GIORGIO ALDRIGHETTI
Il patrimonio araldico delle chiese di Chioggia e non
solo…
Premessa
Cattedrale di Santa Maria Assunta
Campanile cattedrale
Chiesa di San Martino vesc.
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo ap.li
Chiesa di Maria Ss.ma Ausiliatrice
Chiesa del Corpus Domini
Chiesa di San Francesco
Chiesa di San Giacomo ap.lo
Chiesa della Trasfigurazione
Chiesa del Patrocinio di Maria e di San Filippo Neri
Chiesa di Santa Caterina
Chiesa agostiniana di San Nicolò
Chiesa di Sant’Andrea ap.lo
Chiesa della Santa Croce
Chiesa di San Domenico
Chiesa di San Francesco fuori le mura
Chiesa di Sant’Antonio da Padova
Chiesa Madonna Immacolata
Chiesa di San Giovanni Battista e Sant’Antonio da Padova
Chiesa di San Giovanni Battista
Palazzo vescovile
Giardini vescovili
Museo diocesano d’arte sacra
Premessa
L’araldica1, che insegna a comporre gli stemmi, è essenzialmente un linguaggio figurato. Lo
stemma esprime un’impresa, ricorda un fatto; per questo diventa un contrassegno, tracciando sugli
scudi delle città, delle famiglie, degli ordini religiosi le vicende, i titoli e le particolarità di essi,
servendosi di un mezzo conosciuto da tutti i popoli, il simbolo, che si esprime con la
rappresentazione di animali, corpi celesti, figure mitologiche, piante, croci e un’altra infinità di
figure, chiamate appunto figure araldiche. E l’araldica, contrariamente a quanto comunemente si
pensa, non nasce per ostentare dei segni vanagloriosi di nobiltà e di privilegio, ma per pura e
semplice necessità di riconoscimento.
Analizzando gli smalti del campo dello scudo, ricordiamo che essi si distinguono in metalli, oro e
argento, in colori, rosso, nero, azzurro, verde e porpora e in pellicce, l'ermellino e il vajo.
Gli araldisti chiamano tali pelli anfibie, in quanto è permesso, senza alterare le regole del blasone,
porre dei metalli o dei colori sopra le medesime. Infatti, una delle regole araldiche più note recita
che “non si deve mai porre metallo su metallo o colore su colore”; se ciò si riscontra, lo scudo
prende il nome di stemma d’inchiesta, dovendosi appurare il motivo.
Altra regola fondamentale riguarda la posizione degli animali che devono essere volti alla loro
destra, cioè a sinistra per chi osserva l’animale caricato nello scudo, anche se sovente lo troviamo
“rivoltato” per semplici “ragioni di euritmia”.
Nel caso dell’arma clodiense, però, visto che ciò avviene, di regola, quando questa è accompagnata
da altre, crediamo sia più appropriato parlare di “leone rivoltato per cortesia”, cioè per non porgere
il dorso, bensì riguardare l’arma dell’Ecc.mo Sig.re il Sig.r Podestà o di Mons. Illustr.mo e Rev.mo
il Vescovo, che d’ordinario si trovavano alla sinistra di quella della Magnifica Città di Chioggia.
Fa giustamente rilevare, a tal proposito, il Morari nel libro V della sua Historia della Città di
Chioggia che, appunto, “Vedemo che l’arma della Città sta sempre in più onorato luoco di quella
del Podestà e li precede”.
Mentre, aggiungiamo noi, nei monumenti religiosi, dovendo com’è giusto il temporale cedere il
passo allo spirituale, era invece l’arma vescovile ad occupare la posizione (centrale) più onorevole,
avendo alla propria destra quella civica, seconda nell’ordine delle precedenze, ed alla propria
sinistra quella podestarile.
Di sicuro, però, la presenza di tanti leoni “rivoltati per cortesia” ha ingannato più di qualcuno che,
digiuno di araldica, ha creduto essere l’arma clodiense sempre così fatta.
Il simbolo è infatti un linguaggio universale che offre molteplici significati accessibili a tutti: è il
linguaggio del sacro, che trasforma realtà spirituali altrimenti impossibili da rappresentare e
comunicare.
Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale
segnare le proprie carte, è in qualche modo cercare se stessi, la propria immagine, la propria
identità.
Ecco come un atto che potrebbe essere letto solo formalmente può acquistare, invece, un significato
pregnante, come nel presente saggio che riguarda il patrimonio araldico presente nelle chiese di
Chioggia, oltre al palazzo vescovile e al museo diocesano d’arte sacra.
Cattedrale di Santa Maria Assunta (143)
La costruzione originaria risale al 1100, periodo nel quale venne traslata a Chioggia la sede
vescovile, che in precedenza era a Malamocco; quella attuale, opera di Baldassare Longhena, è del
sec. XVII.
Sopra il portale d’ingresso, figura alzato lo stemma di mons. Adriano Tessarollo, LXXXI vescovo
clodiense, con il blasone: “Partito: nel primo di rosso alla spada d’argento, manicata d’oro, posta in
palo, con la punta rivolta verso il capo, sormontata da due api d’oro montanti, poste in fascia; nel
secondo d’argento a tre fasce ondate diminuite d’azzurro, moventi dalla punta, sormontate da un
avambraccio nudo, uscente dal fianco sinistro dello scudo, impugnante una rete da pesca di nero,
uscente dalle fasce ondate. Lo scudo, accollato ad una croce astile d’oro trilobata, è timbrato da un
cappello di verde, con cordoni e nappe dello stesso, in numero di dodici, disposte sei per parte, in
tre ordini di 1, 2, 3”. Sotto lo scudo, nella lista svolazzante d’argento, il motto in lettere maiuscole
di nero: “IN VERBO TUO”2.
Sempre nella facciata, sopra l’iscrizione su lastra di marmo bianco che ricorda la ricostruzione - a
seguito di incendio nella notte del 25 dicembre 1623 - del sacro tempio dedicato a Maria Assunta,
essendo doge Francesco Erizzo, vescovo Pasquale Grassi e podestà Leonardo Giustinian, figura
alzato un leone lapideo marciano passante (25) sostenente con la zampa anteriore destra lo stemma
del doge Cristoforo Moro, (1462-1471); nel 1995 lo abbiamo scelto per modello, proprio per le
eccellenti e perfette forme araldiche, per comparire nella bandiera della città di Venezia - chiamata
erroneamente dai veneziani “Gonfalone” - essendoci stato affidato l’incarico ufficiale
dell’istruttoria araldica dei nuovi simboli (stemma, bandiera, gonfalone e sigillo) della città di san
Marco. Il relativo decreto del presidente della Repubblica concessivo della bandiera alla città di
Venezia vedrà la luce l’8 gennaio 19973.
Nella navata, abside, sopra l’iscrizione lapidea che fa memoria della ricostruzione della cattedrale
durante l’episcopato di Pasquale Grassi, essendo podestà il N.H. Andrea Duodo, figurano cimati tre
stemmi (27): al centro quello del vescovo Pasquale Grassi “D’azzurro al drago d’oro sormontato da
una stella dell’ultimo di otto raggi” con alla propria destra il leone, in positura rampante, della
comunità di Chioggia e alla propria sinistra lo stemma patriziale dei Duodo: “di rosso alla banda
d’oro, caricata da tre gigli, posti nella direzione della banda”4. Per l’interessamento del Duodo, la
Serenissima stanziò 2000 ducati, cui il podestà aggiunse 1600 ducati riscossi da debitori insolventi.
Sempre nell’abside della navata figurano quattro stemmi (29) che cimano la lapide che ricorda le
benemerenze, per la ricostruzione del tempio, dei podestà NN.HH. Sebastiano Michiel e Alvise
Foscarini sotto l’episcopato di Pasquale Grassi. Di norma figurano sempre tre stemmi, (vescovo,
città e podestà); in questo caso, invece, quattro, con - osservando da sinistra a destra - le insegne
della casa patriziale Michiel, “fasciato d’azzurro e d’argento, sei volte caricate rispettivamente da
6,5,4,3,2,1 bisanti d’oro”, del vescovo Pasquale Grassi, della città di Chioggia con lo scudo caricato
da un leone rivoltato5 e del podestà Foscarini, con la caratteristica banda losangata d’azzurro su
campo dorato. Il leone clodiense, figurando “rivoltato”, porge, oltretutto, il dorso allo stemma del
vescovo Grassi, contravvenendo così alle regole blasoniche che vedono, invece, il leone volto alla
propria destra, senza notare il grossolano errore dei mandanti e degli esecutori materiali di tale
insegna, a riprova, ancora una volta, che l’araldica ha sempre avuto pochi veri cultori.
Alla sommità del presbiterio, sopra la cattedra episcopale - che cima su scudo ligneo sagomato lo
stemma del vescovo mons. Adriano Tessarollo (2009) - figura la lapide che ricorda la costruzione
dell’abside nel 1647, a onore di Maria Assunta e dei Santi Felice e Fortunato, essendo vescovo
Francesco Grassi e podestà il N.H. Sebastiano Badoer, sormontata dallo stemma del vescovo
Grassi, con alla propria destra quello di Chioggia ed alla propria sinistra quello patriziale dei
Badoer, “bandato di rosso e d’argento, carico di un leone d’oro”.
Parimenti alla sommità del trono podestarile, sempre nel presbiterio, figura lo scudetto ligneo
accartocciato: “d’argento al leone di rosso”, arme di Chioggia, mentre, di fronte, nello stallo ligneo
- antica sede del celebrante - figura altro scudetto: “d’oro al leone di rosso”, sicuramente altra
insegna della città di Chioggia, anche se con smalto diverso, forse brunita, a causa di perdita di
colore.
Con l’occasione facciamo osservare che la statua lignea di Santa Cecilia v.m.6- compatrona della
città e diocesi di Chioggia - cima la cattedra episcopale, mentre le statue lignee dei santi Felice e
Fortunato Mm.7, Patroni principali della città e diocesi cimano il trono podestarile e lo stallo posto
di fronte, già primigena sede del celebrante.
Passando al pergamo, nella fronte del baldacchino dorato, troviamo uno scudo d’aspettazione8, con
gli ornamenti esteriori episcopali, con alla propria destra lo stemma di Chioggia: “di bianco9 al
leone di rosso rivoltato”, e con alla propria sinistra lo stemma del N.H. Alvise Malipiero, podestà di
Chioggia nel 1682. In tale periodo, infatti, la sede episcopale era vacante. Lo scudo patriziale
Malipiero si blasona: “d’argento alla mano d’aquila di nero10”. Nel dorso della colonna, sempre del
pergamo, ricoperta di cuoio tornito a fuoco, risultano interessanti gli stemmi del vescovo clodiense
Antonio Grassi, “d’argento all’aquila, con il volo abbassato, di nero, caricata in cuore da uno
scudetto d’azzurro al drago d’oro, sormontato da una stella dell’ultimo, di otto raggi” e con alla
propria destra lo stemma di Chioggia, d’argento al leone di rosso, rivoltato, ed alla sinistra lo
stemma del podestà N.H. Pietro Sagredo: “d’oro alla fascia di rosso”, con lo scudo timbrato da una
corona patriziale, mentre sotto la loggia del pulpito, fra due cariatidi, figura l’iscrizione su marmo
bianco, sagomato a foglio, relativa al manufatto che fu elevato a spese della fabbrica della
cattedrale, per volontà del vescovo Giannantonio Baldi, del podestà Girolamo Morosini, del clero e
dei cittadini, nell’anno 1677. Sovrastante l’iscrizione, le insegne araldiche (35) del vescovo Baldi:
“troncato: nel primo d’argento a due alberi fogliati, piantati su due monti di tre pezzi, all’italiana, il
tutto al naturale11; nel secondo sbarrato d’azzurro e d’argento di sette pezzi”, con alla propria destra
quella di Chioggia, con il leone rivoltato e alla propria sinistra quella patriziale dei Morosini,
quest’ultimo: “d’oro alla banda d’azzurro”.
Sulla cresta dell’imponente battistero, sopra l’iscrizione che ricorda come l’artistico manufatto sia
stato eretto nel 1708 dal vescovo Antonio Grassi, dal podestà N.H. Antonio Grimani e dalla
congregazione, invece, figurano alzati tre stemmi (37). Al centro, quello del vescovo Antonio
Grassi: “D’argento all’aquila, con il volo abbassato, di nero, caricata in cuore da uno scudetto
d’azzurro al drago d’oro, sormontato da una stella dell’ultimo, di otto raggi”, con alla propria destra
lo stemma clugiense con il leone di rosso rivoltato e alla propria sinistra l’arme patriziale del N.H.
Antonio Grimani: “Palato d’argento e di rosso di otto pezzi, alla crocetta piana e scorciata del
secondo, caricante il terzo palo verso il capo”.
Passando all’altare di Sant’Antonio, eretto nel 1671, a spese della comunità, grazie alla munificenza
del podestà Giovanni Soranzo, come risulta dalla iscrizione lapidaria, tra le cimase, troviamo lo
stemma di Chioggia, (38) che qui figura: “d’azzurro al leone d’oro”, accompagnato dall’arme
patriziale Soranzo: “trinciato d’oro e d’azzurro”.
Nell’attiguo altare dedicato all’Assunta, titolare della cattedrale, tra le cimase, su un ampio drappo
lapideo sostenuto da due angeli, figura l’iscrizione che ricorda come la congregazione della fabbrica
della cattedrale abbia fatto erigere all’Assunta Madre di Dio l’altare, ai tempi del podestariato del
N.H. Gabriele Venier, nell’anno 1682, risultando vacante la sede episcopale, il tutto cimato da tre
stemmi (39). Al centro uno scudo d’aspettazione, con gli ornamenti esteriori vescovili, con alla
proprio destra lo stemma di Chioggia, con leone rivoltato, e alla propria sinistra quello della casa
patriziale Venier: “fasciato di rosso e d’argento”.
Interessante anche l’iscrizione su lastra di marmo nero incorniciata, (41) issata a mezza parete, a
destra dell’altare di San Giovanni il Battista, dove si apprende che la nipote ed erede del vescovo
Francesco Grassi ne ha eseguito le ultime volontà, attraverso la costruzione dell’altare, anche per
onorare l’anima del prelato. La lastra risulta cimata dallo stemma: “d’azzurro al drago d’oro
sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi”, con gli usuali ornamenti esteriori episcopali.
Altro stemma del vescovo Francesco Grassi figura intagliato nella artistica catena metallica che
sostiene una lampada argentea pensile e che parte dalla sommità della volta, posta di fronte
all’altare di San Giovanni e che porta alla navata centrale.
Al lato sinistro dell’altare di San Rocco figura, invece, a mezza parete, l’iscrizione lapidea (42) che
ricorda come il vescovo Antonio Grassi, prima di morire fece costruire un sepolcro per sé e per i
suoi successori, facendo, altresì, costruire l’altare di san Rocco, a seguito di un suo lascito
personale. L’iscrizione risulta sormontata dall’arme del vescovo Grassi.
Altra iscrizione lapidea (43) figura al lato destra del medesimo altare, sempre a mezza parete, dove
si evince che per ordine del vescovo Antonio Grassi, il pronipote ed erede, dopo avergli eretto in
coro un monumento, decretò di costruire anche questo altare. Anche sopra tale lapide troviamo
l’eguale stemma episcopale Grassi.
Tornando alla navata centrale, troviamo l’iscrizione lapidea (47) - posta nel 1693 dal vescovo
Giovanni Benedetto Civran e dal capitolo, a perenne memoria del canonico Gerolamo Vianelli,
autore della cronotassi dei vescovi clugiensi, cimata dallo stemma della casa Vianelli: “d’azzurro a
tre bande d’oro” - di pregevole fattura - timbrato da un elmo non coronato, con i previsti svolazzi12.
Di fronte, figura la lapide (48) del 1675, che ricorda il medico e filosofo patavino Camillo Da Moro,
che operò in Chioggia, posta dal figlio Lorenzo, anch’egli medico nella città lagunare. La lapide
figura cimata dallo stemma di tale famiglia: “troncato: nel 1° d’azzurro alla stella (6) d’oro; nel 2°
d’argento, al moro nascente13 dalla punta, con una fascia d’oro ristretta sulla troncatura”.
Nella navata destra, invece, nella cimasa dell’altare di San Liborio, figura alzata l’insegna della casa
Renier: “partito d’argento e di nero, allo scaglione dell’uno nell’altro”; eguale stemma lapideo
figura anche, ai piedi dell’altare, caricato nella lastra tombale di tale distinta famiglia, voluto
dall’arciprete della cattedrale Vittorio Renier, per se e i suoi discendenti nel 1672. L’arciprete, che
figura anche ritratto nell’ovale presente nella pala dell’altare - da alcuni attribuita a Martino Jagher,
da altri al Le Fevre - contribuì con 1100 ducati alla costruzione di tale manufatto.
Esaminando sempre le lastre tombali, di particolare pregio figura quella al centro della crociera in
marmo nero, con intarsiati gli ornamenti araldici esteriori tipici dei vescovi, dove, dall’iscrizione,
apprendiamo che il vescovo Antonio Grassi, a proprie spese, volle costruire tale avello per sé e per i
suoi successori. In punta dell’iscrizione lapidea, figura lo stemma della casa Grassi, anche se
particolarmente consunto, per il secolare calpestio dei fedeli. Sempre lo stemma dei Grassi figura
anche, nelle borchie in bronzo, poste ai quattro lati della lapide.
In tale crociera, sotto la punta di tale lastra, ne figura un'altra, con l’iscrizione oramai
completamente consunta, mentre lo stemma lo si individua solo dai contorni, causa il secolare
calpestio.
Altra lastra tombale, settecentesca (1744) posta da Innocenzo Bonaldo per il fratello Nicolò e gli
altri famigliari, con stemma accartocciato di tale casa: “troncato, semipartito: nel 1° d’azzurro a tre
ventole poste in croce, il tutto d’oro e movente da una fascia ristretta e partita, posta nella
troncatura: nel primo d’oro, nel secondo di rosso; nel 2° partito: nel primo di rosso, nel secondo
palato d’oro e d’azzurro” - poco visibile osservando solo la troncatura, causa calpestio – è presente
nella navata di sinistra, fronte altare di S. Antonio, con attigua altra lastra tombale di Giuliano
Scarpa, posta nell’anno del Signore 1728, con in punta - su uno scudetto a forma di cuore, incisa
una scarpa rivoltata. Lo scudo di tale casa, infatti, carica: “d’argento alla scarpa rivoltata di nero”.
Ancora una lastra tombale con stemma figura ai piedi della cappella dei Santi Patroni, a ridosso dei
gradini, dove riposano i resti mortali del canonico Domenico Olivotti, spirato nel 1697. Lapide
voluta dalla madre e dalla sorella Maria, figura con l’arme della casa Olivotti: “d’azzurro ad un
albero d’olivo al naturale, nodrito sulla campagna di verde”, timbrato da una berretta “tricorno”14.
Sempre nella navata sinistra, attigua alla cappella dei Santi Patroni, figura l’iscrizione voluta dai
pronipoti in memoria del clodiense Pietro Morari, vescovo di Capodistria dal 1632 al 1652 e illustre
storico della città natia. L’iscrizione lapidea (49) figura sormontata dallo stemma del presule:
“d’azzurro all’albero del moraro al naturale, con addestrato un leone d’oro”, orfano, negli ornamenti
esteriori delle cordigliere e delle nappe, andate distrutte con la caduta della volta del soffitto del
transetto, avvenuta nel 1987 e non più ricostruite, che carica l’albero del Moraro (Gelso o Moraro o
Morus della famiglia delle Moraceae) e quindi stemma parlante15.
Nel transetto, navata di destra, figura, invece, altra lastra tombale con probabile stemma troncato;
nel secondo si intravvede parte di un giglio, caricato sopra un cesto o una coppa.
Sempre in tale navata, attigua alla cappella dei Santi Protettori, figura anche l’iscrizione (50) posta
nel 1756 dai triumviri deputati della città, in ricordo del vescovo Gian Alberto De Grandi. Alla
sommità l’arme episcopale: “d’azzurro all’albero fogliato al naturale, piantato su una campagna di
verde e sostenuto da un leone d’argento”.
Sulla base processionale delle statue in alluminio colorato dei Santi Felice e Fortunato Mm., patroni
della città e diocesi di Chioggia, (51) realizzate dallo scultore Luigi Tomaz nel 1980, sotto
l’episcopato di Sennen Corrà, figura nella fronte lo stemma del vescovo clodiense Adriano
Tessarollo (2009)16 e nel retro lo stemma della città di Chioggia: “ d’argento al leone di rosso”.
Altra insegna araldica appare anche sulla base processionale della statua lignea della Madonna
Pellegrina, arrivata in Chioggia nell’anno 1948, sicuramente dono dell’Ordine Equestre del Santo
Sepolcro di Gerusalemme, caricando l’insegna: “d’argento alla croce di rosso, potenziata e
accantonata da quattro crocette semplici dell’ultimo”. Tale simulacro, passò in pellegrinaggio negli
anni 1948-1949 per tutte le parrocchie della diocesi, in preparazione all’anno santo del 1950.
Ai piedi della cappella dei Santi Patroni, sulla sinistra, si staglia un’artistica lampada in ferro
battuto, dono degli alunni della scuola media statale Silvio Pellico, nel 1952, essendo vescovo
mons. G. B. Piasentini, sindaco della città Marino Marangon e preside della scuola Domenico
Perini. (52) Su due cartigli, in rame sbalzato, appaiono gli stemmi del vescovo Giovanni Battista
Piasentini (1952-1976): “Partito: nel primo campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta,
quello di mezzo più alto e sostenente un cestello al naturale, ripieno di erba di verde e sormontato
da una colomba d’argento nell’atto di beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati
da un cipresso al naturale (Fede e Speranza), (Religione delle Scuole di Carità, Padri Cavanis); nel
secondo d’azzurro al fuoco ardente di rosso, sormontato da una stella di sei raggi d’oro. Al capo, di
rosso al leone passante d’oro, alato e nimbato dello stesso, tenente con la zampa anteriore destra un
libro d’argento aperto scritto delle parole in lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE
EVANGELISTA MEUS” e di Chioggia “d’argento al leone di rosso”.
