Poste italiane S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB BRESCIA
Editrice La Scuola - 25121 Brescia - Expédition en abonnement postaltaxe perçue - tassa riscossa - Pubblicazione mensile - Anno 101° - ISSN 0392-2820
materna
SCUOLA
per l’educazione
dell’infanzia
Educazione scientifica
per l’infanzia
1
Buon anno!
L’accoglienza dei bambini stranieri
Genitori e nonni “da inserire”
settembre
2013
E D I T R I C E
LA SCUOLA
Il Pittosauro
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Direttore responsabile
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Redazione
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Impaginazione
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Segreteria
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Area web
Supporto tecnico
[email protected]
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Copertina e area web
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Direzione, Redazione, Amministrazione
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La rivista è peer rewied.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
ritagliami - ricalcami - aggiungi dei disegni sopra gli sfondi - colorami - ricostruisci la sequenza delle immagini e prova a scambiarle, a ruotarle, a espanderle - racconta la storia
Curatore “Quadrante”
1EVMS*EPERKE
LA FERMATA
Comitato esperti
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© 2013 Guido Morelli
http://pittoscritture.blogspot.com
sommario
Didattica ed esperienze
Editoriale
Buon viaggio!
Anno nuovo, vita nuova
5
Manuela Cantoia
13
Sandra Brambilla
sezione primavera
Elisa Passerini
15
Il sé e l’altro
Un mondo… diritto!
Caterina Martinazzoli
18
Il corpo e il movimento
Un po’ di… psicomotricità
Chiara Andronio
21
Immagini, suoni e colori
A scuola di media
Michele Aglieri, Alessandra Carenzio, Giulio Tosone
25
MusicaScenica
Maria Grazia Bellia
28
La città che vorrei
Erika Cunja
32
I discorsi e le parole
I discorsi e le parole
Antonella D’Ambrosio
37
La conoscenza del mondo
Focus
Meno
Buon
Quando le domande si fanno
esperienza
5… 4… 3… 2… 1…
Eleonora Belli, Chiara Sacchi
anno!
7
Patrizia Granata
L’accoglienza
dei bambini
Genitori
9
e nonni “da inserire”
Manuela Cantoia
Come immagini che succeda?
Elena Ferrari
44
Religione cattolica
stranieri
Claudia Ermetici
40
Il sì di Maria
Silvia Manzoni
47
English Lab
11
Incontriamo una nuova lingua
Haidi Segrada
51
Educazione alla teatralità
Teatro ed educazione
Gaetano Oliva
55
Creatività
Il cucchiaio e la forchetta
Milena Bartolomei
58
Imparare ad imparare
Impara come se dovessi vivere per sempre
Monica Oppici
62
Documentazione
Documentare alla Scuola dell’Infanzia
Sonia Claris
2
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
66
sommario
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
a cura di Enrica Giordano
69
Spazio libri
Storie del fare e del rifare
Laura Colizzi
90
Mondo scuola
Si può fare
C'è sempre tempo per cambiare
Mariella Bombardieri
91
Una lente curiosa
Osservando e… curiosando
Simona Ruggi, Monica Gatti
93
A che gioco giochiamo?
Lasciare tracce con il gioco
Massimiliano Andreoletti
95
Mettiamo in pratica
"Mettiamo in pratica”: protagoniste le
scuole
Manuela Mistri
96
Professioni di scuola
Dirigere e coordinare alla scuola
dell’Infanzia
Sonia Claris
98
Cronache di scuola
Com’è andata la giornata?
Letizia Carrubba
99
Tutti a scuola
L’integrazione scolastica
Mariateresa Cairo, Caterina Martinazzoli
101
News dalla ricerca
Emozione e cognizione
Michela F. Mancini
103
Quadrante
Obiettivo salute
Angioedema ereditario
105
Silvia Riva
Associazioni di scuole
autonome (Asa)
115
Mario Falanga
Dalle scuole
I
News
giochi cooperativi
L’unione
Benessere
fa la forza
Serena Rivolta
commento a cura di Luca Morganti
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
107
L’Italia
dei bambini
è 22esima su 29 Paesi
Maurizio Landi
118
3
editoriale
Manuela Cantoia
Anno nuovo, vita nuova
ome molti, anche io ho l’abitudine di scandire il calendario in base ai tempi della
scuola, per questo motivo sento molto il fermento e la sensazione di nuovo inizio che
il mese di settembre porta con sé.
Ogni anno tutti i collaboratori si incontrano per scambiare idee, riflessioni e proposte. È
bello quando in un gruppo di lavoro, pur nelle singole specificità, ci si ritrova a convergere,
in modo tanto naturale quanto accorato, sugli stessi obiettivi. Quest’anno, abbiamo preso
atto che nei racconti che ciascuno riportava ricorreva il tema di un’identità forse non ancora pienamente condivisa né all’interno, né all’esterno e l’attenzione di tutti si è spontaneamente catalizzata sul senso della scuola dell’Infanzia.
Quando si inizia a confrontarsi sui grandi numeri, salta subito all’occhio l’eterogeneità
delle modalità didattico-educative adottate nelle diverse realtà scolastiche lungo tutto il
territorio nazionale. In modo forse un po’ riduttivo, si potrebbe sintetizzare dicendo che
si passa dall’incontrare realtà più coese quanto a visioni, obiettivi e modi, a realtà meno
strutturate e compatte nelle quali le differenze generazionali, di esperienza, di formazione,
di ruolo non rappresentano una spinta alla crescita, quanto piuttosto una barriera a volte
frustrante.
Ci sono sezioni nelle quali si privilegiano l’eterogeneità delle esperienze e la sperimentazione, altre che puntano sui contenuti; sezioni che investono sulla creatività piuttosto che
sulla strutturazione delle attività e dei materiali; sezioni nelle quali si deve programmare
all’inizio dell’anno e sezioni che invece riprogrammano continuamente di mese in mese;
sezioni con modalità più ludiche e realtà nelle quali si strizza talvolta un po’ troppo l’occhio
alla scuola Primaria (adozione di libri di testo, quaderni, astucci, file di banchi, lavagne,
ecc.). Fermo restando che tutte le professionalità che si incontrano a scuola mirano al bene
dei bambini (seppur talvolta con livelli di consapevolezza differenti), occorre distinguere
tra il valore aggiunto che la ricchezza di pensieri e stili differenti può garantire, in termini
di apertura e crescita, e la centralità del riconoscimento e della valorizzazione di una specificità dei modi di imparare e relazionarsi tra i due e i sei anni.
Nella percezione di molte famiglie, questa età è spesso vista come una sorta di fase di gioco
e socializzazione, scandito da “simpatiche attività manuali”, in attesa di occupazioni più
serie, veramente “scolastiche”. Il fatto stesso che l’accesso e l’uscita dalla scuola dell’Infanzia siano così “flessibili”, ci dice di una diffusa dis-percezione quanto al valore dei suoi
obiettivi educativi e dei tempi necessari per realizzarli: servono davvero tre anni o in fondo
ne possono bastare due? Nel caso, si potrebbero prolungare a quattro?
Forse davvero il consolidamento di una cultura della scuola dell’Infanzia deve rimanere
sempre un obiettivo rispetto al quale non abbassare mai la guardia: bisogna continuare a
investire sull’importanza di condividere con le famiglie il significato del POF e della programmazione; spiegare l’articolazione delle Indicazioni Nazionali; ribadire l’importanza di
quel lavoro di “valutazione” che non si traduce in voti, ma in osservazione e monitoraggio
dei cambiamenti e delle evoluzioni di ogni bambino; parlare delle riunioni di intersezione,
degli incontri con gli specialisti e dei corsi di aggiornamento dopo l’orario scolastico che
contribuiscono ad arricchire la professionalità delle maestre.
Non volendo fermarsi alle semplici riflessioni, ma piuttosto accompagnare i lettori nell’im-
C
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
5
editoriale
pegno di tradurre le parole in fatti, “Scuola Materna” ha deciso di investire sulla valorizzazione del senso della scuola dell’Infanzia, proponendo tante nuove rubriche.
Per incominciare, quest’anno ci concentreremo sul “fare a scuola” a 360°, proponendo una sezione di “Didattica ed esperienze” che oltre ai tradizionali contributi
suddivisi per campi d’esperienza, offra proposte per l’inglese, l’educazione alla
teatralità, la filosofia per i bambini, le attività e tecniche creative, insieme alla documentazione e l’imparare a imparare. La centralità delle scelte delle maestre va
rispettata riconoscendo per esempio il diritto di decisione su come impostare il
lavoro e su quale spazio dedicare ad ogni singola opportunità (didattica quotidiana
o laboratorio), poiché solo chi è in classe conosce le necessità e i tempi dei propri
bambini.
La sezione “Mondo scuola” ci aiuterà a respirare una boccata di positività con le testimonianze di successi raggiunti grazie alla costruttiva collaborazione tra maestre,
bambini e famiglie (“Si può fare”), per ribadire l’importanza del reciproco sostegno,
nel rispetto dei propri ruoli. Sono invece dedicate all’arricchimento della professionalità docente le rubriche sull’osservazione in classe (“Una lente curiosa”), sull’analisi pedagogica delle attività ludiche (“A che gioco giochiamo?”), sulla gestione dello
spazio sezione, sugli aggiornamenti dal mondo della ricerca internazionale. Sempre
in questa sezione, troveranno per la prima volta spazio una rubrica sulla scuola vista
dal punto di vista delle famiglie (“Cronache di scuola”) e una che alternerà la voce di
dirigenti e coordinatrici a quella delle maestre (“Professioni di scuola”).
Ogni mese ci sarà un nuovo dossier di approfondimento su temi segnalati o richiesti dai lettori: l’educazione alle scienze, la logopedia e lo sviluppo del linguaggio,
l’educazione ambientale, le famiglie separate, ecc. Infine, per mettere in risalto e
condividere le “buone prassi” e il lavoro realizzato dalle maestre in autonomia o con
la supervisione di qualche esperto, molto più spazio verrà dato alla documentazione
e alle riflessioni proposte dai lettori (“Dalle scuole”).
Anche il nostro sito (www.lascuola.it nella sezione “RIVISTE”) si aggiorna
con contenuti originali che non ritroverete sulle pagine della rivista, la possibilità di scaricare materiali inerenti le proposte didattiche e tante altre
sorprese.
Non mi dilungo oltre e vi lascio scoprire in prima persona tutte le novità, nella speranza che il frutto del nostro impegno, nel suo piccolo, possa aiutarvi ad affrontare
al meglio questo nuovo anno. L’invito a tutti è di lasciarsi coinvolgere dall’entusiasmo che la redazione mette nel proprio lavoro e parteciparvi anche in modo più
diretto, inviando testimonianze ed esperienze ([email protected]).
Buon anno e buon lavoro a tutti voi!
e la redazione di “Scuola Materna”
P.S. Vi aspettiamo tutti a Brescia il prossimo 5 ottobre per festeggiare la svolta dei
100 anni con una ricca giornata insieme!
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A. Merini
6
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Patrizia Granata*
Meno
anno!
uguri, in bocca al lupo, buon inizio… parole
che caratterizzano l’inizio del nuovo anno.
Solare? No, scolastico!! Che sia per tutti una festa
quando finisce non c’è dubbio, bambini stanchi
e con tanta voglia di vacanza e di famiglia, insegnanti con le pile scariche, voglia di staccare, di
recuperare. I bambini durante l’anno assorbono
tutte le energie alle loro educatrici e durante l’estate è necessario ricaricare quelle ipotetiche pile
che sono energia fisica, psichica ed emotiva. Anche
se sono certa che un’educatrice, una maestra di
scuola dell’infanzia non si stacchi mai veramente
dal suo mondo, fatto di bambini, di colori, di
suoni, e di idee. Le vacanze, qualsiasi esse siano,
diventano per le maestre di scuola dell’infanzia
fonte di idee, di riflessione di creatività… quante
volte abbiamo sentito la frase “che bell’idea per il
prossimo anno da fare a scuola”. Prendono spunti,
fotografano per ricordare, si fermano a pensare.
