UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
LAUREA MAGISTRALE IN BIODIVERSITA’ ED EVOLUZIONE
BIOLOGICA
OSSERVAZIONI SPERIMENTALI SU SPHYRNA LEWINI
(CARCHARHINIFORMES; SPHYRNIDAE): COMPARAZIONE FRA I
MODELLI DI AGGREGAZIONE IN SUDAN (MAR ROSSO) E A MALPELO
(OCEANO PACIFICO)
RELATORE: Prof. Francesco BONASORO
CORRELATORE: Dott. Danilo REZZOLLA
Tirocinio svolto presso l’Acquario e Civica Stazione Idrobiologica di Milano
Elaborato finale di:
Ginevra BOLDROCCHI
Matricola n° 773302
Anno accademico 2010-2011
i
Indice
1. Riassunto
pag. 1
2. Introduzione
pag. 2
2.1 Pesci cartilaginei
2.1.1 Evoluzione
2.1.2 Sistematica
2.1.3 Morfologia
2.1.3.1 Morfologia esterna
2.1.3.2 Morfologia interna
2.2 Sphyrna lewini
2.2.1 Sistematica
2.2.1.1 Ordine Carcharhiniformes
2.2.1.2 Famiglia Sphyrnidae
2.2.2 Distribuzione ed Habitat
2.2.3 Biologia e fisiologia
2.2.4 Ecologia
2.3 Teoria delle aggregazioni
2.3.1 Refuging social system
2.3.2 Isole oceaniche e catene sottomarine
2.3.3 Struttura e composizione delle aggregazioni
2.3.4 Comportamenti agonistici
2.3.5 Spostamenti del gruppo
2.3.6 Funzione dell’aggregazione
pag. 2
pag. 2
pag. 4
pag. 6
pag. 6
pag. 8
pag. 29
pag. 29
pag. 29
pag. 30
pag. 32
pag. 33
pag. 37
pag. 42
pag. 42
pag. 44
pag. 45
pag. 46
pag. 49
pag. 51
3. Materiali e Metodi
pag. 53
3.1 Aree di studio
pag. 53
pag. 53
pag. 56
3.1.1 Malpelo
3.1.2 Reef sudanesi
3.2 Protocollo di immersione
3.3 Analisi dati
4. Risultati
pag. 60
pag. 61
pag. 62
4.1 Parametri ambientali
pag. 62
4.1.1 Isola di Malpelo
4.1.2 Reef sudanesi
pag. 62
pag. 62
4.2 Incontri documentati
pag. 64
pag. 64
pag. 65
4.2.1 Isola di Malpelo
4.2.2 Reef sudanesi
ii
5. Discussione
pag. 75
6. Conclusione
pag. 78
Bibliografia
Sitografia
Ringraziamenti
pag. 79
pag. 85
pag. 86
Elenco delle tabelle:
2.1. Sistematica dei condroitti.
pag. 4
2.2. Valori in percentuale riferiti all’IRI (Indice di Importanza Relativa), alla
pag. 38
frequenza, al numero, al volume e al peso di ogni preda presente nello
stomaco di Sphyrna lewini.
4.1. Dati inerenti ai parametri ambientali misurati a Malpelo.
pag. 63
4.2. Dati inerenti ai parametri ambientali misurati in Sudan nel 2011.
pag. 63
4.3. Dati generali rilevati a Malpelo. Ss, singolo squalo; Pg, piccolo gruppo; Gg,
pag. 68
grande gruppo; Nd, non determinato; M, maschio; F, femmina.
4.4. Struttura e composizione delle aggregazioni a Malpelo. Es, esemplare; M,
pag. 71
maschio; F, femmina; Nd, non determinato.
4.5. Comportamenti agonistici documentati durante la spedizione a Malpelo.
pag. 73
Es, esemplare; M, maschio; F, femmina; Nd, non determinato.
4.6. Dati generali rilevati in Sudan. Ss, singolo squalo; Pg, piccolo
pag. 73
gruppo; Nd, non determinato; M, maschio; F, femmina.
4.7. Comportamenti agonistici documentati durante la spedizione in Sudan.
pag. 74
Nd, non determinato; F, femmina; M, maschio; Es, esemplare.
4.8. Struttura e composizione delle aggregazioni in Sudan. Nd, non
pag. 74
determinato; F, femmina; Es, esemplare.
iii
Elenco delle immagini:
2.1. Fossile di Orthacanthus
pag. 3
2.2. Numeri e percentuali di specie appartenenti ad ordini di squali.
pag. 5
2.3. Rappresentazione schematica della morfologia esterna di uno squalo.
pag. 6
2.4. Schema di una scaglia placoide.
pag. 7
2.5. Rappresentazione schematica dell’anatomia interna di uno squalo.
pag. 8
2.6. Rappresentazione schematica dello scheletro cefalico dei condroitti.
pag. 9
2.7. Scheletro assile cartilagineo in un condroitto.
pag. 10
2.8. Esempi di pinna caudale. 1, Galeorhinus galeus; 2, Cetorhinus maximus; 3,
pag. 11
Stegostoma fasciatum; 4, Alopias vulpinus; 5, Centroscymnus coelolepis; 6,
Rhincodon typus; 7, Galeocerdo cuvier; 8, Isurus oxyrinchus.
2.9. Sezione sagittale di cuore di condroitti. A, atrio; CA, cono arterioso; SV,
pag. 12
seno venoso; V, ventricolo. Sono indicate le valvole seno
atriali, atrio-ventricolari e le valvole del cono arterioso (quest’ultime
sono disposte ad anello in 2 o più file longitudinali). Nello schema la
muscolatura miocardica è indicata con la punteggiatura, la muscolatura
liscia è bianca.
2.10. Schema degli archi aortici degli elasmobranchi. Ai, arteria ipobranchiale;
pag. 12
ce, arteria carotide esterna; ci, arteria carotide interna. La freccia indica
il 6°arco aortico.
2.11. Rappresentazione schematica delle branchie settate di un elasmobranco.
pag. 13
a. 1, archi branchiali; 2, setto; 3, emibranchia dell’arco ioideo, 4; cavità
peritoneale. b. Particolare di branchia settata. 1, scheletro branchiale; 2,
setto branchiale; 3, filamento branchiale; 4, lamella branchiale; 5, arteria
branchiale afferente; 6, arteria afferente del filamento; 7, arteria
efferente del filamento; 8, arteria branchiale efferente; 9, rastrello
branchiale. In blu il sangue deossigenato, in rosso il sangue ossigenato.
2.12. Rappresentazione schematica di differenti valvole a spirale.
pag. 15
2.13. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttore maschile di
pag. 18
elasmobranco.
2.14. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttore femminile di
pag. 19
elasmobranco.
2.15. Uovo con embrione di Schyliorhinus canicula.
pag. 20
2.16. Rappresentazione schematica della gestazione di un viviparo
pag. 20
aplacentato.
2.17. Immagine di un embrione con sacco vitellino.
pag. 21
2.18. Esempio schematico della gestazione di un viviparo placentato.
pag. 21
2.19. Immagine dell’appendiculae di un embrione di Sphyrna lewini.
pag. 22
iv
2.20. Rappresentazione schematica dell’encefalo di un condroitto in sezione
pag. 23
sagittale mediana. 1, telencefalo; 2, diencefalo; 3, tetto ottico; 4, corpo
del mesencefalo; 5, cervelletto; 6, bulbo; 7, midollo spinale; 8, bulbo
olfattivo; 9, ipofisi.
2.21. Labirinto membranoso di sinistra visto dalla faccia laterale. La posizione
pag. 24
delle creste, delle macule e delle papille (punteggiate nello schema) è
puramente indicativa. 3, canale verticale anteriore; 4, canale verticale
posteriore; 5, canale orizzontale; 6, utricolo; 7, sacculo; 8, lagena; 9,
dotto endolinfatico.
2.22. Organo della linea laterale. a. Neuromasto. In ocra le cellule di senso, in
pag. 25
bianco le cellule di sostegno. 1, cupola gelatinosa sovrastante il
neuromasto; 2, fibre nervose afferenti ed efferenti. b. Cellula di senso.
1, chinociglio; 2, stereociglia; 3, fibra sensitiva afferente; 4, fibra
efferente modulatrice. d. disposizione del chino ciglio e delle stereo
ciglia.
2.23. Immagine del tapetum lucidum in un condroitto.
pag. 26
2.24. Immagine di membrana nittitante.
pag. 27
2.25. Disposizione e struttura delle ampolle di Lorenzini sulla testa di uno
pag. 28
squalo. I cerchi vuoti rappresentano la posizione dei pori superficiali e i
trattini scuri la posizione delle cellule sensoriali.
2.26. Rappresentazione schematica dei generi Sphyrna (Fig. 1) ed Eusphyra
pag. 31
(Fig. 2).
2.27. Planisfero riportante la distribuzione geografica di S. lewini.
pag. 32
2.28. Rappresentazione schematica della parte inferiore della testa.
pag. 33
2.29. Dentizione squalo martello smerlato. A. dodicesimo dente superiore;
pag. 33
B. dente superiore; C. undicesimo dente inferiore; D. terzo dente inferiore.
2.30. Rappresentazione schematica di Sphyrna lewini.
pag. 34
2.31. Dentelli dermici di squalo martello smerlato.
pag. 34
2.32. La figura rappresenta il capo di un esemplare di sphyrnide
pag. 36
in una scia di odore. La distanza (d) tra i punti medi della lunghezza
effettiva di campionamento indica la capacità di identificare gli odori su
entrambi i lati della testa. La differenza di concentrazione degli odori
lungo tutta la larghezza del cephalofoil è maggiore per gli squali con
narici molto distanziati.
2.33. Misurazioni morfometriche effettuate sul capo di Sphyrna lewini.
pag. 36
La lunghezza delle narici (NL) e delle pieghe prenasali (PNGL) sono
combinate
tra
loro
per
formare
la
lunghezza
effettiva
di
campionamento. La distanza tra i bordi mediali delle pieghe prenasali
forma la distanza internariale (IND) e la distanza tra i bordi laterali
delle narici forma la distanza nariale massima (MND).
v
2.34. Il grafico mostra la massa del contenuto stomacale di femmine (cerchio
pag. 40
pieno) e di maschi (cerchio vuoto) di Sphyrna lewini, in funzione della
lunghezza totale, , per quantificare il successo predatorio di entrambi i
sessi. Sulla base del metodo dei minimi quadrati, sono state disegnate
linee continue (femmine) e linee tratteggiate (maschi) per squali di taglia
e > di
160 cm, dimensione alla quale i maschi entrano in
aggregazioni pelagiche. Siccome la differenza della pendenza tra maschi
e femmine
160 cm è significativa, l’area tra linee è stata marcata ad
indicare il surplus di cibo consumato dalle femmine.
2.35. Il grafico rappresenta le batimetrie medie di cattura di maschi e femmine
pag. 41
sulla base dei parametri morfometrici degli individui di S. lewini. Sopra i
grafici di dispersione, sono riportate le profondità medie di cattura.
2.36. Aggregazioni di Sphyrna lewini.
pag. 43
2.37. Catena sottomarina.
pag. 45
2.38. Rappresentazione schematica del movimento “turso-thrust”.
pag. 47
2.39. Rappresentazione schematica del movimento “cork-screw”.
pag. 47
2.40. Rappresentazione schematica del movimento “hit”.
pag. 48
2.41. Frequenze di contusione che si verificano entro il 10% della lunghezza
pag. 49
totale del corpo a livello del ventre, dorso, sul fianco destro e sinistro.
3.1. Mappa dell’isola di Malpelo dove sono elencati i siti di immersione
pag. 55
3.2. Mappa dei reef sudanesi.
pag. 56
3.3. Rappresentazione grafica del reef Sha ‘ab Rumi, versante Sud.
pag. 57
3.4. Rappresentazione grafica del reef Sanganeb. A sinistra è illustrato il
pag. 57
versante Sud; a destra, il versante Nord.
3.5. Rappresentazione grafica del reef Quita el Banna, versante Sud-Est.
pag. 58
3.6. Rappresentazione grafica del reef Merlo, versante Nord.
pag. 58
3.7. Rappresentazione grafica del reef Angarosh.
pag. 59
3.8. Rappresentazione grafica del reef Abington.
pag. 59
3.9. Rappresentazione schematica del protocollo di avvicinamento. Il rettangolo
pag. 61
rosso in alto rappresenta l’imbarcazione. Il secondo rettangolo
rappresenta la sosta sul primo pianoro, dove si valuta la direzione e
forza della corrente; a questo punto si scende sul secondo pianoro a 35
m oppure sulla punta del plateau a 60 m (cerchio rosso). Le frecce blu
rappresentano la corrente, la freccia più grossa dai bordi rossi invece, la
direzione degli squali.
4.1. Sequenza di immagini che mostrano il movimento “turso-thrust” eseguito
pag. 66
da un esemplare.
4.2. Sequenza di immagini che mostrano il movimento “head-shake”.
pag. 67
5.1. Planisfero riportante la distribuzione delle dorsali oceaniche.
pag. 75
vi
Riassunto
Lo squalo martello smerlato, Sphyrna lewini, è una specie cosmopolita che occupa acque
costiere calde temperate e mari tropicali di tutto il mondo (Stevens e Lyle, 1989); forma
grandi aggregazioni vicino a catene sottomarine ed isole oceaniche, siti che sono considerati
hotspot per la biodiversità pelagica (Worm et al., 2003). Questa specie è caratterizzata dal
possedere un complesso sistema sociale, definito “refuging social system”, in cui gli esemplari
rimangono in gruppo durante la fase di inattività del loro ciclo quotidiano, per poi, di notte,
disperdersi nell’ambiente pelagico circostante per foraggiarsi. Dai dati riportati in letteratura
le aggregazioni di Sphyrna lewini mostrano una struttura polarizzata, dove tutti i membri si
muovono insieme con una direzione comune, mantengono distanze interindividuali piccole e
costanti, e cambiano simultaneamente la direzione dei loro spostamenti. Sono composte
prevalentemente da femmine e gli individui possono variare notevolmente in termini di
dimensione. Gli squali martello mostrano, inoltre, rapporti di dominanza e subordinazione,
competendo tra loro per posizionarsi al centro del gruppo.
Il presente lavoro è uno studio comparativo tra le nostre osservazioni, effettuate sia
all’isola di Malpelo che nei reef sudanesi, e le teorie formulate dal ricercatore Peter Klimley
nel Pacifico. Lo scopo di questa ricerca è stato quello di mettere in luce, tramite osservazione
diretta, una possibile variabilità comportamentale legata a siti di aggregazione con
caratteristiche differenti. I principali risultati ricavati tramite l’analisi dei filmati sono: 1) sia
nel Mar Rosso che nel Pacifico le aggregazioni mostrano una struttura polarizzata; 2) i gruppi
sudanesi sono composti da individui di dimensioni omogenee, mentre quelli osservati presso
l’isola di Malpelo presentano lunghezze molto variabili; 3) i gruppi del Pacifico,
apparentemente, sono costituiti da una maggioranza di maschi; 4) in Sudan gli squali
mostrano una lieve preferenza a stratificarsi verticalmente, mentre a Malpelo si dispongono
in un piano orizzontale; 5) nel Pacifico, a differenza di quanto osservato nel Mar Rosso, gli
individui esibiscono rapporti di dominanza e subordinazione; 6) l’esemplare “sentinella” è
presente esclusivamente nei reef sudanesi; 7) infine l’osservatore deve seguire un protocollo
di avvistamento per poter identificare il sito di aggregazione.
Le difformità riscontrate tra le aggregazioni del Pacifico e del Mar Rosso sembrano
supportare l’ipotesi che la variabilità comportamentale sia correlata a siti di aggregazione
differenti.
1
Introduzione
2.1 Pesci cartilaginei
I pesci cartilaginei, classe condroitti, sono un ampio gruppo di pesci gnatostomi
caratterizzati dal possedere uno scheletro interno completamente cartilagineo. Comprendono 51
famiglie, 165 generi e più di 970 specie già descritte (Nelson, 2006).
L’adattamento proprio dei condroitti alla vita marina (Moyle e Cech, 2004) è ricco di
brillanti soluzioni evolutive: il fegato ricco d’olio e lo scheletro cartilagineo molto leggero
assicurano l’equilibrio idrostatico; lo spiracolo, o in assenza di esso, un’attività natatoria
ininterrotta garantiscono la respirazione; la dentatura altamente specializzata, che rimpiazza
continuamente i denti persi, permette il nutrimento; le scaglie placoidi aumentano l’idrodinamicità
del nuoto; la coda robusta garantisce sia una forte spinta propulsiva che stabilità ed infine il
sistema sensoriale e muscolare estremamente specializzati, uniti alla perfetta morfologia
idrodinamica, fanno di questi organismi un successo evolutivo più longevo di quello dei pesci
ossei. I pesci cartilaginei si differenziano dagli osteitti anche per le strategie riproduttive
dominanti. La storia naturale degli elasmobranchi è caratterizzata dalla selezione K (Hoening e
Gruber, 1990), bassa fecondità, tarda maturità sessuale e neonati molto sviluppati, che si
contrappone alla strategia r, preponderante fra gli osteitti.
2.1.1 Evoluzione
I pesci cartilaginei appaiono per la prima volta nei reperti fossili del tardo Siluriano e si
diffondono nel corso del Devoniano. All’interno dei condroitti vi sono due linee evolutive
distinte che risalgono in maniera indipendente fino al Devoniano: la sottoclasse degli
elasmobranchi e quella degli olocefali (Moyle e Cech, 2004).
Gli olocefali si caratterizzano per uno scheletro cartilagineo in cui persiste la notocorda.
Gli archi branchiali sono posti sotto il neurocranio e le branchie sono coperte da un opercolo. Le
forme estinte, conosciute come brachiodonti, presentavano morfologie bizzarre e una delle
peculiarità era la dentizione di tipo squaliforme, denti appuntiti organizzati in file, considerata, per
gli olocefali, un carattere ancestrale. I progenitori delle attuali razze, torpedini e pesci violino, che
hanno sviluppato una forma del corpo appiattita grazie a pinne pettorali consistenti, sono
comparsi in una fase avanzata dell’evoluzione degli elasmobranchi durante il Cretaceo.
2
Negli squali si conoscono due linee evolutive principali: i cladodonti, che costituiscono le
forme più primitive, e gli ibodonti più simili agli squali attuali. Nei cladodonti la bocca era in
posizione terminale, con lunghe mascelle sostenute posteriormente dalle cartilagini del secondo
arco branchiale. I denti erano formati in prevalenza da una grande corona conica centrale
contornata da cuspidi più piccole. Tale dentatura consentiva ai cladodonti di afferrare le prede ma
non di segarle o tagliarle, come fanno gli squali attuali.
L’evoluzione successiva degli elasmobranchi ha comportato una riorganizzazione dei sistemi di
alimentazione e di locomozione. Questi nuovi adattamenti si manifestarono negli squali ibodonti
del Mesozoico che presentano una dentizione diversificata, con denti anteriori forniti di cuspidi
acuminate, per afferrare e tagliare le prede, e denti posteriori robusti e piatti atti a triturare. Gli
ibodonti si caratterizzavano, inoltre, per la struttura dello scheletro delle pinne pettorali, per la
presenza di una pinna anale e per la riduzione di quella caudale.