Nella colonna di sinistra, in corrispondenza dei gradini d’accesso alla cappella, troviamo
l’iscrizione lapidea del 1729 (55) che ricorda il rivestimento marmoreo del ciclo pittorico del
martirio dei santi patroni Felice e Fortunato, essendo vescovo Giovanni Soffietti e podestà
Francesco Bonfaldini, cimata dallo stemma del vescovo Soffietti, (1716-1733): “d’argento alla
fortezza chiusa e finestrata di nero, torricellata di tre pezzi, sostenuta da una pianura, il tutto al
naturale; la prima e la terza sostenente due uccelli d’argento, affrontati, accompagnati al capo da
una corona all’antica, d’oro”, da quello - alla propria destra - di Chioggia e per ultimo, - alla propria
sinistra - da quello del podestà N.H. Francesco Bonfadini (1727-1729): “di rosso all’aquila bicipite
spiegata di nero, membrata, imbeccata e coronata d’oro, accompagnata fra le due teste da un giglio
dello stesso, e caricata in cuore da uno scudetto ovale troncato, d’azzurro e d’oro con la torre
d’argento nell’azzurro”, mentre nella colonna di destra figura una lapide marmorea, (67) con i nomi
del canonico Rocco Vianelli, del fratello cavalier Baldassare e della cognata Felicita, benefattori di
tale cappella, recante la data del 1729, con caricata in punta l’arme bronzea Vianelli. “d’azzurro a
tre bande d’oro”17, con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti, di grossolana fattura.
Analizzando l’urna che contiene i resti mortali dei Santi Patroni - teschio di San Fortunato e le ossa
di san Felice, come si rileva dall’iscrizione latina - notiamo la saracinesca d’argento massiccio che
ricopre e protegge l’urna, con, in bassorilievo, le effigie dei santi patroni stessi, ed in punta lo
stemma del vescovo Fra’ Ludovico Marangoni: “d’azzurro al palmipede fermo di nero, rivoltato,
sostenuto da uno scoglio al naturale e sormontato dal sole raggiante d’oro, nel canton destro. Al
capo, d’argento al braccio nudo di Cristo posto in croce di Sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca
di Francesco, la mano del quale reca le stigmate; dall’incontro nasce una croce latina, di nero, il
tutto movente dalle nuvole d’argento (Religione dei frati minori conventuali). Lo scudo è accollato
ad una croce astile latina d’oro ed è timbrato da un cappello di verde con cordoni e nappe dello
stesso, in numero di dodici, sei per parte, in tre file, disposti 1, 2, 3”.
Nel fronte anteriore del coperchio dell’urna argentea, al centro, figura alzato lo stemma del sommo
pontefice - allora regnante - san Pio X che così si blasona: “d’azzurro all’ancora di tre uncini di
nero cordata di rosso, posta in banda, pescante in un mare ondato al naturale e accostata al capo da
una stella di sei punte d’oro. Al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone alato, nimbato e
passante, al naturale, sostenente con la zampa anteriore destra un libro aperto recante la leggenda:
PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. Lo scudo risulta accollato dalle chiavi pontificie, una d’oro e
l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra
e a sinistra, e legate da un cordone di rosso, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso.
Lo scudo risulta timbrato dal triregno papale terminante ad ogiva e argenteo, al quale sono applicate
tre corone all’antica, d’oro, e cimato da un piccolo globo crociato dello stesso. Dal triregno pendono
due infule di rosso e frangiate d’oro, caricate ciascuna da una crocetta greca, dell’ultimo”18.
Alla destra dello stemma papale, (a sinistra per chi osserva) nell’angolo del coperchio dell’urna,
spicca, invece, lo stemma del vescovo clodiense fra Ludovico Marangoni. Alla sinistra dello
stemma papale, (a destra per chi osserva) nell’angolo del coperchio dell’urna, figura, invece, lo
stemma di Chioggia: “d’argento al leone di rosso rivoltato”19, sostenuto da un bellissimo angioletto
dorato.
Nel fronte del coperchio, a destra (sinistra per chi osserva), è alzato, al centro, lo stemma gentilizio
del nobile Carlo dei conti Bullo: “d’azzurro, alla chiocciola d’oro”20, con lo scudo timbrato dalla
corona di nobile, a cinque perle visibili, e l’iscrizione CONTE CARLO BULLO21.
Nell’angolo posteriore del coperchio a destra (sinistra per chi osserva), troviamo l’insegna di
Aquileia: “d'azzurro, alla fortezza al naturale, cimata da un’aquila dal volo abbassato, d'oro”, città
dove avvenne il martirio dei nostri santi.
Nel fronte del coperchio, a sinistra (destra per chi osserva), figura alzato, al centro, lo scudo
gentilizio di Eugenio Brusomini: “di rosso alla stella (6) d’oro”, con l’iscrizione circolare NOB.
22
EUGENIO BRUSEMINI .
Nell’angolo posteriore del coperchio, a sinistra (destra per chi osserva), appare lo scudo di Vicenza:
“di rosso alla croce d'argento”, città natale dei nostri invitti Martiri.
L’urna, poi, risulta circondata da una fascia alta, frontale, dove figurano, in successione, degli scudi
ovati. Nel frontale anteriore dell’urna risaltano lo stemma Naccari: “troncato: nel 1° d’argento al
leone di rosso; nel 2° d’azzurro alla sbarra d’oro, caricata da tre stelle (6) d’argento, accompagnata
al capo e in punta da una nacchera, d’argento, posta in banda” e con l’iscrizione GIUSEP.a ADOLFO
23
ARIS. NACCARI ; lo stemma Voltolina: “troncato: nel 1° d’argento al destrocherio, con la mano di
carnagione e la manica di rosso, impugnante un’asta, posta in sbarra, con un drappo svolazzante
dell’ultimo; nel 2° d’azzurro alla ruota d’oro”, con l’iscrizione CAN.CO C. VOLTOLINA ARC24; lo
stemma della parrocchia di S. Martino vesc. di Sottomarina, con nel campo dello scudo san Martino
a cavallo nell’atto di tagliare, con la spada, il suo mantello per consegnarne una parte a un povero e
con l’iscrizione circolare PARROCCHIA DI SOTTOMARINA25; lo stemma della Sezione Giovani di
Chioggia, con nel campo dello scudo una corona a cinque perle visibili accollata a due rami di
palma, posti in decusse, con l’iscrizione SEZIONE GIOVANI CHIOGGIA26; lo stemma Bonaldo:
“troncato, semipartito: nel 1° d’azzurro a tre ventole poste in croce, il tutto d’oro e movente da una
fascia ristretta e partita, posta nella troncatura: nel primo d’oro, nel secondo di rosso; nel 2° partito:
nel primo di rosso, nel secondo palato d’oro e d’azzurro”, con l’iscrizione M. NICOLO’ BONALDO; lo
stemma delle Figlie della carità, con nel campo dello scudo un cane che azzanna un osso e
l’iscrizione ISTITUTO CANOSSIANE27.
Nel fronte a destra dell’urna, (sinistra per chi osserva) figura nel campo del primo scudo l’iscrizione
28
SIGNO. GIUSTINA FURLAN ; nel campo del secondo scudo l’iscrizione FAMIGLIA PADOAN; nel
terzo, lo stemma Ravagnan: “d’oro, al caratteristico marchio di casa, di rosso”29, con l’iscrizione FR.
30
RAVAGNAN FU MICHELANGELO e nel quarto lo stemma Poli: “d’argento all’albero fogliato e
sradicato, il tutto al naturale” con l’iscrizione FR. POLI FU GIOVANNI31.
Nel fronte a sinistra dell’urna, (destra per chi osserva), compaiono lo stemma Pagan; “troncato: nel
1° d’argento, all’uccello al naturale, imbeccante un ramoscello dell’ultimo e movente dalla
troncatura; nel 2° d’azzurro alla mezzaluna crescente, d’argento, accompagnata nel canton destro e
sinistro del capo da una stella (5) d’oro”, con l’iscrizione FR. PAGAN FU FORTUNATO32; lo stemma
Gallimberti: “troncato: nel 1° d’argento al gallo di nero con la cresta e bargigli di rosso, movente
da una fascia dell’ultimo; nel 2° d’oro al caratteristico marchio di casa, di nero”, con l’iscrizione
AGOSTINO CAV. GALLIMBERTI; nel campo del terzo scudo l’iscrizione SIGN. PINA BUSETTO. BUBA
CAVARZERE e nel campo del quarto scudo le iscrizioni EMILIO COM. PENZO - GALEAZZO CONTI
VIANELLI33.
Nel frontale posteriore dell’urna, infine, si notano in un primo scudo l’iscrizione TERZIARI
34
FRANCESCANI - D. EG. CAPPON e in un secondo scudo V. COLOMBO FU DOM35. - LUIGI CAV. DUSE.
Infine, nelle due alzate laterali dell’urna figurano le seguenti iscrizioni: PROF. E. DUGHIERO / PROF.
L. SAMBO / PROF. C. BULLO / PROF. P. RAVELLI / PROF. C. GAMBA / PROF. D. GIO. NORDIO / PROF. D.
EUG. NEZZO / PROF. D. ATT. ROSSETTI / PROF. CAN. VIANELLI S. / PROF. CAN. INNO. PENZO36.
Nella seconda alzata, invece, D. LUIGI ZENNARO SEGR. V.37 / PAROC.NI DI PETTOR. GRIMANI38 / D.
VINC. O C.o BELLEMO C.V. / D. GIUSEPPE SEVERO / SALESIANI IST. S. GIUSTO39 / ANCELLE DELLA
CARITÀ OSPIT40.
L’altare, che conserva l’urna, è cimato con lo stemma del vescovo Pasquale Grassi (1618-1639):
“D’azzurro al drago d’oro sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi”, mentre alla sommità
del sacello marmoreo, che conserva l’urna argentea, appare lo stemma del vescovo Francesco
Grassi (1639-1669): “d’azzurro al drago d’oro sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi” e
con alla propria destra l’arma di Chioggia e con alla propria sinistra lo stemma del N.H. Marco
Contarini: “inquartato: nel 1° e nel 4°: d’argento all’aquila spiegata di nero e coronata dell’ultimo;
nel 2° e nel 3°: d’oro a tre bande d’azzurro”, podestà di Chioggia (1657-1659).
Ai lati dell’altare troviamo due candelabri settecenteschi, in legno dorato, con intagliato il leone
rampante, arma di Chioggia.
Abbiamo esaminato, altresì, tutti gli altri stemmi che figurano nella cappella dedicata ai santi
Patroni.
L’assegnazione ha richiesto un’attenta e non facile lettura, a causa della salsedine che ha abraso e,
di conseguenza, reso quasi illeggibili alcuni scudi, caricati nei dorsali in marmo, particolarmente nel
lato sinistro.
Nella cappella, che è rivestita di lastre marmoree, nei dorsali di destra e di sinistra, figurano sei
stemmi per parte, timbrati dalla corona di patrizio veneto, oltre a due presenti ai lati dell’altare, tutti
di squisita fattura.
Iniziando ora da sinistra, dai gradini d’accesso alla cappella troviamo lo stemma gentilizio dei
Giustiniani: “di rosso, all’aquila bicipite d’oro, coronata, armata e linguata dello stesso, caricata in
cuore da uno scudetto d’azzurro alla fascia d’oro”; un rampollo di tale casa, il N.H. Girolamo
Ascanio figura podestà nel 1748; segue lo stemma patriziale dei Crotta: “d’azzurro, al monte di tre
cime di verde, movente dalla punta, sostenente tre cipressi dello stesso, e la caverna aperta di nero,
nel fianco sinistro del monte, caricata da un leone sedente d’argento”; il N.H. Francesco Maria è,
infatti, podestà di Chioggia nel 1749. Figura, dopo, il celebre stemma dei Morosini; “d’oro alla
banda d’azzurro”, con il N.H. Barbon Vincenzo, podestà in Chioggia nel 1751.
Si continua con lo scudo dei Bembo: “d’azzurro alla scaglione accompagnato da tre rose, poste 2, 1,
il tutto d’oro”; il N.H. Marco, di tale casa, nel 1752, è podestà in Chioggia. Gli ultimi due stemmi
appartengono alla famiglia gentilizia Spinelli; “partito d’oro e d’azzurro, alla banda di rosso
attraversante, caricata da tre istrici d’argento, passanti ed armati”, con il N.H. Paolo, podestà nel
1755, ed ai patrizi veneti Grimani: “palato d’argento e di rosso di otto pezzi, alla crocetta piana e
scorciata del secondo, caricante il terzo palo verso il capo”, con il N.H. Giovanni, podestà nel 1756.
Tale ultimo scudo, al pari di tutti gli altri, risulta timbrato, come già ricordato, con la corona
patriziale veneta, ma, per ornamenti esteriori, porta anche l’elmo coronato ed il cimiero che si
compone di un leone coronato e nascente, sostenente con le zampe anteriori una croce latina, posta
in palo; la lista svolazzante carica il motto SIDERA CORDIS.
Passando ora ad esaminare gli stemmi presenti nei dorsali di destra, troviamo lo stemma dei Labia:
“d’azzurro all’aquila d’oro”; il N.H. Paolo Antonio Labia è stato, nel 1736, podestà di Chioggia.
Nel secondo dorsale, nel campo dello scudo compare una cifra - probabilmente AA - di raro e
stupendo intarsio in madreperla; non siamo riusciti ad assegnarlo, in quanto non troviamo nessun
podestà, nel Settecento, con tali iniziali per nome e cognome. Segue lo stemma gentilizio degli
Albrizzi: “d’azzurro, alla torre d’argento, merlata e torricellata dello stesso, aperta, finestrata e
murata di nero, cimata da un leone leopardato d’oro, tenente nella zampa destra alzata una ruota del
medesimo”; il N.H. Giovanbattista, di tale casa, è podestà nel 1737.
Si prosegue con lo stemma patriziale dei Venier: “fasciato di rosso e d’argento, con nel canton
destro del capo il leone marciano di rosso, in moleca”41; il N.H. Sebastiano figura, infatti, podestà di
Chioggia nel 1743, mentre il successivo è lo scudo dei Vidman42: “partito: nel 1° d’oro al giglio
d’azzurro; nel 2° d’argento alla mezzaluna crescente, d’oro; al capo, d’azzurro”. A tale famiglia
appartiene il N.H. Lodovico, podestà, nella nostra città, nel 1745.
Ultimo, nella parete di destra, risulta lo stemma dei patrizi veneti Sandi: “inquartato; nel 1° d’oro
alla mezza aquila bicipite di nero, coronata del campo, uscente dalla partizione; nel 2° e nel 3° di
rosso al serpente di verde, ondeggiante, posto in palo, e nel 4° d’oro alla mezza aquila bicipite di
nero, con la testa rivoltata, coronata del campo, uscente dalla partizione”; il N.H. Tommaso, lo
troviamo podestà nel 1761-1762.
Infine, nel dorsale posto al lato destro dell’altare appare lo stemma dei Memmo: “troncato d’oro e
d’azzurro, ciascun punto a tre cedri dell’uno nell’altro, pendenti e ordinati in fascia”; il N.H.
Lorenzo, di tale casato, lo troviamo podestà nel 1759, mentre lo stemma posto nel lato sinistro, lo
abbiamo assegnato alla famiglia patriziale Mocenigo Soranzo: “trinciato d’oro e d’azzurro”; il N.H.
Tommaso, infatti, ebbe il reggimento della podestaria di Chioggia nel 1761-1762.
Ricordiamo, ancora, che tra il 1728 e il 1737, anno in cui si concluse il reggimento del podestà N.H.
Paolo Antonio Labia, videro la luce anche i sei dipinti, con cornici marmoree, raffiguranti le varie
fasi del martirio, collocati, a parete, nell’omonima cappella.
Nel corso del restauro conservativo dei dipinti effettuato, nel 1983, sotto la direzione del dott.
Sandro Sponza della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Venezia, richiesti di una
consulenza araldica, avevamo potuto appurare quanto segue: Il supplizio delle battiture, da
attribuire ad un pittore del primo Settecento, porta sulla modanatura del gradino FRANCISCI
BONFADINI PRAETORIS MUNUS e, sull’alzata, la data ANNO 1728, mentre sul piede del braciere si
nota lo stemma del N.H. Francesco Bonfadini: “di rosso all’aquila bicipite spiegata di nero,
membrata, imbeccata e coronata d’oro, accompagnata fra le due teste da un giglio dello stesso, e
caricata in cuore da uno scudetto ovale troncato, d’azzurro e d’oro con la torre d’argento
nell’azzurro”, podestà di Chioggia negli anni 1727-1729.
Con il restauro de Il supplizio dello stiramento dei corpi e delle bruciature, da attribuire ad un
pittore del primo Settecento, si è resa visibile l’arme patriziale del N.H. Agostino Maffetti: “d’oro, a
tre bande scaccate d’azzurro e d’argento di due file; al capo dell’impero”, podestà in Chioggia
dall’aprile 1729 al novembre 1731.
Il supplizio dell’olio bollente, da attribuire ad un pittore tardotenebroso, porta in basso, a sinistra, lo
stemma del N.H. Bartolomeo Mora: “bandato di rosso e d’argento di sei pezzi; col capo d’argento,
caricato da un leone passante di rosso, e tenente con la zampa destra un fiore di giardino al naturale,
abbassato sotto un altro capo d’oro all’aquila bicipite di nero”, podestà in Chioggia dal novembre
1731 al luglio 1733 e la scritta BART. MORA 2” PRAETOR DICAVIT.
Il supplizio della frattura delle mascelle, da attribuire a Gaspare Diziani, reca la cifra V.B. sul
rudere del gradino in basso a sinistra, che non era mai stata identificata a chi appartenesse e che
deve, invece, riferirsi al N.H. Vincenzo Barzizza, podestà di Chioggia dal luglio 1733 al dicembre
1734.
Il supplizio dei rasoi, da attribuire ad un pittore tiepolesco, è l’unico dipinto in cui non abbiamo
individuato nessuna cifra o stemma; è però legittimo ritenere che esso debba risalire al N.H.
Giovanni Duodo, podestà in Chioggia dal dicembre 1734 all’aprile 1736, in quanto non esiste
motivo di credere che il Duodo avrebbe rifiutato di seguire una tradizione sempre rispettata dai suoi
quattro predecessori e seguita, come si vedrà, dal suo successore.
Per ultimo La decapitazione, opera di Giambettino Cignaroli, porta sull’arcone, in alto a sinistra,
l’aquila dei Labia; “d’azzurro all’aquila d’oro”. Il N.H. Paolo Antonio Labia, come già ricordato, fu
podestà di Chioggia negli anni 1736-1737.
Nell’attiguo presbiterio, nella parete di sinistra, vicino al transetto, troviamo l’iscrizione lapidea
(68) fatta erigere dal nipote Paolo Grassi in memoria di Francesco, vescovo di Nona - deceduto nel
1677 - e fratello del vescovo di Chioggia, Antonio. All’estremità della lapide figura, a tutto campo,
l’aquila, con caricato in cuore lo scudetto d’azzurro al drago d’oro, sormontato da una stella
dell’ultimo, di otto raggi.
Segue, sempre su tale parete, iscrizione lapidea in memoria del vescovo Francesco Grassi (69),
deceduto nel 1669. In punta è rappresentato lo stemma di tale vescovo: “d’azzurro al drago d’oro
sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi”.
Ultima, su tale parete, sopra l’antica sede del celebrante, l’iscrizione lapidea (70) che ricorda il
vescovo clodiense Antonio Grassi, deceduto nel 1715. Sotto l’iscrizione, lo stemma di tale presule:
“d’argento all’aquila, dal volo abbassato, di nero, caricata in cuore da uno scudetto d’azzurro al
drago d’oro, sormontato da una stella dell’ultimo, di otto raggi”.
Sempre nel presbiterio, nella parte a nord, l’iscrizione (71) su lastra marmorea - posta nel 1691 ricorda come la congregazione fece disporre gli stalli ed i sedili del coro, auspice il vescovo Stefano
Rosada, con l’interessamento del podestà Gaspare De Luca. Nella parte inferiore, lo stemma del
vescovo Rosada: “troncato: nel primo d’argento alla rosa gambuta e fogliata al naturale; nel
secondo fasciato d’azzurro e d’argento di cinque pezzi”, con alla propria destra lo stemma di
Chioggia, con il leone rivoltato, e alla sinistra lo stemma gentilizio De Luca: “d’azzurro al leone
d’oro, sostenente con la zampa anteriore destra una stella (8) dell’ultimo, sopraccaricato da una
banda di nero”.
Di seguito, una lapide di notevoli dimensioni, fiancheggiata da cariatidi, ricorda come il vescovo
Baldi il 27 maggio 1674 dedicò la cattedrale a Dio e all’Assunzione della Vergine Maria, essendo
podestà Marco Bembo. Sotto la lapide, al centro, lo stemma episcopale Baldi: “troncato: nel primo
d’argento a due alberi fogliati, piantati su due monti di tre colli, all’italiana; nel secondo sbarrato
d’azzurro e d’argento di sette pezzi” e con alla propria destra lo stemma di Chioggia con il leone
rivoltato e con alla propria sinistra l’arme della casa Bembo: “d’azzurro allo scaglione d’oro,
accompagnato da tre rose, poste 2 e 1, dell’ultimo”, lo scudo timbrato da un elmo, con i
lambrecchini, al pari di tanti altri stemmi sin qui esaminati..