Il programma, i curricoli, li conoscono bene ma
non basta perché lavorare nella scuola dell’Infanzia non è solo un lavoro, anzi direi che lo è
solo in minima parte. Infatti, quando chiediamo
a qualcuno che lavoro fa, la maggior parte delle
persone risponde: lavoro in…, oppure faccio…,
l’educatrice risponde: sono un’educatrice di scuola
dell’Infanzia, e pertanto il mio essere non va mai
in vacanza, o meglio la vacanza mi aiuta a ritrovarmi come educatrice sia nelle cose da fare, che
nel mio essere. Perché questo essere significa essere una persona speciale, essere una persona che
ha delle qualità che non si possono studiare, che
non si possono comprare, una persona è o non è
educatrice. Detto ciò è chiaro che il sapere cosa
fare durante l’anno non è sufficiente, è necessario
lavorare sul come fare, sulle attività, sul materiale,
sulle motivazioni. Per rendere ogni anno diverso
da un altro.
Terminate le vacanze la voglia di ricominciare, la
voglia di rivivere giorno dopo giorno le emozioni
che un bambino sa dare, la voglia di trovare qualcosa di originale che ci metta in gioco per non
A
essere ripetitivi, perché essere educatrice significa
anche divertirsi.
In una società che ha poco “posto” per i bambini,
la scuola acquisisce un’importanza ancora più
grande, i bambini hanno la possibilità di diventare
grandi grazie al lavoro che svolgono con le educatrici, con i compagni, con le esperienze dentro e
fuori dalla scuola. Esperienze di vita vera, esperienze di sorrisi e pianti, di rabbia e di gioia, di
paure e coraggio, una scuola dove non conta solo
il fare ma anche, e vorrei dire soprattutto, l’essere.
Essere persona fatta di emozioni, reazioni, pregi
e difetti, che si sta formando, che ancora non si
conosce, che evolve giorno dopo giorno per diventare un uomo o una donna.
E chi non porta nel cuore la “maestra” della scuola
dell’Infanzia? Lei che asciuga le lacrime, che copre la pancia dopo essere andati in bagno, che
prende per mano, che parla, che ride, che canta,
che rimprovera, che dà regole, che aiuta in quella
che è la crescita? Essere educatrice oggi significa
lasciare non il segno ma un segno, un segno indelebile che ci indica la strada, la buona strada da
Focus
Buon
5… 4… 3… 2… 1…
Patrizia Granata
* Dirigente scolastico, docente a contratto Università di Padova e Pedagogista clinico
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
7
Focus
percorrere per diventare “grandi”, la strada giusta,
equilibrata, dove i no hanno lo stesso valore dei sì,
dove le regole ci fanno camminare sicuri, dove lo
sguardo ti fa sentire importante.
Ed ora, che sta per iniziare un nuovo anno scolastico e ci siamo ricaricate le pile abbiamo mille
cose a cui pensare, mille cose da organizzare, ma
dobbiamo prima di tutto pensare a come rendere
accogliente la nostra scuola, proprio come ad una
festa si prepara la sala per accogliere gli invitati,
noi abbiamo molte sale da preparare e i nostri
invitati sono davvero speciali. La nostra scuola
deve essere accogliente, deve parlare ai nostri
amici, deve rassicurarli, perché per loro inizia
un anno fatto di rinunce, di mamma e papà, e di
scoperta, di curiosità, di amici, di crescita. E noi
siamo lì al loro fianco, sempre pronti a sorreggerli,
con parole, gesti, abbracci, ma se attorno a noi
tutto è pronto il lavoro è più fluido, più concreto,
possiamo dedicarci a loro senza ansie e preoccupazioni.
L’educatrice, l’ingegnere della vita umana, è una
grande professionista. Parla di progettazione, di
programmazione, di documentazione, di griglie
di osservazione. Fa incontri, colloqui, ma la cosa
più importante che fa è far crescere i bambini.
Per i genitori molto spesso i loro bambini diventano parte di una sezione, diventano un colore, un
nome di animale, ma per le educatrici sono molto
di più, sono delle persone, con delle caratteristiche
che li rende unici e irripetibili. Hanno delle emozioni che vanno lette, colte ed educate. Hanno dei
bisogni, piccoli o grandi, che vanno soddisfatti.
È una festa impegnativa, è una festa continua e
sempre nuova.
Ed è proprio qui che si evidenzia la grande professionalità: essere sempre nuovi, rinnovati e rinnovabili.
Essere educatrice significa non arrivare mai, essere
in continua trasformazione, in continuo cambiamento perché i bambini ci portano ad essere nuovi e
a crescere con loro nella capacità di entrare in empatia con il loro vissuto
Con questi presupposti come può un’educatrice
non aver voglia di festeggiare l’inizio di un nuovo
anno scolastico, di una nuova storia, di un nuovo
filo conduttore, di un nuovo sfondo integratore? Di
un nuovo amico, di un nuovo protagonista, di un
ambiente marino, di un bosco, di nuova musica, di
nuovi colori, di giochi ed emozioni? Lei non è protagonista di nulla, ma è colei che restando nell’ombra,
restando nascosta governa tutto, e fa in modo che
nulla intralci il percorso di ogni bambino, è la regista
del film più importante: la vita.
Settembre, sta per iniziare un nuovo anno, e
allora si pensa a come saranno cresciuti i bam-
8
bini dell’anno passato, si pensa a come saranno
i bambini che per la prima volta si approcciano
al mondo della scuola. Si pensa alle colleghe, che
grande risorsa! Infatti non si è soli ad organizzare
l’anno che sta per cominciare, per fortuna al nostro fianco abbiamo delle colleghe che come noi
hanno scelto di essere educatrici, e insieme si fa
squadra, non per giocare ma per vincere. E i bambini hanno bisogno della squadra che è intesa,
che è sintonia, che lavora unita per far crescere in
modo equilibrato ogni singolo bambino. E il successo c’è quando nella squadra si coglie la voglia,
il desiderio di partecipare a questa grande festa.
Che gioia, che emozione organizzare ogni minimo
particolare del nostro piccolo grande paradiso.
Dovremmo trascorrere un intero anno assieme
e lavorare con un unico scopo, dovremmo superare difficoltà, critiche, disequilibri, ma se la
squadra sarà unita potremmo vacillare ma non
cadere, nemmeno di fronte a coloro che molto
spesso risultano essere l’intralcio maggiore: i genitori. Genitori apprensivi, genitori spaventati,
genitori esigenti, iper critici, genitori che vogliono
insegnarci a fare il nostro mestiere, genitori diffidenti, quanta mediazione deve caratterizzare le
educatrici, quanta sicurezza e autorevolezza. Si
insegnano le regole ai bambini che in fretta accettano e provano a rispettare, ma i genitori a volte
non collaborano, e non rispettano gli orari, e non
portano il certificato, e portano dieci caramelle
solo per gli amici ….e … e le educatrici devono
essere sempre pronte ad educare grandi e piccini,
maestra, insegnante… educatore colei che riesce
a tirar fuori il meglio da ogni persona, in ogni
situazione, colei che riesce sempre a far restare
la scuola un ambiente sereno e gioioso, perché
concentrata sui bisogni dei bambini. E poi, arrivano le gratificazioni, in modo più o meno diretto,
arrivano i grazie detti o sottesi, dei bambini e dei
genitori che si accorgono del lavoro svolto, della
fatica, ma soprattutto dell’amore con cui ci si è
dedicati ai loro bambini.
E con questa gioia, con questa carica si iniziano
a contare i giorni che mancano perché questa
grande festa abbia inizio, perché siano stati curati
tutti gli aspetti dell’accoglienza, perché ogni cosa
sia al suo posto, un posto silenzioso, un posto con
colori spenti, un posto che aspetta di prendere
voce e colore con le voci e gli occhi dei bambini,
allora si apre la scuola, allora si vive la scuola, tra
gli echi di chi in modo diverso dice al mondo ci
sono anch’io e sono qui perché voglio diventare
grande.
“E tu MAESTRA aiutami a fare da solo!!!!” (M. Montessori).
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Claudia Ermetici*
L’accoglienza
dei
bambini stranieri
con nuove categorie culturali di riferimento. Esistono differenti tipologie di migrazione: il progetto
migratorio vero e proprio, il ricongiungimento, la
richiesta di status di rifugiato politico. Ogni tipologia presenta caratteristiche specifiche, ma qualsiasi
storia di migrazione rappresenta sempre un evento
potenzialmente traumatico, in cui sono presenti
vissuti di rottura e forte stress. Il migrante si trova a
vivere tra due mondi, quello che ha lasciato e quello
in cui si trova. La migrazione, inoltre, è spesso
utilizzata come soluzione a problemi personali nel
paese d’origine e, talvolta, comporta disillusione e
delusione.
Le più recenti ricerche in ambito etnopsichiatrico
hanno riscontrato la presenza in numerosi migranti
di un vero e proprio “trauma migratorio” che può
implicare disorientamento, perdita dell’autostima,
paura e diffidenza verso il mondo esterno sconosciuto, nostalgia e idealizzazione del paese d’origine, malessere generalizzato.
In questo contesto, i bambini rappresentano una
categoria particolarmente a rischio. Un bambino
straniero, infatti, può provare un senso di solitudine e sradicamento, dovuto alla perdita dei legami
transgenerazionali e di quella che Marie Rose Moro
definisce la “culla culturale”, ossia l’insieme di relazioni, ambienti, sensazioni tipiche della propria
cultura d’origine che accompagnano i primi anni di
vita. Spesso la forte angoscia dei genitori può portare alla comparsa, negli stessi o nei figli, di rigidi
meccanismi di scissione, con una netta separazione
tra passato e presente. È possibile che il piccolo migrante sperimenti una vera e propria crisi d’identità,
legata alla sensazione di essere diverso, sia rispetto
ai coetanei che ai genitori.
Una parte essenziale della culla culturale propria
di ogni bambino è rappresentata dalla lingua d’origine. Il linguaggio, infatti, non deve essere considerato solamente un canale attraverso cui scambiare
informazioni ma soprattutto un veicolo di una serie
di significati affettivi. La lingua ha le sue profonde
radici nell’inconscio, in quanto si sviluppa a par-
Focus
l fenomeno migratorio in Italia è sempre più massiccio e variegato. Secondo i dati dell’UNICEF
attualmente nel nostro Paese è presente quasi un
milione di stranieri e molti di loro sono minori.
Per quanto riguarda la situazione della scuola, secondo quanto riportato dai più recenti dati ISTAT
relativi all’anno 2011, i bambini stranieri che frequentano la scuola dell’Infanzia costituiscono l’8,6%
sul totale degli iscritti, nella scuola Primaria la percentuale sale al 9%, mentre nelle scuole secondarie
di primo grado si registra un 8,8% e nelle scuole
secondarie di secondo grado si scende al 5,8%.
Diventa quindi inevitabile interrogarsi su quale accoglienza venga fornita a questi bambini nei servizi
per l’infanzia, quali difficoltà incontrino gli operatori nella relazione con i minori stranieri e le loro
famiglie, con particolare riferimento al linguaggio,
e, infine, quali strategie e risposte si possano mettere in campo. Per rispondere a tali quesiti occorre,
innanzitutto, avvicinarsi ad una comprensione più
profonda del fenomeno della migrazione.
La migrazione è un evento non solo fisico, ma anche
psicologico che implica sia un allontanamento concreto dal proprio paese nativo, sia una rottura con
la propria cultura d’origine e l’inevitabile confronto
I
Claudia Ermetici
* Psicologa dell’età evolutiva
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
9
Focus
tire da suoni, rumori e sensazioni sperimentati nei
primi anni di vita. Pogue Harrison sottolinea l’importanza della lingua che viene trasmessa da una
generazione all’altra, in quanto veicolo di una vera
e propria eredità culturale. In conclusione si può
affermare che il concetto di lingua è ampio e articolato, in quanto comprende non solo aspetti fonetici,
ma una dimensione psichica più profonda e complessa. Occorre, di conseguenza, fare riferimento a
questi concetti quando si ha a che fare con bambini
migranti che non parlano la nostra lingua.
