Mensile di informazione
e approfondimento sociale
N. 67 Anno 6 - 1 Dicembre 2015 - ¤ 1,00
Primo Piano pag. 3
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Dal Mondo
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Cooperativa Sociale ONLUS
Disabili che lavorano... Bene!
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Buone Notizie
Bologna
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pag. 6
viaggio
in iran
Curiosità
pag. 18
COPIA OMAGGIO
UN NATALE
LUMINOSO
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Primo Piano
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1 Dicembre 2015
CAMST: salute e tradizione
nella ristorazione italiana
www.buonenotiziebologna.it
Incontriamo Antonella Pasquariello (nella foto) la Presidente della cooperativa,
presso la sede legale, e dopo calorosi saluti, accompagnati dal tradizionale caffè
di metà mattina, iniziamo l’intervista.
preme sottolineare è che il cibo
dev’essere buono, deve essere
cucinato e servito in ambienti puliti,
deve essere rispettata la sostenibilità ambientale, fondamentale
sia per noi sia per le generazioni
future, e i contratti degli operatori
del settore devono esserci e devono
rispondere a criteri di giustizia e
tutto il lavoro deve essere svolto
nel rispetto delle regole. Non
è scontato che ciò avvenga nel
settore a cui fai riferimento. C’è da
aggiungere che la varietà dell’offerta di questi piccoli operatori, ci
stimola al confronto, per conoscere
e riproporre piatti tipici delle varie
tradizioni culinarie ormai presenti
in una società multietnica come
la nostra. Nei nostri ristoranti self
service “Tavolamica” produciamo il
kebab e il cous cous, per far conoscere e integrare culture diverse.
Ormai tutti sanno cos’è la Camst,
ma facci ugualmente una sintesi
di cos’è oggi questo colosso della
ristorazione italiana?
Abbiamo 12 mila dipendenti di cui il
76% è costituito da Soci, con l’86%
di donne e l’80% lavora part-time. Il
nostro slogan è “Persone che fanno
grande la ristorazione”. Persone
sono i nostri lavoratori, i nostri
soci, ma lo sono anche clienti,
fornitori, banche e quanti contribuiscono a rendere possibile il nostro
business. CAMST oggi è una delle
maggiori imprese di ristorazione
in Italia, perché ci collochiamo nei
primi posti, siamo presenti in tutte
le regioni del centro e del nord con
sette sedi territoriali, con cui svolgiamo un lavoro che sia rispettoso
delle tradizioni del territorio e che
esprima il nostro principio base
che afferma: le persone devono
stare al centro. Siamo gli unici in
Italia a possedere una piattaforma
distributiva con cui manovriamo le
nostre materie prime che acquistiamo direttamente dai produttori. Quindi siamo attenti da un
lato al profitto economico necessario al benessere dell’azienda,
dall’altro alla qualità delle materie
prime, perché nei nostri protocolli
abbiamo la visita diretta dei nostri
buyer (acquirenti – ndr) ai produttori. Acquistiamo materie prime di
qualità con cui produciamo pasti
per aziende, scuole, mense del
servizio sanitario, locali pubblici.
Sono 250 mila le persone che tutti
i giorni mangiano in CAMST!
Oggi è cresciuta la necessità di
mangiare fuori casa e ogni 50 metri
c’è qualcuno pronto a venderti
cibo. Come siamo messi con tale
distribuzione di cibo pronto per
essere mangiato? Che qualità ha?
Non entro nel merito di un’analisi nutrizionale. Ma quello che mi
Adesso si possono commercializzare come cibo gli insetti in Europa,
cosa ne pensi?
(Ride divertita) Qualcuno ha detto
che siamo molto avanti. In effetti
serve per abbattere delle barriere
culturali. Sono stata all’Expo e
volevo mangiare qualcosa d’insolito. Mi sono trovata davanti a una
lunga fila e ho chiesto a un ragazzo
cosa si mangiasse e lui mi ha detto
che aveva comprato l’hamburger
di coccodrillo, che costava un bel
po’ ma era l’occasione di mangiare
qualcosa che in Europa non si trova.
L’integrazione va praticata anche a
tavola. Le persone che non sono
disponibili ad assaggiare cibi nuovi
dimostrano più rigidità culturale.
È anche vero che noi emiliani
abbiamo una cucina di straordinaria bontà, tale da far venir meno
la voglia di novità esotiche! Nelle
nostre mense scolastiche sono
aumentate le diete diversificate per
motivi di salute ma anche per motivi
etnico religiosi: niente maiale per i
musulmani, ma addirittura a Roma,
dove gestiamo alcune mense,
forniamo pasti rispettosi della
cucina ebraica che impone alcune
regole alimentari molto precise.
Ormai il 20% dei pasti scolastici è
fatto secondo diete speciali.
Hai detto che vi rifornite dal produttore, quali sono le modalità?
Sono due, la prima consiste nel
ritiro della merce da parte degli
autotrasportatori che la prelevano
dal produttore per poi trasferirla
in magazzino. Nella nostra piattaforma distributiva (che è un magazzino di 25 mila metri quadri all’interno dell’Interporto di Bologna,
realizzato con tecniche che garantiscono la sostenibilità ambientale)
depositiamo le forniture di 3.600
produttori accreditati, di cui 350
biologici. Quando consegniamo
la materia prima ai nostri locali,
cerchiamo di far viaggiare i camion
sempre pieni, per fare meno viaggi
e rispettare l’ambiente; quindi
cerchiamo di individuare in quei
luoghi fornitori da cui ritirare la
merce, affinché lo stesso camion sia
pieno all’andata e al ritorno.
La seconda modalità riguarda forniture dirette ai locali da parte dei
produttori, ma è chiaro che non
andiamo dal piccolo contadino,
perché produce piccole quantità
che non soddisfano il nostro fabbisogno. Inoltre abbiamo bisogno di
una standardizzazione del prodotto
e di una programmazione che lavorando col piccolo produttore non
riusciamo a ottenere. Noi riusciamo
a proporre prodotti diversi da un
punto vendita all’altro, con prodotti
IGP, DOP, ma è impossibile lavorare
con la miriade di piccoli contadini.
L’Italia ha una tradizione di esportazione nel settore metalmeccanico. Voi pensate di esportare i
prodotti alimentari della vostra
azienda?
Abbiamo già una società in
Germania che fattura 50 milioni di
euro, acquisita circa dieci anni fa.
Un operatore tedesco voleva realizzare un punto vendita di prodotti
alimentari italiani. Nel mondo
la cucina italiana ha la nomea di
essere saporita e sana, è un bel
binomio che dovremmo sfruttare
meglio. Nel tempo abbiamo acquisito il 60% di questa società che
abbiamo sviluppato con successo.
Stiamo pensando ad altri progetti
per espanderci in Europa. Il mercato
globale impone di andare all’estero.
In Italia nel settore alimentare sono
presenti società multinazionali che
ci obbligano a confrontarci con loro
e andare all’estero ci consente di
acquisire quella cultura d’impresa
che ci rende competitivi anche sul
mercato domestico.
La vetrina dell’Expo ha aiutato
questo processo di internazionalizzazione dell’industria alimentare
italiana?
Ho sentito alcuni operatori molto
soddisfatti per i risultati ottenuti
in termini di relazioni e apertura
ad altri mercati. Quello che non ho
visto è il contenuto. Sono stati fatti
dei proclami su temi che poi non
sono stati sviluppati. Il parco della
biodiversità è stato collocato in
un punto in cui non passava quasi
nessuno! Per me il tema centrale
doveva essere quello della sostenibilità rispetto al cibo e francamente
non l’ho visto sviluppare. Mi è
piaciuto il padiglione del Kazakistan,
perché dava l’interpretazione di
quel paese sulle tematiche legate
al cibo. Ma complessivamente poca
roba. Sono andata al padiglione dei
vini italiani, 1.200 etichette, dove
si potevano degustare tre vini per
dieci euro. A un certo punto ho
chiesto a un sommelier informazioni su un’etichetta, ma lui non ha
saputo dirmi niente. Non c’era un
archivio per trovarla? E se io avessi
voluto bere proprio quel vino?
Per non parlare dei prezzi esagerati! Sono abbastanza alterata da
questo evento, poi spero che porti
al Paese tantissimo bene. E i visitatori? Almeno il 50% era costituito
da studenti. Io vorrei vedere i conti
del bilancio... Le maestre elementari che accompagnavano i bambini
per una giornata intera erano delle
sante! I numeri vanno poi interpretati correttamente.
Pensate di espandervi in Cina?
Pensiamo solo all’Europa. La Cina
è un Paese molto lontano, anche
culturalmente. Hanno un modo di
fare molto diverso e per noi diventa
complicato agire.
Maurizio Cocchi
In Redazione Ugo De Santis
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Primo Piano
1 Dicembre 2015
Impronta Etica, Una rete di imprese
Impronta Etica è un’associazione
senza scopo di lucro per la promozione e lo sviluppo della sostenibilità e della responsabilità
sociale d’impresa (RSI). Nasce nel
2001 dalla volontà di 7 imprese
emiliano-romagnole già impegnate su questo fronte e testimoni
dell’attenzione del mondo cooperativo verso il tema. Nel tempo
l’associazione si è ampliata arrivando a riunire oggi 27 imprese
socie, rappresentati di settori e
dambiti di attività diversi: ANCD,
CADIAI, Camst, CCC-Consorzio
Cooperative Costruzioni, CMB,
Coesia, Conad, Coop Adriatica,
Coop Ansaloni, Coop Consumatori
Nordest, Coopfond, Emil Banca,
Granarolo, Gruppo BPER, Gruppo
Hera, Gruppo Unipol, Homina
Srl, IGD Siiq, IMA, Indica Srl,
Manutencoop,
Mediagroup98,
Nordiconad, Obiettivo Lavoro,
Open Group, Romagna AcqueSocietà delle Fonti Spa, SCS
Consulting.
Impronta Etica mira a favorire lo
sviluppo sostenibile in Italia e
in Europa, fungendo da stimolo
per le imprese socie a tradurre la
propria tensione all’innovazione
verso esperienze di competitività
sostenibile. Il principale obiettivo
è mettere in rete i soci - fra loro
e con i diversi attori che partecipano al dibattito sulla responsabilità sociale (mondo accademico,
soggetti istituzionali, imprese, ecc.)
- e coinvolgerli in modo attivo nei
network internazionali che trattano
di sostenibilità e RSI. In Italia, negli
ultimi 10 anni, imprese (cooperative e private), il non profit, ed
in particolare le fondazioni, enti
pubblici e public utilities hanno
maturato esperienze eccellenti nel
campo della responsabilità sociale,
che proprio il networking ha saputo
valorizzare e rendere più efficaci.
L’associazione si pone, inoltre, la
finalità di partecipare e contribuire
al dibattito europeo sui temi della
RSI, fungendo così da antenna a
livello nazionale rispetto alle priorità e alle iniziative che si sviluppano in Europa. Con questo fine,
nel 2002, Impronta Etica è divenuta
una delle organizzazioni partner
del CSR Europe, associazione europea che riunisce imprese e organizzazioni non profit per la diffusione
della RSI.
Per un’impresa, partecipare alle
attività di Impronta Etica significa: prendere parte ad una rete
di imprese italiane fortemente
impegnate nelle pratiche di
sostenibilità, con la possibilità di
scambiare esperienze e costruire
un percorso di crescita comune;
essere aggiornati sulle nuove
tendenze e sull’evoluzione dello
scenario istituzionale italiano ed
europeo in materia di RSI; essere
in relazione con i diversi attori
che partecipano al dibattito sulla
responsabilità sociale e acquisire
nuove conoscenze pratiche e
spunti innovativi sul tema.
Al fine di perseguire i propri
obiettivi, Impronta Etica svolge
una costante attività di informazione e aggiornamento sui
temi della responsabilità sociale
(attraverso il sito web, newsletter periodiche, social media ed
eventi) ed elabora contenuti
specifici su ambiti di particolare
interesse per i soci realizzando
ricerche e pubblicazioni, molto
spesso messe a disposizione
anche ai non soci (attraverso
la pubblicazione sul sito internet dell’associazione). Impronta
Etica è stata negli anni partner in
diversi progetti europei, dove ha
portato le proprie competenze
ed esperienze. Inoltre supporta i
soci in percorsi di miglioramento,
offrendo loro la possibilità di accedere a servizi adeguati alle proprie
esigenze, in particolare attraverso
attività di formazione interna,
assessment, benchmarking, laboratori di sperimentazione per
realizzare progetti condivisi. Crea
un network tra imprese e organizzazioni, che intendono l’impegno
sociale come parte essenziale
della propria missione e si attivano in pratiche di responsabilità
sociale, sia a livello nazionale
sia a livello europeo e internazionale. Opera infine per individuare, valorizzare e diffondere
le esperienze eccellenti maturate
nel campo della RSI, organizzando
momenti di confronto e scambio
sia tra le aziende associate sia
con imprese esterne all’associazione per l’approfondimento di
buone prassi, sia con esperti del
settore.
Il modello che guida le riflessioni
dell’associazione è quello della
“creazione di valore condiviso”
sviluppato da M. Porter e M.
Kramer. Impronta Etica e i suoi
soci si riconoscono nella tesi di
Porter secondo cui la competitività di un’impresa e il benessere della comunità circostante
sono strettamente interconnessi. L’impresa contribuisce a
promuovere il progresso sociale
e, quindi, a creare valore condiviso, sia economico sia sociale,
costruendo
infrastrutture
o
accrescendo le conoscenze e le
competenze sul territorio in cui
opera, migliorandone in questo
modo la produttività, l’innovazione e la competitività. Per
fare questo, le imprese devono
creare o rafforzare il legame con
il territorio e le comunità che le
circondano in una logica di partnership in modo tale da permettere un incremento del progresso
sociale. Il modello della creazione
di valore condiviso è alla base
delle recenti ricerche elaborate
da Impronta Etica e dei percorsi
che sta sviluppando con i soci.
a cura di Impronta Etica
www.buonenotiziebologna.it
L’associazione che favorisce e promuove la Responsabilità Sociale d’Impresa
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Change Your Life
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1 Dicembre 2015
LOGISTICA ALIMENTARE DI QUALITÀ
Sede Legale e Amm. - Via Emilia, 369 - 40011 Anzola dell'Emilia (BO)
w w w. u n i l o g gro u p. i t
Un augurio per il 2016: Speranza e
Fiducia, due sentimenti da ritrovare
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Papa Francesco ha detto che
dobbiamo riscoprirci portatori di
speranza, capaci di nuove sfide,
nuove attività, esperienze ed
occasioni di crescita e di incontro
da condividere e raccontare,
tenendo presenti le profonde
trasformazioni
culturali
della
società contemporanea.
Ogni volta che inizia un nuovo anno,
le speranze e i desideri sono molti,
così come i timori e le paure. Ma da
più parti ci spronano a ritrovare la
speranza.
Che cosa è la speranza? È uno stato
d’animo che ci accompagna in ogni
momento della nostra vita e che ci
aiuta anche per piccole cose, come
quando da ragazzi si doveva fare
un compito in classe, o quando
più avanti abbiamo sperato che
la persona che amavamo non ci
lasciasse mai.