Ultima lapide monumentale, quella dedicata al vescovo Piasentini (1952 - l 1976) con busto e angeli
dello scultore Giorgio Longhin - inaugurata il 6 gennaio 2006 - con sotto la punta dell’iscrizione
lapidaria lo stemma: “Partito: nel primo campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta,
quello di mezzo più alto e sostenente un cestello al naturale, ripieno di erba di verde e sormontato
da una colomba d’argento nell’atto di beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati
da un cipresso al naturale (Fede e Speranza); nel secondo d’azzurro al fuoco ardente di rosso,
sormontato da una stella di sei raggi d’oro. Al capo, di rosso al leone passante d’oro, alato e
nimbato dello stesso, tenente con la zampa anteriore destra un libro d’argento aperto scritto delle
parole in lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”, lo scudo
timbrato da un minuscolo cappellino, senza cordigliere e nappe. Duole che i committenti non
abbiamo reso edotto lo scultore che lo scudo andava accollato ad una croce astile d’oro trilobata,
timbrato da un cappello di verde, con cordoni e nappe dello stesso, in numero di dodici, disposte
sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 343.
Nella colonna di destra, sopra i gradini d’ingresso che porta alla cappella del Santissimo
Sacramento, la porticina dorata che conserva gli oli santi, risulta cimata da tre stemmi lapidei,
mentre sotto la punta ne figura uno solo; dalla impostazione si comprende che erano due, quello
mancante sarà andato disperso. Al centro lo stemma episcopale Grassi, con alla propria destra lo
stemma di Chioggia - con lo scudo timbrato da un elmo44 con svolazzi: “d’oro al leone di rosso
rivoltato” e alla propria sinistra lo stemma del podestà N.H. Francesco Vendramin: “interzato in
fascia d’azzurro, d’oro e di rosso”, che ebbe il reggimento di Chioggia nel 1685-1686. Sotto la
porticina, osservando a destra, lo stemma parlante della casa Gallimberti: “troncato: nel 1°
d’argento al gallo di nero con la cresta e bargigli di rosso, movente da una fascia dell’ultimo; nel 2°
d’oro al caratteristico marchio di casa, di nero”.
Murata, sopra la porta d’accesso al corridoio della sagrestia, figura una iscrizione, con la quale i
congregati ricordano che ciò è stato possibile grazie alla decisione del vescovo Francesco Grassi e
la sollecitudine del podestà Girolamo Gradenigo, nell’anno 1661. La lapide risulta cimata al centro
dallo stemma del vescovo Grassi, con alla propria destra quello di Chioggia ed alla propria sinistra
con lo scudo del podestà Gradenigo, timbrato da un elmo: “ di rosso alla banda d’argento scalinata”.
Perfetto stemma parlante, quest’ultimo, essendo la banda, non altro che una fila di gradini.
Di fronte all’ingresso della sagrestia, nella parete est, figura l’artistica lipsanoteca (mobile delle
reliquie), collocata nei primi del sec. XVIII, con nella cimasa, al centro, lo stemma del vescovo
Giovanni Soffietti: “d’argento alla fortezza chiusa e finestrata di nero, torricellata di tre pezzi,
sostenuta da una pianura, il tutto al naturale; la prima e la terza sostenente due uccelli d’argento,
affrontati, accompagnati al capo da una corona all’antica, d’oro”, timbrato da una mitria, con le
infule svolazzanti e non con i tradizionali ornamenti esteriori episcopali (cappello, cordigliere e
nappe, in tre ordini, d’ambo le parti, il tutto di verde)45, e con alla propria destra lo stemma della
città di Chioggia, “di bianco al leone di rosso rivoltato”, erroneamente timbrato con un elmo, con
svolazzi; tale ornamento esteriore spetta solo alle persone; nel caso di nobili, l’elmo figura, altresì,
coronato, con il diadema diversificato secondo la dignità gentilizia e con alla propria sinistra lo
stemma del podestà N.H. Bartolomeo Mora II, podestà in Chioggia dal novembre 1731 al luglio
1733: “bandato di rosso e d’argento di sei pezzi; col capo d’argento, caricato da un leone passante
di rosso, e tenente con la zampa destra un fiore di giardino al naturale, abbassato sotto un altro capo
d’oro all’aquila bicipite di nero; lo scudo timbrato con corona patriziale veneta”. Infine, nella parete
a nord gli stemmi lignei del vescovo Giovanni Soffietti: “d’argento alla fortezza chiusa e finestrata
di nero, torricellata di tre pezzi, sostenuta da una pianura, il tutto al naturale; la prima e la terza
sostenente due uccelli d’argento, affrontati, accompagnati al capo da una corona all’antica, d’oro” e
della città di Chioggia: “d’argento al leone di rosso rivoltato, movente da una pianura di verde”. In
questo scudo il leone clugiense, oltre che essere rivoltato, figura movente da una pianura di verde.
Come si vede, l’estro, unito alla fantasia e alla licenza artistica dei dipintori, incisori, miniaturisti,
non si arresta mai, risultando - da sempre - una vera spina nel fianco per noi araldisti.
Nella parete sud, all’esterno della cattedrale, verso il Corso, figurano un manufatto - posto in
occasione della prima sagra del pesce, nel 1938 - con quattro colonne, già presenti nel cortile
centrale del civico palazzo, di cui una con un bel monogramma, intervallata da tre mascheroni
che lasciano zampillare l'acqua dalla bocca, il tutto cimato da tre stemmi a cartiglio.
Sempre addossato alla parete, vicino al cortile dell’episcopio, figura il sarcofago dell’architetto
Angelo Sambo, posto dal figlio Pietro nell’anno 1474. Sulla fronte, stemma della casa Sambo di
Chioggia: “trinciato d’azzurro e cucito46 di rosso, all’oca al naturale, movente dalla partizione, con
nastri svolazzanti cadenti dalle zampe”. Nella parte inferiore la vasca in mattoni, intervallata da
quattro elementi in pietra.
La porta d’ingresso laterale, a sud, figura sormontata da tre stemmi d’aspettazione: al centro con gli
ornamenti episcopali, accompagnato a destra, presumibilmente da quello che doveva caricare lo
stemma della città di Chioggia e a sinistra da quello podestarile, con ornamenti esteriori, un elmo
con svolazzi.
Nella porta d’ingresso laterale sita a nord, altri tre stemmi d’aspettazione: al centro con gli
ornamenti episcopali, accompagnato a destra, presumibilmente da quello che doveva caricare lo
stemma della città di Chioggia e a sinistra da quello podestarile, con ornamenti esteriori, un elmo
con svolazzi, anche se non di buona fattura come quelli posti a sud.
Campanile cattedrale (4)
Torre campanaria - di stile romanico - ricostruita nel 1347, a seguito del crollo della precedente,
per vetustà. La cupola venne rifatta completamente negli anni 1895-1896.
Sopra la porta d’ingresso, descrizione lapidea, in caratteri longobardici, che menziona la
ricostruzione del sec. XVI. Tale lapide risulta cimata da un bassorilievo, in arco gotico, con la
B.M.V. e il divin Figlio, tra i santi patroni della città e diocesi, Felice e Fortunato. I santi figuravano
sostenuti da due medaglioni contenenti l’arma di Chioggia, con il leone rivoltato e l’arme del N.H.
Pietro Civran, podestà di Chioggia: “d’azzurro al cervo passante d’argento, con la testa rivolta”. Gli
stemmi vennero scalpellati dai napoleonici, al loro arrivo a Chioggia, alla fine del Settecento.
Altra iscrizione lapidea, posta nel 1603 sempre nella facciata, ricorda il restauro del campanile,
essendo vescovo Lorenzo Prezzato e podestà Giacomo Polani. Anche tali due stemmi furono
scalpellati nel periodo napoleonico. Ricordiamo che il vescovo Prezzato aveva per timbro:
“interzato in banda: nel primo d’argento; nel secondo di rosso al serpente d’argento, ondeggiante
nella direzione della pezza; nel terzo d’azzurro”, mentre il N.H. Giovanni Polani caricava:
“d’argento alla fascia d’azzurro”.
Chiesa di S. Martino vesc. (4)
La chiesa venne costruita dopo la guerra di Chioggia (1378-1380), al posto delle antiche chiesa di
san Martino, san Matteo e sant’Antonio abate che figuravano in Clugia minor, l’attuale
Sottomariana.
All’ingresso laterale, lato sud, sopra l’architrave e immediatamente sotto il timpano gotico, ai lati
dell’iscrizione, in caratteri longobardici, del 4 febbraio 1393, figurano, d’ambo le parti, caricato su
scudo, un orso ritto47, quello che si osserva a sinistra, rivoltato. Tale arme, della casa Orsi Carnelli,
figura in tal sito, come si evince dalla iscrizione lapidaria, per le munifiche elargizioni di “ser
Francesco e ser Bartolomeo” di tale famiglia.
Ai lati dell’architrave, due capitelli lapidei fioriti, sicuramente di riporto, dove figura scolpito,
invece, osservando a destra, lo stemma di Chioggia, su scudo triangolare, con il previsto cingolo, e
in quello di sinistra, lo stemma del N.H. Albano Badoer, podestà in Chioggia nel 1393: “fasciato
d’oro e d’azzurro, al leone d’argento, attraversante e rivoltato”.
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo ap.li (3)
Edificata nel 1431, essendo podestà il N.H. Ambrogio Badoer fu Albano, per lascito testamentario
di Pietro Mazzagallo del 1380.
Nell’iscrizione, in caratteri longobardici, incisa nell’architrave della porta d’ingresso, figurano tre
stemmi. Al centro quello della casa Mazzagallo: “troncato: nel primo d’argento al gallo di nero con
i bargigli di rosso, rivoltato, accompagnato a sinistra da una mazza di verde, posta in sbarra. Nel
secondo, fasciato ondato, d’oro e di rosso”. Come si vede, siamo in presenza di uno stemma
parlante, figurando nel campo dello scudo le figure araldiche del gallo e della mazza. A sinistra
notiamo poi lo stemma della casa Badoer: “fasciato d’oro e d’azzurro, al leone d’argento,
attraversante, rivoltato”48, mentre a destra, quello di Chioggia; tutti e tre gli stemmi, su scudo tipico
triangolare di tale secolo.
Attigua alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, dopo il civico 947, nel centro dell’architrave dell’altra
porta a sud, dove figura l’iscrizione “SCOLA DE S.FR.c°” (Scuola di San Francesco) notiamo scolpita
una figura - probabilmente umana - nascente dalle acque, con il volto scalpellato.
Chiesa di Maria Ss.ma Ausiliatrice (1)
Edificata, con l’arrivo in Chioggia dei figli di don Bosco, nel 1899.
All’interno, sul fronte inferiore centrale dell’altare di san Giovanni Bosco, figura scolpito lo
stemma lapideo della Congregazione Salesiana: “d’azzurro all’ancora di due uncini d’argento,
cordata d’oro, posta in palo, accompagnata a destra dal busto del vescovo san Francesco di Sales
nimbato d’oro, con il volto e le mani di carnagione e l’abito prelatizio di rosso, volto a sinistra,
nell’atto di scrivere su di un libro d’argento posto sopra uno scrittoio al naturale, il tutto nascente
dalle nuvole d’argento; accompagnata a sinistra da un cuore di rosso fiammeggiante d’oro
sormontato da una cometa a sei punte con la coda posta in banda, il tutto d’argento; accompagnata
in punta da un bosco desinente in colline e montagne innevate, il tutto al naturale. Accollati allo
scudo due rami di palma e di alloro al naturale, fogliati di verde, decussati alle estremità e nella lista
bifida e svolazzante d’oro, il motto in lettere maiuscole di nero: “Da mihi animas caetera tolle”.49
Chiesa del Corpus Domini (6)
Già chiesa delle Cappuccine di S. Chiara. Sotto episcopato di mons. Giuseppe Maria Peruzzi
(1808-181), la chiesa e l’annesso convento divennero la sede del seminario diocesano. A tale
istituzione, particolare impulso, lo diede il successore Giuseppe Manfrin Provedi (1820-1829).
In un cortile interno del seminario, sopra la porta d’ingresso della chiesa, figura scolpito “un monte
di tre colli, all’italiana”, figura araldica, questa, dello scudo del LXVIII vescovo di Chioggia, mons.
Giuseppe Manfrin Provvedi, il tutto cimato da una croce latina. Sotto il timpano della facciata, nel
rosone in cotto: “un avambraccio posto in banda ed uno posto in barra; dall’incontro nasce un calice
posto in palo, cimato da un ostia”. Si pensa, a ragione, che simboleggi il titolo della chiesa. Di
fronte alla facciata di tale sacro edificio, figura, invece, alzato in uno scudo lapideo rotondo, lo
stemma dell’Ordine Francescano con: “il braccio nudo di Cristo, posto in decusse sul braccio
vestito di tonaca di Francesco, la mano del quale reca le stigmate; dall’incontro nasce la croce”.
Nell’attiguo seminario, in un corridoio, a piano terra, attiguo sempre a tale chiesa, figura alzato –
inciso in una lastra di marmo, lo stemma di mons. Giovanni Battista Piasentini: “Partito: nel primo
campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta, quello di mezzo più alto e sostenente un
cestello al naturale, ripieno di erba di verde e sormontato da una colomba d’argento nell’atto di
beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati da un cipresso al naturale (Fede e
Speranza) (Religione delle Scuole di Carità, Padri Cavanis); nel secondo d’azzurro al fuoco ardente
di rosso, sormontato da una stella di sei raggi d’oro. Al capo, di rosso al leone passante d’oro, alato
e nimbato dello stesso, tenente con la zampa anteriore destra un libro d’argento aperto scritto delle
parole in lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”, LXXVII di
Chioggia (1952-1976) . Ricordiamo, inoltre, che uno stemma del vescovo Grassi: “d’azzurro al
drago d’oro sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi”, figura alzato all’esterno delle mura
del seminario, a sinistra, arrivando dall’omonima calle.
Ultimamente il seminario diocesano, dietro nostra indicazione, si è dotato di uno stemma, ideato e
disegnato dall’araldista Enzo Parrino, di Monterotondo (Roma), che porta la seguente blasonatura:
“d’azzurro al calice d’oro, cimato dall’ostia al naturale, caricata dal cristogramma JHS, con le
lettere di nero, il tutto accompagnato nel canton destro del capo da una crocetta greca patente
d’argento e similmente nel canton sinistro, da una crocetta cucita di rosso. Ornamenti esteriori: due
angeli al naturale, sostenenti lo scudo e l’iscrizione circolare, in lettere maiuscole di nero,
SEMINARIO VESCOVILE CHIOGGIA”50.
Chiesa di San Francesco (4)
Edificata nel 1385, dai Frati minori conventuali, che avevano avuta gravemente danneggiata la
chiesa - con il relativo convento - posta fuori le mura, nel corso della guerra di Chioggia
Sopra la porta d’ingresso, in un tondo lapideo, figura lo stemma francescano: “d’argento al braccio
nudo di Cristo posto in croce di sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, la mano del
quale reca le stigmate; dall’incontro nasce la croce”.
Nella corsia centrale, la seconda lapide sepolcrale carica l’arme della casa Cestari: “troncato,
semipartito: nel primo d’azzurro al sinistrocherio51 armato di mazza, al naturale; nel secondo di
rosso alla cesta d’oro, di frutta al naturale; nel terzo d’azzurro a due sbarre d’oro”52.
Ai piedi dell’altare maggiore, osservando a sinistra, figura la lastra sepolcrale di Carlo Bonivento,
cimata dalla stemma di famiglia: “di rosso al capriolo53 d’oro, accompagnato nel secondo da una
banderuola dell’ultimo, posta in palo”. Dato il plurisecolare calpestio, nello stemma si intravvede
solo la parte di una banda.
Nella sagrestia, nella parete a nord, figura una iscrizione su marmo, a forma di cartiglio, dedicata a
Giovanni Bernardino Vincenzo Marangon, sormontata dallo stemma di tale casa: “troncato: nel
primo d’oro, nel secondo d’argento, al sinistrocherio, manicato di rosso, sostenente un compasso
aperto, colle punte rivolte in alto, da falegname54 al naturale; al capo di Francia, d’azzurro, carico di
cinque gigli d’oro; il tutto accollato alla croce dell’Ordine equestre di San Marco55, cimata da un
leone marciano coronato e nascente, sostenente con le zampe anteriori la sommità della croce
ottagona”.
Chiesa di San Giacomo (7)
Tale chiesa venne consacrata nel 1788, al posto di una precedente abbattuta per vetustà. Gode del
titolo di basilica minore pontificia56.
Sopra la porta principale d’ingresso, figurano alzati lo stemma di papa Francesco: “d’azzurro,
all’ombra di sole d’oro, caricata dal compendio IHS crocettato nella lettera centrale, di rosso,
sormontante tre chiodi della passione posti a ventaglio, di nero, e accompagnato in punta da una
stella di otto punte a destra e da un fiore di nardo a sinistra, il tutto d’oro. Lo scudo timbrato da una
mitria d’argento, ornata di tre fasce d’oro unite da un palo dello stesso , con le infule svolazzanti,
foderate di rosso, crocettate e frangettate d’oro, e accollato alle chiavi decussate e addossate,
quella in banda d’oro, quella in sbarra d’argento. Legate da un cordone di rosso. Motto: Miserando
atque eligendo”, assieme a quello dell’ordinario diocesano mons Adriano Tessarollo: “Partito: nel
primo di rosso alla spada d'argento, manicata d'oro, posta in palo, con la punta rivolta verso il capo,
sormontata da due api d'oro montanti, poste in fascia; nel secondo d'argento a tre fasce ondate
diminuite d'azzurro, moventi dalla punta, sormontate da un avambraccio nudo, uscente dal fianco
sinistro dello scudo, impugnante una rete da pesca di nero, uscente dalle fasce ondate. Lo scudo,
accollato ad una croce astile d'oro trilobata, è timbrato da un cappello di verde, con cordoni e nappe
dello stesso, in numero di dodici, disposte sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3. Sotto lo scudo, nella
lista svolazzante d'argento, il motto in lettere maiuscole di nero: “IN VERBO TUO”.
All’interno figurava esposto - attualmente al museo diocesano d’arte sacra - il Gonfalone di tale
basilica minore pontificia della B.M.V. della navicella e San Giacomo ap.lo: “a forma di
ombrellone a gheroni rossi e gialli; con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastanti, sostenuto
da un’asta di rosso a forma di lancia coll’arresto, è attraversato dalle chiavi pontificie, una d’oro e
l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni, traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra
e a sinistra, e legate da un cordone di rosso, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso.
Nei pendenti figurano caricati gli stemmi di San Pio X, del vescovo clodiense frà Ludovico
Marangoni e del parroco della novella basilica, canonico Vincenzo Bellemo. Lo stemma di san Pio
X porta la seguente blasonatura: “d’azzurro all’ancora di tre uncini di nero cordata di rosso, posta in
banda, pescante in un mare ondato al naturale e accostata al capo da una stella di sei punte d’oro. Al
capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone alato, nimbato e passante, al naturale, sostenente con
la zampa anteriore destra un libro aperto recante la leggenda: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS.
Lo scudo risulta accollato dalle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate,
gli ingegni traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra e a sinistra, e legate da un cordone di
rosso, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso. Lo scudo risulta timbrato dal triregno
papale terminante ad ogiva e argenteo, al quale sono applicate tre corone all’antica, d’oro, e cimato
da un piccolo globo crociato dello stesso. Dal triregno pendono due infule di rosso e frangiate d’oro,
caricate ciascuna da una crocetta greca, dell’ultimo”, quello di frà Ludovico Marangoni, LXXIII
vescovo di Chioggia, invece, si legge: “d’’azzurro al palmipede fermo di nero, rivoltato, sostenuto
da uno scoglio al naturale e sormontato dal sole raggiante d’oro, nel canton destro. Al capo,
d’argento al braccio nudo di Cristo posto in croce di Sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di
Francesco, la mano del quale reca le stigmate; dall’incontro nasce una croce latina, di nero, il tutto
movente dalle nuvole d’argento (Religione dei frati minori conventuali)” ed, infine, quello del
parroco canonico Vincenzo Bellemo: “d’azzurro all’elmo al naturale, rivoltato, accompagnato al
capo da tre stelle (6), d’oro, poste 1,2”. A nord, della basilica, sopra l’edificio che sovrasta il cortile
di accesso al campo della chiesa della Trasfigurazione, figura alzato uno stemma, timbrato da una
corona logorata, probabilmente gentilizia, con lo scudo fortemente consunto.
La basilica, dietro nostra indicazione, di è dotata ultimamente di uno stemma, ideato e disegnato
dall’araldista Enzo Parrino di Monterotondo (Roma), che porta la seguente blasonatura: “D’azzurro
alla conchiglia di san Giacomo, d’oro, sormontata da una stella a otto punte, d’argento. Lo scudo è
accollato dalle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni,
traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra e a sinistra, e legate da un cordone di rosso,
terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso. Lo scudo è timbrato da un gonfalone papale
a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli, con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastanti,
sostenuto da un’asta d’oro, sormontata da un globo cimato da una crocetta greca”57.
