i giochi di carte (6,2), i giochi a base sportiva e ippica (complessivamente 5,3 miliardi) e il superenalotto (2,4 miliardi di euro). Chiudono il quadro i giochi di
abilità a distanza (2,3 miliardi) e il bingo (1,9 miliardi).
Ipotizzando l’incremento del prezzo di giocata di ogni gioco del 10 per cento, a parità di condizioni
l’incremento della raccolta sarebbe pari a 8 miliardi di euro. È difficile stimare l’elasticità della raccolta rispetto al prezzo di vendita; in via prudenziale si può supporre che la raccolta possa aumentare di 5 miliardi. Supponendo che all’erario ne affluisca una quota media del 20 per cento,
l’incremento delle entrate sarebbe pari a 1 miliardo.
La principale fonte di variazione di entrata è tuttavia costituita dall’imposizione sulle vincite. Ipotizzando una variazione d’imposizione del 5 per cento, l’incremento delle entrate sarebbe quantificabile in 3 miliardi di euro. È da notare che in molti casi si tratterebbe di introdurre
un’imposizione oggi assente (per le vincite al di sotto di una certa soglia), con un’aliquota decisamente contenuta. Inoltre, con la ritenuta alla fonte, l’imposta dovuta dal giocatore determinerebbe
una riduzione del premio, con una scarsa percezione dell’imposta pagata. Dalle misure adottate sarebbe pertanto possibile ricavare complessivamente 3 o 4 miliardi di euro di euro.
4) Riordino delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures) in sede di imposta personale e progressiva sul reddito e riordino dei trasferimenti alle imprese private. Come indicato dalla Commissione
Ceriani (2011), nell’ordinamento fiscale italiano sono presenti diverse centinaia di agevolazioni
9
fiscali, alcune riguardanti le persone fisiche, altre le imprese .
4.1) Per quanto riguarda le persone fisiche la Commissione indica un mancato gettito (rispetto al
regime ordinario) pari a circa 104 miliardi di euro. La maggior parte di queste agevolazioni danno
concreta attuazione al principio di discriminazione qualitativa dei redditi (si pensi alle detrazioni
per redditi di lavoro) o perseguono finalità di equità orizzontale e sostegno delle responsabilità
familiari (si pensi alle detrazioni per carichi di famiglia). Esistono tuttavia alcune tipologie di agevolazioni in sede IRPEF che potrebbero rientrare nel regime ordinario dell’imposta, alcune perché
conferiscono regressività al nostro sistema fiscale avvantaggiando prevalentemente i contribuenti
a reddito medio-alto, altre perché non si intuisce la ragione economica che giustifica il loro man10
tenimento (oltre che essere fonte di complessità e scarsa trasparenza del sistema tributario) . Inoltre, anziché ipotizzare, come spesso proposto, un taglio lineare di tutte le deduzioni e detrazioni
per oneri, sarebbe più coerente prevedere, analogamente a quanto avviene oggi per le detrazioni
per redditi di lavoro e per carichi familiari, che la quota di deduzione e detrazione fiscalmente ammessa sia decrescente all’aumentare del reddito. Il maggior gettito derivante da queste misure potrebbe essere pari a 1-1,5 miliardi di euro.
4.2) La Commissione Giavazzi (2012) ha stimato (si veda anche Affuso e Nannariello (2011) e
Servizio Studi del Senato (2011)) che la riforma e la razionalizzazione delle agevolazioni alle im-
9
Sull’argomento si veda anche il citato Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica (Corte dei Conti, 2013, pp.45-53).
10
Ad esempio: la forte sottostima dei redditi dei terreni e dei fabbricati; la deduzione della rendita rivalutata dell’abitazione di residenza dalla
base imponibile; l’esenzione per i contribuenti con redditi da fabbricati inferiori a 500 euro e da terreni inferiori a 186 euro; detrazione per
interessi passivi sui mutui per abitazioni diverse da quella di residenza; le deduzioni per le erogazioni liberali; le detrazioni per spese veterinarie, ecc..
11
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
prese su cui si potrebbe intervenire nel breve periodo, con riduzioni di spesa, potrebbe garantire
risparmi pari a circa 10 miliardi di euro. La maggior parte della razionalizzazione di questo comparto sarebbe destinata alla riduzione del costo del lavoro, particolarmente elevato nel nostro paese. Una parte minore (circa 500 milioni di euro, pari al 5 per cento del totale) potrebbe essere destinato al finanziamento del contrasto alla povertà assoluta.
5) Proroga e revisione del contributo di solidarietà in sede IRPEF. Per il triennio 2011-2013 è previsto un contributo di solidarietà pari al 3 per cento per i redditi superiori ai 300 mila euro, da applicarsi solamente alla parte di reddito eccedente i 300 mila euro. Il contributo di solidarietà rappresenta tuttavia un onere deducibile dal reddito complessivo del contribuente. Secondo gli ultimi
dati sulle dichiarazioni (relativi al periodo d’imposta 2011), i contribuenti che dichiarano più di
300 mila euro di reddito complessivo IRPEF sono 31.752, e il loro reddito complessivo medio è pari a 581 mila euro. Ipotizzando un contributo di solidarietà pari all’1,5 per cento a partire dal periodo d’imposta 2014, reso indeducibile dal reddito complessivo, il maggior gettito è pari a circa 134
11
milioni di euro .
6) Introduzione di un’imposta progressiva sul patrimonio (valori mobiliari e immobiliari) focalizzata solamente sui grandi patrimoni. Nonostante oggi i flussi informativi consentano di individuare l’ammontare di investimenti mobiliari in capo ad ogni soggetto, la gestione di questo flusso informativo necessita tuttavia di tempo per essere implementata in modo corretto. In via prudenziale, pertanto, nel breve periodo potrebbe essere introdotta una nuova imposta la cui base imponibile
è costituita dai grandi patrimoni immobiliari.
Per i contribuenti interessati, questa nuova imposta dovrebbe essere aggiuntiva all’IMU. Il sistema
così strutturato sarebbe caratterizzato da una duplice forma di imposizione sui valori immobiliari:
un’imposta reale con aliquota proporzionale su ogni immobile il cui gettito è destinato al finanziamento dei Comuni (l’IMU) e una progressiva sul coacervo patrimoniale, finalizzata ad incrementare la progressività complessiva del nostro sistema tributario.
La rivisitazione del sistema impositivo sui patrimoni, anche se necessaria a causa dell’arretratezza
del nostro sistema catastale, potrebbe tuttavia non ottenere il consenso politico. Il passaggio
dall’ICI all’IMU ha determinato una variazione di gettito di circa 14 miliardi. Per questi motivi, si
stima che da questa nuova imposta, limitata ai grandi patrimoni immobiliari, possano derivare
maggiori entrate variabili tra uno e due miliardi di euro a seconda della struttura dell’imposta.
7) Revisione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Nel 2012 il gettito di tale imposta è stato
pari a 586 milioni di euro: nel contesto europeo l’Italia si caratterizza per un modesto gettito di
questa natura. Rivedendo le franchigie e le aliquote attualmente applicate sarebbe possibile aumentarlo del 10 per cento, rendendo disponibili ulteriori 60 milioni di euro.
8) Incremento della tassa di concessione governativa per la licenza di porto di fucile per uso caccia. Attualmente le licenze di caccia rilasciate sono circa 800 mila; la tassa di concessione governativa è pari a 168 euro. Incrementandola a 300 euro si otterrebbe un aumento delle entrate pari a
circa 100 milioni di euro.
11
Anche per questo tipo di intervento, si possono porre i problemi di legittimità costituzionale a cui si è accennato in precedenza, con riferimento all’ipotesi di un contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro.
12
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Complessivamente, le misure considerate sul versante delle entrate garantirebbero un maggior
gettito compreso tra 6,9 e 10,4 miliardi (Tabella 4).
TABELLA 4. UNA SINTESI DELLE MISURE CONSIDERATE
Minori spese o maggiori entrate (milioni
di euro)
Misure considerate
Minimo
Massimo
Spese
6.300
8.600
Riduzione pensioni d’oro
1.000
1.500
Riordino pensioni sociali
1.000
1.000
Riordino integrazioni al minimo delle pensioni
3.000
4.000
Riordino pensioni di guerra indirette
500
500
Riduzione spesa pubblica per servizi generali
800
1.600
Entrate
6.784
10.204
Accisa sul tabacco
380
900
Accisa sulle bevande alcoliche
610
1.010
- di cui vino
400
800
- di cui birra
130
130
- di cui spiriti
80
80
Concorsi a premio, lotto e lotterie
3.000
4.000
Riordino spese fiscali IRPEF
1.000
1.500
Proroga contributo solidarietà in sede IRPEF
134
134
Revisione imposta sulle successioni e donazioni
60
60
Riordino trasferimenti alle imprese
500
500
Imposta sul patrimonio
1.000
2.000
Tassa di concessione governativa licenza di caccia
100
100
Totale
13.084
18.804
Considerando congiuntamente le misure proposte, sia sul versante della spesa sia quello delle entrate, le risorse che potrebbero complessivamente rendersi disponibili variano tra 12,7 e 17,7 miliardi di euro. Poiché il costo dell’introduzione del
nuovo Reddito d’inclusione sociale è decisamente minore, sarebbe possibile prevedere l’adozione solo di alcune misure, tra
quelle considerate, oppure un diverso mix di misure rispetto a quanto proposto in questa sede.
Ovviamente altri interventi sul versante sia della spesa, sia delle entrate sarebbero possibili, come ad esempio un maggior
recupero da evasione e riscossione dei tributi oppure una riduzione del fenomeno della corruzione. Non potendo quantificare e valutare gli effetti di queste misure, che pur sarebbero prioritariamente auspicabili, nel presente lavoro non se ne è
tenuto conto.
Con riferimento alla varietà di fonti di finanziamento prese in considerazione, dev’essere infine aggiunto che una valutazione accurata di ciascuna di esse presuppone, ove possibile, una stima del loro impatto sulla distribuzione personale del red-
13
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
dito con opportuni strumenti di microsimulazione tax-benefit. Solo con il ricorso a tali strumenti è infatti possibile apprezzare non solo il segno, ma anche l’intensità degli effetti delle varie ipotesi di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione
sociale sulla diseguaglianza e sulla povertà economica.
9.5. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MINORI
SPESE
La valutazione dell’impatto che i principali interventi precedentemente ipotizzati sul versante della spesa sociale avrebbero sulla distribuzione del reddito si concentra sul riordino dei trasferimenti
monetari di carattere assistenziale vigenti nel nostro paese.
Si stima che il complesso della spesa pubblica per assistenza destinata al contrasto della povertà
(costituita essenzialmente da pensioni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni, Carta Acquisti
e altri istituti minori) assorba in Italia circa 17,9 miliardi di euro.
Vista l’entità non trascurabile della spesa di welfare destinata al contrasto della povertà, può essere
di qualche interesse indagarne la distribuzione tra le famiglie italiane, ordinate tra loro per livelli
non decrescenti di condizione economica. La tabella 4 presenta la distribuzione per decili di famiglie della spesa in questione, dopo aver ordinato i nuclei per livelli crescenti di ISEE (nella versione
riformata contenuta nella bozza di DPCM predisposto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali fin dalla seconda metà del 2012).
A dimostrazione di come nel nostro paese i trasferimenti monetari a contrasto della povertà presentino discutibilissimi effetti redistributivi, la Tabella 5 mette chiaramente in evidenza come un
terzo di essa, pari a circa 6,5 miliardi di euro su 17,9, sia appannaggio delle famiglie che occupano
la metà più benestante della popolazione, dal sesto al decimo decile. Per rendere disponibile un
ammontare di risorse necessarie a finanziare il nuovo Reddito di inclusione sociale, quindi, sarebbe sufficiente azzerare (o quasi) le erogazioni monetarie contro la povertà, impropriamente
destinate al 50% più ricco delle famiglie. Considerata l’inevitabile lentezza nella promozione della
nuova misura, sarebbe forse sufficiente azzerare la spesa che va dal 7° al 10° decile, raccogliendo
in questo modo circa 4,8 miliardi.
TABELLA 5. RIPARTIZIONE PER DECILI DI FAMIGLIE DELLA SPESA TOTALE PER TRASFERIMENTI MONETARI ASSISTENZIALI A CONTRASTO DELLA POVERTÀ (MILIARDI DI EURO)
decili di famiglie
Trasferimenti monetari assistenziali a contrasto della povertà
(ordinate per livelli non decrescenti di ISEE)
1
1,879
2
2,781
3
2,453
4
2,138
5
2,050
6
1,770
7
1,514
8
1,377
9
1,214
10
0,756
Totale
17,934
14
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC.
Un intervento di questa entità solleverebbe prevedibilmente comprensibili resistenze sociali e politiche, da parte di coloro che vedrebbero ridursi una fonte di entrata ritenuta certa e, in assenza di
compensazione, anche il proprio reddito disponibile. E’ pensabile quindi che l’intervento in esame
possa avvenire in modo più mirato, ad esempio concentrandosi sugli ultimi quattro decili, dal settimo al decimo, e con un certo gradualismo, ad esempio applicando aliquote di sottrazione dei benefici differenziate: 80% al decimo, 70% al nono, 60% all’ottavo e 50% al settimo nel primo anno.
Nel secondo e terzo anno la percentuale di riduzione delle prestazioni potrebbe essere elevata di
un 10% per tutti i decili ( (90-80-70-60%), fino ad arrivare al quarto anno in cui l’aliquota di sottrazione dei sussidi passerebbe al 100%.
Nella Tabella 6 si prendono in esame le implicazioni distributive dell’intervento ipotizzato a regime, ossia nel quarto anno, con riferimento alle principali caratteristiche socio-economiche dei
nuclei familiari che occupano i decili dal settimo al decimo della distribuzione e ricevono almeno
un sussidio assistenziale a contrasto della povertà. Come si evince chiaramente dai dati, la misura
in esame riguarderebbe in larghissima parte, quasi il 70%, le famiglie in cui la persona di riferimento ha almeno 70 anni, mentre un altro 25% della popolazione sarebbe costituita da nuclei con
capofamiglia di età compresa tra i 60 e i 69 anni. Il provvedimento interesserebbe quindi in prevalenza nuclei anziani con capofamiglia pensionato, residenti in oltre la metà dei casi nel NordItalia.
TABELLA 6. CARATTERISTICHE DELLE FAMIGLIE DAL SETTIMO AL DECIMO DECILE CHE RICEVONO
ALMENO UN TRASFERIMENTO CONTRO LA POVERTÀ (FAMIGLIE ORDINATE PER LIVELLI CRESCENTI
DI ISEE)
Classe di età
del capofamiglia
%
Condizione del
capofamiglia
%
Area geografica
%
Classe di
Isee (migliaia di
euro)
%
<=29
0.5%
Dipendente
5.4%
Nord
54.9%
20-30
46.2%
30-39
0.6%
Autonomo
4.1%
Centro
21.4%
30-40
28.8%
40-49
1.6%
Disoccupato
0.4%
Sud
23.4%
>40
25.0%
50-59
5.4%
Pensionato
68.7%
60-69
23.4%
Altro
21.4%
>=70
68.4%
Totale
100.0%
100.0%
100.0%
100.0%
Fonte: Elaborazioni di Massimo Baldini su dati EU-SILC.
9.6. L’IMPATTO DISTRIBUTIVO DELLE STRATEGIE DI FINANZIAMENTO: LE MAGGIORI ENTRATE
Per valutare l’impatto delle misure proposte sul versante delle entrate si utilizza un modello di micro simulazione tax-benefit, la cui base dati è l’Indagine Banca d’Italia sui bilanci della Banca
d’Italia e l’Indagine ISTAT sui consumi delle famiglie italiane sul periodo d’imposta 2010.
15
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Al fine di valutare l’impatto sul reddito delle famiglie imputabile ad una variazione d’imposizione
nel settore dei tabacchi, dei concorsi a premio e delle bevande alcoliche si è reso necessario un
12
match statistico tra i due dataset .
Per quanto riguarda, invece, la valutazione degli effetti delle imposte dirette (sul reddito e sul patrimonio immobiliare), il modello di microsimulazione utilizzato stima in modo preciso la distribuzione delle imposte in esame secondo i dati del Dipartimento delle Finanze (Pellegrino et al.,
2011, 2012; Monti et al., 2012; Arachi et al. 2012). Tra le misure sulle entrate proposte, non si valutano gli effetti distributivi della revisione dell’imposta di successione e del contributo di solidarietà in sede IRPEF poiché riguardano un numero troppo ristretto di contribuenti per consentire
un’adeguata analisi redistributiva.
9.6.1. L’accisa sul tabacco e sulle bevande alcoliche e l’imposta sulle lotterie
Le Tabelle 7-11 mostrano, per ogni voce di spesa oggetto di modifica, la distribuzione della spesa
per decili di reddito familiare equivalente, la composizione della spesa per decili, la quota di famiglie con spesa positiva in ogni decile e la spesa media. Le famiglie prese in considerazione sono
solo quelle che hanno voci di spesa positive; per tutte viene considerata l’incidenza di tali spese sul
reddito.
L’accisa sul tabacco
Considerando la spesa indicata nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie, circa il 30 per cento
dei nuclei ha una spesa positiva per il tabacco. Tale quota è pressoché costante all’aumentare del
reddito: solo nel secondo e nel terzo decile la quota di famiglie è inferiore alla media. Considerando
solo i nuclei con spesa positiva, la spesa media annua è pari a 835 euro, solo moderatamente crescente all’aumentare del reddito: 716 euro nel primo decile e 929 euro nell’ultimo. L’incidenza della spesa rispetto al reddito è fortemente decrescente all’aumentare del reddito: essa è pari al 9,2
per cento per le famiglie appartenenti al primo decile, e solamente allo 0,9 per cento per le famiglie appartenenti all’ultimo decile (Tabella 7). Di conseguenza, l’incremento dell’accisa in questo
comparto ha un effetto regressivo, poiché incide di più sulle famiglie appartenenti ai decili più
bassi della distribuzione del reddito. La regressività della misura non deve essere tuttavia guardata
con sfavore, a causa delle forti esternalità negative prodotte dal fumo.
TABELLA 7. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I TABACCHI
Tabacco
Decili di reddito
al lordo dei tributi
Quota di famiglie con spesa
positiva
Composizione
della spesa
(%)
(%)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva / reddito
(euro annui)
(%)
Spesa media
per tutte le famiglie
Spesa / reddito
(%)
(euro annui)
1
29,3
8,4
716,3
9,2
210,0
3,0
2
26,5
8,3
783,9
5,1
208,1
1,6
3
25,9
8,3
801,1
3,8
207,2
1,1
4
30,0
10,7
893,3
3,6
268,1
1,2
5
30,6
10,3
842,5
3,0
257,5
1,0
12
Si ringrazia Massimo Baldini per aver fornito il programma di matching basato sul comando ps2match di STATA.
16
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
6
32,8
10,4
791,3
2,5
259,5
0,9
7
31,2
10,6
856,9
2,3
266,9
0,7
8
30,3
10,1
833,4
1,9
252,3
0,6
9
33,2
12,0
903,1
1,7
300,2
0,6
10
29,8
11,0
929,6
0,9
276,6
0,3
Totale
29,9
100,0
835,4
2,2
249,8
0,7
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.
Di particolare rilievo ai fini della valutazione della misura proposta è la composizione della spesa.
La spesa dei primi tre decili è lievemente superiore all’8 per cento, mentre dal quarto all’ottavo decile la quota è costante e lievemente superiore al 10 per cento. Il nono decile spende il 12 per cento
della spesa complessiva, mentre l’ultimo l’11 per cento.
Tale composizione della spesa è particolarmente rilevante ai nostri fini perché, a parità di comportamenti rispetto allo status quo, evidenzia come si distribuisce il maggior carico fiscale derivante
dall’aumento della struttura delle accise sul tabacco. Come osservato nel paragrafo precedente, un
aumento del prezzo del pacchetto di sigarette di 25 centesimi di euro garantirebbe un maggior
gettito stimabile in 1,1 miliardi di euro: circa 270 milioni inciderebbero sui primi tre decili, circa
600 per i decili dal quarto all’ottavo e circa 250 milioni di euro sugli ultimi due decili.
L’accisa sulle bevande alcoliche
Il 38 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il vino. Tale quota è fortemente crescente
all’aumentare del reddito: si passa dal 32 per cento nei primi due decili a circa la metà nell’ultimo.
La spesa media annua è pari a 377 euro, che raddoppia tra il primo e l’ultimo decile, fenomeno
spiegabile con il fatto che le famiglie più ricche consumano, in media, prodotti di migliore qualità.
Considerando l’incidenza della spesa rispetto al reddito, essa è decrescente: è pari al 3,2 per cento
per le famiglie appartenenti al primo decile e allo 0,4 per cento per le famiglie appartenenti
all’ultimo. Tuttavia la spesa appare abbastanza concentrata: gli ultimi tre decili di reddito complessivamente spendono il 46 per cento di tutta la spesa delle famiglie per il vino (Tabella 8), e quindi
la composizione dell’incremento dell’accisa graverebbe prevalentemente sugli ultimi decili, come
si osserva (vedi infra) anche per la spesa per la birra e i superalcolici.
TABELLA 8. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL VINO
Vino
Decili di reddito
al lordo dei tributi
Quota di famiglie con spesa
positiva
Composizione
della spesa
(%)
(%)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva (euro annui)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva / reddito
(%)
Spesa media
per tutte le famiglie
Spesa / reddito
(%)
(euro annui)
1
31,8
5,0
229,2
3,2
72,9
1,0
2
32,2
6,4
288,6
2,0
93,0
0,7
3
34,4
7,9
334,3
1,7
114,8
0,6
4
36,4
8,0
317,9
1,4
115,8
0,5
5
34,7
7,5
314,2
1,2
108,9
0,4
6
39,2
10,0
368,7
1,2
144,4
0,5
17
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
7
38,0
9,4
359,5
1,0
136,5
0,4
8
40,8
13,8
488,3
1,1
199,1
0,5
9
45,2
16,4
525,0
0,9
237,4
0,4
10
49,7
15,4
449,7
0,4
223,3
0,2
Totale
38,1
100,0
376,5
1,0
143,4
0,4
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.
Focalizzando l’attenzione sulla birra, un po’ meno di un quarto delle famiglie ha una spesa positiva
(Tabella 9). La spesa media annua è pari a 270 euro, pressoché costante all’aumentare del reddito.
Ne consegue che l’incidenza di questa voce è decrescente all’aumentare del reddito. Per quanto riguarda invece la composizione della spesa, l’ultimo decile spende per la birra il 17 per cento della
spesa complessiva delle famiglie, mentre il settimo, l’ottavo e il nono più del 10 per cento e i primi
sei decili meno del 10 per cento.
TABELLA 9. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER LA BIRRA
Birra
Decili di reddito
al lordo dei tributi
Quota di famiglie con spesa
positiva
Composizione
della spesa
(%)
(%)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva / reddito
(euro annui)
(%)
Spesa media
per tutte le famiglie
Spesa / reddito
(%)
(euro annui)
1
21,2
9,0
268,7
4,0
56,9
0,8
2
20,0
7,9
250,1
1,7
50,0
0,4
3
18,7
7,9
265,8
1,3
49,8
0,3
4
20,2
9,3
289,8
1,2
58,6
0,3
5
23,0
9,3
257,0
1,0
59,0
0,2
6
18,1
7,4
258,8
0,9
46,9
0,2
7
24,8
10,5
268,3
0,7
66,5
0,2
8
25,5
10,8
268,0
0,6
68,5
0,2
9
26,6
11,2
264,9
0,5
70,5
0,1
10
35,1
16,7
301,0
0,3
105,7
0,1
Totale
23,2
100,0
271,0
0,6
62,9
0,2
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.
Infine, solo il 9 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per i superalcolici, ma nei primi decili
i nuclei con questa voce di spesa positiva sono circa la metà di quello che si osserva nei decili più
elevati (Tabella 10). La spesa media annua è di 257 euro, lievemente crescente all’aumentare del
reddito. Come nel caso del vino, tuttavia, la spesa sembra essere abbastanza concentrata: i quattro
decili più elevati spendono circa il 60 per cento di tutta la spesa per le famiglie per superalcolici.
TABELLA 10. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER I LIQUORI
18
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Liquori
Decili di reddito
al lordo dei tributi
Quota di famiglie con spesa
positiva
Composizione
della spesa
(%)
(%)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva / reddito
(euro annui)
Spesa media
per tutte le famiglie
Spesa / reddito
(%)
(euro annui)
(%)
1
7,7
8,5
259,6
3,6
20,0
0,3
2
4,8
4,5
219,3
1,5
10,6
0,1
3
10,3
9,8
223,5
1,1
23,1
0,1
4
6,6
6,3
225,2
1,0
14,8
0,1
5
5,7
6,1
252,7
0,8
14,3
0,1
6
6,4
6,1
222,6
0,6
14,3
0,0
7
11,6
12,9
261,9
0,7
30,3
0,1
8
11,2
12,7
266,4
0,6
30,0
0,1
9
14,8
17,3
276,0
0,5
40,8
0,1
10
12,1
15,7
303,5
0,3
36,8
0,0
Totale
9,1
100,0
256,9
0,6
23,4
0,1
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.
L’imposta sul lotto e sulle lotterie
Nell’indagine ISTAT sui consumi delle famiglie sembra essere presente solamente la spesa per il
lotto e le lotterie, mentre sembra che non sia rilevata la spesa per altre tipologie di giochi, in particolare quella per le “macchinette” da cui tuttavia deriva la maggior parte delle entrate dei giochi. Le
statistiche che si presentano in questo paragrafo focalizzano pertanto l’attenzione solo sulla spesa
per il lotto e le lotterie. Solamente il 15 per cento delle famiglie ha una spesa positiva per il lotto,
con percentuali oscillanti all’aumentare del reddito. Le spesa media annua è pari a 449 euro, crescente all’aumentare del reddito. Anche la composizione della spesa sembra non seguire uno specifico trend rispetto al reddito, pur essendo più bassa nei decili inferiori e più elevata in quelli superiori (Tabella 11). Vista nella sua accezione di “imposta sulla fortuna”, la distribuzione per decili
di reddito di questa voce di spesa non è particolarmente rilevante ai fini dell’accettabilità della misura dal punto di vista dell’equità. Lo è ancor di meno quando la spesa per i giochi (non solo per il
lotto e lotterie come qui analizzato) assume caratteri patologici, a causa delle forti esternalità negative.
TABELLA 11. LA DISTRIBUZIONE DELLA SPESA PER IL LOTTO E LE LOTTERIE
Lotto e lotterie
Decili di reddito
al lordo dei tributi
Quota di famiglie con spesa
positiva
(%)
Composizione
della spesa
(%)
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva
(euro annui)
19
Spesa media
per le famiglie
con spesa positiva / reddito
(%)
Spesa media
per tutte le famiglie
(euro annui)
Spesa / reddito
(%)
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
1
11,6
5,7
331,6
4,4
38,6
0,6
2
16,2
8,6
358,7
2,5
58,2
0,4
3
16,2
8,3
346,0
1,8
56,0
0,3
4
15,5
8,2
356,8
1,6
55,4
0,3
5
15,5
12,7
551,9
2,0
85,6
0,3
6
12,5
8,3
451,4
1,4
56,3
0,2
7
12,4
6,5
356,3
0,9
44,2
0,1
8
17,1
13,9
549,6
1,2
93,8
0,2
9
18,1
17,2
642,6
1,2
116,1
0,2
10
14,8
10,6
487,0
0,5
72,0
0,1
Totale
15,0
100,0
448,8
1,2
67,2
0,2
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT e Banca d'Italia.
9.6.2. La revisione delle detrazioni per oneri personali in sede IRPEF
Come evidenziato dalla Commissione Ceriani, il nostro sistema impositivo consente molte agevolazioni fiscali, alcune centinaia per l’esattezza.
Focalizzando l’attenzione sull’IRPEF, molto numerose sono le spese fiscali che consentono una detrazione per oneri personali. Spesso queste detrazioni consentono un risparmio fiscale crescente,
sia in termini assoluti sia in termini relativi, all’aumentare del reddito, agevolando prevalentemente i decili più elevati della distribuzione del reddito. Un esempio è rappresentato dalle spese mediche generiche e specialistiche: la quota di individui con questo onere detraibile è fortemente crescente all’aumentare del reddito. Una revisione del sistema delle detrazioni per oneri personali
appare quindi giustificabile sotto il profilo distributivo.
Come è noto, l’imposta personale italiana si basa su una progressività per scaglioni integrata da
una progressività per deduzione e detrazione. È possibile quantificare la quota dell’effetto redistributivo imputabile alla scala delle aliquote, alle deduzioni e alle detrazioni (Pfähler, 1990).
La Tabella 12 riporta la composizione del’effetto redistributivo considerando la normativa in vigore nel 2010. L’analisi è effettuata considerando sia i contribuenti IRPEF, sia le famiglie equivalenti.
Per quanto riguarda le detrazioni, si analizza separatamente l’effetto dovuto alle detrazioni per oneri da quello imputabile alle detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia.
Come si osserva dalla scomposizione di Pfähler sia per i contribuenti IRPEF, sia per le famiglie equivalenti, più della metà dell’effetto redistributivo è dovuto alla struttura delle detrazioni per carichi di lavoro e di famiglia; un po’ meno del 40 per cento è imputabile alla scala delle aliquote, mentre un ruolo del tutto marginale giocano le deduzioni dal reddito complessivo e, soprattutto, le detrazioni dall’imposta lorda.
TABELLA 12. SCOMPOSIZIONE DELL’EFFETTO REDISTRIBUTIVO DELL’IRPEF
Deduzioni dal
reddito complessivo
Scala delle aliquote
Detrazioni per
carichi di lavoro
e di famiglia
20
Detrazioni per
oneri
Totale
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
Individui
4,1
39,4
56,3
0,2
100,0
Famiglie
2,3
38,7
58,9
0,2
100,0
Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012.
Per quanto riguarda le deduzioni dal reddito complessivo, che contribuiscono marginalmente
all’effetto redistributivo complessivo dell’imposta, non si ipotizza alcuna restrizione in quanto segue. Molte deduzioni sono infatti costituite dai contributi previdenziali ed assistenziali dei lavoratori autonomi, oppure da altre tipologie di deduzioni necessarie per non determinare una doppia
imposizione sui medesimi redditi (come ad esempio le deduzioni per l’assegno corrisposto al coniuge in caso di separazione).
Il sistema delle detrazioni per oneri, invece, potrebbe essere ristrutturato seguendo la medesima
logica che caratterizza le detrazioni effettive per carichi di lavoro e di famiglia. Esse potrebbero
quindi essere rese decrescenti all’aumentare del reddito. In quanto segue si ipotizza che le detrazioni per oneri possano essere pienamente sfruttate dai redditi individuali inferiori a 20 mila euro; per redditi superiori, invece, si ipotizza che possano essere sfruttate in modo decrescente
all’aumentare del reddito azzerandosi al di sopra di una certa soglia. Per ottenere un maggior gettito di un miliardo di euro sarebbe necessario rendere linearmente decrescenti le detrazioni per
oneri tra 20 e 130 mila euro, mentre per ottenere 1,5 miliardi di maggior gettito occorrerebbe
rendere queste detrazioni linearmente decrescenti tra 20 e 90 mila euro.
L’impatto della revisione è evidenziato nella Tabella 13. In base alla struttura ipotizzata, i contribuenti con reddito complessivo inferiori a 20 mila euro (il reddito complessivo medio dichiarato ai
fini IRPEF) non subiscono alcun aggravio. Circa l’80 per cento dei contribuenti con reddito complessivo superiore (cioè i contribuenti che presentano una detrazione per oneri positiva) subiscono un aggravio, particolarmente contenuto per i redditi inferiori a 50 mila euro.
TABELLA 13. L’IMPATTO SUI CONTRIBUENTI IRPEF DELLA REVISIONE DELLE DETRAZIONI PER ONERI
Classe di reddito complessivo IRPEF (migliaia di euro)
Quota di contribuenti che
subiscono un aggravio (%)
Aggravio medio di imposta Aggravio medio di imposta
(euro) - Maggior gettito di (euro) - Maggior gettito di
1 miliardo
1,5 miliardi
fino a 20
0,0
0
0
da 20 a 30
79,4
15
24
da 30 a 50
85,3
77
122
da 50 a 85
92,0
237
372
da 85 a 130
96,4
546
739
sopra 130
86,5
1.129
1.129
Totale
30,7
82
118
Fonte: Elaborazione su dati Banca d'Italia 2012.
21
9. IL FINANZIAMENTO DEL REIS
9.6.3. L’introduzione di una patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari
Per chiudere il quadro sulle possibili strategie di finanziamento, si ipotizza un’imposta patrimoniale sui valori immobiliari che garantisca un gettito di 1 e 2 miliardi. Si ipotizza un’imposta patrimoniale sui valori catastali, su base familiare, che sia aggiuntiva all’IMU.
L’imposta ipotizzata è simile a quella adottata dal sistema francese e riguarda solamente le famiglie
con valori catastali ai fini IMU, compresa la prima casa, superiori a 500 mila euro. Per valori catastali inferiori a questo limite si è esenti da imposta, mentre per valori superiori la base imponibile
è pari a tutto il valore patrimoniale. Le famiglie interessate sono circa 410 mila.
Per ottenere un miliardo di gettito sarebbe necessario applicare un’imposta proporzionale con aliquota pari al 3,1 per mille, mentre due miliardi di euro di gettito potrebbero essere ottenuti applicando un’imposta proporzionale con aliquota pari al 6,2 per mille. In alternativa, potrebbe essere introdotta un’imposta progressiva per scaglioni: un primo scaglione per valori catastali inferiori
a 750 mila euro, un secondo scaglione per valori compresi tra 750 mila euro e 1,25 milioni di euro
e un terzo scaglione per valori superiori a 1,25 milioni di euro. Per ottenere un miliardo dovrebbero essere applicate aliquote pari, rispettivamente, a 2,55 per mille, 5 per mille e 7 per mille. Per
ottenere 2 miliardi di euro di maggior gettito dovrebbero essere applicate aliquote pari, rispettivamente, a 3,1 per mille, 10 per mille e 14 per mille.
9.7. L’ORDINE TEMPORALE DEGLI INTERVENTI
L’analisi proposta in questo Capitolo si pone l’obiettivo di fornire un ventaglio di possibili strategie
di finanziamento del nuovo Reddito di inclusione sociale. Nel primo anno di applicazione del nuovo istituto si prevede una spesa di circa 1,5 miliardi di euro, che aumenta di circa 1,3 miliardi
all’anno raggiungendo un valore di circa 5,3 miliardi a regime (il quarto anno).
Occorre pertanto domandarsi quali tra le strategie di finanziamento possibili siano preferibili.
L’Italia è caratterizzata da una pressione fiscale molto elevata, pari al 44 per cento del PIL nel
2012. Il finanziamento del nuovo Reddito d’inclusione sociale per mezzo di nuovi tributi deve
dunque essere valutato con estrema cautela.
In linea di principio dovrebbe essere preferibile finanziare il nuovo istituto per mezzo di riduzioni
di spesa, anche e soprattutto in relazione all’insoddisfacente performance redistributiva che una
larga parte delle prestazioni di welfare attualmente registra. Accanto a misure dal lato del prelievo
di peso modesto, sembra quindi opportuno ricorrere in prima battuta a interventi sul versante
della spesa previdenziale e assistenziale, sia con riferimento alle pensioni d’oro sia per quanto riguarda la componente della spesa per l’assistenza attualmente destinata al sostegno del reddito
familiare. D’altro canto, ci si rende ben conto che interventi di questo tipo sono molto difficili da
attuare sul piano politico-sociale perché mettono in discussione diritti “acquisiti”, sedimentati nel
tempo, ancorché non giustificabili sul piano dell’equità sia intergenerazionale, sia interpersonale.
Per coprire la spesa necessaria per la messa a regime del nuovo istituto, si ritiene pertanto opportuno che, accanto a graduali interventi dal lato delle correnti prestazioni di welfare, si faccia ricorso anche a forme mirate di maggiore imposizione, come ad esempio l’imposizione sulle vincite
derivanti dai giochi e dalle lotterie, che non incidono sul fattore lavoro.
Quanto detto finora prescinde ovviamente dalle opportunità che, in termini di maggiori risorse finanziarie, la possibile ripresa dell’economia renderebbe disponibili per un puro effetto di flessibilità automatica del bilancio pubblico (cfr. infra cap. 10). Va infatti tenuto conto che l’inversione del
ciclo e la ripresa dell’occupazione permetterebbero al bilancio pubblico di poter contare, a politiche invariate, di maggiori risorse, sia dal lato del gettito (tributario ed extra-tributario) sia dal lato
della spesa, in relazione ad esempio alla minore spesa per ammortizzatori sociali.
22
10. IL PIANO PLURIENNALE
•
Le riforme ambiziose richiedono di costruire le condizioni per una loro entrata a regime con
tempi e modi appropriati. Pertanto, il Reddito d’Inclusione Sociale è introdotto gradualmente,
attraverso un cammino articolato in quattro annualità. In concreto:
•
L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in
povertà assoluta.
•
Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”.
•
Durante la transizione, le prestazioni contro la povertà già esistenti vengono progressivamente
assorbite all’interno del Reis
•
Il piano pluriennale per l’introduzione del Reis è la traduzione operativa che consente:
•
di calibrare l'impatto finanziario in maniera sostenibile e compatibile con gli equilibri della finanza pubblica, diluendo il necessario incremento di risorse nel tempo;
•
di consolidare la misura, radicandola nel nostro sistema di welfare locale;
•
di imparare dall’esperienza, grazie ad un robusto utilizzo degli strumenti di monitoraggio e
valutazione;
•
di costruire un ampliamento progressivo della spesa dedicata alla nuova misura costruita anche tenendo conto delle disponibilità di risorse legate alle prospettive del ciclo economico.
10.1. Perché un’introduzione graduale
La storia di questi anni ci dimostra che la povertà è “questione” troppo grande per le possibilità di
un singolo ente, organizzazione, gruppo, istituzione. Il fatto che, nonostante i nobili propositi, non
si siano finora ottenuti risultati adeguati (Spano, Trivellato & Zanini, 2013) rappresenta un monito
per non illudersi che sia semplice evitare i rischi di fallimento. Questa consapevolezza, tuttavia,
non può inibire l’impegno per un piano nazionale di contrasto alla povertà,cornice in grado di creare quel coordinamento di azioni e di strumenti che oggi manca.
È da qui che partono le ragioni di un approccio graduale che, attraverso una fase transitoria, possa
calibrare l'impatto e consolidare il reddito di inclusione sociale (Reis) radicando questa nuova misura nel nostro sistema di welfare. Le motivazioni per procedere con un piano graduale e pluriennale che tuteli l’obiettivo finale vanno ricercate riflettendo su più fronti: la sostenibilità economica,
i tempi per il radicamento e la gestione delle inevitabili difficoltà organizzative.
