12/11/2014
Separazione e divorzio consensualeÈ davvero più facile? | La ventisettesima ora
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Separazione e divorzio consensuale
È davvero più facile?
di Maria Silvia Sacchi
Che ci si sia sposati in Comune o in Chiesa da
qualche giorno dirsi addio è diventato più
facile. Almeno in apparenza.
Una nuova legge – approvata definitivamente dalla
Camera la settimana scorsa (il 6 novembre,
pubblicato in Gazzetta) – ha, infatti, aggiunto due riti
a quello tradizionale che prevede il passaggio dalle
aule del Palazzo di Giustizia. Ma anche la Chiesa, per
voce di Papa Francesco, ha deciso di rendere più
semplice e soprattutto non costoso l’annullamento
del matrimonio per vizio di fondo, l’unica forma di fine
dell’unione concessa dalla Chiesa. Non è, invece,
ancora passata la riduzione da tre a un anno del
tempo che deve passare tra il momento della
separazione a quello del divorzio. L’obiettivo
dichiarato dal ministro della Giustizia Orlando è quello di rendere più veloce la separazione e il divorzio, per i quali oggi si possono
impiegare anche anni.
Avremo davvero separazioni e divorzi più celeri?
È questa la domanda da porsi oggi visto il testo uscito dal parlamento e che presenta delle correzioni rispetto a quanto era stato
approvato invece dal governo.
La prima cosa da sottolineare è che la riforma non aiuterà i coniugi che sono in conflitto tra di loro, ed è quasi sempre il
conflitto il motivo del trascinarsi delle cause. La seconda è che la nuova legge affida agli avvocati un grande potere, per questo sarà
bene che l’Ordine presti particolare attenzione (non esiste un elenco definito degli specialisti in diritto di famiglia presso l’Ordine
nazionale ma bisogna fare riferimento alle diverse associazioni “private”) e che chi sceglie la strada alternativa sappia di contare
su un avvocato competente e fidato.
Le nuove possibilità
Vediamo, dunque, di fare il punto della situazione insieme ad Anna Galizia Danovi, avvocato presidente del Centro per la riforma del
diritto di famiglia, e Riccardo Pesce, avvocato presso lo studio Danovi.
1) Separazione dall’avvocato – I coniugi, assistiti da almeno un avvocato per parte, per prima cosa devono sottoscrivere un
accordo con il quale si impegnano a cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia. Superata
questa prima fase, i legali trattano e se l’accordo sulla separazione o sul divorzio (che in Italia sono due fasi diverse) viene
finalmente trovato, questo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica. Deve essere trasmesso sempre: sia se vi sono
figli minori sia se non vi siano. «Nel testo approvato dal governo, il vaglio del procuratore della Repubblica era previsto solo in
presenza di figli minori o maggiorenni equiparati a minori, ovvero non economicamente indipendenti o portatori di handicap – dice
Anna Galizia Danovi -. Chi non aveva figli, invece, non era sottoposto ad alcun controllo dell’autorità giudiziaria. Anche se per le
coppie senza figli si tratta di un solo controllo formale, di fatto è tornato in essere il principio della non completa disponibilità delle
parti dei propri diritti».
http://27esimaora.corriere.it/articolo/separazione-e-divorzio-consensualee-davvero-piu-facile/?pr=1&id=35715
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Nel caso di coppie con figli minori o equiparati il controllo è nel merito, ovvero che l’accordo corrisponda all’interesse dei figli. Sarà,
poi, l’avvocato a trasmettere entro 10 giorni (non è chiaro da quando partano i 10 giorni) l’intesa all’ufficiale di stato civile del
Comune in cui il matrimonio è iscritto.
2) Separazione dal sindaco – La possibilità è riservata solo a una minoranza di coppie: devono essere senza figli e l’accordo non
deve contenere un “trasferimento patrimoniale”. «Il testo approvato non è chiaro – dice Galizia Danovi – e sembrerebbe prevedere
una procedura in due tempi: i coniugi prima depositano l’accordo e la domanda di separazione/divorzio in Comune e,
successivamente, ma non prima di 30 giorni, vengono chiamati per la conferma. Bisognerà vedere come si orienterà la prassi, ma
non sembra una procedura rapida e snella».