Chiesa della Trasfigurazione (13)
La chiesa della Trasfigurazione - dalla metà degli anni cinquanta dello scorso secolo chiamata
della SS.ma Trinità - si affaccia sulla Piazzetta XX Settembre, e rappresenta la ricostruzione di una
precedente chiesa del Cinquecento. L’edificio originario venne eretto nel 1528, l’attuale fu
realizzato nel 1705, su progetto di Andrea Tirali, l'architetto che ha disegnato la pavimentazione di
Piazza San Marco a Venezia
Nell’architrave d’ingresso, al centro, lo stemma episcopale Grassi: “d’azzurro al drago d’oro
sormontato da una stella dell’ultimo di otto raggi”, timbrato da una mitra con due lunghe infuli
svolazzanti”58, mentre nei lati, sempre dell’architrave, si vede la presenza di due stemmi della
comunità clodiense: “d’argento al leone di rosso”, con il leone, che si osserva nello scudo a destra,
rivoltato.
Ipotizziamo quanto sopra, non avendo riscontrato nel periodo di episcopato dei due vescovi Grassi,
alcun podestà di Chioggia, che abbia avuto nello stemma della rispettiva casa patriziale veneta,
caricato un leone, nella positura, ovviamente di rampante59.
All’interno della chiesa, nella sala, già adibita a sagrestia, pala a cassettone di Martino Tagier, del
1689, che raffigura la Santissima Trinità, con ritratti di confratelli della scuola del Ss.mo Crocifisso,
detta dei “Battuti” e anche dei “Rossi”, per il colore del loro saio. Nella parte inferiore della pala gli
stemmi di famiglia dei confratelli raffigurati; osservando da sinistra, il primo stemma è della casa
Olivotti: “d’azzurro all’albero d’olivo60 al naturale, nodrito su una campagna di verde”, il secondo,
Renier: “partito: d’argento e di nero, al capriolo dell’uno nell’altro”, il terzo, Pescante: “troncato
ondato: nel primo d’azzurro al pesce d’argento, sormontato da tre stelle (6)61 d’oro, poste 1,2; nel
secondo d’argento”. e, il quarto, Agatea. “d’oro al gatto di nero passante, movente da una pianura di
verde”62 il quinto non identificato63, non risultando negli stemmari del Chiozzotto e del Naccari, il
sesto, Bonivento: “d’azzurro al capriolo d’oro, accompagnato nel secondo da una banderuola
dell’ultimo, posta in palo”64, il settimo, Penzo: “d’argento all’albero al naturale, movente dalla
punta, alla fascia attraversante, d’oro”, l’ottavo, Richetti: “ troncato: nel primo: di rosso a tre
bisanti d’argento caricato da una crocetta greca di nero, posti 2,1; nel secondo: d’argento al riccio al
naturale, movente da una pianura di verde”65, il nono, Lanza: “ d’azzurro al destrocherio armato con
una lancia d’oro”e il decimo, Fabri: “d’oro, all’incudine di nero, movente dalla punta,
accompagnato da un martello al naturale, posto in fascia, movente dalla destra dello scudo”.
Chiesa del Patrocinio di Maria Ss.ma e di San Filippo Neri (9)
Tale chiesa venne edificata per la munificenza del conte Ludovico Manin - padre dell’ultimo doge
di Venezia - e consacrata i 10 maggio 1772.
Sopra la porta d’ingresso figurano gli stemmi della Congregazione dell’Oratorio: “d’azzurro al
cuore66 ardente tra due gambi di gigli fioriti e fogliati, posti in decusse67, sormontato da 3 stelle di 6
punte, poste 1, 2, il tutto d’oro” e del vescovo di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo.
Alla sommità del presbiterio,invece, altro stemma oratoriano: “d’azzurro al cuore ardente tra due
gambi di gigli fioriti e fogliati, posti in decusse, sormontato da 3 stelle di 5 punte, poste 1, 2, il tutto
d’oro”. Come si evince, tale ultimo scudo porta le stelle a cinque punte, ma araldicamente è corretta
la prima arme oratoriana esaminata.
Nell’altare dedicato a San Filippo Neri, tra gli stucchi in gesso, figurano tre scudi in tondo, con
campo rosaceo - con le usuali figure araldiche, smaltate in oro - dello stemma oratoriano, posti uno
al centro del soffitto e gli altri due nelle pareti laterali.
Ancora uno stemma, sempre con le stelle a cinque punte, lo si trova scolpito nel fronte lapideo
dell’altare, posto nella cappella della Madonna di Lourdes, con nella bordura i simboli
dell’Eucaristia, grappoli di uva e spighe di grano; parimenti, altra insegna oratoriana, con scudo il
legno, si trova nel mezzanino delle scale che portano al primo piano. Attigua alla chiesa, sempre
prospiciente il canal Vena, a sud, figura la casa dell’Oratorio di san Filippo Neri in Chioggia, dove
troviamo alzato nella facciata, fra il piano nobile e il secondo, uno stemma lapideo oratoriano.
La chiesa, dietro nostra indicazione, di è dotata ultimamente di uno stemma, che porta la seguente
blasonatura: “d’azzurro, al cuore ardente, tra due gambi di gigli fioriti e fogliati, posti in decusse e
legati da un nodo, sormontato da tre stelle di sei raggi, poste 1, 2, il tutto d’oro. Lo scudo accollato a
due rami di palma verdeggianti, posti in decusse e annodati da un nastro di rosso”68.
Chiesa di Santa Caterina (4)
Edificata nel 1384, vi trovarono asilo, nell’annesso convento, le monache di santa Caterina, a
seguito della distruzione del loro convento in Clugia minore, l’attuale Sottomarina, nel corso della
guerra di Chioggia (1378-1380)
Alla sommità del portale d’ingresso al cortile prospiciente la chiesa, risulta uno stemma lapideo,
cimato da corona gentilizia, particolarmente consunta, caricato con una ruota rostrata, simbolo dello
strumento di martirio di santa Caterina.
Eguale figura araldica è rappresentata nella facciata esterna del tempio, nel cortile antistante la
chiesa e nel parapetto del pulpito, all’interno del tempio, quest’ultima ruota accollata ad una spada
posta in banda, con la punta rivolta verso il basso, e ad una palma del martirio, posta in barra, il
tutto cimato da una corona gentilizia69.
Chiesa agostiniana di San Nicolò (4)
Costruita agli inizi del XIV secolo, venne officiata dai padri Eremitani di sant’Agostino sino al
1772. Attualmente è adibita ad auditorium comunale.
Nella parete esterna di tale edificio, nella omonima calle, nell’architrave lapideo della seconda
porta, figura scolpito uno scudo triangolare caricato da una banda ondata ristretta, cimata da
un’asta, posta in banda, sostenente una banderuola. Si ipotizza l’appartenenza a qualche monaco
agostiniano, non rilevandolo negli armoriali locali e patriziali veneti70.
Sopra la terza porta che dava accesso al convento figura, invece, una iscrizione rettangolare su
marmo, che ricorda i monaci Egidio, Marco e Gabriele, cimata da tre stemmi. Il primo scudo,
osservando da sinistra, carica la figura di un drago araldico, il secondo, tre croci del calvario
moventi da un monte (3) all’italiana e il terzo, una casa di civile abitazione, con un imponente
comignolo. Per ornamenti esteriori il primo e terzo scudo cimano il volto di un angioletto, mentre lo
scudo centrale risulta timbrato da un cappello, con cordoni e nappe in numero di dodici, disposte
sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3. Si ipotizza che i tre stemmi appartengano ai tre menzionati
monaci, quello centrale probabilmente dell’abate o superiore”71.
Chiesa di Sant’ Andrea (13)
Riedificata nel XVIII secolo, ha conservato la pianta e le strutture essenziali del primitivo tempio.
Nella facciata barocca, sopra la porta centrale d’ingresso, figura alzato un antico scudo, intagliato in
legno, con i previsti ornamenti esteriori della dignità episcopale, con dipinto lo stemma dell’attuale
vescovo mons. Adriano Tessarollo. Altri consimili insegne episcopali lignee figuravano anche in
altre chiese della città, purtroppo, con il passare del tempo, sono andate smarrite.
Nella prima cappellina, posta nella navata a nord, figura il battistero, usufruendo, per
completamente dell’apparato, del tabernacolo della primitiva chiesa, ubicato nella parete a nord.
Alla base delle quattro colonnine, osserviamo quattro scudi accartocciati, sostenuti da un singolare
cingolo; iniziando da sinistra, osserviamo il primo che appartiene alla casa Ruosa72: “d’argento alla
rosa aperta, con cinque petali tondeggianti, attornianti un bottone, di rosso”73. In realtà, lo stemma
scolpito nell’altare porta, fra gli smalti araldici, solo il di oro, al pari degli altri tre stemmi
raffigurati, in quanto solo questa vernice figura nelle varie ornamentazioni presenti in tale apparato
marmoreo.
Ricordiamo, infine, che: “nel 1440 Ser Franciscus de la Ruosa figlio di Bartolomeo”, per
testamento, lascia una cospicua somma di denaro “in ornamento dell’altare del Corpo di Xsto nella
Xsa di S. Andrea74”. Nel secondo scudo osserviamo uno scudo: “fasciato d’argento e d’oro” ,
timbrato da una mitra con le infule svolazzanti. Tale emblema appartiene a mons. Bernardino
Venier, XXXVIII vescovo di Chioggia dal 1487, che portava per stemma; “fasciato di rosso e
d’argento”. Il terzo e quarto scudo riportano ancora lo stemma di casa Ruosa.
Nel primo altare posto nella navata a sud, titolato ai santi Vito e Modesto, figura alla sommità del
predetto manufatto un perfetto stemma lapideo della città. Interessante, al riguardo, è riportare cosa
scrive Sergio Perini: “L’altare dedicato ai santi Vito e Modesto in S. Andrea, eretto a spese della
Comunità a perenne ricordo della vittoria riportata da Venezia sugli Scaligeri, era ridotto, alla fine
del secolo XVI, in condizioni pietose. Fu ancora una volta interpellato il Comune per il recupero
dell’insigne ara; venne così finanziato non solo il restauro, ma anche commissionata una tela, pur
senza indulgere ad una spesa eccessiva”75.
Parlando sempre dell’altare dei santi Vito e Modesto ricordiamo la pala che adornava il predetto
altare dedicata ai santi Vito, Modesto, Marco e Crescenzia, di Palma il Vecchio, datata 159576,
dove, dopo un perfetto restauro conservativo, sono ritornati ben visibili ed al loro antico splendore,
nella parte inferiore del dipinto, cinque stemmi, posti, 3, 2. I primi tre portano al centro l’arme del
vescovo monsignor Massimiano Beniamo: “d’argento alla palma piantata sul monte di cinque colli,
all’italiana, con una fede di carnagione attraversante sul tronco della palma. Al capo, d’argento a tre
stelle di otto raggi, male ordinate. Lo scudo è sormontato da uno scudetto d’argento al braccio nudo
di Cristo posto in croce di Sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, la mano del quale
reca le stigmate; dall’incontro nasce la croce latina, patente, d’argento (Religione dei frati minori
conventuali)”, che resse la diocesi dal 1585 al 1601, con alla destra lo stemma di Chioggia con
leone di rosso rivoltato ed alla sinistra lo stemma del N.H. Francesco Priuli77: “palato d’oro e
d’azzurro di sei pezzi, col capo di rosso”, che ebbe il reggimento della podestaria di Chioggia nel
1595 (anno del dipinto); al di sotto, altri due stemmi, quello alla destra araldica non identificabile,
poiché non si intravede il campo dello scudo, mentre quello a sinistra lo abbiamo assegnato alla
famiglia cittadina chioggiotta Polani; “Interzato in banda, d’azzurro, d’argento e di rosso; la banda
d’argento carica di tre uccelli di nero moventi nella stessa direzione della banda”; tale famiglia
figura estinta tra quelle segnate, poi, nell’armoriale di Giacomo Chiozzotto del 1780.
Infine, nell’ultimo altare a sud, dedicato alla Madonna Addolorata, alla base delle due colonne,
poste ai lati dell’altare, figuravano gli stemmi dalla casa Fattorini78: “interzato in fascia: nel primo
d’azzurro al giglio d’argento, accompagnato a destra e a sinistra da una stella cometa d’oro, posta in
palo; nel secondo d’argento; nel terzo d’azzurro al monte (3) all’italiana, d’oro79”. A tale insigne
casa, appartenne l’ultimo cancellier grande di Chioggia, sotto la Veneta repubblica.
La chiesa, dietro nostra indicazione, di è dotata ultimamente di uno stemma, che porta la seguente
blasonatura: “di rosso alla croce in decusse, d’argento. Lo scudo è ornato da due rami di palma
verdeggianti, decussati sotto la punta dello scudo e annodati da un nastro di rosso”80.
Chiesa della Santa Croce
Edificata nel XV secolo, fu sede della omonima confraternita “di Bianchi”, per il colore del saio
che indossavano i confratelli. Nel timpano triangolare della chiesa, si osservano le statue
marmoree: al centro, S. Elena con alla sua destra, S. Vincenzo Ferrer alla sua sinistra, S.
Tranquillino presbitero martire. Nell’attiguo convento, figuravano le monache di San Benedetto. Il
complesso risulta totalmente stravolto al suo interno e ospita, attualmente, gli uffici della
Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Chioggia.
Nonostante ripetuti sopralluoghi, non abbiamo individuato alcun stemma.
Chiesa di San Domenico (13)
Durante il capitolo generale dei Frati Predicatori (Domenicani), tenutosi a Bordeaux nel 1287, si
stabilì di fondare in Chioggia un monastero, con annessa chiesa. La chiesa-santuario, che conserva
il simulacro ligneo di un Cristo trecentesco, di stile gotico doloroso, venne riedificata nel 1745.
Alla sommità della porta d’ingresso campeggia lo stemma episcopale dell’ordinario diocesano
mons. Adriano Tessarollo.
Nel primo e terzo altare a destra ed ugualmente nel primo e terzo altare a sinistra, nel timpano,
scudo lapideo accartocciato che carica: “il compendio IHS crocettato nella lettera centrale,
sormontante tre chiodi della passione posti a ventaglio, il tutto d’oro”.
Nell’altare dedicato a San Domenico di Guzman, alla base della statua marmorea del fondatore
dell’Ordine dei Predicatori del Ferraroni (1910), in scudo ovato, lo stemma dei domenicani: “di
nero, cappato, alzato di bianco, caricato del cane corrente al naturale, ingollante una torcia
fiammeggiante posta in sbarra, timbrato di una corona all’antica attraversato da un decusse formato
da un gambo di giglio in banda fiorito e fogliato al naturale e da una palma di martirio in sbarra al
naturale, il tutto sormontato da una stella di 8 punte d’oro”81. Il bianco82 per il frate domenicano è
segno, simbolo di purezza e di castità, mentre il nero, di rinuncia e di penitenza83. Ma, oltre che
nello stemma, tali smalti sono presenti anche nell’abito religioso dei domenicani, essendo, da
sempre, il saio di bianco ed il mantello di nero84. La stella, per la tradizione domenicana, è simbolo
di predestinazione e segno personale di san Domenico, poiché si narra che, nel giorno del battesimo,
la madrina vide risplendere una fulgida stella sulla fronte del santo. Il giglio è invece simbolo di
integrità e moralità, mentre la palma rappresenta, come ideale, il martirio. San Domenico, infatti,
avrebbe desiderato, nel predicare agli infedeli, nella fattispecie i Cumani, conseguire il martirio.
Il cane rappresenta poi la fedeltà al messaggio evangelico, mentre la fiaccola simboleggia la
diffusione della parola di Dio tra i fedeli e gl’infedeli, per opera di san Domenico e dei suoi figli
spirituali, i frati predicatori. Il cane con la fiaccola è legato, infine, ad un racconto immaginifico.
Si narra, infatti, che la madre di san Domenico, al momento del parto, abbia avuto la visione di un
cane, con una fiaccola fiammeggiante tra le fauci, correre, illuminando tutto il mondo. Ma i frati di
san Domenico, i domenicani, Domini canes, sono anche i cani del Signore, ossia i difensori della
verità che azzannano gli eretici e difendono il gregge di Cristo. A completamento dell’analisi del
simbolo domenicano, ne ricordiamo anche il motto: “Laudare, Benedicere, Praedicare”.
Nel supporto delle due colonne laterali, figura lo stemma, su scudo accartocciato, della casa
Cestari85: “troncato, semipartito: nel primo d’azzurro al sinistrocherio86 armato di mazza, al
naturale; nel secondo di rosso alla cesta87 d’oro di frutta al naturale; nel terzo d’azzurro a due sbarre
d’oro”.
Nella pala di Leandro da Bassano, posta a destra, osservando l’altar maggiore, viene raffigurata la
deposizione di Gesù, sostenuto da Maria, tra i santi Felice e Fortunato - patroni della città e diocesi
di Chioggia - e, nella parte inferiore, i santi Sebastiano, Rocco e Francesco. La presenza dei santi
Sebastiano e Rocco indica che è anche una pala votiva; in questo caso, per la fine della pestilenza
del 1609-1611. I santi Sebastiano e Rocco erano comunemente considerati i protettori contro tale
epidemia, con la simbologia delle frecce sul corpo di san Sebastiano, che indicavano la velocità di
propagazione del morbo e il cagnolino ai piedi di san Rocco, che lecca, invece, le piaghe causate dal
colera al santo, che, miracolosamente, poi, guarisce. Il terzo santo, infine - nel nostro caso san
Francesco d’Assisi - indica la particolare devozione del committente per il poverello.
Infine, nella predella, al centro, tra le effige, in busto, di cinque canonici, tra i quali il committente,
canonico dott. Alessandro Boscolo, figura uno scudo ovato di tale casa: “d’argento, a cinque alberi
al naturale nodriti su una campagna di verde, al coniglio, sedente, al naturale; il tutto accompagnato
al capo, da tre uccelli di nero”88.
Nel retro dell’altar maggiore, figura scolpito lo stemma episcopale - collocato alla fine del secolo
scorso - di Jacopo Nacchianti O.P.: “d’argento a due zampe di leone recise passate in croce di
Sant’Andrea; al capo, di tre gigli, divisi dal lambello a 4 pendenti”. Tale prelato, alla morte, venne
sepolto in tale chiesa, appartenendo all’Ordine domenicano; con la ricostruzione della stessa nel
sec. XVIII, se ne è persa la tomba.
Infine, nel lastrico tombale del cortiletto che porta all’oratorium (cappellina della Madonna di
Pompei) figurano due stemmi; il primo nella lapide in marmo rosso del 1759 di Angelo Bullo:
“d’azzurro alla chiocciola d’oro, rivoltata” ed il secondo, nella lapide sepolcrale lasciata per se e per
i suoi successori, nel 1764, da Domenico Vianello: “ d’azzurro alla fascia d’oro, accompagnata al
capo da tre stelle dello stesso, poste 1, 2 ed in punta, da una croce latina d’argento, posta in palo, e
da una scala a pioli, posta in banda, d’oro”. Originariamente tali lapidi sepolcrali figuravano
all’interno della chiesa.
La chiesa, dietro nostra indicazione, di è dotata ultimamente di uno stemma, che porta la seguente
blasonatura: “di nero, cappato, alzato di bianco, sormontato da una stella di otto raggi, d’oro. Lo
scudo è accollato a due rami di palma verdeggianti, posti in decusse e annodati da un nastro di
rosso”89.
Chiesa di San Francesco fuori le mura (41)
Sconsacrata e attualmente adibita a sede del museo etnografico della Laguna sud e dell’archivio
antico della città di Chioggia.
La prima chiesa, con annesso convento, venne costruita invece nel 1315 sotto l'episcopato del
domenicano mons. Ottoniello (1314-1327), con i proventi di un lascito testamentario di Giovanni
Pisani, del 1290. Nel corso della guerra di Chioggia (1378-1380) la chiesa venne abbandonata
ed il convento demolito. Nel 1423 la ricostruzione della chiesa e del convento, che perdurò' oltre il
1466. Con la venuta dei Francesi in Chioggia, il complesso venne adibito a caserma militare.
All’interno del museo, tra l’altro, figurano esposte tre misure di frumento, in bronzo, del XIV
secolo, il mezzo staio, la quarta e il quartarolo.
Ciascuna porta tre stemmi in scudo triangolare, tipico del Trecento: lo stemma della veneta
repubblica: il leone alato di S. Marco90, passante, il leone rampante di Chioggia e l'arme di casa
Bembo: “d’azzurro al capriolo d’oro, accompagnato da tre rose dello stesso”. In ciascuna vi e' una
scritta in latino che tradotta è del seguente tenore: "nell'anno del Signore 1332 al tempo dell'Egregio
uomo Dardo Bembo Podestà di Chioggia. Questo è il tipo dei mezzi stai (nella seconda: della
quarta - nella terza: del quartarolo) del Comune di Chioggia, per misurare gli altri mezzi stai (quarta
e quartarolo). Mi fecero i figli di Nicola, i figli di Martino e il maestro Giacomo". In tali misure,
troviamo il più antico stemma della città pervenutoci.
Ancora, è possibile ammirare uno stupendo acquerello di Aristide Naccari - contenente diciassette
stemmi d Chioggia ed un sigillo delle medesima città, quest’ultimo con il leone marciano
accovacciato e con la testa posta di fronte - disegnato e colorato in Venezia il 29 novembre 1905,
portante la seguente dicitura:."Stemma della Città di Chioggia" dal 1332 al 1854. Tale acquerello, il
prof. Aristide Naccari lo aveva allegato ad una sua petizione diretta al podestà di Chioggia, Amadio
Gallimberti, tendente a far si, che la città abbandonasse lo stemma decretato da S.M.I.R.Ap.
Ferdinando I d'Absburgo e riadottasse l'antico stemma civico del 1332 raffigurato nelle tre misure
di grano, presenti ora nel museo diocesano. Di conseguenza l'amministrazione Gallimberti, facendo
propria la tesi del Naccari, nella seduta del Consiglio del 6 maggio 1906, deliberò di abbandonare lo
stemma concesso dall'Austria e di riadottare la prima arma conosciuta, quella del 1332.
