IL RUOLO DEL LABORATORIO NELL’IPOVITAMINOSI D
Manuela Caizzi (1); Giorgio Paladini (2)
1. S.C. Ematologia Clinica; Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti di Trieste
2. S.C. Ematologia Clinica e Dipartimento di Medicina di Laboratorio; Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali
Riuniti di Trieste
L’ipovitaminosi D rappresenta una condizione patologica di significativo interesse clinico per la
rilevanza epidemiologica di tale stato carenziale nella popolazione adulta italiana, con una prevalenza che
aumenta progressivamente con l’età. La massima espressione del deficit di vitamina D si osserva nella
popolazione geriatrica, ma anche nei giovani adulti durante i mesi invernali. La prevenzione ed il
trattamento del deficit di vitamina D ha spiccata rilevanza clinica nel ridurre l’incidenza di patologie osteometaboliche quali l’osteomalacia-rachitismo e l’osteoporosi, ma anche nel ridurne la severità clinica.
Sono stati inoltre ampiamente studiati i benefici biologici del reintegro di vitamina D anche in
numerose condizioni patologiche extra-scheletriche (malattie neoplastiche, autoimmuni e cardiovascolari).
La maggiore attenzione diagnostica all’ipovitaminosi D e la relativa prevenzione hanno determinato negli
ultimi anni un incremento delle richieste della determinazione laboratoristica della vitamina D nella
popolazione generale.
Per ovvie ragioni economiche non è possibile proporre la misurazione dei livelli di 25(OH)D in tutta la
popolazione. È quindi auspicabile lo sviluppo di algoritmi per la stima del rischio di carenza di vitamina D, al
fine di selezionare i soggetti in cui sia utile l’esecuzione di tale dosaggio. Recentemente, utilizzando i
database di studi condotti su ampie coorti della popolazione generale italiana, è in corso di sviluppo sotto
l’egida della SIOMMMS un algoritmo che la Società intende poi sottoporre ad una validazione prospettica.
Vengono suggerite in questo documento raccomandazioni cliniche inerenti il dosaggio della vitamina D
conformi alle Linee Guida SIOMMMS.
DETERMINAZIONE LABORATORISTICA DELLA VITAMINA D
Il dosaggio laboratoristico della vitamina D riguarda due forme metaboliche principali:
I. 25 idrossi-vitamina D
[25 (OH) vitamina D]
II. 1,25 diidrossi-vitamina D [1,25 (OH)2 vitamina D]
I. Determinazione della 25-idrossivitamina D [25 (OH) vitamina D]
Sebbene le tecniche di dosaggio non siano tuttora adeguatamente standardizzate, il dosaggio della
25(OH)vitamina D sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di riserva vitaminica D
nell’organismo. (1)
Il dosaggio della 25(OH)vitamina D viene attualmente eseguito con tre obiettivi clinici:
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Come screening per i potenziali deficit vitaminici.
Per valutarne i livelli in pazienti con segni e/o sintomi di sospetta tossicità.
Per il monitoraggio nei pazienti che assumano reintegrazione vitaminica.
Criteri di appropriatezza della richiesta di 25 (OH) Vitamina D
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La determinazione dei livelli di 25(OH)vitamina D è appropriata solo in pazienti con condizioni
associate a rischio di carenza.
NON risulta indicata come esame di routine o per screening generalizzato in individui che non
appartengano a categorie a rischio.
NON ci sono indicazioni per una sua determinazione nella valutazione clinica delle varie attività
extra-scheletriche identificate negli studi più recenti.
Recenti dati di letteratura suggeriscono i seguenti intervalli di riferimento nel dosaggio della vitamina D
secondo i criteri di Holick:
In conformità con le ultime Linee guida SIOMMMS in
Italia viene accettata la definizione dell’ipovitaminosi
D con una soglia diagnostica della concentrazione di
vitamina D inferiore a 30 ng/ml (condizione che include
gli stati di insufficienza e carenza di vitamina D). (2)
Ricerca di stati carenziali di vitamina D
Le principali indicazioni cliniche al dosaggio di 25(OH) vitamina D sono le seguenti:
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Pazienti con diagnosi accertata di rachitismo o osteomalacia
Pazienti con diagnosi accertata di osteoporosi (necessario aver eseguito la densitometria ossea
computerizzata)
Insufficienza renale cronica
Insufficienza epatica
Sindromi cliniche da malassorbimento intestinale: malattie croniche intestinali, celiachia, chirurgia
bariatrica, enterite da radiazioni
Iperparatiroidismo primitivo
Iperparatiroidismo secondario (diagnostica differenziale per le forme da carenza di vitamina D)
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Cadute frequenti nell’anziano (miopatie da stati carenziali)
Assunzione cronica di farmaci che inducono ipovitaminosi D:
antiepilettici (fenobarbital), glucocorticoidi, antifungini, antivirali per HIV, colestiramina).
Screening dell’ipovitaminosi D nella popolazione adulta
L’impiego del dosaggio della vitamina 25(OH)D è un indicatore ottimale dello stato di replezione di
vitamina D nell’organismo e pertanto anche nello screening dell’ipovitaminosi D. Tuttavia, l’impiego di tale
dosaggio, nell’ambito di uno screening generalizzato o per il periodico monitoraggio in corso di
supplementazione, non appare economicamente giustificato.