Nel merito, la sostenibilità economica della misura rappresenta la grande sfida per il legislatore. La
distanza tra i propositi e le possibilità, infatti, è stata spesso all’origine di fallimenti e delusioni. Per
questo fin dalla legge istitutiva del Reis va garantita la sostenibilità finanziaria del progetto prevedendo un finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno delle risorse sul bilancio pluriennale dello Stato. Tale approccio, oltre a dare sicurezza al processo, consente di calibrare
Pagina 1
10. IL PIANO PLURIENNALE
l’impegno finanziario come stock totale del finanziamento necessario e come flusso dei finanziamenti aggiuntivi anno su anno, prevedendo annualmente le copertura indispensabilisino ad arrivare alla fase a regime.
Inoltre, procedendo per step,l’incremento di spesa viene spalmato lungo i quattro anni del percorso di transizione. La gradualità diventa in questo caso una scelta strategica legata alla consapevolezza di una duplice esigenza. La prima è quella di non intervenire inizialmente con una richiesta
incompatibile con i delicati equilibri del bilancio pubblico; la seconda è quella di costruire la necessaria flessibilità della fase transitoria sulle potenzialità di manovra legate alla ripresa del ciclo economico e quindi del Pil.
Più in generale, per quanto riguarda il pieno raggiungimento dell’ambizioso obiettivo posto dal
nostro piano nazionale, l’esperienza insegna che ogni nuova politica richiede determinati tempi
per l’entrata a regime. Per questo l’idea di agire con una logica complementare al sistema esistente, procedendo per gradi all’implementazione totale, sembra coerente con l’esigenza di costruire
tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo da parte di tutta la filiera istituzionale
(Regioni e Comuni) e di tutta la rete sussidiaria (terzo settore, centri di assistenza fiscale, patronati, ecc.).
Ad ogni buon conto saràcruciale riuscire a caratterizzare l’intera fase transitoria con processi di
dialogo e apprendimento dei principali risultati e delle evidenze. Nella prospettiva di apprendere
dall’esperienza (cfr. cap 8), la sfida consisterà nel saper andare oltre la forma per puntare alla possibilità di trasformare i dati in informazioni attraverso opportuni incroci e analisi.
Oltre ai necessari sistemi di monitoraggio, sarà indispensabile coinvolgere nel progetto la stessa
Conferenza Stato Regioni che potrebbe recepire quanto, di volta in volta, emergerà nell’ambito del
percorso di implementazione, sfruttando nel modo migliore le potenzialità dei modelli di controllo
finale (attraverso processi di feed back)e di controllo in itinere (attraverso i processi difeedforward)(cfr. cap. 4).
10.2. L’ESTENSIONE PROGRESSIVA DELL’UTENZA
10.2.1 I punti fermi
Il Reddito d’Inclusione Sociale è da introdurre gradualmente, con un cammino articolato in quattro
annualità. Tale periodo, infatti, pare adeguato alle esigenze - sopra menzionate – di diluire
l’incremento di spesa così da renderlo meglio affrontabile e di dare a tutta la filiera istituzionale il
tempo necessario all’apprendimento e all’adattamento organizzativo. Ogni annualità vedrà
l’utenza ampliarsi rispetto alla precedente e così il quarto - e ultimo - anno della transizione corrisponderà al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis: a) sarà rivolto a tutte le famiglie
in povertà assoluta e b) verrà erogato nella sua versione completa (componente servizi + 100%
1
del contributo economico ).
Le strade che si possono seguire nei primi tre anni sono numerose. A nostro parere, esistono alcuni punti fermi che - in ogni caso – il percorso di progressiva introduzione del Reis dovrebbe rispettare.
1
Il 100% del trasferimento monetario significa un importo che copra l’intera distanza tra la soglia di povertà assoluta e il reddito disponibile (cfr. cap. 3).
Pagina 2
10. IL PIANO PLURIENNALE
(i) Gradualismo in un orizzonte definito
Sin dall’avviamento del percorso, il legislatore dovrebbe prendere precisi impegni riguardanti il
suo punto di arrivo e le tappe intermedie. Ciò significa, in concreto, stabilire che il quarto anno
corrisponderà al primo del Reis a regime e specificare l’ampliamento dell’utenza previsto in ognuna delle annualità precedenti; affinché ciò risulti possibile bisognerebbe – come già spiegato prevedere il relativo finanziamento pluriennale, con il conseguente impegno di risorse.
Senza una simile prospettiva pluriennale è irreale immaginare la costruzione di un sistema locale
di servizi adeguato alla lotta contro l’esclusione sociale. Questa costruzione è – come noto – decisamente complessa, richiede investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: non si può
pensare che gli enti locali, il terzo settore e gli altri soggetti impegnati nel territorio possano riuscire a realizzarla senza avere certezze su cosa potrà accadere nell’arco di un anno o due.
(ii) Transizione guidata dall’universalismo
Una volta a regime, il Reis è caratterizzato a una precisa impronta universalistica poiché è destina2
to a tutte le famiglie in povertà assoluta, senza alcuna specificazione categoriale . Se così è a partire dal quarto anno, per il periodo precedente bisogna individuare il criterio che definisca l’ordine
di progressiva ammissione della popolazione target tra gli aventi diritto; detto altrimenti, si tratta
di decidere – durante i tre anni di transizione – quali famiglie povere inizieranno a ricevere il Reis
prima e quali dopo.
Esistono due possibilità. La prima è quella di seguire nella transizione quello stesso criterio universalista che contraddistingue la misura a regime: l’ordine di entrata nella misura viene definito
esclusivamente in base alla situazione economica, senza altre differenziazioni di alcun tipo. In altre parole, si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche e progressivamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio”, sino a rivolgersi – a partire dal quarto anno a tutti i nuclei in povertà assoluta. L’alternativa consiste nell’adottare un criterio categoriale, cioè
nel dare priorità temporale – tra le famiglie povere – a quelle che rispondono anche ad un altro requisito (ad esempio presenza di figli, presenza di figli di una determinata età, un certo numero di
figli, un componente del nucleo con disabilità, il capofamiglia disoccupato e così via).
La scelta tra i due criteri può essere dettata da ragioni legate al bisogno o da motivi di natura politica. Con riferimento alle prime, si tratta di rispondere alla domanda “chi ha maggiore bisogno del
Reis”? Seguendo una prospettiva categoriale, si possono trovare validi argomenti a favore di numerosi gruppi. Si potrebbe sostenere, ad esempio, la necessità di cominciare dalle famiglie con figli piccoli per assicurare a questi ultimi un futuro migliore,oppure quella di dare priorità alle famiglie di persone con disabilità perché esiste un legame sempre più stretto tra questa condizione
e l’impoverimento (Cies, 2012),e così via. Scegliere un gruppo invece di un altro, però, significherebbe rinnegare il principio universalista che è alla base dell’intera proposta. Aderendo a questo
principio, pertanto, riteniamo che la priorità temporale sia da assegnare a chi si trova in un condizione di povertà più severa.
Sul piano politico, la domanda da porsi è “quale scelta offre maggiori garanzie che la transizione sia
portata a termine (e che ciò accada nel modo migliore possibile)?”. Infatti, pure nell’auspicato
quadro di “gradualismo in un orizzonte definito” (si veda sopra) i rischi che il percorso sia interrotto e/o il Reis venga snaturato non sono da poco. I motivi sono diversi: a) durante la transizione
Si tratterà della prima misura di questo genere mai introdotta nel nostro paese poiché le prestazioni oggi
presenti per combattere la povertà, come la carta acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori)
o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni) sono limitate a specifiche categorie (cfr. cap. 3).
2
Pagina 3
10. IL PIANO PLURIENNALE
si avranno, inevitabilmente, rilevanti difficoltà attuative (non sarebbe una riforma ambiziosa altrimenti, si veda oltre) che offriranno spazio a critiche e attacchi, b) una misura rivolta alla parte
più debole della società è intrinsecamente debole politicamente, c) il sistema politico italiano è –
come noto - assai turbolento.
Procedere per categorie renderebbe il Reddito d’inclusione sociale molto più esposto a questi rischi.
La ragione è semplice: così facendo si priverebbe il Reis del sostegno dell’unico universo di soggetti che potrebbe battersi con forza a suo favore, cioè i soggetti che rappresentano le realtà del
sociale. Ci si riferisce qui al Forum del Terzo Settore, a chi rappresenta la cooperazione (a partire
dall’Alleanza delle Cooperative italiane), a chi svolge lavoro di Advocacy (come la Fish e la Fand per
la disabilità), a chi rappresenta la filiera istituzionale (Anci e Regioni), e così via. Il Reddito
d’inclusione sociale avrebbe una capacità particolarmente elevata di raccogliere il sostegno di tutte le realtà del sociale perché supererebbe le due distinzioni principali che caratterizzano questo
mondo: a)quella tra gruppi (la povertà è un problema di tutti i soggetti, dagli anziani, alle famiglie
con figli, le persone con disabilità e così via), b)quella tra chi svolge advocacy e chi eroga servizi
(battersi per il Reis significa sostenere l’introduzione di diritti oggi mancanti e allo stesso tempo
promuovere i servizi alla persona). Le potenzialità del Reis sotto tale profilo sono evidentemente le
medesime che stanno alla base del Patto aperto contro la povertà (cfr. cap. 1).
Rinunciare all’universalismo dei primi anni di erogazione della misura aprirebbe, infatti, una
querelle tra le diverse realtà del mondo sociale (ad esempio “perché cominciare dalle famiglie con
figli e non da quelle con persone disabili?”, e si potrebbero trovare innumerevoli altri possibili
conflitti). Questo, in un fase già oggi caratterizzata da crescenti avvisaglie di “guerre tra poveri”,
causate dal dislivello tra bisogni in aumento e risorse scarse, vanificherebbe il messaggio chiave
del Reis, quello di essere un diritto di cittadinanza che tratta tutte le famiglie povere allo stesso modo.
In tal caso, invece, il Reis diventerebbe l’ennesima misura che privilegia alcuni rispetto ad altri, in
un welfare – quello italiano – il cui tratto predominante è da decenni la frammentazione tra una
miriade di interventi differenziati tra gruppi diversi, con tutto il carico di iniquità che questo porta
con sé. A presidiare la misura rimarrebbero solo i soggetti rappresentati dai gruppi che vi avrebbero accesso all’inizio i quali, però, in realtà non difenderebbero il Reis per il suo significato intrinseco, bensì per il vantaggio che ne deriva loro.
Assecondare la frammentazione tra gruppi, divenuta ultimamente sempre più aspra, renderebbe
impossibile costruire un ampio fronte di soggetti sociali a sostegno del Reis. In questo scenario,
dunque, dare vita al Patto aperto contro la povertà, così come a qualsiasi tipo di alleanza per la lotta
3
alla povertà, non sarebbe possibile .
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che la transizione debba essere guidata dall’universalismo.
(iii) Componente servizi completa da subito
3La categorialità potrebbe risultare attraente nel breve periodo, in particolare se rivolta a gruppi le cui difficili condizioni suscitano particolare attenzione o emozione (ad es. il “Reis per nuclei poveri con capofamiglia esodato” oppure il
“Reis per famiglie povere con figli”). E’ ragionevole affermare che la scelta di simili target incrementerebbe le probabilità di trovare risorse per finanziare il primo anno (o al massimo i primi due) della misura. Una simile ipotesi però, per
i motivi menzionati sopra, aumenterebbe pure la probabilità che il Reis venisse poi abbandonato senza completarne
l’introduzione perché ne annienterebbe tanto il valore simbolico quanto la capacità di raccogliere sostegno.
Pagina 4
10. IL PIANO PLURIENNALE
Il percorso di accesso, presa in carico e perseguimento degli obiettivi d’inserimento sociale e/o
lavorativo, dev’essere messo in campo – sin dal primo anno – per ogni utente. Si tratta, detto altrimenti, dell’insieme degli elementi che compongono la parte del Reddito d’inclusione sociale legata
ai servizi alla persona. Come già sottolineato, dar vita ad una rete di servizi adeguata alle finalità
del Reis risulterà particolarmente impegnativo. Ciò suggerisce di procedere gradualmente affinché
i soggetti coinvolti localmente non siano sovraccaricati da un numero di casi ingestibile in fase di
avviamento; allo stesso tempo consiglia di fornire a tutti gli utenti la “componente servizi” completa fin da subito, affinché gli Enti Locali, il terzo settore e gli altri attori impegnati possano migliorare progressivamente, grazie all’esperienza maturata. Mai come nei servizi, gradualismo e
apprendimento vanno di pari passo.
10.2.2 Gli scenari possibili
Sopra sono stati illustrati alcuni punti fermi dai quali – a nostro parere - non bisognerebbe prescindere, pena la messa a repentaglio della riforma. Esistono, invece, altri aspetti della transizione
che potrebbero venire articolati con modalità differenti tra loro senza danneggiare il risultato finale. Questi aspetti sono elencati qui sotto mentre successivamente vengono presentati diversi scenari alternativi, che li combinano variamente.
La progressione nell’incremento di spesa
Tenendo fermo che a regime la misura costa circa 6,1 miliardi, la crescita delle risorse stanziate in
ogni annualità della transizione può risultare più o meno rapida. Gli scenari presentati più avanti
considerano due possibilità. Una è l’opzione “a velocità costante”, che prevede ogni anno un incremento di spesa rispetto al precedente di un quarto del totale (1,525 miliardi di Euro); in altre
parole, si tratta di dividere l’aumento di spesa in quattro parti uguali. L’altra è l’opzione “ad accelerazione ritardata”, che prevede un incremento della spesa annua superiore nella seconda metà del
4
quadriennio .
La progressione nei criteri di accesso e la modalità di calcolo dell’importo
La scelta tra le due opzioni di progressione nell’incremento di spesa dipenderà, ragionevolmente,
dal più complessivo contesto politico ed economico. Per ognuna vengono disegnati scenari differenti, in base alle possibili combinazioni tra due ulteriori variabili: a)la crescita nella soglia di red5
dito necessaria per accedere al Reis , b) le modalità di calcolo dell’importo, cioè se dare, da subito,
agli utenti il 100% della distanza tra soglia povertà e reddito attuale oppure una percentuale (e in
questo caso quale percentuale). Come già detto, a regime ogni utente riceverà il 100% della distanza, mentre nella transizione alcune ragioni possono suggerire di erogarne solo una parte. Ciò infatti consentirebbe di aiutare da subito un maggior numero di persone e di ridurre le possibilità di
6
tensioni tra chi inizia a ricevere prima la misura e chi dopo .
4Vi
5
sarebbe anche una terza opzione, quella ad “accelerazione anticipata”, che prevede un incremento di spesa annua
superiore nella prima metà del quadriennio. L’opzione non pare oggi realistica e, pertanto, non viene presa in considerazione.
La soglia Isee, utilizzata come selettore rispetto al patrimonio (cfr. cap.3), viene impiegata da subito per tutti gli utenti.
6 Come si vedrà, esistono solidi argomenti anche in senso contrario, cioè nella direzione di coprire da subito il 100%
della distanza (cfr. oltre).
Pagina 5
10. IL PIANO PLURIENNALE
Scenario “Transizione a velocità costante con 100% dell’importo”
Veniamo ora agli scenari. Nel primo, in ognuna delle quattro annualità l’incremento di spesa rispetto al precedente è pari ad un quarto della spesa totale, in modo da ripartire in parti uguali
l’aumento di spesa annuale. In pratica, nel primo anno la spesa complessiva è un quarto di quella
a regime, nel secondo anno ammonta a circa la metà, e così via. La variabile che utilizziamo per allargare progressivamente l’utenza è costituita dalla linea di povertà. Nel primo anno sono così
7
ammessi al beneficio solo i nuclei con reddito inferiore al 56% della rispettiva linea di povertà . Il
trasferimento corrisponde alla differenza tra questa percentuale e il reddito della famiglia, cioè si
utilizza fin da subito la modalità di calcolo dell’importo impiegata a regime (importo = 100% della
distanza tra la soglia di anno in anno considerata e il reddito della famiglia). In sintesi, a caratterizzare questo scenario è il mix tra la scelta sulla suddivisione dell’incremento di spesa (“velocità costante”) e quella sulla modalità di calcolo dell’importo (“100%”). E’ bene precisare che con “importo 100%” si intende indicare che viene coperta tutta la distanza tra il reddito e la soglia, che nei
primi tre anni corrisponde solo ad una frazione della linea di povertà assoluta Istat. Nel quarto anno, invece, si colma il 100% del gap tra la linea Istat e il reddito. Chiariamo con un semplice esempio : se la soglia di povertà assoluta per una certa tipologia familiare viene posta dall’Istat a 1000
euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le famiglie con reddito inferiore a 560
euro mensili. Il valore del trasferimento è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 560 e il reddito disponibile della famiglia.
Sono così ammesse, nel primo anno, solo le famiglie con reddito inferiore al 56% della soglia Istat,
cioè poco più di un terzo circa del totale dei nuclei che a regime otterrebbero il trasferimento, per
8
una spesa totale di 1,52 miliardi di Euro . Nel secondo anno la quota della soglia viene aumentata
al 75% (il trasferimento è pari alla differenza tra il 75% della linea Istat e il reddito disponibile), in
modo da portare la spesa a circa 3 miliardi;, nel terzo all’87% (trasferimento pari alla differenza
tra l’87% della linea Istat e il reddito disponibile), con una spesa a 4,6 miliardi. Nel quarto, infine,
la misura si rivolge al 100% dell’utenza potenziale e copre tutto il gap tra linea Istat e reddito (tab.
1). Nel primo anno le famiglie in povertà assoluta che avrebbero la maggiore probabilità di essere
ammesse sono quelle con capofamiglia disoccupato o “altro” con meno di 50 anni, seguite dai nuclei con capofamiglia disoccupato o in altra condizione, con più di 50 anni. Evidentemente le famiglie in povertà con persona di riferimento in pensione o occupata hanno in media redditi più vicini alla soglia rispetto ai gruppi dei disoccupati, sia giovani che anziani. Questi nuclei , quindi, non
entrerebbero tra i beneficiari fin da subito , ma solo nel corso della transizione a regime. Se consideriamo, invece, la ripartizione dei poveri assoluti per area geografica, nel primo anno di transizione sia nel Sud che nel Centro-Nord circa un terzo dei poveri assoluti ivi residenti sarebbe già
coinvolto. Non vi sarebbero quindi differenze significative tra area geografica nell’accesso alla misura sin dal primo anno.
TAB 1 - TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE CON 100% DELL’IMPORTO
7
Tutte le linee relative alle varie tipologie familiari vengono quindi moltiplicate per il coefficiente 0.56.
Qui come nel resto del capitolo, si utilizza la stima di spesa complessiva per il Reis a regime specificata nel capitolo
9. Per motivi metodologici, mentre la stima precisa ammonta a 6062,4 milioni annui, in tutto questo capitolo viene
arrotondata a 6100 milioni annui.
Si tratta di circa 6,1 miliardi di Euro annui , che copre i trasferimenti monetari, i servizi alla persona e le attività di
monitoraggio e valutazione. Il take up previsto è del 75% ed è ad esso che si fa riferimento nella stima delle famiglie utenti (cfr. paragrafo 9.2).
8
Pagina 6
10. IL PIANO PLURIENNALE
ANNO
SPESA PUBBLICA
TOTALE
SOGLIA DI ACCESSO PER
RICEVERE REIS
MODALITA’ DI CALCOLO
DELL’IMPORTO
Famiglie UTENTI
9
(% del totale )
1
1.52mld
56% della linea di p.a.
0.56 * linea di p.a. – reddito
430mila
(38%)
2
3.05mld
75% della linea di p.a.
0.75 * linea di p.a. – reddito
650mila
(57%)
3
4.56mld
87% della linea di p.a.
0.87 * linea di p.a. – reddito
890mila
(79%)
4 (Primo a
regime)
6.1mld
100% della linea di p.a.
linea di p.a. – reddito
1130mila
(100%)
Scenario “Transizione in accelerazione ritardata con 100% dell’importo”
In questa ipotesi si assume invece una progressione più lenta nell’incremento di spesa nei primi
due anni, con una forte accelerazione nella seconda parte del quadriennio (“accelerazione ritardata”), mentre si mantiene l’utilizzo da subito della modalità di calcolo impiegata a regime (“100%
dell’importo”, cioè della distanza tra soglia fissata annualmente e reddito”). In questo scenario nel
primo anno vengono ammesse al trasferimento solo le famiglie con reddito inferiore al 45% della
rispettiva linea di povertà, con una spesa totale di circa 900 milioni; , nel secondo quelle con reddito inferiore al 65% (con una spesa di 2,2 miliardi) e nel terzo le famiglie con reddito inferiore
all’80% (con una spesa di 3,7 miliardi) (tab. 2).
Anche in questo caso le famiglie in povertà assoluta con maggiori probabilità di accesso immediato sarebbero quelle con persona di riferimento priva di lavoro, sia che esistano figli piccoli che figli più grandi. In questo percorso di aumento dell’importo, quasi la metà della spesa totale sarebbe
necessaria solo nel passaggio finale allo schema a regime. Pure qui resta confermato che nei primi
anni i beneficiari sono soprattutto famiglie prive di redditi da lavoro o da pensione, con un leggero
sbilanciamento a favore delle regioni meridionali. I lavoratori con pesanti carichi familiari o i pensionati poveri beneficerebbero in modo significativo del Reis soprattutto con la sua entrata a regime, ovvero a partire da tassi di copertura della linea attorno all’80%.
TAB 2 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 100% DELL’IMPORTO
ANNO
SPESA PUBBLICA
TOTALE
SOGLIA DI ACCESSO PER
RICEVERE REIS
MODALITA’ DI CALCOLO
DELL’IMPORTO
Famiglie UTENTI
(% del totale)
1
0.9mld
45% della linea di p.a.
0.45 * linea di p.a. – reddito
325mila
(29%)
2
2.2mld
65% della linea di p.a.
0.65 * linea di p.a. – reddito
430mila
(45%)
3
3.7mld
80% della linea di p.a.
0.80 * linea di p.a. – reddito
750mila
(66%)
4 (Primo a
regime)
6.1mld
100% della linea di p.a.
linea di p.a. – reddito
1130mila
9
Sia qui che nelle due tabelle successive con il termine “totale delle famiglie utenti” s’intende l’insieme di
quelle che riceveranno il Reis nel quadriennio, quindi – secondo la nostra ipotesi di take-up – il 75% delle famiglie in povertà assoluta (cfr. cap 3).
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10. IL PIANO PLURIENNALE
(100%)
Scenario “ Transizione in accelerazione ritardata con 75% dell’importo”
Gli scenari precedenti ipotizzano che la modalità di calcolo dell’importo del Reis sia – sin dall’inizio
del percorso – quella a regime, che copre l’intera distanza tra il reddito della famiglia e una percentuale della rispettiva soglia Istat di povertà assoluta. Si potrebbe, però, utilizzare nei tre anni della
transizione una diversa modalità di calcolo, che non consideri l’intera distanza tra reddito familiare
e soglia, bensì una sua percentuale, qui identificata – a titolo di esempio – nel 75%. Ciò significherebbe, durante la transizione, calcolare l’importo moltiplicando la distanza tra soglia e reddito per
0,75 mentre a partire dal quarto, cioè il primo a regime, la modalità diventerebbe per tutti quella
abituale. Un altro esempio per essere più chiari: se la soglia di povertà assoluta per una certa tipologia familiare è posta dall’Istat a 1000 euro al mese, nel primo anno sono ammesse al Reis tutte le
famiglie con reddito inferiore a 500 euro mensili (vedi la successiva Tab. 3). Il valore del trasferimento non è, per ciascun mese, dato dalla differenza tra 500 e il reddito disponibile della famiglia,
ma dal 75% di questa differenza, cioè da 0.75*(500-reddito).
L’utilizzo di questa procedura di calcolo nei primi tre anni può essere sostenuto da due argomenti.
Primo, evitare che durante la transizione vi siano cambiamenti troppo bruschi di posizione relativa tra le famiglie in povertà assoluta (cioè la condizione economica di una rispetto a quella delle altre), che potrebbero produrre tensione e malcontenti. Poniamo, ad esempio, di utilizzare da subito la modalità di calcolo dell’importo prevista a regime. Se prima dell’introduzione del Reis la famiglia x ha un reddito pari al 12% della linea di povertà e la famiglia y lo ha pari al 46%, dopo il primo anno nello scenario della tabella 2 la famiglia x (che entrerebbe subito nel Reis) avrebbe un
reddito pari al 45% della linea mentre quella y (che vi entrerebbe l’anno successivo) rimarrebbe
al 46%. Secondo, moltiplicare la distanza dalla soglia per una percentuale permetterebbe – a parità
di spesa complessiva – di seguire un maggior numero di utenti; è tuttavia da sottolineare che
questo argomento, se spinto troppo oltre, entrerebbe in conflitto con il gradualismo necessario ai
servizi per adattarsi al nuovo contesto.
I due scenari illustrati nelle tabelle precedenti sono stati, quindi, modificati ipotizzando una soglia
pari al75% della distanza. Con lo scenario di tabella 1, però, (quello che ipotizza uguali incrementi
di spesa per ogni annualità), nel primo anno destinare 1,3 miliardi con una modalità di calcolo pari
allo 0.75 della distanza avrebbe significato portare la soglia di accesso attorno all’80% della linea
di povertà assoluta, rendendo di fatto inutile il processo di transizione.
Consideriamo quindi solo il secondo scenario (“transizione in accelerazione ritardata”) che richiede nei primi anni un minore importo di spesa e, quindi, permette di applicare una quota inferiore
della soglia di povertà. Definiamo, dunque, questa ulteriore ipotesi come “transizione in accelerazione ritardata con 75% dell’importo”. Il primo anno la soglia per ricevere il Reis è il 50% della linea di povertà assoluta, il secondo il 72% e il terzo il 90%. Mentre nei primi tre anni l’importo copre il 75% della distanza tra il reddito e la soglia, a partire dal quarto si passa all’ammontare standard, cioè quello che copre il 100% della distanza, l’intero poverty gap (tab. 3).
TAB 3 - TRANSIZIONE IN ACCELERAZIONE RITARDATA CON 75% DELL’IMPORTO
ANNO
1
Pagina 8
SPESA PUBBLICA
TOTALE
0.9mld
SOGLIA DI ACCESSO PER
RICEVERE REIS
50% della linea di p.a.
MODALITA’ DI CALCOLO
DELL’IMPORTO
0.75*(0.5 * linea di p.a. –
reddito)
Famiglie UTENTI
(% del totale)
375mila
(33%)
10. IL PIANO PLURIENNALE
2
2.2mld
72% della linea di p.a.
0.75*(0.72 * linea di p.a. –
reddito)
600mila
(53%)
3
3.7mld
90% della linea di p.a.
0.75*(0.9 * linea di p.a. –
reddito)
940mila
(83%)
4 (Primo a
regime)
6.1mld
100% della linea di p.a.
linea di p.a. – reddito
1130mila
(100%)
Rispetto alla penultima tabella, il numero delle famiglie coinvolte aumenterebbe nei primi anni, e non sarebbe, in un solo
anno, molto inferiore a quello raggiunto complessivamente dalla Carta Acquisti; l’importo speso sarebbe invece significativamente superiore al budget stanziato per quest’esperienza. Il profilo distributivo dei beneficiari del Reis nella fase iniziale
della transizione non cambia: inizialmente vengono coinvolte soprattutto le famiglie prive di redditi da lavoro, in modo sostanzialmente equilibrato tra le aree geografiche. Sin dal primo anno, circa la metà della spesa totale va alle regioni meridionali ed il resto alle regioni centro-settentrionali, mentre in ognuna delle aree la quota di famiglie ammesse è pari a circa
un terzo del numero che si raggiungerà a regime.
10.3. IL PROGRESSIVO INCREMENTO DELLA RISORSE DEDICATE NEL QUADRO
DELLA FINANZA PUBBLICA
Quello della sostenibilità economica è, in ogni caso, un passaggio obbligato di ogni politica pubblica, soprattutto in epoca di spending review. Tuttavia, proprio in momenti come questi occorre
“aggrapparsi” ai numeri e difendere a spada tratta la fattibilità del Reis a partire da argomentazioni
concrete e credibili. Non si tratta, in alcun modo di negare che la proposta d’introdurre una nuova
politica di welfare debba confrontarsi seriamente con la limitatezza delle risorse e con i vincoli del
pareggio di bilancio, imposti dalla riforma dell’articolo 81 della nostra Costituzione. Su questo fronte, invece, occorre ragionare, dati alla mano, prendendo le mosse dai documenti di programmazione della finanza pubblica come definiti nella legge di riforma della contabilità pubblica (legge
196/2009 come modificata dalla legge 39/2011).
In questo schema un ruolo fondamentale è quello del Documento di economia e finanza (DEF). La
presentazione di questo documento assolve anche ad uno degli adempimenti richiesti all’Italia in
quanto paese membro della Comunità Europea, in particolare in relazione alle richieste del “seme19
stre europeo” .
Dal punto di vista economico-finanziario il DEF 2013 assume l’obbligo di mantenere nel periodo
di riferimento (2013-2017) il pareggio di bilancio in termini strutturali, come previsto dalle regole
del Patto di stabilità e crescita dell’UE (modificate nel novembre 2011) e confermate dal Fiscal
20
Compact .
19Con
il termine “semestre europeo” ci si riferisce alle norme, in vigore dal 2011, che hanno l’obiettivo di rafforzare la
governance economica all’interno della UE. Il semestre inizia a gennaio e si conclude a giugno e prevede che entro il
30 aprile i governi dei paesi membri presentino a Bruxelles il Documento di economia e finanza (DEF) con
l’aggiornamento delle stime macroeconomiche, assieme al Programma nazionale di riforme (Pnr). Lo scopo è quello di dimostrare come intendono raggiungere una posizione di bilancio in linea con gli obiettivi di medio termine.
La Commissione valuta questo programma e il Consiglio Ecofin esprime eventuali raccomandazioni.
20Con
il termine Fiscal compact si identifica l’obbligo, entrato in vigore dal 1 gennaio 2013, di gestire i conti pubblici
con un deficit strutturale non superiore allo 0,5% del Pil, soglia aumentata fino all’1% per i paesi con un rapporto
debito – Pil superiore al 60%. Per questi paesi valgono le norme del “Six Pack”, entrate in vigore il 13 dicembre
Pagina 9
10. IL PIANO PLURIENNALE
Durante il travagliato esordio della XVII legislatura il Governo Monti, in regime di prorogatio, ha
21
presentato un DEF che il nuovo Governo potrà anche variare e integrare , aggiornando opportunamente tutte le relative compatibilità finanziarie.
L’introduzione e il consolidamento di una nuova misura di contrasto alla povertà devono, quindi,
essere necessariamente collocati nell’alveo delle previsioni macroeconomiche del DEF 2013 (MEF,
2013). Questo significa valutare, in base ai dati contenuti nel DEF 2013 (MEF, 2013), la possibilità
di giungere alla copertura dell’onere complessivo della fase transitoria e della misura a regime. La
tabella 4 ipotizza il percorso di graduale introduzione del Reis a partire dal 2014, che significherebbe rendere il 2017 il quarto anno della transizione, cioè il primo a regime; la tabella, a titolo di
esempio, è costruita seguendo l’ipotesi di transizione a velocità costante (in ogni anno la spesa per
il Reddito d’inclusione sociale cresce di un quarto del totale, cioè 1328,1 milioni, cfr. par. 10.2.2.1).
La tabella mostra, alla luce della dinamica prevista dal DEF per il Pil nel periodo 2013-2017, come
varieranno nel quadriennio il suddetto Pil, la spesa per pensioni, quella per altre prestazioni sociali
e gli stanziamenti destinati al Reis. Ne emergono alcune considerazioni:
1)per prima cosa, bisogna sempre ricordare che con circa 5,3 miliardi di finanziamento a regime
non si darà un’elemosina bensì si potrà migliorare sensibilmente la condizione di milioni di famiglie e di persone che oggi – trovandosi nell’area della povertà - vedono progressivamente peggiorare le loro situazione;
2)un budget di 5,3 miliardi, che pure non sono pochi, costituisce un impegno pari allo 0,3% circa
dell’ammontare di spesa complessiva dello Stato. Si tratta della distanza che oggi separa la spesa italiana contro la povertà (0,1% del Pil) dalla media europea (0,4% del Pil). A titolo di confronto, la spesa
22
pubblica primaria ammonta oggi al 45,6% del Pil e la spesa per la protezione sociale il 26,5% , mentre previdenza e prestazioni sociali assistenziali ammontano rispettivamente al 15,9% e al 4,0% del
Pil. I confronti concordano nell’indicare lo 0,3% come un ammontare di spesa pubblica non eccessivamente ampio;
3)i dati spiegano meglio di qualsiasi frase perchè l’approccio graduale permette di rendere il necessario incremento di spesa sostenibile nel tempo. Infatti, non si tratta di reperire i 5,3 miliardi in una volta sola, dal momento che - per raggiungere l’obiettivo - basterebbe iniziare con 111 milioni di euro al
mese per l’anno di avvio, necessari a garantire il 25% del budget complessivo (1328,1 milioni di finan23
ziamento, scenario “transizione a velocità costante” ) oppure con ancor meno, con 67 milioni di euro, che servirebbero a garantire il budget minimo a partire (800 milioni per il primo anno, scenario
2011 per rafforzare il “Patto di stabilità”. In forza di queste norme i paesi come l’Italia,che hanno un rapporto debito- Pil oltre il 60%, anche se hanno un deficit sotto il 3% rischiano una procedura di infrazione. A partire dalla
chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo ottenuta a fine maggio 2013, stante questo quadro,
l’Italia avrà tempo fino al 2015 per pensare ad una strategia in grado di ridurre il debito al ritmo medio di 1/20 del
differenziale tra il livello attuale e il target del 60%. Concretamente, questo potrebbe richiede manovre correttive
della finanza pubblica di una cinquantina di miliardi l’anno.
21Compatibilmente
con il monito consegnato dal Presidente del consigli Mario Monti nella presentazione del DEF
2013 laddove ricorda che “… è però cruciale tenere la guardia alta sulle finanze pubbliche. Da una parte essere tra
gli Stati “virtuosi” è la premessa obbligata per usufruire degli spazi che si stanno aprendo a livello europeo.
Dall’altra, la riduzione del debito, che è a un livello troppo elevato, è l’unica strada per ridurre i costi degli interessi
ed evitare penalizzazioni da parte dei mercati finanziari.” (MEF 2013).
22
Cioè senza considerare gli interessi da pagare sul debito pubblico. I dati sulla spesa pubblica primaria, sulla spesa
per la protezione sociale, su pensioni e altre prestazioni sociali si riferiscono tutti al 2012. I dati su pensioni e altre
prestazioni sociali si possono ritrovare nella tabella 4.
23
Questo scenario è illustrato nella tabella 1 e ripreso nella tabella 4.
Pagina 10
10. IL PIANO PLURIENNALE
24
“transizione ad accelerazione ritardata” ). Ciò non può rappresentare un risultato impossibile per un
25
Paese che sta spendendo circa 200 milioni al mese per la cassa integrazione in deroga ;
4)mantenendo fissa l’incidenza della spesa per “altre prestazioni sociali in denaro” al 4.1% del Pil,
si potrebbe contare su un budget di 73,2 miliardi di euro nel 2017, con un incremento cumulato
nel periodo di 8.503 milioni rispetto a quanto stanziato nel 2013;
5)nonostante il problema della bassa crescita stia limitando da tempo gli spazi di manovra della finanza pubblica nel quadro stimato per la nostra economia, dopo il 2014 si dovrebbero creare le condizioni per una crescita economica che, finalmente, restituirebbe al legislatore uno spazio di manovra espansiva.
Indubbiamente una simile impostazione sconta tutti i rischi tipici delle stime e delle previsioni.
D’altra parte sembra ragionevole credere alle prospettive disegnate per il prossimo futuro nel documento di programmazione economica e finanziaria DEF 2013. In sintesi, vista a partire dai dati,
la sostenibilità finanziaria non sembra una chimera.
TAB. 4- QUADRO SINOTTICO DELLE PRINCIPALI GRANDEZZE CON IPOTESI D’INTRODUZIONE DEL
26
REIS A PARTIRE DAL 2014 E TRANSIZIONE A VELOCITÀ COSTANTE
2012*
2013
2014
2015
2016
2017
Variazione
cumulata
2014-2017
PRODOTTO INTERNO
LORDO,
PIL nominale
24
1.565.916
1.573.233
1.624.012
1.677.735
1.731.311
1.785.918
Questo scenario è illustrato in tabella 2 e tabella 3, in entrambe la suddivisione della spesa nel quadriennio è la medesima.
25L’argomento
della Cassa integrazione guadagni in deroga meriterebbe un approfondimento a parte dal momento
che, in attesa degli ammortizzatori sociali «universali» contenuti nella riforma Fornero del mercato del lavoro, la
cassa «in deroga» simboleggia in modo eloquente la balcanizzazione del nostro sistema di ammortizzatori sociali.
La Cig,o la mobilità in deroga, infatti,rappresenta la somma erogata ai settori produttivi non coperti dalla Cassa integrazione guadagni (commercio, bancari, trasporto aereo, tutti i moltissimi dipendenti delle piccole aziende, tanto
per fare qualche esempio). Negli ultimi tempi con la «deroga» si è intervenuti anche per i lavoratori che hanno esaurito la Cig ordinaria o straordinaria «normale» (ad esempio, per chi ha già fruito della Cig ordinaria per 12 mesi
consecutivi). Oltre alle fattispecie a cui si applica l’altra grande caratteristica della Cig in deroga la sua caratteristica
è che, a differenza di quella «normale» (ordinaria o straordinaria), non viene finanziata da contributi pagati da lavoratori e imprese, essendo tutta a carico dello Stato.
26
La tabella 4 è costruita nell’ipotesi di uno scenario di “transizione a velocità costante con 100% dell’importo” illustrata nel par 10.2.2.1 e in tabella 1. Dunque, oltre ad un incremento ogni anno di un quarto della spesa, si prevede
che da subito venga erogato – come prestazione economica – il 100% della distanza il reddito della famiglia e la soglia di povertà.