Ancora figurano due bussolotti cilindrici in legno, recante la data 1787. Tali recipiente servivano
per le votazioni con le palline di nero o di bianco, il famoso ballottaggio con le "bale" o "balote"
(palline). Nella fronte il leone di rosso su bianco argenteo. Altro bussolotto cilindrico in legno,
reca, invece, la data 1800 e la dicitura "consiglio <1800> minor". Anche quest’ultimo carica il leone
clugiense di rosso.
Osserviamo ora una preziosa tavola di cm. 75 per cm.50, dipinta ad olio, con Cristo seduto - tra i
Santi Felice e Fortunato, patroni della Città e diocesi di Chioggia.Cristo - nell’atto di benedire con
la mano destra, mentre con la sinistra tiene sulle ginocchia un libro sulle cui pagine sta scritto:
"Hoc est preceptum meum ut diligatis invicem, sicut dilexi vos". Sullo sfondo si legge nel mezzo
"Trenita", a sinistra "Felix" e a destra "Fortinalis". Sotto vi è la seguente iscrizione in caratteri
bizantini, purtroppo in più' parti rovinata "primo del mexe davosto tempore resiminis egregii et
potentis domini domini Petri Justiniano quondam domini Masi honorabilis potestatis Clugiae
existentibus massariis Communis Clugiae providis viris ser Felice de Matrona et ser Francischino
Gabo".
Nel margine inferiore della tavola a sinistra, arma della città di Chioggia: “di bianco argenteo, con
leone di rosso, rivoltato”; a destra invece, guardando sempre il dipinto, troviamo l’arme patriziale
del podestà Pietro Giustiniani: “d’azzurro alla fascia d’oro”. La tela dovrebbe essere, di
conseguenza, del 1375 in quanto in tale data, il Giustiniani figura podestà di Chioggia.
Figura, altresì, un trittico in tavola (cm. 75 per cm. 50) di Ercole del Fiore, datato 1436 che
rappresenta “La giustizia tra i Santi Felice e Fortunato”, patroni della città e diocesi di Chioggia.
Dalla brevissima iscrizione si apprende solo che fu ordinato dalla "Commessaria di Ser Olivoto".
Nel margine inferiore, al centro della iscrizione che ricorda il restauro, arme di Chioggia in
legno, “d'argento al leone di rosso”
Sempre nel museo civico figura una grande tela dipinta che raffigura l'arrivo del N. H. Girolamo
Fini, podestà a Chioggia, nel mentre riceve l'omaggio dei maggiorenti. Tale patrizio veneto ebbe il
reggimento nel 1712. Interessante il valletto municipale che porge al podestà le chiavi della città,
quale segno di sottomissione, ma presenta, nel contempo, anche il libro degli Statuti Comunali,
per ricordare, altresì, gli insigni e vetusti privilegi conseguiti. Nel dipinto, sopra la cornice del
basamento di una colonna, sono presenti, oltre allo stemma del N. H. Girolamo Fini: “inquartato:
nel primo: d’argento al leone di nero, alla fascia di rosso, caricata da tre stelle (6) d’oro,
attraversante sul tutto; nel secondo: d’oro a due serpi di verde, coronate d’oro, poste in palo e
affrontate; nel terzo: d’oro al semivolo d’argento; nel quarto: d’argento a due rose di rosso, gambute
e fogliate di verde. Sul tutto, scudetto: d’argento all’aquila bicipite, spiegata, di nero, coronata
d’oro, timbrato da una corona imperiale”91. Accanto, gli stemmi Gamba: “d’argento allo scaglio
netto di nero, accompagnato al capo da tre stelle (8) d’oro e in punta da una gamba umana recisa e
rivoltata, al naturale”, della casa Marangon: “d’argento, al destrocherio, manicato di rosso,
sostenente un compasso aperto, di nero,colle punte rivolte in alto, da falegname, sormontato da una
fascia ristretta, scaccata di una fila, d’oro, di rosso, d’azzurro e d’oro; al capo palato di quattro; nel
primo d’azzurro al giglio d’oro, nel secondo d’argento, nel terzo d’oro al giglio d’argento, nel
quarto di rosso al giglio d’argento”92 e dei Renier: “partito d’argento e di nero, al capriolo dell’uno
nell’altro”. Su altra colonna, l'iscrizione "EX ANNUENTE PRINCIPE REPARATORE IUDICES DIE 31
MENSIS OCTOBRIS 1712".
Sicuramente si tratta di una delle due tele citate da Iginio Tiozzo, nella sua guida del 1926, come
"Grandi Tele di Civici Magistrati", presenti nella sala maggiore, o dei ricevimenti, del palazzo
municipale. Dell'altra, purtroppo, si pensa sia andata dispersa.
Nel mezzanino della scala che porta al primo piano, dentro una teca figura il Gonfalone della città
di Chioggia, in uso sino al 198893. Su disegno del prof. Luigi Tomaz - anni cinquanta secolo scorso
-,con drappo di rosso, caricato dello stemma d'argento al leone d'oro, timbrato da una corona. Anche
i leoni infatti risentono dei democratici avvicendamenti. Solo così si può' spiegare come mai il
nostro secolare leone, stanco di indossare da una vita il suo bell'abito rosso, lo smise assumendo un
bel più' neutrale abito dorato che l'avrebbe fatto sentire più al passo con i tempi politici. Ma gli
uomini si interessano poco dei leoni anche quando li hanno sotto gli occhi. Di questi repentini
trasformismi leonini, nessuno s'accorse. Tale gonfalone, è stato consegnato dallo scrivente, nella
sua qualità i capo del cerimoniale, alla biblioteca civica Sabbadino, il 5 novembre 1990, per passare
poi al museo cittadino, con l’apertura dello stesso, essendo stato sostituito dall'attuale.
Sempre all’interno della teca figura anche un puntale (freccia) da gonfalone della città di Chioggia,
fuso nel 1990, con scudo, leone e corona da città, dell’artista chioggiotto bronzo Giorgio Boscolo
Femek,
Figurano, infine, dieci sigilli, con arma della città di Chioggia - periodo XIX-XX secolo raccolti dal comm. Giorgio Aldrighetti, capo del cerimoniale del comune, in vari uffici e
consegnati, con lettera del Sindaco di Chioggia, in carico alla biblioteca civica, nel 1984 e da
questa al nuovo museo civico ed una litografia acquerellata (fine Ottocento - primi Novecento) con
tre valletti della città di Chioggia, in dalmatica, di bianco e di rosso (colori della città di Chioggia),
con caricato sul petto lo stemma concesso alla città di Chioggia da SMIRAp. Ferdinando I
d’Absburgo.
Chiesa di Sant’Antonio da Padova (3)
Sconsacrata e attualmente parte del complesso della biblioteca civica “C. Sabbadino. A seguito di
petizioni del minor e maggior Consiglio, sotto il reggimento del N.H. Francesco Corner, Podestà
di Chioggia (1581-1582), rivolta al ministro generale dell’OFM cappuccini, al fine di ottenere in
città una stabile presenza di tale Ordine, i cappuccini s’insediarono presso i locali dell’antico
ospedale Cà di Dio fuori mura nel 1585. Cà di Dio.
Nella parete a est, sopra la porta laterale d’ingresso, nell’architrave lapideo tre stemmi, con al centro
quello del vescovo Massimiano Beniamo (1585-1601): “D’argento alla palma piantata sul monte di
cinque colli, all’italiana, con una fede di carnagione attraversante sul tronco della palma. Al capo,
d’argento a tre stelle di otto raggi, male ordinate”, timbrato da una mitria con le infule svolazzanti,
accompagnato alla propria destra dallo stemma di Chioggia, con il leone rivoltato e alla propria
sinistra dallo stemma del N.H. Girolamo Polani: “interzato in fascia, d’oro, d’azzurro e d’argento”,
podestà di Chioggia94.
Nel patrimonio della civica biblioteca “C. Sabbadino”, ubicata nell’annesso stabile, già convento
dei cappuccini, figura conservato il manoscritto di Giacomo Chiozzotto: “Blasone di famiglie della
città di Chioggia fatto con tutta diligenza da me Giacomo Chiozzotto pittor e blasoniere della stessa
città l’anno MDCCLXXX” con gli stemmi delle famiglie acquerellati; figura, altresì, l’armoriale dei
NN.HH. patrizi veneti, podestà di Chioggia dal 1227 al 1797, anche tale manoscritto, con gli
stemmi acquerellati.
Chiesa Madonna Immacolata (6)
Edificata negli anni cinquanta dello scorso secolo, assieme agli edifici dell’Istituto professionale
“Cavanis”, per volontà del vescovo mons. Giovanni Battista Piasentini.
Nell’entrata, a destra, si osserva, in parete, lo stemma di Chioggia, d’oro al leone rivoltato di rosso,
mentre il campo doveva essere d’argento ed il leone, invece, volto alla sua destra. Alla sinistra
appare, invece, uno scudo stilizzato, con lo stemma della Congregazione delle Scuole di Carità
(Padri Cavanis).
Proseguendo, nel muro attiguo alla chiesa, si ammira alzato un bel leone marciano, scolpito in
pietra, nascente dalle acque, sostenente con la zampa anteriore destra un libro aperto, con
l’iscrizione “A.D. 1886”.
Nel timpano della chiesetta, dipinto in uno scudo a cerchio, lo stemma della Congregazione delle
Scuole di Carità (Padri Cavanis): “campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta, quello di
mezzo più alto e sostenente un cestello al naturale, ripieno di erba di verde e sormontato da una
colomba d’argento nell’atto di beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati da un
cipresso al naturale (Fede e Speranza)”, mentre, nelle ante, in vetro, della porta della chiesa, figura
dipinta, in una, lo stemma del vescovo mons. Giovanni Battista Piasentini: “partito: nel primo
campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta, quello di mezzo più alto e sostenente un
cestello al naturale, ripieno di erba di verde e sormontato da una colomba d’argento nell’atto di
beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati da un cipresso al naturale (Fede e
Speranza) (Religione delle Scuole di Carità, Padri Cavanis); nel secondo d’azzurro al fuoco ardente
di rosso, sormontato da una stella di sei raggi d’oro. Al capo, di rosso al leone passante d’oro, alato
e nimbato dello stesso, tenente con la zampa anteriore destra un libro d’argento aperto scritto delle
parole in lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS” e nell’altra, lo
stemma della città di Chioggia.
Chiesa dei Santi Giovanni Battista e Antonio da Padova ( 4)
Chiesa attigua al cimitero cittadino; venne consacrata dal Vescovo mons. Mezzadri il 28 ottobre
1935.
Il 10 novembre 1935 vennero murate in un sacello, appositamente costruito all'interno della chiesa
a destra, 60 salme di caduti clodiensi della prima guerra mondiale. Il piccolo sacrario si compone
di una croce latina cancellata in ferro su vetro. Nei riquadri in marmo i nomi dei Caduti. Alla
sommità dei due riquadri superiori, lo stemma di Chioggia: "di bianco95 al leone di rosso rivoltato",
l’arme del Regno d’Italia: "di rosso alla croce di bianco"96. Il terzo scudetto, rappresentava un
fascio littorio, stemma del fascismo, e venne scalpellato, alla fine del secondo conflitto mondiale.
Dietro indicazioni dello scrivente, e in accordo con i Frati cappuccini che sino a poco tempo fa,
avevano la custodia del cimitero e l’officiatura della chiesa, in tale posto vuoto si è collocato uno
scudetto con lo stemma dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini: “d’azzurro, al braccio nudo di
Cristo posto in croce di sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, la mano del quale
reca le stigmate; dall’incontro nasce la croce”. Ultimo, lo scudetto del vescovo Mezzadri: “interzato
in fascia: nel primo d’oro all’aquila spiegata di nero; nel secondo d’azzurro al leone d’argento; nel
terzo sbarrato d’azzurro e di rosso di sette pezzi”97. Sopra il tutto, bel mosaico con iscrizione "In
Bello Fortes".
Chiesa di San Giovanni Battista (1)
Nell’omonimo quartiere, sito a sud della città, figura tale chiesa, edificata nella seconda metà del
sec. XX.
Sopra il portale d’ingresso della chiesa, posto al primo piano, figura lo stemma del LXXXI vescovo
di Chioggia, mons. Adriano Tessarollo: “partito: nel primo di rosso alla spada d’argento, manicata
d’oro, posta in palo, con la punta rivolta verso il capo, sormontata da due api d’oro montanti, poste
in fascia; nel secondo d’argento a tre fasce ondate diminuite d’azzurro, moventi dalla punta,
sormontate da un avambraccio nudo, uscente dal fianco sinistro dello scudo, impugnante una rete da
pesca di nero, uscente dalle fasce ondate”.
Palazzo vescovile (18)
Nella facciata della cancelleria vescovile e dell’attiguo palazzo episcopale, figurano degli stemmi
lapidei, con scudo a targa, che non sono ecclesiastici, bensì appartenenti a famiglie patrizie venete
che ebbero loro membri, in qualità di podestà, nella comunità clodiense, durante la Veneta
repubblica. Così osserviamo sulla fronte della cancelleria vescovile, iniziando da sinistra, lo scudo
gentilizio Bembo: “d’azzurro al capriolo d’oro, accompagnato da tre rose dello stesso” seguito dai
Barbo: “d’azzurro, al leone d’argento, lampassato98 di rosso, colla banda d’oro, attraversante sul
tutto” e da quello dei Bollani: “bandato d’oro, di verde, d’argento, di rosso e d’azzurro”, mentre
sulla facciata del palazzo episcopale osserviamo a sinistra lo stemma dei Mocenigo: “troncato:
d’azzurro e d’argento, a due rose di quattro petali dell’uno nell’altro, bottonate d’oro”, mentre a
destra figura quello dei Diedo. “troncato d’oro e d’azzurro alla banda di rosso. Al capo di rosso alla
croce d’argento”99. Infine, nella parete del mezzanino sinistro dello scaleo, sempre dell’episcopio,
figura murata una lapide, con lo scudo del vescovo Nicolò Inversi: “d’argento alla bandiera astata,
posta in banda, con il drappo del vessillo, sventolante a sinistra, caricato da un giglio ed
accompagnato da tre bisanti, posti 2 nel capo ed 1 in punta”, timbrato da una mitria con le infule
svolazzanti, con alla propria destra lo stemma di Chioggia con il leone rivoltato ed alla propria
sinistra lo stemma del N.H. Antonio Erizzo, podestà di Chioggia nel1463/1464. Lo stemma di tale
podestà: “d’azzurro alla banda d’oro, caricata in capo da un porcospino ed in punta da una E alla
gotica, d’argento”, rientra, a pieno titolo, tra gli stemmi “parlanti”, in quanto carica nello scudo una
E ed un porcospino (riccio o rizzo) da cui Erizzo. Per gli stemmi dei podestà Bembo, Barbo,
Bollani, Mocenigo e Diedo, ipotizziamo che originariamente si trovassero alzati nel palazzo
pretorio di Chioggia, eretto - probabilmente - nel 1227100.
Sempre nel cortile di accesso all’episcopio, nella lapide murata nel tamburo esterno dello scaleo del
palazzo episcopale figurano gli scudi del papa Sisto V: “d’azzurro, al leone sostenente con la zampa
anteriore destra un ramo di tre pomi, fogliato, il tutto d’oro; alla banda di rosso, attraversante,
caricata verso il capo da una cometa di otto raggi, d’oro e da un monte (3) all’italiana, d’argento,
posto nel verso della banda”, timbrato dalla tiara con le infule svolazzanti e del vescovo clodiense
Massimiano Bignami.”d’argento alla palma piantata sul monte di cinque colli, all’italiana, con una
fede di carnagione attraversante sul tronco della palma. Al capo, d’argento a tre stelle di otto raggi,
male ordinate. Lo scudo è sormontato da uno scudetto d’argento al braccio nudo di Cristo posto in
croce di Sant’Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco, la mano del quale reca le stigmate;
dall’incontro nasce la croce latina, patente, d’argento (Religione dei frati minori conventuali)”,
(1585-1590), timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti. Sino a quel periodo gli stemmi
episcopali risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del
tempo si consoliderà invece alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni e le nappe.
Nel timpano del palazzo vescovile osserviamo, poi, lo stemma del vescovo Giovanni Maria
Benzoni101: “d’azzurro, squamato d’argento, ciascuna squama caricata di una mosca d’armellino di
nero; al capo del primo caricato da un leone passante del secondo”, mentre nella parte a nord figura
una iscrizione in latino che ricorda come il vescovo Giovanni Soffietti, con il proprio denaro, abbia
ricostruito l’episcopio l’anno 1726. La lapide figura sormontata dallo stemma vescovile: “d’argento
alla fortezza chiusa e finestrata di nero, torricellata di tre pezzi, sostenuta da una pianura, il tutto al
naturale; la prima e la terza sostenente due uccelli d’argento, affrontati, accompagnati al capo da
una corona all’antica, d’oro”..
Nel salone d’onore del palazzo, a nord, lo stemma del vescovo Giovanni Soffietti102 che abbiamo
già blasonato, con, alla propria destra, lo stemma di Chioggia, con leone di rosso rivoltato, ed alla
propria sinistra lo stemma del N.H. Francesco Carminati: “troncato: nel 1° d’oro, all’aquila bicipite
spiegata di nero; nel 2° di rosso al carro d’oro”, podestà di Chioggia. Gli scudi di Chioggia103 e del
podestà Carminati figurano timbrati da un elmo con svolazzi, mentre lo scudo del vescovo Soffietti
risulta timbrato da una mitria, con le infule svolazzanti,
Nel dorsale del pancone, sempre in tale salone: stemma del vescovo mons. Antonio Savorin104:
“semitroncato partito: nel primo d’azzurro a tre stelle di cinque raggi d’oro, poste 1, 2; nel secondo
al mare d’argento ondato d’azzurro; nel terzo d’argento all’albero fogliato al naturale, piantato su
un monticello di verde” .
Nell’affresco del soffitto, nella sala del trono, si ammira , invece, lo stemma del vescovo Giovanni
Benedetto Maria Civran105: “d’azzurro al cervo passante d’argento, con la testa rivolta”.
A piano terra di tale palazzo, in una travatura lignea, infine, interessante stemma, timbrato da una
mitria con le infule svolazzanti, del 1465, del vescovo Nicolò Inversi: “d’argento alla bandiera
astata, posta in banda, con il drappo del vessillo, sventolante a sinistra, caricato da un giglio ed
accompagnato da tre bisanti, posti 2 nel capo ed 1 in punta”.
Giardini adiacenti il palazzo vescovile (5)
Nella parte a sud dei giardini, che precedono il palazzo vescovile, la riva del "Perotolo" risulta
protetta da una balaustra marmorea proveniente dal vecchio palazzo pretorio, con al centro una
Madonna con Bambino, opera attribuita ad Alvise Tagliapietra già nella sommità della scalinata
del precedente palazzo pretorio e chiamata da sempre in vulgo " Refugium Peccatorum", poiché ai
cittadini in attesa di giudizio era consentito di recitare davanti a quell'immagine una preghiera,
prima della sentenza pronunciata nel palazzo pretorio.
La Madonna con Bambino è sormontata da un ricco baldacchino in rame dorato, on alla propria
destra, nei ferri di sostegno, stemma civico di Chioggia con leone rivoltato e alla propria sinistra,
stemma gentilizio del N. H. Zuanne Donado: “ troncato: nel primo: d’argento a tre rose di rosso;
nel secondo: fasciato d’azzurro e d’oro di quattro pezzi”, podestà di Chioggia nel 1717.
A sinistra della statua, sopra la balaustrata, leone lapideo sedente sostenente con una zampa uno
scudo accartocciato con l’insegna civica della comunità di Chioggia; parimenti a destra, un altro
leone sedente che sostiene lo scudo del N.H. Lunardo Martinelli: “troncato: nel primo d’azzurro a
due stelle d’oro nel capo e al giglio d’argento in punta; nel secondo, d’argento, alla fascia di rosso;
con la colonna d’argento, cimata da un gallo di nero, posta in banda, attraversante sul tutto”.
Alla base della statua della Madonna, grande lapide accartocciata con l’iscrizione: “REFUGIUM
106
PECCATORUM O.P.N.”, cimata da uno scudo ovato, con l’arme scalpellata .
Museo diocesano di arte sacra (22)
Intitolato ai santi Felice e Fortunato Mm., patroni della città e diocesi clodiense, ospita - tra l’altro
- ori e argenti, per lo più provenienti dalla Cattedrale, tutti di eminente pregio e di squisita fattura.
Il museo, inaugurato nel 2002, si organizza in quattro sezioni: la prima, quella “storica”, con
l’esposizione di documenti e manufatti che testimoniano la storia secolare della diocesi; la
seconda, “iconografica”, che conserva le tele, tra le più eminenti, del patrimonio pittorico del
nostro territorio, con la presenza anche di sculture e rilievi lignei; la terza, “argenteria e
paramenti sacri” con l’esposizione di reliquiari e suppellettili liturgiche, nonché paramenti, oggetti
e simboli della pietà popolare e la quarta, dedicata all’architetto chioggiotto Aristide Naccari
(1848-1914), dove compare, in forma di campionatura, l’imponente opera grafico-pittorica di
questo insigne figlio di Chioggia.
Nelle sale si possono ammirare il Capitolare dei “salineri” (esattori delle tasse sul sale), con in
punta tre stemmi, con scudo triangolare tipico del sec. XIII; il primo, osservando da sinistra, è lo
stemma patriziale veneto dei Contarini: “d’oro a tre bande d’azzurro; sul tutto107 scudetto circolare
d’oro all’aquila spiegata di nero”.