Ai fini della prevenzione dell’ipovitaminosi D nella popolazione adulta, in assenza di condizioni
patologiche specifiche e fattori di rischio per la carenza vitaminica, è quindi ragionevole stratificare la
popolazione per età ritenendo che:
• In soggetti di età inferiore a 60 anni con uno stile di vita caratterizzato da normale esposizione
solare (una vacanza marina all’anno, e più di 20 minuti/die di vita all’aperto nel periodo estivo), non
risulta indicato eseguire controlli per verificare un eventuale stato di insufficienza e quindi neppure
di supplementi.
•In soggetti con una età tra 60 e 70 anni, si può ritenere che non esista uno stato di insufficienza di
vitamina D solo in presenza di stili di vita caratterizzati ad esempio da prolungate vacanze d’estate,
con ampia esposizione solare. Per questo intervallo di età (60-70 anni) un controllo dei livelli di
25(OH)D appare altrimenti giustificato. Tuttavia, un approccio pragmatico che preveda la
supplementazione “in cieco” con 600-1000 UI/die appare anche accettabile, una volta escluse le
condizioni in cui la vitamina D può essere controindicata (rischio di sovradosaggio). (3)
•In persone di età superiore a 70 anni (ed in maniera crescente con l’avanzare dell’età) che non
assumano supplementi di vitamina D la carenza vitaminica ha una prevalenza vicina al 100%. In
questi casi, laddove non sia indispensabile il controllo della 25(OH) per concomitanti condizioni
patologiche, si può intraprendere trattamento empirico reintegrativo senza effettuarne un
dosaggio preliminare.
Monitoraggio in corso di supplementazione con vitamina D
Ai fini del monitoraggio dei livelli di vitamina D in pazienti che assumano supplementi è indicato
effettuare una valutazione dopo 2 anni dall’inizio di trattamento reintegrativo con dosi giornaliere superiori
a 1000 UI. (4) Solo in pazienti con persistenti fattori di rischio per ipovitaminosi D è utile una valutazione
dei livelli di vitamina D dopo sei mesi.
Inoltre solo in condizioni patologiche particolari, quali malattie granulomatose o iperparatiroidismo
primitivo (associate ad aumento della produzione di vitamina D), è necessario un più stretto monitoraggio
laboratoristico in corso di supplementazione per il rischio di tossicità.
II. Determinazione della 1,25-diidrossivitamina D [1,25(OH)2D]
I metodi di misura della 1,25(OH)2 vitamina D, molto più di quelli per la 25-OH vitamina D, sono soggetti a
imprecisione analitica, dovuta principalmente alla necessità di procedure di estrazione del campione prima
della misura, rendendo la metodica più lunga e costosa.
Inoltre le indicazioni per la misura della 1,25 (OH) vitamina D circolante sono molto limitate.
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la misura della 1,25(OH)2D è appropriata nella valutazione o nel trattamento di condizioni che
possono essere associate con difetti congeniti o acquisiti del metabolismo della vitamina D e del
fosfato.
la misura della 1,25(OH)2D non è considerata appropriata nè per la valutazione, nè per lo
screening della carenza di vitamina D, perché non è un indicatore affidabile dei livelli di vitamina
D nel siero. Infatti i suoi livelli circolanti non riflettono la riserva di vitamina D dell’organismo; il
valore risulta inoltre spesso normale o elevato in pazienti con deficit di 25(OH) vitamina D, a causa
del conseguente iperparatiroidismo secondario.
Secondo le linee guida presenti in letteratura, la misura della 1,25(OH)2 vitamina D e’ indicata solo in
presenza di:
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ipercalcemia associata a bassi livelli di PTH circolante (per lo screening di malattie
granulomatose quali sarcoidosi, tubercolosi, o emoproliferative come alcuni linfomi)
disordini congeniti o acquisiti del metabolismo della 25(OH) vitamina D o del fosfato (per lo
screening di rachitismi resistenti a vitamina D/ipofosforemia oncogenica/
disordini ereditari da perdita di fosfato o altri disordini con sospetta patologia delle
fosfatonine)
nei casi di insufficienza renale cronica per eventuale modulazione della supplementazione
in casi particolari di iperparatiroidismo primitivo.
Da queste considerazioni consegue che per una corretta valutazione delle indicazioni per la misura della
1,25 (OH) vitamina D e’ necessario eseguire in precedenza una adeguata valutazione clinica e il dosaggio dei
seguenti esami:
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calcemia,
fosforemia,
PTH,
25-OH vitamina D,
creatininemia,
proteine totali,
calciuria, fosfaturia.
Solo successivamente e in base a specifico sospetto clinico il dosaggio di 1,25(OH)2 vitamina D può
contribuire ad una definizione diagnostica ed eventualmente in seguito terapeutica.