Nelle ricerche di psicologia transculturale vengono
individuati tre momenti in cui i minori sono maggiormente vulnerabili: il primo anno di vita, l’ingresso nel circuito scolastico, l’adolescenza.
La scuola materna rappresenta spesso per le famiglie migranti la prima occasione d’incontro con le
famiglie italiane e i servizi. Di frequente da parte
dei genitori c’è un forte investimento, ma anche una
certa ambivalenza rispetto alla scuola, considerata
come un’occasione di riscatto nella migrazione, ma,
allo stesso tempo, come qualcosa che allontana i
figli da sé e dalla propria cultura. Può capitare, poi,
che per genitori che provengono da contesti molto
diversi e lontani rispetto al nostro, sia difficile confrontarsi con modelli culturali e di apprendimento
differenti.
Date tali premesse, appare quindi scontato come sia
fondamentale attuare dei percorsi di accoglienza e
integrazione ma, per far ciò, occorre interrogarsi
preliminarmente sul significato di queste parole.
Innanzitutto, bisogna precisare come l’integrazione
si snodi lungo un continuum in cui possono essere
individuate situazioni di solitudine, separazione,
assimilazione e marginalizzazione. La vera accoglienza richiede la costruzione di “ponti”, ossia di
legami tra culture diverse che permettano un processo definito dalla Moro “meticciamento” e che
implica l’essere visto e valorizzato nella propria
alterità.
L’integrazione avviene anche a partire dalla lingua.
Molto spesso un problema con cui si confrontano
gli operatori della scuola dell’Infanzia è proprio
quello di come comunicare con i bambini stranieri
e di quali indicazioni dare ai loro genitori, che talvolta non parlano la lingua del paese di emigrazione
o ne hanno una conoscenza di base. Talvolta le insegnanti esortano i genitori migranti a parlare ai loro
figli in italiano, ma, se la loro conoscenza non è adeguata, il rischio è che vengano trasmessi errori linguistici e imprecisioni. Inoltre, è importantissimo
che ai bambini sia tramandato il linguaggio che i
genitori considerano come proprio, in quanto la lingua madre rappresenta una base sicura su cui poter
imparare una seconda lingua. In secondo luogo, la
trasmissione della lingua madre è fondamentale per
favorire il passaggio di legami e relazioni. I bambini
10
che frequentano la scuola dell’Infanzia sono perfettamente in grado di apprendere e parlare lingue
diverse in contesti diversi ed è ormai risaputo che
conoscere più di una lingua apporta vantaggi cognitivi e un aumento dell’autostima.
Talvolta può verificarsi la situazione per cui il bambino non parla o non capisce la lingua del genitore e
questo è segno di una grave disfunzione, in quanto,
come spiega Malika Bennabi, la non trasmissione di
una lingua implica una negazione di una parte di sé.
Sarebbe necessario, a questo proposito, un lavoro di
prevenzione da parte degli operatori dei servizi per
l’infanzia sul valore del bilinguismo.
La scuola Materna non è solo un luogo di apprendimento e di formazione ma è soprattutto una fondamentale agenzia di socializzazione, responsabile
dello sviluppo sociale, affettivo e relazionale dei
bambini. Di conseguenza, è essenziale che la scuola
dell’Infanzia diventi protagonista della costruzione
di relazioni con le famiglie immigrate, attraverso
momenti di negoziazione, di confronto e di condivisione.
Per far ciò sarà cruciale promuovere una cultura
della “diversità” e di prevenzione dell’emarginazione, a partire dalla questione linguistica. Le insegnanti potranno far ciò predisponendo una serie di
attività che valorizzino la cultura di appartenenza
di ciascun bambino scoprendone, ad esempio, le
ninne nanne, i giochi, i cibi e le tradizioni e condividendole con tutti i bambini e le loro famiglie. Essenziale sarà l’accoglienza della famiglia del bambino,
in un’ottica di accettazione e apertura, di superamento delle differenze linguistiche e culturali,
valorizzando ciò che il bambino vive nel proprio
nucleo familiare, senza il timore che ciò influenzi
negativamente il percorso scolastico.
Le famiglie straniere dei bambini della scuola
dell’Infanzia vanno incoraggiate a comunicare col
proprio bambino nella lingua madre, rassicurandole che ciò non limiterà l’apprendimento dell’italiano. In questo modo sarà valorizzata l’identità
culturale del minore e gli sarà fornito una sorta di
“contenitore” che lo aiuti ad orientarsi e a definirsi,
arricchendo l’intero gruppo in cui il bambino è inserito.
per approfondire
M. Bennabi, Le difficoltà di apprendimento del
bilinguismo come indicatore del disagio dei
bambini e degli adolescenti migranti, Coop. Soc.
Crinali, Milano 2006.
M.R. Moro, Bambini immigrati in cerca di aiuto,
UTET, Torino 2005.
R. Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi,
Roma 2004.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Manuela Cantoia*
Genitori
e nonni
“da inserire”
Partiamo proprio da questo punto con un paio di
scenari possibili: nel POF si legge che è previsto
un percorso di psicomotricità con una specialista.
Bene, il genitore è informato circa l’organizzazione del tempo scuola, ma forse poco coglie degli
obiettivi e dei livelli di competenza sui quali questo
percorso vuole investire. Un altro esempio: nel POF
si riporta che le attività sono impostate in modo
ludico perché per i bambini l’esperienza del gioco
è fondamentale. Anche in questo caso la lettura
potrebbe fermarsi al piano più superficiale: “È importante che i bambini giochino”. Sì, è vero, ma lo
è non semplicemente perché si divertano, quanto
perché giocando imparano con ricadute su tutte le
dimensioni del loro sviluppo (motorio, cognitivo,
emotivo, sociale, ecc.).
Aiutiamo i genitori a maturare un pensiero mediolungo: quale apprendimento volete per i vostri figli?
Quale scuola? In occasione della prima riunione di
sezione, distinguiamo insieme i tanti tipi di apprendimento necessari alla crescita (si impara a fare, a
dire, a pensare, a essere, ecc.) e le tante strade per
realizzarli.
Oggi le famiglie hanno le esigenze più disparate:
chi richiede l’inserimento in corso d’anno; chi non
si fa mai vedere; chi tenta di modificare la routine
Focus
gni anno, l’arrivo in sezione di tanti bambini
porta con sé l’incognita del gruppo che si
verrà a creare, delle reazioni e dei tempi dell’accoglienza. Spesso la programmazione è stata abbozzata dall’estate, quindi pian piano gli spazi vengono
“vestiti” con tracce del nuovo sfondo integratore o
del progetto, che dopo le attività dell’accoglienza
inizieranno finalmente a svelarsi. Il primo giorno
di scuola è una gran festa, in un clima generale
di rimpatriata. I genitori salutano le maestre con
affetto, anche se, malgrado la circolare inviata per
e-mail da qualche giorno, hanno già dimenticato
gli orari e gli impegni della prima settimana (“C’è
subito la mensa? I materiali quando si portano?”).
Per fortuna una copia dell’avviso è già appesa nel
corridoio principale e sulla porta della sezione… E
pensare che questi genitori hanno già fatto uno o
due anni di scuola dell’Infanzia: immaginate quelli
nuovi come saranno da seguire!
Otto anni fa nel primo numero dell’anno scrissi
un articolo dal titolo L’inserimento dei genitori, un
argomento sempre attuale ripropostomi proprio
qualche mese fa, quando una maestra ha commentato sconsolata: “Ci vorrebbe un manuale delle
istruzioni…”. Detto fatto, iniziamo a buttare giù
delle idee, questa volta coinvolgendo anche la figura
dei nonni, sempre più presenti nella vita scolastica
dei bambini.
Che cosa dovrebbero assolutamente sapere i genitori per iniziare bene l’avventura della scuola
dell’Infanzia?
Precisiamo: ogni scuola consegna il POF e lo illustra già dall’open day, o nel corso dell’incontro per
i nuovi iscritti. Probabilmente gli aspetti di conoscenza che restano più lacunosi non riguardano
tanto i fondamentali dell’impostazione pedagogica
o dell’organizzazione dei tempi, quanto due opposti
fronti: da un lato la quotidianità spicciola dei piccoli gesti e della collaborazione che facilita la vita e
distende i rapporti tra scuola e famiglia; dall’altra la
consapevolezza del senso e del valore profondo di
ciò che la scuola propone e offre giorno dopo giorno
ai bambini.
O
Manuela Cantoia
* SPAEE (Servizio di Psicologia dell’apprendimento e dell’educazione), Università Cattolica, Milano
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
11
Focus
di lavoro “suggerendo” di continuo iniziative, materiali, attività; chi pretende che a scuola si “produca”; chi misura la qualità della scuola in base alla
presenza di una Lim o di un corso di inglese; chi
decide di anticipare l’iscrizione alla Primaria, poi
cambia idea e lascia che sia la maestra a spiegarlo
al bambino; chi decide di anticipare e chiede che
a metà anno il figlio cambi gruppo di lavoro per
raggiungere i “grandi”. Concediamoci uno sprazzo
di iperbolica provocazione: verosimilmente, nessun
genitore si sognerebbe mai di andare da un professore delle medie per chiedere di passare il figlio
direttamente alla classe successiva, solo perché lo
vede più “avanti” dei compagni o annoiato dalle
attività proposte. Forse alla scuola dell’Infanzia alcune famiglie si comportano in questi modi perché
non colgono il valore della progettazione educativa
e didattica; forse proprio per questo stesso motivo
tendono ad instaurare rapporti quasi amicali con le
maestre, dimenticando talvolta di rispettare i confini dei rispettivi ruoli. Forse è sempre per questo
motivo che sembra che alla scuola dell’Infanzia le
assenze non contino e non abbiano una ricaduta
sull’apprendimento, la socializzazione, il sentirsi
parte del gruppo.
Prendersi un po’ di tempo per condividere il valore
dell’esperienza della scuola dell’Infanzia nello sviluppo di un bambino “competente” su più fronti,
ma soprattutto che si percepisce lui stesso come
competente, è un investimento che sicuramente
darà i suoi frutti.
Sul fronte della quotidianità, proviamo a mettere in
luce una serie di priorità:
sL’unione fa la forza: l’idea è che ci siano “tanti occhi su un unico bambino”. Solamente attraverso
una comunicazione tempestiva e aperta è possibile agire sui bisogni reali del bambino alla luce
di un quadro sempre aggiornato. È importante
che le famiglie si sentano accolte, non giudicate,
libere di poter parlare anche delle difficoltà passeggere che possono avere una ricaduta sui comportamenti del bambino.
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12
sTutti in classe: è fondamentale riuscire a far
passare alle famiglie l’importanza dei momenti
istituzionali (colloqui, riunioni, incontri, ecc.).
Queste occasioni servono anche per permettere
alle famiglie di conoscersi e confrontarsi. Detta
l’importanza della partecipazione, bisogna però
dire che certi incontri potrebbero essere gestiti
in modo più efficace, per esempio evitando che
le solite mamme prendano il sopravvento e monopolizzino gli interventi, fissando una scaletta di
argomenti ben dettagliata, stabilendo in anticipo
anche l’orario di chiusura (così tutti sanno regolarsi) e proponendo qualche piccolo stimolo di
riflessione personale.
s A domanda risposta: spesso è meglio una domanda
sciocca, che un dubbio fastidioso. Negli anni di
scuola avrete raccolto un inventario invidiabile
di dubbi e richieste, nell’era del web, perché non
riprendere la formula del FAQ (frequent asked question – domande frequenti) e preparare un elenco
da distribuire? Potreste anche caricarlo sul sito
della scuola o renderlo disponibile all’ingresso.
s Rispetto per tutti: la scuola è per sua natura un
luogo inclusivo in cui la diversità può essere vera
occasione di crescita e ricchezza. Capita invece
che siano proprio gli adulti ad avere comportamenti selettivi o a non rispettare le regole (orari,
materiali richiesti, ecc.), per non parlare poi dello
scarso rispetto per i compagni e la maestra stessa
di chi manda i bambini a scuola con la febbriciattola, le croste non poi così secche o una tosse da
paura…
s Gli spauracchi delle maestre: tra le prime cose da
spiegare ai genitori c’è senz’altro l’idea che ci siano
domande che non vanno mai, proprio mai poste a
una maestra! Ad esempio, invece di concentrare
l’attenzione sull’alimentazione, le evacuazioni intestinali o la nanna, le mamme dovrebbero imparare a chiedere “Cosa avete fatto oggi di bello?