Pagina 11
10. IL PIANO PLURIENNALE
Variazione assoluta27
-
-
50.779
53.723
53.576
54.607
Tasso di variazione %
-
-
3,2%
3,3%
3,2%
3,21%
PENSIONI,
249.471
255.200
262.520
269.600
276.980
284.700
15,9%
16,2%
16,4%
16,1%
16,0%
15,9%
Variazione assoluta
-
7.320
7.080
7.380
7.720
Tasso di variazione %
-
2,9%
2,7%
2,7%
2,8%
212.685
Spesa in valore assoluto
Spesa in % del PIL
ALTRE PRESTAZIONI
SOCIALI IN
DENARO,
Spesa in valore assoluto
61.942
64.720
67.270
69.080
70.460
73.223
Spesa in % del PIL
4,0%
4,1%
4,1%
4,1%
4,1%
4,1%
Variazione assoluta
-
2.550
1.810
1.380
2.763
Tasso di variazione %
-
3,9%
2,7%
2,0%
3,9%
REIS,
Spesa in valore assoluto
-
-
1.328,1
2.656,2
3984,3
5.312,5
Spesa in % del PIL
-
-
0,08%
0,16%
0,23%
0,30%
Spesa in % delle altre
prestazioni sociali in
denaro
-
1,97%
3,85%
5,65%
7,26%
Variazione assoluta
-
-
1.328,1
1.328,1
1.328,1
1.328,1
Tasso di variazione %
-
-
100,00%
50,00%
33,30%
29.500
8503
5.312,5
‘* Risultati della contabilità nazionale
Fonte: ns elab su dati Documento economia e finanza 2013 (DEF, 2013 pag. 34)
10.4.CONCLUSIONI. COME PROTEGGERE IL PERCORSO PLURIENNALE
Il progetto per l’introduzione del reddito di inclusione sociale (Reis) contiene gli indirizzi, gli
strumenti e le risorse per un Piano nazionale contro le povertà. Si tratta di una novità importante
di cui il nostro Paese ha un’urgente necessità. Il Piano nazionale, in attuazione dell’articolo 22 della
legge n. 328 del 2000 e dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, definisce i
livelli essenziali di assistenza e i diritti esigibili per prendere in carico le persone e le famiglie in
condizioni di povertà. Con l’introduzione del Reis si punta decisamente a dotare l’Italia di una politica universalistica di lotta alle povertà che superi gran parte degli interventi settoriali, categoriali
e locali attualmente in vigore.
Una riforma con questi propositi deve mettere in conto un percorso pluriennale che sarà minacciato dall’insorgere di inevitabili difficoltà applicative e da innumerevoli motivi di critica. Al fine di
27
In tutta la tabella, le variazioni sono da intendere rispetto all’anno precedente. La variazione cumulata è la somma
delle variazioni fatte registrare tra il 2014 e il 2017 in ogni anno rispetto a quello prima.
Pagina 12
10. IL PIANO PLURIENNALE
tutelare il percorso e consentirne la conclusione, la certezza del finanziamento, assicurato
dall’impegno sul bilancio pluriennale dello Stato, rappresenta una prima significativa condizione.
Tuttavia, il risultato finale non potrà fare a meno di un consenso sociale rispetto all’utilità di questa
riforma, da costruire mediante un impegno bipartisan da parte di tutte le forze politiche. Come
proposto nel capitolo 1, al varo della riforma dovrebbe essere affiancato un ulteriore impegno
pubblico da concretizzare attraverso la sottoscrizione, da parte di tutte le forze politiche, di un
“patto aperto contro la povertà” che dichiari apertamente l’impegno di tutti i soggetti politici a garantire l’attuazione della riforma a prescindere dalla durata del Governo proponente. Infatti, l’idea è
che la logica pattizia coinvolga inizialmente i soggetti sociali, per poi allargarsi alle diverse forze
politiche. Oltre alla componente fortemente valoriale di un simile impegno, va sottolineata anche la
scelta strategica di stimolare e far convergere nella riforma tutte le energie e competenze oggi disseminate in tante parti. Il patto “aperto” ha proprio questa funzione e, fermi restando i capisaldi
della riforma, dovrebbe consentire il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, sia nella fase di lancio che nella lunga e complessa transizione verso l’entrata a regime.
La sottoscrizione di un “Patto aperto contro la povertà” in questo senso potrebbe trovare un ulteriore sostegno politico – istituzionale anche attraverso un impegno formale da parte di Anci e Conferenza delle Regioni. Rispetto al risultato finale non meno significativo risulterà anche una formalizzazione dell’impegno da parte dei soggetti del Terzo settore e della società civile ad appoggiare e
a patrocinare il progetto attraverso idonee azioni di advocacy.
Infine, last but not least, un ultimo argomento a sostegno dell’impegno pluriennale per la realizzazione del Reis va collegato alle richieste della UE che, nell’ambito delle attività di coordinamento comunitario delle politiche economiche e occupazionali, ha adottato la cosiddetta Strategia EU2020.
Quest’iniziativa, promuovendo una risposta integrata e innovativa ai problemi sociali ed economici
che la crisi ha reso più urgenti e acuti, interpreta le politiche sociali – come pure quelle ambientali –
non come appendici delle politiche economiche, ma come asset essenziali per la crescita
dell’occupazione e dell’economia nel suo complesso. In questo quadro anche le politiche di contrasto
alla povertà (es. inclusione attiva) contribuiscono a sostenere la domanda e rafforzare l’offerta di lavoro, consolidando la crescita economica (MLPS, 2012).
In Italia manca una misura che possa essere ricondotta alle esperienze degli altri partner europei
in materia di reddito minimo. Attraverso il reddito di inclusione sociale si andrebbe quindi a sanare questa lacuna offrendo, una volta tanto, ai cittadini una percezione positiva dei vincoli comunitari.
In ogni caso, anche a fronte di simili evidenze, non è possibile nascondersi le difficoltà e le incognite
che gravano su un progetto pluriennale di riforma in un Paese come l’Italia, perennemente ostaggio
dell’alternanza delle maggioranze politiche. Per questo occorre essere consapevoli che, in ultima istanza, quelle che garantiscono la continuità o determinano la fine delle politiche pubbliche sono
sempre le scelte politiche. Alla fine non resta che fare ciascuno la propria parte e attendere il risultato, lasciando “ai posteri l’ardua sentenza”.
Pagina 13
11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE

Il Reis incorpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e
sperimentate in vari paesi del mondo, adattandoli alla realtà italiana.

Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale, perché
il grosso del sostegno al reddito viene svolto dalle altre prestazioni del welfare. In Italia il Reis dovrà
scontare le carenze del sistema di welfare italiano, ma l’esplosione di spesa e numero di beneficiari sono scongiurati dall’enfasi sulla povertà assoluta.

Pur raggiungendo una quota di popolazione superiore a quella del reddito minimo olandese, danese o
finlandese il Reis costa meno di questi, e degli altri schemi europei.

Utilizzando l’ISEE, il reddito disponibile e gli indicatori di controllo sui consumi, il Reis adotta criteri
d’accesso più raffinati rispetto a molti schemi europei

I criteri di accesso in base alla residenza del Reis sono semplici, equi e non discriminatori.

La governance del Reis va nella direzione dell’integrazione tra funzioni e del coordinamento tra istituzioni seguita negli ultimi dieci anni da tutti i paesi europei. È però fondamentale l’utilizzo di personale
adeguatamente formato: anche a tale fine, il Reis prevede che il 25% della spesa venga destinata al funzionamento dei servizi sociali e per l’impiego.

Il Reis si avvale dell’evidenza empirica internazionale su che cosa funziona in tema di obblighi e doveri
dei beneficiari e di eventuali sanzioni, ma con un approccio capacitante e non punitivo. Tra beneficiario del Reis e amministrazione pubblica vige una condizionalità reciproca.

L’evidenza comparativa serve per capire che cosa ci si può legittimamente aspettare dal Reis e che cosa
va al di là delle possibilità di uno schema di reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono
oggettivamente più favorevoli rispetto all’Italia.

Occorre avere aspettative realistiche sugli effetti di inserimento lavorativo degli schemi di reddito minimo. Le percentuali di attivazione dei beneficiari abili al lavoro variano dal 12% in Germania al 50%
in Olanda. I tassi di reimpiego sono al più del 25%.

Il principale metro di valutazione di uno schema di reddito minimo non è l’inserimento lavorativo: è il
miglioramento delle condizioni materiali di vita dei beneficiari. Il Reis in primo luogo è una misura
contro la povertà assoluta, e deve essere valutato sulla sua capacità di ridurre la povertà.
11.1 INTRODUZIONE
In questo capitolo conclusivo guarderemo al Reis in una prospettiva comparata, con l’aiuto
dell’evidenza empirica proveniente dall’esperienza internazionale e anche italiana, per gli schemi
Pagina 1
11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
che sono stati introdotti negli ultimi anni a livello nazionale e regionale. Mostreremo che il Reis incorpora gli aspetti migliori, quelli che funzionano meglio, delle varie misure già introdotte e sperimentate in vari paesi del mondo, dal Brasile alla Germania, adattandoli alla realtà italiana. Segnaleremo le differenze tra il Reis e schemi simili, dovute alle caratteristiche del contesto del nosto paese. Forniremo un metro di giudizio dei futuri risultati del Reis, evidenziando che cosa possiamo aspettarci, che cosa non è lecito attendersi da un intervento che costa lo 0,34% del Pil e che cosa, invece, rappresenterebbe un successo.
La progettazione del Reis ha costituito un esercizio di utilizzo dell’evidenza empirica disponibile
per il miglior disegno possibile della misura, quanto viene detto “evidence-based policymaking”
(Davies, Nutley, Smith 2000 e, in funzione critica, Cartwright e Hardie 2010). Per fare questo, sono stati prodotti due studi dell’evidenza empirica nazionale e regionale (Spano, Trivellato e Zanini
2013) e internazionale (Sacchi 2013), che accompagnano questo capitolo come appendici al progetto e al quale il lettore interessato ai dettagli dovrebbe rivolgersi1. Ma l’attenzione all’evidenza
empirica, per capire “che cosa funziona” (e che cosa no) non può esaurirsi nella fase di disegno
della misura. Essa deve essere costante, per consentire correzioni a quegli aspetti del Reis che si
dimostreranno problematici alla luce del suo effettivo funzionamento, sia nel disegno
dell’intervento, sia nella sua governance, in un’ottica pragmatica e volta al costante miglioramento
del Reis. Per fare questo è essenziale predisporre un impianto metodologicamente solido di valutazione del Reis, quanto è stato fatto nel capitolo 8, nonché prevederne il costo, quanto fatto nel
capitolo 10. Più in generale, però, l’aggiustamento pragmatico del Reis alla luce del suo funzionamento dovrà in primo luogo fare tesoro dei suggerimenti degli operatori e degli utilizzatori: per
questo è di fondamentale importanza mantenere la logica del Patto aperto contro la povertà che ha
guidato la formulazione di questa proposta di intervento contro la povertà assoluta.
Pensare, nel parlare del Reis, alla Bolsa Familia brasiliana o al Konanthjaelp danese potrebbe sembrare astruso: in fin dei conti ogni paese ha i suoi caratteri nazionali, i suoi problemi, le sue logiche
di funzionamento. Vero, e infatti il Reis è stato calibrato sulle caratteristiche italiane, ma noi crediamo che si possa comunque imparare molto dall’esperienza comparata: tutti i paesi (e le regioni
italiane) che hanno introdotto degli schemi di reddito minimo si sono dovuti confrontare con alcuni
problemi simili e hanno dovuto compiere delle scelte, a Trento come a Helsinki, in Basilicata come
in Francia. Faremo allora ricorso all’evidenza comparativa per capire che cosa ci possiamo legittimamente aspettare dal Reis e che cosa no, che cosa va al di là delle possibilità di uno schema di
reddito minimo anche dove le condizioni di contesto sono, oggettivamente, più favorevoli rispetto
all’Italia. In passato, ad esempio nel rendere conto degli esiti della forma sperimentale di Reddito
Minimo di Inserimento, sono stati utilizzati da parte dei media e della politica italiani dei metri di
giudizio che sarebbero stati considerati eccessivi e privi di contatto con la realtà anche in paesi
come la Danimarca o l’Olanda, che non hanno i problemi di disoccupazione e di arretratezza strutturale di intere parti del territorio nazionale che abbiamo nel nostro paese.
Occorrono, in altri termini, buon senso, misura e conoscenza della realtà empirica. Il Reis è uno
strumento importante e può raggiungere degli scopi fondamentali per un paese civile, ma non può
fare miracoli, e nemmeno raggiungere scopi che non sono i suoi. Per capirlo, occorre necessariamente guardare all’esperienza comparata, che è lo scopo di questo capitolo che conclude una proposta di policy fondata sull’evidenza empirica e organizzata come un’iniziativa aperta ai contributi
1
I casi analizzati a livello nazionale sono stati la sperimentazione del Reddito minimo di inserimento, la Carta acquisti
sti e la sperimentazione della nuova Carta acquisti. A livello regionale, il Reddito di cittadinanza della Regione Campania, il Reddito minimo di garanzia della Regione Lazio, il programma di Promozione della cittadinanza solidale della
Regione Basilicata, il Reddito di base della Regione Friuli Venezia Giulia, e il Reddito di garanzia della Provincia autonoma di Trento. A livello internazionale, gli schemi presenti in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, O-
landa, oltre ad alcuni spunti dagli schemi detti “cash conditional transfer” latinoamericani.
Pagina 2
11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
di tutti. In quanto segue verranno allora ripercorsi i nodi fondamentali della nostra proposta
nell’ordine in cui sono stati trattati nei capitoli precedenti, soffermandoci su quanto è possibile
imparare, per ciascuno di essi, dalla migliore evidenza empirica disponibile.
11.2 L’ITALIA E GLI ALTRI: IL POSTO DEL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL
REDDITO
Nella maggior parte dei paesi europei gli schemi di reddito minimo svolgono un ruolo residuale. Il
grosso del sostegno al reddito per i cittadini viene infatti svolto dalle altre prestazioni del welfare.
In primo luogo, per gli abili al lavoro, i sussidi di disoccupazione. È utile immaginare gli schemi di
sostegno al reddito per gli abili al lavoro come composti da due livelli: il primo è costituito dai sussidi di disoccupazione, il secondo è il reddito minimo (che non si rivolge soltanto ai disoccupati, e
in generale non si rivolge soltanto agli abili al lavoro).
I sussidi di disoccupazione normalmente prevedono un pilastro principale assicurativo, cioè non
soggetto alla prova dei mezzi bensì a requisiti contributivi (avere lavorato/versato contributi per
un certo periodo prima della disoccupazione). La nostra Aspi è uno schema di questo genere. In
molti paesi europei, oltre al pilastro assicurativo nei sussidi di disoccupazione esiste anche un pilastro ulteriore, di tipo assistenziale e quindi basato sulla prova dei mezzi, rivolto ai disoccupati
che abbiano esaurito i sussidi assicurativi senza riuscire a trovare un lavoro (e, in alcuni casi, anche ai disoccupati che non hanno maturato i requisiti per ottenere i sussidi assicurativi). Questo
in Italia è assente. All’Aspi si affianca infatti uno schema di disoccupazione con delle condizioni di
accesso ridotte, la mini-Aspi, ma pur sempre di tipo assicurativo, rivolto a lavoratori che non hanno i requisiti per ottenere l’Aspi, ma hanno comunque lavorato e contribuito.
Chi rimane scoperto dal pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione italiani (l’unico esistente)? Circa un milione di lavoratori dipendenti (e a progetto) italiani, se perdono il lavoro, non raggiungono i requisiti minimi né per l’Aspi né per la mini-Aspi. Vi sono poi circa cinque milioni di
lavoratori autonomi, che non sono coperti dai sussidi di disoccupazione. Inoltre, l’assenza di un
pilastro di sussidi di disoccupazione di tipo assistenziale fa sì che anche quanti ottengono i sussidi, ma non riescono a trovare un lavoro prima della sua fine, si dovranno rivolgere al Reis (posto
che le loro risorse patrimoniali e di reddito familiare siano inferiori alle soglie previste). In particolare, tra quelli che accedono ai sussidi, circa 500.000 sono coperti (dalla mini-Aspi) per al massimo tre mesi soltanto2.
Ricapitolando, nella maggior parte dei paesi europei al di sotto del livello di protezione fornito dai
sussidi di disoccupazione si trova un livello più generale, costituito dal reddito minimo. In Italia
questo manca, ed è a questa assenza che intendiamo rimediare con il Reis. In molti paesi, poi, il
primo livello di protezione, quello dei sussidi di disoccupazione, prevede due pilastri: uno assicurativo (e questo esiste anche in Italia), e uno assistenziale, tipicamente per i disoccupati di lunga
durata (e questo in Italia non c’è). Non in tutti, però: Danimarca e Germania non prevedono infatti
il pilastro assistenziale per i sussidi di disoccupazione. In questo senso, dopo l’introduzione del
Reis l’Italia sarà direttamente comparabile a questi due paesi. Rispetto all’Italia, però, il sistema
danese di sussidi di disoccupazione di tipo assicurativo è notoriamente più esteso, e nonostante la
durata sia stata ridotta rispetto al passato, i disoccupati danesi possono ricevere l’indennità di disoccupazione sino a due anni consecutivi, confinando l’assistenza sociale a compiti senz’altro residuali.
2
Per approfondimenti vedi S. Sacchi, La riforma dei sussidi di disoccupazione: miglioramenti e problemi aperti, presentazione svolta all’AREL, Agenzia di ricerche e legislazione, Roma, 4 luglio 2013.
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
Diverso è il caso della Germania, l’unico paese nel quale l’assistenza sociale svolge un ruolo non
residuale. Il pilastro assicurativo dei sussidi di disoccupazione funziona infatti secondo le stesse
regole dell’Aspi, e le riforme Hartz IV degli anni 2000 hanno abolito il pilastro assistenziale dei sussidi di disoccupazione e creato un livello generale di assistenza sociale per gli abili al lavoro (Arbeitslosengeld II, detto ALG II). Questo intercetta quindi tutti quanti non ottengono i sussidi assicurativi (disoccupati di lungo periodo, lavoratori con carriere intermittenti, nuovi entranti nel mercato del lavoro, lavoratori esclusi dall’assicurazione contro la disoccupazione), mentre per i non
abili al lavoro c’è uno schema categoriale (Sozialhilfe), che è ormai marginale. Rivolto sia agli individui abili al lavoro, sia a quanti non lo siano, il Reis tiene assieme i bacini di beneficiari potenziali
di ALG II e Sozialhilfe. La differenza è però che il Reis è rivolto alle sole famiglie in povertà assoluta, riducendo così molto il numero dei beneficiari.
Insomma, nella maggior parte dei paesi europei (ma non in Germania) gli schemi di reddito minimo hanno un lavoro relativamente ridotto da compiere, perché altre prestazioni, in particolare i
sussidi di disoccupazione (ma anche, ad esempio, i sussidi agli studenti) intercettano parte dei potenziali beneficiari prima che questi si rivolgano all’assistenza sociale. In Italia il Reis si troverà a
scontare alcune note carenze del sistema di welfare italiano, anche dopo la riforma dei sussidi di
disoccupazione introdotta nel 2012, e che andrà a regime nel 2016. Se numero di beneficiari e
spesa complessiva verranno contenuti dal fatto che il Reis è una misura contro la povertà assoluta,
è comunque da aspettarsi che molti dei beneficiari siano soggetti abili al lavoro, o lavoratori a basse competenze e basso salario (vedi cap. 3). Da qui l’enfasi sull’inserimento lavorativo (da concepire, come detto, con un sano realismo) e sull’acquisizione di competenze adeguate al mercato del
lavoro. Da qui anche l’enfasi sull’importanza che ai beneficiari vengano forniti adeguati servizi alla
persona, inclusi quelli per l’impiego.
TABELLA 11.1: IL REIS NEL SISTEMA DI SOSTEGNO AL REDDITO
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Schemi di reddito minimo spesso residuali (non in Germania)
Presenza di altri schemi di mantenimento del reddito
Il messaggio per il Reis
Restrizione della platea dei beneficiari: solo famiglie in povertà assoluta
Enfasi su percorsi di inserimento sociale e lavorativo e formazione competenze
Enfasi su servizi alla persona e per l’impiego
11.3 BENEFICIARI E COSTI DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN EUROPA A
CONFRONTO COL REIS
11.3.1 I beneficiari
Alla luce di quanto appena visto, possiamo aspettarci che gli schemi di reddito minimo abbiano
un’incidenza e una composizione molto differente a seconda della configurazione istituzionale
complessiva dei sistemi di welfare nei quali si inseriscono. In alcuni paesi gli schemi di reddito
minimo mantengono un ruolo residuale e di protezione di ultima istanza, mentre in altri cominciano ad avere un ruolo importante per tutta la popolazione che percepisce redditi bassi. È utile in
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
generale guardare non solo al numero dei beneficiari (rispetto alla popolazione), ma anche alle loro caratteristiche, per capire se e in che modo il Reis si differenzia dagli schemi più sviluppati.
Il reddito minimo è uno schema residuale in Austria, in Olanda e nei paesi nordici qui considerati,
la Danimarca e la Finlandia. In Austria, il numero di beneficiari di schemi assistenziali era alla fine
degli anni 2000 comparativamente ridotto, corrispondendo a circa il 2% della popolazione (Fink
2009, Pratscher 2009). Particolarmente rilevanti erano i tassi di mancata richiesta della prestazione, anche perché la configurazione della misura e i modi della sua erogazione erano stigmatizzanti,
aspetti che hanno portato alla riforma la cui implementazione ha preso avvio nel 20103.
In Finlandia nel 2011 beneficiava del Reddito minimo il 3,8% della popolazione (nostre elaborazioni su dati CSB MIPI). I principali beneficiari della misura sono costituiti da disoccupati (l’87%
del totale dei beneficiari), giovani e persone sole: nel 2007 i minori di trent’anni costituivano il
51% del totale, mentre solamente il 17% dei nuclei beneficiari erano coppie, con o senza bambini
(Bahle et al., 2011).
Simile è la situazione in Danimarca: alla fine degli anni 2000 riceveva forme di assistenza sociale
circa il 3,8% della popolazione. Anche qui, i beneficiari sono soprattutto giovani e individui che vivono soli. Nel 2006, il 40% dei beneficiari aveva meno di 30 anni, il 65% meno di 40 e il 56% dei
beneficiari era costituito da individui soli. I genitori soli costituivano il 26% dei beneficiari (Bahle
et al., 2011).
In Olanda si osserva una notevole diminuzione del numero dei beneficiari che si è ridotto dal 3,2%
della popolazione nel 2005 all’1,9% nel 2011. Il declino nell’incidenza dei beneficiari è comunemente collegato al funzionamento del mercato del lavoro e all’importanza data all’attivazione, ma
anche ad una crescente attenzione nei confronti delle frodi e delle violazioni (Blommesteijn et Mallee, 2009).
In Germania e Francia al contrario vi è stata una notevole espansione nel corso del tempo, anche a
seguito dei sostanziali cambiamenti regolativi avvenuti in questi due paesi che hanno esteso il
raggio di azione degli schemi di reddito minimo.
In Francia i nuclei familiari beneficiari del vecchio Revenu minimum d’insertion erano passati da
poco più di 400mila nel 1990 a circa 1,1 milioni nel 2007, più della metà dei quali aveva meno di
quarant’anni (Bahle et al. 2011). L’introduzione del Revenu de Solidarité Active (Rsa) non ha modificato questa tendenza, che ha visto nel 2009 i nuclei familiari beneficiari crescere fino a quasi 1,9
milioni, corrispondenti a 3,9 milioni di individui, il 6,2% della popolazione (Comité national
d’évaluation du Rsa 2011). L’ulteriore crescita dei beneficiari è dovuta al fatto che l’Rsa integra due
misure precedentemente separate (il Revenu minimum d’insertion e una misura destinata ai genitori soli poveri) e include attraverso l’Rsa nella sua funzione di complemento al reddito, il cosiddetto Rsa activité, anche un numero elevato di lavoratori a basso salario. Per questi ultimi l’Rsa funziona appunto come un in-work benefit. Il 25% delle famiglie beneficiarie percepisce soltanto
l’Rsa activité. Tra i restanti beneficiari, che percepiscono l’Rsa socle, cioè lo schema di base rivolto
a tutti, sono sovrarappresentati rispetto alla popolazione francese i giovani, i single e le famiglie
monogenitoriali (Comité national d’évaluation du Rsa 2011).
In Germania, l’ALG II fa la parte del leone nel sistema di sostegno al reddito contro la disoccupazione e nell’assistenza sociale. Nel 2011 esso copriva il 70% dei disoccupati, a fronte del 30% del
3
In generale, il problema del non-take up rate è di solito trascurato dalla letteratura e dai policymaker, ma i suoi
effetti sono di grande importanza se l’obiettivo è la riduzione della povertà. Il Reis si propone, nella sua articolazione organizzativa, di ridurre tale fenomeno, avvicinando alla misura le famiglie potenzialmente aventi
diritto (vedi cap. 4 e 5).
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
sussidio di disoccupazione assicurativo (Petzold 2012)4. I beneficiari dell’ALG II (6,5 milioni) costituivano nel 2011 il 7,9% della popolazione (gli altri schemi di assistenza sociale coprivano tutti
assieme l’1,3% della popolazione, con il Sozialhilfe a coprire poco più dello 0,1% della popolazione).
La tabella 11.2 mostra le caratteristiche dei beneficiari del Reis, così come illustrate nel capitolo 3,
a confronto con quelle degli schemi di reddito minimo qui analizzati. Alcuni elementi dei beneficiari del Reis paiono in qualche misura richiamare quelli dei beneficiari degli altri schemi di reddito
minimo europei: rispetto alla popolazione nel suo complesso tra i beneficiari del Reis sono sovrarappresentati i giovani: quasi il 45% delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia di età
inferiore a 40 anni. Circa un terzo delle famiglie beneficiarie sono costituite da un solo individuo e
quasi la metà delle famiglie beneficiarie del Reis ha un capofamiglia occupato.
TABELLA 11.2 I BENEFICIARI DEL REIS E DEGLI SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EUROPEI
Anno
Beneficiari
Principali categorie di beneficiari
(% popolazione)
Olanda
2011
1,9%
-
Austria
fine 2000
2%
-
Danimarca
fine 2000
3,8%
giovani, persone sole, genitori soli
Finlandia
2011
3,8%
disoccupati, giovani, persone sole
Francia
2009
6,2% (incluso Rsa activité1)
giovani, persone sole, famiglie monogenitoriali
Germania
2011
7,9%
-
Reis
2012
2
4,8%
giovani, famiglie con capofamiglia occupato
Note: (1) Rsa activité: 25% delle famiglie beneficiarie; (2): ipotizzando un take-up rate del 75%
I costi del Reis in prospettiva comparata
Come abbiamo detto, ci si può aspettare che sul Reis si scarichino bisogni non coperti da altri tasselli del sistema italiano di welfare, in primo luogo – come visto – il sistema dei sussidi di disoccupazione. L’elevata percentuale, fra i beneficiari, di nuclei familiari con capofamiglia occupato non
deve trarre in inganno al riguardo, giacché può significare che il reddito del capofamiglia non basta da solo ad evitare la caduta in povertà della famiglia, quando gli altri membri non sono occupati;
in generale, è conseguenza del fenomeno della precarietà economica nel mercato del lavoro italiano (Berton, Richiardi e Sacchi 2012). Lo squilibrio funzionale (cioè per tipo di rischi e bisogni coperti) del sistema di welfare italiano è ben noto, e può essere apprezzato guardando alla Tabella
11.3, che riporta l’allocazione interna della spesa per prestazioni di protezione sociale nei paesi
qui analizzati, nell’Unione europea e nell’area dell’Euro. Particolarmente importanti rispetto al
Reis sono gli squilibri nella copertura dei rischi legati a disoccupazione, famiglia e bambini, ed abitazione e altre voci legate all’esclusione sociale. Cumulativamente, per queste voci l’Italia destina
4
In Germania pressoché tutti i disoccupati sono coperti dagli schemi di disoccupazione e reddito minimo.
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
meno dell’8% della propria spesa sociale, dieci punti percentuali in meno che nell’Unione europea
e nell’Eurozona.
TAB. 11.3 SPESA PER PRESTAZIONI SOCIALI PER FUNZIONE, 2010 (VALORI PERCENTUALI)
Vecchiaia e superstiti
Sanità, malattia e disabilità
Disoccupazione
Famiglia e bambini
Abitazione ed esclusione sociale
T
p
s
t
g
UE-27
45,0
37,4
6,0
8,0
3,6
1
Euro area
45,3
36,8
6,8
8,0
3,2
1
Danimarca
37,7
37,4
7,5
12,4
5,0
1
Germania
40,2
40,4
5,8
10,9
2,7
1
Francia
44,9
35,0
6,9
8,3
5,0
1
Olanda
39,2
43,4
5,2
4,1
8,1
1
Austria
49,6
32,8
5,7
10,4
1,5
1
Finlandia
39,2
37,3
8,2
11,1
4,2
1
Italia
60,6
31,5
2,9
4,6
0,3
1
Fonte: Eurostat, ESSPROS database
D’altro canto, il Reis si concentra sulla povertà assoluta. Questo fa sì che la spesa per il Reis in termini di Pil resti comparativamente molto contenuta, rispetto al costo degli schemi di reddito minimo negli altri paesi europei qui presi in considerazione. Inoltre, la spesa per prestazioni monetarie è inoltre pari all’82% del totale; il 25% della spesa viene infatti utilizzata per far funzionare i
servizi alla persona e quelli di attivazione lavorativa per i beneficiari del Reis, una quota addirittura superiore a quella destinata dalla Francia per le misure di inserimento all’interno delle risorse del Revenu de solidarité active5.
TAB. 11.4 SPESA TOTALE PER SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN ALCUNI PAESI EUROPEI
Paese
Anno
Misura
Spesa/Pil
1
Austria
2007
Sozialhilfe (pre-riforma )
0,6%
Danimarca
2007
Konanthjaelp
0,6%
Francia
2010
Revenu de solidarité active (RSA)
0,5%
Germania
2010
ALG II
1,4%
2
Olanda
2007
Schema generale di reddito minimo (WWB)
1%
Italia
2017
Reis3
0,34%
Note: (1): Schema modificato in senso più generoso a partire dal 2010; (2): Wet werk en bijstand (legge su lavoro e assistenza sociale). Comprende quattro schemi categoriali soggetti alla prova dei mezzi (per i lavoratori autonomi poveri, per i disabili anziani, per i disabili giovani, per gli artisti); (3): Spesa totale a regime, ipotizzando un take-up rate del 75%.
5
In Francia infatti la spesa è così suddivisa: 85% prestazione monetaria, 15% servizi (Comité national d’évaluation du
Rsa 2011).
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
11.4 I CRITERI DI ACCESSO
Non è qui possibile dare conto di differenze e affinità nei criteri di accesso dei vari schemi di reddito minimo internazionali e appartenenti all’esperienza italiana, nazionale e regionale, e con tutta
probabilità ciò costituirebbe un esercizio privo di rilevanza pratica ai nostri fini6. Due aspetti ci
sembrano però rilevanti, riguardanti la considerazione del patrimonio il primo e le condizioni di
residenza il secondo.
11.4.1 Il trattamento del patrimonio
Pressoché ovunque, in ambito internazionale, viene adottata una prova dei mezzi basata sul reddito del richiedente o della sua famiglia, associata a vincoli stringenti quanto al patrimonio mobiliare
e immobiliare familiare detenuto. Sono infatti previsti dei limiti nel valore monetario del patrimonio liquido o mobilizzabile (attraverso alienazione, ipoteca, locazione) al di sopra dei quali
l’accesso alla misura è precluso. Nel computo del patrimonio non vengono sovente presi in considerazione la casa di abitazione e il mobilio, ma solo entro limiti ragionevoli. A titolo di esempio, in
Germania (valori 2011) vi è un’esenzione sul patrimonio pari a 150€ per ogni anno di età del richiedente, con un minimo di 3.100€ e un massimo di 9.700€; tali importi vengono raddoppiati
per le coppie. Vi sono ulteriori esenzioni per polizze pensionistiche integrative, la casa di abitazione le cui dimensioni siano adeguate al numero dei familiari e un’automobile con un valore non
superiore a 7.500€. Al di sopra di queste soglie, l’accesso all’ALG II è precluso. In Olanda il limite
di patrimonio ammissibile (inclusa l’automobile) è pari a 5.555€ per un single, 11.110€ per una
famiglia (valori 2011). Fa eccezione l’abitazione di proprietà, per la quale vi è un limite speciale
pari a 46.900€. Oltre tale limite, il richiedente del reddito minimo può ottenere quest’ultimo in
forma di prestito dando l’immobile in garanzia.
L’unico caso nel quale non viene direttamente preso in considerazione il patrimonio è l’Rsa francese, per il quale però è prevista una valutazione patrimoniale qualora venga rilevata una discrepanza tra lo stile di vita e le risorse familiari dichiarate.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, il Reddito minimo d’inserimento prevedeva uno schema
logicamente simile a quello della maggior parte dei casi europei, con l’accesso basato sul reddito e
soglie separate per il patrimonio, ma la regola draconiana di una soglia patrimoniale nulla – ad essezione della casa di abitazione – indusse poi i comuni a introdurre eccezioni locali e non coordinate. D’altro canto l’affinamento dell’ISEE nel corso degli ultimi quindici anni rende quest’ultimo lo
strumento più adeguato e sofisticato per valutare congiuntamente la situazione economica di un
soggetto sulla scorta di reddito, patrimonio sia mobiliare che immobiliare, e caratteristiche familiari, ciò che viene fatto solo in modo rozzo nelle altre esperienze europee. Le esperienze regionali
più significative (quella del Friuli Venezia Giulia, della Basilicata e della Provincia di Trento) hanno
tutte utilizzato l’ISEE o sue modificazioni, e l’ISEE viene anche utilizzato dalla Carta acquisti sperimentale avviata nel 2013. Nella presente proposta (vedi cap. 3) abbiamo ritenuto che, strumento
necessario per la valutazione della condizione economica grazie alla considerazione del patrimonio, l’ISEE operi come un primo filtro di accesso, e che l’accesso effettivo al Reis sia poi valutato
utilizzando la stessa metrica della povertà assoluta, cioè attraverso il reddito disponibile. A questo,
sulla scorta dell’esperienza campana e soprattutto di quella trentina, si affianca un indicatore di
controllo basato sui consumi.
TABELLA 11.5: IL PATRIMONIO NELLA PROVA DEI MEZZI
6
Chi fosse interessato ai vari criteri di accesso adottati nei vari schemi può consultare le Appendici sulle esperienze nazionali (Spano, Trivellato, Zanini 2013) e internazionali (Sacchi 2013).
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Prova dei mezzi basata su reddito; limiti patrimoniali per accesso a misura presenti pressoché ovunque
Il messaggio per il Reis
Utilizzo ISEE come filtro; utilizzo reddito disponibile per
l’accesso assieme a indicatori di controllo basati sui consumi
11.4.2 Il criterio della residenza
Come si è visto nel capitolo 3, il Reis è accessibile da tutti quanti risiedano legalmente sul territorio
italiano da almeno un anno. Questa è una scelta equilibrata, che media tra molte istanze differenti.
In generale, requisiti di stabilimento sul territorio sono presenti con vari gradi di stringenza in
tutti i paesi europei. Se infatti ai cittadini nazionali sono equiparati quelli comunitari, per i cittadini di paesi non appartenenti all’UE sono spesso richiesti requisiti particolari di residenza legale.
Qui le scelte nazionali si intrecciano col diritto comunitario e con le sentenze della Corte europea
di giustizia, rendendo la materia complessa. Tipicamente, a tutti i cittadini dell’Unione europea (inclusi quelli dello stato membro che fornisce il reddito minimo) viene richiesto un requisito minimo di residenza (che non può essere differenziato tra cittadini nazionali e altri cittadini comunitari). Spesso, questo coincide con i tre mesi richiesti nell’UE per ottenere l’iscrizione all’anagrafe.
Sino al compimento dei cinque anni di residenza, però, la richiesta di ricevere assistenza sociale da
parte di un cittadino comunitario non nazionale potrebbe in via di principio dar luogo alla revoca
della residenza e alla conseguente espulsione. Requisiti più stringenti possono essere previsti nel
caso di cittadini di paesi terzi: sia in Austria, sia in Francia il reddito minimo viene concesso soltanto ai cittadini non comunitari cosiddetti soggiornanti di lungo periodo, cioè a quanti siano legalmente residenti da almeno cinque anni. Tale scelta è stata fatta anche nel contesto della sperimentazione della nuova carta acquisti in Italia, in aggiunta al requisito della residenza nel territorio
di sperimentazione da almeno un anno, che vale per tutti i richiedenti. In Olanda i cittadini di paesi
terzi possono accedere al reddito minimo salvo che il loro permesso di soggiorno lo vieti, ma sino
all’ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo la richiesta di assistenza sociale può
far perdere il diritto alla residenza. In Danimarca addirittura il Konanthjaelp è riservato a quanti
(danesi, comunitari, cittadini di paesi terzi) abbiano soggiornato legalmente in Danimarca per almeno 7 degli ultimi 8 anni (esistono però schemi di reddito minimo di importo inferiore per chi
non raggiunga tale requisito). La sperimentazione del Reddito minimo di inserimento prevedeva
requisiti differenziati per cittadini italiani e comunitari e per cittadini di paesi terzi, mentre – in
patente e insanabile contrasto con il diritto comunitario – la carta acquisti era riservata ai soli cittadini italiani. A fronte di tale complessità, riteniamo che un criterio unico, applicabile a tutti, come
quello adottato per il Reis costituisca un elemento di chiarezza e di equità.
TABELLA 11.6: IL CRITERIO DELLA RESIDENZA
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Criteri di residenza minima diversificati, ma soggetti a principio
di non discriminazione tra cittadini comunitari. Criteri spesso
più stringenti per cittadini di paesi terzi, comunque soggetti a
controllo da parte di Commissione e Corte europea di giustizia
in base al criterio di proporzionalità tra strumenti utilizzati e fini
desiderati
Il messaggio per il Reis
Adozione di un unico criterio, semplice e applicabile a tutti
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
11.5 LA GOVERNANCE DELLA MISURA
L’importanza degli aspetti di governance della misura è richiamata da una rassegna dell’evidenza
empirica internazionale sugli schemi di reddito minimo (Immervoll 2010): attraverso una governance chiara si evitano duplicazioni, sovrapposizioni strutturali di competenze e la rotazione dei
beneficiari tra programmi diversi, tutti fenomeni dei quali vi è evidenza quando non c'è un unico
centro decisionale. L’esperienza internazionale mostra come in tutte le realtà più avanzate si sia
verificato un sempre maggior coordinamento tra assistenza economica, servizi sociali e sanitari e
servizi per il lavoro. Questa è l’aspettativa sottostante il Reis, e come visto nei capitoli 4 e 5 la divisione e la condivisione delle competenze, le procedure e la creazione di gruppi di coordinamento
interistituzionali vanno in questa direzione.
In alcuni contesti l’integrazione istituzionale è avvenuta al massimo grado, attraverso la fusione
vera e propria tra centri per l’impiego e agenzie preposte all’amministrazione e all’erogazione del
contributo economico, sia per le prestazioni di disoccupazione che per quelle di reddito minimo,
secondo il modello dello “one-stop shop”. Questo è ad esempio quanto avvenuto in Germania con la
creazione dei JobCentre ed è previsto in Austria.
Più in generale, al di là dell’istituzione di agenzie uniche, e tralasciando l’aspetto dell’erogazione
monetaria per concentrarsi su quello dei servizi, due sono le dimensioni rilevanti: da un lato
l’integrazione, per gli abili al lavoro, dei servizi per l’impiego sia per i beneficiari dei sussidi di disoccupazione che per quelli del reddito minimo; dall’altro l’integrazione, per i beneficiari, tra servizi sociosanitari e lavorativi.