I più diretti progenitori degli elasmobranchi attuali furono i Neoselachii (Fig. 2.1) che, al
termine dell’era mesozoica, durante il Cretaceo, ebbero una certa radiazione adattativa. La spinta
selettiva che favorì l’aumento del numero di specie fu la diffusione dei pesci ossei, gli
actinopterigi, che costituirono nuove fonti alimentari per gli squali, ma obbligarono quest’ultimi a
migliorare l’efficienza predatoria. I pesci ossei avevano, infatti, migliori capacità natatorie e una
maggiore abilità a sfuggire ai predatori, rispetto ai loro predecessori acantodi. I neoselaci
svilupparono quindi adattamenti predatori nuovi rispetto ai loro progenitori, come le mascelle
flessibili, una forma del corpo idrodinamica e sistemi sensoriali più sviluppati per l’individuazione
delle prede.
Dall’inizio della loro evoluzione, fino alle forme attuali, gli squaliformi hanno conservato
quasi inalterate caratteristiche e strategie alimentari. Le diverse specie attuali, pur evidenziando
una varietà di adattamenti e cicli vitali differenti, si sono adattate sia alla vita pelagica che a quella
bentonica.
Fig. 2.1. Fossile di Orthacanthus (Mojetta, 2004).
3
2.1.2 Sistematica
La classificazione dei pesci cartilaginei è soggetta a continue revisioni. Per il presente
lavoro, ci si atterrà alla classificazione proposta da Compagno (1984) in cui la classe dei condroitti
è stata suddivisa in due sottoclassi: gli olocefali, caratterizzati solamente da 35 specie e gli
elasmobranchi, gruppo invece molto più numeroso, che comprende più di 1106 specie. Agli
olocefali appartengono due soli generi ad habitat marino, aventi fessure branchiali coperte da una
plica cutanea sorretta da una cartilagine opercolare (Tab. 1).
Tabella 1
Classe Condroitti
Sottoclasse
Superordine
Holocephala
Elasmobranchii
Squalomorphii
Batoidaea
Squatinomorphii
Galeomorphii
Ordine
Chimaeriformes
Hexanchiformes
Squaliformes
Pristioforiformes
Rajaiformes
Pristioformes
Torpediniformes
Myolobatiformes
Squatiniformes
Heterodontiformes
Orectolobiformes
Lamniformes
Carcharhiniformes
Tabella 2.1. Sistematica dei condroitti (Zavanella, 2005).
La subclasse di elasmobranchi ha come suoi moderni rappresentanti squali e razze. A sua
volta è suddivisa in 3 superordini: Squalomorphii, Galeomorphii e Squatinomorphii, che
includono 30 famiglie e circa 368 specie di squali, ed un quarto gruppo, quello dei Batoidaea,
composto principalmente da razze, pesci sega e torpedini (Compagno, 1984).
Gli squali sono ripartiti in 8 ordini (Compagno, 1988) (Fig. 2.2); quello dominante,
Carcharhiniformes, comprende il 56% di tutte le specie. Altri tre grandi gruppi sono rappresentati
dai Squaliformes, dai Orectolobiformes e dai Lamniformes, che comprendono rispettivamente il
23%, l’8% ed il 4% degli squali viventi. I quattro gruppi meno numerosi sono quelli dei
Hexanchiformes, 1%, dei Pristiophoriformes, 1%, dei Squatiniformes, 4% e degli
Heterodontiformes, 2% (Compagno, 1990).
4
Fig. 2.2. Numeri e percentuali di specie appartenenti a diversi ordini di squali (Compagno, 1990).
5
2.1.3 Morfologia
Nel presente lavoro ci si focalizzerà sulla descrizione di elasmobranchi squalimorfi,
abbandonando la trattazione della sottoclasse Holocephala e del superordine Batoidaea,
utilizzando come testo di riferimento per la descrizione anatomica il libro di Zavanella (2005).
2.1.3.1 Morfologia esterna
Fig. 2.3. Rappresentazione schematica della morfologia esterna di uno squalo.
(www.squaliredeimari.blogspot.com).
Esiste una grandissima variabilità nella forma del corpo dei pesci cartilaginei, non solo
considerando le diverse sottoclassi, ma anche le diverse specie all’interno dello stesso ordine.
Molte specie di squali presentano un corpo fusiforme (Fig. 2.3) come per esempio i lamnidi e i
carcharhinidi, mentre altre specie sono compresse dorso-ventralmente come negli orectolobidi,
altre ancora sono anguilliformi come Chlamidoselachius anguineus, Garman, 1884.
Il capo degli squalimorfi, grazie al muso allungato, appuntito o moderatamente ottuso,
favorisce l’avanzamento nell’acqua. Gli occhi, situati ai lati del capo, hanno una pupilla tonda
oppure ellittica, orizzontale o verticale; di dimensioni variabili, possono essere anche molto
grandi in alcune specie che vivono in profondità. Le narici, che solitamente si aprono sulla parte
inferiore del muso, non sono in comunicazione interna con la bocca e non hanno funzione
respiratoria; l’acqua le percorre in un tragitto tortuoso lungo il quale le cellule sensoriali olfattive
percepiscono la presenza di sostanze discolte, anche in bassissime concentrazioni. Le fessure
branchiali si aprono ai lati del capo, anteriormente o poco sopra l’inserzione delle pinne pettorali.
Nella maggior parte delle specie è presente lo spiracolo, un’apertura tondeggiante che fa entrare
l’acqua e la coinvoglia verso l’apparato respiratorio (Notarbartolo di Sciara e Bianchi, 1998).
6
Gli squali possiedono sia pinne pari che impari. Le pinne impari sono rappresentate dalle
pinne dorsali e dalla pinna caudale. Molti squali possiedono anche una pinna anale. Le pinne
dorsali servono da stabilizzatori idrodinamici antirollio durante il nuoto, mentre la caudale
garantisce la spinta propulsiva per muovere l’animale nell’acqua; è definita pseudo-omocerca
quando la lunghezza dei due lobi è pressochè simile, mentre è eterocerca quando il lobo dorsale è
cospicuamente più lungo del lobo ventrale. Questa struttura è adatta agli elasmobranchi perché,
essendo pesanti, a causa della mancanza della vescica natatoria, garantisce loro una propulsione in
avanti e verso l’alto grazie all’azione congiunta con le pinne pettorali. Il peducolo caudale, inoltre,
può essere fornito di robuste carene laterali e di fossette precaudali che aumentano
l’idrodinamicità e la velocità di nuoto (Notarbartolo di Sciara e Bianchi, 1998).
Le appendici pari sono tipiche dei vertebrati e nei pesci cartilaginei sono rappresentate
dalle pinne pettorali e da quelle pelviche. Le pinne pettorali si originano dietro la testa e si
estendono verso l’esterno; forniscono direzionalità al nuoto e contribuiscono a sostenere lo
squalo. Le pinne pelviche, localizzate ai due lati dell’apertura cloacale, sono anch’esse
stabilizzatrici. Nei maschi hanno anche una seconda funzione dal momento che si sono
modificate in organi copulatori, chiamati pterigopodi.
L’epidermide di tutti gli ittiopsidi è costituita da diversi strati di cellule vive che
garantiscono gli scambi fra mezzo interno e mezzo esterno. Nel derma sono accolte le scaglie,
che nei condroitti sono di tipo placoide (Fig. 2.4). Le scaglie placoidi sono rappresentate da
dentelli che sporgono, con una punta inclinata posteriormente, verso l’esterno. Poggiano su una
piastra basale di tessuto osseo compatto acellulare all’interno del derma. Sono formate da uno
spesso strato di dentina che avvolge una papilla dermica vascolarizzata nella quale sono situati gli
odontoblasti. La dentina, nella sua parte più esterna, è rivestita da uno strato simile a smalto,
prodotto da cellule specializzate chiamate adamantoblasti.
Fig. 2.4. Schema di una scaglia placoide.
(www.grandesqualobianco.com).
7
2.1.3.2 Morfologia interna
Fig. 2.5. Rappresentazione schematica dell’anatomia interna di uno squalo.
(www.prionace.it/anatomiasqualo.htm).
Sistema Scheletrico
Nei condroitti il neurocranio è di natura cartilaginea e si estende dorsalmente a protezione
dell’encefalo e anteriormente formando il rostro. Procedendo in direzione caudo-rostrale si
trovano la regione occipitale, otica, orbito-temporale ed etmoidale. Quest’ultima, in molte specie,
si prolunga anteriormente all’encefalo, facendo si che la bocca si trovi in posizione ventrale. Lo
splancnocranio subisce alcune modificazioni: il primo e il secondo arco branchiale diventano arco
mandibolare e arco ioideo, a cui seguono gli archi branchiali, formati da più pezzi scheletrici
articolati fra loro (Fig. 2.6). Sono gli archi che formano e sostengono le fauci. Lo scheletro
dell’arco mandibolare è formato dorsalmente dalla cartilagine palatoquadrato, che forma la parte
alta della bocca, e ventralmente dalla cartilagine di Meckel, che forma la parte bassa; le due si
articolano tra loro. L’arco ioideo, è costituito dall’iomandibolare dorsalmente, che è collegato alla
regione otica del cranio e provvede a dare sostegno alle mascelle, mentre ventralmente dal
ceratoiale e dall’ipoiale. Negli archi branchiali successivi si trovano quattro elementi che si
procedono in senso dorso-ventrale e sono il faringobranchiale, epibranchiale, il ceratobranchiale
ed infine l’ipobranchiale. L’arco orale è connesso al neurocranio per mezzo dell’iomandibolare e
perciò viene detta sospensione iostilica.
8
Fig. 2.6. Rappresentazione schematica dello scheletro cefalico dei condroitti (Rezzolla, 2000).
Ogni arco può essere teso dorsalmente da una serie di muscoli elevatori e ventralmente da una
serie di muscoli depressori. Quest’ultimi potrebbero essere indirettamente coinvolti nella
protrusione delle mascelle, se lavorano simultaneamente con i muscoli deputati a spingere l’arco
della mascella in avanti. Quindi un movimento coordinato di contrazione e rilascio di questo
gruppo di muscoli crea quell’espansione dell’arco coinvolta in tutte le diverse modalità di
alimentazione (Dean et al., 2005). La protrusione delle fauci è fondamentale negli elasmobranchi,
infatti permette di ridurre molto rapidamente la distanza tra predatore e preda e riorienta i denti
per permettere un morso più efficace.
I condroitti possiedono uno scheletro assile cartilagineo (Fig. 2.7), nel quale si
riconoscono vertebre del tronco, anteriormente alla cloaca, e vertebre della regione caudale. In
tutti gli Ittiopsidi la vertebra è anficele, con entrambe le facce dei corpi vertebrali concave,
permettendo così flessioni laterali della colonna vertebrale. Primo elemento riconoscibile,
procedendo in senso dorso-ventrale, è l’arco neurale, che si dispone intorno al midollo spinale,
proteggendolo. L’arco neurale è formato da piastre cartilaginee che si inseriscono su di un corpo
vertebrale. Gli elementi scheletrici che nella coda formano l’arco emale, che si dispone intorno
alle vene ed all’arteria caudale impedendone l’occlusione durante i movimenti della coda, nella
regione del tronco restano divaricati a formare i basapofisi, che sono dei processi per
l’articolazione con le coste. Sia gli archi neurali che quelli emali rivestono una funzione protettiva
e forniscono l’inserzione per la muscolatura deputata a sostegno e locomozione.
9
Fig. 2.7. Scheletro assile cartilagineo in un condroitto.
(www.marinebiodiversity.ca/shark/english/skull.htm).
Nei pesci cartilaginei le pinne impari, pinna dorsale, pinna anale e caudale, sono sostenute
da una serie prossimo-distale di due o tre pezzi scheletrici, i radiali, che possono essere ossei o
cartilaginei, accolti nel connettivo del setto mediano. Ai radiali distali si connettono grossi fasci di
fibre collagene, dette ceratotrichi, che sostengono le pinne. La pinna caudale di tipo eterocerca è
costituita da un asse vertebrale che si estende verso l’alto. Questa struttura, grazie all’azione
congiunta con le pinne pettorali, garantisce loro una propulsione in avanti e verso l’alto (Fig. 2.8).
Negli ittiopsidi gli arti pari sono rappresentati dalle pinne pettorali e da quelle pelviche.
Sono sostenute da uno scheletro di sostegno, detto ittiopterigio, che è costituito da una serie
rostro-caudale di brevi elementi prossimali in rapporto col cinto, detti basali. Su quest’ultimi si
impiantano, a ventaglio, una o più serie prossimo-distale di radiali e, distalmente a questi, i
dermatotrichi.
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Il cinto pettorale è costituito dalla cartilagine coracoidea, ventrale, e dalla cartilagine scapolare,
dorsale, accolte nelle masse muscolari della regione anteriore del tronco. Scapola e coracoide si
uniscono a formare la cavità articolare per lo scheletro della pinna pettorale. Il cinto pelvico è
invece costituito da un singolo elemento detto ischiopube accolto nelle masse muscolari.
Fig. 2.8. Esempi di pinna caudale. 1, Galeorhinus galeus; 2, Cetorhinus maximus; 3, Stegostoma fasciatum; 4,
Alopias vulpinus; 5, Centroscymnus coelolepis; 6, Rhincodon typus; 7, Galeocerdo cuvier; 8, Isurus oxyrinchus.
(www.nhm.ac.uk/nature-online/life/reptiles-amphibians-fish/sharks-jaws/session1/index.html).
Sistema circolatorio
Nei condroitti il cuore è formato da un seno venoso, un atrio, un ventricolo e un cono
arterioso (Fig. 2.9). Il sangue refluo proveniente da tutto il corpo sbocca, per mezzo della vena
cardinale comune e della vena epatica, nel seno venoso. Questo, contraendosi, manda il sangue
nella camera successiva, l’atrio, dal quale è separato per mezzo della valvola atriale. Ventralmente
all’atrio, si trova il ventricolo, la cui parete è costituita da una muscolatura spessa, che ne fa la vera
pompa cardiaca. Da qui il sangue prosegue in un lungo cono arterioso, caratteristica peculiare dei
condroitti, dal quale poi viene pompato nell’aorta ventrale che raccoglie il sangue deossigenato e
lo porta al faringe branchiale.
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Fig. 2.9. Sezione sagittale del cuore di un condroitto. A, atrio; CA, cono arterioso; SV, seno venoso; V,
ventricolo. Sono indicate le valvole seno-atriali, atrio-ventricolari e le valvole del cono arterioso
(quest’ultime sono disposte ad anello in 2 o più file longitudinali). Nello schema la muscolatura
miocardica è indicata con la punteggiatura, la muscolatura liscia è bianca (Zavanella, 2005).
In tutti gli ittiopsidi la circolazione sanguinea è semplice. Il sangue refluo da tutte le
regioni del corpo si riunisce nel seno venoso che arriva al cuore. Da questo parte l’aorta ventrale
dalla quale dipartono gli archi aortici, che si diramano in una serie di arterie afferenti, che a loro
volta, si capillarizzano a formare le arteriole pre e post trematiche che vanno a vascolarizzare le
lamelle branchiali. Qui il sangue assorbe ossigeno e si fa arterioso. A partire dai capillari delle
branchie si costituiscono le arterie efferenti, che da ciascun lato si riuniscono in una radice
dell’aorta; le due radici poi si riuniscono a dare l’aorta dorsale, la quale decorre fino all’estremità
caudale ossigenando tutto il corpo. I condroitti perdono il primo arco aortico che va a formare lo
spiracolo, il quale viene ossigenato per mezzo dell’arteria branchiale efferente al secondo arco
aortico (Fig. 2.10).
Fig. 2.10. Schema degli archi aortici degli elasmobranchi. Ai, arteria ipobranchiale; ce, arteria carotide
esterna; ci, arteria carotide interna. La freccia indica il 6° arco aortico (Zavanella, 2005).
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Apparato respiratorio
I condroitti possiedono branchie settate, le cui fessure branchiali sono sostenute da un
setto interbranchiale cartilagineo che termina nella porzione esterna della faringe con un setto
ripiegato (Fig. 2.11). Durante l’ispirazione queste lamine si chiudono permettendo all’acqua di
rimanere il tempo necessario per gli scambi di gas. Le fessure branchiali si aprono direttamente
all’esterno e sono situate lateralmente nei pleurotremi con corpo idrodinamico.
I condroitti perdono il primo arco branchiale, a causa della connessione tra
l’iomandibolare e l’arco orale, che diventa lo spiracolo, una piccola fessura che permette l’entrata
d’acqua anche quando il pesce ha la bocca chiusa. Quest’apertura risulta essere molto utile per
tutti quegli animali con bocca ventrale che vivono sul fondo. Lo spiracolo si oblitera in quegli
elasmobranchi veloci nuotatori, che inalano l’acqua dalla bocca. Allo spiracolo seguono 5 fessure
branchiali, eccezionalmente in alcune specie se ne possono trovare anche 6 o 7.
In tutti gli ittiopsidi la ventilazione è di tipo monodirezionale, con un flusso discorde.
Fig. 2.11. Rappresentazione schematica delle branchie settate di un elasmobranco. a. 1, archi branchiali; 2,
setto; 3, emibranchia dell’arco ioideo, 4; cavità peritoneale. b. Particolare di branchia settata. 1,
scheletro branchiale; 2, setto branchiale; 3, filamento branchiale; 4, lamella branchiale; 5, arteria
branchiale afferente; 6, arteria afferente del filamento; 7, arteria efferente del filamento; 8, arteria
branchiale efferente; 9, rastrello branchiale. In blu il sangue deossigenato, in rosso il sangue
ossigenato (Zavanella, 2005).
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Apparato digerente
La cavità orale si apre direttamente all’esterno per mezzo della rima boccale, lunga fessura
interposta fra le arcate mascellare e mandibolare. La parete che riveste la bocca è ricoperta da
denti, che possono trovarsi anche sul palato. La struttura del dente è analoga a quella della scaglia
placoide, perciò formata da dentina rivestita da smalto. Nei condroitti la forma dei denti può
essere estremamente varia in quanto questa riflette la varietà della dieta, e, nel caso dei vertebrati
predatori, la modalità di procacciamento della preda. Gli squali, essendo predatori, possiedono
denti triangolari taglienti e disposti in serie, i verticali in azione, mentre gli obliqui retrostanti
come fila di riserva, ad eccezione degli elasmobranchi planctofagi che hanno sviluppato apposite
strutture atte a filtrare gli organismi zooplanctonici presenti nell’acqua ingerita (Notarbartolo di
Sciara e Bianchi, 1998). Gli squali hanno in genere dalle otto alle tredici file di denti presenti
nell’arcata mandibolare, ma di queste solo due o tre sono effettivamente funzionali. Una delle
caratteristiche peculiari degli elasmobranchi è quella di avere una dentizione che viene
continuamente sostituita, infatti i denti degli squali sono relativamente fragili e, a fronte della
potenza del morso di questi animali, non ci si sorprende se spesso i denti si rompono; una rapida
sostituzione permette quindi, di compensare la loro prematura disgregazione. I denti infatti, non
sono fissati saldamente alla mascella, come quelli della maggior parte dei vertebrati, ma al
contrario crescono in una fossetta subito dentro la bocca e si spostano dall'interno verso l'esterno
su di una sorta di nastro trasportatore, in modo da sostituire i denti usurati. I denti di ogni nuova
fila sono leggermente più grandi dei precedenti che hanno sostituito, questo perché la dentizione
deve crescere parallelamente allo sviluppo ponderale dell’individuo per poter svolgere la propria
funzione in modo efficace (Moss, 1981).