Vi siete divertiti?”. Altra regola d’oro riguarda i
momenti proprio no: mai distogliere una maestra
dall’accoglienza del mattino, sta salutando i suoi
bambini! Alla stessa stregua, mai monopolizzare
l’uscita del pomeriggio, quando i bambini ancora
in classe devono essere controllati. In quei momenti è concesso giusto un messaggio telegrafico
di resoconto generale, il resto dovrà attendere sul
quadernino delle comunicazioni o al colloquio.
s Anche i muri parlano: la scuola si racconta e lo fa
anche per i bambini che a casa non dicono nulla.
Ogni attività e fase di lavoro è scandita da decorazioni tematiche (feste, stagioni, sfondi, ecc.),
disegni, cartelloni, avvisi, pannelli, basta prendersi
del tempo per leggerli, magari proprio insieme ai
bambini.
Continuiamo ad affrontare questo argomento sul
sito…
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Sandra Brambilla*
Buon viaggio!
li insegnanti si accingono a ri-partire per un nuovo viaggio. Non
sanno ancora cosa e chi incontreranno, quali eventi caratterizzeranno le loro giornate, né come si proporranno i bambini e le famiglie con
le quali lavoreranno. C’è l’entusiasmo per tutto ciò che è novità, cambiamento e avventura. C’è anche la paura per ciò che ancora non si conosce,
per gli eventuali imprevisti, i problemi che si incontreranno, le deviazioni
del viaggio. Prepararsi per la partenza e pensare a cosa mettere in valigia
è l’impegno di oggi. Si sa che non basta mai pre-vedere cosa potrà servire
o accadere quando si ha a che fare con viaggi un po’ speciali come questi;
ma si sa anche che l’attenzione al prepararsi al cammino, e immaginare
possibili scenari, diventa straordinariamente efficace per ciò che riguarda
l’accoglienza e il disporsi fiduciosi nell’esperienza di incontro con l’Altro,
con la novità e con altri mondi.
Didattica ed esperienze
G
La valigia dell’insegnante incoraggiante
Quindi il focus di attenzione in questo momento è al prepararsi e i contributi che seguono offrono alcuni consigli proponendo strumenti utili da
mettere, appunto, in valigia e da tirare fuori all’occorrenza; strumenti noti
a chi da tempo lavora come insegnante, ma che forse hanno bisogno di
essere rivisti, ripuliti e ripensati per essere nuovamente utilizzati.
L’osservazione, la valutazione, la programmazione, la documentazione,
la formazione e l’autoformazione sono gli attrezzi da lavoro della professione di quell’insegnante che si pone in un contesto di apprendimento
privilegiando la dimensione costante della ricerca.
“Insegnare il meno possibile, far scoprire il più possibile” è il monito, suggerito dal prof. Fiorin, che accompagna la lettura delle proposte didattiche
di questo primo numero, per ricordare quanto la scuola abbia necessità
di insegnanti ricercatori e “incoraggianti” come sostengono Franta e Colasanti. Ma chi sono questi insegnanti “incoraggianti”? Sono coloro i quali si
pongono nel contesto educativo-didattico come mediatori delle emozioni;
sono coloro i quali credono e propongono il principio per cui tutti nelle
vita hanno sbagliato, sbagliano e possono sbagliare ancora. Sono quegli
insegnanti che credono nel valore dell’errore e che usano proficuamente
lo strumento della valutazione proprio per dar valore a quell’errore. Sono
coloro i quali pongono, come primo obiettivo ad ogni intervento programmatico, quello del favorire nei bambini il miglioramento della stima di sé
e della consapevolezza dei propri limiti, visti come risorsa e non come
vincolo.
In sintesi sono quegli insegnanti che assolvono pienamente il loro mandato di educatori.
Sul piano della propria formazione, quegli insegnanti dovranno avere
molto chiaro il concetto di competenza prima di mettersi all’opera e dovranno saper svolgere ruolo di facilitatori nei processi di apprendimento
attraversati dai bambini. Gli insegnanti incoraggianti si impegnano a
favorire la formazione di intelligenze capaci di risolvere problemi e trovare nuove soluzioni, pensando e guardando ai bambini come a futuri
Sandra Brambilla
* Formatore e consulente pedagogico per gli aspetti della relazione, del disagio e dell’inclusione sociale
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
13
cittadini del nostro mondo. Anche questo modo di vedere il proprio lavoro
educativo-didattico rispetto ai bambini rientra nel pre-vedere, cioè nella
capacità dell’insegnante di riuscire a lavorare con un approccio marcatamente pedagogico nel qui ed ora ma con uno sguardo responsabile e
lungimirante sul domani.
E a proposito di una “cultura dei diritti dell’infanzia”, che incontrerete
nella lettura dei contributi che seguono, è proprio un diritto fondamentale
dei bambini quello di avere intorno a loro adulti che si prendano cura di
lui, dei suoi bisogni e delle sue aspettative, del suo sviluppo e della sua
protezione, del suo divenire, appunto, cittadino del domani.
Prima di partire raccomandiamoci alla Cura
Didattica ed esperienze
Dice Groenhout: “La cura è un lavoro difficile, ma è questo il lavoro che
sostiene la vita. Che i caregivers, cioè chi pratica la cura, valorizzino la
cura non è indice di una falsa visione delle cose né di mero romanticismo,
ma di una riflessione fondata su ciò che vale nella vita”.
Quando si pensa alla Cura, e al prendersi cura, per associazione il pensiero va quasi immediatamente all’immagine di una madre e del suo
bambino. In una dimensione più ampia la genitorialità, nell’espressione
delle sue molteplici funzioni, è quella che si mette in atto nel momento
in cui s’intraprende una relazione volta al bene e alla crescita dell’altro.
Queste funzioni genitoriali, presenti in ognuno di noi seppur sviluppate
in modi differenti, guidano anche la passione e la motivazione dei docenti
al continuare a credere e a voler dare il proprio contributo allo sviluppo e
alla crescita di bambini e ragazzi.
Nelle definizioni del “buon insegnamento”, l’impegno del prendersi cura
dei bambini è fondamentale ed è una delle maggiori fonti di gratificazione
in ambito lavorativo.
Ma cosa significa prendersi cura dell’altro? Probabilmente molto di più che instaurare un rapporto. In
per approfondire
senso più ampio implica delle responsabilità sociali
E. Catarsi, La nuova scuola dell’infanzia, Are morali e, per gli insegnanti che sostengono questa
mando, Roma 1994.
prospettiva più ampia (vedi Weinstein), il prendersi
cura non si realizza solo tramite le relazioni interperE. Catarsi, L’insegnante sapiente e incoraggiante,
sonali, ma anche attraverso il curricolo, la didattica
Firenze University Press, Firenze 2010.
e la gestione del gruppo dei bambini. Per esempio,
I. Fiorin, La buona scuola, processi di riforma e
affermano Francescato, Putton, e Cudini, prendersi
nuovi orientamenti didattici, Editrice La Scuola,
cura può anche comprendere l’impegno a creare un
Brescia 2008.
ambiente piacevole e ordinato, scandito da rassicuranti routine in cui i bambini possano imparare a
D. Francescato, A.Putton, S.Cudini, Star bene
stare bene a scuola.
insieme a scuola, Carocci, Roma 2001.
La cura, quindi, indipendentemente dal modo in cui
H. Franta, A.R. Colasanti, L’arte dell’incoraggiasi attua, è fondamentalmente una pratica che mira a
mento, Carocci, Roma 1991.
precise finalità, cioè un agire in cui prendono forma
pensieri ed emozioni (vedi Mortari).
E.R. Groenhout, Connected Lives, Rowman & LitPrima di partire facciamo appello alla Cura, che ritlefield Publishers, Lanham (Md.), 2004, p. 117.
manga faro e orientamento guida per ogni proposta
L. Mortari, La pratica dell’aver cura, Mondadori,
educativo-didattica, per ogni predisposizione degli
Milano 2006, p. 30 sgg.
ambienti di apprendimento, per ogni luogo di confronto e di parola nell’ambito della scuola.
C.S. Weinstein, Come “prendersi cura” degli stuL’invito è, quindi, a prepararsi mettendo mano agli
denti e mantenere l’ordine in classe: le opinioni
strumenti da mettere in valigia alla luce della Cura e
dei futuri insegnanti, in “Psicologia dell’educadi quella specifica dimensione dell’insegnante incozione”, vol. 1, n. 3, 1999, p. 281-299.
raggiante che fa di questa professione una professione
davvero speciale.
Buon lavoro a tutti!
14
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
sezione primavera
Giocomatica
Progetto per l’acquisizione delle competenze numeriche
Elisa Passerini*
Premessa
¸.PVJV TH[LTH[PJH¹ u \U WYVNL[[V KP WYV[V TH[LTH[PJH
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[PÄJV
Neuroscienze in azione
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UH[HLJOLuWVZZPIPSLPSWV[LUaPHTLU[VWYVZZPTHSL[YHTP[L
S»PZ[Y\aPVUL KLP WYVJLZZP KVTPUPVZWLJPÄJP 0 IHTIPUP UVU
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aPVULKPLSLTLU[P
3HUH[\YHMVYUPZJLX\PUKPHSS»PUKP]PK\V\UU\JSLVKPJHWHJP[n
Quest’anno la didattica della sezione primavera
affronterà a mesi alterni tematiche legate alla proto
matematica, curate da Elisa Passerini, e attività a partire
dal corpo, curate da Alessandra Caro.
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U\TLYVZP[n WYVJLZZV KP Z\IP[PaaHaPVUL TH WLY SL JHWH
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MHUaPHWLYJOtHIIPHTV]PZ[VJOLNPnHSSHUHZJP[H\UIHT
IPUVuKV[H[VKP\UIHNHNSPV¸U\TLYPJV¹JOLKL]LLZZLYL
JVUZPKLYH[VLJVYYL[[HTLU[LZVZ[LU\[V
Finalità del progetto
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U\TLYVULSIHTIPUVULSSHWYPTHPUMHUaPH
+LSPULHaPVUL KP \UH ¸KPKH[[PJH¹ PU[LZH UVU JVTL W\YH
HWWSPJHaPVULKPTL[VKPVWLYH[P]PTHJVTL\UPUZPLTLKP
Tav. 1 t6E" Giocomatica
Obiettivo di
apprendimento
generale
Attività
Valutazione
Materiali
Tempi
Gruppo di
lavoro
Acquisizione competenze numeriche
attraverso i processi
semantici, lessicali,
presintattici e di
counting.
Verranno proposte
attività strutturate,
rinforzo di routine
e guida all’osservazione del gioco
spontaneo del
bambino.
Schede di
osservazione.
Si realizzeranno
giochi strutturati,
costruiti con materiali di recupero
o di facile consumo. Fotografie,
Memory…
La durata
del progetto
può essere
annuale.
Le attività possono
essere svolte sia in
sezioni omogenee
che eterogenee a
partire dai 24 mesi.