La prima dimensione di integrazione consente di sfruttare economie di scala, scopo e competenza
all’interno dei servizi per l’impiego ed è una tendenza che accomuna tutti i paesi europei con
schemi di reddito minimo sviluppati: oltre ai citati Germania e Austria, la Francia con gli uffici per
l’impiego (Pôle emploi) creati nel 2008 e, di particolare interesse per il caso italiano, anche sistemi
come l’Olanda e la Danimarca, nei quali la programmazione degli interventi e l’erogazione delle
prestazioni avviene a livello comunale. Anche in tali due paesi sono stati infatti creati degli uffici
unici composti da personale dei Centri per l’impiego e dei comuni, che forniscono i servizi per
l’impiego sia ai beneficiari degli schemi di disoccupazione, sia a quelli degli schemi di reddito minimo. La previsione per il disegno del Reis di far prendere in carico i beneficiari abili al lavoro, per
quanto riguarda i bisogni formativi e l’attivazione lavorativa, dai Centri per l’impiego attraverso la
redazione dei Patti di servizio, di concerto con i servizi sociali dei comuni associati in forma di
Ambito, va esattamente in questa direzione.
Circa la seconda dimensione, è particolarmente significativa l’esperienza finlandese, dove la collaborazione tra i centri per l’impiego statali e i servizi sociali comunali ha riguardato in particolare i
disoccupati di lunga durata, spesso beneficiari sia dei servizi per l’impiego che dei servizi sociali
per problemi di abuso di alcool o di sostanze e altri problemi personali. All’interno del programma
Lafos (Labour Force Service Centers) è stata prevista la collaborazione tra differenti agenzie: i servizi per l'impiego, i servizi sociali e sanitari, gli uffici di previdenza sociale. Il compito dei centri
Lafos, via via estesi sino a raggiungere oggi circa il 40% dei comuni finlandesi, inclusi i più densamente popolati (Karjailainen e Saikku, 2011), è quello di coordinare la riabilitazione, l'attivazione
e i servizi per l'impiego attraverso l’esperienza di un team multiprofessionale, composto da esperti dell’ufficio di collocamento, dei servizi sociali e sanitari, di riabilitazione e previdenza sociale. Il
Reis potrà andare in questa direzione se i comuni (associati in Ambiti) responsabili della presa in
carico saranno effettivamente in grado di predisporre una valutazione integrata e multidimensionale dei bisogni del beneficiario attraverso la costituzione di team multiprofessionali comprendenti personale dei servizi sociali, dei centri per l’impiego e dei servizi sanitari, come da noi raccomandato (vedi 5.3.3), piuttosto che separare burocraticamente i momenti della presa in carico sociale e della redazione del patto di servizio. L’esperienza finlandese è importante anche per la crea-
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
zione di strutture di coordinamento operativo tra i diversi attori istituzionali coinvolti, una previsione da noi adottata con la creazione del Gruppo di coordinamento (vedi 4.5).
In tutti i paesi, quindi, si va verso una maggiore integrazione, sia istituzionale – attraverso la creazione di agenzie uniche – sia funzionale, anche sulla scorta di un migliore coordinamento interistituzionale. Questo avviene in particolare dove la responsabilità operativa degli schemi di reddito
minimo è propria del livello comunale, come in Nord Europa: per poter gestire i programmi di attivazione lavorativa, occorre muovere verso una scala territoriale più grande rispetto alle singole
municipalità. Per questo motivo il Reis viene gestito dai comuni associati in forma di Ambito,
all’interno di regole comuni fissate a livello nazionale. Allo stesso modo, l’integrazione funzionale è
perseguita con la creazione di procedure e routine organizzative a ciò strumentali, ed è agevolata
dalla costituzione di gruppi di coordinamento operativo. Oltre alla valutazione integrata dei bisogni
dei beneficiari del Reis, sarebbe ad esempio utile costituire, come in Finlandia, delle vere e proprie
“coppie di lavoro”, nelle quali un assistente sociale e un funzionario dei Centri per l’impiego seguono congiuntamente il beneficiario. Insomma: come “reddito minimo 2.0” il Reis dovrebbe avvantaggiarsi dell’osservazione di quanto accaduto negli altri paesi, e in particolare in quelli dove la
gestione della misura è di competenza comunale, che hanno proceduto a forme di integrazione
funzionale e cooperazione interistituzionale per poter rispondere alle sfide organizzative che un
intervento complesso e articolato come il Reis pone.
Infine, l’esperienza internazionale, ma anche quella dell’Rmi e di alcuni schemi regionali in Italia
(come quello della Basilicata), mostrano come per svolgere bene i compiti di attivazione richiesti
occorra personale esperto ad essi dedicato, e non personale amministrativo. Vi è un’evidente relazione tra la consistenza del personale specializzato espressamente dedicato allo schema di reddito
minimo e la capacità dell’amministrazione di strutturare ed offrire progetti di inserimento efficaci.
La disponibilità di risorse infrastrutturali appropriate è quindi un nodo cruciale per il successo di
uno schema di reddito minimo che preveda anche una componente di inserimento, ed è stato uno
dei principali motivi della bassa capacità di organizzazione e gestione di tale componente nella
sperimentazione dell’Rmi italiano. Quello delle risorse infrastrutturali è un punto dirimente per
l’efficacia di uno schema di reddito minimo che non intenda essere un mero trasferimento monetario: introdurre uno schema siffatto per lasciare che gli aspetti di inserimento sociale e lavorativo
vengano curati da funzionari amministrativi, senza competenze specifiche e in aggiunta al proprio carico di lavoro normale significa condannarlo a sicuro insuccesso. Per questo motivo, il finanziamento del Reis prevede che una componente sostanziale della spesa per la misura (il 18%)
sia dedicata al funzionamento dei servizi per i beneficiari, sociali e lavorativi.
TABELLA 11.7: ASPETTI DI GOVERNANCE
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Integrazione istituzionale tra CpI e sportelli di erogazione
contributo economico (one-stop shop)
Integrazione servizi per l’impiego per beneficiari di sussidi di
disoccupazione e reddito minimo
Integrazione funzionale tra servizi per l’impiego, servizi sociali, servizi sanitari (nuclei congiunti di valutazione, coppie
di lavoro)
Coordinamento operativo interistituzionale
Il messaggio per il Reis
Spinta verso integrazione funzionale: valutazione integrata
bisogni, progettazione integrata interventi, previsione di
coppie di lavoro
Previsione di struttura di coordinamento operativo interistituzionale: Gruppo di coordinamento
Utilizzo personale adeguatamente formato; previsione di
finanziamento dedicato pari al 25% della spesa totale
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
11.6 INSERIMENTO, CONDIZIONALITÀ, SERVIZI
Come abbiamo visto nel capitolo 5, il Reis agisce sul versante dell’inserimento sociale e lavorativo
dei beneficiari attraverso opportuni incentivi e servizi. Viene predisposto un adeguato disegno di
condizionalità e il Reis viene erogato a fronte dell’impegno dei beneficiari a tenere un certo comportamento, variabile a seconda delle caratteristiche individuali e delle condizioni familiari. Tali regole di condizionalità divengono vincolanti per tutti i beneficiari, con le sanzioni previste. Alcuni
spunti dall’esperienza comparata sono qui utili per porre il Reis nella giusta prospettiva e mostrare come l’esperienza degli altri paesi è stata adattata alla situazione italiana. Al tempo stesso, il Reis
fa tesoro delle esperienze ben funzionanti presenti in Italia, prima fra tutte il Reddito di garanzia
della Provincia autonoma di Trento.
Poiché come abbiamo detto il Reis è uno schema unico, rivolto in via di principio alla generalità
della popolazione, esso non riguarda solo gli abili al lavoro. L’attivazione dei beneficiari e la condizionalità non devono quindi essere soltanto intese come quelle lavorative. Qui è utile concepire il
Reis come un esempio di Cash Conditional Transfer (CCT), una classe di schemi di assistenza sociale tipicamente basati sulla prova dei mezzi diffusosi nell’ultimo decennio in tutto il mondo a
partire dall’America Latina per arrivare sino alla città di New York, anche grazie al sostegno tecnico delle organizzazioni internazionali (Banca mondiale in primo luogo). Gli esempi principali sono
Bolsa Familia in Brasile e Oportunidades in Messico, a cui si può aggiungere un programma molto
più mirato al sollievo dalla povertà estrema, Chile Solidario in Cile (ILO 2010). La peculiarità dei
CCT è quella di prevedere un’erogazione monetaria condizionata al mantenimento, da parte dei
beneficiari, di comportamenti considerati virtuosi e come tali incentivabili in un’ottica di sviluppo
umano, indirizzata in particolare alla cura della povertà infantile. Tali comportamenti riguardano il
sottoporre i membri minori alle vaccinazioni e a periodici controlli medici, l’assolvimento degli
obblighi scolastici, la frequenza scolastica, e così via. Il Reis insiste molto sul rispetto dell’obbligo
scolastico, anche perché l’esperienza della “sperimentazione” del Reddito minimo di inserimento
in Italia mostra come i programmi di inserimento e reinserimento scolastico siano stati assai efficaci. Più in generale, per tutti i beneficiari, il Reis è condizionale a comportamenti di “buona cittadinanza”, e prevede dei servizi per l’educazione a tali comportamenti, così come delle sanzioni se
questi non vengono rispettati. Insomma, il Reis non dà solo “soldi ai poveri”, ma ne promuove
l’inserimento nella società (vedi 6.2.2) e, per gli abili al lavoro, l’inserimento lavorativo (vedi
6.2.4).
A questo riguardo, l’evidenza comparata porta alla ribalta un aspetto di grande importanza per il
disegno delle misure di attivazione: la forte incidenza tra i beneficiari degli schemi di reddito minimo di stranieri con problemi specifici di integrazione nella società e nel mercato del lavoro. Ha
fatto recentemente scalpore in Danimarca la pubblicazione dei dati sui beneficiari di lunga durata,
che hanno ottenuto la prestazione di reddito minimo, il Kontantjhaelp, per oltre dieci anni negli ultimi quindici. Emerge infatti che, a fronte di un’incidenza nella popolazione in età da lavoro del
3,4%, le donne immigrate da paesi non occidentali costituiscono il 25% di tali beneficiari di lunga
durata7. Anche l’esperienza del Reddito di cittadinanza della Provincia di Trento mostra come sia
lecito attendersi una quota di stranieri tra i beneficiari più che proporzionale rispetto alla popolazione generale: tra i beneficiari una famiglia su due ha almeno un componente straniero, a fronte
di una quota inferiore al 10% nella popolazione (Spano, Trivellato, Zanini 2013). Il problema si
pone in primo luogo a causa delle basse capacità linguistiche e delle basse competenze lavorative
di tale categoria di beneficiari. Occorrerà allora predisporre nell’ambito del Reis delle misure adeguate, per evitare che quelle progettate siano inefficaci e che l’attivazione sia strutturalmente votata al fallimento, con l’esito di avere tassi di partecipazione ai programmi molto bassi, oppure ele-
7
“Marginalized immigrant women on near-permanent welfare”, The Copenhagen Post, 22-28 Febbraio 2013, p. 1.
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
vati tassi di irrogazione delle sanzioni e revoca della prestazione. La predisposizione delle misure
più adeguate va tarata con riferimento alle comunità etniche dei beneficiari, anche con l’aiuto di
mediatori culturali. Sulla scorta dell’esperienza danese e trentina, sembra certamente necessario
prevedere l’offerta di corsi di alfabetizzazione e di formazione linguistica, preliminarmente
all’offerta di lavoro o di formazione (vedi 6.2.2). Se i servizi sociali e i centri per l’impiego non
prenderanno seriamente questa sfida, il Reis rischia di dare luogo a una sottoclasse di beneficiari
con basse chances di reinserimento. Se, per converso, questo aspetto diventerà un obiettivo specifico da parte degli operatori locali, i risultati ottenibili in termini di inserimento dei beneficiari –
in primo luogo sociale e nella comunità – potranno essere di grande rilievo.
11.6.1 Regole di condizionalità per gli abili al lavoro
Come abbiamo visto nel capitolo 6, tutti i beneficiari del Reis abili al lavoro sono tenuti a rispettare
il patto di servizio e i diritti/doveri in questo previsti. In generale, sono tenuti a cercare attivamente un’occupazione e ad essere immediatamente disponibili al lavoro, pertanto ad accettare offerte
di lavoro congrue e a svolgere le attività di formazione e riqualificazione previste. In merito a tali
aspetti, l’evidenza internazionale mostra come negli ultimi vent’anni, nel tentativo di eliminare
possibili abusi e riportare più persone possibili all’impiego, si osservi una tendenza comune a
imporre norme comportamentali sempre più stringenti ai beneficiari degli schemi di reddito minimo. In particolare, si osservano valutazioni più severe per quanto concerne la disponibilità al
lavoro, un maggiore ricorso alle sanzioni e definizioni più ampie di ciò che è considerata un’offerta
idonea di lavoro. Particolarmente accentuate sono divenute le richieste di attivazione nei paesi
nordici e in Germania, Olanda ed Austria, così come le sanzioni.
In Germania, ad esempio, se il beneficiario rifiuta di prendere parte a un corso di formazione o rifiuta un lavoro accettabile, il sussidio viene diminuito del 30% per tre mesi, e ridotto del 10% anche in caso di assenze a visite mediche o di non rintracciabilità nei giorni festivi. Una seconda violazione porta una riduzione del 60%, mentre alla terza il beneficio viene interrotto per tre mesi,
fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento (pagati direttamente al proprietario di casa). In
caso di violazione dell’obbligo di notifica, il sussidio viene diminuito ogni volta del 10%. Penalità
più stringenti sono previste per i minori di 25 anni: la prima violazione porta infatti immediatamente alla revoca della misura per tre mesi, fatti salvi i contributi per affitto e riscaldamento.
In Olanda la condizionalità è ancora più severa e la prestazione può essere interamente decurtata
per un mese già a partire dalla prima violazione. In Austria la sanzione per il rifiuto di accettare
un’occupazione o di partecipare a programmi di formazione o riqualificazione è pari al 25% per
due mesi e arriva al 50% in caso di reiterazione.
L’esperienza internazionale ha ispirato le sanzioni previste per il Reis in caso di mancata attivazione lavorativa o di mancata accettazione di offerte di lavoro proposte dai Servizi per l’impiego (o
di rifiuto a prender parte a programmi di formazione e riqualificazione), consistenti nella decurtazione del 20% dell’importo per tre mesi nel caso della prima violazione, del 50% per ulteriori tre
mesi nel caso di una seconda violazione e alla revoca della prestazione monetaria per almeno sei
mesi in caso di ulteriori violazioni. Sanzioni graduali sono anche previste per il mancato rispetto
delle regole di buona cittadinanza e di buona genitorialità, così come per la mancata comunicazione di variazioni della situazione economico-patrimoniale e/o anagrafica (salvo che – ovviamente
– la nuova situazione faccia decadere dal diritto alla prestazione economica, nel qual caso viene
immediatamente cessata l’erogazione di questa, senza che peraltro debba necessariamente cessare l’erogazione di servizi sociali).
Il disegno del Reis si è avvalso dell’evidenza empirica internazionale (e nazionale) su che cosa funziona in tema di obblighi, di doveri e di eventuali sanzioni. Allo stesso tempo, tali strumenti vanno
calati nel contesto nazionale, per evitare che diventino velleitari, e come tali possano legittimare la
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
loro totale disapplicazione da parte di chi dovrebbe curarne l’implementazione. Mai come in questo campo, il meglio è nemico del bene. Inoltre, sebbene nel discorso pubblico internazionale il
tema dell’attivazione (soprattutto lavorativa) e della condizionalità abbia talora assunto una coloritura quasi punitiva nei confronti del beneficiario, il Reis si distanzia radicalmente da questa impostazione: il beneficiario è infatti titolare di doveri ma anche contestualmente di diritti, che creano
obblighi in capo ai servizi sociali e ai servizi per l’impiego (vedi capitoli 5 e 6). I patti previsti dal
Reis tra amministrazione e beneficiari (5.3.3) sono naturaliter sinallagmatici: vale cioè una condizionalità reciproca tra beneficiario del Reis e amministrazione pubblica, entrambi impegnati a
prestazioni corrispettive: il primo ad attivarsi e a rispettare i termini del percorso di inserimento;
la seconda ad erogare in modo rapido ed efficace entrambe le componenti del Reis: denaro e servizi. Così come sono previste regole per i beneficiari e sanzioni per chi non le rispetta, dovrebbero
essere previste sanzioni per le amministrazioni che non riescono ad ottemperare al patto, e in
particolare alla sua componente di inserimento.
TABELLA 11.9: CONDIZIONALITÀ E SANZIONI
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Regole severe di condizionalità
Sanzioni graduali
Sanzioni differenziate tra mancato rispetto regole amministrative e generali da un lato, obblighi di attivazione lavorativa dall’altro
Approccio talvolta punitivo
Il messaggio per il Reis
Regole chiare e sanzioni severe, ma graduali e differenziate
Approccio capacitante e non punitivo
Condizionalità reciproca tra beneficiario e amministrazione
pubblica
11.7 CONCLUSIONI: CHE COSA ASPETTARSI DAL REIS
Nell’immaginare che cosa aspettarsi dal Reis, è bene tenere a mente che uno schema di reddito
minimo svolge una funzione distinta rispetto a uno schema di mantenimento del reddito in caso di
disoccupazione. Gli schemi di mantenimento del reddito in caso di disoccupazione si rivolgono ai
soli soggetti che hanno perso il lavoro e, per questi, mantengono entro limiti accettabili la riduzione del tenore di vita precedente, incentivando anche il ritorno al lavoro, cosa ragionevole da aspettarsi per molti di quanti hanno perso il lavoro da poco. Il reddito minimo è rivolto a combattere la
povertà e a fornire percorsi di integrazione sociale, scolastica, oltreché lavorativa e formativa. Come tale, non si rivolge primariamente a soggetti che hanno perso il lavoro, anche se tra i suoi beneficiari possono esservene.
I risultati delle misure di reddito minimo dovrebbero quindi in primo luogo riguardare la riduzione
della povertà, attraverso l’efficacia del trasferimento monetario. Inoltre, per la parte di attivazione,
ci si dovrebbe attendere effetti positivi quanto al reinserimento sociale e lavorativo dei beneficiari.
È però importante fissare bene un punto, per evitare di assumere nei confronti del Reis un atteggiamento perfezionistico, basato su aspettative irrealizzabili e non fondate sull’evidenza internazionale, né sul buon senso. L’efficacia ultima di un programma di garanzia minima di risorse consiste nella riduzione della povertà, e questo è tanto più vero quanto più è drammatica la condizione di povertà in cui versano i beneficiari. Valutarne il successo o il fallimento in base ai tassi di re-
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
inserimento lavorativo dei beneficiari, come è stato da più parti fatto nel caso dell’Rmi italiano, significa commettere un grave errore di politica pubblica.
In generale, i dati circa l’efficacia dei programmi di reddito minimo in termini di esiti, cioè di riduzione della povertà e di uscita dal programma dei beneficiari a seguito dell’ottenimento di occupazione, sono raramente disponibili. La loro scarsità e la non comparabilità delle fonti (che si riferiscono a momenti differenti nel ciclo economico) consente solo, in quanto segue, un’analisi non sistematica e a fini illustrativi, volta a fornire un benchmark per il Reis e per calibrare le aspettative.
11.7.1 L’evidenza comparativa
Come abbiamo visto, in tutti i casi analizzati si è andati verso una maggiore enfasi sull’attivazione
dei beneficiari di schemi di reddito minimo in grado di lavorare, con l’obiettivo ultimo di ottenerne
il reinserimento nel mercato del lavoro “regolare”. Sebbene in questo ambito sia molto difficile valutare quali siano i risultati, in particolare per la necessità di considerare gli effetti sul lungo periodo e la difficoltà nel distinguere gli effetti delle riforme dalle condizioni più generali del mercato del
lavoro, alcuni dati sono disponibili e sembrano indicativi circa la capacità degli schemi di reddito
minimo di costituire dei percorsi di fuoriuscita dalla povertà e di ritorno nel mercato del lavoro. La
maggior parte dell’evidenza empirica riguarda la Germania, grazie alla politica seguita in tale paese
di rendere i dati disponibili alla comunità scientifica, oltre al lavoro svolto dall’istituto federale che
si occupa statutariamente della valutazione degli effetti dei sussidi di disoccupazione, dell’ALG II e
dei programmi di attivazione connessi (l’Istituto di ricerca sull’occupazione IAB, un istituto indipendente all’interno dell’Agenzia federale per il lavoro).
L’esperienza tedesca mostra l’importanza di predisporre un adeguato piano volto alla valutazione
– e non solo al monitoraggio – degli schemi di reddito minimo, nella componente monetaria e in
quella di programmi di inserimento. Alcune recenti esperienze vanno in questa direzione. In
Francia, la creazione del Revenu de solidarité active è stata accompagnata dalla costituzione di un
Comitato di valutazione che ha dato luogo a un Rapporto di valutazione dell’Rsa a dicembre 2011.
Il Reddito di garanzia della Provincia di Trento ha previsto sin dal suo avvio la valutazione degli effetti della misura attraverso una metodologia di tipo controfattuale, e ciò dovrebbe avvenire anche
per la sperimentazione della nuova Carta acquisti. È essenziale che una misura di reddito minimo
preveda un’articolato e dedicato impianto di valutazione di impatto. Questo viene fatto con il Reis
grazie alla previsione di un budget dedicato e di una struttura apposita, secondo un impianto rigoroso (vedi capitolo 8). Sebbene non sia comune, nell’esperienza di policy italiana, una previsione
simile è di importanza fondamentale per capire che cosa funziona e che cosa va migliorato, e come.
Gli effetti dell’ALG II tedesco
Il primo aspetto degno di nota è che tra i 6,5 milioni di beneficiari dell’ALG II nel 2011, circa i tre
quarti (4,6 milioni) erano considerati attivabili, ma solo il 12% di questi (circa 550mila) sono stati
effettivamente attivati (Marchal e Van Mechelen 2013). Inoltre, il principale intervento di politica
attiva nel contesto tedesco sono gli one-euro jobs, anche se il loro ruolo sembra essersi ridimensionato nel 2011 rispetto agli anni precedenti (passando da 300mila l’anno tra il 2007 e il 2010 a
188mila nel 2011), a favore invece di misure di formazione di breve periodo (circa 130mila nel
2011) (Petzold 2013, medie annue).
A differenza della creazione diretta di posti di lavoro (abolita dal 2011), che non sembra avere effetti occupazionali rilevanti (Caliendo et al 2008), le forme di impiego sussidiate nel settore privato hanno effetti positivi sostanziali: chi vi partecipa ha una percentuale di reintegro nel mercato
del lavoro regolare superiore rispetto a chi non vi partecipa tra il 25 e il 42% (Jaenichen e Stephan
2007). Effetti positivi ha anche lo schema che favorisce l’auto-imprenditorialità (Caliendo et al
2013), mentre gli esiti degli one-euro jobs sono controversi: secondo Hohmeyer and Wolff (2011)
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
gli one-euro jobs potrebbero essere efficaci per i disoccupati più difficilmente reinseribili nel mercato del lavoro poiché aiutano a reinstaurare le condizioni di base affinché sia possibile lavorare,
ma potrebbe esservi un spiazzamento di posti di lavoro nel mercato del lavoro regolare.
In generale, comunque, per valutare le possibilità occupazionali dei beneficiari degli schemi di
reddito minimo anche nei contesti più avanzati, occorre notare che la percentuale di beneficiari di
ALG II che fuoriescono dallo schema ciascun mese, pur in crescita, è di circa il 3,7%, quasi quattro
volte inferiore rispetto ai beneficiari dei sussidi di disoccupazione.
Evidenza da altre esperienze
Come abbiamo visto, in Finlandia sono stati negli anni passati introdotti i centri integrati Lafos con
l’obiettivo di ridurre la disoccupazione strutturale attraverso il miglioramento dell’occupabilità dei
disoccupati di lungo periodo, e in generale dei beneficiari di reddito minimo più problematici.
Sebbene i tassi di partecipazione ai servizi di attivazione siano effettivamente aumentati, raggiungendo circa il 35% dei beneficiari, i risultati in termini occupazionali sono relativamente contenuti: circa il 10% dei beneficiari riesce a trovare un lavoro, mentre il 20% stipula un contratto di lavoro sovvenzionato (Karjailainen e Saikku, 2011).
In Francia, nonostante si proponesse l’obiettivo primario di favorire l’inserimento lavorativo,
l’introduzione dell’Rsa – certamente non favorita dall’aver avuto luogo durante la crisi economica
– non ha indotto un maggiore tasso di uscita rispetto al suo predecessore Revenu minimum
d’insertion, e si mantiene stabile intorno al 30% (Isel, Donné e Mathieu, 2011). Un maggiore tasso
di uscita si riscontra invece tra i beneficiari del Rsa activité (ovvero i lavoratori poveri), che vedono un tasso di uscita dal programma pari al 57% (ma, appunto, tali beneficiari già detengono
un’occupazione, sebbene a basso salario).
In Olanda, dove pur abbiamo mostrato una notevole caduta nel numero dei beneficiari nel periodo
tra il 1995 e il 2011, i dati disponibili mostrano tuttavia come solamente un terzo di coloro che
smettono di beneficiare del WWB abbia trovato un posto di lavoro, mentre gli altri escono perché
cominciano a ricevere la pensione d’anzianità oppure cominciano una relazione con una persona
che permette loro di emergere dalla povertà (Blommesteijn e Mallee, 2009). Nel 2005 circa il 50%
dei beneficiari del WWB partecipava ad una delle misure di attivazione. Di questi, il 27% ha trovato un lavoro nel corso dei due anni successivi, mentre considerando il totale dei beneficiari del
WWB il 21% riusciva a trovare un lavoro nel mercato regolare.
Da ultimo, il Reddito di garanzia della Provincia di Trento fornisce, grazie alla valutazione di impatto condotta, spunti interessanti (vedi Spano, Trivellato e Zanini 2013). L’introduzione del Reddito
di garanzia ha indotto cambiamenti nei pattern di consumo, aumentando il consumo di generi alimentari solo in una parte di famiglie beneficiarie, specificatamente quelle più marginali tra le
straniere, mentre gli effetti più consistenti sono stati riscontrati nell’acquisto di altri beni non durevoli (come il vestiario) o durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie
condizioni di vita e abitative. Venendo allora alle condizioni di vita delle persone, il Reddito di garanzia sembra avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi in
condizione di povertà, misurata mediante un indicatore dello stato di deprivazione. Quanto alla
partecipazione al mercato del lavoro, è emerso un impatto differente su italiani e stranieri. È, infatti, sugli immigrati che il Reddito di garanzia è riuscito ad avere effetti di attivazione, sebbene
con scarsi risultati in termini di occupazione, laddove per gli italiani, pur non avendo sortito effetti
in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del Reddito di garanzia ha aumentato la probabilità di avere un lavoro.
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
11.7.2 Che cosa viene considerato un successo?
Data la virtuale impossibilità di promuovere il reinserimento lavorativo per il complesso dei beneficiari, diviene interessante comprendere che cosa venga considerato un successo. Tre esempi sono interessanti a riguardo: nel 2008, in Germania, su iniziativa dei JobCenter è stata promossa una
sperimentazione rivolta specificatamente ai beneficiari sopra i 50 anni disoccupati di lungo periodo, chiamata Perspektive 50+, che ha visto impegnati circa 73 mila beneficiari, di cui il 26% è riuscito a trovare un impiego entro 2 anni. Giudicato un successo, dal 2010 il programma è stato esteso a tutto il paese (Huster et al., 2009). Il programma Social Activation dell’Olanda, rivolto a
persone distanti dal mercato del lavoro e concepito come un ponte tra la fruizione dei sussidi e la
reintegrazione nel mondo del lavoro, è stato considerato una buona pratica dalla DG Occupazione e Affari Sociali della Commissione europea, e come tale meritevole di essere segnalato sul proprio sito internet, pur vedendo un inserimento lavorativo stabile di circa il 16% dei beneficiari. Infine, nel 2006 in Danimarca venne lanciata una nuova sperimentazione indirizzata specificatamente a individui che avessero beneficiato di sussidi per un anno continuativamente, denominata
“Una nuova opportunità per tutti”. In essa venivano delineati i seguenti obiettivi specifici per i percettori di reddito minimo: entro due anni, il 25% dei beneficiari doveva aver iniziato un lavoro; nel
corso dei due anni, i beneficiari dovevano essere in grado di soddisfare autonomamente i propri
bisogni materiali per almeno il 15% del tempo e dovevano, in media, essere “attivi” (o in formazione, tirocinio o impiego sovvenzionato) per almeno il 40% del tempo.
11.7.3 Lezioni di policy
In conclusione, quindi, anche nei contesti più virtuosi come quello tedesco solo il 12% dei beneficiari considerati attivabili viene effettivamente attivato, ogni mese escono dal reddito minimo
meno del 4% dei beneficiari e il principale strumento di politica attiva sono gli one-euro jobs. In
Olanda, nonostante la fortissima spinta verso l’attivazione lavorativa degli ultimi anni, sono attivati la metà dei beneficiari, e solo un terzo di chi esce dal reddito minimo lo fa perché ha trovato
lavoro. Programmi mirati nei contesti danese e finlandese pongono le percentuali di attivazione
al 40% nel migliore dei casi. Soprattutto, tassi di inserimento lavorativo stabile nell’ordine del
20-25% dei beneficiari sono considerati la norma nei contesti più avanzati, caratterizzati da tassi
di disoccupazione ben più contenuti di quello italiano e nei quali i servizi per l’impiego hanno risorse e capacità (in Italia la spesa per le politiche attive è meno di un decimo di quella tedesca, e
il personale dei centri per l’impiego ammonta a un ventesimo di quello contrattualizzato in Germania: vedi Rosolen e Tiraboschi, 2013). Questa è l’evidenza empirica internazionale contro la
quale dovranno essere confrontati, pesati, valutati i risultati dei programmi di inserimento lavorativo del Reis. Soprattutto, però, il Reis dovrà essere valutato per quello che è: una misura di
contrasto alla povertà assoluta.
TABELLA 11.10: RISULTATI E DEFINIZIONE DI SUCCESSO NELL’ESPERIENZA INTERNAZIONALE
Che cosa mostra l’evidenza internazionale
Percentuali di attivazione: 12% in Germania, 35% in Finlandia, 50% in Olanda
Fuoriuscite dallo schema: meno del 4% al mese in Germania, 30% all’anno in Francia
Tassi di reimpiego: 10% in occupazione non sovvenzionata,
20% in occupazione sovvenzionata in Finlandia; 20-25% in
Olanda
Esperienze mirate per categorie svantaggiate considerate di
successo: tassi di reimpiego del 26% in Germania, del 16% in
Olanda, del 25% in Danimarca
Il messaggio per il Reis
Aspettative realistiche su attivazione e tassi di reimpiego
Principale metro di valutazione è il miglioramento delle
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11. CHE COSA CI POSSIAMO ASPETTARE
condizioni materiali di vita
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Normativa/regolamenti vari
Allegato 1 Reddito di Garanzia della Provincia di Trento: Disciplina dell’intervento di sostegno
economico di cui all’articolo 35, comma 2, della legge provinciale n. 13 del 2007.
Raccomandazione della Commissione del 3 ottobre 2008 relativa all’inclusione attiva delle
persone escluse dal mercato del lavoro [notificata con il numero C(2008) 5737]
(2008/867/CE).
Risoluzione del Parlamento europeo del 6 maggio 2009 sul coinvolgimento attivo delle
persone escluse dal mercato del lavoro (2008/2335(INI)).
5
Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del reddito minimo nella
lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa (2010/2039(INI))
Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 118 (articoli 1 e 2).
Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
Tributaria”
Legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali".
Legge 28 giugno 2012 , n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita”.
Legge 24 dicembre 2007, n. 247 “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su
previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonchè
ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”.
Legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (residenza
anagrafica homeless).
6
Patto Aperto contro la Povertà
Le esperienze italiane di misure di contrasto della povertà:
che cosa possiamo imparare?
Pierangelo Spano*, Ugo Trivellato+ e Nadir Zanini&
* SDA Bocconi School of Management
+
Università di Padova e IRVAPP
&
IRVAPP
Paper tecnico n. 1/2013
Indice
1. Una ricognizione mirata
2. Una prima classificazione e analisi delle misure
3. La rivisitazione delle esperienze più significative
3.1. Il reddito minimo di inserimento
3.2. Il reddito di base per la cittadinanza del Friuli-Venezia Giulia
3.3. Il reddito di cittadinanza della Provincia Autonoma di Trento
3.4. La Carta acquisti e la Carta acquisti sperimentale
4. Che cosa possiamo imparare?
Trento e Venezia, 07.03.2013
Le esperienze italiane di misure di contrasto della povertà:
che cosa possiamo imparare?
Pierangelo Spano, Ugo Trivellato e Nadir Zanini*
1. Una ricognizione mirata
La ricostruzione delle condizioni di vita e della dinamica della povertà degli italiani dall’Unità
al 2010 è documentata in maniera esemplare per robustezza delle evidenze empiriche e per
chiarezza da Vecchi (2011), in particolare nel capitolo di Amendola et al. (2011). Un tratto che
emerge nitidamente è la natura strutturale della povertà. Restando al secondo dopoguerra, dopo la
sensibile riduzione avvenuta negli anni settanta (grazie anche all’«avvio di un percorso squilibrato
della finanza pubblica»: Amendola et al., 2011, pag. 299), per ben oltre un trentennio l’incidenza
della povertà resta sostanzialmente stabile. V’è da notare, inoltre, che le stime di Amendola et al.
(2011), basate sul reddito disponibile rilevato tramite l’indagine della Banca d’Italia, concordano
largamente con le stime della povertà assoluta prodotte dall’Istat a partire dal 2005, sulla base delle
spese registrate dall’indagine sui consumi1 (Istat, 2009). Ebbene, secondo le stime dell’Istat, nel
2011 le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta sono circa un milione e trecentomila (in
termini relativi, il 5,2%), mentre le persone superano i 3 milioni e quattrocentomila (in termini
relativi, il 5,7%) (Istat, 2012).
A fronte della natura strutturale del problema della povertà nel nostro paese, serve elaborare
una proposta di contrasto adeguata e prospettarne modalità di attuazione credibili, attente alle
difficoltà con le quali essa dovrà misurarsi. La prospettiva è quella di disegnare una proposta
nazionale. Coerentemente con questo obiettivo, il paper si occupa delle principali politiche
nazionali e regionali di contrasto della povertà adottate negli ultimi 15 anni, non degli interventi dei
Comuni (anche se essi hanno rilevanti competenze e responsabilità in campo sociale e un contatto
ravvicinato con il fenomeno della povertà). L’arco degli interventi considerati va dall’introduzione
in via «sperimentale» del reddito minimo di inserimento (RMI) nel biennio 1999-2000 al prossimo
decollo della Social Card sperimentale nei Comuni con più di 250 mila abitanti.
Sul tema delle politiche di contrasto alla povertà in letteratura è stata prevalente la ricognizione
per casi/esperienze (la più completa e recente è di Granaglia e Bolzoni, 2010) mentre è rimasta
meno sviluppata l’analisi comparata (tra i contributi di sintesi, vedi Spano, 2009, e Mesini, 2011).
*
Il testo è frutto del lavoro condiviso degli autori. Quanto alla stesura, Ugo Trivellato ha scritto le sezz. 1 e 4,
Pierangelo Spano le sezz. 2, 3.2 e 3.4 e Nadir Zanini le sezz. 3.1 e 3.3. Ringraziamo Daniele Checchi ed Emanuele
Ciani per utili commenti e suggerimenti.
1
L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile
minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è
considerato essenziale a uno standard di vita accettabile (Istat, 2009).
1
La peculiarità di questo paper sta nel fatto che conduce una ricognizione mirata: si propone cioè di
indagare le esperienze per trarne insegnamenti utili al disegno di un nuovo piano di contrasto della
povertà (anticipato nelle sue linee ispiratrici in Gori et al., 2010, e che sarà presentato nella
primavera del 2013). Detto in altre parole, il filo di Arianna della ricognizione è costituito dalle
questioni che occorre affrontare, e dalle risposte che serve approntare, per porre in essere una
persuasiva misura di contrasto della povertà: nazionale; improntata all’universalismo selettivo,
bandendo quindi logiche categoriali e identificando i poveri in base alla prova dei mezzi; che
integra il reddito delle famiglie con un trasferimento monetario il quale le porta alla soglia
considerata essenziale per uno standard di vita accettabile; che affianca al trasferimento monetario
misure di sostegno sociale e di attivazione al lavoro, impegnative tanto per chi le eroga quanto per i
destinatari; continua nel tempo.
Per condurre la ricognizione, muoviamo da una griglia di policy questions che riassumono i
nodi da affrontare per porre in essere la misura di contrasto della povertà sommariamente
prospettata. Ciò ci consente di esaminare le esperienze passate in un’ottica di apprendimento in
vista della progettazione. Insomma, il nostro proposito è imparare dagli interventi salienti di
contrasto della povertà posti in essere dalla seconda metà degli anni novanta lezioni utili per
disegnare un progetto, ambizioso ma fattibile, di piano nazionale contro la povertà.
Nell’identificare le policy questions, conviene innanzitutto articolarle in due blocchi: (i) un
primo blocco, diciamolo A, attiene a caratteristiche basilari delle misure, che ne mettono quindi in
evidenza la prossimità – o meno – con la politica appena tratteggiata nei suoi aspetti fondamentali;
(ii) un secondo blocco, diciamolo B, attiene ad aspetti cruciali della gestione delle misure, aspetti
che è interessante approfondire soltanto per interventi che, dalle risposte al blocco precedente,
mostrino tratti ragionevolmente prossimi alla misura prospettata e consentano, quindi, di imparare
dalle diverse soluzioni pratiche adottate.
Quanto al blocco A, le policy questions rilevanti possono essere ricondotte a quattro:
A1. Ammissibilità alla misura: se ispirata all’universalismo selettivo oppure dettata da altri criteri,
quali, da un lato, la restrizione a categorie di famiglie/persone e, dall’altro, il vincolo del
finanziamento (tipicamente sottodimensionato rispetto alla platea dichiarata degli ammissibili,
il che porta al razionamento e alla formazione di graduatorie per renderlo operativo). In
entrambi i casi, assume rilievo il criterio seguito per determinare la soglia di povertà: soglia
prefissata per una famiglia-tipo, modificata poi con una opportuna scala di equivalenza, oppure
soglie di povertà assoluta per famiglie di diversa composizione2. A questo riguardo, segnaliamo
sin d’ora che nel seguito utilizziamo l’aggettivo equivalente per denotare la grandezza
2
In merito a questo criterio tornano utili due precisazioni. Innanzitutto, non si considerano le differenze territoriali del
costo della vita, perché assenti in tutte le esperienze svolte, anche se di notevole importanza nel nostro paese (vedi
Amendola e Vecchi, 2011, e Istat, 2009). In secondo luogo, nella presentazione delle singole misure riportiamo le
grandezze monetarie a prezzi correnti, come abitualmente avviene negli studi di caso presenti in letteratura; nei
Prospetti 3 e 4, tuttavia, per una corretta comparazione tutte le grandezze monetarie – soglie di povertà, trasferimenti,
ecc. – sono riferite all’anno ed espresse in euro a potere d’acquisto costante, anno 2011, l’ultimo per il quale si dispone
delle stime dell’Istat sulla povertà assoluta.