Ancora, due interessanti leoni sedenti, in pietra, sostenenti lo scudo a targa della città di Chioggia:
d’argento al leone di rosso” e lo scudo, sempre a targa del N.H. Francesco Vendramin: “interzato in
fascia; d’azzurro, d’oro e di rosso”, podestà di Chioggia nel 1685,
Interessante lacerto in pietra d’Istria108, di cm. 130 di lunghezza per cm. 30 di altezza probabilmente la parte superiore di una lapide o parte di un architrave - con cinque stemmi ovali
scolpiti, ordinati in fascia. L’arme stemma centrale: “d’argento a due fasce di rosso, accompagnate
in capo da tre rose dell’ultimo, ordinate in fascia, timbrato dal corno dogale”109, appartiene al 79°
doge della Serenissima veneta Repubblica, Francesco Donato110 (1545-1553); il secondo stemma
posto alla destra di quello dogale e secondo per importanza: “d’argento a due zampe di leone recise,
poste in decusse, al capo di tre gigli ordinati in fascia, timbrato da una mitria (abrasa) con due infule
svolazzanti”111 è del domenicano fra’ Jacopo Nacchianti112, vescovo di Chioggia (1544-1569); il
terzo stemma posto alla sinistra di quello dogale e terzo nelle precedenze: “d’argento al leone di
rosso”, appartiene alla comunità di Chioggia; il quarto stemma posto alla destra dello stemma
episcopale e quarto nelle precedenze: “d’oro a tre bande d’azzurro”, è l’arme del N. H. Agostino
Contarini113, patrizio veneto e podestà di Chioggia dal 1546 al 1548 ed infine l’ultimo, posto alla
sinistra dello stemma della città di Chioggia: “palato d’argento e di rosso di otto pezzi, caricato da
una crocetta di rosso nel secondo palo d’argento” è l’arme patriziale della famiglia patrizia veneta
Grimani114.
Osserviamo, ancora, lo stemma del vescovo Giovanni Soffietti115: “d’argento alla fortezza chiusa e
finestrata di nero, torricellata di tre pezzi, sostenuta da una pianura, il tutto al naturale; la prima e la
terza sostenente due uccelli d’argento, affrontati, accompagnati al capo da una corona all’antica,
d’oro”, con alla propria destra lo stemma della città di Chioggia, con il leone “rivoltato” e con alla
propria sinistra lo stemma del N.H. Giovanni Bollani116: “bandato di cinque pezzi: d’oro, di verde,
d’argento, di rosso e d’azzurro”, podestà di Chioggia nel 1718, quest’ultimo, non smaltato.
L’assegnazione ci è stata possibile solo perché figurano, in nero, i segni del “bandato”. Lo abbiamo,
di conseguenza, assegnato a tale podestà, risultando l’unico patrizio veneto che nel periodo di
episcopato di monsignor Giovanni Soffietti disponeva di un’arme gentilizia bandata. In origine, le
tre arme figuravano nella cattedrale di Santa Maria Assunta.117
Nel settore dell’oreficeria, nel collo del piede di una pisside del 1624 figurano incisi lo stemma del
vescovo Pasquale Grassi: “d’azzurro al drago d’oro sormontato da una stella dell’ultimo di otto
raggi”e della famiglia cittadina Tiozzo: “D'azzurro, alla sbarra (troncata) e innestata alla banda, il
tutto d'oro, cucito d'argento nel secondo, e di rosso nel terzo”118.
In un altro collo, lo stemma del podestà N.H. Andrea Duodo: “di rosso, alla banda d’argento,
caricata da tre gigli d’azzurro” e della famiglia cittadina Scarpa: “d’argento alla carpa di nero”.
Curioso il copricuscino a ricamo, con veduta della Madonna, chiamata Refugium Peccatorum, e lo
stemma di Chioggia, probabilmente della seconda metà dell’Ottocento.
Nel patrimonio del museo diocesano d’arte sacra, figurano, ancora, un piviale “samis oro” (dorato)
con uno stemma episcopale nelle due punte della sacra veste, altro piviale di bianco, con ricami in
oro, con nel dorso del paramento, stemma episcopale ed infine, sempre uno stemma vescovile,
ricamato nel dorso di una pianeta, blu notte, con ricami di draghi dorati, ricavata da un ricco manto
imperiale cinese119.
Rammentiamo, infine, che il termine araldico "sul tutto" identifica, di norma, uno scudetto che si
pone nel punto centrale di uno scudo inquartato, mentre noi desideriamo ricordare con il termine "in
tutto" che le arme da noi osservate e blasonate sono 329; in questo saggio tale è la consistenza del
patrimonio araldico esaminato.
Concludiamo, volendo sperare che l’odierna società senta il bisogno di rinvigorire l’amore e
l’interesse per l’araldica, per questa affascinante scienza documentaria della storia, poiché nello
stemma che noi osserviamo c’è qualcosa di più di una semplice convenzione; è storia di archetipi,
di significati condensati nel nostro passato e sommersi che avrebbero soltanto bisogno di essere
tirati su e riportati a riva...
Sono segni che rimangono davanti a noi tutt’oggi.
GIORGIO ALDRIGHETTI. In quiescenza dal gennaio 2003. Per diversi anni è stato capo dell’Ufficio cultura e
dell’Ufficio del cerimoniale del Comune di Chioggia, nella carriera direttiva. Ha curato l’istruttoria storico-araldica per
il riconoscimento, con D.P.R., degli emblemi di diversi enti territoriali, tra i quali ricordiamo la Provincia e il Comune
di Venezia. Ha ideato, altresì, con le relative blasonature ed esegesi, numerosi stemmi ecclesiastici, come quello
dell’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola e del patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia.
1
Con il termine “blasone” si intende, invece, la disciplina che insegna a comprendere il significato degli stemmi e a
descriverli secondo le terminologie araldiche; tale vocabolo deriverebbe dal verbo tedesco blasen, ossia il suonare del
corno per chiamare a raccolta i cavalieri che partecipavano al torneo.
2
Data la complessità dell’edificio, se ne propone una lettura solo parzialmente ordinata, utilizzando la stessa
numerazione presente nella Tav. III - di cui si allega copia - della prestigiosa ed esaustiva opera: G. Marangon,
VIAGGIO nella MEMORIA, Iscrizioni e citazioni latine a Chioggia, Chioggia, 2000, per quanto riguarda solo gli
stemmi che sormontano le iscrizioni lapidarie. Per le insegne araldiche presenti, che non sono supportate da lapidi, si
offre la descrizione blasonica delle stesse, con l’indicazione dell’ubicazione, senza, ovviamente, fornire numerazione.
3
Per tale leone riportiamo cosa asserisce lo storico dell’arte Alberto Rizzi: "... uno dei più smaglianti esemplari
marciani rinascimentali, paragonabile per venusta precocità al ben più noto capodistriano di palazzo Totto, databile
questo a poco dopo il 1460 - e non al principio del XVI sec. come, sia pur dubitativamente, proposi, fuorviato da una
ipotetica originaria collocazione - in quanto rivela strette consonanze coi due leoni scorciati sui plinti del portale
dell'Arsenale di Venezia. Trascurato anche per la sua collocazione, il leone della Cattedrale è cronologicamente
ancorato al dogado di Cristoforo Moro (1462-71), di cui sorregge lo scudo, ed è certo di riporto, essendo stato
verosimilmente infisso durante la dominazione austriaca, come si verificò ad esempio nel 1857 ( o 1864?) sulla porta S.
Tommaso di Treviso. Si aggiunga che esso è tanto più notevole in quanto perfettamente conservato, il che pure
contribuì a creargli quell'alone di falso che sparisce totalmente qualora lo si esamini coll'aiuto di un binocolo". (A.
Rizzi: I leoni marciani di Chioggia, in rivista “Chioggia, n° 11, Chioggia 1994). A nostro avviso, invece, tale leone
dovrebbe essere stato collocato dopo il 1866 con il passaggio al regno d’Italia, in quanto ipotizziamo che sino a tale
data, figurasse un’aquila bicipite absburgica, come si può ancora vedere dal lacerto lapideo sottostante.
4
Per la casa patriziale Duodo troviamo anche: “di rosso alla banda d’oro, ripiena d’azzurro, caricata da tre quadrifogli
d’oro, accompagnata in capo da una stella (6) d’oro raggiante”. Annotiamo che per gli stemmi scolpiti o intagliati non
colorati o mancanti dei segni convenzionali indicanti gli smalti, per l’esatta verifica della blasonatura delle figure e
degli smalti, abbiamo utilizzato: Armoriale dei podestà di Chioggia dal 1227 al 1797, manoscritto, Chioggia,
(Biblioteca Civica C. Sabbadino); Aldrighetti G., Gli Stemmi degli Ecc. mi e Rev. mi Vescovi della Città e Diocesi di
Chioggia, “Nobiltà”, Rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi, edita dall’Istituto Araldico Genealogico
Italiano, n. 40, Milano, gennaio-febbraio 2001. Chiozzotto G., Blasone di famiglie della città di Chioggia fatto con tutta
diligenza da me Giacomo Chiozzotto pittor e blasoniere della stessa città l’anno MDCCLXXX (Biblioteca civica C.
Sabbadino, Chioggia); Collegio Araldico (Istituto Araldico Romano), Libro d'oro della Nobiltà Italiana, ed. XX,
voll. XXI-XXII, Roma 1994; Corpo della Nobiltà Italiana, Famiglie Nobili delle Venezie, a cura di Italo Quadrio,
Udine 2001 e Crollalanza G.B. (di), Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte
e fiorenti, Pisa 1888.
5
Con il termine blasonico “rivoltato” si intende le figure o animali che sono voltati, con il corpo o con la testa, verso il
lato sinistro dello scudo.
6
Il calendario liturgico della diocesi di Chioggia ascrive per il 22 novembre la memoria di santa Cecilia vergine e
martire, compatrona della diocesi. Sino agli inizi degli anni ‘70 dello scorso secolo, in tale ricorrenza, il capitolo
cattedrale di Chioggia alla sera - dopo l’officiatura dei vespri corali, davanti al Santissimo Sacramento solennemente
esposto - cantava il Te Deum di ringraziamento. Tutto risale al 1336, quando nel giorno a lei dedicato, era stata
riconquistata la torre delle saline, già espugnata dagli Scaligeri, e, grazie a tale atto di eroismo, fu scongiurata la
capitolazione della città. Nel ricordo di tale evento, ogni anno, nel giorno della festa, venivano offerti all’altare, nel
corso della liturgia, in onore della vergine martire, il sale e i ceri.
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Ogni anno Chioggia celebra l’11 giugno la festa dei patroni, i Santi Felice e Fortunato martiri.
Si racconta che all’inizio del quarto secolo, durante la violenta persecuzione contro i cristiani, decretata dagli imperatori
romani Diocleziano e Massimiano, i fratelli vicentini Felice e Fortunato si recarono ad Aquileia per ragioni di
commercio o perché erano soldati romani.
Ferventi cristiani, furono scoperti un giorno mentre pregavano in un bosco: fatti subito arrestare dal prefetto Eufemio,
dichiararono con grande coraggio la propria fede. Si corse a vari espedienti per indurli ad abbandonare la loro fede: si
passò dalle lusinghe alle minacce, dalla proposta di bruciare l’incenso in onore degli imperatori alle torture che, a
quanto narra la tradizione, dovettero essere sempre più gravi e strazianti.
Essi perseverarono nella loro testimonianza invocando il nome di Cristo. Risultando allora vana ogni forma di
dissuasione, il prefetto ordinò che fossero decapitati. Condotti nei pressi del fiume Natisone, compresi della gravità del
momento, Felice e Fortunato si abbracciarono con affetto e, in ginocchio, resero grazie a Dio, mentre i carnefici si
accingevano a decapitarli.
Di notte accorsero nel luogo del martirio alcuni cristiani di Aquileia e altri che provenivano dalla città natale dei due
martiri: i primi per dare loro onorevole sepoltura, questi per trasportare i corpi a Vicenza.
Per non provocare l’ira del prefetto, si decise che le reliquie fossero divise tra Aquileia e Vicenza. Quelle assegnate ad
Aquileia furono tra sferite nel tempo, attraverso varie peripezie, prima a Grado, poi a Malamocco e nel 1110, insieme
con la sede vescovile, a Chioggia; da tale data divennero i patroni della nostra città e della diocesi.
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Con il termine “aspettazione” si intende il campo di uno scudo intonso, ovvero non ancora caricato con gli smalti e le
figure araldiche.
9
Ricordiamo che il bianco non figura tra gli smalti araldici; nel nostro caso si doveva smaltare con il d’argento.
Con l’inusuale termine blasonico di “mano d’aquila”, si intende una zampa d’aquila che sostiene un mezzo volo,
ossia una sola ala.
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Con il termine “al naturale” si intende “la figura riprodotta con il suo colore naturale e non con uno smalto araldico”.
(L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, voce Al naturale, pag. 19).
12
Con i termini “svolazzi” o “lambrecchini” si intendono “gli ornamenti esteriori dello scudo, costituiti da dei veli
frastagliati e svolazzanti , che dalla cima dell’elmo (più esattamente dal cercine), ricadono sui due lati dello scudo . Gli
svolazzi sono smaltati con gli smalti dello scudo. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., voce svolazzi, pag.
199).
13
“È una figura animata - umana, oppure di animale - che esce, con la metà del suo corpo, da una linea di partizione
orizzontale o diagonale, da una pezza, dalla punta dello scudo, oppure dal cercine dell’elmo”. (L. Caratti di Valfrei,
Dizionario di Araldica, Milano 1997, voce Nascente, pag. 134). Nel nostro caso è uno stemma “parlante”, in quanto la
mezza figura superiore umana del moro, richiamo il cognome del proprietario dello stemma
14
Le armi ecclesiastiche non sono mai state timbrate con la berretta “Tricorno”, ma con il “galero” ossia il cappello
prelatizio, di colori diversi e con cordigliere e nappe di vario numero secondo la dignità dell’ecclesiastico.
In questo caso lo scudo andava sormontato da un cappello di nero con cordigliere e nappe dello stesso colore disposte
d’ambo le parti in numero di 3, poste1,2.
15
Con il termine blasonico “parlante” di intende quell’arme che contiene delle figure il cui nome è omonimo del
cognome della famiglia che ne è la titolare.
16
Lo stemma del vescovo viene cambiato ogni volta che cambia il presule.
17
G. Marangon, Viaggio nella MEMORIA, Iscrizioni e citazioni latine a Chioggia, Chioggia 2000, pp. 55-56.
18
Gli scudi araldici presenti nell’urna non figurano smaltati “a colori”, ma portano i segni convenzionali indicanti gli
smalti.
19
Lo stemma di Chioggia, invece, è: “d’argento al leone di rosso”, con il leone, quindi, non rivoltato. Ne consegue che
l’artista chioggiotto Aristide Naccari non aveva piena conoscenza delle molteplici norme che regolano la scienza
araldica, prevedendo, infatti, nel disegno preparatorio dell’urna, ora esposto nel Museo diocesano d’arte sacra,
Chioggia, lo stemma clodiense con il campo dello scudo caricato da un leone rivoltato e quindi nella sua non naturale e
legittima posizione.
20
In idioma chioggiotto la chiocciola si chiama bulo e quindi stemma parlante.
21
Lo storico chioggiotto Carlo Bullo, trasferitosi a Venezia, ottenne il titolo di Nobile nel 1887, e il titolo di nobile dei
Conti nel 1896, figurando così descritto nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 3 luglio 1921:
Bullo, Nobile, (mf). [maschio-femmina]. Riconoscimento 1887, dei Conti, mf., Rinnovazione 1896, orig. Veneto, dim.
Venezia. Tale famiglia figura estinta.
22
Sicuramente siamo in presenza di un errore di trascrizione del cognome nell’incisione in quanto la famiglia gentilizia
era BRUSOMINI e non BRUSEMINI. Nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 3 luglio 1921, per
tale famiglia di Chioggia si legge: Brusomini-Naccari, Conte, (m). [maschio] orig. Veneto, dim. Chioggia (Venezia) Concessione 1895. Tale famiglia figura estinta.
23
Giuseppina, Adolfo e Aristide Naccari, quest’ultimo, autore del disegno dell’urna.
24
Canonico Carlo Voltolina, arciprete.
25
Nel 1905 in Sottomarina esisteva un’unica parrocchia dedicata a san Martino vescovo di Tours.
26
La corona è simbolo di regalità, mentre i rami di palma simboleggiano il martirio.
27
Lo stemma è quello della marchesa Maddalena di Canossa, fondatrice delle Figlie della carità “canossiane”; rientra, a
pieno titolo, tra gli stemmi “parlanti”, ossia sono quegli stemmi che contengono delle figure il cui nome è omonimo del
cognome della famiglia che ne è la titolare. Nel nostro caso figura caricato nello scudo un cane che azzanna un osso e
quindi: cane - osso = Canossa.
28
Si tratta della sig.a Giustina Furlan, abitante a Venezia, ma di famiglia originaria di Chioggia. L’Oratorio Salesiano S.
Giusto di Chioggia venne interamente costruito grazie alla munificenza di tale insigne benefattrice, che lo volle
intitolato a S. Giusto, ricordando così lo zio don Giusto Furlan, primo ispiratore dell’opera.
29
Il linguaggio blasonico italiano non ha sviluppato una terminologia specifica per la descrizione sintetica e precisa di
simili figure, a differenza di quanto è avvenuto invece in altre aree, in ispecie quella germanica. Da quelle parti, ad
esempio, l'elemento sommitale risultante dalla fascia, dalla terminazione del palo e dalla loro congiunzione con
andamento triangolare sarebbe descritta semplicemente come Vierkopf (schaft).
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Fratelli Ravagnan.
31
Fratelli Poli.
32
Fratelli Pagan.
33
Il com. di Emilio Penzo andava scritto comm. (con la doppia m) risultando l’abbreviazione di commendatore; per la
famiglia di Galeazzo Vianelli ricordiamo, invece, che nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 3
luglio 1921, per tale casa di Chioggia si legge: Vianelli, Nobile, (mf). [maschio-femmina] orig. Veneto, dim. Chioggia
(Venezia) - Riconoscimento 1907. Quindi il riconoscimento del titolo di Nobile e non di Conte è posteriore all’urna che
è del 1903-1905.
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34
Presumiamo sia don Egidio Cappon e sorella Teresa.
Fu Dom. presumiamo sia Domenico.
36
Sono i superiori e gli insegnanti del Seminario vescovile di Chioggia.
37
È il segretario vescovile.
38
Parrocchiani di Pettorazza Grimani.
39
Singolare la presenza, tra le istituzioni che concorsero finanziariamente alla costruzione dell’urna, dei Salesiani,
arrivati a Chioggia solo nel 1899. Sicuramente, nel 1904, avranno indetto delle collette tra i primi estimatori di don
Bosco e di Maria Ss. Ausiliatrice.
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Sono le Ancelle della carità di Brescia, presenti nell’ospedale cittadino; tale congregazione svolse benemerita opera
di carità e di assistenza alla comunità di Chioggia sino agli anni ’70 dello scorso secolo.
41
Terminologia araldica”veneziana” del tutto unica, di in moleca o in moeca, per la somiglianza di tale figura con il
granchio (cancer moenas), quando diventa molle, per il cambio del guscio. Nel nostro caso è il leone, alato e nimbato
dello stesso, con la testa posta di fronte e accovacciato,
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Per completezza ricordiamo che le case patriziali venete e non solo, disponevano generalmente anche di più arme,
secondo i vari rami, diverse una dall’altra, per le “brisure” caricate. Con tale termine blasonico si intende le varianti
introdotte in un’arme (quali: il cambiamento delle figure, la permutazione degli smalti, l’aggiunta di nuove figure, ecc.)
allo scopo di differenziarla da quelle delle altre linee di uno stesso ceppo famigliare.
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Lo stemma, come si osserva, è diviso in tre campi, nel primo carica i tre monti che è lo stemma proprio della
congregazione dei Padri Cavanis, alla quale apparteneva mons. Piasentini, nel secondo porta il simbolo araldico
assunto, invece, dal nostro vescovo, un fuoco ardente sormontato da una stella, che richiama ovviamente al motto
SPIRITU FERVENTES e nel terzo campo, che è il “capo”, porta il tradizionale capo di san Marco, proprio di tutti i
vescovi di origine veneziana. Ricordiamo, infine, che mons. Piasentini quando venne eletto e consacrato vescovo di
Anagni, aveva l’altissimo privilegio di portare, sopra gli abiti pontificali, il pallio e quattro ordini di fiocchi, d’ambo le
parti, nel cappello araldico di verde, distinzioni, queste, riservate solo agli arcivescovi metropoliti; quanto sopra per
secolari privilegi che erano riservati alla diocesi di Anagni, direttamente soggetta alla Santa Sede; ora, invece, unita alla
diocesi di Alatri.
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Al riguardo, osserviamo che, nel Sei-Settecento, vedono la luce più scudi civici clodiensi, timbrati con un elmo con
svolazzi; ma nell’araldica civica gli elmi non figurano fra gli ornamenti esteriori, appannaggio, questi, riservato
all’araldica gentilizia ed alle famiglie che dispongono legalmente di uno stemma di cittadinanza
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I vescovi fino al 1499 usavano, di norma, il solo scudo o lo stesso timbrato dalla sola mitra con le infule svolazzanti;
dal 1500 al 1799: il solo galero verde con le cordigliere e 6 fiocchi per parte timbrava lo scudo; dal 1800 al 1969: il
galero come sopra con l'aggiunta della croce semplice astile accollata e con lo scudo sormontato dalla mitra e dal
pastorale poste in sbarra ed in barra; dal 1970 ad oggi il galero verde con le cordigliere e 6 fiocchi per parte, con lo
scudo accollato dalla croce astile.