Poi con il passare degli anni ci sono
speranze più difficili da esercitare,
come di guarire da una grave
malattia, o quella di far vivere
sereni i nostri figli, o di invecchiare
serenamente, senza la paura del
domani e della solitudine.
Ogni momento della giornata
si formano dentro di noi delle
piccole speranze anche solo
per stupidaggini perché ti senti
più rassicurato quando hai una
speranza. Si spera in tante cose e
senza le speranze che ci rendono
un po’ più felici i nostri sogni
andrebbero in fumo e le nostre
giornate sarebbero molto più tristi.
In un certo senso è come se la
speranza fosse una specie di sogno
ad occhi aperti che come i sogni
vive solo se c’è dentro di loro la
speranza.
Noc Energy
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Quando si fanno esprimere i
desideri ai bambini nella lettera a
Babbo Natale è un modo per incitarli
a sognare ed a non smettere mai di
farlo perché senza speranza e senza
sogni anche noi iniziamo un po’ a
morire. Crescendo, invece, si inizia
a sperare tante cose più concrete e
serie come sperare in un maggiore
guadagno economico e per fortuna
anche i dati di previsione sul futuro
economico italiano alimentano
la speranza in un anno migliore,
perché l’Ocse ha alzato le stime
sulla crescita dell’economia italiana
e promosso il Jobs Act del governo
che dovrebbe portare lavoro a tanti
che oggi lo cercano senza risultato.
I dati economici quindi ci dicono
che stiamo uscendo dalla crisi che
ha investito l’intero Occidente, e
questo di deve spingere a ritrovare
insieme alla speranza anche la
fiducia. La fiducia incoraggia gli
investimenti e dà le ali ai segnali di
ripresa economica perché senza un
ritrovato e diffuso atteggiamento
di fiducia il Paese non potrà
ripartire. Scommettere sul futuro
esige fiducia e l’incoraggiamento
a fidarsi non potrà che venire da
comportamenti virtuosi e da una
lotta senza quartiere alla corruzione
e all’evasione fiscale, due tarli che
rodono il bene comune e inquinano
le possibilità di crescita di ciascuno
e di tutti.
L’insistenza con cui Papa Francesco
condanna questi mali, specialmente
quello pervasivo della corruzione,
è un segnale offerto a tutti per
interventi preventivi e repressivi,
oltre che per una più generale
opera di educazione all’onestà,
come premessa di vita sana e retta
per l’intera società.
Infine però alla fiducia e alla
concretezza operativa occorre
unire una grande e perfino
audace progettualità: non si tratta
di favorire una fiera dei sogni
o un mercato delle promesse
destinate a restare tali. Occorre
serietà,
studio,
applicazione
intelligente e volenterosa, per
scrutare l’orizzonte, intuire i campi
dell’innovazione e intervenire in
essi con progetti ben costruiti e
tali da rispondere efficacemente
alle esigenze della collettività.
Occorrono idee e persone capaci
di pensare in grande, mantenendo
i piedi a terra, ben radicati nelle
urgenze vere e nelle possibilità
effettive.
I grandi che hanno operato la
ricostruzione postbellica, da De
Gasperi a Schuman e Asenauer,
hanno saputo operare così, con
progetti audaci, ma necessari e
possibili, agendo con sobrietà,
giustizia, fede e spirito di sacrificio.
AUGURI PER UN 2016 PIENO
DI SPERANZA E FIDUCIA !!!
Rita Rambelli
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Letture a Volontà
1 Dicembre 2015
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Libri da scoprire
IL CANTO DEGLI INNOCENTI DI
PIERGIORGIO PULIXI
(E/O, 2015) € 15,00
A novembre la libreria Ambasciatori
ha ospitato gli autori finalisti del
Premio Franco Fedeli XI edizione
dedicato alla narrativa poliziesca.
Queste le motivazioni della giuria
che hanno premiato Piergiorgio
Pulixi: “La trama avvincente e ricca
di colpi di scena genera suspense
fino all’ultima pagina. Attraverso
la tecnica narrativa del monologo interiore, l’Autore penetra
nelle problematiche del mondo
adolescenziale, esposto per la sua
fragilità a manipolazioni e condizionamenti di ogni genere. Tutti i
personaggi sono ben caratterizzati.
In particolare lo è il protagonista,
umano, sensibile, tormentato,
eppure capace, grazie alle sue brillanti intuizioni, di portare a termine
un’indagine complessa e delicata”.
LE MUTAZIONI DEL SIGNOR ROSSI
DI NANDO PAGNONCELLI
(EDB EDITORE, 2015) € 16,00
“Mi occupo di sondaggi dalla metà
degli anni Ottanta. E se dovessi
riassumere il senso del mio lavoro
direi che cerco di “sentire il polso”
del Signor Rossi, lo straordinario personaggio uscito nel 1960
dalla matita del fumettista Bruno
Bozzetto”. Così il sondaggista
Nando Pagnoncelli racconta la sua
attività raccolta in questo libro e
continua così: “Anche se molte
persone attribuiscono ai sondaggisti la sfera di cristallo e la capacità
di anticipare il futuro, non diversamente da ciò che spesso accade ai
meteorologi, fare rilevamenti statistici significa, in fondo, capire che
cosa pensa il Signor Rossi e come
nel corso del tempo ha cambiato,
non sempre in meglio, non sempre
in peggio, le sue abitudini e i suoi
comportamenti”.
LA PIMPA VA A BOLOGNA DI ALTAN
(FRANCO COSIMO PANINI, 2015) € 6,50
Benvenuti a Bologna, città delle
torri e dei lunghi portici e della
gustosa cucina conosciuta in tutto
il mondo! All’interno della collana
“Città in gioco”, tante guide colorate e semplici da leggere e giocare.
Pagine ricche di giochi, cartoline,
adesivi, percorsi di esplorazione e
tante curiosità sulla città e le sue
tradizioni... In ogni guida, Pimpa
incontra un personaggio legato alla
storia della città, racconta i mestieri
di una volta e svela la ricetta di un
piatto tipico. Anche i piccoli cittadini si stupiranno nel trovare nuovi
scorci attraverso cui conoscere la
propria città! Le gite della Pimpa si
trovano anche in Inglese.
KEEP CALM E PASSEGGIA PER
BOLOGNA DI PERUGINI MARIA
GRAZIA
(NEWTON COMPTON, 2015) € 9,90
Chi la visita impara presto che
di cose da scoprire ce ne sono
veramente tante, sebbene non
si offrano immediatamente e
in modo sfacciato allo sguardo.
Bisogna avere un po’ di pazienza
e di curiosità, rallentare il passo
e tenere gli occhi ben aperti:
allora Bologna abbandonerà la
sua ritrosia e mostrerà finalmente
tutte le sue bellezze. Questa guida
propone trenta percorsi da fare a
piedi per conoscere la città con
calma, girando in lungo e in largo
uno dei centri storici più estesi e
ben conservati d’Italia, facendo
anche qualche incursione fuori
dalla cerchia delle mura, per
vedere quello che ci riserva la
periferia o la bellissima campagna
circostante, con le sue colline e i
parchi.
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consigliati dai librai di librerie.coop
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Dal Mondo
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1 Dicembre 2015
I MIEI giorni in Iran
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Prima Parte: Cahier de Voyage
Prima di partire mi sono successe
tre cose. La segretaria dell’Associazione che ha organizzato il viaggio
di gruppo mi ha telefonato per
conoscere il nome di mio padre. “E’
morto da vent’anni”, ho risposto.
Ma senza non sarei potuta partire
per l’Iran. Sono dovuta andare a
depositare le impronte digitali e
il passaporto. Mi sono trovata di
fronte a due scuole di pensiero degli
amici. La prima diceva: ”L’Iran? E
perché mai? E’ troppo pericoloso”.
La seconda: ”Che bello e alternativo! Ti invidio”. A volte, basta poco
per sapere con chi abbiamo a che
fare. Sono andata per motivi culturali, storici, artistici, spirituali, fisici.
Viaggio come pellegrinaggio di
conoscenza, come modo di capire
meglio se stessi e gli altri.
L’Iran è fra Occidente e Oriente,
fra passato e presente, fra antico e
moderno. E’ un paese vasto cinque
volte l’Italia, con paesaggi svariati,
dalla montagna al deserto, dalle
palme agli olivi e viti ai cespuglietti
spinosi, alla sabbia. Paese di grandi
distanze, con duemila siti archeologici. Ci sono molte differenze fra
città e villaggi di campagna. Per dire
tutto ciò che ho sentito dalla nostra
guida, dovrei scrivere un libro
intero, e non mi sembra il caso!
Abbiamo tutti dei pregiudizi, e
preferisco saperlo, per poi poter
lottare contro di essi. Non è vero
che le Donne iraniane non possono
truccarsi, tingersi i capelli, mettere
lo smalto. Ma è vero che devono
tenere sempre in testa il “velo”,
da cui si intravedono i capelli, che
mortifica. Così come le turiste,
anche al ristorante. E dato che
qui il riscaldamento è sempre al
massimo, nell’aeroporto, nelle
camere d’hotel, nei ristoranti, (
sarà perché hanno il petrolio?), a
me il “foulard”, come lo chiamo
io, dava un grande fastidio. I
miei capelli ribelli non sopportano alcuna restrizione ed avevo
un gran caldo. Gli abiti devono
coprire collo, braccia, gambe e non
devono vedersi le forme del corpo.
Insomma, coprire capo e culo! Mi
viene in mente un aggettivo sintetico di un’amica staffetta partigiana
sugli uomini: “prepotenti”. Qui le
Donne sono più occidentalizzate e
hanno maggiori libertà in confronto
ai paesi dell’Islam. Le ho viste
guidare, ma poche. Non ho notato
Supremo, anche se fanno parte di
minoranze religiose. Le generazioni
dai cinquanta ai settant’anni sono
in frattura con le giovani, perché
hanno vissuto sotto lo Scià, quando
c’era ricchezza economica.
Non è vero che non viene usata
la carta igienica (anche se a volte
non c’è), perché la tradizione islamica vuole che ci si lavi. Infatti,
ogni gabinetto, che di solito è
alla turca è munito di rubinetto
d’acqua. Ho visto a volte insieme
nello stesso stanzino tazza e
gabinetto alla turca.
le parrucchiere, perché sono nascoste nelle case, ma le locali sanno
dove trovarle. Lavorano fuori casa,
fanno carriera e hanno rappresentanti in Parlamento. Possono
esercitare qualsiasi mestiere, ad
eccezione di quello di giudice. Le
studentesse universitarie sono il
sessantacinque per cento. Hanno
tutti i diritti, anche di voto, ad eccezione di quello di diventare Capo
Non è vero che sono tutti talebani
fanatici. Il pubblico e il privato sono
diversi. Non è vero che sono tutti
terroristi con barba e baffi neri.
L’ospitalità è una caratteristica.
Solo il cinque per cento brucia
le bandiere americane, come
vediamo nei mass-media. Non è
vero che c’è da avere paura: mentre
giravo avevo una sensazione di
grande sicurezza, al contrario che
LA MINIERA DELL’USATO
Mercatino in conto vendita
Via Provinciale Nord, 18/E | 40050 Castello d’Argile (BO)
Email: [email protected]
Tel. 349 628 3328
La Miniera Dell’usato
in Italia. Non c’è la microcriminalità.
Non è vero che sono arretrati nelle
tecnologie. Di sicuro fanno selfie
molto, molto più di noi!
Non è vero che non si possono
mangiare insalate e verdure perché
l’acqua è inquinata: ne ho mangiate
a iosa e sono stata bene!
La differenza di orario fra noi e l’Iran
è di due ore e mezzo. Esempio: se in
Italia sono le 15, a Teheran sono le
17,30. Intorno alle 17 è quasi buio.
La moneta è il rial, ma facilmente
vengono accettati gli euro; un euro
corrisponde a circa cinquantamila
rial. La lingua ufficiale è il farsi,
scritto con caratteri arabi. Si scrive
da destra a sinistra. L’inglese è
diffuso. E’ un paese ricco di petrolio e di tutto, ma la situazione
è peggiorata con la Rivoluzione
Islamica del 1979 di Khomeini. Oggi
il popolo soffre ma dignitosamente
non lo fa vedere.
Che bello il tramonto che ho osservato dall’aereo da Roma a Teheran!
A strisce orizzontali rosse, nere,
cinestrine, rosa, celesti, nere. Le mie
vicine di posto, madre e figlia, sono
state le prime iraniane che ho visto:
truccate vistosamente, ossigenate,
col velo sulle gambe, prima di indossarlo alla discesa, gentili, sorridenti,
accoglienti, come tutte quelle che
incontrerò in seguito. Le iraniane
hanno enormi occhi belli e molto
bistrati. Forse lo fanno per valorizzare l’unica parte del corpo che
possono fare vedere. Da tempo non
notavo in giro tanti rossetti rosso
squillante, che adoro.
Nell’attesa dei bagagli è stato il
primo choccante colpo d’occhio su
tante donne tutte vestite di nero
da capo a piedi. In Iran è una specie
di perenne mostra di foulard di
ogni tipo: leggeri, pesanti, di lana,
di cotone, a righe, a quadri, con
fiori, di colori tenui o vivaci… Quali
segreti nascondono le Donne locali
sotto l’abito? Che cosa pensano
veramente? Quando ci scivolava
il foulard, non essendoci abituate,
c’era quasi sempre un uomo a farci
cenno di tirarlo su… Ho tentato di
parlare con qualche iraniana, con
fatica, per via della lingua. Ci sono
quelle che sono contente di portare
il chador perché sono religiose integraliste convinte. O sono cresciute
così fin da piccole, hanno visto la
mamma, ne va della loro identità.
Ci sono quelle che assumono un’espressione incerta e non felice, ma
non possono parlare. Se si ribellano,
le famiglie le abbandonano e non
trovano marito... E’ molto, molto
raro vedere girare una donna da
sola di sera. Ho visto una scolaresca con le bambine meravigliose
dal velo bianco e la maestra tutta
nera. Non esiste più il matrimonio “combinato” come un tempo,
tranne che nei villaggi tradizionali e
non è accettata la poligamia. Esiste
il divorzio. Il matrimonio “temporaneo” non è altro che una “prostituzione islamica”.
La capitale Teheran ha circa dodici
milioni di abitanti ed un traffico
terribile, con relativo inquinamento.
Molti girano con le mascherine. Il
pericolo maggiore è nell’attraversamento delle strade. Ci si butta dentro
e come va va… Non usano il casco,
non rispettano il rosso, i passaggi
pedonali sono rari, i motorini con
tettuccio passano sui marciapiedi
a velocità sostenuta… Ci sono tanti
taxi gialli e verdi e “collettivi”. Le auto
sono vecchie e scassate, da noi non
supererebbero la revisione, però
costano il doppio. Non c’è il “centro
storico” come lo intendiamo noi.
Abbiamo visitato il Museo archeologico, il Museo del vetro, ospitato
in un bel palazzo in stile Gujarat, il
Museo dei gioielli. In quest’ultimo
mi ha colpito un mappamondo fatto
di pietre preziose che disegnano
mari e continenti, più corone, scettri, specchi, ombrelli, casacche con
incastonati i gioielli più incredibili.