Elisa Passerini
* Insegnante di scuola primaria, formatrice
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
15
sezione primavera
I\VULWYHZZPLZ[Y\TLU[PVYPLU[H[PHS¸MHYL¹JOLPU]LZ[H
[\[[PNSPHZWL[[PKLSSHX\V[PKPHUP[nHMÄUJOtKP]LU[PZLTWYL
WPPSMY\[[VKPPU[LUaPVUHSP[nLYPÅLZZP]P[nWYVMLZZPVUHSL
Fasi del progetto
0S WYVNL[[V .PVJVTH[PJH JOL ]LYYn WYLZLU[H[V ULS JVYZV
KLSS»HUUVOHJVTLÄUHSP[nX\LSSHKPMVYUPYLH[[P]P[nZWLJPÄ
JOLKHWV[LYZ]VSNLYLPUZLaPVULJOLZPYPMLYPZJVUVHX\LSSP
JOLZVUVPWYVJLZZPJOLZ[HUUVHSSHIHZLKLSSHJVZ[Y\aPVUL
KLSJVUJL[[VKPU\TLYV
8\LZ[P WVZZVUV LZZLYL KLÄUP[P P WYLJ\YZVYP KLSSL HIPSP[n KP
JHSJVSVLULYHWWYLZLU[HUVSHIHZLULJLZZHYPH
+HUPLSH 3\JHUNLSP Z\KKP]PKL SL X\H[[YV HYLL YPN\HYKHU[P P
WYVJLZZPJVNUP[P]PWYPUJPWHSPWLYSHJVZ[Y\aPVULKLSSHJVUV
ZJLUaHU\TLYPJHPU!
WYVJLZZPZLTHU[PJPVKLSSHJVTWYLUZPVULX\HU[P[H[P]HKLS
U\TLYV"
WYVJLZZPKPJVU[LNNPVHIPSP[nKPJHSJVSV"
WYVJLZZP SLZZPJHSP L[PJOL[[H ]LYIHSL KLUVTPUHaPVUL KLS
U\TLYV"
WYVJLZZP WYLZPU[H[[PJP SLNH[P HSSH Z[Y\[[\YH KLS ZPZ[LTH
U\TLYPJV]HSVYLWVZPaPVUHSL
3HWYPTHHYLHX\LSSHKLPWYVJLZZPSLZZPJHSPYPN\HYKHSHJH
WHJP[nKPH[[YPI\PYLPSUVTLHPU\TLYP"SHZLJVUKHX\LSSHKLP
WYVJLZZPZLTHU[PJPYPLZHTPUHSHJHWHJP[nKPJVTWYLUKLYL
PS ZPNUPÄJH[V KLP U\TLYP H[[YH]LYZV \UH YHWWYLZLU[HaPVUL
TLU[HSL KP [PWV X\HU[P[H[P]V" SH [LYaH X\LSSH KLP WYVJLZZP
WYLZPU[H[[PJP JVUZPKLYH PS WYPUJPWPV KP VYKPUHSP[n S»VYKPUL KP
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Il gioco
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n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
sezione primavera
L’angolo matematico
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per approfondire
B. Butterwoth, Intelligenza Matematica: vincere
la paura dei numeri scoprendo le doti innate
della mente, Rizzoli, Milano 1999.
Miur, Indicazioni nazionali per il curricolo per la
scuola dell’infanzia, Roma 2012.
A. Molin, S. Poli, D. Lucangeli, Bin 4-6: batteria
per la valutazione dell’intelligenza numerica in
bambini dai 4 a 6 anni, Erickson, Trento 2007.
K. Wynn, Addition and subtraction by human
infants, in “Nature” n. 358:749-750, 1992.
Tav. 2 tProgrammazione annuale delle attività educative
UdA
Obiettivi
Ottobre
LE PAROLE DEL CORPO: Una “traduzione simultanea” del linguaggio dei bambini (Caro)
Potenziare il linguaggio del corpo dei bambini e offrire loro
modalità diverse per comunicare.
Novembre
GIOCOMATICA: Approfondimento area processi
semantici per l’acquisizione delle competenze numeriche (Passerini).
Stimolare la corrispondenza tra quantità e numero, stimolare
la capacità di confronto tra due quantità, valorizzare l’uso
delle mani per contare.
Dicembre
LE PAROLE DEL CORPO: Ritmi e rituali della quotidianità (Caro).
Valorizzare i ritmi e i rituali della vita scolastica
Gennaio
GIOCOMATICA: Approfondimento area processi lessicali per l’acquisizione delle competenze numeriche
(Passerini).
Associare ad ogni simbolo numerico la propria “etichetta”,
cioè il nome, scoprire le modalità per costruire “l’etichetta”
dei numeri da 20 in poi.
Febbraio
LE PAROLE DEL CORPO: Chi fa da sé fa per tre! (Caro)
Sostenere i bambini nella conquista delle autonomie di base.
Marzo
GIOCOMATICA: Approfondimento area processi di
conta per l’acquisizione delle competenze numeriche (Passerini).
Potenziare le abilità di conteggio, considerando i tre principi
impliciti del contare: principio dell’ordine stabile, della corrispondenza biunivoca e della cardinalità.
Aprile
LE PAROLE DEL CORPO: Storie per crescere (Caro).
Accompagnare i bambini in un percorso di presa di consapevolezza della propria crescita.
Maggio
GIOCOMATICA: Approfondimento area processi
pre-sintattici per l’acquisizione delle competenze numeriche (Passerini).
Accompagnare all’esplorazione dei numeri, strutturando
mappe matematiche, basate su orientamenti logici e su indicazioni di tipo quantitativo e spaziale.
Giugno
LE PAROLE DEL CORPO: Al ritmo delle emozioni
(Caro).
Aiutare i bambini nel dar voce e forma alle proprie emozioni.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
17
Caterina Martinazzoli*
Un
mondo… diritto!
n mondo… diritto: è il primo titolo pensato
per la rubrica “Il sé e l’altro” per l’a.s. 20132014, un mondo che non sia a rovescio, un mondo
che non sia storto, un mondo che “righi dritto”,
un mondo costellato dal rispetto, in particolare
per quel che riguarda gli inalienabili diritti di cui i
bambini di tutto il mondo “hanno diritto”!
Nel 1991, in Italia, è stata ratificata la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989;
l’effetto è stato l’introduzione nell’ordinamento
giuridico italiano di tutti i principi contenuti nella
Convenzione stessa. In particolare, nel documento
si affermano i diritti di protezione e di non discriminazione, di promozione - è, infatti, garantito il
superiore interesse del bambino - e di partecipazione ed ascolto dell’opinione del bambino.
Essa ha un’importanza estrema nella cultura di
oggi: garantisce con altri documenti e convenzioni
internazionali ad ogni bambino la possibilità di
vivere serenamente nella società in cui si trova a
crescere, creando una “cultura dei diritti”. I bambini, in tale “cultura”, sono considerati portatori
di diritti, assumono il ruolo di “soggetti sociali”,
con bisogni primari, capaci di esprimere se stessi,
protagonisti della propria vicenda esistenziale,
paritari all’adulto e capaci di interagire con lui.
Nonostante le leggi, sono ancora molti gli esempi
nel mondo di non considerazione del bambino
in quanto tale, trattato ancora come soggetto di
assistenza, come soggetto che non ha richieste,
Didattica ed esperienze
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interessi o bisogni specifici da rispettare. Appare
esserci una forte attenzione ai bisogni materiali
dei bambini, meno a quelli legati al necessario
sostegno emotivo per crescere in modo armonico,
diventare cittadini sereni e affrontare le sfide che
la vita presenta. È necessario, quindi, che la “cultura dei diritti” sia una cultura dell’infanzia e per
l’infanzia, perché ogni bambino sia libero di fare,
immaginare, pensare ed esprimersi, una cultura in
cui ci si comporta davvero nei confronti dei bambini guardandoli come soggetti di diritti universali
su cui si fonda la promozione della loro qualità di
vita. I diritti espressi dalla Convenzione portano
ad un effettivo impegno di tipo politico-sociale
e culturale, per il rispetto e l’effettivo godimento
dei quali sono chiamati in causa tutti i cittadini
(legislatori, insegnanti, genitori, società civile).
L’ottica fondamentale, come afferma Ardesi, è
quella che ogni cittadino possa dare la possibilità
Caterina Martinazzoli
* Insegnante, cultore di Pedagogia Speciale in Università Cattolica
18
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Il sé e l’altro
presenta l’ambito elettivo in cui i temi dei diritti
e dei doveri, del funzionamento della vita sociale,
della cittadinanza e delle istituzioni trovano una
prima palestra per essere guardati e affrontati concretamente”. Uno dei traguardi per lo sviluppo di
competenza è legato proprio al “raggiungimento
dei propri diritti e doveri, delle regole del vivere insieme”.
Il percorso per l’a.s. 2013/2014 propone una serie di articoli sui diritti (e doveri) dei bambini a
partire proprio dalla Convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza ed affronta i temi
della tutela del bambino, e della sua identità, della
famiglia, della società, delle regole e della cittadinanza, ma anche dell’istruzione, della salute,
del gioco, dell’espressione delle proprie idee e
valorizzazione delle diverse identità in ottica scolastica e sociale. Attività realizzate con i bambini
su tale tematica permettono di esplicitare un riconoscimento dei diritti di tutti, a prescindere dalle
alterità che caratterizzano la società, ma anche di
dare risposte concrete ai bambini stessi sui molti
perché che essi formulano sulla vita, sulle trasformazioni sociali e personali, sui valori culturali,
sul senso del mondo e dell’esistenza umana, scoprendo, emozionandosi, cogliendo i diversi punti
di vista e volgendo lo sguardo ad una cittadinanza
attiva.
L’obiettivo formativo generale del percorso è
“Riconoscere i diritti di cui i bambini stessi sono
Didattica ed esperienze
a tutti i bambini di essere bambini. La scuola
dell’infanzia, in quest’ambito, si rivela importante:
è un luogo che accoglie, che protegge e valorizza,
che favorisce la creatività potenziale che ogni
bambino ha, che permette, appunto, ai bambini
di essere bambini.
Le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012
mettono in luce l’importanza dei diritti dei bambini, sia nel senso che è un dovere rispettare tali
diritti, sia nel senso che ogni bambino ha il diritto
di sapere quali siano i suoi diritti e i diritti degli
altri in quanto bambini. La scuola viene definita
come “luogo dei diritti di ognuno e delle regole condivise”. In particolare, “la scuola dell’infanzia, statale e paritaria, si rivolge a tutte le bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età ed è la risposta al loro
diritto all’educazione e alla cura, in coerenza con i
principi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
e nei documenti dell’unione europea. Essa si pone
la finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo
dell’identità, dell’autonomia, della competenza e li
avvia alla cittadinanza”. Sempre nelle Indicazioni,
i bambini sono visti come “portatori di speciali e
inalienabili diritti, codificabili internazionalmente,
che la scuola per prima è portata a rispettare”.
Tra l’altro, il campo di esperienza “Il sé e l’altro”,
oggetto della rubrica, è proprio l’ambito d’eccellenza per la questione dei diritti, infatti: “rap-
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
Obiettivo formativo generale
Riconoscere i diritti di cui i bambini stessi sono portatori, scoprendone il significato per favorire la consapevolezza della propria
identità di bambino inserito in un contesto di cittadinanza attiva.
UdA
Obiettivi di apprendimento
Ottobre
“Io ho diritto”
Individuare e scoprire il significato dei diritti dei bambini e riconoscerne le caratteristiche.
Novembre
“Io vivo”
Comprendere l’importanza della vita e percepirla come diritto inalienabile.
Dicembre
“Io sono”
Riconoscere la propria singolare identità ed unicità nel mondo.
Gennaio
“Io penso e mi esprimo”
Riconoscere il proprio diritto al pensiero autonomo e alla libera espressione
delle proprie opinioni.
Febbraio
“Io vivo in una casa”
Riconoscere l’importanza dell’appartenenza ad una famiglia.
Marzo
“Io sono protetto, curato, nutrito”
Riconoscere il diritto alla protezione, alla cura e al nutrimento, come aspetti
fondamentali per la crescita armonica.
Aprile
“Io imparo”
Riconoscere il diritto all’istruzione per poter vivere attivamente come cittadini
nel mondo.
Maggio
“Io gioco”
Riconoscere il diritto al gioco, allo svago, al tempo libero, all’espressione della
propria creatività.
Giugno
“Io ho tanti amici”
Riconoscere il diritto all’amicizia, anche tra identità caratterizzate da particolari
e speciali diversità.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
19
Didattica ed esperienze
Il sé e l’altro
portatori, scoprendone il significato per favorire la
consapevolezza della propria identità di bambino
inserito in un contesto di cittadinanza attiva”.