Alla bocca segue la faringe che si apre all’esterno per mezzo delle fessure branchiali e,
dopo l’ultima fessura è posizionato l’esofago, il quale può essere di lunghezza variabile. Nei
condroitti lo stomaco è a forma di ansa con un tratto discendente, cardiale, ed uno ascendente,
pilorico. L’intestino è rettilineo e l’aumento della superficie assorbente è dato da un sollevamento
della mucosa e della sottomucosa a costituire una plica ad andamento elicoidale, sporgente nel
lume per quasi tutta la lunghezza dell’intestino. Questa struttura prende il nome di valvola spirale,
(Fig. 2.12) ed è caratterizzata da spire molto ravvicinate in cui entrano anche propaggini della
tunica muscolare.
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Fig. 2.12. Rappresentazione schematica di differenti valvole a spirale (Mojetta, 2004).
Il fegato è un organo voluminoso, di norma trilobato, dotato di cistifellea e molto ricco in
oli. A differenza di molti pesci teleostei, gli squali non hanno vesciche natatorie, che consentono
l’aumento della spinta di Archimede, ed essendo più pesanti dell'acqua, anche se solo per una
piccola percentuale, devono generare portanza per evitare di affondare. Per compensare la perdita
di positività, causata dalla presenza di un corpo voluminoso con pinne relativamente piccole, il
fegato dei grandi squali raggiunge dimensioni che sono più del doppio di quello di esemplari più
piccoli e contiene oli ed idrocarburi, che conferiscono quella spinta maggiore di cui hanno
bisogno. In questi squali il fegato può raggiungere un peso enorme e contenere grandi quantità di
oli. Ad esempio, lo squalo elefante, Cetorhinus maximus, Gunnerus, 1765, ha una cavità del corpo
allungata con un enorme fegato oleoso, che può raggiungere il 20-25% del suo peso totale
(Martin, 2002).
Il pancreas, anch’esso voluminoso e compatto, è localizzato tra il tratto pilorico dello
stomaco e l’inizio dell’intestino. E’ formato da due lobi, uno ventrale appiattito e uno dorsale
lungo e stretto; le due porzioni sono in comunicazione per mezzo di un corto istmo.
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Apparato escretore
Nei condroitti la pressione osmotica dei liquidi interni è sempre superiore a quella
dell’ambiente circostante, sia marino, sia d’acqua dolce, a causa dell’elevata concentrazione
interna di urea, che contribuisce a circa un terzo della pressione osmotica plasmatica.
Complessivamente questi pesci si troveranno in equilibrio osmotico con l’ambiente, ma non per
quanto riguarda le concentrazioni di elettroliti, NaCl in particolare, che rimarranno più
concentrate all’esterno. Si crea perciò un problema di equilibrio idrico-salino. Il rene dei pesci
cartilaginei è un organo pari, nastriforme, che si estende per tutta la lunghezza della cavità
addominale. I condroitti posseggono un tipico nefrone plurisegmentale con un corpuscolo renale
voluminoso, tra i più grandi che siano presenti nei vertebrati, e con un tubulo distale a funzione
diluente. Una caratteristica morfologica unica del rene degli elasmobranchi marini ed eurialini,
ovvero animali che sopportano variazioni di salinità nell’ambiente acquatico in cui vivono, è
quella di presentare una zonazione del parenchima, determinata dalla compartimentazione del
nefrone, che viene in parte accolto in una peculiare formazione la cui parete è costituita da più
strati di cellule connettivali molto espanse, laminari, a stretto contatto. Si vengono così a
distinguere due zone, la zona dei fasci, dove i tubuli appaiono strettamente riuniti in fasci, e la
zona dei seni, dove i tubuli sono invece separati da ampi capillari sanguigni di tipo sinusoide. I
corpuscoli renali si trovano al limite tra le due zone, il colletto appare molto lungo, così come il
tubulo prossimale, a cui segue un segmento intermedio, un tratto distale e un tubulo collettore. I
diversi segmenti del nefrone formano complessivamente quattro anse, due accolte nella
formazione sacciforme e due libere nella zona dei seni. Il rene degli elasmobranchi produce
grandi quantità di urina diluita e in ambiente marino provvede anche all’eliminazione dell’eccesso
di sali. La secrezione dei bivalenti viene operata nel tratto prossimale situato nella zona dei seni.
L’urea invece deve essere recuperata, perciò, dopo la sua filtrazione a livello del glomerulo, verrà
riassorbita lungo il tubulo.
Non essendo in grado di produrre un’urina ipertonica, il rene non è l’organo principale
adibito al riassorbimento di cloruro di sodio, bensì una struttura extrarenale chiamata ghiandola
rettale. E’ una ghiandola extraparietale impari, di forma cilindrica molto allungata. Il parenchima
della ghiandola, che è avvolta da una capsula fibromuscolare, è costituita da un complesso di
adenomeri tubulari, semplici o ramificati, che si aprono in un canale centrale rettilineo. Il lume
della ghiandola è tappezzato da cellule specializzate per il trasporto attivo di cloruro di sodio
verso l’esterno, le cellule dei cloruri.
16
Apparato genitale
Uno dei motivi per cui gli squali sono sopravvissuti per molti milioni di anni è legato alle
loro capacità riproduttive. In tutte le specie lo sperma è introdotto all’interno del corpo della
femmina e feconda le uova all’estremità superiore del tratto genitale. Sebbene la maggior parte
degli squali produca relativamente pochi piccoli ad ogni ciclo riproduttivo, gli embrioni ricevono
notevole protezione fino alla loro nascita, sia che si trovino all’interno del resistente involucro
dell’uovo, sia all’interno della madre (Gilbert, 1981).
Il sesso degli squali può essere facilmente riconosciuto dal fatto che i maschi possiedono
sporgenti estensioni cilindriche che sono modificazioni delle loro pinne pelviche, chiamate
pterigopodi. Una delle due strutture viene introdotta nell’ovidotto della femmina durante la
copula e lo sperma passa così, dal maschio all’interno dell’apparato riproduttore femminile. In
tutti gli squali gli pterigopodi sono sostenuti da aste cartilaginee, spesso calcificate e, in alcune
specie, la parte distale di ognuna di queste possiede un aculeo sporgente che si eleva una volta che
lo pterigopodio è inserito. Nello spessore della pinna, alla base dello pterigopodio, è spesso
presente un sacco a sifone dotato di pareti muscolari, dove sono secreti mucopolisaccaridi che si
aggiungono al liquido spermatico, aiutando la lubrificazione dello pterigopodio durante
l’accoppiamento e il trasporto del liquido seminale e degli spermatozoi (Gilbert, 1981).
Il testicolo dei condroitti è di tipo cistico, costituito da lobuli con fondo cieco e
un’estremità aperta verso il sistema dei dotti efferenti (Fig. 2.13). In ogni cisti troviamo una cellula
di Sertoli associata ad un spermatogonio primario, che va incontro a numerose divisioni. I cloni
risultanti restano sempre in contatto con la cellula di Sertoli, così che ogni spermatocisti contenga
gameti tutti allo stesso stadio di maturazione, cioè solo spermatidi di 1° ordine o 2° ordine,
oppure solo spermatidi e infine solo spermatozoi, che vengono liberati e convogliati nel sistema
dei dotti efferenti. Nei maschi il sistema dei tubuli della rete testis e dei condotti efferenti del
testicolo deriva dai primitivi tubuli del mesonefro e convoglia gli spermatozoi nel dotto di Wolff
che funge da dotto spermatico, aprendosi nella cloaca.
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Fig. 2.13. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttore maschile di un elasmobranco (Mojetta,
2004).
In molte specie di squali, durante il corteggiamento, il maschio morde ripetitivamente la
femmina sulle pinne pettorali, così come sulla schiena tra le due pinne dorsali; queste aree
risulteranno perciò, spesso lacerate o coperte di cicatrici. Poco prima di inserire lo pterigopodio il
maschio afferra con la bocca il bordo posteriore della pinna pettorale della femmina e, proprio
per questo, in alcune specie i denti hanno subito alcune modificazioni atte per questa funzione
(Gilbert, 1981).
In tutti gli squali l’apparato riproduttore femminile è composto da una coppia di ovidotti
che si riuniscono, per aprirsi nella cavità del corpo, grazie ad un ostio comune, localizzato sotto il
fegato (Fig. 2.14). Le uova sono prodotte dagli ovari, organi cavi dotati di una parete costituita da
cellule follicolari, all’interno delle quali si ha la maturazione di una cellula uovo. Quest’ultima, una
volta formata, si stacca dai follicoli per essere raccolta dai dotti. Il dotto di Muller è costituito
essenzialmente da tre tratti, la tromba uterina, l’utero e la vagina. La tromba uterina inizia con una
parete molto allargata addossata all’ovaio, atta a raccogliere gli oociti. Nell’utero vengono
incubate le uova prima della deposizione, mentre nelle forme vivipare, vengono accolti gli
embrioni. La vagina è dotata di una tunica muscolare liscia che permette di trattenere nell’utero
uova ed embrioni. Una volta entrate nell’ostio, le uova vengono fecondate dallo sperma maschile,
che viene conservato in una porzione rigonfia dell’ovidotto, conosciuta come la ghiandola
nidimentale. Questa ghiandola produce il rivestimento protettivo delle uova fecondate che può
essere più o meno spesso, grande e di diversa forma a seconda del tipo di gestazione dello squalo.
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Fig. 2.14. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttore femminile di un elasmobranco (Mojetta,
2004).
I condroitti hanno fecondazione interna e mostrano tutte le principali modalità
riproduttive dei vertebrati, tra cui alcune forme ovipare e almeno cinque forme vivipare, sia
aplacentate che placentate (Dulvy e Reynolds, 1997).
Osservando le diverse modalità di riproduzione dal punto di vista della sistematica, della
morfologia e della filogenesi, l’oviparità risulta essere la strategia più ancestrale ed è adottata da
circa il 43% dei condroitti (Compagno, 1988). Le uova deposte sono rivestite da un guscio
protettivo con struttura molto complessa e resistente nel tempo (Fig. 2.15). L’oviparità può essere
singola o multipla; nel primo caso viene fecondato un grosso uovo all’interno degli ovidotti,
racchiuso in un guscio cheratinoso secreto dalla ghiandola nidimentale, depositato su di un
substrato e, solo dopo un periodo massimo di circa 15 mesi, nasce un esemplare in tutto simile
agli adulti, solo di dimensioni assai ridotte. L’embrione si sviluppa per la maggior parte all’interno
dell’uovo ed all’esterno della madre. Questo tipo di riproduzione è comune nei
Heterodontiformes, nei Orectolobiformes e in alcuni Carcharhiniformes (Compagno, 1990). La
oviparità multipla, comune solo in alcuni membri della famiglia Scyliorhinidae, è invece
caratterizzata dalla ritenzione nell’ovidotto di un gruppo di circa 10 uova che vengono deposte
sul fondo solo in prossimità della schiusa.
19
Fig. 2.15. Uovo con embrione di Schyliorhinus canicula.
(www.supportoursharks.com/SOS_Shark_Biology_Reproduction_Oviparity.htm).
In contrasto alle specie ovipare, quelle vivipare trattengono l’uovo fecondato all’interno
del corpo (Fig. 2.16). Nelle femmine gravide, l’utero diventa fortemente vascolarizzato per fornire
all’embrione l’ossigeno necessario. In alcune specie, l’ossigeno è l’unico apporto che gli embrioni
ricevono dalla madre durante il loro sviluppo, in questo caso si parla di viviparità aplacentata; il
materiale nutritivo, che quindi viene utilizzato, proviene esclusivamente dal sacco vitellino
(Gilbert, 1981) (Fig. 2.16 e 2.17). In altri casi quest’ultimo da solo non è in grado di soddisfare il
fabbisogno dell’embrione, che quindi, in assenza di una placenta, si nutre di un secreto ricco in
lipidi e proteine simili al latte, prodotto dall’epitelio ghiandolare dell’utero. Talora, dopo aver
sfruttato tutto il nutrimento del sacco vitellino, il feto si nutre delle uova non fertili, oofagia;
oppure, nel momento in cui forma i denti, cannibalizza i suoi fratelli più giovani, embriofagia.
Fig. 2.16. Rappresentazione schematica della gestazione di un viviparo aplacentato (Mojetta, 2004).
20
Fig. 2.17. Immagine di un embrione con sacco vitellino.
(www.flmnh.ufl.edu/fish/Gallery/Descript/ChainDogfish/ChainDogfish.html).
Nella viviparità placentata, invece, c’è la formazione di una vera e propria placenta
vitellina che permette gli scambi tra l’embrione e organismo materno grazie all’unione più o meno
stretta tra la mucosa uterina con aree specializzate degli annessi embrionali del feto (Fig. 2.18).
Inizialmente l’embrione sfrutta le riserve del sacco vitellino, ma una volta che queste vengono
esaurite, dipende totalmente dall’apporto sia nutritivo che di ossigeno proveniente dal sangue
materno, per mezzo di una placenta vitellina. Quest’ultima è una onfaloplacenta di tipo epitelialecoriale, formata dalla membrana trilaminare del sacco vitellino e dalla mucosa dell’utero materno.
Tra i tessuti materni e fetali resta sempre interposto il guscio dell’uovo che però è assottigliato.
Questo tipo di gestazione è presente in diverse famiglie di squali, tra cui gli sciliorinidi (Gilbert,
1981).
Fig. 2.18. Esempio schematico della gestazione di un viviparo placentato (Mojetta, 2004).
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Dallo studio della placenta di tre specie di squalo martello, Sphyrna tiburo (Linneo, 1758),
Sphyrna lewini (Griffith e Smith, 1834) e Sphyrna mokarran (Ruppell, 1837), si è osservato che, in
tutte e tre i casi, questa instaura connessioni molto strette tra il feto e la madre; inoltre, in S. tiburo
e in S. lewini, sono presenti numerosi processi digitiformi, chiamati appendiculae (Fig. 2.19), che si
diramano dal peduncolo ombelicale con probabile funzione respiratoria per l’embrione (Gilbert,
1981).
Fig. 2.19. Immagine dell’appendiculae di un embrione di Sphyrna lewini (Fonte sconosciuta).
Sistema nervoso
L’encefalo dei condroitti (Fig. 2.20) è costituito da un telencefalo impari, di modeste
dimensioni, che si prolunga anteriormente a dare due grandi bulbi olfattivi. Il telencefalo possiede
inoltre una regionalizzazione, la parte dorso-laterale forma l’archipallio e paleopallio, mentre la
parte latero-mediale è divisa in una regione detta striata e una, più ventrale, detta setto. Il
telencefalo si continua nel diencefalo che presenta un’estroflessione che forma l’organo pineale e
parapineale. Il talamo è costituito da grosse pareti laterali dove si addensano moltissimi nuclei,
infatti tutte le informazioni sensoriali raccolte dall’organismo, sono convogliate in questa regione;
la parte dorsale del diencefalo costituisce epitalamo, mentre quella ventrale, l’ipotalamo. La terza
vescicola dell’encefalo, la più grossa, è la mesencefalica, che forma due grosse protrusioni che
vanno a costituire i lobi ottici, ai quali arrivano le proiezioni del nervo ottico. Le pareti laterali si
inspessiscono e troviamo diversi nuclei importanti, detti nuclei grigi, formando così una struttura
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detta tegmento. In tutti i vertebrati, ad eccezione dei mammiferi, sono presenti delle strutture
nucleari, non corticali, a servizio dell’organo dell’udito, i tori circolari. Oltre la mesencefalica, si
trova la quarta vescicola chiamata metencefalica, dove, a livello della parete dorsale, si sviluppa il
cervelletto. Nel mielencefalo, invece, le pareti latero-dorsali si inspessiscono molto e si
arricchiscono di molti nuclei. La parte ventrale, il midollo allungato, si continua caudalmente nel
midollo spinale. Il midollo spinale è accolto nel canale vertebrale, ha una forma più o meno
cilindrica. La sostanza grigia, che circonda il canale dell’ependimale, ha una forma triangolare con
due corna ventrali e una dorsale. La sostanza bianca, invece, si trova in posizione periferica.
Fig. 2.20. Rappresentazione schematica dell’encefalo di un condroitto in sezione sagittale mediana. 1,
telencefalo; 2, diencefalo; 3, tetto ottico; 4, corpo del mesencefalo; 5, cervelletto; 6, bulbo; 7,
midollo spinale; 8, bulbo olfattivo; 9, ipofisi (Zavanella, 2005).
Organi di senso
Nei condroitti i sensi maggiormente sviluppati sono quelli legati alla ricezione chimica e di
stimoli elettrici. Le cavità nasali, nelle quali ha sede la mucosa olfattiva, sono in parte coperte da
una plica cutanea e si aprono all’esterno con una narice anteriore ed una posteriore. L’epitelio
della mucosa è costituita da neuroni sensitivi, che originano da un placode ectodermico, il
placode olfattivo. I due placodi, destro e sinistro, si approfondano a dare le fossette olfattorie che
si mettono in rapporto col telencefalo. Le cellule olfattive sono neuroni bipolari con dendrite
apicale che termina con un rigonfiamento, la vescicola olfattiva, da cui si dipartono le ciglia
modificate a funzione chemiorecettrice. L’organo del gusto è rappresentato, invece, dai bottoni
gustativi, costituiti da cellule di senso frammiste a quelle di sostegno.
L’orecchio interno è l’organo statoacustico, sede del senso dell’equilibrio e dell’udito (Fig.
2.21). Si trova completamente scavato nell’osso temporale ed è costituito da una componente
membranosa che delimita una struttura ossea che ne riproduce la morfologia. La componente
membranosa, detta vestibolare, è adibita alla percezione della posizione e dei movimenti della
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testa nello spazio, mentre la cocleare è adibita alla percezione dei suoni. La coclea, non molto
sviluppata nei condroitti, è costituita da tre canali, due scavati nell’osso, uno invece membranoso,
mentre la componente vestibolare è costituita da una struttura cava e sacciforme, chiamata
utricolo. Da questo si originano tre canali, i canali circolari, disposti su piani perpendicolari tra
loro, che nel loro punto di origine si dilatano a formare l’ampolla. Al loro interno vi è un liquido
chiamato endolinfa. La vera sede della percezione sensitiva si trova a livello di ampolla ed
utricolo, che per questa ragione sono dette macule sensitive. L’epitelio dell’ampolla è tappezzato
da cellule a funzione di sostegno e da cellule di senso, caratterizzate da estroflessioni, chinociglio
e stereociglia, inserite in una cupola gelatinosa. Anche nel ventricolo troviamo le stesse cellule,
sia di sostegno che di senso, ma quest’ultime possiedono all’interno della cupola dei cristalli di
carbonato di calcio, detti otoliti. Il liquido inserito nei canali fa si che quando l’animale muove la
testa, la cupola si sposta anch’essa, determinando l’inclinazione delle ciglia. La cellula sensoriale
stimolata, sinapta allora con la terminazione del settimo nervo cranico, il vestibolare. Gli
ittiopsidi, a differenza dei tetrapodi, possiedono solo un orecchio interno.