Il giardino naturalistico è ornato di
specchi, vetrate e cristalli come nelle
fiabe, con un gusto sovraccarico che
doveva mostrare la ricchezza del
sovrano di Persia. Nelle sale enormi
lampadari di vetro a goccia.
A Teheran di notte ci sono luci
forti all’americana. Sui muri vasti
murales. È nata nel Settecento, è
centro religioso, culturale, politico,
commerciale, nodo delle vie di
comunicazione. C’è un’importante
Università pubblica. Anche qui
esiste la “fuga dei cervelli”. I Palazzi
più vecchi sono dell’ Ottocento. È
piena di minoranze etniche, rappresentate in Parlamento. La politica
è razzista, ma la popolazione non
lo è. Il novanta per cento è sciita.
L’Iran è una Repubblica Islamica. Il
Presidente ha tutti i poteri. I politici sono corrotti, hanno rubato
settecento miliardi. Volendo, l’Iran
potrebbe fermare l’ISIS, perché
lo odia, in pochi giorni, ma l’ISIS è
voluta per motivi economici americani. L’Italia è l’Iran dell’Europa, però
senza petrolio: ambedue glorioso
passato, ma oggi?
Gli Iraniani sono musulmani ma non
Arabi. Sono d’origine indoeuropea.
Lo stipendio medio è di 700-800
euro. C’è stata una grossa svalutazione dopo l’”embargo” americano
da otto anni. La guerra fra Iran e Iraq
è stata per motivi economici, ( leggi:
petrolio), come tutte le guerre, dal
1980 al 1988. Le strade sono piene
di immagini di giovanissimi morti in
questa occasione. Siamo nel 1394
per il calendario islamico. Tutti,
uomini e donne, sono ossequiosi,
sorridono e salutano tutti con una
specie di inchino. Questa è una delle
cose che mi ha colpito di più (nel mio
condominio quasi nessuno saluta).
(... Continua nel prossimo numero)
Serenella Gatti Linares
BNB
Feng Shui
1 Dicembre 2015
7
Energie Stagionali
e Corrispondenze
Direzionali
Inverno-Acqua-Nord
dell’anno (Nord-Est) e da quella
yang a quella yin (Sud-Ovest).
Nel calendario solare il 5 novembre segna l’inizio dell’azione energetica dell’Acqua: massima espressione dello yin; l’Energia raggiungerà il vertice durante il solstizio
di dicembre (giorno dell’anno con
meno ore di luce) e protrarrà la sua
influenza fino al 5 febbraio. È una
fase del ciclo vitale corrispondente
al riposo e deriva dal precedente
contrarsi autunnale dovuto all’energia Metallo. In Inverno infatti,
dopo essersi ritirata in se stessa,
verso la sua essenza ed interiorità, la natura sembra sospendere
ogni azione. Lo si nota negli alberi
e nelle piante che hanno perso le
foglie e che sembrano morti ma
che in realtà hanno solo rallentato
e nascosto la loro attività fisica in
attesa del risveglio.
Come durante un sonno in cui si
risparmia energia per ricaricarsi,
la stasi coinvolge gli animali che
vanno in letargo ed anche le
nostre attività che, seppur poco
influenzate dai vincoli che pone la
natura, sono vissute più al chiuso,
in ambienti riscaldati e illuminati
artificialmente per sopperire alla
mancanza di calore dell’esterno e
alla diminuzione delle ore di luce
solare. Questa condizione diventa
propedeutica alla rinascita, intesa
come gestazione, perciò l’Acqua
rappresenta l’energia primaria.
L’Acqua è l’energia dell’interiorità,
prepara le esternazioni in grande
stile che avverranno durante la
primavera; nel Feng Shui governa
il Nord perché in questa direzione
l’influenza del sole è nascosta,
non si palesa direttamente, è il
buio di cui abbisogna la vita per
svilupparsi, un brodo primordiale
che innesca un’energia molto
dominante.
Un luogo con questa esposizione
foto di Lilluccio Bartoli
pertanto, avrà le caratteristiche
dell’inverno e quindi la componente yin più forte. Vivere in
posti direzionati a Nord, con la
sua grande carica emozionale,
accresce l’istinto facendolo anche
un po’ a discapito della lucidità a
volte, rinforza l’idoneità all’autodifesa e all’autostima aiutando
una carriera basata sulla competizione e crea presupposti di
saggezza dovuti all’insita capacità
d’introspezione propria di questa
direzione. Inoltre è stimolo per
le qualità artistiche e supporto
alla creatività in genere. Essendo
per di più la mobilità una delle
caratteristiche dell’Acqua, la sua
influenza porta anche versatilità.
Versatile però, non sempre inteso
come adattabile o malleabile, non
bisogna dimenticarne la potenza!
Per questo vorrei concludere con
le parole del saggio LAO-TZU (500
a.C. circa): “Non c’è nulla al mondo
più molle e debole dell’acqua,
eppure nell’attaccare ciò che è
duro e forte nulla può superarla,
non c’è nulla che la sostituisca.”
Rosalba Solimena
Consulente Feng Shui
Diplomata presso Creative Feng Shui
Iscritta alla SIAF (società italiana
armonizzatori familiari)
([email protected])
www.buonenotiziebologna.it
Con l’autunno è iniziato un discorso
sul rapporto fra Energie, Stagioni
e Direzioni perché questi concetti
sono alcuni dei fondamenti del
Feng Shui. Per comprenderne l’intrinsecità bisogna tenere presente
che questa disciplina nasce millenni
orsono dall’attenta e continua
osservazione della natura.
Studiare l’azione del sole ha
portato alla conclusione che le
direzioni (Nord, Est, Sud, Ovest)
hanno delle affinità con le stagioni
perché entrambe sono influenzate dagli elementi (acqua, legno,
fuoco, metallo e terra). Pertanto
si avranno queste associazioni:
Nord/Acqua/Inverno;
Est-SudEst/Legno/Primavera;
Sud/Fuoco/Estate;
Ovest-NordOvest/Metallo/Autunno
ed infine NordEst-SudOvest/Terra
che non sono direttamente associati ad una stagione ma, al passaggio dalla parte yin alla parte yang
8
Auser
1 Dicembre 2015
Savigno tra
arte e cultura
www.buonenotiziebologna.it
L’Auser per l’incontro tra generazioni
La valorizzazione del patrimonio
artistico e culturale, l’incontro
tra generazioni, la trasmissione
di conoscenze e di saperi, sono
obiettivi fondamentali per Auser.
Associazione da sempre impegnata,
oltre che nel sostegno alle persone
più fragili, anche nei servizi alla
comunità e nella promozione dell’apprendimento durante tutta la vita.
Ed è proprio questo il filo
BNB
conduttore che lega due progetti
promossi da Auser a Savigno e
portati avanti grazie all’impegno
dei volontari di questo territorio.
“La nostra città è nota in tutta
Italia per la Tartufesta, la celebre
manifestazione culturale e gastronomica che ogni anno attrae visitatori da tutto il Paese, spiega il
coordinatore dell’Auser di Savigno,
Loris Masetti, da sempre la nostra
associazione supporta l’Ammistrazione del territorio durante questa
importante iniziativa, che consente
a migliaia di turisti di scoprire
profumi e sapori, ma anche arte e
colori, della tradizione emiliana”.
Un impegno che quest’anno si è
concretizzato nella gestione della
mostra delle opere di Gino Pellegrini,
realizzata per l’occasione da Comune
e Proloco. “Scomparso a dicembre
dello scorso anno, Pellegrini era
uno scenografo e pittore di fama
internazionale, racconta Masetti,
visse moltissimo negli Stati Uniti e
fu scenografo per la Disney e per
Stanley Kubrick, collaborando a
capolavori come Mary Poppins e
2001 Odissea nello spazio. Ma è
proprio qui, nelle nostre vallate, che
scelse di trascorrere gli ultimi anni
della sua vita. Per questo per noi è
stato un grande piacere ricordarlo
con questa mostra che ha offerto ai
cittadini un’importante occasione di
conoscere e scoprire anche le doti
pittoriche di questo grande artista.”
E se è vero che l’arte e la cultura
sono beni da coltivare a tutte le età,
è anche vero che non è mai troppo
presto per cominciare ad avvicinarvisi. È proprio questo lo spirito del
progetto “Ciao libro... ciao bimbo”,
altro fiore all’occhiello dell’Auser
di questo territorio. Nella piccola
biblioteca locale i volontari Auser
portano avanti ormai da cinque
VIRTUAL COOP
Cooperativa
Sociale ONLUS
Logistica
e Gestione Archivi
anni numerose attività mirate a
promuovere la lettura nei bambini
fin da piccoli e a favorire l’incontro
tra generazioni diverse. Dagli incontri con le scuole, ai laboratori con
bambini e genitori, alle mattinate
dedicate alle mamme e ai loro bimbi
piccolissimi che un giorno alla settimana possono giocare sul tappetone allestito per loro e cominciare
a scoprire le primissime letture.
“I primi anni di vita dei bambini sono
fondamentali per la loro formazione, spiegano i volontari della
biblioteca, Cominciare a leggere già
da piccolissimi con i genitori aiuta
a stimolare il futuro amore per la
lettura, abitua i bambini all’ascolto,
arricchisce il linguaggio, apre spazi
alla fantasia e favorisce la creatività.
Siamo consapevoli di essere dei
volontari, e non professionisti, ma
credo che ciò che più conta sia lo
stare insieme e soprattutto scoprire
quando sia bello farlo utilizzando
un libro”.
Auser e Nexus lanciano una raccolta
fondi per sostenere il popolo
saharawi.
È un bilancio gravissimo quello
dell’incessante pioggia che per 13
giorni nel mese di ottobre ha investito i campi profughi del popolo
saharawi lasciando centinaia di
famiglie senza un riparo. Le piogge
torrenziali hanno distrutto scorte
alimentari, abbattuto le tende e
le precarie abitazioni costruite
con mattoni di fango. Strutture
estremamente fragili in cui questo
popolo vive ormai da quarant’anni,
da quando cioè il Marocco nel
1975 occupò illegalmente i territori del Sahara Occidentale.
Tra gli edifici gravemente danneggiati anche asili nido, centri medici
e la scuola “Carlo Giuliani” costruita nel 2003 nel campo di Dakla
grazie al contributo di Auser nazionale, Auser Emilia-Romagna e
della Fondazione Carlo Giuliani.
Frequentata da circa 400 bambini
di età compresa tra i 6 e i 12 anni,
molti dei quali diversamente abili,
la “Carlo Giuliani” era dotata
di 12 aule, sala insegnanti, ufficio, bagni e guardiania. Locali
purtroppo andati quasi completamente distrutti con l’alluvione.
Per questo Auser e Nexus Emilia
Romagna hanno dato vita a una
raccolta fondi e lanciano un appello
di solidarietà a tutti i cittadini perché
contribuiscano, per quello che
possono, a sostenere il processo di
ricostruzione e ad aiutare un popolo
già duramente provato dalla lunghissima condizione di esilio.
Annalisa Bolognesi
Per donare:cc. intestato a Nexus ER
IBAN: IT84Z0312702404000000000503
causale Alluvione Campi Saharawi 2015
cc. intestato a Nexus ER
1 Dicembre 2015
Beauty segreti: Consigli
per la bellezza femminile
Voglio dedicare la rubrica di questo
mese alle donne, voglio regalar
loro qualche curiosità sulla bellezza
argomento che ha sempre suscitato
interesse e curiosità.
I cosmetici più efficaci ce li regala
la natura, infatti le donne, forti di
questa consapevolezza, riescono a
esser belle a qualunque latitudine
si trovino: nelle più lussuose Spa,
nell’intimità di casa propria ma
persino in mezzo al deserto con
condizioni climatiche sfavorevoli.
Ogni popolazione possiede rituali,
segreti e ingredienti che non
possono mancare nella beauty
routine quotidiana. Allora perché
non lasciarsi ispirare dalle tradizioni
cosmetiche dei più diversi paesi per
compiere uno straordinario viaggio
intorno al mondo? Vediamo qualche usanza di bellezza che possiamo
trovare anche a casa nostra.
Iniziamo con la Tunisia, un Paese
relativamente vicino all’Italia dove
viene spesso impiegato l’olio di
dattero, frutto che cresce abbondante nei clima caldi. L’olio di
questo frutto può essere considerato un cosmetico multiuso con
proprietà idratanti, elasticizzanti
e tonificanti. Ѐ perfetto per rassodare, ma non solo: anche per
struccarsi e per attenuare cicatrici o
segni della pelle perché stimola la
produzione di collagene. Una tipica
crema impacco tunisina per il viso
si prepara mescolando un cucchiaio
di olio di dattero, 3 di argilla bianca,
5 gocce di olio essenziale di rosa
e acqua di fiori d’arancio fino a
rendere il composto morbido. Si
stende sul viso, si lascia agire 10
minuti e si risciacqua; la pelle apparirà subito più luminosa e morbida.
Nel vicino Marocco l’elisir di bellezza
delle donne berbere è dato dall’olio
di argan. Si utilizza per nutrire la
pelle secca, rinforzare le unghie,
placare le irritazioni ma soprattutto
per ridare vigore ai capelli sfibrati
in quanto molto ricco di ceramidi,
delle sostanze grasse in grado di
ripristinare la barriera protettiva
della chioma. Se si soffre anche di
cuoio capelluto secco si possono
fare degli impacchi di olio puro da
tenere in posa almeno mezz’ora
prima di procedere al lavaggio,
altrimenti si possono distribuire
circa 10 gocce sulle lunghezze dopo
lo shampoo.
Pensate che il burro di karitè, proviene dall’Africa Nord Occidentale,
dal Burkina Faso per l’esattezza
ed è un’efficace protezione solare
usata per evitare di scottarsi con i
raggi a picco in quelle zone equatoriali. E alle nostre latitudini come
possiamo utilizzarlo? I modi sono
davvero molti basta scegliere il più
adatto alle proprie esigenze.
Sulle labbra come burro cacao,
per ammorbidire la pelle secca di
certe zone del corpo come talloni e
gomiti, mescolato con altri oli vegetali o essenze delicate come vaniglia e camomilla per ottenere un
balsamo extra ricco e vellutato da
stendere su tutto il corpo dopo la
doccia o il bagno. A base di questo
prezioso elemento si possono
trovare tanti prodotti, dalle creme
corpo ai bagnoschiuma.
Adesso spostiamoci di poco e
andiamo in Francia dove le donne,
si sa, in fatto di bellezza sono parecchio raffinate e amano in modo
particolare le essenze profumate e
tra queste c’è di sicuro la lavanda,
pianta tipica della Francia del Sud.
Un trattamento che s’ispira a questo
fiore e che si rivela particolarmente
utile in questi mesi freddi, è un
pediluvio defaticante. Si prepara
in modo semplice, si mescolano
in una bacinella riempita di acqua
tiepida 2 cucchiai di amido di riso,
2 di bicarbonato e 15 gocce di olio
essenziale di lavanda, si rimane
in ammollo 10 minuti e poi si può
procedere con la pedicure. Va detto
che in commercio ci sono tantissimi
prodotti a base di lavanda questo
perché le sue virtù sono note da
molto tempo. L’ingrediente beauty
più amato dalle donne greche
è l’olio d’oliva. Viene usato per
effettuare massaggi e scrub che
lasciano la pelle elastica, purificata
e vellutata. Infatti i suoi acidi grassi,
simili a quelli della cute, sono ricchi
di antiossidanti che riparano i danni
e rallentano l’invecchiamento.