Ogni mese verrà proposta un’unità di apprendimento in cui verranno esplicitati la programmazione, gli obiettivi, le proposte di attività, i materiali, la valutazione, alcuni spunti per il monitoraggio dell’attività e l’auto-monitoraggio dell’insegnante, in modo da rendere chiara e replicabile
l’esperienza. Le proposte operative, accompagnate
sempre da un’introduzione teorica che giustifichi
il percorso ipotizzato, daranno la possibilità a tutti
i bambini di partecipare, grazie ad un approccio
attivo che tenga conto delle diverse abilità, intelligenze e modalità di apprendimento dei bambini.
Si lavorerà, quindi, attraverso l’ausilio di racconti,
narrazioni, verbalizzazioni e drammatizzazioni,
di illustrazioni e tecniche pittoriche varie, di esperienze dirette e di giochi individuali e/o cooperativi, di modalità di conoscenza multisensoriale e
partecipata.
La prima tappa nel mese di ottobre “Io ho diritto”
si focalizzerà sui diritti in generale, il loro significato, anche nelle rappresentazioni ed idee dei
bambini stessi, nell’ottica di un primo approccio
alla tematica, con l’obiettivo di individuare e scoprire il significato dei diritti dei bambini e riconoscerne le caratteristiche.
A novembre, con “Io vivo”, il tema centrale sarà
l’importante diritto alla vita, un diritto fondamentale e inalienabile, senza il quale perdono significato tutti gli altri diritti.
A dicembre, con “Io sono” l’attenzione sarà rivolta
20
al diritto all’identità, ad avere un nome, una nazionalità ed una personalità caratterizzate da unicità
nella pluralità dei bambini presenti nel mondo.
Gennaio, con la tappa “Io penso e mi esprimo” è
dedicato al diritto di ogni bambino di esprimere
le propri opinioni, di avere un pensiero proprio
riguardo alle cose che accadono nella vita.
La tappa “Io vivo in una casa” pone, a febbraio,
l’attenzione sul tema del diritto ad avere una famiglia e un posto caldo dove poter vivere e dormire
la notte, luogo accogliente e protettivo.
Riconoscere il diritto alla protezione, alla cura e al
nutrimento, come aspetti fondamentali per la crescita armonica è l’obiettivo previsto per la tappa
“Io sono protetto, curato e nutrito”, a sottolineare
l’importanza di questi tre elementi - la protezione,
la cura e la nutrizione - nella vita di ogni singolo
bambino.
Ad aprile l’attenzione è rivolta allo studio e all’istruzione, aspetti importanti per poter vivere attivamente come cittadini all’interno della società.
A maggio, con “Io gioco”, si proporrà un percorso
sull’importanza del gioco, del tempo libero, dell’espressione della propria creatività per tutti i bambini, ma anche della noia e del riposo.
Da una dimensione individuale, anche se, in realtà, l’“io” di ogni tappa riguarda “ogni io”, quindi
“noi”, ci si sposta, a giugno, ad una dimensione
collettiva, legata al diritto all’amicizia e, in particolare, all’amicizia senza discriminazione di abilità o provenienza.
Il percorso si propone, così, di preparare i bambini, futuri cittadini del mondo, ad un mondo…
diritto!
per approfondire
S. Ardesi, I diritti dei bambini e delle bambine
alla luce del paradigma dei diritti umani in M.L.
De Natale (a cura di), Pedagogisti per la giustizia,
V&P, Milano 2004.
A. Bobbio (a cura di), I diritti sottili del bambino.
Implicazioni pedagogiche e prospettive formative
per una nuova cultura dell’infanzia, Armando,
Roma 2007.
MIUR, Indicazioni per il curricolo per la scuola
dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, 4
settembre 2012, Roma.
ONU, Convenzione sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, 20 novembre 1989.
R. Piumini, Tanti diritti, in Amnesty International,
Siamo nati tutti liberi. La dichiarazione dei diritti
umani spiegata ai bambini, Paoline, Milano 2008.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Chiara Andronio*
Un
po’ di…
psicomotricità
alle Indicazioni: “i bambini giocano con il
loro corpo, comunicano si esprimono con la
mimica, si travestono, si mettono alla prova… Il
corpo ha potenzialità espressive e comunicative
che si realizzano in un linguaggio caratterizzato da una propria struttura e da regole che il
bambino impara a conoscere attraverso specifici
percorsi di apprendimento: le esperienze motorie
permettono di integrare i diversi linguaggi, di
alternare la parola ai gesti, di produrre e fruire
musica, di accompagnare narrazioni, di favorire
la costruzione dell’immagine di sé e l’elaborazione
dello schema corporeo… La scuola dell’Infanzia
mira altresì a sviluppare la capacità di esprimersi
e di comunicare attraverso il corpo per giungere
ad affinarne le capacità percettive e di conoscenza
degli oggetti, la capacità di orientarsi nello spazio,
di muoversi e di comunicare secondo immaginazione e creatività”.
Didattica ed esperienze
D
Che cos’è l’educazione psicomotoria?
L’educazione psicomotoria è un’attività concreta
che si modella sul gioco spontaneo e sull’espressività dei bambini che vivono e sperimentano in
prima persona azioni e relazioni.
L’obiettivo dell’educazione psicomotoria non è
quello di “insegnare” al bambino ad eseguire alla
perfezione alcuni esercizi specifici, ma di favorire
un’espressione quanto più possibile libera e spontanea. Dove per libera e spontanea non s’intende
“anarchia”, ma libertà di azione in un percorso
dato o meglio “tracciato, suggerito, proposto”
dall’adulto.
Attraverso il movimento, il gioco e la libera espressione, il bambino affina importanti abilità (equilibrio, concentrazione, attenzione, abilità fisiche)
ed entra in comunicazione con il profondo sé e
gli altri. Nel corso della prima infanzia i bambini,
grazie all’errore pratico, attraverso il corpo e il
fare motorio scoprono, imparano, conoscono, valutano e risolvono problemi.
La psicomotricità viene così definita dall’enciclopedia Italiana La piccola Treccani: “Concetto
che fa riferimento alla reciproca integrazione
Chiara Andronio
* Insegnante, psicomotricista
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
21
Il corpo e il movimento
Didattica ed esperienze
delle funzioni psichiche con quelle motorie,
quali elementi fondamentali del comportamento
dell’uomo… questi fenomeni psichici e motori
non costituiscono due categorie autonome più o
meno giustapposte ma i due poli di un unico processo attraverso il quale si realizza l’adattamento
costrittivo all’ambiente. Lo sviluppo psicomotorio
rappresenta la crescita integrata e sinergica della
dimensione motoria e della dimensione psichica
nel bambino, ed esprime la stretta interrelazione,
in un costante rapporto di causa effetto, tra la maturazione motoria in tutte le sue forme (di movimento, prassiche sensoriali, ecc.) e la dimensione
psichica in tutte le sue forme (cognitiva, emotiva,
relazionale)”.
Questa definizione mette in evidenza la stretta
relazione che intercorre tra le due aree, relazione
resa ancora più evidente dalla vicinanza reale tra
le cellule corticali motorie e intellettuali. Picq e
Vayer sottolineano come nel corso della prima
infanzia, motricità e psichismo siano strettamente
collegati, fusi, come due aspetti indissociabili del
funzionamento della stessa organizzazione.
Guido Petter mette in rilievo quattro tipi di rapporti che possono sottolineare e far comprendere
la stretta relazione che intercorre tra motricità e
attività mentale:
1) le procedure che regolano lo sviluppo motorio
sono le stesse di quelle che stanno alla base
dello sviluppo cognitivo;
2) tra le attività motorie, mentali e sensoriali
si stabilisce un “isomorfismo di rappresentazione”;
3) gli apprendimenti si formano attraverso un
processo di interiorizzazione delle attività
svolte a livello motorio con il corpo;
22
4) la motivazione dei bambini nell’ambito delle
attività si può realizzare solo con il fare e il
fare motorio, di movimento e di gioco (es: ai
bambini si parla spesso dell’autunno; perché
non farli giocare, allora con ciò che l’autunno
regala? Le foglie, i legni e i frutti autunnali…
permettendo loro, in un primo momento, di
andare alla scoperta dei materiali da poter poi
vivere in palestra?).
Detto questo, comprendiamo quanto sia importante, in questa fascia di età, permettere al bambino di vivere a livello corporeo ogni esperienza.
Il bambino attraverso il corpo e l’attività motoria
si mette in gioco, sperimenta, impara e crea relazioni. Tutto questo gli permetterà di porre le basi
per la conoscenza e lo sviluppo delle competenze.
In tabella vengono riportate le dimensioni evolutive di sviluppo psicomotorio, come proposte
da Vincenzo Riccio. Chiaramente queste griglie
servono solo per avere dei riferimenti relativi alle
tappe di sviluppo psicomotorio dei bambini, ma
non sono indice di capacità o incapacità di nessuno. Ogni bambino, infatti, grazie alle esperienze
vissute svilupperà prima alcune aree rispetto ad
altre fino a giungere al raggiungimento di ognuna
serenamente e con successo. Ogni esperienza se
vissuta pienamente a livello corporeo lascia un
piccolo “seme” che con il tempo e tutte le cure necessarie arriverà a germogliare fino trasformarsi
in una “spettacolare piantina”.
Un anno per conoscere, conoscersi
e… condividere esperienze
Durante questo anno scolastico i bambini avranno
la possibilità di fare innumerevoli esperienze che
permetteranno loro di conoscersi, di comprendere
i propri movimenti, i propri gesti e soprattutto di
cogliere le proprie emozioni, di entrare in relazione con i compagni e di iniziare a capire il loro
modo di comportarsi e di agire fino a riuscire a
trovare insieme strategie per imparare e per crescere.
Tutto questo verrà vissuto in un ambiente specifico e speciale che dapprima verrà esplorato per
poi essere conosciuto e utilizzato per andare verso
la condivisione e la consapevolezza.
Ciò che renderà più semplice ogni tipo di esperienza sarà la possibilità di utilizzare oggetti
strutturati e destrutturati che serviranno da prolungamento di sé e da mediatori di relazione fino
a diventare strumenti per costruire e condividere
esperienze. Gli oggetti permetteranno anche ai
bambini di “giocare” le proprie emozioni facendo
finta di…
Il percorso partirà dalla conoscenza e soprattutto
condivisione di una filastrocca che permetterà al
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Il corpo e il movimento
gruppo di cominciare a sentirsi unito, seppur da
una canzoncina, per poi giungere ad una scarica
motoria-vocale (le innumerevoli esperienze del
primo momento scolastico creano tensioni) che
darà il via alla voglia di condividere regole, esperienze ed emozioni.
Il percorso si concluderà con la capacità del
gruppo di conoscersi e di condividere, spazi, oggetti, esperienze, vissuti che diventeranno strumenti utili per la crescita personale e del gruppo
ed in particolare faranno nascere il desiderio di
“sapere”.
Dimensione
3-4 anni
4-5 anni
5-6 anni
Motoria
Sa salire e scendere le scale anche se a volte,
spaventandosi chiede aiuto.
Comincia a saper lanciare la palla verso un
compagno anche se difficilmente lo colpisce.
Sa costruire una torre con pezzi di costruzione
differenti ma su imitazione.
È sempre più padrone del suo
corpo, riesce a stare in equilibrio
su un piede solo 6-7 secondi.
Riesce ad infilare alcune perle in
un filo.
Usa le forbici con una certa destrezza anche se fatica ancora a
seguire un percorso obbligato.
Sa utilizzare bene la
matita.
È coordinato nei movimenti e riesce a fare il
salto in lungo.
Riesce ad allacciarsi le
stringhe delle scarpe
da solo.
Psicomotoria.
Lateralizzazione
Per prendere matite, posate o i giochi utilizza
quasi sempre la stessa mano.
Anche per calciare il pallone tende ad usare
sempre lo stesso piede anche se a volte non lo
colpisce.