Fig. 2.21. Labirinto membranoso di sinistra visto dalla faccia laterale. La posizione delle creste, delle
macule e delle papille (punteggiate nello schema) è puramente indicativa. 3, canale verticale
anteriore; 4, canale verticale posteriore; 5, canale orizzontale; 6, utricolo; 7, sacculo; 8, lagena; 9,
dotto endolinfatico (Zavanella, 2005).
La linea laterale è un organo, non cefalico, presente solo negli ittiopsidi e negli anfibi. E’
localizzata per la maggior parte sulla parete laterale del corpo, ma si dirama anche a livello del
capo. E’ un organo che permette di avere la sensazione di scorrimento dell’acqua sul corpo;
permette infatti di ricevere informazioni sulla direzione e velocità dell’acqua e quindi anche quella
di nuoto dell’animale. E’ un canale localizzato tra il derma e l’epidermide che comunica con
l’esterno per mezzo di una serie di brevi canalicoli. All’interno di queste strutture sono presenti i
neuromasti, cellule molto lunghe con funzione di sostegno. Le cellule sensoriali, dette capellute, a
24
livello della membrana cellulare presentano delle estroflessioni, le stereociglia, che sono un
complesso di rigidi microvilli, e un lungo chinociglio apicale. Sui neuromasti poggia una cupola di
materiale gelatinoso che sporge verso l’ambiente esterno, perciò lo spostamento per effetto dello
scorrimento dell’acqua comporta l’inclinazione delle strutture apicali (Fig. 2.22). Una volta che le
ciglia vengono inclinate, si avrà una depolarizzazione o iperpolarizzazione della membrana e la
trasmissione dello stimolo alla fibra sensitiva afferente, che porta la sensazione a livello del
rombencefalo.
Fig. 2.22. Organo della linea laterale. a. Neuromasto. In ocra le cellule di senso, in bianco le cellule di
sostegno. 1, cupola gelatinosa sovrastante il neuromasto; 2, fibre nervose afferenti ed efferenti. b.
Cellula di senso. 1, chinociglio; 2, stereociglia; 3, fibra sensitiva afferente; 4, fibra efferente
modulatrice. d. disposizione del chinociglio e delle stereociglia (Zavanella, 2005).
La struttura dell’occhio dei condroitti è abbastanza simile a quella di tutti gli altri
Vertebrati. La sclerotica, che corrisponde alla dura madre, è una membrana di connettivo fibroso
denso molto resistente alla deformazione che si trova nella parte più esterna dell’occhio. Nei
condroitti è rafforzata da molta cartilagine, in un solo pezzo a forma di coppa o in più pezzi
giustapposti. La sclerotica si continua con la cornea, che grazie all’ordinata disposizione delle
fibre collagene, risulta trasparente alla luce. La coroide è uno strato intermedio altamente
vascolarizzato. Presenta spesso, soprattutto in quei condroitti che vivono in profondità, uno
strato riflettente, tapetum lucidum, costituito da fibroblasti contenenti cristalli di guanina, che
permette, riflettendo le radiazioni luminose due volte attraverso gli elementi fotosensibili, di
25
sfruttare al massimo la scarsa luce disponibile (Fig. 2.23). Questo aumenta effettivamente il
segnale visivo, soprattutto in bassi livelli di luce dando agli squali un’alta capacità visiva. La
porzione anteriore della coroide forma l’iride, che è attraversata dal foro pupillare. Negli
elasmobranchi, a differenza della maggior parte dei pesci teleostei, il foro pupillare può
restringersi o allargarsi, regolando la quantità di luce in entrata (Notarbartolo di Sciara e Bianchi,
1998). Dietro l’iride è localizzato il cristallino, una vescicola perfettamente trasparente che funge
da lente e proietta le immagini sulla retina. Negli animali acquatici ha la particolarità di non
cambiare la sua forma bensì la sua posizione per la messa a fuoco (Moss, 1981); inoltre, a causa
del basso potere rifrangente della cornea, il cristallino aumenta la sua curvatura fino a farsi sferico
e molto rigido. Tra l’iride e il cristallino si trova la camera anteriore, ripiena di liquido. La retina,
invece, è costituita da uno strato epiteliale esterno, tapetum nigrum, e da uno interno in cui si
distinguono una parte a struttura nervosa, la retina visiva, ed una epiteliale, non visiva. E’ formata
da neuroni fotorecettori, le cellule dei coni e dei bastoncelli, da neuroni multipolari, i cui neuriti
formano il nervo ottico, e da un complesso di interneuroni che modulano il passaggio degli
impulsi tra le cellule foto recettrici e i neuroni multipolari. Infine, tra la retina e la lente si trova la
camera vitrea, piena del gelatinoso umore vitreo che serve a mantenere la forma dell’occhio.
Fig. 2.23. Immagine del tapetum lucidum in un condroitto (Mojetta, 2004).
Negli ittiopsidi mancano le palpebre, ma in molte specie di elasmobranchi è presente una
piega orizzontale delle congiuntiva, la membrana nittitante, che può essere sollevata a coprire
26
tutta la superficie dell’occhio (Fig. 2.24). In altre invece, come nello squalo bianco, Carcharodon
carcharias (Linneo, 1758) non è presente nessuna membrana o plica protettiva e per evitare ogni
possibile lesione, lo squalo ruota l’occhio verso l’interno.
Fig. 2.24. Immagine di membrana nittitante.
(www.marinebiodiversity.ca/shark/english/eye.htm).
L’elettrorecezione è un’antica modalità sensoriale evoluta più di 500 milioni di anni, ma
che poi è andata persa e successivamente “recuperata” diverse volte in differenti classi di
vertebrati (New, 1997; Alves-Gomez, 2001). Gli elettrorecettori sono organi di senso in grado di
recepire modificazioni del campo elettrico che circonda l’animale. Possono essere suddivisi in due
categorie distinte sia sulla base della morfologia cellulare degli organi di ricezione che sulle loro
rispettive caratteristiche di ricezione di frequenza (Szabo, 1974; New e Tricas, 1998). I recettori
ampollari sono ampiamente sintonizzati per campi a basse frequenze, < 0.1-25 Hz, mentre i
recettori dalla forma tuberosa sono in grado di recepire campi elettrici più alti, da 50 Hz fino a 2
kHz (New, 1997).
Gli organi ampollari, così chiamati per la caratteristica forma della fossetta epiteliale, sono
utilizzati per individuare campi elettrici animati ed inanimati, misurando le variazioni in minuti del
potenziale tra l’acqua sulla superficie cutanea e quella sulla superficie basale delle cellule del
recettore. Negli elasmobranchi queste strutture, chiamate ampolle di Lorenzini, sono localizzate
nella cute del rostro e sono costituite da fasci di canali epiteliali più o meno lunghi, nel cui fondo
cieco e dilatato sono situate le cellule di senso (Fig. 2.25). Come nei neuromasti, le cellule
sensoriali sono frammiste a cellule di sostegno che poggiano sulla membrana basale; comunicano
con l’esterno per mezzo di canali, le cui pareti sono formate da cellule epiteliali squamose, tenute
27
insieme da giunzioni serrate che creano alta resistenza (Waltman, 1966). Dalle ampolle questi
canali, ripieni di un mucopolisaccaride gelatinoso, si irradiano in tutte le direzioni, fornendo un
metodo di campionamento direzionale del campo elettrico che circonda l’animale (Kalmijn,
1974). Gli elettrorecettori sono raggruppati in distinte passerelle sottocutanee e sono innervati da
diversi rami del nervo anteriore della linea laterale. I pori epidermici e i canali ripieni di liquido
gelatinoso, compresi gli organi sensoriali, garantiscono che il potenziale presente nel lume di ogni
ampolla rimanga simile a quello presente sulla superficie cutanea (Collin e Whitehead, 2004). Le
cellule cigliate di ogni recettore agiscono da rivelatori di tensione e rilasciano i neurotrasmettitori
sui neuroni afferenti, in base alla differenza di potenziale tra quello basale ed apicale. I neuroni
afferenti primari codificano i dati relativi ad ampiezza e frequenza dello stimolo e li inviano al
cervello (Tricas e New, 1998), dove un sofisticato insieme di meccanismi di filtraggio estraggono
il debole segnale elettrosensoriale da un rumore di fondo molto più forte, in parte creato dai
movimenti stessi dell’animale. Pertanto la distribuzione degli organi ampollari potrebbe fornire
informazioni riguardo l’intensità del campo elettrico, la sua configurazione spaziale e
probabilmente anche la direzione della sua fonte (Tricas, 2001).
Fig. 2.25. Disposizione e struttura delle ampolle di Lorenzini sulla testa di uno squalo. I cerchi vuoti
rappresentano la posizione dei pori superficiali e i trattini scuri la posizione delle cellule sensoriali.
(www.isegretidelmare.it/elettrorecezione.asp).
28
2.2 Sphyrna lewini
2.2.1. Sistematica
2.2.1.1. Ordine Carcharhiniformes
L’ ordine Carcharhiniformes è uno dei gruppi più numeroso per generi, specie e biomassa
in quegli habitat che sono ottimali per la biodiversità degli squali. Carcharhiniformes sono
classificati sulla base di caratteristiche morfologiche. Le chiavi dicotomiche di quest’ordine sono
cinque paia di fessure branchiali, due pinne dorsali prive di spine, pinna anale, membrana
nittitante mobile e bocca ad arco che si estende dietro il margine anteriore degli occhi. Sono
squali neoselaci con capo la cui forma varia dall’essere cilindrica a moderatamente appiattita
mentre il tronco appare più o meno cilindrico. L’intera superficie del corpo è ricoperta da
dentelli, non troppo espansi sulla linea mediana del dorso e senza grandi spine sul capo, sul
tronco, sulla coda e sulle pinne. La forma degli occhi segue un gradiente morfologico che va
dall’essere stretto e lungo, tipico di molti scyliorhinidi, fino ad arrivare ad occhi verticalmente
ovali o circolari come nei carcharhinidi e sphyrnidi. La forma è correlata alla presenza di pieghe
oculari e della membrana nittitante: gli occhi stretti e lunghi hanno grosse pieghe oculari al di
sotto di essi e membrane nittitanti esterne molto rudimentali; gli occhi ovali o circolari non hanno
pieghe oculari, ma una membrana nittitante interna; mentre le forme intermedie possono avere
membrane nittitanti esterne od interne e pieghe oculari a diversi stadi di sviluppo. La membrana
nittitante è tipicamente opaca, spessa, liscia e ricoperta di denticoli dermici che proteggono la
superficie esterna, tranne che sulla superficie vicino al bulbo oculare. Le narici, semplici e
trasversali, hanno aperture diagonali antero laterali e postero medio laterali che permettono sia
l’entrata che l’uscita d’acqua. La bocca è ampiamente arcuata o angolare, con una grande apertura;
gli angoli della bocca si estendono fino alle estremità anteriori dell’occhio. Le mascelle sono in
grado di essere proiettate e sporte anteriormente e ventralmente. Gli spiracoli possono essere
presenti, o persi secondariamente almeno esternamente; se presenti sono normalmente piccoli e a
ridosso degli occhi, ma mai sotto di essi. Carcharhiniformes hanno cinque aperture branchiali su
ogni lato, localizzate lateralmente o dorso lateralmente sul capo, ma mai ventrolaterali o coperte
dalle pinne pettorali. Quest’ultime passano dall’essere piccole a moderatamente grandi, senza lobi
triangolari che si espandono anteriormente a ricoprire le branchie. Le pinne pelviche, anch’esse
variabili in dimensioni, hanno i margini interni confluenti con l’ano. I carcharhiniformi hanno
due pinne dorsali senza spine anteriori, pinna anale presente con la base ben separata dalla pinna
caudale, che è tipicamente robusta, cilindrica, non appiattita e senza lunghe, sottili pieghe cutanee
laterali. L’intestino varia considerevolmente in forma e dimensioni nei diversi elasmobranchi.
29
Nella maggior parte degli squali è presente una valvola conicospirale, che poi si è modificata in
una valvola detta “a scorrimento” nei carcharhinidi e negli sphyrnidi, mentre nella famiglia
Hemigaleidae è definita “ad anello” (Compagno, 1988).
Questi squali sono frequenti ai tropici, sono molto comuni anche in acque costiere
temperate; si trovano sia sulla piattaforma continentale che in quella insulare ad una profondità di
almeno 2000 metri, ma qualche specie di grandi dimensioni, come Carcharhinus falciformis, Müller e
Henle, 1839; e Carcharhinus longimanus, Poey, 1861; popolano le zone pelagiche degli oceani. Le
specie appartenenti a quest’ordine sono predatrici e/o opportuniste e si nutrono di un’ampia
gamma di pesci ossei, squali, razze, invertebrati e carogne. Alcuni squali della famiglia Triakidae si
nutrono principalmente di crostacei, mentre altre specie come lo squalo tigre, Galeocerdo cuvier,
Péron e Lesueur, 1822; sono poco selettive nella scelta delle prede. All’interno dell’ordine
Carcharhiniformes esiste un gradiente morfologico che va dalla famiglia Scyliorhinidae,
caratterizzata da individui di piccole dimensioni, non abili nuotatori e con esile dentatura,
passando attraverso famiglie intermedie, come Proscylliidae, Pseudotrikakidae, Leptochariidae,
Triakidae e Hemigaleidae, fino ad arrivare a squali di grandi dimensioni, abili nuotatori e dotati di
un’imponente dentatura, e agli squali martello (Compagno, 1981). Delle circa 159 specie di cui
sono note le modalità riproduttive il 33% è oviparo, lo 0.5% è sia oviparo che ovoviviparo, il
17% ovoviviparo e il 47% viviparo.
L’ordine Carcharhiniformes comprende otto famiglie: Scyliorhinidae, Proscylliidae,
Pseudotriakidae, Leptochariidae, Triakidae, Hemigaleidae, Carcharhinidae e Sphyrnidae. La
famiglia più grande, Scyliorhinidae, comprende il 30% dei generi e il 46% delle specie;
Proscylliidae rispettivamente il 9% e il 3%; Pseudotriakidae il 2% e lo 0.5%; Leptochariidae il 2%
e lo 0.5%; Triakidae il 19% e il 18%; Hemigaleidae il 9% e il 3%; Carcharhinidae il 26% e 25% ed
infine la famiglia Sphyrnidae il 4% e 5% rispettivamente (Compagno, 1988).
2.2.1.2 Famiglia Sphyrnidae
Gli squali martello appartengono alla famiglia Sphyrnidae, la quale si compone di soli due
generi e nove specie. Questi squali si distribuiscono sia in mari temperati che tropicali; occupano
acque continentali ed insulari oppure adiacenti a queste, ma nessuna specie è veramente oceanica.
Caratteristica peculiare di questi squali è quella di avere una testa espansa lateralmente e
compressa in senso dorso-ventrale, la cui proiezione piana ricorda la forma di un martello
(Compagno, 1988). Hanno occhi circolari, posizionati sui lati della testa, con membrana nittitante
interna. Non hanno spiracoli. La bocca è ampiamente inarcata e dalla forma arcuata fino ad
arrivare ad apparire parabolica. Hanno denti da piccoli a moderatamente grossi, con cuspidi
30
aguzze e strette in alcune specie, mentre larghe in altre. La prima pinna dorsale è abbastanza
grande ma può arrivare ad essere molto estesa; in ogni caso molto più piccola della caudale, ma di
dimensioni maggiori della seconda pinna dorsale. Sono squali privi di caratteristiche colorazioni,
hanno il dorso grigio o brunastro (Compagno, 1984).
Gli squali martello sono nuotatori attivi, che si spostano dalla superficie ai fondali con
migrazioni verticali giornaliere; alcune specie formano aggregazioni, a volte di alcune centinaia di
individui. Sono animali dall’alimentazione versatile, che predano una grande varietà di pesci ossei,
altri elasmobranchi, cefalopodi e crostacei (Compagno, 1984).
La famiglia Sphyrnidae comprende solo due generi: Sphyrna (Rafinesque, 1810) e Eusphyra
(Gill, 1862). La classificazione si basa su alcune caratteristiche morfologiche che li differenziano
da tutte le altre famiglie. Il genere Sphyrna ha il martello esteso in senso anteroposteriore, mentre
nel genere Eusphyra il martello è molto stretto e a forma di ala. Le narici del primo sono strette,
con una larghezza che è meno della metà di quella della bocca, mentre l’Eusphyra ha narici
notevolmente larghe e circa il doppio della larghezza della bocca. Infine, il genere Sphyrna non
mostra protuberanze lungo il margine anteriore della testa, mentre sono presenti in Eusphyra (Fig.
2.26). Secondo la classificazione proposta da Compagno (1984), il genere Eusphyra comprende
soltanto una specie, Eusphyra blochii (Cuvier, 1816), mentre il genere Sphyrna ben otto: Sphyrna
tiburo; Sphyrna tudes (Valenciennes, 1822); Sphyrna corona, Springer, 1940; Sphyrna media, Springer,
1940; Sphyrna mokarran; Sphyrna zygaena (Linneo, 1758); Sphyrna couardi (Cadenat, 1950) ed infine
Sphyrna lewini.
Fig. 2.26. Rappresentazione schematica dei generi Sphyrna (Fig. 1) ed Eusphyra (Fig. 2) (Compagno, 1984).
31
2.2.2 Distribuzione ed habitat
Sphyrna lewini, o squalo martello smerlato, è una specie cosmopolita che vive in acque
costiere calde-temperate e mari tropicali di tutto il mondo (Stevens e Lyele, 1989). Nell’Atlantico
occidentale questa specie si estende dal New Jersey fino al Brasile, comprendendo anche il Golfo
del Messico e i Caraibi; nell’Atlantico orientale dal Mediterraneo e Senegal fino allo Zaire. Nel
Pacifico Indo-Occidentale dal Sudafrica e Mar Rosso fino al Pakistan, India, Birmania,
Thailandia, Indonesia, Cina, Giappone, Australia e Nuova Caledonia. Nel Pacifico centrale dalle
Hawaii a Tahiti ed infine nel Pacifico Orientale dalla California del sud e dal Golfo della
California fino a Panama, Ecuador e nord del Perù (Compagno, 1984) (Fig. 2.27).
Probabilmente è la specie più diffusa tra gli squali martello, abbondante negli ambienti
costieri, in acque calde-temperate e tropicali. Questi squali occupano piattaforme continentali ed
insulari e le acque profonde a queste adiacenti (Compagno, 1984).
Fig. 2.27. Planisfero riportante la distribuzione geografica di S. lewini.
(www.flmnh.ufl.edu/fish/Gallery/Descript/Schammer/ScallopedHammerhead.html).
32
2.2.3 Biologia e Fisiologia
Sphyrna lewini è uno squalo di grandi dimensioni, può raggiungere i 420 cm di lunghezza
(Compagno, 1984), con un ampio martello e margini anteriori della testa molto arcuati negli
adulti. Lo squalo martello smerlato si distingue facilmente dalle altre specie per la presenza di una
scanalatura localizzata centralmente sul margine anteriore del capo e fiancheggiata da altre due
dentellature minori (Bester, 2009) (Fig. 2.28).
Fig. 2.28. Rappresentazione schematica della parte inferiore del capo (Compagno, 1984).