Una ricetta tradizionale prevede
di mescolare 3 cucchiai d’olio, 3
di sale fino integrale e 30 gocce di
olio essenziale di mirto, si massaggia sulla pelle umida e poi ci si può
concedere una bella doccia: vai
cellule morte e impurità!
Voliamo oltreoceano, in Polinesia
dove il tiarè è il simbolo della
bellezza delle donne del luogo.
Dalla sua macerazione nell’olio di
cocco si ricava il monoi che, man
mano che la temperatura scende
si solidifica. Risulta efficace per
nutrire la pelle, proteggerla dal
vento e dalla salsedine: si può
provare come idratante dopo la
doccia o se ne aggiunge qualche
goccia all’acqua della vasca per un
bagno super confortevole.
Anche dal Giappone ci arrivano
consigli di bellezza preziosi. Qui
viene infatti usato l’olio di camelia
considerato un potente anti age
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ricco di antiossidanti. Essendo
molto delicato è adatto anche
alle pelli più sensibili e si usa per
massaggiare il viso, il decolleté e il
contorno occhi.
Per ottimizzare i risultati si può
fare uno scrub levigante prima di
applicare l’olio con crusca e farina
di riso messi in un sacchetto di tela
fine. Questo rituale viene utilizzato dalle donne giapponesi per
mantenere la carnagione bianca
e liscia. Basterà bagnare un po’ il
sacchetto e massaggiarlo sul viso
con movimenti circolari. Credevate
che potessero esistere prodotti così
portentosi in natura, provenienti
da tutto il mondo? Forse sì ma se
invece non ne eravate a conoscenza
questo può essere il momento
giusto per scoprirli e utilizzarli.
Valentina Trebbi
di Sonia Rabeccchi
Via 2 Agosto 1980, n° 9 - 40019 Sant’Agata Bolognese
Tel. 051.40.78.444 | [email protected]
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Salute e Benessere
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Provincia
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Speciale Verdure
Verso l’Expo 2015
1 Dicembre 2015
PIANORO
CASTENASO
Le sue ali s’infransero
alla prima missione
Don Mezzacqui
Il prete che serviva alle feste dell’Unità
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Ricordato il giovane John Richardson Cordeiro e Silva
Dal novembre del 2003 ogni anno il
6 novembre si ricorda il 2° tenente
pilota John Richardson Cordeiro e
Silva della Forza Aerea Brasiliana,
caduto a 22 anni a Livergnano di
Pianoro durante la seconda guerra
mondiale. Cerimonia, con autorità
civili e militari, e quelle dell’ambasciata del Brasile in Roma, che
anche quest’anno si è svolta a
Livergnano con la deposizione di
corone e l’alzabandiera al monumento “Soldato della Pace” e una
deposizione di fiori al busto bronzeo del pilota, collocato nel borgo
accanto al piccolo museo della
“Winter Line”; proprio di fronte al
luogo ove cadde.
Con tale ricordo le autorità brasiliane hanno portato il saluto del
loro Paese alla comunità locale per
il legame costruito dopo il ritrovamento del suo Republic P-47
Thunderbolt. Fu infatti nel 2002
che Claudio Cassanelli e Umberto
Magnani, di Livergnano con la
passione per la storia militare e
i reperti bellici, scoprirono i resti
dell’aereo abbattuto dalla contraerea tedesca il 6 novembre 1944.
Il pilota John Richardson Cordeiro
e Silva fu, purtroppo per lui, il
primo caduto dell’aviazione brasiliana che combatté, in Italia, con le
truppe alleate nella seconda guerra
mondiale. L’aviatore, infatti, era nel
primo gruppo di piloti brasiliani
scelti e addestrati al combattimento, in Europa, a fianco di americani e inglesi contro le forze militari
nazifasciste dell’Asse.
John aveva ricevuto la formazione
di base ad Aguadulce (Panama),
superando tutte le prove ottenendo
alla fine del corso le ali distintive
dei piloti. Dopo l’addestramento
di pilota John fu assegnato al 1°
Gruppo Caccia della Forza Aerea
Brasiliana del capitano Fortunato
Câmara de Oliveira. Nella prima
missione di combattimento, e per
lui purtroppo unica, il 6 novembre
1944 John col suo P-47 fu assegnato
a un volo del 350° Fighter Squadron
Usaaf (United States Army Air
Force), per scortare i bombardieri
USA e distruggere le difese antiaeree tedesche attestate a Bologna e
sulla “Linea Gotica”.
Purtroppo il destino, beffardo, in
questa prima missione di guerra
non fu amico del giovane brasiliano;
il suo velivolo fu colpito nel primo
passaggio sull’obiettivo. Col motore
in fiamme il pilota aveva cercato di
guadagnare quota per lanciarsi col
paracadute poi, non riuscendoci,
comunicò per radio al comandante
americano della squadriglia che
avrebbe tentato un atterraggio di
fortuna superate le linee amiche.
Ma l’aereo esplose all’impatto con il
suolo, col pilota imprigionato nella
carlinga, a poca distanza dai militari americani attestati sul fronte
di Livergnano. Il corpo del giovane
fu poi recuperato dai fanti americani e le sue ceneri infine accolte al
monumento ai caduti della seconda
guerra mondiale, a Rio de Janeiro.
Sull’abbattimento scese poi il silenzio e si persero anche le tracce
dell’aereo poi, alla fine degli anni
’90, sulla base di ricordi di vecchi
residenti
Claudio
Cassanelli,
Umberto Magnani e Giovanni Sulla
si misero alla ricerca ma senza avere
certezze su dove potessero essere i
rottami dell’aereo. Infine grazie a
testimonianze, e a un metal detector, con emozione ritrovarono dopo
quasi sessant’anni ciò che restava
del P-47. Le immagini del ritrovamento furono inviate all’Ambasciata
brasiliana, che dimostrò vivo interesse tanto che il 9 novembre 2003
ci fu una cerimonia ufficiale nel
municipio di Pianoro, alla presenza
di ufficiali brasiliani, grazie all’interessamento dell’Addetto militare
del Brasile in Italia colonnello pilota
Odil Martuchelli Ferreira. Da allora,
ogni anno, si ricorda il giovane John
Richardson Cordeiro e Silva.
Giancarlo Fabbri
Lo scorso 29 ottobre a Marano
di Castenaso la corte antistante il
circolo ricreativo Anspi “La Stalla”
è stata intitolata a don Antonio
Mezzacqui per decisione della
giunta comunale e dell’associazione
locale Frazione Viva. Cerimonia
che ha visto la partecipazione del
vescovo emerito di Ivrea, monsignor
Luigi Bettazzi (detto “vescovo rosso”
per la sua partecipazione alle manifestazioni operaie), che ha ricordato
l’amico don Antonio nell’assemblea
svoltasi nel circolo. Il parroco di
Marano era stato travolto e ucciso
da una moto, il 21 marzo 2002, e
quando nella frazione si sparse la
notizia ci fu un cordoglio generale;
anche da parte di chi non frequentava la chiesa. E fu a pochi passi
dalla chiesa di San Geminiano, in via
Pieve, che il prete era stato investito
colpendo dolorosamente i residenti di questa tranquilla frazione
adagiata nella verde piana castenasese. Don Antonio fu parroco di
Marano, per oltre quarant’anni, un
prete col Vangelo nel cuore, senza
un soldo in tasca, vicino alla gente,
senza distinzioni, e ai parrocchiani
che vedeva come una grande
famiglia.
Un prete singolare, un uomo di
fede, che credeva nella solidarietà
e nella dignità umana tanto che per
pagare le spese di ristrutturazione
del campanile fece un’esperienza
da metalmeccanico, poi operaio in
un’azienda tessile, e infine come
tagliatore di spugne. Una coerenza
nei valori nei quali credeva che lo
portavano, sorridente, ad aiutare
chiunque; anche a servire ai tavoli
delle sagre paesane e delle feste
dell’Unità e a sostenere scioperi o
manifestazioni a carattere sociale.
Attività, queste, che gli crearono
non pochi problemi con la Curia
bolognese (tanto che si parlò di
un’eventuale sospensione “a divinis”) risolti grazie agli auspici di dom
Giuseppe Dossetti e di monsignor
Luigi Bettazzi. Quando poi la parrocchia ebbe in dono un’ex stalla don
Mezzacqui coinvolse l’intera frazione
aprendovi, nel 1988, il circolo ricreativo “La Stalla” che volle laico e apolitico; aperto a tutti i residenti, e non
solo, senza distinzione di fede politica
o religiosa.
Lo conobbi nel 1994, quando iniziai a
scrivere per il “Carlino”, e vidi che non
gli mancava il senso dell’umorismo, e
dell’ironia. Davanti alla chiesa mentre
parlavamo tolse dalla giacca (non lo
vidi mai con la tonaca) un pacchetto
di sigarette; me ne offrì una poi se ne
accese una per sé. Come per giustificarsi disse «è l’unico vizio che mi
concede mia moglie». Non credendo
al mio udito, purtroppo sono sordastro dalla nascita, gli chiesi «come
ha detto reverendo? Sua moglie?»
e, ridendo, mi rispose «la Chiesa,
ho sposato la Chiesa» indicandomi
la bella chiesa di San Geminiano
progettata da Luigi Gulli.
Chiesa che alle sue esequie, presiedute dal cardinale arcivescovo di
Bologna Giacomo Biffi, e dal vescovo
emerito di Ivrea Luigi Bettazzi, non
riuscì a contenere tutti quelli che
vollero salutare per l’ultima volta
quel controverso sacerdote che
forse, lasciando questa terra, ebbe
un solo rimpianto; quello di non
essere riuscito a vedere il campanile
di Marano finalmente ristrutturato
dopo anni di lavoro come operaio per
pagarne le spese.
Altair
1 Dicembre 2015
11
Alimentazione
ai Tempi di Gesù
Sappiamo bene che i cibi e le bevande sono legati all’uomo,
un legame che affonda le proprie radici nella storia più
antica del mondo.
All’inizio si trattava di semplici mezzi di sostentamento e
man mano che i secoli passano, il loro significato evolve
fino ad assumere un valore sempre più importante per tutti
i popoli. Molto spesso, sbagliando, osserviamo l’evoluzione
della cucina soprattutto quella moderna, dimenticandoci
che quello che noi conosciamo e consumiamo deriva in
realtà da una tradizione millenaria.
Se guardiamo al passato si vede l’evoluzione del cibo,
lo scambio culturale che continua ad esserci non appena
attraversiamo una frontiera, l’alimentazione diviene una
base fondamentale per l’arricchimento individuale e
sociale. Così il cibo finisce per essere il principale soggetto
di tutti i tempi.
Una terra considerata il simbolo del panorama
enogastronomico mediterraneo è Israele, culla di tradizioni
ineguagliabili. Oggigiorno la strada che conduce a
Gerusalemme accoglie i visitatori con odori pungenti, forti,
fatti di spezie come il cumino o il cardamomo.
Pesce fritto servito in salsa speziata, la frutta è lucida e
succosa ma si trovano anche oli aromatizzati, vini densi,
carni macellate secondo le rigide regole alimentari ebraiche,
un insieme di colori e sapori che ricordano quello che veniva
consumato ai tempi di Gesù. Basta sfogliare qualche pagina
della Bibbia per avere un’idea dei prodotti che erano usati
in Terra Santa. Certamente l’alimento più diffuso era il pane
che veniva preparato con la farina di frumento o con quella
d’orzo e costituiva la base per il nutrimento dei più poveri.
Esistevano numerosi tipi di pane lievitati e non come il kikar
una specie di pagnotta, la challah, una focaccia o i matzot
pani azzimi tipici dei periodi di festa e anche il rakik un tipo
di cialda dolce.
Persino le tecniche di panificazione erano molto diverse tra
loro: a volte il pane era cotto in particolari forni a forma
convessa altre volte si metteva direttamente su carboni
accesi. Ma quella terra così fertile produceva anche molta
uva e olive. Si poteva ricavare un olio molto pregiato e
le stesse olive erano conservate mediante un processo
di trattamento in salamoia per poi essere mangiate con
il pane. Un altro frutto abbastanza consumato era il fico,
anche se in realtà costituiva più un cibo per i maiali.
Pensate che il pesce si classificava come puro o impuro e
che si gustava essiccato o arrostito.
Purtroppo molte specie non potevano essere mangiate
perché ritenute poco conformi alla tradizione: anguille,
crostacei, frutti di mare, molluschi ma anche il famoso
pesce azzurro, considerato ai giorni nostri il più salutare.
La carne invece veniva mangiata dai poveri solo in occasione
delle festività o quando c’era qualche evento speciale.
Quella preferita era quella di vitello ma più spesso ci si
doveva accontentare di quella d’agnello o capretto. Poteva
essere accompagnata con erbe amare come la cicoria o la
lattuga selvatica o con frutti come la melagrana.
C’era poi un divieto che impediva di consumare carne con
i latticini.
Non scordiamoci dell’unico dolcificante dell’epoca, il miele
che però non era ricavato dalle api ma era più che altro
uno sciroppo dolce che si estraeva dai fichi, dai datteri,
dalla carruba e dall’uva. Questo composto così dolce
era talmente apprezzato che spesso veniva aggiunto al
vino. Inoltre anche se gli insetti non sono esplicitamente
menzionati nella Bibbia, si è venuto a sapere che in alcuni
casi questo miele era accompagnato a delle locuste: questa
divenne la dieta principale di Giovanni Battista!
Tra le spezie più utilizzate ricordiamo il cumino, lo zafferano,
il coriandolo, l’aneto e non dimentichiamo i capperi e
la senape. La bevanda sacra per eccellenza, simbolo di
benessere e abbondanza era il vino che come per la carne,
doveva essere lavorato da mani ebree. Si trattava di un
vino molto denso, quasi nero, ricco di alcol e tannini ed era
consumato annacquato e dolcificato col miele.
La Legge invitava però alla moderazione e ancora oggi,
gli ebrei seguono l’usanza di berne 4 coppe a Pasqua, 2 ai
matrimoni e una quando si festeggiava una circoncisione.
Le regole alimentari seguite dagli ebrei osservanti in
merito all’alimentazione, oggigiorno potrebbero apparire
anacronistiche e parecchio restrittive tuttavia dobbiamo
guardare oltre.
Queste tradizioni che affondano le loro origini ai tempi
della nascita di Gesù non sono solo un sinonimo di sicurezza
alimentare ma un simbolo di condivisione legata alla tavola
attraverso cui venivano e vengono ancora rafforzati i legami
familiari e della comunità, un aspetto sicuramente molto
sentito dal popolo di Israele.
Un accenno merita anche l’ultima cena di Gesù, oggetto di
numerosi studi.