Per fare il gioco del cannocchiale utilizza quasi
sempre lo stesso occhio.
Prende gli oggetti sempre con la
stessa mano.
Calcia sempre con lo stesso
piede.
L’occhio dominante è lo stesso.
È in grado di distinguere la destra dalla
sinistra su di sé.
Non sono in grado di
riconoscerla sugli altri.
A volte riesco a dire se
un oggetto è a destra
o sinistra.
Psicomotoria.
Schema
corporeo
Disegna l’omino con un testone enorme ma
con occhi e bocca. Attacca braccia e gambe
ma dove capita.
Sa dire il suo nome e riconosce il suo sesso.
Riconosce e nomina le parti del corpo.
Disegna l’omino sempre con la
testa grande ma inserisce occhi,
naso e bocca. Poi aggiunge il
corpo e braccia e gambe sono
sottili ma al posto giusto.
Riconosce sempre più parti del
corpo anche quelle più piccole.
Comincia a dire il numero delle
parti del corpo.
Nel disegno dell’omino
sono comparse tutte
le parti anche arricchite di particolari. A
volte dimentica il collo.
Nomina tutte le parti
del corpo.
Sa dire il numero di
tutte le parti del corpo.
Psicomotoria.
Orientamento
spaziale
Inizia comprendere la differenza tra aperto e
chiuso e sopra e sotto
È in grado di copiare 3 figure in sequenza.
È in grado di disegnare anche il triangolo anche se un po’ deformato.
È capace di disegnare un oggetto dentro e
fuori da un cerchio e sopra e sotto un tavolo.
Inizia a fare esperienza di vicino e lontano.
Riconosce anche davanti, dietro
e a volte di fianco.
Riesce a riprodurre un
disegno rispettando le
distanze.
Copia bene le figure
geometriche.
Sa dire dove abita.
Psicomotoria.
Tempo
Inizia a capire prima e dopo riferito al suo vissuto.
Sa dire, guardando le figure cosa è successo
prima e cosa è successo dopo.
Comincia ad utilizzare le parole ieri, oggi, domani anche se a volte le confonde ancora.
Riconosce prima e dopo ma fatica ad aspettare. Il suo desiderio è quello di soddisfare subito il suo desiderio.
Riesce ad aspettare solo qualche secondo se stimolato da
proposte allettanti.
Sa dire la sua età.
Sa usare correttamente i concetti di ieri,
oggi e domani.
Sa riordinare una serie
di vignette.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
Tav. 1 tFasi di sviluppo motorio e psicomotorio da tre a sei anni
23
Il corpo e il movimento
Tav. 2 tProgrammazione annuale delle attività educative
Competenza chiave
Competenze
sociali e civiche.
Consapevolezza
ed espressione
culturale
Campi d’esperienza
Il corpo e il
movimento
Tutte le competenze personali e interpersonali che riguardano tutte le
forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare
in modo efficace e costruttivo alla vita sociale...
Riguarda l’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed
emozioni
I bambini prendono coscienza del proprio corpo…
Muoversi è il primo fattore di apprendimento: cercare, scoprire, giocare
saltare...
L’azione del corpo fa vivere emozioni e sensazioni piacevoli…..
I bambini giocano con il loro corpo, comunicano, si esprimono con la
mimica, si travestono, si mettono alla prova fino a percepire la completezza del proprio sé, consolidando autonomia e sicurezza emotiva….
Didattica ed esperienze
UdA
Obiettivi
Ottobre
Esplorazione e conoscenza dello spazio.
Muoversi per e nello spazio serenamente.
Conoscere le caratteristiche dello spazio (pregi e difetti).
Saper “smontare e rimontare” lo spazio.
Vivere il piacere senso-motorio.
Novembre
Esplorazione e conoscenza degli oggetti;
con gli oggetti creo.
Conoscere le caratteristiche degli oggetti strutturati e destrutturati.
Sperimentare le loro diverse “funzioni”.
Vivere il piacere di giocare con gli oggetti.
Comprendere la versatilità degli oggetti.
Sperimentare il gioco simbolico.
Dicembre
Attraverso gli oggetti
esploro lo spazio
Utilizzare gli oggetti come prolungamento di sé.
Avendo conosciuto le caratteristiche degli oggetti utilizzarli per esplorare spazi conosciuti
e nuovi.
Gennaio
Attraverso gli oggetti
esploro il mio corpo
(schema corporeo).
Utilizzare l’oggetto per conoscere ogni parte del corpo.
Esplorazione, conoscenza e rappresentazione dello schema corporeo.
Febbraio
Il mio corpo si orienta
nello spazio, assume
diverse posture statiche dinamiche….
Esplorare, conoscere e rappresentare tutte le posture che il corpo può assumere
Vivere la staticità e la dinamicità.
Vivere il piacere del movimento.
Marzo
Il mio corpo comunica
Scoprire tutte le possibilità che il corpo ha di comunicare.
Voce, ritmo, tono, espressione, posture … silenzio.
Aprile
Attraverso il mio
corpo con l’aiuto
degli oggetti incontro
– esploro – conosco
l’altro
Utilizzare il corpo e gli oggetti come mediatori di relazione.
Incontrare gli altri, esplorarli, conoscerli e rappresentarli nella staticità e nel movimento.
Maggio
Con l’altro esploro,
conosco e rappresento.
Mettere in comune le esperienze.
Imparare a mediare.
Trovare strategie per costruire insieme.
Giugno
Io, gli oggetti e gli altri… nello spazio
Unire gli elementi sperimentati per crescere nella propria conoscenza…
per approfondire
G. Petter, Psicologia e scuola primaria, Giunti, Firenze 1987.
L. Picq, P. Vayer, Educazione Psicomotoria e ritardo mentale, Armando, Roma 2000.
V. Riccio, dal sito www.fantasiaweb.it con alcune modifiche apportate da Chiara Andronio.
24
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Michele Aglieri*, Alessandra Carenzio**, Giulio Tosone***
A
scuola di media
Un contributo per iniziare
Cambiare e innovare. Il momento culturale della
scuola presenta – ci pare – una certa confusione in
materia di innovazione legata al tecnologico. Basta utilizzare un tablet per migliorare l’esperienza
educativa di una classe? Crediamo piuttosto che
la tecnologia sia un dato inutile se non addirittura
dannoso laddove la sua introduzione non venga
accompagnata da una progettualità forte basata
su precisi criteri educativi che tengano conto dei
bisogni dei bambini e delle loro fasi di crescita,
da una matura competenza didattica e, parlando
di media education, dall’esigenza di consegnare al
bambino prima di tutto gli elementi fondamentali
di una competenza mediale.
Lavorare insieme. Si assiste spesso alla fatica isolata di qualche insegnante volenteroso. Fatica che
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle
attività educative
UdA
Ottobre
I media e le regole: la cornice pedagogica
(Aglieri)
Novembre
Regolare i media, le regole nei media: spunti
per la didattica (Carenzio)
Dicembre
I media e le regole: strumenti per lavorare con
i bambini (Tosone)
Gennaio
Educazione all’immagine: la cornice pedagogica (Aglieri)
Febbraio
Pubblicità, immagini, claim e jingle: spunti per la
didattica (Carenzio)
Marzo
Educare all’immagine: strumenti e software
(Tosone)
Aprile
Narrare nella scuola dell’infanzia: la cornice
pedagogica (Aglieri)
Maggio
Digital storytelling: spunti per la didattica
(Carenzio)
Giugno
Digital storytelling: strumenti e software
(Tosone)
Michele Aglieri
Alessandra Carenzio
Giulio Tosone
* Assegnista di ricerca in
Pedagogia generale e sociale,
Università Cattolica di Milano
** Centro di Ricerca
CREMIT, Università
Cattolica di Milano
*** Pedagogista, formatore
e media-educator
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
l rapporto tra media e scuola costituisce uno dei
temi e degli impegni maggiormente presenti nei
dibattiti pubblici e nei discorsi degli insegnanti. Si
muove tra la rincorsa al riversamento tecnologico
(dalla stagione dei personal computer a quelle più
recenti in cui abbiamo visto comparire LIM e tablet) alle svariate proposte di aggiornamento degli
insegnanti sul piano tecnologico e didattico. La
scuola dell’Infanzia vive di una certa autonomia,
connessa ai richiami da un lato di una forte tradizione educativa e dall’altro di richieste accelerative e, qualche volta, pericolosamente anticipatorie. Con questo articolo intendiamo presentare un
percorso di riflessione e di proposta operativa – da
realizzarsi lungo i contributi che compariranno
dal prossimo numero di “Scuola Materna” e per
un’annata – da cui l’insegnante possa trarre spunti
progettuali in vista dell’introduzione del bambino
al mondo dei linguaggi dei media e di un futuro
adulto competente, critico e capace di utilizzare
nella maniera migliore le risorse tecnologiche e
comunicative che incontrerà.
La nostra esperienza di educatori e formatori
nell’ambito della media education ci ha portato,
nel tempo, a sostenere alcune tracce di riflessione
che riteniamo fondamentali e che iniziamo col
condividere.
I
25
Immagini, suoni e colori
Didattica ed esperienze
non trova situazioni di continuità educativa con
il lavoro di altri colleghi, in cui l’insegnante non
si sente sostenuto o non si sente sicuro dei propri
mezzi, di cui la scuola non fa memoria. Collaborare alla progettazione di percorsi, condividere le
competenze nell’utilizzo dei media (quanti corsi
di formazione si potrebbero evitare se nella scuola
ogni insegnante potesse trovare un collega pronto
a dirgli “questo lo so fare, te lo insegno io”) e documentare sono tre parole che devono arrivare
prima dell’idea di fare media education a scuola.
Vecchio e nuovo. Anche se oggi, in materia di
scuola e linguaggi dei media, lo sguardo è rivolto
alle nuove tecnologie, non va dimenticata una
grande tradizione didattica legata ai mezzi più
tradizionali (la televisione, il giornale, la pubblicità, la radio e, perché no, il libro) che oggi non
smettono di esistere ma anzi fanno parte di un
ambiente mediale che si è fatto più complesso,
pervasivo e integrato. A scuola non c’è solo il
“nuovo” (che spaventa e affascina allo stesso
tempo): i tirocini della vita si devono fare (ancora)
con i linguaggi e gli strumenti che non ci appaiono
più di moda, ma a cui i bambini vanno preparati.
Percorsi
Per muoverci in queste direzioni – innovare, lavorare assieme e integrare linguaggi – abbiamo pensato di attivarci e di attivare gli insegnanti su tre
ambiti di riflessione e di sperimentazione che ci
consentono di affrontare altrettanti temi: educare
alle regole (con e nei media), educare lo sguardo
26
(con la pubblicità) e raccontare (con il digitale)
saranno i percorsi tematici nelle prossime uscite
di “Scuola Materna”.
Il primo ambito – educare alle regole – tocca due
versanti impegnativi sia per la scuola sia per la
famiglia. Da un lato parlare di regole nella scuola
dell’Infanzia è estremamente cruciale, basti pensare al rispetto delle regole con cui i bambini vivono gli spazi comuni, come mettere a posto i giochi prima di passare a un’altra attività, mangiare
tutti seduti e non giocare con il cibo. E ancora,
andare ai servizi in fila e ordinatamente per lavarsi
le mani in attesa della merenda. Oltre a queste
regole ci sono quelle modalità di stare con gli altri
che riconosciamo sotto l’ombrello della buona
educazione: non spingere i compagni, non urlare,
non trattare gli altri in maniera poco rispettosa.
Ecco, si tratta di comportamenti che i cartoni
animati, i film di animazione, le pubblicità e i videogiochi trattando tutti i giorni, anche a insaputa
dell’adulto. Pensiamo al piccolo Pocoyo, personaggio molto amato dai piccoli, che distrugge il
castello di costruzioni realizzato dall’amica Ellie
(una elefantina rosa molto graziosa) e a tanti altri
episodi che possiamo utilizzare per raccontare le
regole con strumenti e attività diverse.