La bocca è ampiamente inarcata e il margine posteriore del capo si estende leggermente
all’indietro. I denti sono piccoli con cuspidi lisce o leggermente seghettate, localizzate su grandi
basi. La mascella superiore contiene denti stretti e triangolari, con i primi tre che sono quasi
simmetrici e dritti, mentre i successivi, procedendo verso gli angoli della bocca, risultano sempre
più obliqui. Quelli inferiori, invece, sono più dritti e slanciati (Fig. 2.29).
Fig. 2.29. Dentizione squalo martello smerlato. A. dodicesimo dente superiore; B. quarto dente superiore;
C. undicesimo dente inferiore; D. terzo dente inferiore.
(www.flmnh.ufl.edu/fish/Gallery/Descript/Schammer/ScallopedHammerhead.html).
Il corpo di Sphyrna lewini è fusiforme e relativamente esile con due pinne dorsali e con
pinne pelviche (Fig. 2.30). Il dorso è liscio, senza protuberanze. La prima pinna dorsale è
moderatamente ricurva, con la sua origine sopra o lievemente dietro il punto di inserzione delle
33
pinne pettorali, mentre la seconda dorsale è bassa con il margine posteriore leggermente ricurvo e
lungo circa il doppio dell’altezza della pinna; la punta posteriore è libera e raggiunge quasi
l’origine superiore della pinna caudale. Le pinne pelviche non sono ricurve ed hanno il margine
posteriore diritto, mentre la pinna anale è profondamente dentellata sul margine posteriore.
Infine le pinne pettorali sono leggermente ricurve con la punta di color scuro o nero.
Fig. 2.30. Rappresentazione schematica di Sphyrna lewini (Compagno, 1984).
L’epidermide è ricoperta da dentelli che sono solo parzialmente sovrapposti, lasciando così la
cute esposta. Ogni dentello è sottile e moderatamente arcuato, con tre creste affilate negli
individui giovani, quattro o cinque in quelli adulti (Fig. 2.31).
Fig. 2.31. Dentelli dermici di squalo martello smerlato.
(www.flmnh.ufl.edu/fish/Gallery/Descript/Schammer/ScallopedHammerhead.html).
34
La colorazione di questi squali va dal grigio-marrone al bronzo-verde oliva, sul dorso, mentre è
giallo pallido o bianco sul ventre. I giovani Sphyrna lewini hanno le punte delle pinne pettorali,
della seconda dorsale e del lobo inferiore della caudale color scuro, mentre gli adulti hanno scure
solo le punte delle pinne pettorali, senza altri segni distintivi.
La caratteristica anatomica più evidente, non solo per Sphyrna lewini, ma anche per tutte le
specie di squalo martello, sono i lobi allungati e appiattiti ai lati della testa che conferiscono a
questi squali il loro nome. Le espansioni laterali del capo hanno la probabile funzione di
aumentare anteriormente la spinta idrodinamica, quando lo squalo è in movimento, e per
migliorare la manovrabilità, quando lo squalo piega la testa, la alza o abbassa. Proprio per questa
somiglianza, Compagno (1988) ha coniato, per riferirsi a questa struttura, il termine “cephalofoil”,
unione tra la parola cefalico (cephalic) e piano idrodinamico (hydrofoil). Un’altra funzione
potrebbe essere quella di aumentare l’area e il volume degli organi di senso, in particolare per
quello olfattorio, della linea laterale e per le ampolle di Lorenzini; l’aumento di quest’ultime
porterebbe ad una maggiore capacità di campionamento dei campi elettrici generati dalle prede.
Di particolare rilevanza è lo spostamento laterale degli occhi sulla punta distale del cephalofoil
che potenzia le capacità visive degli squali martello rispetto ad altri squali che possiedono una
forma della testa più convenzionale. Compagno (1984) sostiene che gli occhi così distanziati sul
cephalofoil migliorino la visione binoculare anteriormente e garantiscano un aumento dell’effetto
visivo stereoscopico. Nel 2009 il ricercatore McComb e collaboratori hanno verificato
quest’ipotesi confrontando i campi visivi di tre specie di squalo martello, tra cui Sphyrna lewini, e di
due carcharhinidi. I risultati ottenuti hanno mostrato che la sovrapposizione binoculare dei campi
visivi aumenta in concomitanza con l’espansione laterale del capo degli squali martello. Con
l’ampliamento del cephalofoil, gli occhi si spostano in una posizione più anteriore, sulla punta
distale del capo, favorendo, così,
una maggiore sovrapposizione binoculare anteriore che
garantisce un’eccellente percezione della profondità. Il distanziamento degli occhi, però, causa
anteriormente un’area visiva cieca che si accresce con l’estensione del capo. All’aumentare del
cephalofoil, gli squali martello esibiscono, tuttavia, un più ampio movimento del capo che
permette loro di compensare l’aumento dell’area cieca.
La morfologia del capo degli squali martello potrebbe, inoltre, garantire migliori capacità
olfattive, aumentando la klinotaxi olfattoria, l’acutezza olfattiva e l’abilità di campionamento del
mezzo circostante (Fig. 2.32). Kajiura (2005) ha verificato queste ipotesi ed è giunto alla
conclusione che gli squali martello, in particolare la specie Sphyrna lewini, avendo narici molto
distanti tra di loro percepiscono una maggiore differenza tra diverse concentrazioni di odore,
permettendo una clinotassia più efficiente in presenza di odori più diluiti. Il ricercatore ha inoltre
verificato l’ipotesi secondo la quale gli squali martello siano in grado di campionare un’area
35
maggiore del mezzo circostante, misurando la distanza tra le narici e le pieghe nasali (Fig. 2.33).
Non ha trovato invece relazioni positive tra l’aumento della larghezza del capo con un’acutezza
olfattiva più sviluppata.
Fig. 2.32. La figura rappresenta il capo di un esemplare di sphyrnide in una scia di odore. La distanza (d)
tra i punti medi della lunghezza effettiva di campionamento indica la capacità di identificare gli
odori su entrambi i lati della testa. La differenza di concentrazione degli odori lungo tutta la
larghezza del cephalofoil è maggiore per gli squali con narici molto distanziati (Kajiura, 2005).
Fig. 2.33. Misurazioni morfometriche effettuate sul capo di Sphyrna lewini. La lunghezza delle narici (NL) e
delle pieghe prenasali (PNGL) sono combinate tra loro per formare la lunghezza effettiva di
campionamento. La distanza tra i bordi mediali delle pieghe prenasali forma la distanza
internariale (IND) e la distanza tra i bordi laterali delle narici forma la distanza nariale massima
(MND) (Kajiura, 2005).
36
Secondo un’altra ipotesi (Kajiura, 2001), la morfologia del cephalofoil potrebbe
massimizzare la copertura dell’area di ricerca dei campi elettrici per aumentare la probabilità di
individuare le prede. Una testa più larga potrebbe permettere quindi un maggiore campionamento
del volume dell’ambiente circostante, ma per far sì che ciò avvenga, ci dovrebbe essere un
corrispondente aumento del numero di pori elettrosensoriali, per mantenere una risoluzione
spaziale comparabile ai campi elettrici generati da piccole prede. Kajiura (2001) ha verificato che
Sphyrna lewini possiede un maggior numero di recettori lungo tutto il cephalofoil, rendendo
plausibile l’ipotesi secondo la quale la testa degli squali martello potrebbe essere ottimizzata
secondo una linea evolutiva che renderebbe possibile ottimizzare la ricezione dei campi elettrici. I
giovani Sphyrna lewini possiedono un’elevata densità di pori sensoriali, che però diminuisce una
volta che gli animali crescono (Kajiura, 2001). Questo è spiegabile considerando il fatto che
nascono in nursery vicino alla costa, in zone piuttosto torbide, dove la probabilità di essere
predati è minore; la maggior quantità di recettori serve loro per riuscire a cacciare in acque dove
c’è scarsa visibilità. Crescendo, la densità dei pori diminuisce perché distesa lungo una superficie
maggiore del cephalofoil in modo tale da aumentare l’area laterale campionata dalla testa e anche
perché, una volta adulti, migrano in acque oceaniche più limpide, dove la vista acquisisce un ruolo
molto più importante (Collin e Whitehead, 2004).
2.2.4 Ecologia
Sphyrna lewini è una specie generalista; si nutre di un’ampia varietà di pesci, ma anche di
invertebrati, specialmente i cefalopodi. Secondo l’IRI, l’Indice di Importanza Relativa che si basa
sulla percentuale di frequenza di occorrenza delle prede, così come sulla loro percentuale
numerica e volumetrica, i cefalopodi rappresentano gli elementi più importanti nella la loro dieta,
66.9%, seguite dai pesci, 31%, con infine i crostacei, 2%. La componente rappresentata dai
cefalopodi è però la meno differenziata, infatti consiste principalmente in Mastigoteuthis sp e in
Ancistrocheirus leseuri, mentre quella costituita dai pesci è molto più varia ed è rappresentata da ben
21 specie diverse (Klimley, 1983) (Tab. 2.2).
La dieta degli squali martello smerlati varia in funzione del loro sviluppo. E’ evidente il passaggio
da prede costiere a pelagiche una volta che gli esemplari crescono e raggiungono il mare aperto.
37
Tabella 2.2. Valori in percentuale riferiti all’IRI (Indice di Importanza Relativa), alla frequenza, al numero,
al volume e al peso di ogni preda presente nello stomaco di Sphyrna lewini (Klimley, 1983).
38
Gli squali martello smerlati sono una specie vivipara con una placenta vitellina (Duncan e
Holland, 2006). Le femmine gravide, dopo un periodo di 9-10 mesi di gestazione, si spostano
verso la costa, in acque poco profonde, per partorire dai 15 ai 31 piccoli (Clarke, 1971).
Secondo studi condotti da Clarke (1971) in una nursery a Kaneohe Bay, Hawaii, i nuovi nati
misurano approssimativamente 40-50 cm di lunghezza. Sono animali con crescita relativamente
lenta e che raggiungono la maturità abbastanza tardi (Compagno, 1984). Nei maschi lo stadio di
sviluppo è desunto dalla morfologia dello pterigopodio, mentre nelle femmine dalla dimensione
dell’ovulo o dall’anatomia dell’orifizio urogenitale. In uno studio di Bass e collaboratori (1975),
focalizzato sulle popolazioni dell’Oceano Indiano sud-occidentale, è emerso che i maschi
diventano adulti alla lunghezza di circa 140-165 cm, mentre Branstetter (1987), nell’Oceano
Atlantico, ha riportato lunghezze maggiori, 180-185 cm. Le informazioni relative alla maturità
delle femmine sono invece molto più limitate (Stevens e Lyle, 1989). Bass (1975) ha documentato
un esemplare di 212 cm possibilmente matura, ma ancora vergine, mentre Clarke (1971) notò una
femmina di 214 cm di lunghezza ancora immatura, infine Branstetter (1981) ha osservato un
esemplare di 204 cm matura, ma vergine ed una di 248 cm ancora immatura. Sono animali
piuttosto longevi, si ritiene, infatti, che vivano più di 30 anni (Bester, 2009).
Una caratteristica peculiare degli elasmobranchi è la segregazione dimensionale e sessuale
in habitat differenti. Questo tipo di separazione, definita come segregazione geografica (Backus et
al., 1956) è comune in molte specie, in Carcharodon carcharias, Carcharhinus plumbeus (Springer,
1960), Prionace glauca (Nakano, 1985) e in Sphyrna lewini (Klimley, 1983). Solo pochi ricercatori
hanno cercato di spiegare la causa delle segregazioni; secondo Springer (1967) la popolazione di
squali è divisa in unità sociali composte da sub-adulti di entrambi i sessi, oppure da maschi
sessualmente maturi o da femmine mature. Il ricercatore ha ipotizzato che questa separazione
potrebbe basarsi sulle diverse capacità di nuoto tra gli individui, o sulle preferenze alimentari
oppure sull'assenza di aggressività tra gli squali dimensioni simili. Munoz-Chapuli (1984) ha
invece ipotizzato che la distribuzione, da una parte di giovani vicino alla costa e dall’altra di adulti
in mare aperto, potrebbe ridurre episodi di predazione intraspecifica. Secondo Klimley (1987), le
femmine di Sphyrna lewini sono separate dai maschi perché si spostano lontano dalla costa prima
di loro, aumentando il loro successo predatorio; una volta in mare aperto iniziano a nutrirsi di
prede pelagiche, crescendo così, più rapidamente (Fig. 2.34). Questa differente strategia
comportamentale tra i due sessi potrebbe essere spiegata dal fatto che le femmine richiedono una
taglia corporea maggiore per accogliere gli embrioni in via di sviluppo durante il periodo di
gestazione. Le maggiori dimensioni raggiunte dalle femmine possono essere motivate dalla
funzione riproduttiva, necessitando di una maggiore riserva energetica per lo sviluppo degli
embrioni e di una muscolatura più potente, per il movimento della madre gravida (Klimley, 1987).
39
Fig. 2.34. Il grafico mostra la massa del contenuto stomacale di femmine (cerchio pieno) e di maschi
(cerchio vuoto) di S. lewini, in funzione della loro lunghezza totale, per quantificare il successo
predatorio di entrambi i sessi. Sulla base del metodo dei minimi quadrati, sono state disegnate
linee continue (femmine) e linee tratteggiate (maschi) per squali di taglia
e
>
di 160 cm,
dimensione alla quale i maschi entrano in aggregazioni pelagiche. Siccome la differenza della
pendenza tra maschi e femmine
160 cm è significativa, l’area tra linee è stata marcata ad
indicare il surplus di cibo consumato dalle femmine (Klimley, 1987).
La differente dimensione alla quale le femmine e i maschi segregano verso il mare aperto è
visibile osservando le profondità di cattura di entrambi i sessi in relazione alla loro taglia corporea
(Klimley, 1987) (Fig. 2.35).
40
Fig. 2.35. Il grafico rappresenta le batimetrie medie di cattura di maschi e femmine sulla base dei
paramentri morfometrici degli individui di S. lewini. Sopra i grafici di dispersione, sono riportate le
profondità medie di cattura (Klimley, 1987).
Come ulteriore conferma dell’ipotesi di segregazione sessuale, Klimley (1987) ha
osservato che femmine inferiori a 160 cm si nutrono di prede pelagiche con percentuale maggiore
rispetto a maschi delle stesse dimensioni. Quindi lo spostamento anticipato delle femmine e il
loro accrescimento più rapido, fa si che i due sessi raggiungano la maturità sessuale alla stessa età,
anche se con dimensioni diverse, permettendo così, che l’attività riproduttiva si verifichi in
periodi simili della loro vita (Klimley, 1987).
41
2.3 Teoria delle aggregazioni
Springer (1967) ha osservato che alcune specie di pesci cartilaginei formano dei gruppi,
che non sono semplici aggregazioni formate in risposta a cambiamenti ambientali, ma dei veri e
propri banchi di individui reciprocamente attratti. Le diversità tra le specie, nel contesto della
scarsità di studi etologici su questi animali, implica che l’aggregazione potrebbe essere una forma
di dispersione spaziale comune tra gli squali (Klimley, 1983).
Quanto alla causa della formazione di queste aggregazioni, i ricercatori hanno esposto
diverse teorie. I gruppi potrebbero essere formati da squali attratti da specifiche condizioni
ambientali, come ad esempio una corrente favorevole, livelli di luce particolari, determinate
temperatura, abbondanza di prede o in risposta ad una reciproca attrazione tra gli esemplari
(Shaw, 1978). Un’altra spiegazione è legata alla riproduzione, infatti il raggruppamento di
individui potrebbe facilitare il corteggiamento e la copula, oppure il parto, nel senso che le
femmine potrebbero partorire nello stesso periodo, lasciando i piccoli tutti insieme in un
ambiente favorevole (Bass et al., 1975). Infine, gli squali potrebbero riunirsi in banchi per
migrare; Springer (1967) notò, infatti, che alcuni esemplari si riunivano prima di percorrere grandi
distanze, ma una volta a destinazione questi gruppi si disassemblavano.
2.3.1 Refuging social system
Un comportamento sociale molto comune anche tra le famiglie di pesci ossei è quello di
riunirsi in gruppo in una piccola area, all’interno del loro home range, minimizzando le loro
attività, e di disperdersi, invece, verso l’ambiente circostante durante la fase di attiva del loro ciclo
giornaliero (Hamilton e Watt, 1970). Questo sistema sociale, definito da Hamilton e Watt (1970)
“refuging social system”, è caratterizzato da un gran numero di individui con un complesso sistema di
comunicazione e con modelli di comportamento cooperativo. La composizione di questi gruppi è
dinamica e sono molto frequenti episodi di aggressività tra i membri che li compongono.
Aggregandosi gli individui facilitano le interazioni sociali e l’accoppiamento (Klimley e Nelson,
1984) e, se si trovano in siti con elevata biodiversità, possono massimizzare la loro esposizione
alle stazioni di pulizia, dove i pesci pulitori rimuovono i parassiti dalla superficie corporea
(Gooding e Magnuson, 1967).
Gli animali che possiedono il refuging social system descritto da Hamilton e Watt (1970) sono
molteplici e comprendono per esempio l’uomo, Homo sapiens, Linneo, 1758; l’ape europea, Apis
mellifera, Linneo, 1758; e lo storno, Sturnus vulgarus, Linneo, 1758, mentre tra i pesci si riscontra in
alcune specie della famiglia Carangidae, famiglia Haemulidae, e tra i cetacei, per esempio in
42
Stenella longirostris, Gray, 1828 (Klimley, 1983). E’ un sistema sociale comune anche tra diverse
specie di squalo. Gli squali pinna bianca del reef, Triaenodon obesus, Ruppel, 1927, si raggruppano
in 5-6 esemplari e trascorrono le fasi di inattività del loro ciclo quotidiano in grotte. Gli squali di
Port Jackson, Heterodontus portusjacksoni, Meyer, 1793, ritornano quotidianamente in fessure dei
reef, dove giacciono sul fondo in gruppi costituiti in media da 16 individui (Klimley, 1983).
Il comportamento di Sphyrna lewini ricorda molto da vicino le specie caratterizzate da
questo sistema sociale, infatti gli squali martello formano, durante il giorno, grandi aggregazioni a
basse profondità, intorno a piccole isole o catene sottomarine, per poi, di notte, disperdersi
nell’ambiente pelagico circostante per foraggiarsi (Klimley e Nelson, 1984). Durante la fase di
inattività, gli squali nuotano molto lentamente, probabilmente per ridurre inutili perdite di
energie, andando avanti e indietro lungo le catene sottomarine (Klimley, 1983) (Fig. 2.36). Al
tramonto gli squali si separano per andare a cacciare, ritornano all’alba del giorno dopo, quando
ricostituiscono il gruppo (Klimley, 1987).
Fig. 2.36. Aggregazioni di Sphyrna lewini (www.danishark.it).