Durante il pasto era importante osservare alcune regole
come non allungare le mani su piatti che desiderano altri,
non fare rumore mentre si mastica e non essere ingordi,
regole che andrebbero rispettate anche ai giorni nostri! Si
ipotizza che vennero serviti anche pani lievitati di sapore
dolce e non solo il classico pane azzimo.
Inoltre sia il tavolo che il piatto di Gesù sono conservati
come reliquie. Ma questo non è importante ciò che conta è
vedere come la cucina del tempo abbia ancora forti influssi
su quella odierna: cibi e piatti che non si discostano molto
dai nostri gusti e dalle nostre abitudini. Questo perché nel
corso dei secoli la valenza del cibo si è evoluta ed è diventato
un simbolo di convivialità e comunità.
Valentina Trebbi
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Speciale
Le altre cucine
12
Speciale
Le altre cucine
BNB
1 Dicembre 2015
El Sabor
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Per il mese di dicembre, proponiamo ai nostri lettori di BNB, la storia di Yubiri Ruiz, una signora
venezuelana che ha intrapreso, nel nostro Paese, la propria avventura culinaria ed ha da poco
festeggiato il primo anniversario dell’apertura del suo locale.
Quali erano le aspettative all’atto dell’apertura del
locale e quale la situazione concreta che hai affrontato?
Il mio obiettivo era, prima di tutto, conoscere questa
regione, nella sua cultura e tradizioni per poter cogliere
quanto più possibile l’essenza della sua cucina per poi
passare a far conoscere piatti, sapori e colori diversi,
tipici della zona costiera del Venezuela.
Quali sono le tradizioni venezuelane che ti hanno
accompagnato in questo percorso lavorativo?
Sin dall’inizio ho sentito come primariamente
importante che per caratterizzare il locale emergessero
tutti quegli aspetti del costume venezuelano, che fanno
parte di me, infatti l’attaccamento alla mia terra natale
è tuttora molto forte. Questo traspare prima di tutto
dagli aromi della mia cucina, ma anche dal folclore che
si respira appena si entra nel mio locale, dagli arredi
e dalla musica. Non è un semplice bar-trattoria, è un
luogo dove culture diverse possono incontrarsi, aprirsi
e conoscersi, all’interno di un ambiente accogliente, di
un clima familiare che punta ad un contatto informale
con la clientela. Questo emerge dal modo di porsi nei
confronti dei clienti, in quanto qui vengono accolti e
trattati con lo stesso calore, solarità ed attenzioni che
si rivolgono ad un parente.
La tua gestione offre anche altre possibilità, oltre alla
ristorazione al tavolo?
Certo, oltre ad allietare con musica tipica e organizzare
serate di ballo, organizzo personalmente dei corsi
privati di cucina venezuelana, a casa degli utenti finali.
Mi rende felice vedere che i piatti prodotti stimolano la
curiosità dei frequentatori della trattoria, fino al punto
di chiedermi non solo gli ingredienti usati, ma anche le
proporzioni e le modalità di cottura.
Quali le pietanze tipiche delle ricorrenze venezuelane?
Per esempio, per Natale si propone un piatto unico
composto da: “asado negro”, cioè carne di manzo o
vitello magri aromatizzati con il “pabellón” ovvero un
crosta di canna da zucchero caramellata che rivestendo
la carne, le offre il suo colore scuro. A completare
seguono la: “hallaca” un’insalata di carne di gallina ed
un pane speciale guarnito col prosciutto.
Come in Italia, per contorno, si usa mangiare le
lenticchie, così in Venezuela questo ruolo è ricoperto
dal riso, che si dice esser portatore di soldi ed
abbondanza. Infine, per dolce si propone il “turron de
cocco”, un torrone farcito al cocco, un dolce tradizionale
alla papaia, caratterizzato dal fatto che viene prodotto
con una confettura di frutta aromatizzata con chiodi di
garofano e cannella.
Quali le bevande venezuelane che si possono
apprezzare?
La birra Polar, ma ci sono anche altre birre come la
Caracas che prende il nome dalla capitale. Una bevanda
tipica è la “chicha” che si fa col riso, il latte intero e
condensato, aromatizzati alla cannella e servendola
ben fredda.
Cosa differenzia la cucina venezuelana da quella del
Centro e Sud America?
Un ingrediente caratteristico della nostra alimentazione
è la farina di mais precotta, con la quale prepariamo la
“arepa”, la “empanadas”, la polenta fritta e tanti altri
piatti tipici. Col tempo questo ingrediente si è diffuso
fuori dai confini venezuelani e si è diffusa in Colombia,
dove ora si prospera la maggior ditta produttrice di
questo tipo di farina: la “Harina P.A.N.”.
È difficile reperire in Italia i prodotti tipici venezuelani?
Ora, grazie ad Internet e ad una migliore rete commerciale,
è possibile reperirli anche qui, basti pensare che ci sono
delle succursali della P.A.N. anche in Italia.
Quali le spezie maggiormente impiegate nella
gastronomia venezuelana?
Si tramanda che un’usanza culinaria derivi dagli Indio,
che usavano come colorante l’ “onoto” o il “ocaituco”
che sono frutti dal guscio ricoperto di pelini, al cui
interno serbano numerosi semi colorati. A differenza
della cucina italiana, che abbondando con il pomodoro
finisce per mutare il sapore del cibo, in Venezuela
invece, per dare colore alle pietanze si usano questi
frutti che non cambiano l’aroma degli alimenti.
Mantengo per quanto possibile le inalterate le mie
tradizioni, utilizzando questi alimenti
Quale pietanza hai notato la clientela italiana chiede
maggiormente?
Sono soprattutto tre: la repa, la empanadas, il papellon e
il tequeños, cioè dei bastoncini di formaggio ricoperti di
impasto simile a quello della ficattola. Quando vengono
fritti, rimangono croccanti fuori e filanti all’interno.
Un’altra ricetta che è stata molto apprezzata è quella
del pesce al cocco, in quanto a dispetto delle apparenze
a fine cottura non si percepisce il dolce del frutto.
In più di un anno di lavoro quali sono state le
soddisfazioni maggiori?
La prima soddisfazione è il riconoscimento che ti danno
i clienti nel vedere tornare i piatti vuoti in cucina, la
seconda è stato constatare come, attraverso un doppio
menù, sono riuscita a far apprezzare anche i piatti
del mio Paese d’origine, dopo aver imparato la vostra
cucina nazionale e regionale.
El Sabor ha già in programma qualche evento?
Per la ricorrenza di Natale avremo un menù con un
piccolo aperitivo, seguito da un antipasto misto con
repa, empanada e tequeño, quindi il piatto unico con la
hallaca, oppure l’asado negro, con contorno di lenticchie
o riso, per poi concludere con dolce a scelta fra turron
de cocco, quesillo cioè una sorta di panna cotta con
formaggio o mais, o il dolce alla papaia. Il tutto ad un
prezzo approssimativo di 23€, a seconda delle richieste.
Inoltre dal mese di dicembre riprenderanno i balli
venezuelani ad animare le serate.
Pier Paolo Vettori
BNB
1 Dicembre 2015
Speciale
Le altre cucine
13
Il cibo in Iran
Si può trovare anche carne di cammello e dromedario: somiglia al nostro
spezzatino, con sughetto scuro. È proibita la carne di maiale. Ci sono sempre
le melanzane: in poltiglia con lenticchie, con sugo di pomodoro, o con olive, o
a metà durezza, o un po’ più dure. Vengono servite come antipasto, a volte
condite con yogurt e mandorle. Essendo le mie origini meridionali, sono
andata a nozze con una cucina dai gusti mediterranei! Cucina speziata, ma
non eccessivamente. Immancabile lo yogurt di vari tipi, ma il caratteristico è al
cetriolo. In genere il gusto è agrodolce, acidulo, al limone. Mi piace mescolare
dolce e salato, come nella vita. Il pane è strano, di vari tipi, simile alla nostra
piadina. Quello tipico è formato da strati sovrapposti, bucherellati, piegati
come fogli di giornale. Ho visto un giovane padre metterseli sotto braccio e
poi inforcare lo scassato motorino, con moglie e figlio. Frutta e verdura, di
cui il paese è ricco, sono molto usati. Tento un parziale elenco: patate, cipolle,
aglio, menta, origano, capperi, erbette varie, zucca, carote, ravanelli, limoni
e arance verdi, pompelmi rosa, loti, uva passa, datteri, bacche di goji, noci,
prugne, mele cotogne, meloni... I pomodori sono meravigliosi, rossi-rossi e
gustosi. Si usa anche molto il pesce; ad esempio, la trota impanata fritta, e il
caviale. Profumate le frittate di erbette.
Un discorso a parte meritano i tipici pistacchi e il melograno (anar). Quest’ultimo
è sempre stato uno dei miei frutti preferiti, dai significati mitici e poetici.
Ho visto monumenti e quadri dedicati al melograno. I dolci e i biscotti sono
prelibati, a base di miele e sesamo e gelatine colorate. Spesso accompagnano il
tradizionale the, bevanda nazionale, bollente e ottimo, anche senza zucchero e
limone. Ma volendo, ci si intinge un bastoncino, tipo lecca-lecca, con zucchero
cristallizzato. Qui le bevande alcoliche e il vino sono severamente vietati (ma
si dice che ne bevano a casa, comprati al mercato nero). Quindi, bottigliette
d’acqua minerale naturale (mai viste tante, in un paese in cui è cronica la
mancanza d’acqua), aranciate, coca-cola, birre in lattina. Ma anche succo di
ciliegia e melograno.
Si usa mangiare più a pranzo che a cena, che a volte viene saltata. A casa
si cucina in modo più semplice in confronto al ristorante. In questo si può
mangiare seduti a terra su tappetini, in appositi separé, dopo essersi tolte le
vecchie scarpe, di cui si può vedere una fila se si è in tanti… I ristoranti tipici
sono indimenticabili per la loro ricchezza di ornamenti. I tappetini sono
ovunque: per pregare nelle camere e stanze apposite degli hotel, dove sul
soffitto è disegnata una freccia dorata in direzione della Mecca e non manca
mai il Corano per pregare; nei prati di fronte alla Moschea, dopo l’abluzione,
nei parchi, in stanze lungo il bazaar, o dietro il ristorante. I tovaglioli sono quelli
che per noi sono… le salviettine cosmetiche, che siamo abituati a vedere in
bagno. Queste scatoline sono ovunque, spesso dentro simpatici contenitori, al
punto di essere quasi... un simbolo nazionale! I turisti in Iran sono “coccolati”,
in particolare gli Italiani. È di uso comune offrire the, dolcetti, cioccolatini, uva
passa e frutta secca sia nei ristoranti, sia nei negozi e da parte di gente comune
sconosciuta con cordialità e generosità.
Serenella Gatti Linares
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Il cibo in Iran è sano, non pesante, nutriente e le porzioni sono abbondanti.
È servito in un’unica portata e alterna il caldo e il freddo. Quello che si può
assaggiare nel ristorante Pars di Bologna mi è sembrato più gustoso e
raffinato, però in luogo è buonissimo. Non mancano mai gli spiedini di pollo
e di montone o agnello arrostito, accompagnati da riso con zafferano e da
pomodori abbrustoliti. Oppure cotti con fagioli, ceci e pomodoro, limone secco
persiano e cipolla. Il riso iraniano è speciale: piccolo e mai scotto, profumato e
saporito. Può essere anche con uvetta. Accompagna spesso i piatti al posto del
pane, servito a parte, da mescolare con i vari sughi. Una volta l’ho mangiato
compatto a forma di torta, condita con melograno, pollo, limone. Il pollo può
essere cotto pure in altri modi: stufato, al sugo, eccetera.
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14
Speciale
Le altre cucine
BNB
1 Dicembre 2015
Mangiare insetti
L’Expo che si è da poco concluso a Milano è stata l’occasione non solo
per assaggiare piatti e prodotti di terre lontane, sapori a noi finora
sconosciuti ma questa manifestazione è servita anche per sdoganare
un tabù di cui si parla poco: l’entomofagia, cioè nutrirsi di insetti.
Impensabile? Orribile? Disgustoso? Certo per noi occidentali è tutto
questo ma per altri popoli è la normalità e forse non è così assurdo.
Parlando globalmente, divorare larve, bagarozzi o cavallette è la stessa
cosa delle nostre mangiate di pollo arrosto o pasta al pomodoro! Si
va dai vermi agli scarafaggi ai grilli, sono tante le specie che vengono
consumate soprattutto per il loro alto valore proteico
E per la croccantezza e il forte sapore che offrono.
In molte società gli insetti sono considerati una vera prelibatezza e
spesso possono diventare l’occasione durante un viaggio di provare
un aspetto diverso del paese che si sta visitando certo, sempre se ne
abbiamo il coraggio... Anche il mondo occidentale sta iniziando ad
affrontare l’argomento: negli Stati Uniti il concetto di insetti come
cibo guadagna terreno sempre più e si svolgono anche dei festival
dedicati all’argomento.
Tra le altre cose sempre più persone credono che, a fronte di una
carente disponibilità di cibo, gli insetti possano costituire il cibo
perfetto e sostenibile per il futuro del pianeta.
Ecco perché questa tematica è stata ampiamente affrontata a Expo
dove poi è stato dato il permesso di assaggiare vari tipi di insetti una
possibilità concessa da una delibera del Parlamento Europeo che li
considera una nuova forma alimentare al pari di molte altre.
Vediamo allora come vengono gustati questi animaletti non sempre
simpatici!
In Giappone le larve di vespe o api, vengono raccolte negli alveari,
cotte poi con salsa di soia e zucchero e mangiate come snack croccante
servite a volte con delle vespe adulte che conferiscono un sapore
più dolce. Pensate che le formiche vengono mangiate in Australia,
Colombia e Thailandia. Ovviamente sono gli aborigeni australiani a
consumarle crude quando sono piene di nettare e grandi come un
chicco d’uva.
In Colombia esiste una varietà di formiche chiamate taglia-foglie che
si consuma tostata come fosse un pop-corn o delle noccioline. Le
formiche rosse e anche le loro uova vengono mangiate in Thailandia
in insalata o saltate in padella. Il loro sapore ricorda vagamente il
limone ed è molto vicino all’agrodolce.
Le sole uova delle formiche invece è una pietanza messicana e si tratta
della formica nera gigante detta altrimenti “caviale di insetti”.
Si trovano presso le radici delle piante di agave, vengono bollite o
fritte nel burro per essere mangiate nei tacos o servite in una ciotola
come contorno delle tortillas. Hanno un sapore simile al burro e
alle nocciole con una consistenza che ricorda la ricotta. Le tarantole
vengono mangiate in Cambogia e Venezuela, si tratta di aracnidi e non
di insetti ma certamente destano la stessa curiosità. Anche queste
sono fritte in olio, sale e zucchero e a volte, viene aggiunto dell’aglio
fin quando non diventano croccanti per poi esser vendute come cibo
da strada in Cambogia dove quindi non si scarta niente.
Nella giungla venezuelana le tarantole sono considerate una
prelibatezza e cibandosi di uccelli, spesso raggiungono delle
dimensioni notevoli: vengono arrostite sul fuoco.
Il gusto? Un misto di granchio e nocciola.