2
monetaria riferita a una famiglia uni-personale, che cresce poi secondo una scala di equivalenza
che tiene conto della dimensione/composizione della famiglia.
A2. Entità del trasferimento monetario: che integri il reddito familiare fino a una soglia di povertà
stabilita in relazione alla composizione della famiglia, oppure, definito sulla base di altri criteri,
tipicamente in un ammontare prefissato (come abitualmente si dice, “in cifra fissa”), che
prescinde, quindi, dalla disponibilità (il reddito) e/o dai bisogni (la composizione) della
famiglia.
A3. Affiancamento al trasferimento monetario di interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al
lavoro sostenuti da “condizionalità” (nel senso che, in una logica di obblighi reciproci, il
beneficiario non può sottrarvisi, pena la riduzione del trasferimento o l’esclusione dalla misura)
oppure mero trasferimento monetario.
A4. Continuità dell’intervento nel tempo, innanzitutto nel senso che la politica ha carattere
strutturale, è quindi duratura, o all’opposto è un intervento una tantum o comunque transitorio.
Inoltre, nell’ambito degli interventi che almeno tendenzialmente ambiscono ad essere duraturi,
erogazione del trasferimento monetario – e delle azioni di sostegno connesse – fino a che la
famiglia permane nella condizione di povertà oppure predeterminazione di un limite massimo
di permanenza nella misura.
----------------------------------Prospetto 1 circa qui
----------------------------------Una sintesi delle policy questions del blocco A è nel Prospetto 1. Evidentemente, quanto più le
esperienze esaminate hanno una caratterizzazione che coincide con la – o si avvicina alla – prima
alternativa prospettata per ciascuna delle quattro policy questions basilari, tanto più è di interesse
guardarne le modalità di attuazione. È dunque su questo sottoinsieme di esperienze che si concentra
l’approfondimento degli aspetti di gestione, riassunti nelle policy questions del blocco B, articolate
come segue.
B1. Criterio per la determinazione del reddito, tipicamente familiare.
B2. Modalità per identificare e confermare i beneficiari: se centralizzate o gestite tramite i Comuni
o tramite il terzo settore o tramite soluzioni miste, di collaborazione fra enti diversi.
B3. Tempestività dell’erogazione ai beneficiari, intesa in primo luogo come tempo che intercorre
dal bando alla prima erogazione e poi come periodicità delle successive erogazioni.
B4. Attività per individuare falsi positivi e/o falsi negativi: presenza, intensità ed efficacia di azioni
tese a identificare falsi positivi (cioè a dire, beneficiari che non sarebbero ammissibili) e falsi
negativi (cioè a dire, ammissibili che non hanno fatto domanda).
B5. Svolgimento di azioni di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro. Oltre alle attività correnti
di assistenza sociale e ad azioni per migliorare l’integrazione sociale delle persone, rivestono
un rilievo particolare due interventi: quelli miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico
(fino a 16 anni, e dal punto di vista sostanziale fino al raggiungimento almeno del titolo di terza
media); quelli di attivazione al lavoro – tramite colloqui di informazione, orientamento, offerta
3
formativa specifica, iniziative per l’incontro fra domanda e offerta, ecc. –. Segnatamente per
questi due ultimi interventi è di interesse documentare se si configurano come delle
condizionalità per i beneficiari.
B6. Ruolo svolto dai diversi attori: Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per
l’impiego, scuole, terzo settore, e lo Stato o la Regione per funzioni di regolazione e controllo.
B7. Monitoraggio e valutazione degli effetti: se, e in quale modo, siano svolte attività sistematiche
di monitoraggio dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti – sui livelli e pattern di
consumo, sulla scolarizzazione, sulla partecipazione al lavoro, su aspetti di integrazione
sociale.
B8. Dimensione dei beneficiari, possibilmente con informazioni abbastanza articolate (numero
medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari rispetto alla popolazione; caratteristiche
distributive salienti dei beneficiari – famiglie e individui –, ecc.).
B9. Risorse destinate alla politica, in termini di stanziamento pubblico destinato alla misura e di
effettivo ammontare della spesa a consuntivo3.
----------------------------------Prospetto 2 circa qui
----------------------------------Le policy questions del blocco B sono sintetizzate nel Prospetto 2.
Utilizzando questa griglia di lettura, muoviamo ora all’individuazione delle misure che
prenderemo in considerazione e a una loro prima analisi.
2. Una prima classificazione e analisi delle misure
Come già segnalato, i Comuni sono titolari della gestione di interventi e servizi socioassistenziali a favore dei cittadini (art. 6 della legge 328/2000, la legge quadro per la realizzazione
del sistema integrato di interventi e servizi sociali). E, operativamente, essi sono il terminale
cruciale dell’insieme degli interventi di welfare esistenti. Ma questo insieme di interventi è per un
verso frammentato e per un altro verso molto diversificato territorialmente. Inoltre, le risorse
finanziarie che fanno direttamente in capo ai Comuni per interventi e servizi sociali, incluse le
azioni di contrasto della povertà, sono esigue. Una recente ricostruzione della spesa per la
protezione sociale allargata nel 2010 dà una stima, rispetto al PIL, pari al 4% per l’intera area
dell’assistenza sociale e allo 0,6% per l’offerta di servizi sociali locali (Aa.Vv, 2011, pag. 6; vedi
anche Spano, 2010, pp. 132-133); negli ultimi due anni, poi, tali risorse hanno conosciuto una
rilevante contrazione. D’altra parte, in tema di assistenza sociale è venuto progressivamente
crescendo il ruolo delle Regioni4.
3
La diffusa abitudine di non accompagnare i progetti con dettagliati piani finanziari, o comunque la scelta di non
renderli pubblici, e di essere altrettanto sommari nelle rendicontazioni di spesa, rende problematica un’analisi
disaggregata – per trasferimenti monetari, azioni di sostegno/attivazione, costi di gestione dell’intervento –, che pure
sarebbe di grande interesse.
4
Il ruolo originariamente conferito all’atto della nascita delle Regioni a statuto ordinario (legge 281/1970) in materia di
assistenza sociale già le poneva in una posizione privilegiata per la progettazione di azioni di contrasto ai fenomeni di
4
Rivolgiamo pertanto l’attenzione ai progetti nazionali e regionali che hanno completato l’iter
legislativo e hanno trovato almeno un abbozzo di attuazione, e concentriamo l’analisi sulle seguenti
misure:
 Il Reddito minimo di inserimento (RMI) (d.l. 237/1998);





Il Reddito di cittadinanza (RdC) della Regione Campania (l.r. 2/2004);
La Promozione della cittadinanza solidale (PCS) della Regione Basilicata (l.r. 3/2005);
Il Reddito di base (RdB) della Regione Friuli Venezia Giulia (l.r. 6/2006);
Il Reddito minimo di garanzia (RMG) della Regione Lazio (l.r. 4/2009);
Il Reddito di garanzia (RG) della Provincia autonoma di Trento (Delibere della Giunta
Provinciale n. 2216 del 11 settembre 2009 e n. 1524 del 25 giugno 2010);
 La carta acquisti o social card (SC) (legge 133/2008) e la sperimentazione della nuova social
card (SCS) (legge 35/2012).
Guardiamo dunque a due misure nazionali (la seconda delle quali a sua volta si biforca), peraltro
lontane nel tempo – agli estremi di questi ultimi quindici anni – così come nella filosofia che le
ispira, e a cinque esperienze regionali, anch’esse parecchio diverse l’una dall’altra, che decollano
tra il 2004 e il 2009, qualche anno dopo la riforma del titolo V della Costituzione5.
Sulla scorta delle policy questions basilari, conviene partire dalla differente impostazione
assunta nel definire i beneficiari degli interventi di spesa (A1). Un primo elemento selettivo è
riconducibile alla richiesta di un requisito di residenza. Nelle misure circoscritte territorialmente –
tutte, esclusa la SC –, al fine di arginare fenomeni migratori ispirati dalla possibilità di beneficiarne
sono sempre previsti dei requisiti di residenza antecedente alla richiesta dell’intervento. Il criterio
disposto dal primo intervento nazionale, il RMI, differenzia la durata della residenza in relazione
alla cittadinanza: ai cittadini dei paesi dell’UE sono richiesti almeno 12 mesi di residenza nei
Comuni che effettuano la «sperimentazione», mentre i mesi salgono a 36 per i cittadini di paesi
extra-UE o per apolidi. Va sottolineato che il RMI sancisce un principio di grande rilievo: il criterio
per l’ammissibilità è la residenza, non la cittadinanza. A questo principio si sono conformate tutte le
misure regionali di reddito minimo considerate, sia pure con vincoli variabili: residenza da almeno
12 mesi in Friuli Venezia Giulia, da 24 in Basilicata e Lazio, da 36 nella Provincia di Trento, da 60
impoverimento e di esclusione sociale. Il dilatato quadro delle competenze regionali stabilito dalla riforma del titolo V
della Costituzione ha offerto ancora maggiori opportunità all’azione delle Regioni favorendone l’iniziativa pur nei limiti
di una mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a livello nazionale (Spano, 2009). L’ultimo
rapporto della Commissione di indagine sulla esclusione sociale (CIES, 2012) offre una descrizione tanto rassicurante
quanto generica e, per molti versi, edulcorata dichiarando che: «complessivamente, sono 17 le Regioni italiane che
hanno in vigore almeno un provvedimento legislativo in materia di contrasto alla povertà». Il dato sulle disposizioni
legislative non è, tuttavia, risolutivo: i provvedimenti sono di diversa portata, anche molto modesta, e vi è poi notevole
variabilità nella loro attuazione. Come avremo modo di mostrare, il quadro delle politiche di contrasto alla povertà
operanti oggi in Italia è ben più esiguo, tutt’altro che rassicurante.
5
Per esigenze di sintesi, non prendiamo in considerazione due esperienze di reddito minimo tra le più consolidate e
apprezzabili: il minimo vitale operante in Valle d’Aosta dal 1994 (Scaglia, 2010) e il sistema di assistenza economica e
sociale operante nella Provincia autonoma di Bolzano dal 1973, che include anche il reddito minimo di inserimento
(Critelli, 2010). Si tratta di esperienze realizzate in contesti peculiari (Regioni a statuto speciale, con dimensioni del
bisogno relativamente contenute e dotazione di risorse relativamente elevata). Inoltre, per parecchi versi esse possono
essere accostate alla più recente esperienza del RG della Provincia autonoma di Trento, sulla quale fermiamo
l’attenzione.
5
mesi in Campania. Questo orientamento viene bruscamente abbandonato dalla social card (SC), che
introduce il ben più stringente – e discriminatorio – requisito della cittadinanza. Il ritorno a un
criterio imperniato sulla residenza si ha, peraltro, con la nuova social card sperimentale (SCS), della
quale potranno beneficiare anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari titolari di un
«permesso CE per soggiornanti di lungo periodo» (la cosiddetta “carta di soggiorno”)6.
Il secondo, cruciale spartiacque fra le misure di contrasto della povertà che consideriamo è
l’aderenza o meno al criterio dell’universalismo selettivo (A1), considerato sotto due altri profili: (i)
se l’accesso alla misura sia previsto per i residenti/cittadini che, dati i parametri adottati, sono
considerati “poveri”, ovvero, se sia ristretto a categorie di soggetti poveri identificate sulla base di
criteri demografici o di altre caratteristiche personali; (ii) se la misura sia erogata a tutti coloro che,
fissati i criteri, ne risultino ammissibili, ovvero sia ristretta a quanti, sulla scorta di una graduatoria,
risultino al di sopra di una soglia di indigenza, ben più severa di quella che porta a qualificare i
“poveri”, dettata dal vincolo del finanziamento.
Quanto al primo profilo, due misure sono ristrette a specifiche categorie. L’accesso alla SC è
circoscritto a famiglie con figli fino a 3 anni e a cittadini con più di 65 anni. Alla base del RMG del
Lazio c’è un requisito connesso alla condizione occupazionale: essere una persona disoccupata o in
cerca di prima occupazione iscritta a un Centro per l’impiego (e non aver maturato i requisiti per il
trattamento pensionistico)7; il che, si noti, sposta il fuoco dalla condizione di povertà dalla famiglia
a quella della persona.
Un requisito reddituale è ovviamente sempre previsto, per discriminare i “poveri” dai “non
poveri”. È interessante notare, peraltro, come vi sia una marcata variabilità nelle definizioni del
reddito familiare e delle soglie di povertà. Si passa, infatti, dalla somma dei redditi riferiti al nucleo
familiare – composto dal richiedente, dalle persone con le quali convive e da quelle considerate a
suo carico ai fini Irpef8 – prevista dal RMI, con soglia fissata inizialmente, per il 1998, a 500.000
lire mensili per una persona e incrementata per nuclei familiari di dimensioni maggiori secondo una
scala di equivalenza, a procedure e quantificazioni decisamente differenti. La soglia di povertà del
nucleo familiare è di 5.000 euro annui per la Campania: si noti, indipendentemente dalla
dimensione della famiglia. Nel caso della Basilicata l’individuazione delle soglie per l’accesso ai
6
Quello dei requisiti di residenza resta un tema molto delicato. Vale la pena di ricordare che la Regione Friuli Venezia
Giulia si è trovata a fronteggiare una procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea contro la normativa
regionale in materia sociale. L’azione promossa da Bruxelles aveva preso di mira la incongrua varietà, in termini di
anzianità della residenza, dei requisiti di accesso a diverse prestazioni sociali. Infatti, si era venuta a determinare (e non
solo nel Friuli, per la verità) una situazione in cui, per accedere a sussidi quali la “Carta famiglia”, il bonus bebè, gli
assegni di studio – o per accedere alle graduatorie dell’edilizia popolare – i requisiti in termini di anni di residenza
andavano da un minimo di 5 fino a un massimo di 10 anni. A fronte della procedura promossa dalla Commissione
europea, la Regione è intervenuta con la l.r. 16/2011, che ha fatto ordine fissando per l’accesso ai servizi sociali un
unico requisito di residenza di 2 anni per cittadini italiani, comunitari ed extra-comunitari titolari di “carta di soggiorno”
o dello status di rifugiati o di protezione sussidiaria. La stessa legge regionale, poi, ha esteso l’accesso agli extracomunitari titolari di carta di soggiorno non inferiore a un anno, innalzando però il requisito di anzianità residenziale a 5
anni, dei quali 2 in regione. Quest’ultima disposizione è stata peraltro impugnata del Governo italiano, ed è ora al vaglio
della Corte Costituzionale.
7
Soni inclusi inoltre due altri, piccoli insiemi di ammissibili: «i lavoratori precariamente occupati [...] e i lavoratori
privi di retribuzione», così come definiti all’art. 2, sub d) ed e), della stessa l.r. 4/2009.
8
I redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono considerati per il 75%.
6
benefici del PCS fa riferimento al reddito risultante dall’indicatore della situazione economica
equivalente (Isee)9; il trasferimento monetario parte da 3.961 euro per un nucleo formato da una
persona e varia poi in relazione alla composizione del nucleo familiare secondo un’opportuna scala.
Per il RdB del Friuli Venezia Giulia è stato elaborato uno specifico indicatore della capacità
economica equivalente, denominato CEE, e la soglia per l’accesso è stata posta pari a 5.000 euro.
Anche la Provincia autonoma di Trento ha adottato uno specifico indicatore della condizione
economica familiare equivalente, denominato ICEF10, fissando una soglia di accesso pari a 6.500
euro. Radicalmente diverso è il caso del Lazio: il riferimento è al reddito personale imponibile
dell’iscritto/a ai Centri per l’impiego, che non deve essere superiore a 8.000 euro11.
Quanto al secondo profilo dell’universalismo selettivo (A1), la distinzione basilare è se, una
volta individuata la platea dei “poveri”, il sostegno monetario vada a tutti oppure sia ristretto, sulla
scorta di una graduatoria decrescente del livello di indigenza, a quanti risultino al di sopra di una
soglia, più bassa – tipicamente parecchio più bassa – della soglia di povertà, dettata dal vincolo del
finanziamento. In effetti tutte le misure di contrasto della povertà, essendo poste in capo ad
amministrazioni pubbliche, sono sottoposte all’operare di un vincolo di bilancio. Una misura mirata
a contrastare il fenomeno della povertà dovrebbe poter garantire a tutti i soggetti ammissibili di
beneficiare dell’intervento, il che, tra l’altro, consentirebbe un’accessibilità (così come il suo venir
meno) pressoché continua nel tempo – al variare delle condizioni economiche della famiglia – e una
tempestiva erogazione “a sportello”. Operativamente ciò richiede una dotazione iniziale di risorse
congrua oppure l’esplicita possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria necessaria,
possibilità peraltro prevista solo nel caso del RG della Provincia di Trento. Quando vi è il vincolo
del finanziamento sottodimensionato, invece, si procede forzatamente per bandi e conseguenti
graduatorie, determinando il livello di accesso, quindi i beneficiari, in relazione ai fondi disponibili.
Nella prima categoria si collocano il RMI, la SC (sia pur nella sua angustia categoriale e
nell’esiguità del sostegno monetario), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG della Provincia di
Trento. Operano, invece, secondo la logica “a bando”, quindi con la formazione di graduatorie, il
RdC della Campania, il PCS della Basilicata, il RMG del Lazio e, di massima, la social card
sperimentale (SCS). La logica delle graduatorie ha posto in evidenza diversi aspetti critici, di alcuni
dei quali diremo nel seguito.
Osservando la natura e la quantificazione dell’intervento, è possibile identificare altri due
importanti spartiacque. Da un lato, essi consentono di distinguere le politiche che prevedono un
trasferimento monetario variabile, il quale integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà
stabilita (o copra almeno parte del divario, che è comunque il termine di riferimento per definire
l’entità del trasferimento) oppure, all’opposto, un’erogazione in cifra fissa (A2). Dall’altro lato essi
differenziano le misure che prevedono la sola erogazione monetaria da quelle che la affiancano con
interventi di sostegno sociale e/o di attivazione al lavoro (A3).
9
D.Lgs. 109/1998 e successive modificazioni.
Sugli indicatori CEE e ICEF forniamo qualche ulteriore ragguaglio rispettivamente nelle sezz. 3.2 e 3.3.
11
Tipicamente, si guarda al reddito nell’anno precedente quello per il quale si fa domanda della misura.
10
7
Posto che una politica di contrasto della povertà comporta sempre un trasferimento monetario,
sia la carta acquisti (SC) che il RdC della Campania e il RMG del Lazio agiscono con una
erogazione monetaria in cifra fissa – pari rispettivamente, per un anno, a 480 euro per la SC, 4.200
euro per il RdC della Campania e 7.000 euro per il RMG del Lazio12 –, trascurando il potenziale di
iniquità distributiva che questa scelta comporta tra chi è molto vicino e chi invece è molto lontano
dalla soglia di povertà, così come tra chi vive da solo o in un nucleo familiare numeroso.
Diversamente dalla SC (per la quale la scelta può forse risultare comprensibile, ammesso che se ne
condivida il palese schierarsi sul versante della beneficenza, attestato dall’esiguità del
trasferimento), sia per il RdC della Campania che per il RMG del Lazio una parte di questa rigidità
avrebbe potuto, o meglio dovuto, essere temperata dall’integrazione del trasferimento monetario
con altri interventi previsti dalla rispettive leggi istitutive. Nel primo caso la soluzione era
abbozzata, col rimando alla necessità di inserire il RdC nella programmazione dei piani di zona, per
agevolare una gestione integrata del sistema di interventi. Per parte sua, la legge laziale richiamava
esplicitamente la responsabilità degli enti locali, definendo «benefici indiretti» – peraltro tutti in
chiave di ulteriore sostegno del reddito e non di attivazione – che essi avrebbero dovuto assicurare
ai beneficiari attraverso una serie di interventi quali la circolazione gratuita sui mezzi pubblici, la
gratuità dei libri di testo scolastici, l’ingresso ad attività e servizi di carattere culturale ricreativo o
sportivo, fino a contributi al pagamento del canone di locazione e delle forniture di pubblici servizi.
Entrambe queste indicazioni non hanno, tuttavia, trovato seguito.
Sempre sul versante della quantificazione del sostegno monetario, la scelta in favore di un
trasferimento che integri il reddito familiare fino alla soglia di povertà informa sia la
sperimentazione del RMI che alcune misure regionali: il PCS della Basilicata (dove l’integrazione
porta il reddito familiare equivalente prossimo alla soglia), il RdB del Friuli Venezia Giulia e il RG
di Trento. Queste misure sono anche accomunate dal fatto che, sia pure con specificazioni in parte
diverse – e con differenze forse ancora maggiori nella realizzazione – esse prevedono interventi di
attivazione che richiedono la sottoscrizione da parte del beneficiario di un patto, vincolante a pena
di decadenza dalla misura.
A un analogo criterio di integrazione del reddito familiare si ispira anche la SCS, seppur in
maniera parziale (data la soglia di reddito molto bassa fissata per l’ammissibilità: un Isee non
superiore a 3.000 euro): l’integrazione, infatti, varia soltanto in funzione del numero dei componenti
il nucleo familiare. Quanto a interventi di sostegno sociale e di attivazione, spetta poi ai Comuni,
che erogheranno la SCS, affiancarli al trasferimento monetario.
Indubbiamente la lotta alla povertà può avere successo soltanto agendo su più dimensioni:
quella del sostegno economico, quella dell’inserimento lavorativo, quella dell’integrazione sociale
perseguita su diversi piani. Si tratta di uno spartiacque di fondamentale importanza, rispetto al quale
è bene essere consapevoli che il successo di una misura di contrasto della povertà non può tradursi
né nella conquista di una condizione di autonomia da parte di tutti i poveri né, tanto meno, nella
12
Nel caso del Lazio, per la verità, esiste anche un’ipotesi di erogazione variabile che riduce l’importo erogato in
proporzione alla presenza – e all’ammontare – di redditi, ipotesi che vale per beneficiari con lavori discontinui.
8
duratura garanzia del sussidio a tutti i poveri, a prescindere dalla loro assunzione di impegni per
(ri)entrare nella vita attiva. I fattori che danno luogo a una condizione di povertà sono molti e,
sovente, persistenti. L’azione di contrasto della povertà deve dunque diventare capace di distinguere
il sottoinsieme dei poveri composto da anziani, persone con disabilità o prolungati problemi di
salute, ecc., dai beneficiari che sono in grado di realizzare, sia pure in misura e forme differenziate,
una partecipazione alla vita attiva. Per i primi l’intervento sarà di politica sociale passiva,
funzionale a garantire le risorse economiche essenziali per uno standard di vita accettabile e una
dignitosa integrazione sociale. Per i secondi, invece, è possibile, e necessario, agire con politiche di
attivazione, che tra l’altro contengano il disincentivo al lavoro derivante dall’effetto reddito
prodotto dal trasferimento monetario. In questi casi ha senso porre in essere interventi
contraddistinti da obblighi reciproci – dell’amministrazione pubblica e dei beneficiari –, con
penalità per la non ottemperanza da parte di questi ultimi.
Nel panorama delle misure di contrasto della povertà nostrane questa dimensione di efficace
attivazione non trova molti riscontri. Pesa negativamente, soprattutto, lo scarto fra leggi sul reddito
minimo enfatiche da un lato, e dall’altro lato le debolezze nella specificazione operativa
dell’intervento e l’esiguità delle risorse, finanziarie e umane, messe in campo. I casi della Campania
e del Lazio sono emblematici. Si pensi, ad esempio, all’azione contro la povertà della Campania:
collocata fra la titolazione più ambiziosa che si possa utilizzare – «reddito di cittadinanza»: un
reddito universale, non selettivo, slegato da qualsiasi obbligo –, un piano di attuazione costretto da
un forte vincolo del finanziamento e informato a criteri a dir poco non convincenti, una situazione
economica e sociale drammaticamente deteriorata, essa ha finito per assumere i caratteri di un
sussidio per pochi – i nuclei familiari beneficiari sono stati il 15% degli ammissibili –13. Cambiato
quel che si deve cambiare, analoghe considerazioni valgono per il RMG del Lazio, che ci offre un
altro spaccato istruttivo. Sul fronte delle condizionalità la legge laziale appare tanto ambiziosa
quanto velleitaria: a fronte di un disoccupato che riceva un’offerta di lavoro, nel disciplinare il
legame tra diritto al RMG e adesione all’offerta di lavoro essa introduce la nozione di «congruità»
che deve avere l’offerta perché il suo rifiuto porti alla decadenza dalla misura14. Nelle intenzioni del
legislatore laziale, la congruità tutela il lavoratore contrastando la perdita di reddito e di capitale
umano provocata da un collocamento a prescindere dal precedente salario e dalle competenze
(Gobetti, 2012). Preoccupazione in astratto condivisibile: ma rimarcata con una sorprendente
unilateralità, mentre è ben nota la debolezza degli obblighi tipicamente previsti nel “patto di
servizio” di un iscritto a un Centro per l’impiego e la legge è silente sulle politiche di attivazione.
13
Sul tema si può fare riferimento alla documentata analisi di Agodi e De Luca Picione (2010). Fa in parte eccezione
l’esperienza del Comune di Napoli, che ha gestito l’intervento autonomamente, ha coinvolto nel processo di gestione il
Dipartimento di Sociologia dell’Università di Napoli ed ha mobilitato il cosiddetto “privato sociale” in programmi di
accompagnamento sociale dei nuclei ammessi alla misura (vedi Gambardella, 2010).
14
Così il comma 6 dell’art. 6 della l.r. 4/2009: «Non opera la decadenza [dalle prestazioni] nella ipotesi di non
congruità della proposta di impiego, ove la stesa non tenga conto del salario precedentemente percepito dal soggetto
interessato, delle professionalità acquisite, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e
informali in suo possesso, certificate dal centro per l’impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un
bilancio di competenze».
9
Insieme con l’acuirsi delle ristrettezze di bilancio, queste incoerenze hanno gravato sull’esito
del RdC campano e del RMG laziale: generando aspettative irrealistiche, un sovraccarico
amministrativo per gli enti erogatori soprattutto nelle due metropoli – per il gran numero delle
domande –, un allungamento nei tempi di erogazione, la torsione dei due interventi in mero sussidio
per pochi, tensioni sociali e la frustrazione degli esclusi; in definitiva decretandone l’insuccesso15.
Concludiamo l’analisi delle policy questions basilari guardando alla dimensione temporale
(A4). La natura dei bisogni con i quali ci si confronta richiederebbe politiche strutturali, durature. In
questa prospettiva, le esperienze italiane che stiamo considerando mostrano, nell’insieme, forti
debolezze, riassumibili nel fatto che sinora hanno spesso trovato ostacoli insormontabili nell’andare
oltre la fase sperimentale. Oggi, infatti, l’unica misura ancora pienamente attiva dopo la
sperimentazione è il RG della Provincia di Trento. Attive sono poi il PCS della Regione Basilicata
(del quale, essendo co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, servirà peraltro capire
cosa accadrà con il nuovo ciclo della programmazione comunitaria 2014-2020) e la SC, per la quale
non si conoscono tuttavia gli orientamenti in ordine al finanziamento dal 201416.
Un elemento significativo di questa sorta di precarietà delle politiche di contrasto della povertà
si può riconoscere, sia pur con la cautela del caso, anche dalla fissazione della durata massima di
permanenza nella misura. Normalmente la durata massima è di 12 mesi, con una variante estensiva
in Basilicata dove arriva fino a 24 mesi e, all’opposto, con una limitazione a 4 mesi nella Provincia
di Trento, peraltro estendibili fino ad un massimo di 16 mesi nell’arco di due anni permanendo le
condizioni di ammissibilità (e anche oltre, previo parere dei servizi sociali, per persone non abili al
lavoro). La cautela si impone perché alla base della fissazione di queste durate vi può essere la
preoccupazione del decisore pubblico di un rischio di deriva della misura, che, difficile da gestire
sul terreno delle condizionalità, potrebbe lasciar consolidare comportamenti opportunistici.
Tuttavia, l’orientamento è rivelatore anche della carenza di un orizzonte di lungo periodo, che
porterebbe inevitabilmente a interrogarsi sul diverso taglio che una politica di contrasto della
povertà dovrebbe avere nei confronti di diversi insiemi di destinatari e delle diverse dimensioni
della condizione di povertà (strutturale piuttosto che temporanea) richiamate anche in precedenza.
Dalla ricognizione condotta usando come griglia le policy questions basilari (blocco A), emerge
con chiarezza come non tutti gli interventi proposti negli ultimi quindici anni come strumenti per la
lotta alla povertà rispondessero alle condizioni richieste almeno per aspirare ad affermarsi come
politiche adeguate all’obiettivo. Non nel loro disegno per via normativa; ancor meno nella loro
realizzazione17. L’analisi sin qui svolta trova un utile compendio, e informazioni integrative, nel
Prospetto 3, nel quale, per consentire una corretta – e immediata – comparazione degli interventi,
gli aggregati monetari sono tutti riferiti all’anno e sono espressi in euro a prezzi costanti, anno 2011.
15
Il RdC campano, introdotto nel 2004 a titolo sperimentale per un triennio, venne teoricamente rinnovato per due
trienni, ma chiuso nel giugno 2010. Il RMG laziale, introdotto a titolo sperimentale nel 2009 per 5 anni, viene interrotto
dopo un anno.
16
Si appresta a decollare, poi, in chiave sperimentale e per un solo anno, la SCS.
17
Fatta salva l’affermazione di grandi princìpi, che tipicamente trova posto in carte costituzionali o in “dichiarazioni”
similari, una norma vale per quello che produce, molto meno – o per niente – per quel che proclama.
10
Letto anche nel senso delle righe, cioè focalizzando l’attenzione di volta in volta su una delle
misure esaminate, esso appare illuminante.
-------------------------------------Prospetto 3 circa qui
-------------------------------------A valle di questa analisi, operiamo quindi una partizione delle esperienze sin qui considerate.
Nella prospettiva dell’adozione di una persuasiva misura nazionale di contrasto della povertà
improntata all’universalismo selettivo e alle altre caratteristiche delineate nella pagine di apertura,
concentriamo l’approfondimento degli aspetti operativi sugli interventi che più possono tornare utili
per apprendere positivamente dall’esperienza. Tralasciamo, quindi, gli interventi della Campania e
del Lazio, decisamente distanti dal nostro obiettivo. E tralasciamo anche il programma di
promozione della cittadinanza sociale della Regione Basilicata, che pure per molti aspetti è di
indubbio interesse, perché anch’esso opera col vincolo dello stanziamento, il che porta alla
formazione di un graduatoria di famiglie ammissibili e alla selezione di un sottoinsieme di
beneficiarie18. In definitiva, fermiamo l’attenzione sul RMI, sul RdB del Friuli Venezia Giulia e sul
RG di Trento; ad essi aggiungiamo poi la SC, e la SCS che si avvia ad affiancarla, per la
dimensione nazionale e per il solido impianto organizzativo sul quale poggia.
3. La rivisitazione delle esperienze più significative
3.1 Il reddito minimo di inserimento (RMI)
3.1.1 Una sintetica presentazione della misura
Il Reddito Minimo di Inserimento (RMI) venne istituito in via sperimentale in 39 Comuni
italiani con la legge finanziaria per il 1999, nel quadro delle indicazioni del rapporto della
“Commissione Onofri”, istituita dal primo governo Prodi (1996-1998) all’avvio della legislatura.
Un ampliamento della sperimentazione si ebbe poi nel 2001 e il numero di Comuni coinvolti fu
esteso a 306 (legge 328/2000). Esso fu poi definitivamente abbandonato alla fine del 2004, dopo
che il governo Berlusconi (2001-2006) aveva stabilito la sua (nominalistica) evoluzione nel Reddito
di ultima istanza, senza però provvedere alla sua definizione e implementazione19.
L’introduzione del RMI costituì uno dei punti cardine di una serie di iniziative volte a innovare
il sistema di welfare del nostro paese. Esso cercava di intaccare consolidate arretratezze del sistema
di protezione sociale italiano, combinando un’erogazione monetaria volta a fronteggiare le
situazioni di grave povertà economica a progetti di reinserimento sociale e/o lavorativo finalizzati a
18
La frazione di famiglie beneficiarie sulle ammissibili è peraltro abbastanza consistente, dell’ordine del 43% (Regione
Basilicata, 2008; Abusi e Nigro, 2010). Una ulteriore difficoltà emersa nell'esperienza del PCS è riconducibile alla
mancanza di opportunità di lavoro in Basilicata, che ha lasciato percentuali significative di beneficiari “parcheggiati”
nei percorsi formativi o inseriti nel mondo del lavoro solo grazie a forti riduzioni, temporanee, del costo del lavoro
(Abusi, 2009).
19
L’unica esperienza riferibile al reddito di ultima istanza è quella della Regione Veneto, che ha utilizzato questa
soluzione per non interrompere l’esperienza avviata dal Comune di Rovigo fin dalla prima sperimentazione del RMI
(Spano, 2009).
11
superare la situazione di non autosufficienza economica. Inoltre, il RMI si presentava come una
misura di lotta alla povertà finanziata attraverso la fiscalità generale, che per la prima volta risultava
di stampo universalistico e, al tempo stesso, selettiva. Con questo intervento si intendeva avviare il
superamento dell’impianto settoriale degli interventi contro la povertà operanti sino ad allora in
Italia20.
Il RMI si fondava su un’integrazione monetaria variabile a seconda delle condizioni
economiche dei beneficiari. Il trasferimento era pari alla differenza tra la situazione economica
familiare e una soglia di povertà fissata per il 1998 in 500.000 lire mensili per una persona,
incrementata in maniera predeterminata negli anni successivi per far fronte all’aumento del costo
della vita. Il valore soglia per famiglie di diverse dimensioni era stabilito sulla base di una scala di
equivalenza basata sul numero dei componenti il nucleo familiare. Il pagamento avveniva
mensilmente e ai fini fiscali l’integrazione del reddito era equiparata alle pensioni sociali.
Come anticipato, la misura prevedeva progetti di accompagnamento dei beneficiari, la cui
attuazione spettava ai Comuni, per i quali erano stabiliti impegni nell’organizzazione del servizio di
gestione del RMI e nella predisposizione e realizzazione dei programmi di integrazione sociale.
Questa componente di attivazione era parte fondamentale del disegno del RMI, inteso come
misura di contrasto di situazioni di marginalità non solo in una prospettiva monetaria, ma anche
nell’ottica dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale. In linea di principio questi
interventi dovevano essere svolti da ciascun membro della famiglia beneficiaria, pena la
sospensione o l’esclusione dal programma.
Tali interventi dovevano inoltre essere progettati in modo specifico per far fronte alle esigenze
del singolo beneficiario. Per i minori, ad esempio, potevano prevedere l’accompagnamento durante
gli anni di obbligo scolastico, in modo da evitare fenomeni di abbandono e/o percorsi formativi
professionalizzanti in grado di favorire l’indipendenza economica attraverso l’ingresso nel mercato
del lavoro. Al reinserimento lavorativo era rivolta particolare attenzione, soprattutto con riferimento
ai soggetti beneficiari in età attiva e idonei al lavoro. Per questi soggetti era obbligatoria l’iscrizione
ai Centri per l’impiego (nel seguito, CpI) e la partecipazione alle attività da essi proposte, come
corsi di formazione professionale o, se necessario, di alfabetizzazione. Pena l’esclusione dal
programma, i beneficiari dovevano accettare un’eventuale offerta di lavoro proposta dai CpI. Per
incentivare il reingresso nel mercato del lavoro anche di persone in forte condizione di marginalità
si incentivavano forme di lavoro protetto o socialmente utile (tirocini presso gli uffici comunali,
mantenimento di parchi pubblici, collaborazione nelle mense scolastiche, ecc.), anche coadiuvate da
supporto nelle incombenze di cura domestica, specialmente per madri sole. Dal punto di vista
dell’inclusione sociale i progetti prevedevano solitamente la partecipazione ad attività di
volontariato e associazionismo, nonché percorsi di riabilitazione per persone con disabilità o
soggette all’abuso di sostanze illecite (Sacchi e Bastagli, 2005).
20
Va ricordato che la misura più simile ad un reddito minimo garantito a livello nazionale era ed è tutt’ora rappresentata
dalle pensioni sociali, che sono, di fatto, l’unico paracadute contro la povertà monetaria, ma solo per la popolazione con
più di 65 anni, con insoddisfacenti capacità di targeting, dato che solo il 50% dei beneficiari di pensione sociale si trova
al di sotto della linea di povertà (Baldini, Bosi e Toso, 2000).
12
Il RMI era rivolto ai soggetti residenti nei Comuni soggetti alla sperimentazione da almeno 12
mesi, estesi a 36 per i cittadini di stati non UE. L’ammissibilità al RMI anche di cittadini non
italiani, purché residenti (dalle durate appena dette) nei Comuni inclusi della sperimentazione,
conferma la natura universale della misura e l’intento del legislatore di contrastare la formazione di
trappole di povertà per categorie di persone particolarmente a rischio quali gli immigrati.
3.1.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi
La misura della condizione economica delle famiglie rappresenta un nodo cruciale nella
definizione di ogni programma di contrasto della povertà, dato che concorre a definirne il requisito
chiave per l’ammissione. A questo riguardo, va innanzitutto chiarito che, a differenza di altre
misure che verranno esaminate nel seguito, la condizione patrimoniale veniva considerata come
criterio di ammissibilità e non come una delle componenti che concorrono al calcolo della
condizione economica. Infatti, per essere ammessi al RMI, i richiedenti dovevano essere privi di
patrimonio sia mobiliare (titoli di stato, azionari, obbligazionari, di deposito, ecc.) che immobiliare,
con l’esclusione della prima casa, intesa come quella adibita a residenza principale e con valore
comunque non eccedente una certa soglia indicata dal singolo Comune.
Per quanto riguarda il calcolo della condizione economica, esso si basava sulla somma dei
redditi presentati in sede di dichiarazione fiscale. I redditi da prendere in considerazione erano
quelli riferiti al nucleo familiare, composto dal richiedente, dalle persone con le quali conviveva e
da quelle considerate a suo carico ai fini dell’Irpef. In particolare, va notato che tra i vari tipi di
reddito quelli da lavoro erano conteggiati in modo diverso, concorrendo solo per il 75% del loro
ammontare.
Tuttavia, muovendo dal margine di manovra loro lasciato, i Comuni applicarono il decreto
istitutivo del RMI in maniera diversificata, in parecchi casi disattendendone in parte le disposizioni.