Il giudizio
Bene o male questa riforma? «Sicuramente un elemento positivo è che si voglia velocizzare il procedimento – risponde la
presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia – . Vi sono però alcuni elementi negativi, o quantomeno di
insoddisfazione, per una legge che – come d’uso, purtroppo – non riforma organicamente il sistema ma si limita ad aggiungere
norme senza un vero coordinamento. E così, il testo approvato evitava – in assenza di figli – ogni passaggio giudiziale, di fatto
rendendo istantanea l’entrata in vigore dell’accordo. Oggi invece si prevede in ogni caso una trasmissione dell’accordo al
Procuratore della Repubblica, il che inevitabilmente comporterà una dilatazione dei termini, e se il carico sarà enorme – come
prevedibile – sarà da vedere se i tempi saranno effettivamente inferiore all’attuale. È evidente che la legge modificherà
completamente quanto oggi accade riportando al pubblico ministero il potere e le competenze che oggi spettano al giudice. Inoltre,
la nuova legge non pare sufficientemente cautelante per le parti c.d. “deboli” (pensiamo soprattutto ai figli ma anche al coniuge
che a volte, per la complessità del caso, non riesce a comprendere pienamente il passo che sta per affrontare)».
«È evidente – conclude – che questa norma ha il solo scopo di alleggerire il carico del Tribunale. Inoltre, questa è un’ulteriore prova
del fatto che lo Stato intende sempre più liberarsi delle difficoltà – in larga parte create dallo Stato stesso – attribuendo alla parte
privata il compito di risolverle. Queste sono tutte indicazioni che ci portano a concludere che l’intento della legge è quello di
privatizzare ulteriormente la giustizia, obiettivo in alcuni ambiti apprezzabile ma di estrema delicatezza per quanto concerne il
diritto di famiglia. L’eliminazione – ovvero il sostanziale ridimensionamento – del controllo dell’autorità giudiziaria avrà l’effetto di
rovesciare, e senza che sia detto esplicitamente, l’impianto connesso al diritto di famiglia che tra l’altro più volte è stato difeso dalla
Corte Costituzionale. Si tratta di un impianto che certamente andava riformato, ma che avrebbe meritato una riforma organica e
con ampie garanzie di protezione per le parti deboli».
L’annullamento del matrimonio religioso
«Giustizia: perché le sentenze siano giuste e per la gente che aspetta. Quanto attendono anni per una sentenza!», ha detto Papa
Francesco. La Chiesa sta lavorando perché le procedure di nullità siano più semplici e non costose. A questa apertura della Chiesa
corrispondono, però, alcuni riflessi civili. È accaduto spesso in passato che il coniuge economicamente più forte chiedesse
l’annullamento del matrimonio cattolico e la successiva “delibazione” (in sostanza, il riconoscimento) della sentenza in sede civile al
solo scopo di pagare meno per il mantenimento dell’ex coniuge che, secondo la giurisprudenza civile, ha diritto invece al
mantenimento dello stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio. «Non v’è dubbio che l’alleggerimento sotto il profilo
pecuniario e la velocizzazione del procedimento potranno avere l’effetto di un maggiore ricorso da parte del cittadino ai Tribunali
ecclesiastici e quindi a un maggior numero di annullamenti di matrimoni concordatari – dice Galizia Danovi -. Ma una recente
pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 16379/2014) ha ritenuto non efficace nella Repubblica Italiana la sentenza
definitiva di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico qualora vi sia stata convivenza dai coniugi per almeno tre
anni. Non vi è dubbio che questa pronuncia scoraggerà il ricorso ai Tribunali ecclesiastici da parte di quei coniugi interessati
unicamente al risparmio economico conseguente all’annullamento del matrimonio religioso».
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