Piatto tipico di molti paesi dell’Africa occidentale, dell’Australia e
dell’America del Sud è costituito dalle termiti che spesso vengono
addirittura consumate crude! Si trovano sui tonchi o sui rami degli
alberi, si catturano singolarmente e poi sono vendute nei mercati, una
volta a casa o si arrostiscono sulla brace o si friggono: il loro sapore
dicono sia uguale a quello delle carote.
Altra specie molto consumata è quella delle cavallette che vengono
mangiate in molte parti del mondo dal Messico all’Uganda. Sono
ricchissime di proteine e si possono bollire o friggere, risultano
sempre croccanti. Possono essere servite come snack su degli spiedini
o si preparano ottime frittelle, o fritte con aglio e burro o addirittura
trifolate come i funghi!
I modi e le specie consumate sono davvero tante e come dicevo,
anche ad Expo sono stati offerti in alcuni padiglioni dopo che è stato
dato il permesso. Anche il Belgio ha potuto proporre piatti a base
di insetti: pasta integrale fatta con farina ricavata dalla così detta
tarma della farina che in questo paese viene normalmente allevata e
commercializzata.
Sono stati proposti anche piatti di cavallette con insalata, scorpioni
alla vodka, bacherozzi d’acqua in salsa di peperoncino, kebab di vermi
e sacchetti pieni di grilli.
Certo si tratta di un tipo di allevamento sostenibile poiché richiede
meno utilizzo d’acqua rispetto alle colture agricole ed essendo
disponibili in natura potrebbero costituire un aiuto per debellare la
fame nel mondo.
Nonostante siano considerati un alimento valido e ricco sotto il
profilo nutrizionale, essendo composto oltre che da proteine, da fibre
e micronutrienti, le polemiche non sono mancate.
Gli insetti di Expo sono stati forniti dalla Società Umanitaria e
l’obbiettivo era proprio quello di far riflettere su quali potrebbero
essere gli alimenti alternativi per sfamare le popolazioni di tutto il
mondo. Inoltre ricordiamo che in materia di commercializzazione di
insetti, molti paesi europei erano già più avanti rispetto all’Italia dove
appunto, solo dopo Expo, si è cominciato a prendere in considerazione
la possibilità di avere ristoranti in cui vengono serviti insetti.
Adesso però vi pongo una domanda: quanti di voi preferirebbero dei
bei grilli fritti o spiedini di scorpioni a un piatto di lasagne o una bella
pasta al sugo fresco?
La risposta deve essere sincera...
Valentina Trebbi
BNB
1 Dicembre 2015
Provincia
15
casalecchio di reno
Con gli occhi di Odisseo
Anche il mese di Dicembre ci riserva
sorprese interessanti ed eventi che
sarebbe un vero peccato perdere.
Ad esempio, a Casalecchio di
Reno, giovedì 10 Dicembre presso
il Teatro Comunale Laura Betti,
Davide Enia (nella foto) leggerà la
discesa agli inferi dal Canto XI.
Egli proverà a far rivivere un viaggio
nel viaggio, una personale odissea
del protagonista.
Ci troviamo in un tempo immobile
dove questo viaggio si sviluppa
all’interno delle pulsioni che
animano l’inquieto viaggiatore e
riusciamo a vedere tutto con una
prospettiva soggettiva, con gli occhi
di Odisseo.
Davanti al nostro sguardo scorrono
i più grandi eroi della guerra di Troia
ma anche gli affetti intimi e privati
del protagonista: è praticamente
un viaggio dantesco ante litteram.
Nell’Ade Odisseo incontra la
madre lasciata viva a Itaca, un suo
amico morto da poco, l’indovino
Tiresia che gli predice il futuro e il
fantasma di Achille.
Lo spettacolo termina proprio con
l’incontro tra il guerriero, simbolo
della bella morte in guerra e l’eroe
furbo, scaltro che preferirebbe
essere un guardiano di porci
piuttosto che il sovrano di un regno
di morti.
Due poemi che sono stati e sono
ancora alla base della cultura
occidentale e che vogliono
rappresentare la continua lotta tra
pace e guerra, tra bene e male.
V.T.
Per Info: Teatro Comunale L. Betti
Piazza del popolo, 1
Casalecchio di Reno BO
Telefono: 051/570977
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bolognese
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Quante volte a Bologna ti sei
chiesto quando e dove vado a
tagliarmi i capelli o a farmi la
ceretta??
Io, ad esempio, per pigrizia, per
risparmiare o perchè tutto era
inaccessibile nel fine settimana, ho
fatto dei gran danni a casa.
Quindi ho pensato, - “qui ci
vuole un informatico, un grafico,
qualcuno che ne sappia del
mondo della bellezza e il resto vien
da sé...”
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BOLOGNA E PROVINCIA
16
Bologna da Scoprire
BNB
1 Dicembre 2015
Il Palazzo dei Drappieri
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Luogo al centro della promozione culturale a Bologna
Dicembre si sa è il mese festaiolo
per eccellenza, inevitabile fare
due passi in centro per guardare
le ricche vetrine dei negozi e per
passeggiare nel nuovo look di Via
Ugo Bassi e Via Rizzoli, per poi
perdersi tra le bancarelle sulla laterale della Cattedrale di San Pietro,
dove di Italico e Felsineo è rimasto
ben poco, anzi niente.
Stavolta parliamo proprio del cuore
storico di Bologna, quel centro che
si riconosce nell’emblema della
nostra città, le Due Torri, Piazza
Ravegnana, l’imperdibile ritrovo
dei turisti che guardano meravigliati lo sbilenco sviluppo verticale
dei simboli di Bologna. Nel guardare la meraviglia delle Torri, si
danno le spalle ad un Palazzo ricco
di Storia, Palazzo Francia Strazzaroli
o dei Drappieri.
Il Palazzo venne finanziato proprio
dalla potente corporazione dei
Drappieri, molto importante nel
’400, commerciati in stoffe, i drappi
appunto, vendute a pezzi nei vari
mercati cittadini e grazie a questa
loro attività, divennero molto ricchi,
in conseguenza molto potenti.
Fu progettato e costruito tra il
1486 ed il 1496, dall’architetto
Giovanni Piccinini che prese spunto
dalla Domus Magna di Giovanni
Bentivoglio, Signore di Bologna, che
sorgeva proprio in quel luogo.
Non solo: I Drappieri furono
proprietari fino all’ottocento di
una delle Torri, la Garisenda per
la precisione. La facciata è attribuita all’artista bolognese Francesco
Francia (1450 - 1517) e ricorda
nell’insieme, quella del Palazzo
del Podestà. Presenta nove arcate,
oggi tutte murate, ed una terrazza,
meglio balcone, in arenaria.
La merlatura delle torri ricorda la
torretta della Torre degli Asinelli
costruita nello stesso periodo.
La nicchia che sormonta il balcone
centrale, ospita una statua della
Vergine con Bambino di Gabriele
Fiorini, visibile solo in determinate occasioni, come la discesa in
città della Madonna di san Luca.
È chiamata anche Madonna del
Campanello perché, nelle occasioni
in cui viene svelata, è tradizione
che sia suonata la campanella che
si trova al suo fianco. Nel pinnacolo al centro della facciata è raffigurato San Girolamo, protettore
della Corporazione dei Drappieri.
Dal 1964 lo storico edificio ospita
al pianterreno, la sede della libreria Feltrinelli. Fu l’allora assessore
alla cultura Renato Zangheri, il
sindaco era Dozza, a proporre a
Giangiacomo Feltrinelli, i locali in
pieno centro e all’ingresso della
zona universitaria, strategicamente perfetti per il progetto della
famosa casa editrice milanese.
Fu ampliata negli anni Ottanta
fino fino ad occupare quasi tutte
le vetrine che si affacciano su
Piazza Ravegnana. Ancora oggi
ospita conferenze e incontri
con gli autori, ponendosi come
uno dei centri di promozione
culturale più vivi a Bologna.
Un’ultima curiosità: nel 1682
la corporazione dell’Arte dei
Drappieri, fece collocare sotto le
due Torri, una statua di San Petronio
commissionata a Gabriele Brunelli,
statua che fu trasferita nella
Basilica dedicata al Santo Patrono
di Bologna, in seguito ad un terremoto nel 1871 che ne distrusse
completamente il piedistallo.
Il 4 ottobre 2001 la statua fu
ricollocata nel suo sito originario.
Un libro è sempre un’ottima
compagnia, leggere aiuta a riflettere, è un ottimo regalo e poi un
libro ti aspetta sempre in silenzio,
e prima di entrare alla Feltrinelli
stavolta date le spalle alle Due
Torri e guardate la bellezza di un
altro pezzo di Storia di questa bella,
opulenta, festaiola Bologna. Salute
e Buone Feste.
Enza Pallara
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Orari 10,00 -13,00 / 15,30 -19,30 - Domenica aperti
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data
1 Dicembre 2015
Selfie Mania: la moda
più antica del mondo
Il periodo delle feste è proprio il
momento giusto per osservare che
in Italia, in Europa e nel mondo è
presente un’esigenza tanto comune
quanto antica: scattare fotografie. Tra alberi di natale, pandori e
panettoni, infatti, ogni occasione
sarà buona per dar sfogo alla cosiddetta mania degli autoscatti o più
semplicemente definiti “selfie”.
In realtà la pratica di fotografarsi,
divenuta ormai una vera e propria
moda, è sempre esistita fin dai
tempi più remoti per immortalare
i momenti felici trascorsi in
vacanza, gli attimi più importanti
per ognuno di noi o i ricordi con
persone a noi care e, fino a qualche
tempo, passava tramite la classica
macchina fotografica o, addirittura,
supplivano i pittori che attraverso i
ritratti appagavano il desiderio dei
ricchi di immortalare se stessi. Un
pizzico di vanità, quindi, fa parte
del corredo umano fin dall’antichità
ma ciò che mutano sono le modalità con cui si alimenta e si soddisfa
il proprio amore di sé. Infatti, basta
fare una semplice passeggiata per
il centro della propria città per
essere inseguiti da quei venditori
ambulanti che un tempo offrivano
libri ed oggi offrono i cosiddetti
“selfie stick”. Questi ultimi altro
non sono che bastoni facilmente
allungabili sui quali posizionare il
proprio Smartphone per realizzare
al meglio i rispettivi autoscatti assecondando così una passione divenuta ormai collettiva.
La circostanza è che, complice
l’utilizzo dei telefonini che hanno
progressivamente sostituito la
macchina fotografica, questi selfie
non rimangono nell’archivio del
proprio cellulare per essere gelosamente custoditi ma, spesso e
volentieri, vengono immediatamente riversati in rete sui vari
social network costruendo in tal
modo quel circolo vizioso nel quale
ci si riprende continuamente per
ammirarsi e farsi ammirare. La rete
diviene una grande vetrina autoreferenziale, utilizzata per dimostrare
chi si è e quanto si vale, per comunicare stati d’animo e caratteristiche di sé in modo disimpegnato
e senza le difficoltà della comunicazione diretta. Il famoso selfie,
infatti, consiste proprio nel guardarsi e riguardarsi in tutte le pose
e sfumature, con o senza vestiti,
mangiando o bevendo, in casa o a
lavoro mostrando a tutti quell’intimità che dovrebbe esser riservata
solo a poche e conosciute persone.
L’arte del fotografarsi in ogni salsa,
quindi, mette in evidenza una forte
dose di narcisismo e vanità insita
dentro ognuno di noi alla quale
sembra impossibile resistere in
quanto caratteristiche fisiologiche
dell’uomo sin dall’antichità. Alcuni
importanti studi storici, infatti,
evidenziano che gli stessi indigeni
americani erano entusiasti nel rivedere la propria immagine riflessa nei
primi specchi importati dall’Europa
17
alimentando già allora una certa
componente di autocompiacimento
che ad oggi risulta una qualità indispensabile di ogni individuo e, di
conseguenza, della società.
In realtà, la mania dell’autoscatto,
oltre all’infantile narcisismo e al
correlato aspetto della vanità e
dell’amore di sé, nasconde una vera
e propria dose di esibizionismo,
un desiderio quasi esasperato di
mettere in mostra il proprio aspetto
dimenticandosi che il pudore e
la riservatezza sono requisiti che
dovrebbero esser maggiormente
valorizzati nella vita di ognuno di noi.
Questo costante bisogno di apparire, nascondere i difetti e cambiare
i filtri comporta, oltre all’esasperazione del concetto di bellezza, una
sorta di necessità delle persone
di essere apprezzate, di ricevere
conferme e rassicurazioni anche
a costo di risultare ridicoli, se non
addirittura fuori luogo per certi
scatti troppo provocatori o intimi.
Proprio per evitare quest’ultime
spiacevoli situazioni, sarebbe più
opportuno godersi le festività senza
avere la preoccupazione di pubblicare su Facebook un selfie con una
fetta di pandoro in mano o con
l’ultimo regalo scartato: cerchiamo
di comunicare di più con le parole
facendoci gli auguri di persona e
non tramite un autoscatto!
Valentina Ametta
www.buonenotiziebologna.it
BNB
Persone e Società
18
Curiosità
BNB
1 Dicembre 2015
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Chi ha inventato le luci di Natale?
130 anni fa si accendeva il primo
albero. Da allora il Natale è diventato sempre più luminoso. A tutti
noi piace immergerci in questa
atmosfera ma bisogna fare delle
riflessioni.
Il Natale si avvicina e anche
quest’anno, come di consueto, le
strade d Bologna e le Due Torri si
sono vestite a festa e sono tornate
ad essere illuminate. Con una novità
d’eccezione: le luci non solo avvolgeranno a 360 gradi la Garisenda
e gli Asinelli, in modo che l’illuminazione sia visibile anche da
strada Maggiore, via San Vitale, via
Zamboni e piazza della Mercanzia,
ma resteranno accese in maniera
permanente per 365 giorni all’anno
e non più soltanto per le feste. È l’illuminazione monumentale permanente, il regalo di Natale anticipato
che Ascom ha consegnato alla città
sabato 28 novembre con una cerimonia di inaugurazione.
Introdurre la novità dell’anno per la
città di Bologna, ci permette di fare
un excursus storico e riflessivo su
ciò che, da decenni, ha più rapito il
nostro immaginario e ha immerso
città e piccoli borghi nell’atmosfera
natalizia: le luminarie.
Infatti tra tutti gli aggettivi che si
adattano al Natale, dal 22 dicembre 1882, vi è quello di luminoso.
Forse la data è solo simbolica, difficile accertare quando il primo filo
di lampadine è stato attorcigliato
a un albero, però è quanto meno
molto probabile. In ogni caso,
allora l’idea va attribuita a Edward
Hibberd Johnson, un socio in affari
di Thomas Edison e vice presidente della Edison Electric Light
Company (Harrison, New Jersey,
dove, dal 1979, si producevano le
primelampadine a incandescenza). A quanto si racconta in giro, Johnson
aveva creato degli addobbi natalizi elettrici per il suo laboratorio
già nel 1880. Erano dei semplici
fili di lampadine di vari colori. La leggenda vuole che poi, nel 1882,
a tre giorni da Natale, decise di
prendere un filo, metterci circa 80
lampadine colorate e di usarlo per
l’albero della sua casa, a New York
(ne avrebbe scritto William Croffut,
un reporter per il Detroit Post e il
Tribune). Ci vollero un po’ di anni prima che
l’intuizione di Johnson diventasse un
business: secondo alcune fonti, nel
1895, il Presidente Grover Cleveland volle il primo albero illuminato
elettricamente per la Casa Bianca.