Alcune amministrazioni locali utilizzarono scale di equivalenza diverse da quella prevista, altre
modificarono le soglie di povertà per adattarle al contesto socio-economico, altre ancora arrivarono
ad adottare – almeno nella prima fase della sperimentazione – i criteri di calcolo della condizione
economica secondo l’Isee (Ministro della Solidarietà Sociale, 2007). La discrezionalità lasciata ai –
o meglio, per molti versi dilatata dai – Comuni si manifestò anche nell’applicazione di ulteriori
detrazioni alla somma dei redditi qualora alcune spese (come il canone di locazione, il mutuo per la
casa di abitazione, le spese mediche) fossero ritenute particolarmente onerose per le famiglie. Di
fatto, metà delle amministrazioni comunali coinvolte nella sperimentazione applicarono detrazioni
per l’affitto, con importi variabili. Alcuni Comuni applicarono la detrazione del 25%, prevista dal
decreto attuativo per i soli redditi da lavoro, anche ai redditi da pensione.
V’è da notare, inoltre, che sempre ai Comuni era stata demandata la definizione di “criteri di
priorità”, ammettendo cioè discrezionalità nell’identificare categorie di soggetti particolarmente
bisognose nel caso lo stanziamento assegnato imponesse razionamento. Come risultato, alcuni
Comuni definirono criteri di preferenza a prescindere da un previo vaglio dell’inadeguatezza dello
stanziamento rispetto ai potenziali beneficiari (inadeguatezza che, peraltro, non si manifestò): alcuni
13
diedero priorità all’emergenza abitativa, altri privilegiarono la povertà “rurale”, di fatto intaccando
la logica universalistica del RMI.
È evidente che lasciare ampi spazi di manovra alle amministrazioni locali in aspetti cruciali –
come la prova dei mezzi – dell’attuazione di un intervento nazionale possa essere causa di
frammentazioni territoriali incontrollate, che rischiano di «togliere elementi di certezza e quindi di
trasparenza all’istituto e alla situazione di bisogno che fronteggia» (IRS, Fondazione Zancan e Cles,
2001, pag. 20)21.
3.1.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la gestione del RMI
Sebbene fossero diversi gli attori istituzionali coinvolti nell’attuazione del RMI, un ruolo
centrale era ricoperto dai Comuni, singoli o associati a livello di ambito. Alle amministrazioni locali
spettava il compito di interfaccia: a loro si rivolgevano i cittadini per richiedere qualsiasi
informazione inerente il RMI e per la presentazione delle domande di ammissione al beneficio.
Dopo la verifica dei requisiti di ammissibilità, il Comune doveva garantirne il trasferimento
monetario entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. Ai Comuni spettava inoltre il delicato
compito di attivare le opportune collaborazioni di altri enti e associazioni, in modo da definire i
progetti di reinserimento lavorativo e sociale specifici per ogni soggetto, oltre che di controllarne
l’operato.
Più in generale, ai Comuni spettava la gestione finanziaria della misura. Vista la centralità dei
Comuni nella gestione del RMI, era anche richiesto loro di riferire direttamente al Ministro per la
solidarietà sociale sui costi legati all’attuazione delle misura. Per i Comuni, infatti, il carico
finanziario era notevole, poiché dovevano far fronte con risorse proprie ai costi amministrativi e
organizzativi per la gestione dell’intervento, incluso l’aumento dei costi del personale che la
realizzazione dell’intervento poteva comportare.
Per quanto riguarda il finanziamento dei trasferimenti monetari, ai Comuni era richiesto di
partecipare con un contributo del 10%. Il 90% dell’ammontare della spesa necessaria era invece a
carico del bilancio dello Stato, al quale chiaramente spettava la definizione dei criteri e delle
procedure da attuare.
3.1.4 I numeri del RMI
Come già anticipato, la prima sperimentazione, avvenuta nel biennio 1999-2000, coinvolse 39
Comuni; a questi ne furono aggiunti 276, componenti di patti territoriali che includevano alcuni dei
39 Comuni iniziali, per la seconda sperimentazione avviata nel 2001. Per la prima fase di
sperimentazione furono stanziati 370 miliardi di lire; il 10% di questa cifra non venne tuttavia speso
(a conferma che la logica dell’universalismo selettivo poteva trovare attuazione piena) e servì a
finanziare la seconda sperimentazione. Nonostante il decreto attuativo indicasse che anche i
21
Ciò non significa disconoscere che sarebbe auspicabile ammettere soglie di povertà (e quindi integrazioni al reddito)
differenziate sul territorio nazionale, ma definite in sede di istituzione della misura, in maniera argomentata e
trasparente. Indicizzare la soglia di povertà al livello del costo della vita, per ripartizioni e/o per dimensione dei comuni,
risulterebbe particolarmente importante in un paese come l’Italia, caratterizzato da divari territoriali marcati nel reddito
pro-capite. Per un approfondimento si rimanda alla proposta in Boeri et al. (2007) e all’esercizio di simulazione
condotto da Monti e Pellizzari (2010).
14
Comuni dovessero provvedere al finanziamento della componente monetaria del RMI, seppur nella
contenuta misura del 10%, 14 dei 39 Comuni non vi parteciparono.
Nei primi due anni beneficiarono del RMI quasi 35.000 famiglie (oltre 100.00 individui), di cui
il 90% residente in Comuni del Sud o nelle isole (a fronte di un 84% della popolazione dei 39
Comuni residente in uno dei 24 Comuni delle regioni meridionali). Dai dati sui beneficiari appare
evidente che le regioni del Sud furono quelle che fecero maggiormente ricorso alla misura: delle
famiglie residenti nei comuni del Nord solo 1,4% risultò beneficiaria, mentre al Sud questa
proporzione triplicò, arrivando al 4,5% (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001). Le informazioni a
disposizione non sono tuttavia in grado di chiarire se questo divario fosse dovuto interamente a
differenze nella condizione economica delle famiglie o se vi concorresse anche una diversa
propensione a presentare domanda.
Delle 25.000 famiglie beneficiarie di RMI al 31 dicembre 2000, il 60% erano coppie con figli e
quasi il 15% famiglie monogenitoriali. Quasi la metà dei circa 86.000 individui beneficiari del RMI
risultava ancora inattivo nel mercato del lavoro e, tra gli attivi, ben il 46% disoccupato. Di questi
solo uno su dieci risultava aver effettuato ricerche attive di lavoro (IRS, Fondazione Zancan e
CLES, 2001).
3.1.5 La valutazione degli effetti del RMI
La normativa sul RMI si segnala anche per una nuova, più consapevole attenzione all’esigenza
di monitorare e valutare la «sperimentazione» 22 . Il d.l. 237/1998 vi dedica l’intero art. 13, che
precisa l’obiettivo in termine di valutazione sia delle modalità di svolgimento (quel che oggi
diremmo monitoraggio) che degli effetti; stabilisce che l’incarico sia affidato ad un ente o società, a
seguito di una procedura di selezione tramite apposito bando; riserva alla valutazione fino allo 0,3%
dello stanziamento destinato al RMI per il triennio 1998-2000.
Queste indicazioni, pienamente messe in atto (bando, affidamento a una società, finanziamento
prossimo all’entità prevista), hanno consentito di disporre di una ampia documentazione e di un
buon monitoraggio della realizzazione «sperimentale» del RMI, non certo di una credibile
valutazione dei suoi effetti, che potesse fornire credibili «indicazioni […], nella prospettiva di una
generalizzazione dell’istituto all'intero territorio nazionale» (IRS, Fondazione Zancan e CLES,
2001; Ministro della Solidarietà Sociale, 2007).
I motivi che hanno reso impraticabile una valutazione degli effetti del RMI sono vari. Il
principale risiede nel fatto che l’intervento non è stato disegnato e attuato in maniera coerente con
l’obiettivo di valutarne gli effetti. I Comuni nei quali si è realizzato l’intervento sono stati
selezionati con scelta “ragionata”, e ad essi non è stato affiancato un appropriato gruppo di
controllo, formato da Comuni simili ai primi ma non coinvolti nella «sperimentazione», dal quale
poter trarre un campione di soggetti esclusi dal RMI ma simili ai beneficiari. Né sui due gruppi di
soggetti, beneficiari e (ipotetici) controlli, sono state poi rilevate adeguate informazioni pre- e post22
È questo il termine usato, in verità con un’evidente ambiguità. Si tratta, infatti, di un intervento-pilota posto in essere
sì con l’esplicito intento di «valutar[ne] l’efficacia» (art. 13), ma senza porre un essere un disegno sperimentale, vuoi
con randomizzazione vuoi con abbinamento di casi e controlli, essenziale per una credibile valutazione dell’efficacia.
15
intervento, che consentissero di stimare credibilmente le variazioni determinatesi nelle condizioni e
negli stili di vita, rispettivamente in presenza e in assenza del RMI, e inferire quindi l’effetto del
RMI per differenza (il campione di controllo mimando quel che sarebbe accaduto ai beneficiati
qualora l’intervento non fosse stato realizzato)23.
Per di più, i margini di discrezionalità lasciati alle – o comunque esercitati dalle –
amministrazioni comunali nella specificazione dei criteri per la determinazione della condizione
economica, quindi per la prova dei mezzi e la selezione dei soggetti beneficiari, rende problematico
lo stesso confronto fra Comuni coinvolti nella sperimentazione. Sul RMI rimane, dunque, il buon
monitoraggio, incentrato sui diversi Comuni, prodotto da IRS, Fondazione Zancan e CLES (2001).
L’ipotizzata pubblicazione del rapporto, peraltro, coincise con l’insediamento del nuovo esecutivo,
che decise di non darvi diffusione rendendolo in sostanza indisponibile. I contenuti del rapporto
furono in buona parte ripresi, e resi noti, soltanto nella relazione del Ministro per la solidarietà
sociale al Parlamento nel giugno del 2007.
Informazioni a livello individuale, ossia riferite ai singoli beneficiari del RMI, in alcuni
Comuni coinvolti nella sperimentazione sono comunque state raccolte e rese disponibili dalla
Fondazione Rodolfo Debenedetti.24 Anche alla luce di queste evidenze, il RMI si presenta come un
occasione in larga parte perduta anche dal punto di vista conoscitivo, nella prospettiva di porre in
essere una persuasiva misura di lotta alla povertà su scala nazionale.
3.1.6 I controlli sul RMI: i falsi positivi
La discrezionalità lasciata dal decreto istitutivo ai Comuni in fase di attuazione del RMI ha
anche comportato sostanziali differenze per quanto riguarda la tempistica, le modalità e i contenuti
relativi alle attività di verifica e controllo delle informazioni presentate insieme alla domanda di
partecipazione al beneficio. Anche su questo fronte, dunque, si dispone di una sorta di molteplici
studi di caso, riferiti ai singoli Comuni, più che di un monitoraggio sistematico e integrato di uno
studio-pilota nazionale.
Di interesse è il caso di Foggia, dove i controlli sono stati particolarmente rigorosi, in
conseguenza di una serie di sentenze del TAR che hanno riammesso al beneficio famiglie
inizialmente escluse dal RMI perché, come previsto dal decreto istitutivo, proprietarie della casa di
abitazione. L’amministrazione ha infatti coordinato il lavoro di diversi enti (Guardia di finanza,
Ufficio tecnico erariale, ecc.) al fine di individuare eventuali falsi positivi. Come risultato, è
aumentato il numero di rinunce alla partecipazione al programma che sono passate dal 4% nel 2000
al 10% nel 2002 (ultimo anno per il quali i dati sono stati resi disponibili), plausibilmente proprio
per l’aspettativa di possibili controlli. L’entità delle rinunce è stata particolarmente marcata tra le
23
Per una introduzione alla rilevanza della valutazione degli interventi pubblici, del cosiddetto “paradigma
controfattuale” ormai consolidato negli studi degli effetti delle politiche pubbliche e di alcune buone pratiche si rimanda
a Trivellato (2010) e Martini e Trivellato (2011).
24
I dati sono disponibili all’url http://www.frdb.org/topic/data-sources/doc_pk/10124 e liberamente scaricabili previa
registrazione. Un’accurata analisi sui beneficiari dei comuni di Rovigo e Foggia è in Boeri et al. (2007, pp.173-181).
16
domande presentate da famiglie che dichiaravano la presenza di un componente con una qualche
forma di invalidità.
Va inoltre segnalato che uno dei controlli messi in atto dal Comune di Foggia che
maggiormente si è rivelato efficace è stato quello di richiedere ai beneficiari che si dichiaravano
disoccupati di partecipare ai progetti di integrazione sociale e attivazione al lavoro che si tenevano
in orario di lavoro. Il problema del lavoro irregolare è infatti una questione critica, difficilmente
rilevabile, specie se la prova dei mezzi si basa sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef (o se, oggi,
si usasse l’Isee). Organizzare progetti di reinserimento durante l’orario di lavoro e renderne la
partecipazione obbligatoria ai beneficiari disoccupati si è, invece, mostrata una strada efficace, e
poco costosa, per contrastare comportamenti opportunistici.
3.2 Il reddito di base per la cittadinanza del Friuli Venezia Giulia (RdB)
3.2.1 Una sintetica presentazione della misura
La l.r. 6/2006 della Regione Friuli Venezia Giulia, intitolata «Sistema integrato di interventi e
servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale», aveva introdotto con l’art. 59
il Reddito di base e progetti di inclusione per la cittadinanza sociale (RdB). Con l’art. 9 della
successiva l.r. 9/2008 l’art. 59 della legge sul sistema integrato di interventi e servizi è stato
abrogato, e contestualmente è stato introdotto il “Fondo per il contrasto ai fenomeni di povertà e
disagio sociale”. È stata così decisa la chiusura anticipata della sperimentazione del RdB, prevista
per 5 anni e, nei fatti, durata meno di 9 mesi, dal 7 settembre 2007 fino al 31 maggio 2008. Potrebbe
fermarsi qui la ricostruzione di questa esperienza. Ma vale la pena non disperdere il patrimonio
conoscitivo accumulato nella progettazione e nelle prime evidenze raccolte nel pur breve periodo di
attuazione del RbB.
In estrema sintesi, si può dire che il RdB era stato pensato e costruito con una chiara ispirazione
all’universalismo selettivo, con una dichiarata volontà di superare interventi di tipo categoriale e un
forte baricentro sui principi di:
 temporaneità, per offrire opportunità di cambiamento senza indurre i meccanismi di dipendenza
tipici delle prestazioni assistenziali;
 tempestività, per dare risposta in tempi stretti all’insorgere di situazioni di bisogno;
 co-responsabilità, attraverso la partecipazione vincolante del beneficiario a percorsi di inclusione
sociale;
 personalizzazione degli interventi volti, laddove possibile, all’inserimento lavorativo,
all’inclusione sociale o, comunque, al miglioramento delle condizioni di esistenza della persona.
Il RdB prevedeva un’erogazione monetaria mensile di importo variabile, in quanto calcolato
come differenza tra il valore del reddito minimo equivalente e la capacità economica del nucleo
misurata con l’indicatore CEE25. Il soggetto preposto all’erogazione erano i Comuni capofila, così
25
L’indicatore della capacità economica equivalente (CEE) era stato elaborato specificamente per il RdB (art. 6 del
D.P.Reg. 278/2007). In sintesi, esso è calcolato mediante applicazione delle modalità previste per l’Isee, aggiungendo
alle entrate computate ai fini dell’Irpef anche altri redditi esenti come l’indennità di accompagnamento (l’elenco
17
definiti alla luce del loro ruolo di coordinamento per ambiti territoriali più vasti. Nel regolamento
attuativo si era previsto che entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta il servizio sociale
comunale stipulasse con il richiedente un «patto preliminare» per iniziare a erogare il RdB in via
provvisoria. Entro 3 mesi dalla stipula del patto preliminare, pertanto al più tardi dopo 4 mesi dalla
presentazione della domanda, doveva avvenire la stipula del patto definitivo con la conseguente
conferma dell’erogazione definitiva del RdB.
Il RdB era stato progettato come una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale
basata su un intervento monetario di integrazione al reddito, “cumulabile”, in quanto poteva essere
associato ad altri interventi e prestazioni, e in ogni caso “a tempo”, in quanto limitato a dodici mesi
rinnovabili al massimo per altri dodici. L’obiettivo della misura era l’inserimento sociale, in
particolare attraverso progetti di inclusione sociale; per tale motivo era stato previsto il
coinvolgimento operativo anche dei Centri per l’impiego. Infatti, per le persone che erano in età
lavorativa e in stato di disoccupazione il RdB veniva garantito a condizione che detti soggetti si
impegnassero attivamente nella ricerca di un’occupazione.
3.2.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi
I beneficiari del RdB erano i nuclei familiari come definiti ai fini dell’Isee 26 . La richiesta
poteva essere presentata da uno dei componenti del nucleo familiare residente in Regione da almeno
12 mesi27 a patto che il nucleo avesse un indicatore CEE inferiore a 5.000 euro annui. Per accedere
al RdB, inoltre, non era sufficiente il possesso dei requisiti di residenza e di reddito; si doveva
verificare anche una condizione di vita che rientrasse tra quelle previste nella finalità della misura,
ovvero: acquisire autonomia economica, cercare di raggiungere l’inserimento sociale e possedere
capacità di perseguire il proprio progetto di vita. Infatti, era stato previsto che il beneficiario si
impegnasse in un progetto di intervento sin nella fase iniziale di attuazione della misura. Il progetto
prevedeva, per coloro che erano in stato di disoccupazione o occupati in lavori precari, l’attivazione
di un percorso volto all’inserimento lavorativo tramite l’intervento dei CpI. A riprova della bontà
del meccanismo attivato con il RdB possono essere utilizzati i dati raccolti nei pochi mesi della
sperimentazione (Aa.Vv., 2008): ben il 45,07% dei beneficiari è stato inviato ai CpI. Di questi,
1.392 hanno firmato la dichiarazione di disponibilità alla ricerca attiva di lavoro e hanno, pertanto,
completo dei redditi da includere nel calcolo dell’indicatore CEE appare nell’allegato A del D.P.Reg. 278/2007). La
certificazione del reddito CEE, fatta tramite la rete dei CAF, prevede particolari deroghe per casi specifici:
- le donne, anche unitamente ai loro figli minori, che vengono a trovarsi nella necessità di dover abbandonare il proprio
ambiente familiare possono, ai fini della dichiarazione CEE, essere considerate nucleo a sé stante;
- i nuclei familiari in cui sono presenti persone ultrasessantacinquenni, con reddito non superiore al doppio del
trattamento pensionistico minimo, ai fini del calcolo CEE vengono esonerati dal computo dei redditi della persona (o
delle persone) ultrasessantacinquenne;
- le donne in stato di gravidanza e per i primi sei mesi di vita del bambino possono ricevere un quota suppletiva del
beneficio compresa tra il 10 e il 50% del suo valore.
Le ragioni dell’inclusione dell’indennità di accompagnamento nella prova dei mezzi e dell’esonero per gli
ultrasessantacinquenni restano di non facile comprensione.
26
A tal fine erano riconosciute come nucleo anche le donne che dovessero abbandonare il nucleo familiare a causa di
violenze.
27
Erano considerate residenti anche le persone senza fissa dimora domiciliate in uno dei Comuni da almeno 12 mesi.
18
avviato la procedura finalizzata al processo di inclusione sociale. Quasi tutti questi, 1.238, hanno
poi stipulato anche il patto di servizio. La tipologia degli impegni previsti dal patto riguardava:
 l’azione di accompagnamento e di consulenza (494 casi);
 la ricerca attiva dell’occupazione (316);
 l’inserimento in percorsi di formazione professionale e di riqualificazione professionale (221);
 l’inserimento in work experience (197).
3.2.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RdB
Il RdB prevedeva che i Comuni esercitassero una funzione a più livelli, concentrata sui
seguenti snodi:
a) curare le verifiche di ammissibilità e valutarne l’eventuale proroga; elaborare i patti
(preliminare e definitivo) e i progetti personalizzati; applicare, qualora necessario, i
provvedimenti di sospensione, di diminuzione dell’importo della misura nonché l’eventuale
revoca della stessa;
b) curare la rete dei servizi e delle risorse del territorio: in particolare sviluppare rapporti sinergici
con i CpI ai fini del raccordo dell’intervento e del monitoraggio dello stesso; costruire relazioni
collaborative con i Centri di Assistenza Fiscale (CAF) addetti all’elaborazione dei CEE;
svolgere il ruolo di “attivatore” delle risorse della comunità affinché la misura non venisse
utilizzata quale mero intervento economico;
c) svolgere un ruolo “di regia” e gestire la parte amministrativa-contabile (determinazione
dell’importo del RdB, impegno di spesa, liquidazione, ecc).
Tuttavia, l’impianto del RdB chiamava in causa anche altri attori. Innanzitutto, oltre ai CpI e ai
CAF, anche i Patronati. Per questi ultimi il coinvolgimento è rimasto a livello potenziale, dal
momento che si sarebbero dovuti attivare nel caso di sospensione o revoca della misura accogliendo
il beneficiario. Oltre a questi soggetti la composita rete prevista dal RdB comprendeva anche altre
istituzioni come le Aziende per i Servizi Sanitari, con particolare riferimento ai Dipartimenti di
Salute Mentale e a quelli per le Dipendenze, i Servizi della Giustizia Minorile e
dell’Amministrazione Penitenziaria; senza dimenticare gli attori del privato sociale, risorse
importanti nell’attuazione dei progetti personalizzati.
3.2.4 I numeri del RdB
Nei pochi mesi di attività del RdB le domande complessivamente accolte sono state 4.264 per
una spesa complessiva di 25,2 milioni di euro. Il dato relativo alla situazione economica delle
famiglie beneficiarie si è caratterizzato per l’alta incidenza dei nuclei con indicatore CEE pari a
zero. Tale valore si è riscontrato, infatti, per il 41,7% delle famiglie beneficiarie, il che offre un
interessante spunto di riflessione in merito alla capacità dell’indicatore di cogliere l’effettiva
dimensione delle risorse disponibili – quindi del bisogno –, soprattutto, in considerazione del ruolo
giocato dall’indennità di accompagnamento (esclusa dal calcolo) e dall’eventuale presenza di
redditi sommersi. L’elevata incidenza di indicatori CEE pari a zero o comunque bassi spiega perché
il valore medio CEE delle famiglie beneficiarie si attesta sui 2.940 euro annui. Questo dato,
combinato con una frazione abbastanza elevata di coppie con figli minori o comunque di famiglie
19
numerose, dà conto del fatto che l’integrazione economica media annua per famiglia ammonta a
6.260,05 euro annui, cioè a 522 euro mensili28.
Della misura hanno usufruito principalmente nuclei di cittadinanza italiana (80,7%) con una
prevalenza dei nuclei uni-personali (42,2% del totale). Tra le principali caratteristiche dei
richiedenti si segnalano la composizione per genere, con una prevalenza delle donne sugli uomini
(54,3%), e una concentrazione nella fascia di età compresa tra i 36 ed i 45 anni. Anche per questo il
RdB, nella sua pur breve esperienza, sembra aver assunto i connotati di una misura orientata ai
bisogni delle persone in età lavorativa, per il 55,8% disoccupati o in cerca di prima occupazione e
per il 18,7% lavoratori con redditi al di sotto della soglia di reddito (Dessi, 2009).
Più in generale, anche solo per un’analisi di targeting della misura, ossia della sua capacità di
intercettare i soggetti effettivamente in condizione di bisogno, sarebbe stato necessario un
monitoraggio su un orizzonte temporale più lungo. Nella prima fase della sperimentazione, le
persone che maggiormente sono state informate sulla misura erano già in contatto con i servizi
sociali comunali, se non già a loro carico (Aa.Vv, 2008).
Tornando sul fronte delle risorse, i dati raccolti, pur su un orizzonte temporale inferiore
all’anno, sono interessanti in quanto evidenziano in embrione alcuni aspetti di fragilità
dell’impianto del RdB. Tenuto conto dell’andamento mensile delle domande presentate al 30
maggio 2008 e del corrispondente reddito annuo, si sono tentate delle simulazioni per quantificare il
fabbisogno a regime della politica attivata, riferito a 12 mesi. I fattori che possono rendere fragili
queste stime sono molteplici: essi includono, tra l’altro la peculiarità dei primi mesi di decollo del
RdB e l’impossibilità di tenere conto di eventuali sue interruzioni o decadenze. Tuttavia, tenuto
conto che le risorse stanziate per il RdB erano di 47,7 milioni di euro per un triennio, suddivise in
9,5 milioni nel 2007, 27,2 nel 2008, e 11 nel 2009, fa riflettere che le erogazioni dei primi 5 mesi
del 2008 avessero assorbito oltre 24 milioni di euro. Infatti, la proiezione su base annua di quei 5
mesi rapportata agli stanziamenti di bilancio per gli anni 2007 e 2008 avrebbe determinato un
disavanzo superiore ai 15 milioni di euro, evidenza che getta seri dubbi sulla sostenibilità
finanziaria del RdB nel medio-lungo periodo (Aa.Vv., 2008).
3.2.5 La valutazione degli effetti del RdB
Per quanto riguardava le procedure di valutazione, la normativa regionale del RdB prevedeva la
realizzazione di un sistema di monitoraggio realizzato con modalità sia quantitative sia qualitative.
In ogni caso, tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella sperimentazione, erano tenuti a fornire alla
Regione i dati richiesti «nei termini e secondo le modalità previste». Nello specifico, l’art. 11,
comma 3, del Regolamento (D.P.Reg. 278/2007) dava indicazioni in merito agli aspetti da
monitorare privilegiando: le caratteristiche dei nuclei familiari beneficiari; la verifica sul
superamento della condizione di iniziale difficoltà; lo stato di attuazione degli accordi stipulati; il
ruolo degli operatori e dei servizi coinvolti nell’attuazione della misura.
28
Le famiglie che hanno goduto di un trasferimento monetario superiore ai 522 euro mensili costituivano il 38,8% del
totale delle famiglie beneficiarie.
20
Sotto l’aspetto quantitativo il monitoraggio si articolava in rilevazioni sistematiche, a cadenza
differenziata in relazione alla tipologia dei dati, che potevano essere attinti attraverso diversi
strumenti come: portale internet, numero verde, cartella sociale informatizzata. Sotto l’aspetto
qualitativo, il monitoraggio utilizzava più strumenti al fine di cogliere la percezione dei diversi
soggetti coinvolti rispetto alla misura e alla sua efficacia. A tal fine erano state previste: schede di
monitoraggio, interviste a operatori, a beneficiari, focus group con operatori.
Purtroppo, questo impianto di rilevazione, coerente con il ruolo fondamentale del monitoraggio
quale strumento per individuare carenze – e potenziali miglioramenti – della misura, è rimasto sulla
carta, a fronte della prematura conclusione della sperimentazione. Sono rimaste agli atti solo le
prime indicazioni, raccolte in Aa.Vv. (2008).
3.3 Il Reddito di Garanzia nella Provincia autonoma di Trento
3.3.1 Una sintetica presentazione della misura
Per sopperire a una vistosa mancanza del sistema di welfare italiano e sull’onda della crisi
congiunturale che stava per abbattersi sul nostro paese, con la Delibera della Giunta Provinciale n.
2216 dell’11 settembre 2009 la Provincia autonoma di Trento ha introdotto una misura di sostegno
al reddito di ultima istanza nota come Reddito di Garanzia (RG). Questo intervento si prefigura
come uno strumento strutturale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, a differenza della
grande maggioranza degli interventi messi in atto dalle amministrazioni locali (tra le quali, come
ricordato in apertura, sono soprattutto i Comuni che forniscono misure, spesso una tantum, di
sostegno al reddito delle famiglie in condizioni di bisogno).
Il RG, introdotto al fine di ridurre i rischi di ingresso e di permanenza nella condizione di
povertà, ha l’obiettivo di innalzare il reddito delle famiglie portandolo ad una soglia prestabilita,
così da garantire a tutti condizioni di vita dignitose. La misura consiste innanzitutto in un sussidio
monetario di entità variabile: l’intervento monetario si configura cioè come un top-up scheme,
consiste cioè in un trasferimento monetario pari alla differenza tra la soglia di povertà prefissata e il
reddito familiare disponibile, con un minimo posto pari a 50 euro mensili (nel senso che se la
differenza risulta inferiore, il trasferimento non viene erogato). L’importo può anche venire
integrato da un contributo per le spese per l’affitto, qualora la famiglia ne sostenga uno senza
beneficiare di altre forme di aiuto per questo motivo.
Per evitare che il trasferimento monetario disincentivi gli sforzi di uscita dalla condizione di
povertà, in particolare se dovuta a mancanza di occupazione, il RG prevede, inoltre, per i membri
del nucleo familiare idonei al lavoro misure di attivazione. La principale si concretizza nella
sottoscrizione presso i CpI di una dichiarazione di disponibilità immediata all’accettazione di un
lavoro, pena l’esclusione dal programma per un periodo considerevole di tempo. Inoltre, è previsto
una sorta di “scivolo all’uscita” dal RG per i beneficiari che trovano un nuovo impiego. Qualora il
cambiamento della loro condizione reddituale sia tale da porli al di sopra della soglia di
ammissibilità dei 6.500 euro annui, essi, su domanda, allo scadere del primo anno di attività
21
lavorativa ininterrotta riceveranno un trasferimento pari a due mensilità di quello goduto in
precedenza.
Il RG si caratterizza per essere un programma universale e selettivo al tempo stesso, rivolto a
tutte le famiglie che superano la prova dei mezzi. In questo senso il RG può essere visto come una
misura in grado di sostituire o incorporare molti schemi ad oggi esistenti, integrandoli in modo da
ridurre sprechi ed evitare, al contempo, che la compresenza di tanti strumenti diversi crei “trappole
di povertà”. Va inoltre sottolineato che il RG non è condizionato all’eventuale esaurimento dei
fondi pubblici stanziati, ma prevede la possibilità di adeguamento della dotazione finanziaria
necessaria, in modo da garantire la copertura per tutte le famiglie ammissibili.
3.3.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi
Per misure di reddito minimo come il RG, la fissazione della soglia di povertà è un aspetto
cruciale, la cui scelta spetta in ultima istanza al decisore politico. Nel determinarla esso si trova di
fronte ad un trade-off non facilmente risolvibile. Tale soglia, infatti, dovrebbe essere
sufficientemente elevata da garantire condizioni di vita dignitose, il che potrebbe indurre a spostarla
verso l’alto. Ciò, tuttavia, comporta un aumento non solo della platea dei possibili beneficiari, ma
anche degli importi spettanti a ciascuna famiglia, quindi, può far lievitare notevolmente la spesa
pubblica necessaria per sostenere l’intervento.
Nel caso in esame tale soglia è stata fissata a 6.500 euro di reddito equivalente annuo. Tale
valore è stato stabilito anche sulla scorta di analisi della distribuzione dei redditi delle famiglie
trentine. Per il 2009, anno di introduzione della misura, la soglia di povertà definita come il 50%
della mediana dei redditi disponibili resi equivalenti si attestava intorno a circa euro 8.500 (OPES,
2011, pag. 48). Lo scostamento tra i due valori è prevalentemente legato al fatto che, mentre
quest’ultima si basa su redditi fiscali, la soglia di povertà per il RG si basa su un indicatore dello
stato economico-patrimoniale noto come Indicatore della Condizione Economica Familiare
(ICEF)29.
In particolare, nel caso del RG, allo scopo di contrastare episodi di povertà anche solo
temporanei, la scelta è stata quella di considerare la cosiddetta variante attualizzata dell’ICEF. In
questo modo si tiene conto di possibili cambiamenti significativi della condizione economica
29
L’ICEF è stato adottato dall’amministrazione provinciale di Trento per il calcolo delle condizioni di benessere
economico delle famiglie che richiedono una varietà di agevolazioni tariffarie e trasferimenti pubblici (riduzione delle
tariffe per il trasporto pubblico, graduatorie per gli asili nido, borse di studio per studenti, ecc.). Esso, di fatto,
sostituisce l'Isee utilizzato a livello nazionale. Come l’Isee, anche l’ICEF tiene conto di patrimoni mobiliari e
immobiliari, oltre che dei redditi percepiti nell’anno fiscale precedente, siano essi derivanti da lavoro dipendente o
autonomo, da pensioni, da CIG(S), da indennità di disoccupazione e/o di mobilità. Entrambi gli strumenti prevedono,
poi, la stessa scala di equivalenza, basata sul numero dei componenti familiari, per il calcolo dei redditi equivalenti. La
principale differenza tra Isee e ICEF sta in questo: nel caso di situazioni che, a parità di reddito e patrimonio,
determinano un’oggettiva riduzione della condizione economica (come, ad esempio, la presenza di disabili o nuclei
mono-genitoriali), il primo applica ulteriori coefficienti alla scala di equivalenza, mentre il secondo applica delle
franchigie che abbassano l’ammontare complessivo del reddito, prima ancora dell’applicazione della scala di
equivalenza. In questo modo, sono le famiglie più povere a godere maggiormente delle detrazioni, dato che, in termini
relativi, queste pesano maggiormente sui redditi più bassi. A livello di algoritmo di calcolo, infine, l’indicatore ICEF
permette una maggiore flessibilità di quanto non consenta l’Isee. Nonostante i dati di input dell’algoritmo siano gli
stessi, il peso dato alle diverse componenti di reddito e patrimonio, così come le detrazioni applicabili, possono infatti
variare a seconda dell’intervento per il quale l’indicatore viene calcolato.
22
rispetto al reddito dell’anno precedente, come ad esempio l’involontaria riduzione dell’attività
lavorativa. In questi casi, ad entrare nel computo dell’ICEF, insieme agli altri input, non è il reddito
fiscale dell’anno precedente, bensì la stima dell’ammontare annuo calcolato come proiezione della
media di quanto percepito negli ultimi due mesi precedenti la presentazione della domanda.
È importante sottolineare che, per quanto riguarda la prova dei mezzi, la normativa che regola
il RG ha subito un’importante modifica a meno di un anno dalla sua introduzione. Preoccupata dal
possibile comportamento opportunistico di un inaspettato numero di richiedenti del RG con un
reddito ICEF pari a zero, l’amministrazione provinciale ha integrato la prova dei mezzi con un
cosiddetto “controllo sui consumi”. Per ogni famiglia richiedente, insieme all’indicatore ICEF si
calcola un livello minimo di consumi, sulla base di indicatori dell’Istat che tengono conto del
numero di componenti, delle disponibilità che comportano non trascurabili spese di gestione (come
la dimensione dell’alloggio) e del possesso di beni durevoli che comportano spese correnti ingenti
(come l’automobile). Conseguentemente, viene imputato alla famiglia un reddito minimo, sotto il
quale essa non sarebbe in grado di sostenere quel pattern di consumi. Il massimo tra i due valori,
quello ICEF e quello scaturito dal controllo sui consumi, viene considerato come effettiva
condizione economico-patrimoniale della famiglia, che viene confrontata con la soglia per il RG.
3.3.3 I diversi attori istituzionali in gioco per la richiesta di RG
Al fine di poter beneficiare del RG, una famiglia deve presentare apposita domanda. È
importante mettere in luce che tale domanda può essere presentata in qualsiasi momento dell’anno,
a differenza di misure di sostegno al reddito attuate in altre regioni. Per presentare la domanda il
cittadino può recarsi presso i CAF operanti in provincia. Essi sono in grado di provvedere non solo
alla compilazione dell’apposita richiesta di RG, ma anche alla predisposizione della dichiarazione
ICEF attestante il superamento della prova dei mezzi, sulla base delle informazioni reddituali e
patrimoniali fornite dal richiedente. La domanda di RG viene inoltre corredata, per i membri del
nucleo idonei al lavoro, della sottoscrizione del cosiddetto “patto di servizio” con l’Agenzia del
Lavoro, nel quale viene certificata l’immediata disponibilità all’accettazione di un’offerta di lavoro.
Spetta poi all’Agenzia del Lavoro mettere in atto idonee politiche attive, allo scopo di favorire
l’accesso/rientro al lavoro dei beneficiari del RG.
Le domande raccolte dai CAF vengono quindi inviate in modo telematico all’Agenzia
Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza Integrativa della Provincia di Trento, incaricata della
gestione del RG. Previa verifica dei requisiti di ammissibilità e il conseguente calcolo
dell’ammontare spettante, l’erogazione automatica del beneficio avviene dal giorno 21 del mese
successivo a quello di presentazione della domanda, e poi con cadenza mensile.
L’erogazione in via automatica avviene quando nei nuclei familiari non vengano ravvisate
problematiche sociali ulteriori rispetto al bisogno di natura meramente economica. Quando queste
problematiche si manifestino, invece, le domande di RG vengono poste al vaglio dei servizi sociali
per la predisposizione di un progetto di integrazione sociale, modulato in base alle specifiche
esigenze dei diversi nuclei familiari. Nei primi due anni dalla sua introduzione sono state presentate
oltre 21.000 richieste di RG, di cui solo l’8% gestite dai servizi sociali.
23
Si tenga presente che, una volta verificata l’ammissibilità al RG, l’integrazione economica
viene concessa per quattro mesi consecutivi, trascorsi i quali, nel caso in cui lo stato di necessità
permanga, occorre presentare apposita richiesta di rinnovo del beneficio. Il rinnovo è previsto, di
norma, per tre volte, nell’arco di due anni. In questo modo, una famiglia può beneficiare del RG per
un massimo di sedici mesi nell’arco di ventiquattro; lo scopo della restrizione è evitare che gli sforzi
dei singoli e delle famiglie per uscire dalla condizione di povertà si riducano a motivo proprio
dell’integrazione economica di cui godono. Estensioni del periodo massimo di permanenza nel
programma vengono comunque concesse: ad esempio, quando le condizioni economicopatrimoniali permangano inferiori alla soglia di povertà, sebbene tutti i componenti idonei al lavoro
risultino occupati o in cerca di occupazione.
3.3.4 I numeri del RG
I dati raccolti grazie alla procedura informatica per la gestione amministrativa della misura
mostrano che nei primi due anni dalla sua introduzione hanno beneficiato del RG almeno una volta
circa 7.000 famiglie. Nello stesso arco di tempo sono stati spesi complessivamente circa 35 milioni
di euro. I dati riferiti ai primi mesi del 2012 hanno confermato che la spesa dedicata si attesta
intorno ai 17 milioni annui, pari a circa lo 0,1% del PIL provinciale.
Nel solo 2010 i nuclei beneficiari sono risultati oltre 5.300, pari al 2,4% della popolazione
residente nella provincia di Trento. È invece impossibile conoscere il numero di famiglie che
sarebbero idonee alla misura ma che non hanno fatto domanda, ossia il numero di cosiddetti falsi
negativi. La procedura descritta prima, infatti, chiarisce come solo per i richiedenti sia possibile
conoscere la condizione economico-patrimoniale utile ai fini del RG.