Sinossi delle principali evidenze scientifiche relative al dosaggio della vitamina D nell’adulto
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La prevenzione ed il trattamento del deficit di vitamina D ha spiccata rilevanza clinica nella
prevenzione dell’osteomalacia-rachitismo ed osteoporosi, ma sono stati ampiamente studiati i
benefici biologici anche in numerose condizioni patologiche extra-scheletriche (malattie
neoplastiche, auto-immuni e cardiovascolari).
La rilevanza epidemiologica del deficit di vitamina D negli adulti è particolarmente significativa in
Italia con particolare riferimento alla popolazione geriatrica ed alla stagione invernale. (4-5)
L’ipovitaminosi D rappresenta un fattore di rischio indipendente per fratture scheletriche in pazienti
con diagnosi di osteoporosi. (6-7)
In presenza di deficit severo vanno somministrate dosi cumulative di vitamina D variabili tra 300.000
ed 1.000.000 di U.I, nell’arco di 1-4 settimane. Una volta corretto il deficit vitaminico, la dose
giornaliera di prevenzione - mantenimento varia in funzione dell’età e dell’esposizione solare, con
un range compreso tra 800 e 2.000 UI/die o equivalenti settimanali.
Il dosaggio della 25(OH)vitamina D sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo
stato di replezione vitaminica D nell’organismo, sebbene le tecniche di dosaggio non siano tuttora
adeguatamente standardizzate.
Nell’ipovitaminosi D sono state identificate soglie per una condizione di “carenza” [25(OH)D <20
ng/ml] e di “insufficienza” [25(OH)D tra 20 e 30 ng/ml].
Il dosaggio dei metaboliti idrossilati non è raccomandato né per la diagnosi di sospetta
ipovitaminosi D, né per lo screening.
Raccomandazioni
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La determinazione dei livelli di 25(OH)vitamina D è appropriata solo in pazienti con condizioni
associate a rischio di carenza.
NON risulta indicata come esame di routine o per screening in individui che non appartengano a
categorie a rischio.
NON ci sono indicazioni per una sua determinazione nella valutazione clinica delle varie attività
extra-scheletriche identificate negli studi più recenti.
In soggetti di età inferiore a 60 anni, non malnutriti e con normale esposizione solare annuale, NON
vi sono indicazioni al di fuori delle condizioni patologiche sopracitate al dosaggio ed alla
supplementazione della vitamina D.
In soggetti di età superiore a 70 anni la prevalenza della carenza di vitamina D è prossima al 100%.
In assenza di specifiche condizioni patologiche o controindicazioni è pienamente giustificato un
trattamento empirico “ in cieco" con vitamina D (300.000 Unità in bolo parenterale seguito da
assunzione cronica per os di 1000 Unità/die) senza effettuarne preliminarmente il dosaggio.
In età compresa fra 60 e 70 anni è indicato il dosaggio di vitamina D per screening dell’ipovitaminosi
prima di intraprendere lo specifico trattamento.
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Un controllo dei livelli di 25(OH)D è raccomandato ogni due anni in caso di supplementazione per
trattamenti con dosi quotidiane superiori a 1.000 UI.
La dose massima giornaliera oltre cui si ritiene elevato il rischio di intossicazione è stata identificata
in 4.000 UI. (7)
I supplementi di vitamina D devono essere usati con cautela e monitorando con un periodismo più
stretto i livelli di 25(OH)D solo nei pazienti con malattie granulomatose o iperparatiroidismo
primitivo.
Nota:
Documento redatto in conformità alle Linee Guida SIOMMMS 2013 sulla prevenzione e il trattamento
dell'ipovitaminosi D.
Bibliografia
1. Binkley N, Krueger DC, Morgan S, Wiebe D. Current status of clinical 25-hydroxyvitamin D
measurement: an assessment of between-laboratory agreement. Clin Chim Acta 2010; 14: 1976-82.
2. Holick MF. Vitamin D deficiency. N Engl J Med 2007; 357: 266-81.
3. Adami S, Bertoldo F, Braga V, Fracassi E, Gatti D, Gandolini G, et al. 25-hydroxy vitamin D levels in
healthy premenopausal women: association with bone turnover markers and bone mineral density.
Bone 2009; 45: 423-6.
4. Rosen CJ. Vitamin D insufficiency. N Engl J Med 2011; 364: 248-54.
5. Rossini M, Perbellini S, Lazzarin M, Adami S, Bertoldo F, Lo Cascio V. Incidenza di ipovitaminosi D nel
Nord Italia. It J Min Elect Metab 1990; 4: 13-7
6. LeBoff MS, Kohlmeier L, Hurwitz S, Franklin J, Wright J, Glowacki J. Occult vitamin D deficiency in
postmenopausal US women with acute hip fracture. JAMA 1999; 281: 1505-11.
7. Nuti R, Martini G, Valenti R, Gambera D, Gennari L, Salvadori S, et al. Vitamin D status and bone
turnover in women with acute hip fracture. Clin Orthop Relat Res 2004; 422: 208-13.
8. Ross AC, Taylor CL, Yaktine AL, Del ValleHB, Editors; Committee to Review Dietary Reference
Intakes for Vitamin D and Calcium; Institute of Medicine. ISBN: 0-309- 16395-1, 482 pages. National
Academics Press 2010.
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