Le prime pubblicità della versione
commerciale delle Christmas tree
lamps apparvero però sulle riviste
americane solo nel dicembre del
1901. La marca era una: Edison
General Electric, e il business prese
il via dal 1903. I fili portavano nove
prese elettriche cui erano attaccate
altrettante lampadine al carbone
da 32 volt (la luce di due candele).
All’inizio sembra che i principali
acquirenti fossero solo gli americani facoltosi; poi, negli anni Venti,
questi addobbi divennero più popolari. I decori luminosi, bubble lights,
si diffusero, invece, nel corso degli
anni Trenta. Non che prima di quel momento gli alberi di Natale non fossero illuminati, ma si usavano le classiche
candele di cera. Per quanto suggestive, però, erano poco pratiche e
anche pericolose. Nel 1917, ci fu un
tragico incendio a New York proprio
a causa di questa usanza. A questo punto entra nella storia
delle luci di Natale un altro personaggio, Albert Sadacca, che
all’epoca aveva appena 15 anni.
Il giovane sarebbe rimasto così
impressionato da quell’evento da
spingere l’azienda della sua famiglia (che vendeva oggetti in vimini)
a lanciarsi nel commercio delle
lampadine natalizie. Insieme ai due
fratelli, Henri e Leon, mise in piedi
la Noma Electric Company, la più
grande azienda di luci di Natale nel mondo fino alla metà degli anni
Sessanta. Dopo più di 130 anni di storia di
luminarie natalizie, è giusto anche
avere
qualche
accorgimento,
soprattutto in ambito di decorazione pubblica, sulla necessità di
rendere belle e accoglienti le nostre
città durante tali festività in maniera
responsabile ed economicamente
sostenibile.
Potrebbe risultare banale ribadire
che nei momenti di crisi economica
sarebbe necessario razionalizzare
le risorse pubbliche, per garantire i servizi primari alle categorie “più
deboli” delle società, bambini,
anziani, disabili, immigrati, indigenti.
Il Natale si potrebbe festeggiare
nel migliore dei modi, recuperandone oltretutto il vero significato,
con addobbi semplici e allestimenti
più sobri del solito. Questa festa,
infatti, dovrebbe essere il simbolo
della pace, della solidarietà e della
fratellanza, valori che la società
degli egoismi e dei consumi sembra
quasi avere cancellato. Ora che si
sta avvicinando il Natale, apprendiamo che le Amministrazioni
Pubbliche stanno deliberando
impegni di spesa, spesso ingenti,
per le luminarie. Le luminarie
non sono indispensabili e hanno
un costo notevole, per l’installazione e per il consumo dell’energia
elettrica.
Il risparmio delle luci di Natale,
dunque, potrebbe essere impiegato per acquistare apparecchiature mediche per i Reparti di
Pediatria, per sistemare le nostre
scuole, per abbattere le barriere
architettoniche, per comprare
giochi per bimbi disabili da installare nei parchi pubblici, per finanziare progetti che riguardano le
politiche sociali, per garantire l’assistenza domiciliare alle persone con
gravi difficoltà e molto altro ancora.
Se poi non si riuscirà a fare
altrimenti, se cioè le luminarie
dovranno essere allestite ad ogni
costo, si potrebbe emulare l’esempio di alcuni Comuni italiani, fra
cui Bologna, dove esse sono state
pagate interamente dal Sindaco,
dagli Assessori e dai Consiglieri, o
da Associazioni di Categoria senza
gravare sul bilancio delle finanze
pubbliche.
Sebastiano Curci
1 Dicembre 2015
Il Re dei gatti
e le conturbanti
ninfe languide
La profondità e il mistero dell’esistenza
nei dipinti di un genio dell’arte
Balthasar Klossowski, Conte de
Rola, conosciuto come Balthus (Parigi, 1908 - Rossinière, 2001) è
uno dei massimi pittori del secolo
scorso, uno studioso di arte classica, nel senso più autentico del
termine, in quanto capace di
cogliere e riproporre nelle sue
tele, da figlio dell’inquieto e
violento ’900 a cui appartiene,
gli insegnamenti dei pittori del
’400 italiano; una mente di grande
profondità e acume capace di
percepire e dialogare attraverso
la sua opera col classicismo e la
contemporaneità, comprenderne i
contenuti e creare il suo stile e la
sua personale rappresentazione
del mondo.
Amato perché compreso nella sua
qualità di pittore bravo a dipingere
e di visionario capace di esprimere
contenuti rivelatori della complessità della vita, del suo mistero
percepibile solo a tratti; apprezzato per la capacità di rappresentare la meraviglia e l’energia di un
mondo sospeso tra incanto estetico, sogno infantile, simbolismo
rivelatore, pulsione vitale e feroce
di un erotismo adolescenziale
rappresentato per quello che è,
come forza primordiale, senza
ipocrisie.
E qui arriviamo a uno dei punti
cruciali dell’universo interiore
di Balthus: l’ossessione per le
cosiddette ninfette languide che
popolano le sue tele e che scandalizzano i benpensanti. Ognuno
è libero di pensare ciò che vuole,
personalmente sono grato perché
tali dipinti non vengono censurati e chiunque può ammirarli
su Internet. E questo è un bene
perché al di sopra di mille pettegolezzi si può affermare con
sicurezza che si tratta di autentiche opere d’arte. Così si difese il
Maestro: “Cerco di restituire un
carattere divino della vita e del
mondo familiare. Tutte le mie
figure femminili sono degli angeli,
delle apparizioni”. Balthasar è di origine polacca.
Suo padre, appartenente a una
nobile famiglia polacca, è uno
storico dell’arte e dipinge. Anche
la madre è pittrice. I due vivono a
Parigi dal 1903 dove nasceranno
prima Pierre, futuro scrittore e
filosofo, poi Balthus. La loro casa
è frequentata dai migliori letterati e artisti europei dell’epoca.
Nel 1914 scoppia la guerra e la
famiglia Klossowski è costretta a
lasciare la Francia e trasferirsi a
Berlino, perché i genitori hanno
passaporti tedeschi e la Germania
è una nazione nemica. Nel 1917 i
coniugi si separano e la madre del
pittore si trasferisce in Svizzera coi
due figli. Qui la donna conosce e
diventa amante del celebre poeta
Rilke. Questi a sua volta diventa
una figura centrale nella vita di
Balthus, un padre spirituale che
lo aiuta a pubblicare nel 1921
i disegni autobiografici di un
ragazzo e del suo amato gatto,
con cui il futuro Maestro inizia
una precoce carriere artistica.
Da quel momento i gatti accompagneranno l’opera del pittore e
diverranno una sua emanazione,
una parte di sé trasfigurata sulle
tele. Continuano le peregrinazioni familiari, causate da cattive
condizioni economiche: Berlino
dove frequenta lo studio di uno zio
pittore e Parigi dove prende lezioni
di disegno e pittura.
Nel 1926 soggiorna a Firenze e
Arezzo dove studia il ’400 fiorentino e resta folgorato da Piero
della Francesca. Da questi dipinti
apprende che l’arte, la vera arte
è magia, rivelazione di un mondo
magico, vibrazione dell’anima,
conoscenza dell’energia che anima
l’universo. Impara che tali pittori
utilizzavano la sezione aurea o
“divina proporzione” (una proporzione geometrica presente in
natura, ritenuta ideale di armonia
e bellezza) per la composizione dei
propri quadri. Ed ecco che il “Re
dei gatti” s’impossessa di quella
luce, di quella geometria che
impone che lo spazio del dipinto
sia costruito e ordinato lungo
linee, rettangoli, figure precise in
cui si esprime l’ordine sacro della
Creazione. Balthus sospende il
tempo e nella calma apparente
della sua messa in scena crea una
tensione, un’attesa dove è raro che
accada qualcosa a turbare l’immobilità di fondo. E diventa uno dei
grandissimi del ’900, uno dei pochi
a rimanere fedele a un modernissimo figurativismo che racchiude e
sintetizza secoli di storia e cultura.
Negli anni ’30, mentre cresce la
sua fama, prima in Svizzera, poi a
Parigi conosce e frequenta esponenti di spicco del Surrealismo, ma
pur relazionandosi con essi, pur
dividendo con essi le tematiche
oniriche, il Maestro se ne andrà
per la sua strada, per restare fedele
alle sue fantasie d’infanzia di gatti
e fanciulle in fiore, alla sacralità dei maestri del ‘400, alla sua
singolare percezione del mistero
dell’esistenza, tutti elementi che
non hanno eguali nel panorama
artistico del secolo scorso.
Balthasar sopravvive a due guerre
mondiali, a due matrimoni e attraversa con leggiadria tutto il secolo
lasciandoci, grazie alla sua opera,
tutta la grazia e il fascino che
appartiene ai grandi artisti. Era
un solitario, un gatto sfuggente,
che ha avvolto nella riservatezza
e nel sogno la sua vita. Scrisse
Rilke al piccolo Balthus: “Sempre a
mezzanotte, si apre una minuscola
fessura tra il giorno che finisce e
19
quello che comincia, una persona
molto agile che riuscisse a intrufolarsi uscirebbe dal tempo e si
troverebbe in un regno indipendente da tutti i cambiamenti di
cui siamo oggetto; in quel luogo
si accumulano tutte le cose che
abbiamo perso […]. Là, mio caro
Balthus, dovrà intrufolarsi nella
notte del 28 febbraio, per prendere
possesso della sua festa, nascosta
in quel luogo”. È quello che l’Artista
è riuscito a fare nel corso di tutta
la sua vita con intelligenza. E noi lo
ringraziamo per questo.
Ugo De Santis
Balthus
Fino al 31 gennaio 2016
Roma, Scuderie del Quirinale
Villa Medici
Biglietto: 12 euro www.buonenotiziebologna.it
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Arte
20
Almanacco
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1 Dicembre 2015
www.buonenotiziebologna.it
Carla Voltolina,
una grande donna
per un grande uomo
Carla Voltolina (nella foto) è nata
a Torino il 14 giugno 1921. È stata
una giornalista e una partigiana
italiana.
È nota perché è stata la moglie di
Alessandro Pertini, il Presidente
della Repubblica più amato dagli
italiani. Suo padre Luigi Voltolina
era un ufficiale dell’Esercito, sua
madre Rosa Barberis era una casalinga. Aveva un fratello, Umberto.
Dall’età di 6 anni la Voltolina ha
praticato nuoto poi ha smesso a
causa della guerra.
All’età di 22 anni Carla Voltolina ha
abbandonato i suoi studi universitari di Scienze Politiche a causa della
seconda guerra mondiale. Dopo
l’8 settembre 1943 la Voltolina si
unisce alla “Brigata Matteotti” e
diventa una staffetta partigiana.
Viene arrestata dalle SS durante un
rastrellamento ma riesce ad evadere
di prigione. Dopo la liberazione
di Roma Carla Voltolina collabora
con un giornale clandestino. Nel
corso della sua attività partigiana la
Voltolina ha conosciuto Pertini che
all’epoca era un rappresentante del
Comitato di Liberazione Nazionale.
Pertini e la Voltolina si sono conosciuti a Milano. Dopo la fine della
guerra e della dittatura l’8 giugno
1946 Alessandro Pertini e Carla
Voltolina si sono sposati con rito
civile. Dopo il matrimonio si sono
trasferiti a Roma.
Quando Pertini è diventato
Presidente della Camera i due
hanno vissuto in un appartamento
nei pressi di Montecitorio. Hanno
vissuto anche in un appartamento
nella zona dell’EUR e in un appartamento vicino alla Fontana di Trevi.
Dopo il matrimonio con Pertini la
Voltolina ha iniziato la sua attività
giornalistica collaborando con
“Il Lavoro” di Genova e per “Noi
donne”, il settimanale dell’Unione
Donne Italiane.
Si è specializzata nel giornalismo
di inchiesta. Celebre è stata la sua
inchiesta sulla prostituzione in
Italia poi diventata anche un libro
“Lettere dalle case chiuse” che ha
contribuito all’approvazione della
legge Merlin del 1958 sulla chiusura delle case di tolleranza in Italia.
Altre inchieste degne di nota della
Voltolina sono sulle carceri italiane
e sulla condizione degli anziani.
Nel 1972 Alessandro Pertini è
diventato Presidente della Camera
dei Deputati e la Voltolina è sta
costretta ad interrompere la sua
attività giornalistica.
La Voltolina ha deciso di riprendere
i suoi studi universitari e nel 1974
si è laureata in Scienze Politiche
con una tesi sulla condizione degli
anziani. La Voltolina si è laureata
in Psicologia presso la Facoltà di
Magistero a Torino. Carla Voltolina
ha lavorato al Policlinico Gemelli
di Roma e nell’Ospedale di Santa
Maria Nuova a Firenze.
Il 23 settembre 2002 a Firenze è
nata la Fondazione Sandro Pertini.
Dal giorno della morte del marito
si è fatta chiamare Carla Pertini.
Il 18 aprile 2004 Carla Voltolina
è diventata cittadina onoraria di
Campo dell’Elba, il comune dell’isola di Pianosa dove dal 1931 al
1935 è stato confinato Alessandro
Pertini. A Campo dell’Elba in onore
di Pertini è stato fondato un circolo
culturale, c’è una piazza che porta
il suo nome e c’è anche una statua
del Presidente.
Carla Voltolina è morta il 6 dicembre 2005 all’età di 84 anni a causa
di una bronchite.
La signora Pertini ha sempre
voluto rimanere nell’ombra rifiutando qualsiasi intervista e qualsiasi apparizione pubblica.
Alessandro Legnani
1 Dicembre 2015
Cucina Etnica
Colori, aromi e sapori dal mondo
Forse noi possediamo la cucina
migliore al mondo fatta di prodotti
e ricette nella maggioranza dei casi
semplici e genuini.
Tuttavia è anche vero che la cucina
è parte integrante della cultura di
un paese in quanto le ricette tradizionali, le spezie e le pietanze tipiche rappresentano un modo facile
e curioso per avvicinarsi alla cultura
di una nazione, conoscerne il
popolo, i suoi ritmi e le sue usanze.
Si viaggia sempre di più e così si
decide di assaggiare le cucine etniche dal mondo per scoprire sapori
diversi e assaporare piatti nuovi.
7 ragazzi che con
la loro pasione,
sono il cuore e l'anima
del Ristorante Anteros
C’è però anche chi non si fida delle
cucine straniere e quando è all’estero preferisce un piatto italiano.
Vi invito però a provare di assaggiare altre specialità delle varie
cucine innanzitutto perché è un’esperienza che va fatta in quanto
arricchisce la nostra cultura culinaria e poi perché a volte i piatti sono
spesso conosciuti, vengono solo
cucinati e conditi in modo diverso.