43
2.3.2 Isole oceaniche e catene sottomarine
Particolarmente rilevante è il fatto che questi raggruppamenti non sono distribuiti in
maniera eterogenea lungo gli oceani, ma si osservano spesso vicino a catene sottomarine ed isole
oceaniche, siti considerati hotspot per la biodiversità pelagica (Worm et al., 2003) (Fig. 2.37). In
questi luoghi si creano particolari condizioni ambientali che potrebbero spiegare l’elevata
biodiversità presente, come l’aumento dei flussi verticali di nutrienti e il trattenimento di materiali
grazie alla formazione di vortici ed upwelling localizzati, che promuovono la produttività e il
nutrimento per i livelli trofici più alti (Barton, 2001). Le catene sottomarine, inoltre, sono dotate
di lineamenti magnetici unici che potrebbero essere sfruttati come zone di riposo e riparo per
tutte quelle specie pelagiche e migratorie (Morato et al., 2010). La divergenza delle correnti crea,
inoltre, zone con correnti deboli che possono anch’esse portare ad un intrappolamento ed
accumulo di plancton (Hamner e Hauri, 1981). Per tutte quelle specie, come Sphyrna lewini, che
compiono migrazioni quotidiane spostandosi a largo di notte, le catene sottomarine e le isole
oceaniche potrebbero servire come punti di riferimento, fornendo proprietà fisiche percettibili,
come l’intensità di un campo magnetico locale, che potrebbero essere utilizzate per orientarsi sia
durante le migrazioni giornaliere che stagionali (Hearn, 2010). Grazie al loro apparato sensoriale
formato dalle ampolle di Lorenzini, gli squali martello possono localizzare i campi elettrici, indotti
ogni qualvolta le masse di acqua si muovono attraverso il campo magnetico terrestre. La presenza
di una catena sottomarina stazionaria e non conduttiva, immersa in masse d’acqua di mare, al
contrario, conduttive e in movimento, dovrebbe produrre un caratteristico campo grazie al quale
gli squali potrebbero orientarsi (Klimley, 1983). Grazie a questa particolarità, gli animali
potrebbero rimanere in questi siti, durante la fase di inattività, sfruttando il campo magnetico
prodotto, per rimanere posizionati centralmente all’interno dell’uniforme ambiente pelagico. In
alternativa, potrebbero aggregarsi in questi siti perché potrebbero riuscire ad individuare le aree
con maggior densità di prede e quindi accedervi più rapidamente durante la notte (Hearn, 2010).
Quest’ipotesi implicherebbe, però, che gli squali siano in grado di localizzare le loro prede anche
a diversi chilometri di distanza.
44
Fig. 2.37. Catena sottomarina (Fonte sconosciuta).
2.3.3 Struttura e composizione delle aggregazioni
Sebbene alcune aggregazioni siano formate da esemplari di taglia simile, lasciando così
supporre che, in questa specie, esista una segregazione dimensionale, la maggior parte dei gruppi
è composta, invece, da individui che variano enormemente in dimensioni, spaziando da 88 cm di
lunghezza fino a 371 cm. Questa variabilità ha permesso di avere una segregazione all’interno
dell’aggregazione stessa basata sulle differenti taglie corporee (Klimley, 1983).
Il ricercatore Peter Klimley che studia questa specie nel Golfo della California dal 1981,
sostiene che l’organizzazione sociale di Sphyrna lewini sia molto più complessa di una semplice
separazione in gruppi di sub-adulti di entrambi i sessi, maschi maturi o femmine mature che
occupano habitat differenti in periodi diversi dell’anno, come invece aveva descritto Springer
(1960). Klimley (1987) ha ipotizzato che gli esemplari molto giovani, di lunghezza minore agli 80
cm, formino aggregazioni vicino alla costa con numero uguale di maschi e femmine.
Successivamente i gruppi rimangono principalmente composti da maschi di circa 80-110 cm,
perché le femmine, quando raggiungono queste stesse dimensioni, si spostano verso il mare
aperto. Le aggregazioni che si formano lontano dalla costa quindi, non sono caratterizzate da
45
individui di dimensioni simili, ma comprendono sia individui di piccola taglia che grandi
esemplari.
Le aggregazioni di Sphyrna lewini hanno una struttura polarizzata, dove tutti i membri si
muovono insieme con una direzione comune, mantengono distanze interindividuali piccole e
costanti, e cambiano simultaneamente direzione dei loro spostamenti (Klimley, 1983). I gruppi
sono composti principalmente da femmine, ciò è probabilmente dovuto al fatto che queste
migrano verso gli ambienti pelagici prima dei maschi. Per verificare quest’ipotesi Klimley (1983)
ha messo in relazione le dimensioni degli squali catturati durante le sue ricerche con le profondità
alla quale sono stati pescati e ha osservato che in acque profonde venivano catturate femmine di
dimensioni più ridotte rispetto agli esemplari maschi, mentre vicino alla costa pescavano
prevalentemente giovani maschi.
Al centro delle aggregazioni si posizionano gli esemplari più grandi (Klimley, 1985).
Questa segregazione dimensionale potrebbe essere causata dalla presenza dell’osservatore; per
verificare questa ipotesi, Klimley (1985) ha confrontato l’aumento di lunghezza degli squali in
relazione sia con la loro distanza dal centro del gruppo che dalla videocamera. I risultati indicano
che gli squali modificano le loro posizioni in funzione dei loro conspecifici e non a causa della
presenza della videocamera. Competono quindi tra loro per stare posizionati centralmente, più
che per evitare l’osservatore (Klimley, 1985).
2.3.4 Comportamenti agonistici
Sphyrna lewini forma aggregazioni altamente polarizzate molto simili a quelle formate dai
banchi di pesci ossei, definiti come un gruppo di individui che si riuniscono per attrazione
reciproca e non per condivisione di una comune risorsa (Shaw, 1970). A differenza di questi però,
gli squali martello mostrano rapporti di dominanza e subordinazione, comportamento molto
comune nei vertebrati organizzati in gruppi sociali. Klimley (1985) ha descritto diversi
comportamenti agonistici che si attuano spesso tra i membri di un’aggregazione.
1) HEAD-SHAKE
Lo squalo gira la testa avanti ed indietro, parecchie volte, formando un arco e nel frattempo si
spinge in avanti con grandi colpi di coda. Klimley (1985) sostiene che sia un movimento causato
dalla presenza di un altro esemplare troppo vicino.
46
2) TURSO-THRUST
Fig. 2.38. Rappresentazione schematica del movimento “turso-thrust”(Klimley, 1985).
Il movimento inizia con una grande accelerazione, poi il battito di pinna viene enfatizzato solo da
un lato, spingendo la parte anteriore del tronco lateralmente. Lo squalo allora si inclina trovandosi
con la superficie ventrale rivolta verso l’alto (Fig. 2.38). Klimley (1985) sostiene che in questa
posizione la luce solare venga riflessa ed, essendo visibile agli altri squali, serva da segnale per i
membri dell’aggregazione.
3) CORK-SCREW
Fig. 2.39. Rappresentazione schematica del movimento “cork-screw” (Klimley, 1985).
Questo schema si sviluppa attraverso una serie di nuotate che formano una stretta traiettoria a
forma di loop, durante il quale lo squalo ruota il suo torso di quasi 360° rispetto al suo asse
longitudinale, prima di intraprendere una traiettoria circolare (Fig. 2.39).
4) ACCELERATION
Il movimento comprende una serie di nuotate veloci accompagnate dallo scuotere del capo.
5) CHASE
Consiste in un inseguimento a breve distanza tra due squali.
47
6) HIT
Fig. 2.40. Rappresentazione schematica del movimento “hit” (Klimley, 1985).
Lo squalo porta il lato inferiore della mascella in contatto con il dorso di un altro individuo,
anteriormente o lateralmente rispetto la prima pinna dorsale. Il contatto tra i due squali spesso
causa piccole contusioni con perdita dei dentelli dermici (Fig. 2.40).
7) GIVE-WAY
Durante questo comportamento, lo squalo si allontana dalla traiettoria di nuoto di un altro
esemplare.
Dall’osservazione della dimensione, del sesso e della posizione degli squali che eseguono i
movimenti sopra descritti, Klimley (1985) ritiene che questi esemplari competano per una
posizione preferenziale all’interno dell’aggregazione.
All’interno del gruppo, le femmine sono molto più numerose dei maschi, con un rapporto
anche di 6,1 a 1. Basandosi su questi dati, Klimley (1985) ritiene che i comportamenti agonistici
siano attuati più frequentemente tra queste, rispetto che tra i pochi maschi presenti. L’ipotesi però
non è ancora stata dimostrata in quanto è molto difficile stabilire con certezza il sesso di tutti gli
esemplari che eseguono queste movenze; mentre è certo che le aggressioni siano molto più
comuni tra femmine. Klimley (1985) ha paragonato la frequenza di cicatrici e ferite presenti su gli
esemplari di entrambi i sessi. Le contusioni si verificano più frequentemente sulle femmine, sul
dorso anteriore e laterale rispetto alla prima pinna dorsale, ma anche sulla superficie ventrale del
rostro (Fig. 2.41). Non sono cicatrici direttamente legate alla riproduzione, in quanto molte
femmine contuse non erano ancora mature.
48
Fig. 2.41. Frequenze di contusione che si verificano entro il 10% della lunghezza totale del corpo a livello
del ventre, dorso, sul fianco destro e sinistro (Klimley, 1985).
Secondo Klimley (1985) i frequenti episodi di aggressività che si riscontrano all’interno
delle aggregazioni di Sphyrna lewini potrebbero essere determinati da due cause. Gli squali martello
potrebbero competere tra loro per ottenere una posizione migliore nel gruppo, per esempio
quella centrale, che potrebbe garantire loro una minor probabilità di essere predati. In alternativa,
le femmine potrebbero competere per le risorse limitanti, come i pochi maschi presenti,
difendendo le loro posizioni all’interno del gruppo. Le femmine più grandi, attraverso
comportamenti di aggressività, potrebbero posizionarsi al centro aspettando, così, di essere
visitate dai pochi maschi presenti, che a loro volta si spostano all’interno alla ricerca di esemplari
maturi.
2.3.5 Spostamenti del gruppo
Dall’analisi del contenuto dello stomaco degli esemplari di Sphyrna lewini e dalla loro
localizzazione via satellite si è scoperto che, durante la fase attiva del loro ciclo giornaliero, gli
squali martello si spostano per foraggiarsi in acque pelagiche adiacenti ai siti di aggregazione
(Klimley, 1987; Galvan-Magana et al., 1989). Per spostarsi verso l’ambiente oceanico circostante
gli squali percorrono gli stessi tragitti, nuotando a volte lungo percorsi rettilinei (Klimley, 1993).
49
Questi movimenti sono caratterizzati da spostamenti chiamati “point-to-point”, la cui elevata
direzionalità lascia supporre che esista una qualche caratteristica ambientale che serva loro da
guida. Klimley (1993) ha preso in esame alcune proprietà ambientali potenzialmente utili per
guidare i loro spostamenti e per permetter loro di realizzare movimenti altamente direzionati. La
vista potrebbe servire per nuotare lungo una sporgenza o in una valle del fondale marino oppure
per muoversi verso l’immagine sfuocata del sole o della luna; gli animali, però, nuotano nel mezzo
della colonna d’acqua, lontani sia dal fondale che dalla superficie. Klimley (1993) ha poi preso in
considerazione la temperatura, ma ha osservato che Sphyrna lewini non predilige quelle profondità
con un gradiente verticale di temperatura ben delineato, che invece, essendo accompagnate da
cambiamenti di velocità e direzione della corrente, avrebbero potuto fornire informazioni
potenzialmente utili per guidare il loro nuoto. Non esiste, poi, alcuna connessione tra le loro rotte
migratorie e la batimetria sottomarina, al contrario Klimley (1993) ha scoperto una relazione tra i
loro spostamenti da e verso l’ambiente pelagico con i valori di intensità massimi e minimi dei
campi magnetici locali. I minerali presenti nella crosta oceanica producono delle distorsioni del
dipolo magnetico terrestre, a sua volta indotto dalla circolazione di liquidi conduttivi fusi nel
nucleo esterno. Queste distorsioni locali diventano sempre più grandi con l’aumento della
profondità a causa di una sproporzionata crescita del contributo magnetico del fondale marino
rispetto a quello del nucleo terrestre. Questi gradienti, nell’ambito della topografia geomagnetica
del fondale, formano valli e montagne che potrebbero essere sfruttate come riferimenti
geografici. In effetti Klimley (1993) ha osservato che l’homing behavior caratteristico di Sphyrna
lewini, ovvero la capacità di alcuni animali di tornare in un determinato luogo una volta
allontanatisi da esso grazie all’utilizzo di riferimenti geografici, presenta percorsi che coincidono
con i confini esistenti tra i diversi gradienti magnetici.
Oltre agli spostamenti in orizzontale verso l’ambiente pelagico, gli squali martello smerlati
compiono movimenti verticali lungo la colonna d’acqua immergendosi in profondità,
probabilmente alla ricerca di prede mesopelagiche (Klimley, 1993). Da grandi profondità, gli
squali martello si spostano poi verso la superficie, un comportamento del tutto analogo a quello
dei tonni, che tornano in superficie dopo immersioni in acque profonde e fredde, per mantenere
alta la loro temperatura corporea. Gli squali martello smerlati, però, non hanno lo stesso sistema
di scambio di calore, quindi il ritorno in superficie potrebbe servire per recuperare il calore
perduto durante l’immersione, ma la differenza di temperatura tra gli strati profondi e quelli
superficiali della colonna d’acqua, dove vive questa specie, è di soli 4°C. L’ipotesi di una
termoregolazione è, quindi, da escludere. Secondo Klimley (1993) la funzione di questi
spostamenti potrebbe essere quella di rilevare cambiamenti di intensità geomagnetica per unità di
distanza, che aumentano man mano che il fondale roccioso magnetico si avvicina.
50
2.3.6 Funzione dell’aggregazione
Klimley (1983) ha ipotizzato che il refuging social system in questa specie potrebbe avere
cinque principali funzioni: riproduttiva, favorendo il corteggiamento e la copula; protettiva,
aggregandosi per difendersi da predatori; ottimizzazione dell’output energetico, riducendo
l’attività di nuoto non necessaria; riferimento geografico, raggruppandosi in luoghi utilizzati come
punto di riferimento; ed infine per favorire le attività di foraggiamento, l’aggregazione infatti,
potrebbe aumentare il loro successo predatorio mediante cooperazione tra gli individui.
Al fine di valutare l’ipotesi di una funzione riproduttiva, Klimley (1983) ha catturato
diversi esemplari per determinare a quale range di lunghezza diventassero maturi e fotografato i
membri presenti nelle aggregazioni per determinarne le dimensioni. La presenza di molti subadulti ha creato diversi dubbi nel ritenere che questa sia la funzione principale dei
raggruppamenti. Klimley (1983) ha verificato poi, se esistesse una periodicità stagionale nella
formazione di queste aggregazioni, in modo tale da confrontarla poi con i loro periodi
riproduttivi. Se ci fosse stata asincronia tra i due momenti, l’ipotesi della riproduzione sarebbe
stata da escludere. Le aggregazioni però, sono state osservate in tutte le stagioni e la riproduzione
in Sphyrna lewini probabilmente si realizza durante l’arco di tutto l’anno; questo ad indicare che la
riproduzione potrebbe, anche considerando la presenza di molti sub-adulti, essere comunque il
fattore motivazionale alla base delle aggregazioni. La segregazione spaziale e dimensionale
all’interno dei gruppi, le frequenti interazioni aggressive tra femmine e la bassa percentuale di
maschi, che spesso cercano di penetrare all’interno dell’aggregazione per raggiungere gli esemplari
più grandi, è un’ulteriore conferma all’ipotesi di una funzione riproduttiva in questa specie
(Klimley, 1983; Klimley, 1985).
In alternativa, gli squali martello potrebbero aggregarsi per ridurre i possibili episodi
predatori da parte di altre specie di squalo. Quest’ipotesi, però, risulta essere la meno accreditata
in quanto, anche se sono stati ritrovati resti di squali martello del genere Sphyrna nello stomaco di
squali bianchi (Bass et al., 1975), nessun ricercatore ha mai assistito ad episodi di predazione
verso questa specie (Klimley, 1983).
L’aggregazione di squali martello potrebbe invece trarre vantaggi dalla riduzione di
corrente all’interno di vortici discendenti dalla cresta sottomarina. Se gli squali rimanessero
all’interno di questi vortici, non dovrebbero nuotare molto velocemente durante la fase di riposo
del loro ciclo quotidiano (Hearn, 2010). Klimley e Nelson (1984) però, studiando la distribuzione
di Sphyrna lewini intorno a catene sottomarine, hanno osservato che gli squali non modificano la
loro direzione di nuoto in funzione dei cambiamenti di corrente.
Gli squali martello potrebbero aggregarsi in particolari aree che sono utilizzate come
riferimento geografico. Sicuramente le catene sommerse possono essere considerate come un
51
chiaro punto di riferimento all’interno dell’ambiente pelagico, al quale gli squali martello sono
soliti tornare dopo escursioni in mare aperto (Klimley, 1983). In alternativa, potrebbero utilizzare
questi luoghi come punto di riferimento da cui spostarsi per andare a foraggiarsi in aree
particolarmente ricche in prede (Hearn, 2010).
L’ultima ipotesi presa in considerazione da Klimley (1983) è quella secondo la quale
aggregarsi potrebbe aumentare il successo predatorio individuale. Sebbene non siano mai stati
osservati episodi di caccia durante la fase inattiva del loro ciclo quotidiano, è possibile che gli
squali si foraggino insieme durante la fase attiva notturna. Se le prede fossero raggruppate, gli
squali potrebbero sfruttare il fatto di essere aggregati per cacciarle quando sono in gruppo.
Klimley (1983) ha monitorato quindi, un’aggregazione di Sphyrna lewini al tramonto, per verificare
se ci fossero spostamenti singoli o in gruppo dalle montagne sottomarine. I risultati non sono
stati inequivocabili, ma sembra chiaro che non si foraggino tutti insieme, ma singolarmente o al
limite in piccoli gruppi.
Il presente lavoro si focalizza sullo studio etologico delle aggregazioni di Sphyrna lewini a
Malpelo, nell’Oceano Pacifico, e nei reef del Mar Rosso sudanese. In particolare, mira ad essere
uno studio comparativo tra le nostre osservazioni e le teorie formulate dal ricercatore Peter
Klimley, con l’obiettivo primario di confermare, per mezzo di osservazione diretta, le differenze
esistenti tra i modelli aggregativi di Sphyrna lewini nei reef sudanesi e nel Pacifico. La spedizione
all’isola di Malpelo ha, quindi, un duplice scopo: da una parte, quello di confermare le teorie
formulate da Klimley e dall’altra, quello di evidenziare le differenze con i modelli aggregativi
sudanesi, difformità già osservate dai ricercatori Danilo Rezzola e Tiziano Storai che studiano
questa specie, in Sudan, dal 2004. Grazie a riprese video subacquee, è stato possibile analizzare la
struttura e la composizione delle aggregazioni, l’eventuale presenza di comportamenti agonistici e
il ruolo che assume l’analisi della corrente nel consentire l’avvistamento degli esemplari.