- Gli arcivescovi fino al 1499 usavano, di norma, il solo scudo o lo stesso timbrato dalla sola mitra con le infule
svolazzanti; dal 1500 al 1799: il solo galero verde con le cordigliere e 6 fiocchi per parte, con la croce patriarcale
accollata allo scudo; dal 1800 al 1969: il galero con dieci ordini di fiocchi con l'aggiunta della croce accollata e con lo
scudo sormontato dalla mitra e dal pastorale, poste in sbarra ed in barra; dal 1969 ad oggi; il galero verde con le
cordigliere e 10 fiocchi per parte, con lo scudo accollato dalla croce astile patriarcale.
- I patriarchi fino al 1499 usavano, di norma, il solo scudo o lo stesso timbrato dalla sola mitra con le infule svolazzanti;
dal 1500 al 1799: il solo galero verde con le cordigliere e 6 fiocchi per parte, con la croce patriarcale accollata allo
scudo; dal 1800 al 1969: il galero con 15 fiocchi, con l'aggiunta della croce astile patriarcale accollata e con lo scudo
sormontato dalla mitra e dal pastorale, poste in sbarra ed in barra; dal 1969 ad oggi; il galero verde con le cordigliere e
15 fiocchi per parte, con lo scudo accollato dalla croce astile patriarcale.
- I cardinali vescovi dal XIV secolo al 1499: galero rosso con 6 fiocchi per parte; dal 1500 al 1799: galero rosso con 6
fiocchi per parte con l'aggiunta della croce astile semplice accollata allo scudo; dal 1800 ad oggi: il galero con 5 ordini
di fiocchi (15 per parte) con l'aggiunta della croce semplice.
- I cardinali arcivescovi dal XIV secolo al 1499: cappello rosso con 6 fiocchi per parte; dal 1500 al 1799: galero rosso
con 6 fiocchi per parte con l'aggiunta della croce patriarcale; dal 1832 ad oggi: il galero con 5 ordini di fiocchi (15 per
parte) con l'aggiunta della croce patriarcale.
Infatti bisognerà attendere un documento della Sacra Congregazione Cerimoniale pubblicato nel 1832 per avere il
numero 'canonico' di 15 fiocchi per lato (con eccezioni alla regola che sia pure raramente non mancano neanche ai
nostri giorni).
Una cosa è certa: cappello rosso, indipendentemente dal numero dei fiocchi = dignità cardinalizia.
Il primo esempio di galero in uno stemma cardinalizio (e i cardinali furono i primi ad usare questo contrassegno) lo
ritroviamo nella Cattedrale di Siena, sul monumento funebre del Cardinale Petroni (+1313), realizzato nel 1317 da Tino
di Camaino. Anche se il cappello, dotato di un solo fiocco per lato, non è posto ancora a timbrare lo scudo, ma nel
campo stesso dello scudo, quasi come fosse una figura insieme alle tre stelle innalzate dall'arma di famiglia del
Porporato.
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Pezze, campi e figure di metallo, poste su altre di metallo; oppure figure di colore, poste su altre di colore.
Qualificativo di tolleranza che occorre sempre blasonare.
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Con il termine araldico di “ritto” si intendono orsi, cani e fissipedi, quando sono in posizione rampante. (L. Caratti di
Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., voce ritto, pag. 171). L’arme degli Orsi Carnelli, nell’armoriale delle famiglie di
Chioggia di Giacomo Chiozzotto, 1780, figura acquerellato “di bianco (argento) all’orso ritto al naturale”.
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Osservando tale scudo non notiamo il “fasciato” tipico dell’arme Badoer, ma ipotizziamo, comunque, che l’arme
appartenga a tale casa patriziale, e il “fasciato” non si osservi più, per le ingiurie secolari del tempo, non ravvisando che
possano figurare, invece, due stemmi della comunità clodiense, uno di fronte all’altro
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Lo stemma originario e quindi “ufficiale” dei Salesiani prevede inoltre: “Lo scudo di forma ovale, accartocciata, è
cimato da una croce latina trifogliata d’oro raggiante; dalla punta della croce si diparte un fascio di raggi d’oro in sbarra
che raggiunge la nimbatura del santo vescovo. Accollati allo scudo due rami di palma e di alloro al naturale, fogliati di
verde, decussati alle estremità e nell’orlatura del capo due ghirlande di rose fiorite e fogliate al naturale. Sotto lo scudo,
nella lista bifida e svolazzante d’oro, il motto in lettere maiuscole di nero: “Da mihi animas caetera tolle”.
50
L’azzurro che carica il campo dello scudo, smalto tipico della divinità e della regalità è - altresì - simbolo mariano,
mentre il rosso simboleggia la Carità fra le virtù teologali, l’oro - che è il più nobile dei metalli blasonici - la Fede, e
l’argento, la Speranza. Ricordiamo, inoltre, che con il termine “al naturale” intendiamo tutte quelle figure che, caricate
nello scudo, conservano il loro originario colore; nel nostro caso, l’ostia e gli angeli, quest’ultimi nell’atto di sostenere
lo scudo. L'ostia al naturale e il calice d'oro, simboleggiano il mistero eucaristico della transustanziazione, dove il pane
e il vino si tramutano in Corpo e Sangue di N.S.G.C., nel corso della S. Messa, che è l'atto più sublime e completo che
può aspirare il seminarista, passando all'Ordine del presbiterato. Le due crocette di forma greca e patenti, la prima
d'argento e la seconda cucita di rosso rappresentano, invece, i santi Felice e Fortunato Mm., patroni della città e diocesi
di Chioggia, ma identificano, altresì, i colori araldici della comunità clugiense che sono, per l’appunto, l’argento e il di
rosso, avendo per stemma civico: “D’argento al leone di rosso”. Parlando sempre della croce, ricordiamo, altresì, che è
il principale simbolo del cristianesimo, poiché ci ricorda la crocifissione di Gesù e la salvezza portata dalla sua passione
e dalla sua morte. I due angeli che sostengono lo scudo e quindi “ornamenti esteriori”, rappresentano, invece, i nostri
angeli custodi che ci accompagnano e ci custodiscono per tutta la vita.
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Parte del braccio umano sinistro (dal gomito al polso) che esce dal lato destro dello scudo.
52
Cestari, iscritta nell’Aureo libro dei titolati della Repubblica Veneta, con il titolo di conte, in data 1° settembre 1784.
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Capriolo o scaglione. È una pezza onorevole costituita da una parte di una banda , e da una parte di una sbarra che,
risalendo dai due angoli della punta dello scudo, si riuniscono ad angolo, nel suo posto d’onore. (L. Caratti di Valfrei,
Dizionario di Araldica, cit., voce capriolo, pag. 51).
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Falegname, nell’idioma chioggiotto si dice, “marangon”, quindi stemma “parlante”. Nella iscrizione lapidaria si
asserisce che la famiglia proveniva dalla Francia, ecco il perché del “Capo di Francia”, anche se lo stesso, di norma,
carica tre gigli e non cinque, come nel nostro caso.
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La croce dell’Ordine equestre di San Marco - Ordine cavalleresco della Veneta repubblica - era d’azzurro, orlata
d’oro, biforcata, con in cuore il leone di San Marco d’oro, nimbato e accovacciato, con la testa posta di fronte, tenente
con le zampe anteriori un libro aperto scritto dalle parole in lettere maiuscole romane PAX TIBI MARCE
EVANGELISTA MEUS.
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Il sommo pontefice beato Pio IX, dopo che la sacra Immagine della B.M.V. della navicella fu traslata - dopo alterne
vicende - nella chiesa urbana di San Giacomo in Chioggia, allo scopo di favorirne la devozione, concesse la facoltà di
coronarla con uno splendido diadema. Il rito dell’incoronazione fu celebrato dal vescovo mons. Jacopo De’ Foretti il 25
settembre 1859. Con Breve apostolico del 30 marzo 1906, il sommo pontefice san Pio X elevò e insignì tale chiesa con
l’inclito titolo di basilica; da quella data ha, quindi, la facoltà di alzare nella fronte, sopra la porta centrale, le insegne
araldiche del regnante pontefice, oltre a quelle dell’ordinario diocesano. Ha, altresì, l’uso del gonfalone papale e del
tintinnabolo. Sempre san Pio X, con successivo Breve del 16 giugno, concesse l’indulgenza plenaria per ogni giorno in
perpetuo, come si evince anche dalla iscrizione in latino posta nella facciata del sacro tempio
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L’insegna, nella sua semplicità, carica sul campo d’azzurro - smalto tipicamente mariano - una stella a otto punte,
d’argento e una conchiglia di san Giacomo, d’oro. La stella d’argento è simbolo di Maria; infatti, con l’invocazione
“Ave, maris stella” (Ti saluto, stella del mare), l’inno della Chiesa esalta la Madre di Dio, che sta al fianco dell’uomo,
indicandogli la via. Dato che nella sua esistenza storica essa precede il sole Cristo, come l’aurora precede la luce del
sole, così Maria diviene la stella del mattino delle litanie lauretane. La conchiglia d’oro, invece, è un elemento chiave
nell'iconografia di San Giacomo, insieme agli altri simboli del santo pellegrino (bordone, fiasca fatta con una zucca
cava e cappello da pellegrino). L'uso di tale conchiglia - chiamata per l’appunto di San Giacomo o cappasanta, dalla
caratteristica forma a "piattino" - era di prendere l'acqua per bere. Per il gonfalone papale che timbra lo scudo - che
porta i colori della città di Roma, rosso e giallo - ricordiamo che anticamente serviva per proteggere eminenti
personaggi dalla pioggia o dal sole. Successivamente lo troviamo, invece, nelle basiliche papali presenti in Roma,
perché doveva essere tenuto pronto per ricevere il sommo pontefice, nel corso delle sue visite; per questo motivo, il
gonfalone o ombrello ha assunto la denominazione di “basilica” ed è divenuto emblema primario per tutte le basiliche
del mondo, maggiormente ricamato per le basiliche maggiori rispetto a quelle denominate minori. Tale stemma è
apparso il giorno di Natale nelle nuove e bellissime targhette distintive dei componenti il coro della basilica,
riscuotendo unanime compiacimento per la bellezza dell’emblema. A corredo storico di tale insegna, riportiamo una
breve nota prof. Luciano Bellemo che ci ricorda come il primo documento conosciuto sulla chiesa di San Giacomo
Apostolo - contemporaneo a quella di S. Andrea - sia del 1209. Dalla mappa del Sabbadino e dalla successiva
descrizione del Morari la chiesa presentava una pianta a tre navate con colonne di mattoni, il coro diviso con colonne di
finissimo marmo e con portici verso la piazza. Il maggior consiglio vietò l'uso di tali portici per il gioco. All'interno si
trovava l'altare di San Egidio della confraternita dei fabbricanti di botti e mastelli, quello di San Antonio abate, curato
dai facchini, quello di San Giuliano, custodito dalla fraglia dei carpentieri... La gente sussurrava, viste le abbondanti
libagioni di questi lavoratori, che San Giuliano fosse il patrono dei bevitori. L'altare di San Marco era curato, invece,
dai calzolai. In seguito al crollo di parte dell'abside verso il canal Vena del novembre 1741, su modello del Pelli si
progettò l'intera ricostruzione con un'unica navata. I lavori durarono per più di mezzo secolo e la nuova chiesa fu
consacrata nel 1790. Il soffitto si apre al grandioso affresco del Marinetti e dei Mauri con il martirio e la glorificazione
di San Giacomo (1787-1790). Nel 1806 vi fu trasferita l'immagine della Madonna della Navicella ed il relativo zocco.
Su delega di Pio IX nel settembre 1859 il capo della Madonna fu cinto con una corona gemmata dell'orafo veneziano G.
Cristofoli. San Pio X con un breve del 1906 - promulgato nel 1908 - concesse di aggiungere al titolo di San Giacomo
Apostolo anche quello dell'Apparizione della Beata Vergine della Navicella e che la chiesa diventasse basilica minore.
Nel 1908 - su disegno del concittadino prof. Aristide Naccari - fu eretto il nuovo altar maggiore con la decorazione del
pittore N. Girotto. Il tempio, ad aula unica, è scandito lungo le pareti dal ritmo delle semicolonne, poggianti su
basamenti in pietra d'Istria, tra le quali si alternano 6 altari con 7 nicchie dove sono collocate le virtù cardinali e
teologali.
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Ricordiamo che tale scudo venne usato dal LII vescovo Pasquale Grassi (dal 1618) e dal successivo LIII vescovo
Francesco Grassi (dal 1639), di conseguenza, l’architrave è di tale periodo.
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Con il termine “rampante” si intendono gli animali con le zampe artigliate (ossia unghiate) - esclusi i leoni (che non si
blasonano), i leopardi (illeoniti), i lupi (rapaci), i gatti (inferociti), gli orsi (ritti), i cavalli (spaventati), i tori (furiosi), le
capre (salienti) – raffigurati di profilo, ritti sulla loro zampa posteriore sinistra. In questa posizione, la zampa anteriore
destra deve essere posta più in alto della sinistra”. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., voce rampante,
pag. 165).
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Arme, di conseguenza, “parlante”.
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Il numero tra parentesi indica in questo caso il numero dei raggi della stella, come nel monte all’italiana il numero
dei colli.
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Così sembra, visionando lo stemma nel dipinto, anche se il Chiozzotto, nel suo armoriale, lo porta con smalti diversi.
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Non lo abbiamo trovato in nessun armoriale esaminato, in particolare del patriziato veneto e su quelli delle famiglie
chioggiotte curati da Giacomo Chiozzotto e di Aristide Naccari.
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Il Chiozzotto, nel suo armoriale, porta, però, il campo con smalto di rosso e non d’azzurro.
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Sempre Il Chiozzotto, nel suo armoriale, porta, però, il primo con smalto d’azzurro e non di rosso.
66
“Dopo la figura araldica della croce latina, il cuore è il simbolo che troviamo maggiormente presente negli scudi
degli stemmi degli Ordini e Congregazioni religiose; tale figura viene rappresentata come cuore umano nelle diverse
tipologie del sacro Cuore di Gesù o dei sacri Cuori di Gesù e Maria. Già nel XIII secolo, alcuni studiosi parlano del
cuore di Gesù come focolare del suo amore per gli uomini e come la sorgente del sangue che egli sparse per il riscatto e
la salvezza del mondo. Agli inizi del XIV secolo il cuore figura inciso al di sopra del nome del Cristo, XPS, su uno
stampo di ostie conservato al museo di Vich in Spagna. Il cuore di carne di Gesù è ancora meglio precisato quando
appare “ardente” ossia con le fiamme alla sommità - come nel caso del cuore presente nello stemma oratoriano divenendo allora secondo il linguaggio liturgico “fornace ardente di carità”. (Cfr. Zamagni G., Il valore del simbolo,
Cesena 2003).
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“Decusse” o in “Croce di sant’Andrea” sono le pezze onorevoli formate dalla sovrapposizione di una banda, striscia
che scende diagonalmente dall’angolo destro del capo dello scudo, all’angolo sinistro della sua punta, e di una sbarra,
pezza o striscia che scende diagonalmente dall’angolo sinistro del capo dello scudo, all’angolo destro della sua punta.
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L’emblema richiama in parte lo stemma originario della congregazione oratoriana fondata da San Filippo Neri. Per lo
smalto d’azzurro si racconta che i sodali dell’Oratorio abbiano scelto tale colore del campo per testimoniare l’amore
filiale nei riguardi della Beata Vergine Maria e perché l’azzurro simboleggia l’immortalità dell’anima .Il cuore
fiammeggiante, invece, oltre a ricordare quello di San Filippo e l’infusione dello Spirito Santo nel suo costato,
simboleggia, altresì, il vincolo della carità che deve unire i confratelli oratoriani. I due gambi di gigli, fioriti e fogliati,
rappresentano i simboli dell’innocenza e della purezza, virtù queste sempre da coltivare e da perseguire dai sodali. Le
tre stelle “male ordinate” sono, invece, il richiamo alla verginità di Maria Ss.ma, prima, durante e dopo il parto del
Salvatore. I due rami di palma, decussati sotto la punta dello scudo e annodati da un nastro di rosso sono, inoltre, il
segno identificativo araldico delle chiese parrocchiali cattoliche.
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Interessante osservare che le ruote figurano: con 16 denti nell'architrave del cancello d'entrata; con 16 denti nel
pavimento del cortile; con 27 denti nella facciata della chiesa e con 12 denti nel pulpito. Per alcuni studiosi, il numero
16 sembra un preciso riferimento a norme codificate, il numero 12, invece, legato alla dimensione dell' opera d'arte,
mentre il numero 27 sembra, solo, una "licenza artistica”. Da notare, infine, che i rostri delle ruote del parapetto del
pulpito e del pavimento del cortile hanno direzione del moto in senso orario, mentre quelli dello stemma sopra il
cancello d’ingresso e nella facciata della chiesa hanno direzione del moto in senso antiorario.
70
"...nell'architrave della porta laterale (XV sec.), pietra d'Istria, altezza cm. 30 nello scudo gotico, arma dei
Marcello...". Così asserisce Alberto Rizzi nella sua pubblicazione "Scultura Erratica a Chioggia" s.d. Visionando,
però, l’armoriale dei NN. HH. podestà' di Chioggia, abbiamo notato che lo stemma dei Marcello è: “d'azzurro alla
banda ondata d'oro", senza l'asta con bandiera presente, invece, in questo stemma. Nel: "blasone di famiglia della città'
di Chioggia fatto con tutta diligenza da me Giacomo Chiozzotto pittore e blasoniere dello stessa città l'anno
MDCCLXXX" abbiamo, invece, trovato lo stemma uguale a quello che appare nell'architrave; purtroppo il Chiozzotto
non riporta la famiglia di appartenenza. Nello stesso testo acquerellato, il precedente stemma porta per casato
"Marezza" poteva quindi appartenere a tale casato, come variante di qualche linea collaterale, ma nutriamo forti
dubbi, non riportando alcun simbolo dell'impresa che a noi interessava, come poteva essere Marcello, in quanto i vari
NN. HH. Podestà di Chioggia, talvolta usavano aggiungere qualche altro simbolo o dettaglio al loro originario stemma
che, in araldica, si chiama “brisura”, ma i vari Marcello, Podestà di Chioggia hanno sempre e soltanto alzato per
stemma: "d'azzurro alla banda ondata d'oro" ed in nessun caso figura l'asta con bandiera o altri simboli. Si è
dell'avviso, quindi, che lo stemma posto nell'architrave, sia stato "catalogato" da Giacomo Chiozzotto nel 1780, senza
annotare il casato, poiché già a quel tempo l'appartenenza risultava sconosciuta.
71
Figurando gli stemmi scolpiti in pietra non è possibile assegnare gli smalti.
72
Ruosa o Rosa, antica e illustre famiglia di Chioggia che rileviamo già estinta nel 1780.
73
Nell’armoriale, acquerellato da Giacomo Chiozzotto nel 1780, lo stemma figura con il campo d’argento e la rosa di
rossa; inoltre, sempre il Chiozzotto la segna tra le famiglie estinte.
74
Archivio antico della chiesa di sant’Andrea in Chioggia, I Faldone.
75
Perini S., Chioggia nel Seicento, Chioggia 1996, p. 100.
76
Tale pala, attualmente, figura esposta nel Museo diocesano d’Arte sacra di Chioggia.
77
I Priuli sono originari nobili dell’Ungheria. Si trasferirono in Venezia alla metà dell’VIII secolo, e fiorirono nel 1110,
nella persona di Silvestro e suoi discendenti, compresi fra gli ottimati per le loro prodezze fatte nella guerra di Palestina.
In tale qualifica vennero riconfermati alla serrata del Maggior Consiglio nel 1297. Tre individui di questa casa furono
dogi: Lorenzo nel 1556, Girolamo nel 1559, e Nicolò-Antonio nel 1618. Due furono cardinali, ad altri procuratori di san
Marco, ambasciatori, senatori e generali. Fu confermata nella sua avita nobiltà, con sovrana risoluzione 18 Dicembre
1817 e 1° Gennaio 1818, ed innalzata all dignità di conte dell’Impero Austriaco con sovrana risoluzione 12 Aprile 1829.
(G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., voce Priuli, Tomo II, p. 380).
78
Famiglia insigne benefattrice di tale altare nel Settecento.
79
Tali stemmi vennero scalpellati dai Francesi, alla caduta della Serenissima repubblica di San Marco.
80 La croce in decusse - secondo la scienza araldica - è una pezza onorevole di primo ordine, costituita dalla somma di
una banda e di una sbarra. Tale croce è chiamata comunemente anche croce di Sant’Andrea, perché ricorda lo strumento
del martirio con il quale venne ucciso tale apostolo. Il rosso che figura nel campo, considerato dagli araldisti il primo
colore dell’arme, ci rammenta, invece, il sangue versato dal nostro martire. I due rami di palma, decussati sotto la punta
dello scudo e annodati da un nastro di rosso sono, inoltre, il segno identificativo araldico delle chiese parrocchiali
cattoliche.
81 Vari conventi dei Frati Predicatori usarono ed usano, tuttora, stemmi leggermente diversi da quello descritto (ad es.:
con il cane corrente al naturale, ingollante una torcia fiammeggiante, sul mondo, quest’ultimo cimato da una croce del
calvario, simbolo della cristianità, o con il cane corrente al naturale, ingollante una torcia fumante, con il fumo che, in
questo caso, rappresenta il sacrificio, o ancora con il cappato abbassato), o stemmi completamente diversi (ad es.:
d’argento o d’azzurro al sole d’oro). Per l’Inquisizione (dei domenicani) si usava, invece, un: Grembiato di nero e
d’argento di 8 pezzi caricato della croce gigliata dell’uno nell’altro. Spesso tale stemma si trova, altresì, con una
bordura composta di 8 pezzi di nero e d’argento, caricata di 8 stelle alternate a 8 bisanti dell’uno nell’altro.