Può comunque essere utile qualche considerazione di larga massima. La percentuale di famiglie
che in Trentino si trova sotto la soglia di povertà – definita come il 50% della mediana dei redditi
disponibili resi equivalenti – è stimata intorno al 10% circa (OPES, 2011). Se si guarda alle
evidenze circa lo stato di deprivazione materiale dei beneficiari rispetto alla popolazione è, inoltre,
facile osservare che chi accede al RG si trova, con probabilità significativamente maggiore, in
peggiori condizioni (Zanini et al., 2011, tab. 7). Ciò suggerisce, dunque, una buona capacità di
targeting della misura, seppure queste evidenze non siano conclusive.
A tale riguardo è bene notare che da informazioni raccolte mediante un’apposita indagine per il
monitoraggio dei beneficiari della misura, è emerso che essi sono venuti a conoscenza del RG,
prima ancora che grazie ai media, attraverso reti amicali e parentali (soprattutto per gli stranieri) e
mediante il terzo settore. È, del resto, plausibile pensare che siano gli stessi operatori degli sportelli
CAF a segnalare l’esistenza del RG e quindi la possibilità di presentare domanda ai potenziali
beneficiari.
Dall’analisi delle caratteristiche rilevate mediante la richiesta di RG confrontate con i dati sulla
popolazione trentina, risulta chiaro che l’incidenza della cittadinanza non italiana tra i beneficiari è
particolarmente forte: tra di essi una famiglia su due ha almeno un componente straniero, mentre le
famiglie italiane nella popolazione risultano superiori al 90%. Un'altra evidenza interessante è la
sottorappresentazione tra i beneficiari di famiglie con un solo componente – 22% rispetto al 29%
24
della popolazione – e la sovra-rappresentazione di famiglie numerose, con almeno 5 membri – 20%
contro il 5% della popolazione –. Ciò è in parte dovuto a effetti di composizione legati alla
cittadinanza (mediamente le famiglie degli stranieri, in particolare degli extracomunitari, sono più
numerose), ma probabilmente dipende anche dal fatto che la prova dei mezzi si basa su coefficienti
di equivalenza che premiano famiglie numerose.
3.3.5 La valutazione degli effetti del RG
A differenza delle altre esperienze italiane menzionate in precedenza, il RG si configura come
uno strumento strutturale, tendenzialmente permanente. Anche per questo motivo il decisore
politico si è attivato fin dalla fase di disegno dell’intervento in modo che venisse condotta una
rigorosa valutazione dei suoi effetti.30 Questo ha consentito di realizzare tempestivamente indagini
per la raccolta di dati, che forniscono informazioni adeguate per il vaglio degli effetti della misura e,
in prospettiva, per prendere decisioni in merito a possibili modifiche da apportare all’intervento al
fine di renderlo meglio rispondente agli obiettivi per i quali è stato adottato.
In particolare, la prima indagine è stata condotta su un campione di famiglie estratte
casualmente dall’elenco delle famiglie beneficiarie del RG ed è stata mirata alla raccolta di
informazioni circa i comportamenti di consumo immediatamente prima dell’introduzione della
misura. Ciò ha consentito di condurre un esercizio di valutazione ex-ante. Si sono utilizzati solidi
modelli economici per prevedere quale sarebbe stata la reazione in termini di consumo di varie
categorie di beni delle famiglie beneficiarie della misura. I risultati ottenuti hanno indicato che, pur
trattandosi di famiglie in condizione di povertà, solo una parte di esse, specificatamente quelle più
marginali tra le straniere, avrebbe aumentato il consumo di generi alimentari grazie al trasferimento
economico fornito dal RG (Daminato e Zanini, 2012). Ciò suggerisce che, da un lato, la
popolazione target della misura, pur trovandosi in condizioni economiche precarie, non ha difficoltà
a nutrirsi adeguatamente almeno sotto il profilo quantitativo, dall’altro, che il trasferimento
monetario erogato con il RG verrebbe speso in altri beni non durevoli (come il vestiario), in beni
durevoli (elettrodomestici, mobilio, etc.) o per migliorare le proprie condizioni di vita e abitative.
Tali risultati sono poi stati confermati dalla valutazione ex-post condotta grazie alla
disponibilità di dati, oltre che su un campione di famiglie beneficiarie, su un adeguato gruppo di
controllo composto da famiglie simili alle prime. I dati sono stati raccolti in due momenti:
immediatamente prima l’introduzione del RG e due anni dopo. In questo modo è stato possibile
valutare gli effetti del RG effettuando un doppio confronto – fra trattati e controlli, prima e dopo
aver l’introduzione del RG –, così da eliminare congiuntamente sia effetti dovuti alla composizione
dei due gruppi che eventuali effetti congiunturali. I risultati ottenuti hanno mostrato che oltre a
cambiamenti nei pattern di consumo (nel senso suggerito dallo studio di valutazione ex-ante), anche
le condizioni di vita delle persone sono cambiate in conseguenza del RG. La misura sembra, infatti,
avere un impatto positivo nel ridurre significativamente la probabilità di trovarsi nella condizione di
povertà, misurata mediante un apposito indicatore dello stato di deprivazione (costruito attraverso
30
Vedi in particolare l’art. 7 della citata Delibera 2216/2009, che ha introdotto il RG.
25
una serie di item basati su ciò che la famiglia dichiara di potersi permettere: invitare amici o parenti
a cena, cenare fuori casa, far fronte ad una spesa imprevista, ecc.). La valutazione ex-post ha inoltre
messo in luce il diverso comportamento in termini di partecipazione al mercato del lavoro da parte
di italiani e stranieri. È, infatti, sugli immigrati che il RG è riuscito ad avere effetti di attivazione,
sebbene con scarsi risultati in termini di occupazione. Viceversa, per gli italiani, pur non avendo
sortito effetti in termini di partecipazione al mercato del lavoro, aver beneficiato del RG ha ridotto
la probabilità di essere senza lavoro.
3.3.6 I controlli sul RG: falsi positivi e attivazione al lavoro
Dato che la prova dei mezzi adottata per il RG si basa su un indicatore calcolato ad hoc e
quindi non disponibile per la totalità delle famiglie, è impossibile fornire una stima del cosiddetto
take-up rate, ossia della frazione di famiglie potenzialmente beneficiarie che hanno effettivamente
presentato domanda e ottenuto l’ammissione al programma di sostegno al reddito. In altre parole,
non è possibile fornire indicazione del numero di falsi negativi.
Per quanto detto in precedenza circa i requisiti di ammissibilità al RG, casi di falso positivo
(ossia situazioni in cui famiglie hanno beneficiato della misura pur non avendone i requisiti
necessari) si possono determinare per vari motivi, che portano a imprecisioni in senso favorevole
all’ammissibilità in quattro dimensioni: indicatore della condizione economico-patrimoniale,
composizione familiare, residenza nella provincia di Trento, attivazione nel mercato del lavoro. Per
quanto riguarda l’ICEF, adottato per l’ammissibilità a diverse misure di sostegno economico, la
Provincia ha un apposito meccanismo di controllo che inizia fin dalla presentazione della
dichiarazione ai CAF, i quali effettuano un prima riscontro sui documenti presentati. Tuttavia, i
CAF non hanno modo di verificare la composizione familiare né tantomeno la residenza nella
provincia di Trento. Ed è proprio il controllo di queste dimensioni che, nei primi due anni di
attuazione della misura, ha portato a oltre 350 segnalazioni di mendace dichiarazione. Per un altro
verso, grazie alla collaborazione tra l’Agenzia Provinciale per l’Assistenza e la Previdenza
Integrativa e l’Agenzia del Lavoro, un controllo casuale su un campione di 869 beneficiari che
avevano dichiarato di non essere occupati per almeno tre domande consecutive presentate (quindi
per l’arco di almeno un anno) ha evidenziato che 153 non risultavano più iscritti ai CpI: essi sono
stati pertanto esclusi dal RG. Dei rimanenti 716, la metà circa è risultata “attivata”, ovvero nei 12
mesi precedenti aveva lavorato per almeno 20 giorni o aveva ricevuto servizi, in gran parte corsi di
formazione linguistica (specialmente per extracomunitari, con la necessità di essere alfabetizzati
nella lingua italiana per poter trovare lavoro). L’altra metà è stata invece convocata ai CpI per la
verifica della situazione e la sottoscrizione del patto di servizio.
3.4. La carta acquisti o social card (SC) e la nuova social card sperimentale (SCS)
3.4.1 Una sintetica presentazione della misura
La carta acquisti o social card (SC) è stata definita nell’ambito della legge 133/2008 ed ha
come modello di riferimento, per esplicita ammissione dei suoi proponenti, quello dei food stamps
statunitensi. Si tratta di un intervento rivolto a persone, che prende però la famiglia come soggetto
26
di riferimento, dal momento che la possibilità di ottenere la prestazione è condizionata alle
complessive risorse familiari. La SC offre un’erogazione monetaria di 40 euro mensili. Nella sua
definizione originaria, la SC non consente ricariche con mezzi propri da parte del titolare, non è
abilitata al prelievo di contante, il suo utilizzo è circoscritto a una rete di negozi con precisi codici
merceologici, ai quali sono stati introdotte, nel tempo, alcune integrazioni per includere l’acquisto
di prodotti farmaceutici e il pagamento di bollette della luce e del gas.
Sulla base di questi tratti distintivi della misura – già diffusamente approfonditi in Gori et al.
(2010)31 – si preferisce concentrare l’attenzione su alcune sue peculiarità emerse in questi anni. Il
primo aspetto riguarda la dimensione dell’intervento, ovvero l’importo messo a disposizione dei
beneficiari. Partendo da questo aspetto si può riflettere sulle conseguenze della scelta di
caratterizzare la SC con una erogazione in cifra fissa e uguale in tutta Italia, prescindendo, quindi,
dalle diversità delle risorse economiche dei beneficiari e del modularsi del costo della vita sul
territorio. Si tratta di un elemento di forte caratterizzazione della SC, accettabile solo in una logica
di beneficienza minima, i cui limiti, tuttavia, potrebbero essere facilmente superati attraverso
l’integrazione nell’infrastruttura della SC di una serie di interventi monetari oggi previsti dal nostro
ordinamento. Una dimostrazione concreta della fattibilità di questa opzione è data dalle esperienze
legate all’erogazione di due una tantum ai beneficiari di SC: la prima, di 25 euro, è stata riservata ai
beneficiari nati nel corso del 2009 a titolo di sostegno delle spese per il latte artificiale e i pannolini;
la seconda, pari a 20 euro bimestrali, è stata destinata ai titolari di SC utilizzatori di gas naturale o
Gpl a uso riscaldamento.
Il secondo aspetto si riferisce alla natura di mezzo di pagamento della SC. Essendo stata
concepita come una tessera agganciata ai circuiti Automated Teller Machine, la SC offre delle
opportunità, finora sottovalutate, in termini di tracciabilità degli utilizzi da parte dei titolari.
Superare l’incoerenza palese insita nell’aver presentato la SC come uno strumento anonimo, nel
tentativo di mitigarne gli effetti di stigma sociale, pur concependola come uno strumento di
pagamento elettronico, con tanto di nome stampato e Pin identificativo del titolare, consentirebbe di
iscrivere questa misura come un elemento concreto di attuazione di progetti più volte annunciati
sulla tracciabilità dei pagamenti e sulla limitazione nell’uso del contante.
Infine, non può essere dimenticata la capacità della SC di caratterizzarsi come un intervento
con caratteristiche di sussidiarietà orizzontale e verticale. Un aspetto di cui si è persa traccia nel
dibattito è l’iniziale previsione di sconti sistematici del 5% sui prezzi di vendita ordinari riservata,
in maniera aggiuntiva a ogni altra promozione, ai titolari di SC. L’aver previsto che i negozi
convenzionati che sostengono il “Programma carta acquisti” potessero mettere in gioco risorse
proprie, anche se attraverso un meccanismo indiretto di sconti, consentiva una concreta sussidiarietà
orizzontale, alla quale non si è tuttavia riusciti a dare continuità. L’impatto di una rete di oltre
10.000 negozi convenzionati, tanti ne contava la stima iniziale del Governo, poteva essere una
31
In particolare rinviamo alle pp. 101-107, 133-136 e 158-170.
27
dimensione rilevante nel sistema di risposta al bisogno attivato dalla SC32. Oltre a questa prima
opzione, non è stata adeguatamente utilizzata la possibilità offerta agli Enti locali di far convergere
le proprie iniziative di sostegno economico sul Fondo carta acquisti, possibilità che apriva una
prospettiva concreta anche sul fronte della sussidiarietà verticale33.
3.4.2 La soglia di povertà e la prova dei mezzi
Ritornando alle caratteristiche della SC è importante ricordare la sua natura di misura
categoriale ad accesso selettivo. Infatti, la possibilità di accedervi è subordinata, in primo luogo, al
requisito anagrafico: (genitori con) bambini di meno di 3 anni e persone con più di 65 anni. A
questo si aggiungono il requisito della cittadinanza, con vincolo di residenza, e un terzo vincolo
reddituale, definito in termini di Isee, inizialmente posto pari a 6.000 euro annui e rivalutato
annualmente34. A tutto ciò è aggiunta una prova dei mezzi che, pur con lievi modifiche, opera su
entrambe le popolazioni obiettivo, al fine di verificare presenza ed entità di una serie di parametri
quali:
 utenze elettriche domestiche e non domestiche;
 utenze gas, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni;
 autoveicoli di proprietà, che diventano al più due per i genitori di bambini con meno di 3 anni;
 quote superiori o uguali al 25% di più di un immobile a uso abitativo;
 quote superiori o uguali al 10% di più di un immobile non a uso abitativo o di categoria catastale
C7;
 patrimonio mobiliare superiore a 15.000 euro.
3.4.3 I diversi attori istituzionali in gioco
L'architettura organizzativa della SC, come definita dal decreto interdipartimentale del
16.09.2008, è costituita:
 dal Ministero dell'economia e delle finanze, in qualità di Amministrazione responsabile, che,
d'intesa con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, disegna il quadro di
regole e ne monitora l'attuazione;
32
Il rammarico per aver trascurato questa dimensione aumenta in relazione alla tendenza ormai consolidata delle fidelity
card della grande distribuzione, che, come rilevato dall’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma e
dall’Università Bocconi, stanno rispondendo alle esigenze delle famiglie nella crisi mediante la sostituzione dei vecchi
premi a catalogo con buoni sconto sulla spesa.
33
L’enfasi posta dal Governo sulla possibilità di dare maggiore consistenza alla SC attraverso convenzioni stipulate da
singoli enti (Regioni, Province o Comuni) non ha prodotto i risultati attesi, rimanendo circoscritta a pochi casi. Merita
di essere menzionato quello della Regione Friuli Venezia Giulia, che integra con 60 euro mensili le somme accreditate
dallo Stato, pari a 40 euro mensili, sulle SC dei beneficiari residenti in regione (art. 10, commi 78-80 della l.r. 17/2008).
Il valore complessivo per i beneficiari residenti in Friuli Venezia Giulia è pertanto di 100 euro al mese. Per
l’ottenimento delle integrazioni regionali non è necessario alcun adempimento da parte dei titolari di SC, in quanto le
integrazioni vengono corrisposte automaticamente a coloro che ne hanno diritto contestualmente alle “ricariche” statali.
Le modalità tecniche di attuazione dell’intervento sono contenute in un protocollo d’intesa tra la Regione Friuli Venezia
Giulia e il Ministero dell’Economia e delle finanze, che regola, tra l’altro, le modalità di trasferimento dei fondi dalla
Regione allo Stato.
34
Per il 2012 il requisito reddituale per avere diritto alla SC è un Isee non superiore a 6.499,82 euro. È rimasto
invariato, invece, il limite del patrimonio mobiliare rilevato nella dichiarazione Isee, che continua a rimanere fissato in
misura non superiore a 15mila euro.
28
 dall'INPS che, in qualità di soggetto attuatore, dà attuazione alle regole;
 dal Gestore Poste Italiane S.p.A., che è incaricato del servizio di gestione delle SC.
In particolare, l’Amministrazione responsabile, d’intesa con il Ministero del lavoro, della salute
e delle politiche sociali, definisce le platee degli ammissibili, il sistema di accesso al beneficio e
vigila sull'attuazione del programma. Il “soggetto attuatore”, nella fase di richiesta della SC da parte
del cittadino, verifica la rispondenza dei requisiti in possesso del richiedente con quelli stabiliti
dalla normativa, e in caso di esito positivo dà disposizione di concessione del beneficio. Nella fase
successiva, verifica il mantenimento dei requisiti da parte dei beneficiari e, in caso negativo, dà
disposizione di revoca del beneficio. Il “gestore del servizio” riceve le richieste e ne verifica la
conformità, emette le SC, esegue i periodici accrediti bimestrali e/o l'eventuale disattivazione delle
carte, sulla base delle disposizioni del “soggetto attuatore”; inoltre, fornisce informazioni al
pubblico. Al di là della possibilità di una convenzione con l’infrastruttura SC, non sono previste
forme di coinvolgimento nella gestione della misura da parte di Regioni, Province e Comuni.
3.4.4 I numeri della SC
Rispetto alla platea degli ammissibili all’intervento, definita dalle caratteristiche dello stesso e
dai criteri di accesso, il Governo aveva inizialmente quantificato una platea di potenziali beneficiari
di circa 1.300.000 persone. Di queste ben 1.000.000 con almeno 65 anni e 300.000 famiglie con
bambini fino a 3 anni.
Secondo dati aggiornati a fine 2010, gli ultimi disponibili da fonti ufficiali35, tra dicembre 2008
e dicembre 2010, i possessori di SC erano in tutto 734 mila, dei quali 386 mila anziani e 348 mila
genitori di bambini con meno di 3 anni. Questi dati hanno alimentato valutazioni critiche sulla
ragionevolezza dell’obiettivo previsto o sulla possibilità di raggiungerlo. Un esito come quello
rilevato richiede, tuttavia, qualche riflessione sulle motivazioni dello scostamento, che potrebbe
derivare da un classico fenomeno di basso take-up per mancata richiesta, oppure, affondare le sue
radici in qualche errore di stima. Sulla scorta delle pur scarse informazioni disponibili, viene
abbastanza naturale escludere la (o comunque non dare forte peso alla) prima ipotesi, tanto più che
l’avvio dell’intervento è stato accompagnato da una importante campagna di comunicazione con
lettere personali inviate a casa delle famiglie per invitarle a richiedere la SC. Per questo
propenderemmo per concentrare l’attenzione sulla coerenza delle stime alla luce dei criteri di
accesso alla misura. A partire dalle soglie Isee, senza trascurare i requisiti aggiuntivi previsti dalla
prova dei mezzi, si potrebbero condurre analisi utili per spiegare gli indici di copertura e, forse, per
tarare meglio un intervento continuativo, sia pur categoriale ed esiguo, di contrasto alla povertà.
Tali analisi potrebbero dar conto non solo dello scostamento dei dati totali, ma cercare anche di
offrire argomentazioni per la spiegazione della forte disomogeneità registrate nei trend delle due
categorie di beneficiari. Non si può trascurare, infatti, che a dicembre 2010 le famiglie con bambini
35
Nonostante il decreto interministeriale prevedesse che tra i costi amministrativi vi fosse una quota per il finanziamento del sistema informativo della carta acquisti (Sica), ad oggi il reporting sulla SC latita. Anzi, per quanto risulta
dalle cronache parlamentari, non sono state nemmeno presentate le rendicontazioni annuali al Parlamento previste per
legge.
29
fino a 3 anni avevano già superato il target previsto, mentre il gruppo degli ultra-65enni aveva
raggiunto solo il 38% dell’obiettivo.
Ma tutto ciò dipende, palesemente, dalla disponibilità di un’informazione completa, e
convenientemente disaggregata (almeno per i due gruppi di beneficiari, per regione e, rispetto al
tempo, per trimestri) sulle SC emesse, sui valori delle ricariche e dei loro utilizzi. E rispetto agli
scarni dati messi a disposizione del pubblico in un rapporto del Ministero dell’economia e delle
finanze (2009), al di là dei toni rassicuranti usati per dire che «le preoccupazioni iniziali relative ad
un utilizzo non graduale delle carte non si sono materializzate, il comportamento d’uso sembra
ormai stabilizzato, l’acquisto medio è stabilizzato nell’intorno di 25 euro a transazione», le esigenze
conoscitive rimangono pressoché totalmente insoddisfatte36.
Né a questo deficit informativo ha posto rimedio la pubblicazione del Bilancio sociale
dell’INPS (novembre 2012), che ha fornito dati aggiornati sui beneficiari della SC al 2011 con
disaggregazione per regione, ma non per popolazioni obiettivo né per anno. Essi consentono
comunque di aggiornare la platea dei beneficiari a 535.412, con un importo erogato pari a poco più
di 207 milioni di euro. In carenza di rendicontazioni adeguate, non è certo facile argomentare in
merito al futuro della SC, alla luce del progressivo esaurirsi della dotazione iniziale e in assenza di
nuovi finanziamenti dal 2014.
3.4.5. La sperimentazione della nuova Social Card
Il decreto “Semplifica Italia” (convertito nella legge 35/2012) ha introdotto alcune novità in
riferimento alla sperimentazione della social card, SCS (prevista dall’art. 2, comma 47, del
D.L.225/2010, ma rimasta per lungo tempo inattuata). La sperimentazione ha una durata di un anno
e riguarda i 12 Comuni con più di 250 mila abitanti: Milano, Torino, Venezia, Verona, Genova,
Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo, per un totale di oltre 9 milioni di abitanti,
pari al 15% della popolazione italiana. La gestione della carta acquisti sperimentale (SCS) è affidata
ai Comuni ed è disciplinata da un decreto interministeriale del quale è prossima l’emanazione37.
Le risorse disponibili per i 12 mesi della sperimentazione ammontano a 50 milioni di euro, che
sono stati ripartiti in proporzione alla stima delle persone in povertà assoluta residenti nei Comuni38.
Nel corso del 2013, dunque, oltre alla SC – che continuerà a essere distribuita nel modo
usuale39 –, debutterà la SCS. L’ammissibilità alla SCS non è vincolata alla cittadinanza, bensì alla
36
Il testo solleva, anzi, qualche ulteriore curiosità. Per una misura che consiste in un contributo di 40 euro mensili, una
spesa media di 25 euro per transazione comporta che la SC sia mediamente utilizzata meno di 2 volte al mese.
37
Il Decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze è stato adottato il 10 gennaio 2016. Alla data in cui questo rapporto viene chiuso esso è
ancora in corso di registrazione presso i competenti organi di controllo.
38
Le persone in povertà assoluta sono state stimate applicando alla popolazione residente nel Comune l’incidenza della
povertà assoluta calcolata dall’Istat per la ripartizione territoriale corrispondente. I dati disponibili sulle incidenze
medie nell’ultimo triennio sono i seguenti: Nord 3,8%; Centro 3,8% e Sud 8,3%. Questo criterio ha portato alla
suddivisione del decreto interministeriale, che assegna poco meno di 12 milioni di euro a Roma, quasi 9 a Napoli, 6 a
Palermo, 5,5 a Milano, 3,8 a Torino, quasi 3 a Bari, 2,7 a Catania, 2,5 a Genova, circa 1,6 rispettivamente a Bologna e a
Firenze, 1,1 a Verona e a Venezia.
39
Fatta salva la clausola che, nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti uno o più beneficiari della SC, prevede
l’attribuzione dei benefici economici connessi alla sperimentazione (SCS) solo previa rinuncia dei benefici connessi al
programma SC, rinuncia da dichiarare espressamente nel modulo di richiesta della SCS.
30
residenza, da almeno un anno, in uno dei 12 Comuni coinvolti nella sperimentazione 40 . Per
l’ammissibilità alla SCS sono richiesti requisiti riferiti alla condizione economica, alle
caratteristiche familiari e alla condizione lavorativa. Tutti comprensibili, data la limitatezza dello
stanziamento, ma che inevitabilmente comportano una torsione della SCS nella direzione di una
misura categoriale, lontana dall’iniziale propensione verso l’universalismo selettivo.
Venendo ai requisiti per l’accesso alla SCS, è innanzitutto necessario sussista una situazione di
grave disagio economico, identificata in (i) una soglia dell’Isee pari al massimo a 3.000 euro, (ii) un
patrimonio mobiliare – sempre come definito ai fini dell’Isee – inferiore a 8.000 euro, coerente
quindi con un risparmio di natura precauzionale, e (iii) un eventuale patrimonio immobiliare,
ammissibile soltanto per la prima casa, inferiore a un valore, ai fini dell’ICI, di 30.000 euro. Inoltre,
nel caso in cui componenti del nucleo familiare godano, «al momento della presentazione della
richiesta e per tutto il corso della sperimentazione, di altri trattamenti economici anche fiscalmente
esenti, di natura previdenziale, indennitaria e assistenziale, a qualunque titolo concessi dallo Stato o
da altre pubbliche amministrazioni», il loro valore complessivo per il nucleo familiare deve essere
inferiore a 600 euro mensili (art.4, comma 3, sub a). Sono previsti, infine, limiti anche al possesso
di auto o motoveicoli, con l’obiettivo di ammettere al beneficio solo chi ha beni durevoli dal
limitato valore di mercato.
Sul fronte dei requisiti riconducibili alle caratteristiche del nucleo familiare, il vincolo è dato
dalla presenza nel nucleo di almeno un componente di età minore di 18 anni. Oltre a questo vincolo,
il decreto indica poi dei criteri di precedenza nell’accesso alla SCS per nuclei in una delle seguenti
condizioni:
 disagio abitativo, accertato dai competenti servizi del Comune;
 un solo genitore con figli minorenni;
 con tre o più figli minorenni oppure con due figli e in attesa del terzo;
 con uno o più figli minorenni con disabilità.
Infine, per ottenere la SCS i richiedenti devono soddisfare anche un requisito collegato alla
condizione lavorativa. Il decreto prevede che per accedere alla SCS vi sia assenza di lavoro per tutti
i componenti in età attiva del nucleo al momento della richiesta del beneficio e inoltre per almeno
un componente vi sia stata, nei 36 mesi precedenti la richiesta, la cessazione di un rapporto di
lavoro dipendente (oppure, nel caso di lavoratori autonomi, la cessazione dell’attività oppure, nel
caso di lavoratori precedentemente impiegati con tipologie contrattuali flessibili, un’occupazione
nelle medesime forme per almeno 180 giorni). Alternativamente, al momento della richiesta del
beneficio il valore complessivo per il nucleo familiare dei redditi da lavoro, dipendente o
“flessibile”, percepiti nei sei mesi precedenti non deve superare 4.000 euro41.
40
Ad essa sono dunque ammissibili anche i cittadini comunitari e i cittadini extracomunitari cosiddetti “lungo
soggiornanti”, naturalmente residenti nei 12 grandi Comuni.
41
Eventuali, ulteriori requisiti possono poi essere definiti dal Comune d’intesa con il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
31
Per la SCS si prevede il rilascio di una sola carta per famiglia. Il beneficio è concesso
bimestralmente in ragione della numerosità del nucleo familiare, calcolata escludendo le persone a
carico ai fini Irpef diverse dal coniuge e dai figli (prescindendo, quindi, dal reddito familiare,
equivalente determinato tramite l’Isee). L’ammontare mensile del trasferimento monetario è di 231
euro per un nucleo composto da 2 membri, di 281 euro per un nucleo di 3 persone, di 331 euro per
un nucleo di 4, infine di 404 euro per i nuclei di 5 o più componenti.
Ai Comuni, oltre a individuare eventuali ulteriori criteri di selezione dei beneficiari e a poter
integrare con fondi propri la misura, compete:
 la pubblicazione dei bandi per le domande e il completamento della selezione entro 120 giorni
dalla entrata in vigore del decreto;
 la predisposizione di un progetto personalizzato per una quota parte dei nuclei familiari, progetto
che dovrà essere finalizzato all'inclusione sociale, al reinserimento lavorativo, al superamento
della condizione di povertà;
 l’attivazione dei servizi di accompagnamento (servizio sociale professionale, educativo,
domiciliare, ecc.);
 garanzia dell’operatività di una rete con le altre agenzie pubbliche coinvolte (CpI, scuole,
Aziende sanitarie locali).
Sul ruolo svolto dai Comuni si gioca grossa parte degli esiti della SCS. Saranno i fatti a fornirci
le risposte. Si possono, peraltro, segnalare sin d’ora alcuni profili di criticità e alcune perplessità.
(i) La logica “a bando” non è vincolante in quanto, fermi restando i requisiti previsti per accedere
alla SCS, i Comuni potranno anche limitare la richiesta del beneficio all’ambito dei nuclei
familiari già assistiti dai servizi del Comune, individuati sulla base di precedenti avvisi pubblici
o regolamenti relativi a politiche comunali aventi finalità analoghe a quelle della
sperimentazione. A tal fine, anche attraverso l’utilizzo dei dati contenuti nel data base “Sistema
di Gestione delle Agevolazioni sulle Tariffe Energetiche”, i Comuni potranno adottare
strumenti di comunicazione mirata e personalizzata in favore dei residenti ai quali rivolgere la
sperimentazione. Ciò introduce un potenziale, forte elemento di discrezionalità nella selezione
dei nuclei familiari, che può portare a una popolazione di beneficiari differente da quella
delineata dai requisiti di ammissibilità, variabile da un Comune all’altro secondo pattern
potenzialmente anche molto diversi.
(ii) Il progetto personalizzato non coinvolgerà tutti i beneficiari della SCS, per il proposito del
decreto – in via di principio condivisibile – di condurre un social experiment sugli effetti dei
«progetti personalizzati di presa in carico». Nell’ambito dei nuclei beneficiari, infatti, i Comuni
dovranno individuare, mediante una procedura di selezione casuale, due gruppi: per un primo
gruppo, pari ad almeno metà e a non oltre due terzi del totale dei nuclei, predisporranno un
progetto personalizzato, volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento
lavorativo e all'inclusione sociale; un secondo gruppo, costituito dai nuclei beneficiari esclusi
casualmente dal progetto personalizzato e integrato dai nuclei richiedenti esclusi dalla SCS,
costituirà il gruppo di controllo, che avrà accesso all’ordinaria rete di interventi e servizi
32
sociali. L’intendimento di realizzare un social experiment, cruciale per gli ambiziosi obiettivi di
valutazione degli effetti della SCS elencati all’art. 9 del decreto interministeriale (tema che
toccheremo tra poco), si presenta peraltro problematico per due ordini di ragioni: la difficoltà,
ben nota dalla letteratura, di attuare social experiments, tanto più acuta quanto più la loro
realizzazione venga affidata a una molteplicità di attori locali, nel nostro caso i Comuni; la
deroga ai criteri di ammissibilità concessa ai Comuni, di cui abbiamo detto nel punto
immediatamente precedente, deroga che può indurre a violare il disegno di randomizzazione e
comunque a non preservarne l’integrità.
(iii) Per i nuclei beneficiari della SCS che sottoscriveranno il progetto personalizzato, esso sarà
vincolante sia per accedere alla SCS che per continuare a godere del beneficio. Le informazioni
sul progetto e sulla sua attuazione dovranno essere inviate telematicamente mediante modelli
predisposti dall’Inps, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentito il
Garante per la protezione dei dati personali, secondo le modalità dettagliatamente specificate
nel decreto interministeriale. Secondo una rigida logica di condizionalità, il decreto prevede che
l’invio delle molteplici informazioni richieste, riferite a ciascuna SCS (e solo in parte, invece,
ai nuclei familiari di controllo), costituisce condizione necessaria per i successivi accrediti
bimestrali. Anche alla luce di quanto messo in evidenza nei due punti precedenti, è ragionevole
dubitare che tale disegno sia fattibile in maniera adeguata: gli onerosi adempimenti in tema di
acquisizione delle informazioni possono, forzatamente, scadere a riti burocratici (o, all’opposto,
una diffusa sospensione degli accrediti bimestrali può ingenerare tensioni sociali, tenuto conto
in particolare delle condizioni di grave disagio economico dei beneficiari).
(iv) Quanto appena detto circa i rapporti fra Inps e Comuni rende palese come, nonostante il ruolo
riconosciuto ai Comuni e le responsabilità poste in capo a loro, la gestione delle erogazioni
monetarie venga affidata all’infrastruttura che gestisce la SC. Infatti, è l’Inps (il soggetto
attuatore) che procede alla verifica della compatibilità delle informazioni acquisite con i
requisiti previsti per l’accesso alla/mantenimento della SCS, utilizzando a tal fine anche tute le
informazioni «pertinenti e non eccedenti» disponibili nei propri archivi. Ed è sempre l’Inps che
deve comunicare alle Poste italiane la somma da accreditare su ciascuna SCS. Il ricorso
all’infrastruttura che gestisce la SC è per vari aspetti persuasivo. Ma, a nostro modo di vedere,
non sono convenientemente affrontati i notevoli problemi di raccordo fra l’infrastruttura
centrale ed i Comuni che si pongono col passaggio dall’erogazione di una misura meramente
passiva – la SC – alla gestione di una misura che incorpora piano individuali di attivazione
affidati ai Comuni – la SCS –.
(v) Nelle intenzioni del decreto interministeriale, che vi dedica il dettagliato art. 9, la
sperimentazione deve fornire gli elementi conoscitivi utili per la successiva proroga della SCS
e «per la possibile generalizzazione della misura […] come strumento di contrasto alla povertà
assoluta». A tal fine servirà valutarne credibilmente gli effetti. Per la SCS la valutazione è posta
in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze. A loro compete definire il disegno di ricerca per la valutazione,
33
da condurre secondo l’approccio controfattuale, e gli strumenti di rilevazione. Ai Comuni
spetta un ruolo di collaborazione, essenzialmente tramite la somministrazione dei questionari.
La valutazione è tesa principalmente ad accertare l’efficacia della integrazione del sussidio
economico con servizi a sostegno dell’inclusione attiva nel favorire il superamento della
condizione di bisogno. Alle perplessità che già abbiamo avuto modo di esplicitare, se ne
aggiunge un’altra: manca ogni indicazione sulle risorse, umane e finanziarie, destinate a questo
compito42.
4. Che cosa possiamo imparare?
Non è agevole tratte nitide lezioni da un quadro di esperienze parecchio variegate, spesso brevi
e contraddistinte da una sorta di provvisorietà; un quadro per di più marcato da alcune cesure. È
proprio da queste ultime che conviene partire per prime riflessioni di sintesi. Le cesure sono dovute
essenzialmente al ciclo politico e al riassetto istituzionale introdotto nel 2001 dalla riforma del titolo
V della Costituzione.
Al ciclo politico sono palesemente dovute la chiusura dell’esperienza del RMI, innovativa e
promettente – pur con i limiti evidenziati – e del RdB del Friuli Venezia Giulia43. In entrambi i casi,
ciò avviene col subentro di un’amministrazione di centro-destra a una di centro-sinistra. Della
solerte abrogazione del RdB nel 2008, a meno di un anno dal suo avvio, abbiamo già brevemente
detto nella sez. 3.2. Quanto al RMI, il suo superamento a vantaggio di un nuovo istituto, il reddito
di ultima istanza, era stato annunciato ufficialmente nel Libro bianco sul welfare, presentato nel
febbraio 200344, e la formale istituzione del nuovo istituto avviene con la legge finanziaria per il
2004 (legge 350/2003, art. 3, comma 101). Ma le caratteristiche del reddito di ultima istanza restano
indefinite, perché le modalità di attuazione sono rimandate a decreti ministeriali, e per il suo
finanziamento la legge si limita ad affermare che «lo Stato concorre al finanziamento delle regioni
che istituiscono il reddito di ultima istanza» nei limiti delle risorse preordinate nell'ambito del
Fondo nazionale per le politiche sociali. Si sono incaricati i fatti, poi, a mostrare che il reddito di
ultima istanza era una chimera, che rispondeva alla volontà di segnare una discontinuità con
42
È di buon auspicio la previsione con la quale si chiude l’art. 9 del decreto: «I dati anonimi sono altresì messi a
disposizione di università e enti di ricerca su richiesta motivata, per finalità di ricerca e valutazione». Ma temiamo che
solo di un (non ben fondato) augurio si tratti, date le norme irragionevolmente restrittive che il Codice in materia di dati
personali detta in tema di utilizzo dei microdati per la ricerca scientifica.
43
Non ci pare, invece, riconducibile soltanto, o prevalentemente, al ciclo politico l’interruzione, in sostanza la chiusura,
dell’esperienza del RdC della Campania. Essa coincide sì con la decisione della nuova giunta di centro-destra, ma
appare piuttosto «suggellare quella che si presentava, da tempo, come una morte annunciata e, semplicemente, rinviata
per ragioni di opportunità» (Agodi e DeLuca Picione, 2010, pag. 40).
44
Queste le motivazioni: «Il Reddito minimo di inserimento ha consentito di verificare l’impraticabilità di individuare
attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale. Per questo motivo si è
stabilito di individuare un nuovo sistema – il reddito di ultima istanza – da realizzare e co-finanziare in modo coordinato
con il sistema regionale e locale, attraverso programmi che distinguano in modo finalizzato le carenze reddituali
derivanti esclusivamente da mancanza di opportunità lavorativa (da affrontare attraverso politiche attive del lavoro che
evitino l’instaurarsi di percorsi di cronicità e dipendenza assistenziale) e carenze tipiche delle fragilità e marginalità
sociali che necessitino di misure di integrazione sociali e reddituali» (Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
2003, pag. 37).
34
l’azione avviata nella precedente legislatura col RMI. E, a ben vedere, in questo caso come in
quello del RdB del Friuli Venezia Giulia non si tratta soltanto di chiusure di specifiche esperienze,
ma di cambiamenti di rotta, che in sostanza mirano ad accantonare la prospettiva stessa di
un’organica politica di contrasto della povertà in favore di molteplici interventi che poggiano sul
tradizionale impianto categoriale del welfare italiano, su ben maggiori margini di discrezionalità, su
un sovraccarico di “delega” all’iniziativa degli enti locali, per di più accompagnato da trasferimenti
di risorse magri quando non decurtati.
Per un altro verso, la riforma del titolo V della Costituzione, con l’ulteriore spostamento delle
competenze in materia di assistenza sociale dallo Stato alle Regioni, fornisce una legittimazione, o
meglio un alibi, al ritrarsi dello Stato dall’impegno di investire risorse nella creazione di una rete di
sicurezza sociale di base, in particolare di definire un’azione nazionale di lotta alla povertà. E
stimola, all’opposto, l’iniziativa delle Regioni. Un’iniziativa tanto vivace quanto segnata da
inadeguatezze, che abbiamo documentato segnalando in particolare le incongruenze del RdC
campano e del RMG laziale.