52
Materiali e Metodi
3.1 Aree di studio
3.1.1 Malpelo
L’isola di Malpelo (3°58’N e 81°37’W) è localizzata nell’Oceano Pacifico a 506 km ad
Ovest rispetto alla Colombia. L’isola, con la sua superficie di 1.2 km², corrisponde alla cresta
emersa di una grande dorsale vulcanica sottomarina, la Dorsale di Malpelo, che si estende da
Nord-Est a Sud-Ovest per una lunghezza di 277.8 km e una larghezza di 92.6 km. Malpelo è una
formazione vulcanica, le cui pareti scendono fino a 400 m di profondità ed è circondata, a Nord e
a
Sud,
da
12
appuntiti
pinnacoli
con
altezze
comprese
tra
10
e
40
m
(www.fundacionmalpelo.org). Le acque che circondano Malpelo sono influenzate stagionalmente
da quattro principali correnti: dalla controcorrente equatoriale Nord, dalla corrente equatoriale
Sud, dalla corrente di Colombia e da quella ciclonica di Panama. Il grado di miscelazione delle
masse d’acqua dipende dalla migrazione interannuale della convergenza intertropicale (ITCZ)
(Rodriguez-Rubio et al., 2003) e da cicli su più larga scala come quelli di El Niño Oscillazione
Meridionale (ENSO) (Devis-Morales et al., 2008). Le interazioni delle correnti creano a Malpelo
due stagioni distinte di acqua fredda e calda. Durante la stagione fredda, da gennaio ad aprile, le
acque intorno all’isola sono ricche di nutrienti e sono molto produttive grazie a fenomeni di
upwelling, creati dall’interazione tra i venti che si originano a Panama e le acque dell’Oceano
Pacifico a largo della Colombia (Rodriguez-Rubio et al., 2003). La temperatura dell’acqua in
superficie è compresa tra i 20°C e i 27°C e il termoclino è presente a basse profondità, a meno di
15 m. Al di sopra di questo, la visibilità arriva al massimo fino a 10-15 m, ma può essere anche di
soli 5 m a causa dell’elevata concentrazione di nutrienti. Sotto il termoclino la temperatura può
scendere fino a 14°C, ma la visibilità raggiunge i 50 m. (Bessudo et al., 2011). Le correnti vanno
da Nord a Sud con una velocità di 100 cm/s (Devis-Morales et al., 2008). Durante la stagione
calda, che va da maggio fino a dicembre, la temperatura media dell’acqua in superficie è di circa
27 °C. In questo periodo la visibilità è molto alta, raggiunge infatti i 25 m e il termoclino si trova
sopra ai 50 m, le correnti vanno da Sud-Ovest a Nord-Est con una velocità di 90 cm/s (DevisMorales et al., 2008) e, non essendoci upwelling, la maggior parte dei nutrienti e di clorofilla-a si
trovano a circa 60 m di profondità.
Gli studi sulle aggregazioni di Sphyrna lewini sono stati condotti a Malpelo nel periodo
compreso tra il 4 e il 9 febbraio 2011, per un totale di 6 giorni. Per tutta la durata della
spedizione, le ricerche sono state condotte sullo Yemaya II, una barca a motore di 30 m dotata di
53
2 motori di 640 hp. Per monitorare gli squali martello smerlati nelle acque intorno all’isola, sono
stati utilizzati invece due Caribe Profundo di 8 m, uno dotato di 2 motori da 140 hp, mentre
l’altro di 2 motori da 115 hp. Le riprese video e le foto sono state realizzate per mezzo di una
videocamera Panasonic AG-HSC1 HD, dotata di una custodia subacquea Isotta SPJ-7. Per
misurare giornalmente i parametri fisici del mare, sono stati utilizzati un densimetro ottico
Milwaukee, un termometro digitale Sharp XT-20 e un anemometro digitale Tfa KAT 06.
Nel periodo di studio, sono state effettuate 15 immersioni subacquee, durante le quali è
stato possibile filmare le aggregazioni di Sphyrna lewini e raccogliere così i dati da analizzare una
volta rientrati in Italia. I diving points sono stati 8: El Altar de Virginia (4° 00,268’ N, 81° 36,236’
W), Vagamares (3° 59,998’ N, 81° 36,313’ W), Bajo del Monstruo (4° 00,463’ N, 81° 36,201’ W),
La Catedral (4° 60,837’ N, 81° 36,331’ W), El Freezer (4° 0’19,70’’ N, 81° 36’32,92’’ W), La
Nevera (4° 00,1120’ N, 81° 36,4422’ W), La Gringa (3° 59,652’ N, 81° 36,997’ W) e Sahara (3°
59,943’ N, 81° 36,236’ W).
Il sito di immersione chiamato “La catedral” è un pinnacolo situato a Nord di Malpelo,
caratterizzato da un tunnel che lo attraversa completamente, partendo dalla profondità di 20 m e
arrivando fino alla superficie del mare. Le pareti del tunnel sono quasi interamente ricoperte da
coralli e spugne. “La Gringa” è la più grande formazione rocciosa situata sul lato Sud di Malpelo
a circa 400 m di distanza. E’ attraversata anch’essa da una grotta che la percorre dalla profondità
di 39 m fino a 24 m. “El Freezer” è un sito di immersione localizzato sul lato Nord-Ovest di
Malpelo. E’ chiamato così per la presenza di una corrente fresca che risale da acque profonde. La
parete dell’isola in questo punto è ricoperta da coralli duri. Il sito “La Nevera” è situato in una
baia sul lato Ovest di Malpelo e ospita una delle stazioni di pulizia dove gli squali martello sono
soliti recarsi, così come il sito “L’Altar de la Virginia” localizzato, invece, a Nord-Est dell’isola. Il
sito “Bajo del Monstruo” si trova sulla punta Nord-Est di Malpelo. E’ una guglia sottomarina che
si erge fino a 8 m dalla superficie del mare, per poi sprofondare sul fondale fino alla profondità di
80 m. Il sito è chiamato così per la presenza di alcuni esemplari appartenenti alla specie Odontaspis
ferox, famiglia Odontaspididae, volgarmente chiamato lo squalo toro (Tortonese, 1956).
“Vagamares” è un sito localizzato sul lato Est di Malpelo. E’ un grosso faraglione, distante circa
30 m dall’isola. Alla profondità di 24 m è presente l’imboccatura di un tunnel che lo attraversa
completamente. Infine, “El Sahara” si trova sulla punta Sud-Ovest dell’isola. E’ una zona
caratterizzata da un fondale sabbioso, immersa tra tre pinnacoli imponenti (Fig. 3.1).
54
Fig. 3.1. Mappa dell’isola di Malpelo dove sono elencati i siti di immersione.
(www.flickr.com/photos/caut/3024226382).
I dati inerenti alle aggregazioni di Sphyrna lewini sono stati raccolti durante tutto il periodo
della spedizione, per tre volte al giorno, il 4-5-7 febbraio, mentre per due volte il 6-8-9 febbraio.
La prima immersione iniziava tra le 7 e le 8.30 di mattina, la seconda tra le 10.15 e le 11.30 e
l’ultima tra le 15 e le 16 del pomeriggio. Per questa spedizione è stato deciso di effettuare
immersioni con miscela Nitrox, con percentuale di ossigeno pari al 32%, particolarmente adatta
ad immersioni prolungate a profondità non eccessive. Ciò in considerazione del fatto che in
questa area gli squali martello smerlati frequentano fasce batimetriche relativamente superficiali,
fino a – 40 m. Al termine di ogni immersioni venivano compilate due schede; nella prima
venivano riportati l’ora di inizio e di fine immersione, il sito di studio, la profondità massima
raggiunta, la temperatura minima dell’acqua, l’intensità di corrente, stimata per mezzo di una scala
che va da 0 (nessuna corrente) a 3 (corrente molto forte) (Hearn et al., 2010), le specie avvistate, il
numero di esemplari stimato e i comportamenti osservati. Nella seconda invece, venivano
riportati i parametri ambientali misurati giornalmente.
55
3.1.2 Reef sudanesi
La costa sudanese si estende per 750 km e si affaccia sul Mar Rosso centrale. Per le sue
caratteristiche geografiche il Mar Rosso è considerato un mare tropicale con un clima
prevalentemente desertico e semi-desertico. Le acque sudanesi sono generalmente caratterizzate
da correnti deboli, mancanza di upwelling, maree di scarso rilievo, di 30-60 cm al massimo,
temperatura molto alta, 20 °C a febbraio e 33 °C in agosto e salinità molto elevata, 39-45‰
(Saeed, 2006). La costa sudanese è ricca di formazioni coralline, come franging reef , barriere
coralline e comprende l’atollo oceanico di Sanganeb (Kotb et al., 2004).
I dati sono stati raccolti in 6 siti di immersione, localizzati a Nord di Port Sudan: a Sha ‘ab
Rumi (19° 55’ N, 37° 24’ E), a Sanganeb (19° 44’ N, 37° 26’ E), a Quita el Banna (20° 41’ N, 37°
23’ E), Merlo (20° 50’ N, 37° 25’ E), ad Angarosh (20° 51’ N, 37° 26’ E) e ad Abington (20° 53’
N, 37° 23’ E) (Fig. 3.2).
Fig. 3.2. Mappa dei reef sudanesi (Fonte sconosciuta).
56
“Sha ‘ab Rumi” è situato a 24 km dalla costa, a Nord-Est di Port Sudan; è un reef di
forma ovale con due punte ed ampia laguna centrale. La punta Nord è corta ed è caratterizzata da
tre pianori con batimetria di 30/45/60 m, mentre la punta esposta a Sud è molto più allungata ed
è formata da tre pianori con batimetrie di 20/40/60 m (Fig. 3.3).
Fig. 3.3. Rappresentazione grafica del reef Sha ‘ab Rumi, versante Sud (www.mar-rosso.it).
Il reef “Sanganeb” è localizzato a 27 km dalla costa, a Nord-Est rispetto a Port Sudan.
Ha una forma squadrata con due corte punte, di cui quella esposta a Nord ha tre ampi pianori
con batimetria di 30/45/60 m, mentre la punta Sud ha due pianori ancora più larghi con
batimetria di 30/60 m (Fig. 3.4).
Fig. 3.4. Rappresentazione grafica del reef Sanganeb. A sinistra è illustrato il versante Sud; a destra, il
versante Nord (www.mar-rosso.it).
57
“Quita el Banna” è situato a 19 km dalla costa, sempre a Nord-Est di Port Sudan. E’ un
torrione madreporico circolare con un piccolo pianoro a sud. Il cappello, ovvero la parte più
superficiale, si trova a una profondità di 2 m, il pianoro a 25 m, mentre la parete scende fino a 75
m (Fig. 3.5).
Fig. 3.5. Rappresentazione grafica del reef Quita el Banna, versante Sud-Est (www.mar-rosso.it).
Situato a 16 km dalla costa, a Nord-Est di Port Sudan, “Merlo” è formato da due
pinnacoli collegati tra loro per mezzo di una sella corallina. Il pianoro è situato ad una profondità
di 30 m, mentre il fondale declina dolcemente fino a 80 m (Fig. 3.6).
Fig. 3.6. Rappresentazione grafica del reef Merlo, versante Nord (www.mar-rosso.it).
58
“Angarosh” è situato a 24 km dalla costa a Nord-Est di Port Sudan. E’ un reef di forma
ovale con due pianori esposti a Sud, di cui il primo è abbastanza corto e si trova ad una
profondità di circa 30 m, mentre il secondo, a 60 m, è molto allungato con drop-off, ovvero la
parete verticale che collega due plateau a diverse profondità, che sprofonda a 80 m (Fig. 3.7).
Fig. 3.7. Rappresentazione grafica del reef Angarosh (www.mar-rosso.it).
Situato a 27 km dalla costa, sempre a Nord-Est di Port Sudan, “Abington” ha una forma
circolare con piccolo pianoro esposto a Nord-Est. Intorno al reef la profondità varia tra 50 m e
80 m di profondità (Fig. 3.8).
Fig. 3.8. Rappresentazione grafica del reef Abington (www.mar-rosso.it).
59
I dati sono stati raccolti nel periodo compreso tra il 5 e il 10 giugno 2011, per un totale di
6 giorni. Questa crociera corrisponde alla 12° spedizione scientifica effettuata dal team di ricerca
Danishark Elasmobranch Research, che dal 2004 studia le grandi aggregazioni di Sphyrna lewini nei
reef sudanesi. Le ricerche sono state condotte sul M/Y Elegante, un caicco di 29 m, motorizzato
Iveco con due motori da 400 hp, mentre, per raggiungere i siti di immersione, sono stati utilizzati
due Zodiac di 5 m, dotati di due motori fuoribordo da 40 hp. I video e le foto subacquee sono
state realizzate con una videocamera Panasonic AG-HSC1 HD, dotata di una custodia
impermeabile Isotta SPJ-7.
Per misurare i parametri fisici marini sono stati utilizzati un densimetro ottico Milwaukee, un
termometro digitale Sharp XT-20 e un anemometro digitale Tfa KAT 06. Alla fine di ogni
immersione, veniva compilata la stessa tipologia di schede creata per la spedizione a Malpelo.
3.2 Protocollo di immersione
Raggiunto il sito di studio, l’osservatore si immerge e si posiziona nella parte centrale del
primo pianoro del reef, solitamente ad una profondità variabile tra 24 e 28 metri. Qui si analizza
la corrente marina, in particolare si valuta la sua direzione e la sua intensità, perché queste due
variabili determinano la profondità alla quale stazionano i gruppi di squali martello. La presenza
della corrente, infatti, determina l’apporto di acque fresche vicino alla superficie con conseguente
aumento della saturazione di ossigeno, condizione particolarmente ricercata dagli squali perché
permette loro di nuotare più lentamente e con un minore dispendio energetico (Rezzolla e Storai,
in preparazione). La corrente, quando è molto forte, incontra la punta del reef alla profondità di
90-100 m, dividendosi in due flussi paralleli ai lati del reef, e provoca turbolenza nell’acqua sia nei
pianori a superficiali, a 28-33 metri, che in quelli più profondi, a 45-50 metri. In presenza di
corrente debole, invece, non si rileva un grande afflusso di acque fresche nei primi 40 metri di
profondità e di conseguenza gli squali martello rimangono sotto il termoclino. Per poter avvistare
gli animali, l’osservatore, una volta analizzate le condizioni marine, si posiziona sul versante del
reef maggiormente interessato dalla corrente e si colloca sull’estremità del pianoro, nel punto
chiamato drop-off (Rezzolla e Storai, in preparazione). Minore è l’impatto visivo che l’osservatore
offre agli animali e maggiore sarà la possibilità di osservazioni significative (Fig. 3.9).
60
Fig. 3.9. Rappresentazione schematica del protocollo di avvicinamento. Il rettangolo rosso in alto
rappresenta l’imbarcazione. Il secondo rettangolo rappresenta la sosta sul primo pianoro, dove si
valuta la direzione e forza della corrente; a questo punto si scende sul secondo pianoro a 35 m
oppure sulla punta del plateau a 60 m (cerchio rosso). Le frecce blu rappresentano la corrente, la
freccia più grossa dai bordi rossi invece, la direzione degli squali (www.mar-rosso.it).
3.3 Analisi dati
I filmati registrati durante le spedizioni sono stati analizzati per estrapolarne informazioni
sia relative alle aggregazioni stesse, sia alle condizioni ambientali presenti durante gli avvistamenti.
I video sono stati inoltre utilizzati per ricavare immagini particolarmente significative e per
l’identificazione dei singoli esemplari.
I risultati delle osservazioni sulle aggregazioni di S. lewini sono stati inoltre confrontati con quanto
riportato dalla letteratura scientifica (Bessudo, 2011; Hearn, 2010; Klimley, 1987, 1993) per
identificare eventuali analogie o difformità.
61
Risultati
4.1 Parametri ambientali
I principali parametri ambientali (temperatura esterna, temperatura dell’acqua e salinità sono stati
misurati in entrambe le spedizioni (Tab. 4.1; 4.2).
4.1.1 Isola di Malpelo
A Malpelo la temperatura esterna minima registrata è stata di 26,4 °C alle 8:48 del giorno
05/02/11, mentre la massima è stata di 30,7 °C alle 12:55 del 08/02/11. La temperatura
superficiale dell’acqua invece ha oscillato tra 25,3 °C, alle 8:48 del giorno 05/02/11, e 27,5 °C alle
ore 12:55 del 08/02/11. L’intensità di corrente è stata misurata attribuendole un valore da 0
(nessuna corrente) a 3 (corrente molto forte). A parte i giorni 04/02/11 e 05/02/11, quando è
stata rilevata corrente di media intensità, in tutti gli altri giorni il valore è stato pari a 1. Per quanto
riguarda la marea, sono stati registrati valori inferiori ad 1 m, tranne i giorni 04/02/11 e
05/02/11 in cui valori hanno oscillato tra 1,5 m e 1 m. La salinità era pari al 33‰, tranne il
giorno 09/02/11 in cui è stato rilevato un valore pari a 32‰ (Tab. 4.1).
4.1.2 Reef sudanesi
In Sudan i parametri ambientali sono stati misurati durante tutte le spedizioni. Nell’ultima
raccolta dati, avvenuta in giugno 2011, la temperatura esterna massima registrata, è stata di 36,8
°C alle ore 11:47 del giorno 09/06/2011, mentre la minima è stata di 32,7 °C alle ore 9:47 del
giorno 10/06/11. La temperatura superficiale dell’acqua invece ha oscillato tra 28,8 °C, alle ore
10:56 del giorno 07/06/11, e 30,8 °C, alle ore 11:47 del 09/06/11. La corrente è stata intensa nei
giorni 08/06/11 e 09/06/11 con un valore pari a 3, media il 06/06/2011 e il 07/06/2011 e scarsa
nel giorno 10/06/11. La salinità era pari al 37‰ (Tab 4.2).
62
Tabella 4.1. Dati inerenti ai parametri ambientali misurati a Malpelo.
Tabella 4.2. Dati inerenti ai parametri ambientali misurati in Sudan nel 2011.
63
4.2 Incontri documentati
4.2.1 Isola di Malpelo
Durante le 15 immersioni subacquee, pari a 12 ore in totale di raccolta dati, sono state
realizzate 176 riprese video per un totale di 47’64’’ di registrazioni. La profondità media, alla quale
sono state filmate le aggregazioni di Sphyrna lewini, è stata di 25,9 m. Sono stati filmati 61
esemplari singoli, 96 gruppi definiti piccoli (N < 25) e 19 grandi aggregazioni (Tab. 4.3).
Dall’analisi dei video è stato possibile risalire al numero complessivo di squali incontrati durante
la spedizione, totalizzando 1667 esemplari (Tab. 4.3). Questi dati tuttavia non rispecchiano il
numero reale di avvistamenti, in quanto potrebbero essere frutto di osservazioni multiple.
A causa della scarsa visibilità riscontrata (27,8% dei filmati) e dell’ampia distanza di
osservazione, è stato possibile sessare solo 186 esemplari (11,2%), di cui 121 erano maschi
(65,1%) e 65 femmine (34,9%) (Tab. 4.3). Per le stesse ragioni è stato anche difficile rilevare
eventuali ferite presenti sul corpo degli animali. Sono stati individuati 69 squali feriti di cui 23
femmine (33%), 37 maschi (54%) e 9 esemplari dal sesso non identificato (13%) (Tab. 4.3).
Per quanto riguarda i comportamenti agonistici descritti da Klimley (1985), ne sono stati
documentati 24, di cui 10 sono “Head-shake”, 12 “Turso-thurst”, 1 “Acceleration”, 1 “Give-way” (Fig.