82 Ci troviamo qui in presenza di un rarissimo caso, in quanto si tratta proprio di colore di bianco e non di metallo
d’argento, come prescrivono, invece, le norme araldiche, che non prevedono il di bianco fra gli smalti dello scudo.
83 “Il bianco è la somma e l’assenza dei colori, contrapposto al nero che è l’assenza della luce e, quindi, non colore. Il
bianco (lat. albus) è il colore del passaggio (= candidatus), proprio di tutte le iniziazioni (alba). Dell’innocenza
battesimale, della purezza verginale. Anche della morte, in quanto la morte è la porta della vera vita. Da qui, in antico, i
lini e le bende funebri bianche; e di bianco alcuni popoli si vestono, nel lutto. Colore solare - spesso accostato all’aureo
- giallo caldo - proprio della rivelazione, della grazia (veste candida battesimale), della trasfigurazione (Ap 7, 13; 3, 4),
del cavallo bianco di Cristo vindice (Ap 20, 11), della pace (bandiera bianca). Attributo del Padre - luce increata e verità
immobile - la cui immagine, nella visione di Daniele (7, 9), si ricollega a quella del Figlio, nell’Apocalisse (1, 14).
Anche nel linguaggio profano questo colore conserva il suo significato pasquale, di trionfo e di purezza: i rappresentanti
di Dio, i catecumeni, i beati, gli invitati al banchetto delle nozze eterne, tutti indossano vesti candide. Il giorno gioioso
degli antichi romani veniva segnato con una pietra bianca (ricordo del ‘sassolino bianco’ dato al vincitore: Ap. 2, 17). Il
nero è il controcolore del bianco: tenebra e luce, male e bene, morte e vita. Traduce la negazione e la mancanza (di
santità nell’aureola) del necessario (cavallo apocalittico del razionamento bellico Ap 6, 5); della rinuncia (abiti religiosi
neri); della condanna (separazione senza fine di tempo della luce-Dio). Già usato quale colore della penitenza (avvento,
quaresima), sostituito con il viola. Ma è anche il colore della fecondità: in Egitto, la terra nera del Nilo; le nubi gonfie di
pioggia; per i greci la notte euphrone: ‘madre del buon consiglio’. ‘Bruna sono ma bella’ (Ct 1,4). Da qui, secondo
alcuni, le immagini mariane nere”. (L. BARTOLI, La Chiave per la comprensione del simbolismo e dei segni nel sacro,
Trieste 1995, p. 299). Nei colori delle vesti liturgiche affinché, anche esteriormente, si possa esprimere efficacemente il
senso dei misteri della fede lungo il corso dell’anno e della vita della Chiesa, il bianco lo si usa negli Uffici e nelle
Messe del tempo pasquale e del tempo natalizio; inoltre nelle feste e nelle ‘memorie’ del Signore, escluse quelle della
Passione; nelle feste e nelle ‘memorie’ della Beata Vergine Maria, degli Angeli, dei Santi non martiri, nella festa di tutti
i Santi, di san Giovanni Battista, di san Giovanni evangelista, della Cattedra di san Pietro e della Conversione di san
Paolo. I paramenti di nero si usano, invece, nelle Messe dei defunti. Nel significato degli smalti nell’araldica
osserviamo, invece, che l’argento fra le virtù rappresenta la Speranza, fra i pianeti la Luna, fra i mesi Giugno, fra i
giorni il Lunedì, fra le pietre la perla, fra gli elementi l’acqua, fra le età l’infanzia sino ai sette anni, fra i temperamenti il
flemmatico, fra i fiori il giglio, fra i numeri il 2, fra i metalli se stesso e per lo zodiaco il segno del cancro, mentre il
nero fra le virtù la Prudenza, fra i pianeti Saturno, fra i mesi Dicembre e Gennaio, fra i giorni Venerdì, fra le pietre il
diamante, fra gli elementi la terra, fra le stagioni l’Inverno, fra le età la decrepitezza dai settant’anni sino alla morte, fra
i temperamenti il melanconico, fra i numeri l’1, fra i metalli il ferro e per lo zodiaco i segni del capricorno e
dell’acquario.
84
Nell’antico rito della professione monastica, alla benedizione degli abiti si diceva: “...ut trino beneficio simul
ornarent, foverent et ab intemperie aeris corpora tuerentur”, dove, appunto sono espresse le funzioni di ogni abito: a)
ornare il corpo; b) rimediare alle sue deficienze; c) difenderlo contro le intemperie.
85
Famiglia insigne benefattrice di tale altare nel Settecento.
Parte del braccio umano sinistro (dal gomito al polso) che esce dal lato destro dello scudo. (L. Caratti di Valfrei,
Dizionario di Araldica, cit., voce sinistrocherio, pag. 187).
87
Stemma, quindi, “parlante”, caricando, tra le figure araldiche, un cesto.
88
Precisiamo che la lettura dello stemma è stata possibile solo grazie alla dicitura latina postavi sotto, dalla quale
leggiamo un: “ Alex Busculus…”, Alessandro Boscolo, decano dei canonici clodiensi e dottore “utroque jure”, (in
diritto civile ed ecclesiastico), committente del dipinto e raffigurato, con altri canonici, nella pala. Nello scudo si
intravvedono a mala pena, solo i tronchi degli alberi e un coniglio sedente e quindi lo abbiamo sicuramente assegnato a
tale antica casa. Originariamente, tale pala figurava nel santuario Madonna della navicella, Narra la tradizione che nella
tarda sera del 24 giugno 1508, dopo un furioso temporale, vicino al lido di Chioggia, apparve la Beata Vergine a
Baldissera Zalon, semplice ortolano timorato di Dio. La Vergine si mostrò come la madre che regge tra le braccia il
corpo esanime del Figlio e invitò il pio ortolano ad ammonire i suoi concittadini perché con opere di penitenza
allontanassero i castighi di Dio a causa dei corrotti costumi, delle bestemmie e della profanazione delle feste. Il
messaggio della Vergine fu accolto, anzi, sul luogo dell’apparizione, divenuto ben presto celebre per i fatti prodigiosi
che vi si verificarono, fu eretto un tempio dedicato a Maria SS. ma della navicella.
89
Osserviamo subito che ci troviamo in presenza di un rarissimo caso nell’araldica, figurando il colore bianco e non il
metallo d’argento, in quanto il bianco non è previsto fra gli smalti dello scudo, ad eccezione, per l’appunto, dello
stemma dei Frati predicatori. Il bianco - per il frate domenicano - è segno, simbolo di purezza e di castità, mentre il
nero, di rinuncia e di penitenza; tali colori gli troviamo anche nel saio dei Frati Predicatori, che è bianco e nel mantello,
che è nero. La stella, per la tradizione domenicana, invece, è simbolo di predestinazione e segno personale di San
Domenico, poiché si narra che, nel giorno del battesimo, la madrina vide risplendere una fulgida stella sulla fronte del
Santo. Sempre la stella richiama, poi, Maria, la Madre di Dio, venerata nella chiesa di San Domenico con il titolo di
Regina del Santo Rosario. I due rami di palma, decussati sotto la punta dello scudo e annodati da un nastro di rosso
sono, infine, il segno identificativo araldico delle chiese parrocchiali cattoliche.
90
La blasonatura perfetta dello scudo marciano è: “D'azzurro, al leone d'oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa
posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d'argento aperto scritto delle parole a
lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe ed EVANGELISTA MEUS
nella seconda facciata, similmente in quattro righe”. Lo scudo di forma veneta è timbrato dal corno dogale.
91
La blasonatura è, in parte, difforme dallo stemma che figura nel Blasone Veneto del Coronelli, che raccoglie tutti gli
stemmi dei patrizi veneti sino al 1706; in particolare, per la non concordanza con il colore degli smalti, senza contare
che nello scudetto, il Coronelli porta d’azzurro all’aquila bicipite di nero, mentre lo scudetto, nel dipinto presente in
museo, porta d’argento alla barra di rosso, accompagnata da tre figure che non si riescono a identificare.
92
È una delle varianti “brisure”dello stemma Marangon; il Chiozzotto nel suo stemmario delle famiglie chioggiotte
acquerellato nel 1780, ne porta ben sei. Con il termine “brisura” di intendono delle varianti introdotte in un’arma (quali
in cambiamento delle figure, la permutazione degli smalti, l’aggiunta di nuove figure, ecc.) allo scopo di differenziarla
da quelle delle altre linee di uno stesso ceppo famigliare.
93
D.P.R. 3 marzo 1988, concessivo dello stemma e del gonfalone. A seguito dell’istruttoria storico-araldica curata dal
comm. Giorgio Aldrighetti, capo dell’Ufficio cultura e dell’ufficio del Cerimoniale del comune di Chioggia..
94
Particolarmente difficile è risultata l’identificazione di questi due ultimi stemmi, risultando consunti e quindi, poco
visibili, a causa delle secolari ingiurie del tempo.
86
95
Andava, invece, smaltato in argento.
Andava, invece, anche in questo caso, smaltato in argento.
97
Abbiamo faticato non poco a identificare tale ultimo scudo, in quanto - al pari degli altri, ma subito riconoscibili senza alcun ornamento esteriore.
98
Sono i quadrupedi che hanno la lingua di smalto diverso dal loro corpo. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica,
cit., voce lampassato, pag. 117).
99
Nei vari armoriali esaminati . compreso il Blasone Veneto del Coronelli, edito in Venezia nel 1706, non troviamo
nessuna arme di tale casa timbrata con tale capo. Si ipotizza, di conseguenza, sia il capo di Malta, quale segno di
appartenenza a tale illustre e nobile Ordine equestre sovrano, del patrizio veneto che alzava tale stemma.
100
Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1817, in un’ala del palazzo scoppiò un incendio, causato inavvertitamente da
alcuni impiegati che, lavorando nella tarda serata, usavano degli scaldini. Erano andati distrutti alcuni uffici finanziari e
parte di quelli usati per le carceri. Sarebbe stato opportuno restaurare gli uffici danneggiati, ma il crollo di una parete
interna, che sfondò un pavimento, fece nascere l’idea, approvata anche dagli organi competenti di Venezia, di demolire
il vecchio edificio, per ricostruirlo integralmente. Ed è proprio in questo periodo che ipotizziamo la migrazione degli
stemmi podestarili, per essere conservati all’interno del cortile dell’episcopio, come d’altro canto - sempre in questo
lasso di tempo - l’antico orologio del palazzo pretorio emigrò nella torre campanaria di sant’Andrea
101
Vescovo dal 1733.
102
Vescovo di Chioggia dal 1716.
103
Lo scudo di Chioggia, ovviamente, non andava timbrato con tale ornamento esteriore.
104
Vescovo di Chioggia dal 1830
105
Vescovo di Chioggia dal 1776.
106
Sicuramente con l’arrivo dei francesi in Chioggia, alla caduta dellaVeneta repubblica.
107
“È uno scudetto che si pone sul punto centrale di uno scudo”. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., voce
sul tutto, pag. 198). Trattasi del primigeno stemma usato da tale famiglia patriziale veneta. Per gli altri due stemmi
triangolari, nonostante prolungate e assidue ricerche in numerosi armoriali, non ci è stata possibile l’identificazione.
108
Il lacerto è stato rinvenuto nel corso dei lavori per costruendo museo diocesano, scalpellando una parete, a piano
terra, del palazzo episcopale. Il lacerto è di particolare interesse araldico e storico in quanto, di norma, non si caricava
mai lo stemma del doge, ma solo il leone marciano della veneta repubblica.
109
Particolarissimo per la forma risulta essere la corona ducale veneziana, l’acidaro, meglio conosciuta come corno
dogale ed in Venezia con il termine di zoia, che cingeva il capo del Serenissimo principe. Di sicura origine bizantina,
assunse nel tempo tre forme diverse. Prima imitò il cappello degli imperatori d’Oriente costituendo una calotta
prolungata, poi, fra l’XI ed il XII secolo, fu diviso in due parti da un fiocco o da un bottone rotondo, ed infine, nel
secolo XIII, assunse la forma del corno, prima molto appuntita e poi lentamente arrotondantesi. La stoffa di cui era fatto
variò secondo i tempi. Il corno fu di sciamito tessuto in oro e argento, di panno scarlatto, di damasco, di velluto cremisi,
di tabì bianco o di altre stoffe, di seta bianca con ornamenti di pelli rare, di gemme, di perle ed oro. Il berretto a tozzo
od a tagliere, simile a quello dei generali veneti, serviva al doge dopo l’elezione durante il giro della piazza in pozzetto,
privatamente e nei ricevimenti e nelle adunanze di minor conto. Era confezionato delle stesse stoffe del corno e talvolta
ornato di pelliccia. Oltre al corno d’uso comune il doge ne portava un altro da cerimonia che apparteneva allo Stato. Era
chiamato zoia e venne negli ultimi tempi della repubblica custodito dai procuratori di San Marco. La parte anteriore era
adorna di una croce d’oro poi sostituita con altra di diamanti o di smeraldi ed aveva attorno una corona di gemme e di
perle. Sotto il corno i dogi portavano il camauro, cuffia di tela finissima, allacciata o slacciata sotto il mento. (Cfr. A.
Da Mosto, I Dogi di Venezia, Firenze 1983).
96
110
Donà o Donato. I Donà provenienti da Costantinopoli, formavano una delle più ricche e distinte famiglie di Altino;
all’epoca delle invasioni dei Goti si rifugiarono nelle lagune venete, e ancor prima della serrata del Maggior Consiglio
seguita nel 1296 ebbero a sostenere ambascerie e dignità cospicue. Chiuso il detto Consiglio vi rimasero compresi fra i
patrizi; d’indi in poi tre dogi, quattro procuratori di san Marco, patriarchi d’Aquileia, di Grado e di Venezia, cardinali,
vescovi e generali da mare illustrarono sempre più questo casato il quale si divise in parecchi rami, di cui uno dei suoi
maggiori di nome Andrea fu nel 1434 dall’imperatore Sigismondo creato cavaliere e conte palatino, e viene
comunemente chiamato Donà dalle Rose in causa che uno dei suoi progenitori, Antonio, fu fatto solennemente
cavaliere nella basilica vaticana da Sisto V nel 1476 e fregiato dello special dono della Rosa d’oro. (G. B. di
Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., voce Donà o Donato, p. 365).
111
Le armi episcopali figurano sino al sec. XVI, in prevalenza, con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule
svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo, il cappello prelatizio con i
cordoni e le nappe.
112
Per la vita di questo illustre vescovo di Chioggia, si veda: Mozzato P., Jacopo Nacchianti un vescovo riformatore
(Chioggia 1544-1569), Chioggia 1994.
113
Contarini. Fino dai primi tempi della veneta repubblica fu annoverata tra le dodici famiglie qualificate del titolo di
apostoliche per avere eletto il primo doge e con le quali fu stabilito il corpo della nobiltà patrizia. Fu inoltre delle
tribunizie a Rialto ed ebbe più volte la reggenza generale. Possedette la contea d’Joppe o del Zaffo nella Stiria per
concessione di Caterina Corsaro regina di Cipro, e fu signora di Ascalona, Rama, Mirabel e Ibelin. Dette alla repubblica
ben otto dogi, molti senatori provveditori, savi di terraferma, ambasciatori, procuratori di san Marco, podestà,
inquisitori, capitani, generali ecc. e nella gerarchia ecclesiastica ebbe, oltre quattro patriarchi di Venezia, un cardinale,
Gaspare, creato da Paolo III nel 1585. (G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., voce Contarini, Tomo I,
p. 317).
114
Grimani. Dalla Lombardia sui primordi del secolo VIII la famiglia Grimani passò a stabilirsi a Vicenza, e più tardi si
trapiantò in Venezia. Molti furono capitani, ambasciatori, savi di terraferma, senatori, procuratori di san Marco,
sopracomiti censori, generali e provveditori generali, e tre di essi salirono sul trono ducale: Antonio nel 1521, Marino
nel 1595 e Pietro nel 1741. Ebbe inoltre questa casa tre cardinali, uno dei quali, Vincenzo, fu nominato da Carlo III re di
Spagna nel 1708 vicerè e capitano generale del regno di Napoli; due patriarchi d’Aquileia e un vescovo di Torcello.
Con sovrana risoluzione dell’8 Febbraio 1819 furono i Grimani innalzati alla dignità di conti dell’Impero Austriaco. (G.
B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico,cit., voce Grimani, Tomo I, p. 502).
Ricordiamo, infine, che abbiamo riportato nel testo le blasonature dei vari stemmi, facendo osservare, però, che le
insegne risultano solo scolpite e non smaltate, come in tanti altri casi esaminati.
115
Resse la diocesi di Chioggia dal 1716 al 1733.
Bollani. Originari, come vogliono alcuni, di Aquileia, ed altri di Costantinopoli, passarono nelle isole venete fino
dal secolo V. Nel 1297 furono ascritti al patriziato. Ebbero diversi procuratori di san Marco. Arma: Bandato di cinque
pezzi, verde, oro, azzurro, argento e rosso. (G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., voce Bollani, tomo
I, p. 143).
117
In origine, le tre arme figuravano nella cattedrale di Santa Maria Assunta.
Annotiamo che per gli stemmi scolpiti o intagliati non colorati o mancanti dei segni convenzionali indicanti gli smalti,
per l’esatta verifica della blasonatura delle figure e degli smalti, abbiamo utilizzato: Armoriale dei podestà di Chioggia
dal 1227 al 1797, manoscritto, Chioggia, (Biblioteca Civica C. Sabbadino); Aldrighetti G., Gli Stemmi degli Ecc. mi e
Rev. mi Vescovi della Città e Diocesi di Chioggia, “Nobiltà”, Rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi, edita
dall’Istituto Araldico Genealogico Italiano, n. 40, Milano, gennaio-febbraio 2001. Chiozzotto G., Blasone di famiglie
della città di Chioggia fatto con tutta diligenza da me Giacomo Chiozzotto pittor e blasoniere della stessa città l’anno
MDCCLXXX (Biblioteca civica C. Sabbadino, Chioggia); Collegio Araldico (Istituto Araldico Romano), Libro d'oro
della Nobiltà Italiana, ed. XX, voll. XXI-XXII, Roma 1994; Corpo della Nobiltà Italiana, Famiglie Nobili delle
Venezie, a cura di Italo Quadrio, Udine 2001 e Crollalanza G.B. (di), Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili
e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1888.
116
118
Stemma di non facile blasonatura, data la complessità di quanto rappresentato in scudo. Si propongono, di
conseguenza, anche altre blasonature stese da araldisti interpellati: “Interzato da una banda-sbarra rovesciata d'oro: nel
1° d'azzurro, nel 2° d'argento, nel 3° di rosso”; “Semitagliato trinciato d'azzurro, d'argento e di rosso, con la banda e
sbarra d'oro attraversanti sulla ripartizione”; “Trinciato alla banda d'oro di rosso nel 1°, diviso il 2° da sbarra d’oro,
riunitesi alla banda, d'azzurro il 1°, d'argento il 2°”; “Trinciato semitagliato, al 1° di rosso, al 2° d'azzurro, al 3°
d'argento, sul tutto una banda congiunta sul lato superiore con una semi barra ambedue d'oro”; “Trinciato: nel 1°
tagliato d'azzurro e d'argento; nel 2° di rosso; con la banda e la sbarra d'oro attraversanti sulle partizioni”;
“Semidecussato da una banda e una sbarra ritirata d'oro (in guisa di pergola inclinata): il 1° di azzurro, il 2° d'argento, il
3° di rosso”; “Trinciato semidecussato con una banda e una sbarra ritirata d'oro: il 1° di azzurro, il 2° d'argento, il 3° di
rosso” e “Trinciato semitagliato: il 1° d'azzurro, il 2° d'argento, il 3° di rosso; alla banda e semisbarra d'oro. (alla banda
e sbarra troncata d'oro)”; Trinciato alla banda d'oro sulla divisione che origina a) e b): a) tagliato, alla semi-sbarra d'oro
sulla divisione che partisce d'azzurro e d'argento; b) di rosso.
119
Per vari motivi, non ci è stato possibile osservare tali paramenti, pur avendo la certezza della presenza degli stemmi
episcopali. Annotiamo che per gli stemmi scolpiti o intagliati non colorati o mancanti dei segni convenzionali indicanti
gli smalti, per la verifica della blasonatura delle figure e degli smalti, abbiamo utilizzato: Armoriale dei podestà di
Chioggia dal 1227 al 1797, manoscritto, Chioggia, (Biblioteca Civica C. Sabbadino); Aldrighetti G., Gli Stemmi degli
Ecc. mi e Rev. mi Vescovi della Città e Diocesi di Chioggia, “Nobiltà”, Rivista di araldica, genealogia, ordini
cavallereschi, edita dall’Istituto Araldico Genealogico Italiano, n. 40, Milano, gennaio-febbraio 2001. Chiozzotto G.,
Blasone di famiglie della città di Chioggia fatto con tutta diligenza da me Giacomo Chiozzotto pittor e blasoniere della
stessa città l’anno MDCCLXXX (Biblioteca civica C. Sabbadino, Chioggia); Collegio Araldico (Istituto Araldico
Romano), Libro d'oro della Nobiltà Italiana, ed. XX, voll. XXI-XXII, Roma 1994; Corpo della Nobiltà Italiana,
Famiglie Nobili delle Venezie, a cura di Italo Quadrio, Udine 2001 e Crollalanza G.B. (di), Dizionario storico-blasonico
delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1888.
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