A questa seconda cesura si accompagna, infatti, l’orientamento in favore di misure che
utilizzano impropriamente il termine «sperimentazione» per designarne piuttosto la sostanziale
provvisorietà. Una provvisorietà dovuta innanzitutto ai vincoli di bilancio e all’incertezza del
quadro delle risorse disponibili a medio termine. Ma acuita, e non poco, dalla scelta di non
confrontarsi con i problemi che ciò poneva per il disegno di interventi di contrasto della povertà
duraturi, in grado di apprendere da una ben ponderata sperimentazione. E di imboccare, invece,
l’illusoria strada dei pronunciamenti enfatici (i titoli delle leggi sono rivelatori), affiancati da
normative in buona parte contraddittorie con tali pronunciamenti (l’evidenza più vistosa è bassa la
percentuale di beneficiari rispetto agli ammissibili) e da realizzazioni mediocri (a riprova vi sono il
contrarsi di parecchi interventi al solo trasferimento monetario – talvolta in cifra fissa, quindi
neppure correlato ai bisogni delle famiglie “povere” – e la fragilità, quando non la mancanza, di
decorose attività di monitoraggio e valutazione).
Insomma, di fronte a una questione, quella della povertà, che ha natura strutturale, in molti casi
è prevalsa quella stessa «veduta corta» che Padoa Schioppa (2009) rimproverò parlando della crisi
finanziaria scoppiata nell’agosto 2007. Certo, in questo quindicennio non sono mancate esperienze
in tutto o in parte positive, dalle quali possiamo imparare: ad esse guarderemo tra poco. Ma la
«veduta corta» e la provvisorietà di vari interventi, combinate con le discontinuità indotte dal ciclo
politico, hanno pesato parecchio. Così, non si sono venuti consolidando strumenti in grado di dare
attuazione a un coerente impegno sul versante della lotta alla povertà. E ancor oggi è dubbio se ci
sia, nelle classi dirigenti così come nell’opinione pubblica, adeguata consapevolezza dei termini del
problema. Di queste carenze sono una spia tanto l’eccessiva enfasi posta in alcuni interventi
sull’obiettivo del recupero al lavoro e all’autonoma economica45, come se esso fosse proponibile
per tutti i poveri, quanto il sostanziale disimpegno di altri interventi da azioni di attivazione e il loro
ritrarsi nella dimensione dell’erogazione di un sussidio per pochi.
45
Nella normativa; quel che poi accade nei fatti è altra cosa.
35
Anche dagli errori si impara. A questo è servito lo sguardo sulle otto misure prese in
considerazione, descritte e analizzate nei loro tratti essenziali nella sez. 2. In questa prospettiva è
istruttivo guardare alla Figura 1, che in termini schematici, ma illuminanti, riassume le
caratteristiche salienti delle componente passiva delle varie misure, per quanto attiene al criterio per
la prova dei mezzi, al trasferimento monetario e al take-up rate. Due notazioni tornano utili per la
sua lettura. Innanzitutto, come già anticipato, la rappresentazione che essa dà delle diverse misure è
forzatamente semplificata e va quindi interpretata con le cautele del caso. Restando alle avvertenze
di maggior rilievo, va considerato che per la prova dei mezzi si fa sì riferimento a redditi espressi in
Euro a prezzi 2011, quindi a potere d’acquisto costante, ma il reddito, anche quando sia equivalente,
è calcolato secondo criteri diversi (imponibile Irpef oppure Isee oppure CEE oppure ICEF), ed è
quindi solo approssimativamente comparabile; inoltre, va tenuto presente che il take-up rate è
stimato rispetto ai richiedenti ammissibili, trascurando quindi i falsi negativi, sulla consistenza dei
quali nulla si sa. In secondo luogo, torna utile una semplice chiave di lettura per i diversi pattern del
trasferimento monetario. Una retta discendente con un angolo di 45° descrive la situazione, per noi
“ideale”, in cui il trasferimento colma l’intero divario fra soglia di povertà e reddito equivalente
iniziale, sicché sommando il reddito in ascissa col trasferimento in ordinata si giunge a un reddito
equivalente finale che è uguale per tutti i “poveri”, parallelo all’asse delle ascisse e al livello della
soglia di povertà. All’opposto, una retta parallela all’asse delle ascisse ci dice che il trasferimento
monetario non varia al variare del reddito iniziale (talvolta non equivalente, che non tiene conto
cioè della composizione della famiglia), quindi non ha alcun effetto redistributivo – o può
addirittura avere effetti redistributivi perversi – all’interno dei “poveri”.
----------------------------------Figura 1 circa qui
----------------------------------Fatte queste precisazioni, le Figura 1 è largamente auto-esplicativa. In tema di trasferimenti
monetari in favore dei “poveri”, essa visualizza in maniera efficace la polarizzazione fra interventi
ispirati a un criterio redistributivo – dare di più ai più poveri – (RMI, PCS, RdB e RG) e interventi
in cifra fissa, che non hanno affatto questa preoccupazione (SC, RdC, RMG) oppure l’hanno in
misura limitata (SCS, che ha una soglia di povertà molto bassa e, entro questa, differenzia il
trasferimento in funzione soltanto del numero di componenti il nucleo familiare). Merita di essere
sottolineata ancora una volta la miopia46 di due misure, RdC e RMG, che, come evidenziato dalla
variabile in ascissa, si riferiscono rispettivamente al reddito familiare, senza tenere conto della
composizione della famiglia, e al reddito personale, senza tener conto né della composizione né del
reddito della famiglia. Palesemente, esse possono produrre effetti redistributivi perversi entro i
“poveri”, perché erogano la stessa somma a famiglie con numero di componenti diverso e con
reddito diverso (nel caso del Lazio, addirittura anche di molto superiore a quello personale del
beneficiario). La Figura 1 segnala poi un’interessante concordanza: le misure ispirate a un criterio
redistributivo hanno take-up rate mediamente più alti, e di molto, rispetto agli interventi in cifra
46
Facciamo fatica, infatti, a pensare a un disegno, a una scelta consapevole in tal senso.
36
fissa, vuoi con la consistenza della mera beneficienza (la SC) vuoi tanto magniloquenti nei propositi
normativi quanto mediocri, al limite del contraddittorio, nelle realizzazioni (il RdC e il RMG).
Restringiamo ora l’attenzione alle esperienze sotto qualche profilo positive, RMI e SC/SCS a
livello nazionale e le esperienze regionali del RG e del RdB, sulle quali nella sez. 3 abbiamo svolto
una ricognizione delle soluzioni adottate rispetto a rilevanti questioni operative che si pongono nella
realizzazione di politiche di contrasto della povertà. Il Prospetto 4 ne offre un quadro sinottico.
----------------------------------Prospetto 4 circa qui
----------------------------------Guardando a queste evidenze, e alle pertinenti evidenze del Prospetto 3 per quanto attiene alla
caratterizzazione delle quattro misure considerate rispetto alle policy questions basilari,
riassumiamo le indicazioni salienti che ne traiamo in sette punti.
(a) La scelta in favore dell’universalismo selettivo è presente in tre misure: il RMI, il RG trentino e
il RdB friulano. Essa vi è declinata in modo sostanzialmente concorde, e convincente: la
popolazione ammissibile è costituita dai residenti; si fa riferimento al reddito familiare e a
soglie di povertà equivalenti (per tener conto della diversa composizione della famiglia); il
trasferimento monetario è pari alla differenza fra soglia di povertà e reddito familiare. Anche la
SCS (che è invece un intervento-pilota circoscritto territorialmente e quanto a caratteristiche dei
destinatari) per l’ammissibilità fa riferimento ai residenti.
Differenti sono, invece, i criteri adottati per la stima del reddito familiare equivalente e per la
fissazione della soglia di povertà. Nella prospettiva di una misura nazionale, questa diversità di
criteri mette in evidenza due snodi.
 L’uno attiene al modo di comporre l’utilizzo di un indicatore del tipo Isee con informazioni
sulla povertà assoluta, prodotte correntemente dall’Istat. Il problema si pone su due piani:
per un verso è emersa la debolezza dell’Isee quale indicatore della situazione economica
familiare, in parte intrinseca al modo con il quale è definito (ad esempio, con l’esclusione di
misure categoriali di sostegno del reddito, quale, ad esempio, la pensione sociale) e in parte
perché si presta facilmente a comportamenti elusivi o tout court all’evasione (in proposito
vedi il successivo punto (b)); per un altro verso, se per la determinazione della/e soglia/e di
povertà si fa perno sulle stime della povertà assoluta – come appare ragionevole – serve
muovere verso una marcata ridefinizione dell’Isee, in modo da disporre di un indicatore dei
redditi (e del capitale immobiliare e mobiliare) coerente con gli indicatori dei consumi,
largamente utilizzati dall’Istat per le stime della povertà assoluta.
 L’altro snodo attiene a una auspicabile differenziazione territoriale delle soglie di povertà,
in modo da tener conto dei divari nel costo della vita, basandosi sulla disaggregazione delle
stime della povertà assoluta per macroaree e per città metropolitane-comuni medi-comuni
piccoli.
Un ulteriore, importante punto critico attiene, infine, alla natura, strutturale o provvisoria, della
misura. Solo il RG ha caratteristiche che lo avvicinano di molto a una misura strutturale.
37
L’alternativa – è bene chiarirlo – non è fra “tutto e subito” e la provvisorietà. Vi può ben essere
un percorso per giungere progressivamente a una misura nazionale con integrazione piena del
reddito fino alle soglie di povertà, sia per vincoli di bilancio sia per affinare le capacità di
gestione. Ma la scelta fra imboccare tale percorso e procedere con la «veduta corta» e in modo
frammentario si impone.
(b) Le evidenze migliori quanto alla gestione della misura, in particolare della sua componente
monetaria (ricevimento delle domande e determinazione degli ammissibili, quantificazione del
trasferimento monetario, tempestività dell’erogazione, attività per contrastare falsi positivi e
falsi negativi, ecc.), vengono dalle esperienze del RG e del RdB – e, sullo sfondo, da quelle
della Valle d’Aosta e della provincia di Bolzano –. Si noti, tutte regioni/province di dimensioni
modeste e a statuto speciale.
Per un altro verso, l’evidenza empirica che viene dalle misure nazionali, RMI e SC, è
polarizzata. Il monitoraggio della sperimentazione del RMI segnala la mediocre capacità dei
singoli Comuni di verifica delle condizioni economiche delle famiglie, vuoi perché l’unico
parametro utilizzato è l’insieme dei redditi correnti, vuoi per la forte presenza, soprattutto in
alcune aree del paese, del lavoro sommerso, vuoi per carenza di capacità amministrative
consolidate e territorialmente omogenee (problema acuto soprattutto nei piccoli comuni).
All’opposto, la SC ha un’infrastruttura di gestione centralizzata (con terminali periferici, la rete
degli uffici postali, ben distribuiti), che poggia sull’Isee; il tutto appare oggi abbastanza ben
consolidato, anche se, come appena segnalato, l’Isee resta un indicatore della situazione
economica decisamente inadeguato.
Infine, merita di essere messo in luce che in nessun caso abbiamo trovato evidenze di attività
mirate a trovare falsi negativi. Perché? Contano certo le preoccupazioni per i vincoli finanziari
– perché mai andare a cercare poveri che, pur essendo ammissibili, non richiedono la misura? –
e le modalità tipiche di organizzazione di questi interventi, su domanda. E può ben essere che il
rischio di falsi negativi sia inversamente proporzionale al trasferimento monetario atteso,
quindi per questa parte un fenomeno trascurabile. Ma il fatto, soprattutto se confrontato con
l’attenzione posta al tema in altri paesi (per una meta-analisi della letteratura, che rivela tra
l’altro rischi molto alti di falsi negativi, vedi Bargain et al., 2012), segnala un diffuso ritardo,
forse sul terreno culturale e della civicness prima ancora che su quello operativo.
Da questi riscontri traiamo due indicazioni.
 È opportuno mantenere il riferimento a una struttura centrale, quale quella della SC, e ad
un Isee decisamente rivisto, raccordabile con l’uso di stime della povertà assoluta per la
definizione delle soglie di povertà (al punto da configurarsi in larga misura come un nuovo
indicatore), per la prova dei mezzi e per i trasferimenti monetari. Ma con almeno due
ulteriori innovazioni significative, quindi di non banale attuazione:
(i) dal Friuli Venezia Giulia alla Campania, abbiamo riscontrato che vi è un’elevata frazione
di famiglie con l’Isee (o un indicatore analogo) pari a zero o molto basso. Palesemente,
l’Isee è un indicatore inadeguato, che espone a notevoli rischi di falsi positivi. Ed è
38
plausibile attendersi che anche un nuovo Isee, comunque migliorato, coglierà in modo
imperfetto la situazione economica di molte famiglie; le ragioni dell’elusione/evasione di
componenti del reddito stanno nella struttura dell’economia italiana e nel peso del lavoro
sommerso. A un indicatore della situazione economica profondamente rivisto dovrebbe,
dunque, essere affiancato un “controllo dei consumi”, del tipo in atto per il RG trentino, che
dovrebbe portare al calcolo di un reddito minimo presunto;
(ii) si dovrebbe prevedere, poi, un trattamento di favore dei redditi da lavoro, segnatamente
per nuclei familiari che abbiano già goduto della misura e debbano, quindi, essere incentivati
ad uscirne per approdare all’autosufficienza economica.
 All’attività di questa struttura centrale serve affiancare l’azione dei Comuni e del terzo
settore. L’azione dei Comuni, con la collaborazione della Guardia di finanza, può risultare
molto utile per il “controllo dei consumi” e per la conseguente individuazione dei falsi
positivi. D’altra parte, i soggetti del terzo settore impegnati in attività di contrasto della
povertà sono correntemente a contatto con le persone e i gruppi marginali: hanno quindi
peculiari opportunità e capacità di far emergere falsi negativi.
(c) L’affiancamento al trasferimento monetario di misure di integrazione e sostegno sociale, da un
lato, e di attivazione, dall’altro, è presente tanto nel RMI, quanto nel RG e nel RdB, quanto
infine nella SCS. Qui la questione non sta tanto nell’enunciazione, quanto in una persuasiva
messa in atto di questi orientamenti. Ed ha perlomeno due facce.
 In primo luogo, serve operare una distinzione sufficientemente chiara, anche se reversibile,
fra poveri per i quali è ragionevole porsi l’obiettivo di ricondurli a una vita attiva e (almeno
in parte) all’autonomia economica e poveri per i quali, per ragioni di età e/o di salute, non
vi è tale prospettiva. Certo, il soggetto destinatario dell’intervento è la famiglia e l’azione di
integrazione sociale si rivolge a tutti i suoi componenti. Ma l’individuazione delle persone in
età attiva e idonee al lavoro è essenziale, perché saranno esse le destinatarie di azioni di
attivazione, cruciali per evitare la “trappola della povertà”47.
 Occorre poi definire azioni appropriate di attivazione, con obblighi reciproci, e soprattutto
essere in grado di metterle in atto. Anche alla luce delle esperienze esaminate, è questo uno
dei punti più delicati, e difficili, perché chiama in causa le capacità operative di molteplici
servizi, in particolare dei Centri per l’impiego, e il loro coordinamento: fronti sui quali le
carenze oggi sono forti.
(d) Quest’ultima considerazione ci porta al ruolo dei diversi attori. Il problema che si pone riguarda
la definizione di un convincente assetto istituzionale-organizzativo. La ricognizione condotta
non fornisce risposte. Suggerisce però alcune riflessioni e solleva almeno due domande.
Da quanto siamo venuti argomentando, troviamo confermata la ragionevolezza del nostro
orientamento per una misura nazionale di contrasto della povertà: con un forte ruolo dello Stato
47
Ciò è vitale sia per efficacia, e in definitiva la sostenibilità, della misura sia per l’accettabilità stessa di uno strumento
redistributivo, che verrebbe profondamente minata dalla percezione che ampie fasce di popolazione, concentrate in
alcune zone del paese, “vivono di assistenza”.
39
sia sul piano delle risorse finanziarie, sia su quello della definizione degli standard, sia infine su
quello di una infrastruttura centrale di gestione48. D’altra parte, la definizione dei progetti di
integrazione sociale e lo svolgimento delle azioni di sostegno e di attivazione competono
necessariamente ad attori locali. Di qui le due domande.
 Come combinare l’azione a livello centrale con il ruolo degli enti locali, dei Centri per
l’Impiego, delle scuole e di altri servizi pubblici, e con l’indispensabile apporto del terzo
settore, in particolare (ma non soltanto: vedi l’indicazione conclusiva del punto (b)) per le
azioni di sostegno e di attivazione?
 Quale scala – o, se si opta per ragionevoli differenziazioni territoriali, quali scale – è
conveniente individuare, a livello locale, per il coordinamento delle pertinenti attività?
L’interrogativo è spinoso, anche perché ci si trova in una sorta di “terra di nessuno” nella
definizione degli assetti territoriali, e delle competenze, delle Province, così come nelle
ipotesi di accorpamento (o di forme di coordinamento) dei Comuni. Di massima, pare
meritevole vagliare in via prioritaria l’ipotesi di forme associative di Comuni
(preferibilmente, con un Comune capofila) per “ambiti” di tipo comprensoriale – ai quali
spesso si avvicinano i territori di competenza dei Centri per l’impiego, della rete delle
scuole, delle Aziende Sanitarie Locali –. Ma in alcuni casi può essere preferibile, invece,
fare perno su Province o Regioni con dimensioni della popolazione tutto sommato modeste,
come paiono suggerire le esperienze rispettivamente di Bolzano e Trento e della Valle
d’Aosta? E quali altre ipotesi vanno esplorate, avendo come criterio-guida quello di un
assetto istituzionale-organizzativo ben funzionante?
(e) L’affermazione che l’intervento sarà oggetto di “monitoraggio e valutazione” è una sorta di
articolo obbligato nelle normative che istituiscono interventi contro la povertà. Articolo, però,
che è anche pressoché sistematicamente disatteso49. L’eccezione iniziale è stata rappresentata
dal RMI, ma per le ragioni richiamate nella sez. 3.1 l’esito non è andato al di là di un decoroso
monitoraggio. Degli interventi successivi, l’unica eccezione, peraltro di rilievo, si dà per il RG
trentino, per il quale si può a ragione parlare di “valutazione prospettica”, in quanto essa è
decollata e si è sviluppata insieme con la politica, sin dall’avvio della riflessione sulla sua
introduzione, ed è integrata nel processo di realizzazione della politica. Un segnale
parzialmente promettente viene poi dalla SCS, che per la valutazione degli effetti dei progetti
personalizzati di presa di carico richiede a ciascuno dei 12 Comuni coinvolti di ricorrere a un
esperimento randomizzato; sfortunatamente, però, questa prescrizione è inserita in un contesto
di indicazioni e di possibili deroghe che rende problematica una sua credibile realizzazione.
48
A confortare questo orientamento vi sono inoltre la disomogeneità di interventi che storicamente caratterizza il
welfare locale in Italia e gli squilibri tra aree ricche e aree povere del paese.
49
Ispirandosi alle buone pratiche di paesi evoluti sul terreno del monitoraggio e della valutazione, la legge della
Regione Lazio che istituisce il RMG, all’art. 8, detta addirittura una “clausola valutativa”: «La Giunta regionale, con
cadenza annuale, presenta una relazione al Consiglio regionale sull’attuazione della presente legge nella quale sono
evidenziati in particolare: a) il numero dei beneficiari, lo stato degli impegni finanziari e le eventuali criticità; b) i
risultati degli interventi effettuati, anche dal punto di vista dell’analisi costi-benefici». La disposizione è rimasta peraltro
un esercizio retorico.
40
Nell’insieme, la ricognizione svolta ha evidenziato, inoltre, un forte deficit informativo in tema
di documentazione convenientemente articolata sui beneficiari e ancor più sulle risorse
destinate all’intervento (le policy questions B8 e B9).
Si impongono dunque decisi miglioramenti. Essi sono essenziali sia per una buona gestione
dell’intervento sia per l’esigenza delle amministrazioni di “rispondere”, di rendere conto: alle
assemblee elettive e ancor più all’opinione pubblica e alle organizzazioni attive di cittadini. Un
dibattito pubblico informato, perché alimentato da solide evidenze empiriche, può avere un
ruolo cruciale perché maturi una consapevolezza condivisa sul tema della povertà e vi sia una
genuina attenzione a interventi efficaci per contrastarla. In quest’ottica, i miglioramenti si
impongono in varie direzioni.
 L’adozione di un appropriato sistema di monitoraggio e di valutazione, con la riserva di
una (modesta) quota del finanziamento per questo scopo, appare indispensabile in
particolare nell’ipotesi che il piano nazionale di contrasto della povertà si snodi in più fasi.
 Altrettanto indispensabile è che le informazioni raccolte e le analisi svolte sull’azione di
contrasto della povertà siano diffuse correntemente e in maniera tempestiva, di massima a
cadenze preordinate.
 In particolare, è importante che l’accesso alle basi di dati prodotte per il monitoraggio e la
valutazione sia assicurato a qualunque soggetto qualificato, istituto di ricerca o singolo
studioso, lo richieda. Come ogni attività di ricerca, la valutazione degli effetti di una politica
poggia sull’accumulazione di conoscenze, alimentata dal confronto fra molteplici studiosi50.
(f) Conviene, poi, tornare sul tema delle risorse finanziarie. Serve una stima credibile dei costi che
una politica nazionale di contrasto della povertà del tipo ipotizzato comporta. Data la difficile
situazione economica del paese – segnatamente della finanza pubblica –, è verosimile che la
sua realizzazione debba avvenire per tappe, poggiando su un meditato e impegnativo piano a
medio termine e inizialmente concentrando l’intervento sui più poveri. Peraltro, oltre (e più)
che un vincolo, la gradualità può essere un’opportunità, perché consente di apprendere
dall’esperienza e di affinare le modalità con le quali operare sui molteplici, difficili fronti di
attuazione dell’intervento.
(g) L’introduzione di una politica nazionale di contrasto della povertà con le caratteristiche
prospettate impone una rivisitazione dell’intero sistema di welfare. In termini di larga massima,
ciò potrebbe utilmente avvenire lungo due linee di intervento:
 da un lato il progressivo assorbimento entro la misura proposta di molteplici misure
categoriali di sostegno del reddito, quali l’assegno sociale, le integrazioni al minimo e
simili;
50
Abbiamo già segnalato, ma riteniamo utile ribadire, che ciò richiede una revisione delle disposizioni
irragionevolmente restrittive del Codice in materia di protezione dei dati personali. Altrettanto indispensabile è che
soggetti pubblici produttori/detentori di grandi basi di microdati, l’Inps in primo luogo, abbandonino logiche
proprietarie e adottino soluzioni tecnologiche – del tipo remote data access – che consentono di conciliare protezione
della privacy e agevole accesso ai microdati per la ricerca.
41
 dall’altro l’affiancamento alla misura proposta di misure con altre finalità: vuoi di
contrasto di specifiche condizioni di disagio, quali la disabilità, la non autosufficienza e
simili; vuoi di politiche mirate ad altri obiettivi, quali il sostegno per i figli, la conciliazione
lavoro-famiglia e simili51.
51
È appena ovvio, ma doveroso, ricordare poi che un’evoluzione del nostro welfare secondo questi indirizzi richiede di
collocarsi in un contesto di crescita sostenibile ed equa. Valgono anche per una misura nazionale di contrasto della
povertà le condizioni che Andersen e Svarer (2007) hanno identificato come costitutive del cosiddetto “modello di
welfare danese”, un’elevata occupazione e salari decenti: «It is important to note that an extended tax financed welfare
state presupposes that a large fraction of the population is in employment. For the model to be financially viable, the
employment rate must be high. To put it differently, the welfare model is employment focused. […] The Danish welfare
model is based on ambitious egalitarian objectives, and a strengthening of the incentive structure by general reductions
in various benefits included in the social safety net is not a possible policy avenue. Working poor is not a policy
option».
42
Prospetto 1: Policy questions sulle caratteristiche basilari di una misura di contrasto della povertà
A1. Ammissibilità alla misura
Universalismo selettivo (con criterio per fissare la soglia di
povertà) vs. restrizione a categorie o vincolo del finanziamento
A2. Entità del trasferimento
monetario
Trasferimento monetario variabile (in relazione alla soglia di
povertà) vs. fisso
A3. Affiancamento di altri
interventi
Presenza vs. assenza di interventi di sostegno sociale e di
attivazione al lavoro con condizionalità
A4. Continuità della misura
Continuità nel tempo vs. intervento “una tantum” o comunque
transitorio
43
Prospetto 2: Policy questions sugli aspetti di gestione di una misura di contrasto della povertà
B1. Criterio per la
determinazione del reddito
Tipicamente familiare, con indicatori della situazione familiare
(e scale di equivalenza)
B2. Modalità per identificare e Centralizzate o gestite tramite i Comuni o tramite il terzo settore
confermare i beneficiari:
o tramite soluzioni “miste”
B3. Tempestività dell’erogazio- Come tempo che intercorre dal bando alla prima erogazione e
ne ai beneficiari
poi come periodicità delle successive erogazioni
B4. Attività per individuare falsi Presenza, intensità ed efficacia delle azioni tese a identificare
positivi e/o falsi negativi
falsi positivi e falsi negativi
B5. Svolgimento di azioni di Assistenza sociale e azioni per migliorare l’integrazione sociale,
sostegno sociale e/o di interventi miranti all’assolvimento dell’obbligo scolastico,
attivazione al lavoro
azioni di attivazione al lavoro che si configurano come
condizionalità per i beneficiari
Comune – in particolare i suoi servizi sociali –, Centri per
l’impiego, scuole, terzo settore, e Stato o Regione per funzioni
di regolazione e controllo
B6. Ruolo svolto dagli attori
B7. Monitoraggio e valutazione Se e come siano svolte attività sistematiche di monitoraggio
degli effetti
dell’intervento e di valutazione dei suoi effetti
B8. Dimensione dei beneficiari
B9. Risorse
politica
destinate
Numero medio annuo dei beneficiari; tasso dei beneficiari
rispetto alla popolazione; caratteristiche distributive salienti
alla Stanziamento pubblico destinato alla misura e ammontare della
spesa a consuntivo
44
Prospetto 3: Sinossi delle caratteristiche basilari delle misure nazionali e regionali di contrasto della povertà (importi annui in € a prezzi 2011)
Misure
Periodo
Caratteristiche basilari
Universalismo selettivo (con soglia
di povertà) vs. restrizione a
categorie o vincolo del
finanziamento
Trasferimento monetario
variabile (in relazione alla soglia
di povertà) vs. fisso
Presenza di interventi di
sostegno sociale e di
attivazione al lavoro con
condizionalità
Continuità nel tempo vs.
intervento “una tantum” o
comunque transitorio
Nazionali
Reddito minimo di
inserimento (RMI)
Dal 1999
al 2003
Universalismo selettivo:
- residenza di 12 mesi per cittadini
di stati dell’UE, di 36 mesi per
quelli non dell’UE o apolidi
- reddito familiare imponibile a fini
Irpef inferiore a € 4.059
equivalenti (rivalutati annualmente)
- patrimoni mobiliari o immobiliari
come possibile criterio di
esclusione
Trasferimento monetario
variabile che porta il reddito
familiare equivalente alla soglia
di povertà
Interventi di integrazione
sociale e attivazione nel
mercato del lavoro
personalizzati con
condizionalità (accettazione
del programma di integrazione
e della eventuale offerta di
lavoro), applicati in modo
discrezionale dai diversi
Comuni
«Sperimentazione» in 39
Comuni nel 1999-2000,
poi estesa ad altri 267
Comuni (componenti di
patti territoriali che
includevano alcuni dei 39
Comuni) e conclusa
definitivamente nel 2004
Carta acquisti o social
card (SC)
Dal 2009
al 2012
Limitata ai cittadini italiani.
Categoriale in base al requisito
anagrafico, con ammissibilità
ristretta a (i) famiglie con figli fino
a 3 anni e (ii) persone con più di 65
anni
Reddito Isee inferiore a € 6.162
(rivalutati annualmente)
Trasferimento monetario fisso di
€ 480 annui, accreditati
bimestralmente, con vincoli
all’utilizzazione (non rivalutati)
Non previsti
Misura strutturale con
vincolo sulla durata del
finanziamento, dipendente
dagli stanziamenti del
bilancio statale e da
donazioni e liberalità
Nuova social card
sperimentale (SCS)
Dal 2013
Selezione “a bando”:
- residenza di 1 anni per cittadini di
stati della UE e per extra-comunita
ri “lungo soggiornanti”
- reddito: Isee inferiore a € 3.000
- requisiti familiari: almeno un
componente con meno di 18 anni
- requisiti lavorativi: senza lavoro
tutti i componenti in età lavorativa
Trasferimento monetario
variabile in ragione della
numerosità del nucleo familiare
“ristretto”: annualmente, € 2.772
per un nucleo di 2 persone, €
3.372 per un nucleo di 3, € 3.972
per un nucleo di 4, € 4.848 per i
nuclei di 5 o più componenti.
Attivazione prevista a carico
dei Comuni, con progetto
personalizzato sottoscritto dal
beneficiario e vincolante a
pena di decadenza dal
beneficio
Sperimentazione
circoscritta ai 12 Comuni
con popolazione superiore
a 250.000 abitanti
per attuazione di progetti
personalizzati, social
experiment con trattati pari
a metà  2/3 dei nuclei
beneficiari
45
Regionali
Campania:
Reddito di cittadinanza
(RdC)
Dal 2004
al 2010
Residenza nella regione da 60
mesi
Reddito familiare inferiore a €
5.725
Trasferimento monetario fisso di
€ 4.809 annui, pagati
mensilmente
Previsto l’impegno a seguire i
percorsi di inserimento, di
fatto (con eccezione del
comune di Napoli) mai attuato
Sperimentazione triennale
(2004-2006) prorogata due
volte, ma interrotta nel
2010
Basilicata:
Programma di
promozione della
cittadinanza sociale
(PCS)
Dal 2007
a oggi
Selezione “a bando”:
- residenza da 24 mesi
- reddito Isee inferiore a € 3.961
Trasferimento monetario
variabile che porta il reddito
familiare equivalente prossimo
alla soglia di povertà, con un tetto
massimo (es. € 3.906 per famiglie
con un solo componente)
Prevista la firma del
beneficiario su un patto
vincolante a pena di
decadenza dal beneficio
Sperimentazione
biennale, rinnovata per un
altro biennio.
Attualmente, in attesa di
conferme dalla
programmazione del FESR
Friuli-Venezia Giulia:
Reddito di base per la
cittadinanza (RdB)
Dal 2007
al 2008
Universalismo selettivo con forti
caratteri di temporaneità per
sostenere progetti di autonomia
personalizzati.
Richiesti:
- residenza da almeno 12 mesi in
regione
- reddito CEE inferiore a € 5.425
equivalenti
Trasferimento monetario
variabile che porta il reddito
familiare equivalente alla soglia
di povertà, per un massimo di 24
mesi
Prevista la firma del
beneficiario su un patto
vincolante a pena di
decadenza dal beneficio
Sperimentazione
interrotta dopo meno do
un anno dei 5 previsti
Lazio:
Reddito minimo di
garanzia (RMG)
Dal 2009
al 2010
Categoriale “a bando”: ristretto a
persone disoccupate o in cerca di
prima occupazione iscritte a un CpI
(più lavoratori precariamente occu
pati e lavoratori senza retribuzione)
Richiesti, inoltre:
- residenza da 24 mesi
- reddito personale imponibile
inferiore a € 8.344
Trasferimento monetario fisso di
€ 7.301 annuii (eccezion fatta per
i lavoratori discontinui, per i quali
vale la differenza tra reddito e
soglia)
Attivazione prevista, ma non
realizzata, di prestazioni
indirette da parte di Comuni e
Province.
Rinvio agli obblighi
conseguenti all’iscrizione a
un CpI, ma esclusione della
decadenza se l’offerta di
lavoro rifiutata non è
«congrua».
Sperimentazione,
interrotta dopo 1 anno di 3
previsti
Provincia Autonoma di
Trento:
Reddito di garanzia
(RG)
Dal 2009
a oggi
Universalismo selettivo:
- residenza da 36 mesi nella
provincia di Trento
- reddito ICEF inferiore a € 6.780
equivalenti (non rivalutati)
Trasferimento monetario
variabile che porta il reddito
familiare equivalente alla soglia
di povertà
Patto di servizio con l’Agenzia del Lavoro, pena la
decadenza dal programma
Progetto di integrazione
sociale per soggetti con
problematiche particolari
Misura strutturale,
soggetta a modificazioni e
adeguamenti e rifinanziata
annualmente
46
Prospetto 4: Sinossi delle principali modalità di realizzazione di selezionate misure di contrasto della povertà, di interesse nella prospettiva
dell’adozione di un intervento strutturale ispirato all’universalismo selettivo
Modalità salienti
Azioni di so
stegno sociale
e/o attivazione
al lavoro
Ruolo dei
diversi attori
Previste, a
discrezione dei
Comuni
Es. di Foggia
Previste, con
responsabilità
dei Comuni
Immediata, a
fronte della
verifica dei
requisiti
Non previste
A bando
comunale
Entro 120gg.
dall’entrata in
vigore del
regolamento
comunale
Reddito CEE:
Indicatore
della condizio
ne economia e
patrimoniale
A sportello
Reddito
ICEF: Indica
tore della con
dizione econ.
familiare
+ controllo
sui consumi
A sportello,
presso i CAF
convenziona
ti
Misure
Criteri per la
determinazio
ne del reddito
Reddito minimo
di inserimento
(RMI)
Reddito fami
liare imponibi
le ai fini Irpef,
reso equivalen
te con un’op
portuna scala
Carta acquisti o
social card (SC)
Modalità
per
presentare
la domanda
Monitoraggio
e valutazione
degli effetti
Beneficiari:
qualche
numero
Spesa
pubblica per
la misura
Ruolo
centrale dei
Comuni
Previsti.
Realizzato
solo il monito
raggio, valu
taz.
mpraticabile
Nel primo
biennio:
35.000
famiglie in 39
Comuni
Oltre 220 mi
lioni di euro
spesi per la pri
ma sperimen
taz. biennale
Non previste
Struttura per
la gestione:
MEF, INPS
e Poste
Prevista rela
zione annuale
al Parlamento,
mai presentata
535.412
persone rispet
to al target di
1.300.000
207 milioni di
euro fino al
2011
Previste
Responsabilità
dei Comuni
Prevista ero
gazione da
parte di Co
muni, CpI,
sanità, istruz
terzo settore
Previsti, con
valutazione
degli effetti
tramite
esperimento
randomizzato
Si prevede una
copertura del
25% del
bacino teorico
degli
ammissibili
50 milioni di
euro per 12
mesi
Entro 1 mese il
patto
provvisorio ed
entro 4 mesi il
patto definitivo
Previste, ma
non realizzate
Responsabilità
dei Comuni
Previsto un
ruolo attivo
per Comuni,
CpI, CAF,
ASL
Prevista, sia
intermedia che
finale, ma non
realizzata
4.264
domande
accolte in 6
mesi tra 2007
e 2008
25,2 milioni di
euro in 6 mesi
tra 2007 e
2008
Prima erogazio
ne il 21 del
mese successivo
a quello della
presentazione
della domanda,
poi mensile
Condotte a livel
lo provinciale,
soprattutto su
residenza e par
tecipazione a
azioni di attiva
zione al lavoro
Responsabilità
dell’Agenzia
del Lavoro e
dei Servizi
Sociali
provinciali
Ruolo centra
le della am
ministrazio
ne provincia
le e attivo di
CAF e dei
CpI
Posta in atto
fin dalla
delibera
attuativa e
tutt’ora in
corso
Circa 7.000
famiglie
beneficiarie,
quasi la metà
straniere
Mediamente
17 milioni di
euro circa
all’anno (0,1%
del PIL
provinciale)
Tempestività
erogazione
Attività contro
falsi positivi
A bando
comunale
Entro 60 gg.
dalla presenta
zione della do
manda e verifica
dei requisiti
Reddito Isee
A sportello
presso le
Poste Spa
Nuova social
card
sperimentale
(SCS)
Reddito Isee
Friuli-Venezia
Giulia: Reddito
di base per la
cittadinanza
(RdB)
Provincia
Autonoma di
Trento: Reddito
di garanzia (RG)
47
Figura 1: Requisiti di reddito per l’ammissibilità, trasferimento monetario e take-up rate delle misure di contrasto della povertà considerate: una
semplificata rappresentazione grafica (per reddito e trasferimento monetario importi annui in € a prezzi 2011) a
Non
ammissibili
90
6500
5500
70
5000
4500
60
4000
50
3500
3000
40
2500
30
2000
1500
0
4500
3000
5000
RdC (Campania)
Richiedenti
ammissibili
(e dimensione del
nucleo familiare)
100
7000
Non
ammissibili
6500
Richiedenti ammissibili
6000
Cinque o piú
Quattro
3500
Tre
3000
Due
2500
4500
60
4000
50
3500
3000
40
2500
2000
1500
1500
1000
1000
500
500
0
0
90
70
5000
2000
Non ammissibili
80
5500
Reddito Isee equivalente
a
0
7500
4500
4000
10
Reddito Isee equivalente
Trasferimento annuo
Traferimento annuo
5500
20
0
SCS (12 Comuni con più di 250mila abitanti)
6000
30
500
7500
6500
40
2500
Reddito imponibile equivalente
7000
50
3500
1000
0
80
60
4000
1500
10
500
90
70
5000
2000
20
1000
Non
ammissibili
Ammissibili
6000
80
Trasferimento annuo
Trasferimneto annuo
5500
100
7000
Take-up rate
6000
Richiedenti
ammissibili
7500
Take-up rate
7000
6500
SC (Italia)
100
Take-up rate
RMI (39 Comuni, estesi a 315)
7500
30
20
10
0
Reddito Isee familiare
Il take-up rate della SC si basa sull’iniziale stima del Governo di 1.300.000 potenziali beneficiari. Le rette per la SCS si riferiscono a nuclei familiari con diverso numero di
componenti; inoltre per la SCS, in fase di decollo, non si dispone ancora del take-up rate. La stima del take-up rate per il RMG si riferisce alla provincia di Roma.
48
Segue Figura 1
Richiedenti ammissibili
Non ammissibili
6000
90
6500
50
3500
3000
40
2500
Trasferimento annuo
60
4000
30
2000
1500
0
4500
3000
RG (Provincia di Trento)
6500
3000
40
2500
30
2000
1500
0
4500
60
4000
50
3500
3000
40
2500
30
1500
20
1000
10
500
10
500
0
0
Reddito imponibile personale
0
Reddito ICEF equivalente
49
90
70
5000
2000
20
1000
Non
ammissibili
80
5500
Trasferimento annuo
50
3500
Richiedenti ammissibili
6000
70
60
100
7000
80
4000
0
7500
Richiedenti ammissibili
4500
10
Reddito CEE equivalente
90
5000
20
0
Take-up rate
Trasferimento annuo
5500
30
500
100
6000
40
2500
RMG (Lazio)
6500
50
3500
Reddito Isee equivalente
7000
60
4000
1000
0
7500
70
5000
1500
10
500
90
80
2000
20
1000
Non ammissibili
5500
Take-up rate
4500
Richiedenti ammissibili
6000
70
5000
100
7000
80
5500
Trasferimento annuo
7500
Take-up rate
7000
6500
RdB (Friuli Venezia Giulia)
100
Take-up rate
PCS (Basilicata)
7500
Riferimenti bibliografici
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