Tuttavia per scoprire nuovi sapori
non sempre è necessario andare
lontano, basta anche uscire di casa
ed entrare nel primo ristorante
etnico della nostra città. Infatti
Menu
di Natale
Menu
€ 25,00 della Vigilia
€ 25,00
INFO E PRENOTAZIONI
Tel.: 051 82.71.12
Cell: 320 05.53.164
[email protected]
RISTORABILE ANTEROS
Menu
di Capodanno
Festa con
Musica dal Vivo
€ 38,00
Menù a prezzi ridotti
per i bambini
fino a 10 anni
questi locali si stanno diffondendo
sempre più e benché molti di essi
non offrano la reale cucina di un
paese, in altri i piatti si avvicinano
parecchio agli originali.
Attualmente è soprattutto la cucina
giapponese a prendere sempre più
piede. Grazie ai sushi bar questo
tipo di cucina asiatica è sempre
maggiormente apprezzata anche se
la conosciamo in modo superficiale:
la cucina per i nipponici, è un’arte.
Alla base c’è il riso bianco accompagnamento di zuppe e brodi. La
farina di riso spesso mescolata
a quella di frumento entra nella
preparazione degli spaghetti giapponesi molto morbidi.
Inoltre la soia utilizzata moltissimo
sotto forma di salsa o per creare dei
derivati come il tofu.
E dato che il Giappone è circondato
dal mare non può mancare il pesce
che viene spesso consumato crudo,
il sushi appunto, o anche cotto in
molte minestre. Questo alimento
viene accompagnato di frequente
con delle verdure, le alghe in particolare tra le quali la più diffusa è la
kombu che svolge una funzione di
esaltatore della sapidità.
Il cibo africano varia da regione a
regione ma si può affermare che
è quasi tutta costituita da carne
servita con sughi molto speziati. La
paprika dolce accompagna spesso
stufati di montone, il pollo è molto
diffuso e si va dal pollo al burro
d’arachide a quello servito con una
sorta di polenta.
Ѐ diffuso anche il pesce, specialmente nelle isole dove viene cotto
alla brace con spezie aromatiche e
piccanti. Molto buone sono le crocchette di pesce e verdure cucinate
in mille modi.
Non dimentichiamoci i dolci che in
questo continente sono una vera
prelibatezza: le banane fritte o
le torte a base di cocco o ananas
sempre presenti sulle tavole delle
feste. Anche le bevande sono a
base di frutta come il latte di cocco,
il succo di tamarindo e di maracuja.
21
HUMMUS
Ingredienti
250gr ceci
1l acqua
olio, succo di limone
2 spicchi d’aglio
1 cucchiaio di cumino
sale, paprika dolce
Mettete i ceci a bagno per tutta la
notte poi scolateli. Trasferiteli in una
pentola piene d’acqua, fate bollire e
scolate. Sistemate i ceci, il limone,
l’olio, il cumino, il sale, l’aglio tritato
e un po’ d’acqua nel mixer, frullate fino a ottenere un composto
omogeneo e dopo aggiungete la
paprika. La salsa si può servire con
il pane o anche con verdure.
INVOLTINI EGIZIANI
Ingredienti
200gr pancetta affumicata
100gr manzo tritato
½ cipolla
10gr mollica di pane
½ cucchiaio cumino
sale, pepe
scorza e succo d’arancia
1 cucchiaio miele
Tagliate a metà le fette di
pancetta. Con un mixer tritate la
carne con il cumino, la cipolla, la
mollica e la scorza d’arancia fino a
ottenere un composto uniforme.
Farcite le fette di pancetta con
questo composto e formate dei
piccoli cilindri.
Sistemateli su una teglia da forno
unta con un po’ d’olio e bagnate
con il succo d’arancia. Cuocete in
forno a 200 gradi per 20 minuti.
Spennellateli con del miele e
rimetteteli in forno 5 minuti.
La cucina messicana viene spesso
confusa con la limitata varietà di
piatti che si trovano nei vari ristoranti ma in realtà possiede una
vasta tradizione culinaria. Sono
molto diffusi il manzo, il pollo e
il maiale. I fagioli, utilizzati come
accompagnamento o piatto a sé.
Tra le verdure non scordiamoci i
peperoncini e i peperoni verdi dolci.
Da noi sono famosi i tacos, i burritos, la salsa guaca mole a base di
avocado e le tortillas ma questi
piatti si discostano un po’ dall’autentica cucina messicana che
invece è ricca di sapori e ingredienti
derivanti dalle varie epoche e dalla
colonizzazione.
Un’altra cucina che si sta diffon-
dendo molto è quella araba a
base di couscous conosciuto e
apprezzato anche da noi, falafel
cioè polpettoni di ceci o fave, il
tagine piatto a base di carne o
pesce con verdure e che prende il
nome dal contenitore in cui viene
cotto. Infine i raffinatissimi dolci,
quasi sempre a base di mandorle
e miele a cui vengono aggiunte
essenze come i fiori d’arancia o
pezzetti di dattero.
Elencarle tutte sarebbe impossibile
quindi mi fermo qui, così com’è
difficile riprodurre i veri piatti della
tradizione ma voglio darvi due
ricette che vale la pena di provare
a realizzare.
Valentina Trebbi
Bar
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ROSES
di Munaro Valeria
Via Matteotti 153
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1 Dicembre 2015
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e passivo), riconciliazioni bancarie,
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passivi, compilazione fogli presenze
dipendenti, controllo buste paga e
relativa registrazione, pagamenti
fornitori, contributi e ritenute
d’acconto tramite F24, controllo
e stampa a fine mese dell’IVA ed
eventuale pagamento tramite
F24, preparazione del bilancio di
fine anno (inventario, controllo
analitico schede contabili, riconciliazione schede banche, controllo
clienti/fornitori, calcolo e registrazione ammortamenti, ratei e
riscontri, stampa registri contabili
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anche come autista, zona
Cento ma anche limitrofe.
Cell. 340/7903941
• Signora 60 anni italiana cerca
lavoro ad ore come pulizie,
o assistenza anziani. Zona
Bologna centro o periferia.
Cell.3473356781
• Pensionato automunito con
esperienza cerca lavoro come
manutetore di giardini e pulizie
in zona S. Giovanni in Persiceto
o Castelfranco.
Cell. 349/2547914
• Donna polacca 37 anni cerca
lavoro di pulizie, assistenza
fascia oraria di apertura del locale
dalle ore 6.00 alle 21.00 compresa
la domenica
Per candidarsi inviare il CV a: [email protected] citare rifcipsgp
2114/2015
L’azienda valuterà solo i candidati
con i requisiti richiesti
Cod. 2111/2015 valida fino al
18/12/2015
Mansione Fornaio panificatore
Qualifica ISTAT 6512101
Fornaio panificatore
Contenuti e contesto del lavoro
produzione di pane, pizza e articoli
da forno
Luogo di lavoro Anzola dell’Emilia
Caratteristiche candidati Patente B
Automunito.
Contratto Tempo Determinato
Conoscenze
Esperienza
nella
Mansione
Orario Tempo Parziale indicativamente di 4/6 ore al giorno nella
fascia oraria notturna compresa la
domenica
Per candidarsi inviare il CV a: [email protected] citare RifCipSGP
2111/2015
L’azienda valuterà solo i candidati
con i requisiti richiesti
anziani (corso OSS) colf, ed altri
lavori domestici, massaggiatrice
diplomata.
Cell. 380/9028237
• Signora polacca da anni in Italia
con esperienza di assistenza
anziani (corso OSS) e
con referenze cerca lavoro
come badante.
Cell. 389/3139030
• Donna polacca 40 enne, da anni
in Italia con esperienza assistenza anziani, babysitter, cerca
lavoro come colf, badante, ore
giornaliere, pulizie, stiro.
Offresi massima serietà.
Cell. 320/8839946.
• Signora italiana cerca lavoro
come baby sitter part-time
preferibilmente mattino.
Esperienza bambini zona
Bologna. Cell. 347/3356127
[email protected]
• Signora 48enne con esperienza
ventennale, cerca lavoro come
impiegata commerciale nella
città di Bologna e provincia.
Cell.347/7052432
[email protected]
BNB
23
Lo Sfizio
1 Dicembre 2015
RUMORI
RUMORE
Rumore, rumori dentro casa e fuori!
Non vedo dalla nascita, il mio occhio è spento
Ma ci sento molto bene e il rumore è un tormento!
Un picchiettare ritmato
Legno contro legno
Allegro come una festa
È la nonna che fa la pasta.
È vero, è vero, sì sono viva
Ma non sopporto lo stridore dei freni
E neppure il violinista della porta accanto
Che strimpella e si crede un grande artista.
Colpi di martello
Tintinnar di lamiere
Vampate di calore
È il fabbro che lavora.
Invece il miagolio di Tom mi piace
Adoro le sue fusa quando mi dorme in grembo in pace.
Stridio di sega elettrica
Ritmar di martello
Profumo di legname
È l’opera del falegname.
Oggi mi sento un po’ confusa, suona una sirena.
Ma cosa succede in strada: un incidente
Ladri, feriti? Oddio che pena!
Rumori e rumori ma nessuna luce
Né dentro, né fuori.
Silvana La Valle
Poesie
auser
Ticchettar di mitraglia
Rombo di cannone
Persone che muoiono
Mentre trema tutta la terra
È una sporca guerra!
Maria Luisa Giannasi
LA dAMA pER TUTTI!
Finali di 1° posizione.
in rubrica presentiamo tra le più
frequenti posizioni che si verificano in gioco vivo che già abbiamo visto in precedenti puntate.
Diagr. 1) Come si forza la 1° posizione: 21-17! (e non 28-24 che
porta alla pari) 16-20, 28-24, 2023, 24-20, 23-27, 20-16, 27-30, il
B. non ha la mossa ma col cambio tutto cambia! 11-7! x, e il B.
vince portando a Dama la pedina
in 17.
Diagr.2) 13-10, 8-12, 29-26, 12-15,
26-22, 15-20, 22-19, 20-23, 19-14,
23-27, 14-11, 27-30, 11-6, 30-26,
6-2, 26-22, anche il B. va a dama
19-15, 3-7,! mossa essenziale:
infatti impedisce di raggiungere
al N. il biscacco e pareggiare e lo
trascina sul biscacco opposto.
Diagr. 3) Come evitare la 1° posizione: 29-25, 18-14, 29-26, 14-10,
26-22, 9-5, 22-19, 5-2, 19-15 e il
B. non vince.
Diagr. 4) 6-10, 19-15, 10-13, 1519, 13-18, 19-23, 18-22, 23-20,
7-4, 20-15, 4-8, 16-20, 22-19 b.v.
Nel diagr. successivi abbiamo
due posizioni con blocco “sospesi” identico in entrambi.
Soluzioni:
Diagr. 5) 15-11, x, 16-12, x, 24-20,
b.v.
Diagr. 6) 11-7, x, 31-28!, x,28-24!
b.v.
Arrivederci a gennaio!
Federico Piras
Auguri di Buon Natale a tutti!
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Rombo di macchina
Pulviscolo che odora di grano
Voci di gente operosa e felice
È arrivata la trebbiatrice.
LO DICE LA VALE
“Dicembre gelato non va disprezzato”
“Dicembre imbacuccato grano assicurato”
“Seminare decembrino vale meno d’un quattrino”
“Se avanti Natale fa la brina riempi la madia di farina”
“Da Santa Lucia (13) il freddo si mette in via”
A dirlo fa un po’ effetto ma tra poco è Natale e arrivano
le tanto desiderate feste, un’occasione per riunirsi,
stare insieme e riscoprire il significato di famiglia.
Anche in questo mese non mancheranno i consigli da
applicare alla vita di tutti i giorni.
La Luna nuova ci consiglia di piantare e trapiantare gli
alberi da frutto. Con la Luna crescente raccogliamo la
cicoria, la verza, gli spinaci e il radicchio rosso. In Luna
calante preparate il terreno per le semine primaverili,
mettete a dimora la lattuga e il radicchio da taglio. Infine
nel vostro giardino potete iniziare a piantare i tulipani, il
giacinto e il narciso.
Questo mese conosciamo il rosmarino che svolge un’azione stimolante sul sistema nervoso, ridà energia e forza a
chi è convalescente, fornisce la possibilità di concentrarsi e
memorizzare meglio. Utile per l’apparato digerente poiché
facilita la digestione. Favorisce la circolazione sanguigna,
alza la pressione ed è efficace per contrastare i reumatismi
e i disturbi circolatori. Agevolando la produzione di sudore
permette di espellere le tossine dall’organismo.
Oroscopo
di dicembre
Le previsioni del Mago di Durbio
ARIETE
Quando qualcosa non è come la
vuoi, la tua prima reazione è spesso
aggressiva e quindi potresti prendertela con chi ti circonda. Il consiglio è di non allontanarti da quello
che ti spaventa.
TORO
La prima parte di dicembre è la più
impegnativa, tra orari extra a lavoro e
probabili disagi con qualche collega.
Punta sulla seconda, quella capace di
rilassarti accanto ai tuoi cari.
GEMELLI
Dicembre non è tra i tuoi mesi preferiti, ma non scoraggiarti, i troppi
impegni potrebbero causare più
stress del solito. L’amore va di conseguenza, seguendo il tuo umore.
CANCRO
Nonostante le buone possibilità e i
risultati raccolti, è probabile avvertire un po’ di ansia verso il futuro. La
nostalgia fa capolino attorno al 29,
organizza un Capodanno rilassante.
LEONE
Gli sforzi saranno premiati e finalmente si aprirà un anno capace di
nutrire il tuo ego, rimasto troppo a
lungo senza i giusti riconoscimenti.
Punta sulle ultime due settimane
per rigenerarti.
VERGINE
Dicembre chiude un anno di grande
movimento e ne apre un altro che
sarà decisivo. Non sei il tipo che
si fa aspettative, lascia pure che
questo mese volino basse, soprattutto in amore.
BILANCIA
Il vizio di mantenere il piede in
due scarpe sotto le feste di Natale
potrebbe portare qualche turbamento. Prendi una posizione e
guarda positivamente al futuro.
SCORPIONE
Torni a sentire quel leggero
tormento di questa estate, un’ansia
immotivata che ti fa venire voglia
di cambiare tutto. Ritrova l’affetto
famigliare e metti da parte il tuo
pessimismo.
SAGITTARIO
Da metà mese inizierà un biennio
in cui ti aspetteranno nuove consapevolezze, percorsi esistenziali utili.
Punta sui primi dieci giorni per
dedicarti a conoscere gente nuova.
CAPRICORNO
Dopo anni di fermo ripartono i
progetti, si aprono le scatole rimaste chiuse, arrivano notizie che
cambiano le carte in tavola creando
un benefico effetto domino per
tutta la tua vita.
ACQUARIO
Rimetti in circolo le idee e l’immaginazione, tra le tue risorse
più grandi. Dicembre porta nuove
emozioni, che siano in famiglia o
con gli amici. L’anno si concluderà
circondata da affetto.
PESCI
Il tuo lato razionale sarà chiamato
in causa e si tratterà di mantenere
quello che si ha e iniziare una revisione di quello che non ti soddisfa
più. Non impelagarti in situazioni
complicate.
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`O famo strano: le altre cucine