4.1 e 4.2). Il movimento “Head-shake” è stato effettuato da 9 adulti, di cui 3 maschi e 6 individui
dal sesso non identificato, e da un giovane maschio. La movenza “Turso-thurst” da 10 adulti, tra
cui un maschio, e da 2 giovani esemplari; mentre “Acceleration” e “Give-way” sono stati osservati in
adulti non identificati. Inoltre 2 esemplari maschi hanno eseguito per due volte consecutive una
traiettoria circolare sopra il fondale (Tab. 4.5).
Nello studio della struttura e della composizione delle aggregazioni sono stati presi in
considerazione i gruppi di squali con un minimo di 3 esemplari, per un totale di 83 analisi (Tab.
4.4). Nel 62,7% dei casi (N = 52) non è stato possibile identificare il sesso degli esemplari
presenti, in 8 occasioni, pari al 9,6%, è stato possibile sessare almeno uno squalo, in 11, pari al
13,2%, meno della metà degli individui, mentre in 12 occasioni, pari al 14,5%, si è riusciti a
sessare più della metà degli esemplari o anche tutto il gruppo. Da quest’ultima analisi è risultato
che 9 aggregazioni, pari al 10,8% rispetto al numero totale (N = 83), sono costituite da una
maggioranza di maschi, di queste però, solo 6 hanno una maggioranza certa. Due gruppi, pari a
2,4%, sono invece composti da un numero uguale di individui dei due sessi, mentre uno soltanto,
pari a 1,2%, da una maggioranza di femmine, ma in entrambe le occasioni l’identificazione del
sesso non è stata completa (Tab. 4.4). Delle 83 aggregazioni prese in esame per lo studio della
struttura, il 62,7% (N = 52) non ha prodotto risultati a causa della scarsa visibilità riscontrata,
64
della distanza di osservazione e delle riprese non esaustive. Del 37,3% dei gruppi presi in esame
(N = 31), il 32,2% (N = 10) mostra una preferenza da parte degli individui di grande taglia a
posizionarsi alla base del gruppo, o da parte dei giovani a spostarsi più in alto. Nel 9,7% (N = 3)
dei casi, invece, gli individui di piccola taglia sono posizionati più in profondità ed infine nel
12,9% (N = 4) gli esemplari di grandi dimensioni si posizionano in coda all’aggregazione (Tab.
4.4).
La disposizione del gruppo non sembra essere riconducibile a nessuna forma geometrica
definita. Il 16,9% dei filmati analizzati (N = 14) non ha prodotto risultati a causa di registrazioni
video poco esaustive. Dell’83,1% dei gruppi analizzati (N = 69), il 53,6% (N = 37) appare
strutturato in lunghezza, ovvero gli squali nuotano alle stesse profondità, in particolare, tra questi,
il 35,1% (N = 13) mostra un addensamento al centro dell’aggregazione, con distanze
interindividuali ridotte, e pochi esemplari posizionati in testa e coda, mentre il 32,4% (N = 12) è
costituito da piccoli gruppi (N < 12) disposti in fila indiana (Tab. 4.4).
Durante una stessa immersione è stato possibile osservare sia esemplari di Sphyrna lewini che altre
specie di elasmobranchi: Odontaspis ferox (Risso, 1810), Carcharhinus galapagensis, Snodgrass e Heller,
1905, e l’aquila di mare, Aetobatus narinari, Euphrasen (1790), ma senza che tra questi ci siano state
reali interazioni.
4.2.2 Reef sudanesi
Durante i sei giorni di spedizione, sono state effettuate 11 immersioni subacquee, pari a
11 ore di raccolta dati, durante le quali sono state realizzate 19 riprese video per un totale di 8’36’’
di registrazioni. Sono stati filmati 3 esemplari singoli, 6 gruppi definiti piccoli (N < 25), ma
nessuna grande aggregazione. La profondità media di avvistamento è stata di 49 m (Tab. 4.6).
Dall’analisi dei video è stato possibile risalire al numero complessivo di squali incontrati,
totalizzando 56 esemplari. A causa della grande distanza di osservazione, è stato possibile sessare
solo 4 esemplari, pari al 7,1%, tutte femmine. Per le stesse ragioni è stato difficile rilevare
eventuali ferite presenti sul corpo degli animali, infatti, è stata individuata solo una femmina
ferita. La velocità di nuoto è stata valutata lenta in tutte le occasioni (Tab. 4.6). Per quanto
riguarda i comportamenti agonistici descritti da Klimley (1985), è stata documentata una sola
movenza, codificabile come “Give-way” (Tab. 4.7).
Nello studio della struttura e della composizione delle aggregazioni sono stati presi in
considerazione i gruppi di squali con un minimo di 3 esemplari, per un totale di 11 analisi (Tab.
4.8). E’ stato possibile identificare il sesso di un solo esemplare, che è risultato essere femmina.
Apparentemente i gruppi sono composti da soli individui adulti, perciò, non è stata rilevata
65
nessuna preferenza, da parte di esemplari di grande o piccola taglia, a posizionarsi in determinate
zone all’interno delle aggregazioni.
La disposizione del gruppo non sembra essere riconducibile a nessuna forma geometrica
definita. Di 11 aggregazioni analizzate, il 63,6% (N = 7) appare strutturarsi lungo un piano
verticale, ovvero gli esemplari si distribuiscono a diverse profondità, il 27,3% (N = 3) si
distribuisce invece lungo un piano orizzontale, mentre il 9,1% (N = 1) non ha prodotto risultati
rilevanti (Tab. 4.8).
Durante una stessa immersione è stato possibile osservare sia Sphyrna lewini che altre specie di
elasmobranchi come lo squalo grigio, Carcharhinus amblyrhynchos, Bleeker, 1856, e lo squalo pinna
bianca, Triaenodon obesus, Rüppel, 1927.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Fig. 4.1. Sequenza di immagini che mostrano il movimento “turso-thrust” eseguito da un esemplare.
(G. Boldrocchi).
66
1.
2.
3.
4.
Fig. 4.2. Sequenza di immagini che mostrano il movimento “head-shake” (G. Boldrocchi).
67
68
69
Tabella 4.3. Dati generali rilevati a Malpelo. Ss, singolo squalo; Pg, piccolo gruppo; Gg, grande
gruppo; Nd, non determinato; M, maschio; F, femmina.
70
71
Tabella 4.4. Struttura e composizione delle aggregazioni a Malpelo. Es, esemplare; M, maschio; F,
femmina; Nd, non determinato.
72
Tabella 4.5. Comportamenti agonistici documentati durante la spedizione a Malpelo. Es, esemplare; M,
maschio; F, femmina; Nd, non determinato.
Tabella 4.6. Dati generali rilevati in Sudan. Ss, singolo squalo; Pg, piccolo gruppo; Nd, non
determinato; M, maschio; F, femmina.
73
Tabella 4.7. Comportamenti agonistici documentati durante la spedizione in Sudan.
Nd, non determinato; F, femmina; M, maschio; Es, esemplare.
Tabella 4.8. Struttura e composizione delle aggregazioni in Sudan. Nd, non determinato; F, femmina; Es,
esemplare.
74
Discussione
La posizione geografica dei siti di studio, l’isola di Malpelo e i reef sudanesi, ha
ulteriormente confermato la teoria secondo la quale le aggregazioni di Sphyrna lewini non
sarebbero distribuite in maniera casuale negli oceani, ma si concentrano spesso vicino a catene
montuose sottomarine e a isole oceaniche, siti considerati hotspot per la biodiversità pelagica
(Worm et al., 2003) (Fig. 5.1).
Fig. 5.1. Planisfero riportante la distribuzione delle dorsali oceaniche.
(www.en.wikipedia.org/wiki/Mid-ocean_ridge).
In entrambi i siti, le aggregazioni evidenziano una struttura polarizzata. Gli esemplari si
muovono insieme con una direzione comune, mantengono distanze interindividuali piccole e
costanti e cambiano simultaneamente direzione dei loro spostamenti (Klimley, 1983).
Attraverso la tecnica della stereofotografia, Klimley (1983) è riuscito a misurare la
dimensione degli esemplari e a dimostrare che le aggregazioni sono composte da individui di
diversa taglia. Benché durante le nostre analisi non siano state utilizzate strumentazioni atte a
rilevare la lunghezza degli individui, è stato comunque possibile confermare, almeno per quanto
riguarda i gruppi del Pacifico, la presenza di squali di dimensione diversa. La discriminazione tra
gli individui giovani e adulti, infatti, risulta evidente anche dalla sola osservazione dei video. Nei
reef sudanesi, invece, le aggregazioni appaiono molto più omogenee, composte principalmente da
individui adulti di taglia similare.
75
Secondo Klimley (1985) le aggregazioni sono costituite principalmente da femmine, con
un rapporto numerico tra i due sessi, spesso, anche molto sbilanciato. Nel 1981 il ricercatore ha
osservato che le femmine superavano i maschi con un rapporto di 6.1 a 1. Apparentemente, però,
i gruppi studiati a Malpelo sono composti principalmente da maschi, infatti dei 12 analizzati, 9, di
cui 6 certi, sono costituiti da una maggioranza di maschi; solo 1 da una maggioranza di femmine,
mentre 2 da un numero uguale di individui dei due sessi, ma in entrambi i casi l’identificazione
non è stata completa. Chiaramente i nostri risultati, essendo frutto di una spedizione di soli 6
giorni, non possono essere considerati come definitivi. Inoltre, bisogna considerare che, durante
l’identificazione del sesso, la presenza degli pterigopodi rende immediato il riconoscimento di un
maschio, mentre non è altrettanto facile per le femmine. Quando si osserva un esemplare, che
apparentemente non mostra gli pterigopodi, non si ha mai la certezza che sia una femmina,
potrebbe essere, infatti, un maschio i cui organi sessuali non sono molto visibili a causa della
distanza di avvistamento o di riprese video non esaustive. Si tende, perciò, ad identificare una
femmina solo quando questa nuota molto vicino all’osservatore, portando così, indirettamente, a
una sex ratio sbilanciata a favore dei maschi. Nei reef sudanesi, invece, è stato possibile sessare
solo 4 esemplari, un numero troppo basso per poter fare qualsiasi tipo di analisi. La causa di
questo insuccesso è stata principalmente dovuta al fatto che gli squali nuotano molto distanti
dall’osservatore e inoltre, immergendosi ad una profondità media di 49 metri, il tempo di
permanenza sott’acqua è molto ridotto. Gli unici esemplari che siamo riusciti a sessare sono
individui denominati, dai ricercatori Rezzolla e Storai (in preparazione), “sentinella”. Questi squali
precedono l’arrivo delle aggregazioni e si avvicinano notevolmente ai subacquei, compiendo
anche diversi giri di perlustrazione. Successivamente si allontanano, per poi ricomparire col
gruppo. Questo comportamento finora è stato osservato solo nelle acque sudanesi, rendendo,
così, le aggregazioni del Mar Rosso del tutto peculiari.
A Malpelo gli squali martello si stratificano orizzontalmente, nuotando mediamente alle
stesse profondità. Quando i gruppi sono poco numerosi (N < 12) gli esemplari mostrano una
tendenza a disporsi quasi in fila indiana; in aggregazioni più grandi, invece, gli esemplari si
addensano al centro mantenendo distanze interindividuali anche minori di un metro, mentre solo
pochi individui si dispongono in testa e coda. Klimley (1985) aveva osservato, nel Pacifico, che gli
squali di grande taglia si posizionano al centro del gruppo. Anche noi a Malpelo abbiamo
osservato una lieve segregazione dimensionale, ma con la differenza che gli individui più grandi si
trovano spesso alla base delle aggregazioni, considerazione che lo stesso ricercatore Klimley
(1983) aveva riportato due anni prima.
In Sudan abbiamo osservato sia gruppi stratificati verticalmente che orizzontalmente, ma con una
tendenza maggiore da parti degli esemplari a distribuirsi a diverse profondità. Apparentemente
76
non sembra vi sia una segregazione dimensionale, almeno non così marcata come quella nel
Pacifico dove i gruppi appaiono molto più omogenei.
I comportamenti agonistici descritti da Klimley (1985) sono stati ampiamente osservati
durante i 6 giorni di raccolta dati a Malpelo. Quelli rilevati più frequentemente sono stati: “Tursothrust” ed “Head-shake”, a seguire “Acceleration” e “Hit”. Klimley (1985) aveva osservato, tra i
pochi squali che era riuscito a sessare, che le femmine erano quelle che eseguivano le movenze
“Head-shake” e “Cork-screw”, mentre i maschi “Turso-thrust”. Le nostre analisi, però, mostrano che
sono solo gli esemplari maschi ad eseguire i comportamenti agonistici; occorre tuttavia
considerare che non si è riusciti ad identificare il sesso di tutti gli esemplari coinvolti in queste
esibizioni.
Per quanto riguarda il Sudan, invece, sembra più complesso rilevare relazioni di dominanza e
subordinazione tra gli individui, l’unica movenza osservata, infatti, è stata “Give-way”, che tra
l’altro è anche quella meno significativa, in quanto è stata eseguita da due squali leggermente
staccati dal gruppo centrale. Lo stesso ricercatore Klimley (1985) aveva scritto che è un
comportamento molto raro da osservare poiché risulta difficile che all’interno del gruppo ci siano
esemplari che possano collidere, visto che gli squali nuotano in una direzione comune. Alla luce
di queste considerazioni, il “Give-way” rilevato in Sudan potrebbe essere considerato un dato di
minore importanza, mentre è sicuramente più significativo riscontrare che i comportamenti
agonistici in Mar Rosso non sono molto frequenti.
Esiste inoltre una differenza molto marcata tra i due siti di studio per quanto riguarda
l’importanza che assumono le nostre valutazioni, relative alla corrente, sulla possibilità di
avvistare i gruppi. A Malpelo l’utilizzo dei protocolli di immersione, atti ad identificare il sito di
aggregazione, erano del tutto superflui, infatti gli squali venivano osservati sia in presenza di
corrente debole che in presenza di corrente forte. In Sudan, invece, l’analisi della forza e della
direzione della corrente risulta fondamentale per riuscire ad osservarli, poiché le aggregazioni
compiono i loro movimenti point-to-point nel versante del reef maggiormente interessato dalla
circolazione di masse d’acqua. Inoltre in Mar Rosso è altrettanto importante offrire il minor
impatto visivo per evitare l’allontanamento degli squali.
77
Conclusioni
Le aggregazioni presenti in Sudan mostrano molte difformità rispetto a quelle del
Pacifico. Queste differenze sono state dedotte a partire dalle osservazioni sul campo e confermate
grazie a una minuziosa ricerca bibliografica. La divergenza più evidente riguarda proprio il ruolo
determinante della corrente, nei reef sudanesi, nel permettere l’avvistamento degli animali. Per
quanto riguarda la composizione e la struttura delle aggregazioni, in Mar Rosso i gruppi appaiono
molto più omogenei, sia per quanto riguarda la disposizione che le dimensioni degli esemplari.
Apparentemente i comportamenti di dominanza e subordinazione che si attuano tra gli individui
non sono così frequenti come nel Pacifico, tanto da lasciar pensare che vi siano, alla base dei
modelli aggregativi, funzioni totalmente diverse tra i due siti. Si potrebbe ritenere, vista la
frequenza con la quale gli squali attuano comportamenti agonistici verso altri esemplari, che nel
Pacifico le aggregazioni abbiano principalmente una funzione sociale. In Mar Rosso, invece,
questi comportamenti sono poco frequenti, mentre risulta molto importante il ruolo giocato dai
parametri ambientali, tanto da far pensare che, in Sudan, la causa principale che porta gli squali ad
aggregarsi sia quella di ottimizzare l’output energetico, più che le altre funzioni descritte da
Klimley (1983). Infine, solo in Mar Rosso è presente l’esemplare “sentinella”, la cui funzione è
ancora oggetto di ricerca scientifica, ma la sua esistenza è ormai confermata.
Lavorare su Sphyrna lewini, così come su molte altre specie di elasmobranchi, è piuttosto
complesso. Gli animali non sono sempre osservabili a basse profondità, come per esempio
accade a Malpelo, e questo crea grandi limiti per le ricerche. Nel Pacifico la ricercatrice Sandra
Bessudo e i suoi colleghi (2011) sono riusciti, in apnea, ad attaccare dei tag satellitari sul corpo di
alcuni esemplari di Sphyrna lewini, riuscendo così a studiarne gli spostamenti. In Sudan, purtroppo,
non è stato ancora possibile realizzare uno studio simile poiché gli esemplari vengono osservati a
profondità molto più elevate e poichè nella maggior parte dei casi gli squali non si avvicinano
tanto quanto a Malpelo.
In conclusione le nostre ricerche, più che dirimere le diverse questioni ancora aperte,
hanno permesso di formulare nuovi interessanti quesiti sui quali sarà necessario focalizzare
l’attenzione nel corso delle prossime spedizioni. Sono moltissimi, infatti, gli aspetti etologici di
Sphyrna lewini che ancora rimangono ignoti al mondo scientifico e i nostri risultati, mettendo in
luce una possibile variabilità comportamentale legata a siti di aggregazione differenti, consentono
una visione più chiara e allo stesso tempo suggeriscono nuove indagini da effettuare su questa
specie.
78
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Ringraziamenti
Innanzitutto desidero ringraziare il mio correlatore Danilo Rezzolla, non solo per avermi
permesso di partecipare alle sue ricerche, ma perché è grazie alla stima, alla disponibilità, al
rispetto e all’amicizia che mi ha dimostrato durante tutto quest’anno che la mia esperienza di
tirocinio è stata impareggiabile.
Desidero ringraziare, inoltre, il Prof. Bonasoro, relatore di questa tesi, per la grande
disponibilità e cortesia dimostratemi, e per tutto l’aiuto fornito durante la stesura. Vorrei, poi,
esprimere la mia sincera gratitudine al Dott. Storai che è stato presente durante tutta la stesura
del mio elaborato, sempre pronto a dirimere i miei dubbi e a darmi preziosi consigli.
Un ringraziamento particolare va anche al Dott. Mariani senza il quale non avrei mai avuto
la possibilità di intraprendere questo percorso. Un grazie va anche all’Acquario e Civica
Stazione Idrobiologica di Milano, in particolare alla Dott.sa Ancona, persona sempre molto
cortese e professionale.
Un pensiero di ringraziamento è diretto anche a Marco Angelozzi, Vittorio Gabriotti e
Compagnia del Mar Rosso per avermi permesso di inserire alcune immagini di loro proprietà.
Un grazie speciale a tutti quegli amici che in qualche modo hanno contribuito alla stesura di
questa tesi e ai miei compagni di avventura, sia quelli di Malpelo che del Sudan, grandi persone
e super subacquei!
E come dimenticare i miei insostituibili amici Kikka, Paolo ed Eli… i miei tre correttori
ufficiali di bozze. Ormai a forza di cercare possibili errori, conoscono a memoria il life history di
Sphyrna lewini… Un grazie speciale a Giacomo non solo per avermi aiutato nelle analisi dei
dati, nella stesura dell’elaborato e nella revisione finale, ma anche perché mi ha sopportata e
incoraggiata sempre con tanto, tanto amore.
Ed infine il mio ultimo ringraziamento è per i miei Genitori. Inutile dire che è solo merito loro
se oggi sono qui a scrivere l’ultima frase della mia tesi… GRAZIE!
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osservazioni sperimentali su sphyrna lewini