Dall’altro lato, accostare regole e media significa
toccare il tema dell’uso “regolato dei media”, per
cui esistono regole d’uso altrettanto utili per vivere
la comunicazione e il rapporto con i media in maniera adeguata, sin da piccoli. Che cosa guardano
i bambini? Per quanto tempo? Con chi? Con chi
ne parlano e condividono quanto visto o fruito?
Come possiamo educare al consumo responsabile anche con una organizzazione moderata (nel
senso di guidata, dotata di un moderatore, che è
anche il bambino stesso sul lungo periodo)? Cercheremo di fare qualche proposta bilanciata.
Il secondo ambito – lo sguardo – toccherà il
tema dell’educazione all’immagine attraverso un
percorso sulla pubblicità, di cui i bambini sono
grandi fruitori, tanto da ricordarsi claim e canzoncine. Anche in questo caso, la proposta sarà
finalizzata a consentire all’insegnante di lavorare
con i bambini, per renderli più autonomi e capaci
di interpretare le regole stesse della pubblicità.
Il terzo ambito – quello del racconto – si occuperà
di una attività che da sempre tocca le giornate dei
più piccoli. I bambini raccontano storie, favole,
episodi di vita. Vorremmo imparare a raccontare
queste e tante altre vicende attraverso il digitale, entrando nelle pagine simboliche del “digital
storytelling” (narrazione digitale), imparando a
utilizzare programmi e ambienti 2.0 (presenti in
rete) per la costruzione di storie digitali.
In questo modo è possibile tenere insieme i tre fili
di cui abbiamo parlato, integrando media tradin. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Immagini, suoni e colori
Lavorare su tre piani
La scelta di suddividere gli articoli, centrandoli
su aspetti diversi, ci aiuta a evidenziare e riflettere anche sui tre piani che sempre dobbiamo
attraversare quando utilizziamo le tecnologie
in ambito didattico: il piano del senso, il piano
della strategia e il piano degli strumenti. I nostri
contributi andranno letti anche secondo queste
tre prospettive.
Il piano del senso è quello che risponde alla
domanda “perché scegliamo di usare uno o più
strumenti tecnologici?”. Il piano della strategia
è quello che risponde alla domanda “come vogliamo inserire queste innovazioni nella nostra
attività didattica?”. Il piano degli strumenti è
quello che risponde alla domanda “quali strumenti vogliamo usare e come funzionano?”.
Se pensiamo alle nostre esperienze personali, ci
accorgiamo che tutti noi siamo tentati, appena al
nostro orizzonte si affacciano le tecnologie, di focalizzarci sul terzo piano. Si tratta probabilmente
di una reazione istintiva nei confronti della novità che assorbe tutta la mostra attenzione. Lo
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
zionali e linguaggi nuovi, ma anche innovando attraverso una didattica fondata sulla condivisione
delle risorse (magari messe in rete in Dropbox o
in qualsiasi spazio online come Google Drive),
delle preoccupazioni e delle esperienze positive,
facendo circolare i materiali prodotti e le belle
scoperte che in ogni percorso con i bambini è
possibile fare.
,
spiegava bene già alla fine degli anni 90 Nicolas
Negroponte, co-fondatore del MediaLab al MIT
nel suo libro Essere digitali: quando usiamo per
la prima volta una videocamera cerchiamo di
sfruttarne tutte le possibilità, inseriamo tutti gli
effetti che abbiamo a disposizione, zoommiamo
in avanti, poi indietro, magari viriamo un po’ i
colori col risultato di produrre un filmato tendenzialmente inguardabile. Ma è normale, di fronte
alle nuove possibilità della tecnologia ci viene
spontaneo esplorare e sperimentare. Proprio per
questo i tre piani hanno (e devono avere) un ordine ben preciso.
Per chiarirci possiamo vederli come un colonnato. Il piano del senso corrisponde alle fondamenta che troviamo sotto ogni singola colonna,
il piano della strategia corrisponde alle colonne
e il piano degli strumenti potremmo paragonarlo
all’architrave che collega la sommità delle colonne.
Tutti noi sappiamo che le fondamenta sono
qualcosa di assolutamente necessario, ma se ci
fermiamo a pensare ci appare anche evidente che
agli utenti finali esse non vengono mai messe in
bella mostra. Nessuno guardando un colonnato
si sofferma sui basamenti, tranne in un caso:
quando le fondamenta non sono state fatte bene
e quindi tutta la struttura ne risente. Ecco, lo
stesso vorremo fare noi: non lasciarci prendere
dall’ansia delle “ricette” facilmente utilizzabili e
dare il giusto spazio a ognuno dei tre livelli, partendo proprio dal senso di quello che facciamo.
Se, presi dalla fretta di interagire (o far interagire
i bambini) con le nuove tecnologie, lesiniamo
sul tempo dedicato alla riflessione sul perché vogliamo usare proprio le tecnologie per quella attività, siamo come un costruttore imprudente che
risparmia sulle fondamenta per veder crescere
presto la sua casa. La casa sarà probabilmente
finita in fretta, ma, altrettanto velocemente e
facilmente, rischierà di crollare. Così come sarà
importante dedicare tempo sufficiente alla riflessione sul piano delle strategie, cioè sulla corretta
integrazione didattica.
Le nuove tecnologie sono degli strumenti e come
tali né buoni né cattivi. Siamo noi che, scegliendo
come utilizzarli, costruendo, cioè, un contesto
didattico appropriato, possiamo usarli come validi ausili nell’attività didattica. Solo a questo
punto, quando ci siamo chiariti perché ha senso
usare un nuovo strumento e a quali condizioni
può aiutare chi insegna e chi apprende possiamo
dedicarci allo strumento vero e proprio, a capire
come funziona e come si fa ad usarlo.
Diamo allora inizio a questa avventura, nel segno
della condivisione. Fra i tre autori di questa rubrica e – ci auguriamo – tutti i lettori.
27
Maria Grazia Bellia*
MusicaScenica
Testi e pretesti per un
teatro musicale di bambini
progetto, negli anni, ha coinvolto centinaia fra
bambini e insegnanti.
Dei diversi percorsi saranno presentate le “scintille” utilizzate per attivare i processi di costruzione delle rappresentazioni. I diversi contributi
e i materiali didattici sono nati dal lavoro delle
curatrici autonomamente – ciascuna nei propri
contesti lavorativi – e in collaborazione, nella
conduzione di laboratori attivati presso alcune
scuole di musica.
In questo primo intervento ci concentreremo a
chiarire la metodologia che sta alla base del processo per comprendere il ruolo dell’insegnante
e dei bambini e la natura e la funzione dello
stimolo supportate anche da riflessioni pedagogiche e didattiche.
La pedagogia musicale a partire dagli anni Sessanta del XX secolo ha spesso insistito sul ruolo
dell’invenzione nell’ambito del processo di apprendimento. Autori come Self, Schafer, Hansen,
Keller, Baroni, Porena, Paynter e Aston, Paynter,
Delalande hanno sottolineato l’importanza per
i bambini di sperimentare in prima persona gli
elementi del linguaggio musicale. Si tratta di
riflessioni pedagogiche accomunate dal mettere
in evidenza l’importanza dello sviluppo
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative della creatività nei processi di insegnamento-apprendimento e dalla comune
Focus
UdA
prospettiva che pone l’esperienza alla
base dei processi di l’apprendimento.
Ottobre
Identità (Bellia)
PapaPanetto
Come efficacemente sintetizza Mario
Novembre Relazione/1 (Manti)
Una musica a colori
Piatti: “il percorso di apprendimento
non è prima il conoscere e poi il fare,
Dicembre
Relazione/2 (Manti)
Drin drin drin
ma caso mai il contrario, o meglio è
facendo che sviluppiamo il nostro coGennaio
Cooperazione/1 (Bellia)
Una torta fatta apposta
noscere, è sperimentando e ricercando
Febbraio
Cooperazione/2 (Bellia)
Musica di carta
con la voce e il corpo che ci possiamo
Marzo
Esplorazione/1 (Manti)
Fifilo
impadronire anche di concetti e teorie
che entreranno a far parte in modo
Aprile
Esplorazione/2 (Manti)
La casa dei suoni
significativo delle nostre diverse intelMaggio
Responsabilità (Bellia)
Musica riciclata
ligenze”.
uest’anno la rubrica dedicata alla musica
si caratterizza per le proposte strettamente
legate al teatro musicale. Si tratta di spunti, di
testi e pretesti da cui ciascun insegnante può
partire per attivare nei propri contesti lavorativi
percorsi di costruzione musicale all’interno di
molteplici palcoscenici. Lo spazio scenico, infatti, è inteso come un luogo in cui ciascuno ha
la possibilità di esprimersi, creare e rappresentare la musica; è il luogo in cui la rappresentazione verrà agita a conclusione del percorso e al
tempo stesso è il luogo in cui le attività nascono,
prendono forma e si sviluppano. In questa seconda accezione lo spazio scenico è l’ambiente
d’apprendimento, il luogo cioè in cui bambini e
insegnanti lavorano assieme nella condivisione
dell’esperienza creativa: un laboratorio delle idee
in cui la musica prende forma e viene agita dai
bambini col corpo in movimento, con la voce che
canta e che narra, con l’uso degli strumenti.
Le attività che nel corso dell’anno saranno presentate nella rubrica sono nate in classe con i
bambini nell’ambito del progetto MusicaScenica
ideato e condotto da Alessandra Manti e dalla
sottoscritta in diverse scuole della capitale. Il
Didattica ed esperienze
Q
Giugno
Consapevolezza (Manti)
Passa il tempo ticche tacche
Maria Grazia Bellia
* Docente di educazione musicale, direttrice di coro e formatrice
28
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Immagini, suoni e colori
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
In questa prospettiva il bambino dovrebbe trovare nella scuola un ambiente che faciliti e
incoraggi situazioni di apprendimento attivo
e dinamico. Una scuola che sappia motivare,
interessare e coinvolgere, capace di innescare
nei bambini la scintilla della curiosità e di predisporre gli strumenti adeguati per consentire a
ciascuno di essere costruttore della propria rete
di conoscenze.
È proprio qui che come insegnanti siamo chiamati in causa. Nel ruolo di educatori non possiamo fare a meno di mettere al centro delle
nostre riflessioni l’importanza che oggi il nostro
intervento educativo può svolgere nella formazione dei futuri cittadini. La musica può contribuire a far crescere bambini consapevoli e
critici, capaci di selezionare e di operare scelte,
esprimere preferenze, prendere decisioni, affrontare i problemi da molteplici punti di vista e
risolverli. Per dirla con Gianni Rodari: “in un’impresa educativa il programma non dovrebbe essere l’elenco delle cose che ci proponiamo di ottenere dai bambini, ma di quelle che dobbiamo
fare noi per essere utili ai bambini. Dovremmo
elaborare regole per il nostro comportamento,
non per quello dei bambini: i quali, se messi in
condizione di farlo, sanno benissimo inventarsi
le loro regole, quelle di cui hanno veramente bisogno, e rispettarle. Basta guardarli giocare, cioè
muoversi all’interno di regole liberamente scelte,
liberamente accettate, e accettate non perché
fanno piacere a noi, ma perché fanno piacere a
loro”.
L’attenzione al gioco e alle sue dinamiche è
quanto mai attuale, vista la rilevanza sociale che
oggi assume il problema di trovare spazi e tempi
adeguati per le attività ludiche nella vita del
bambino. È come se i bambini non riuscissero
più a vivere il loro tempo, spinti da genitori ansiosi di fornire loro nel più breve tempo possibile
un passaporto di attestati di competenze, nella
speranza di creare bambini pronti ad affrontare
un futuro che è già passato, incuranti del presente e dei suoi tempi naturali. In un contesto
sociale che sempre meno riconosce il gioco come
strumento vitale per la comprensione di sé e del
mondo, la musica sembra naturalmente poter
colmare questa lacuna restituendo al bambino il
suo principale mezzo di conoscenza attraverso
attività che favoriscano lo sviluppo dell’immaginazione e della creatività.
Quali esperienze possiamo promuovere a scuola
perché ciò accada? Quali strategie didattiche
attivare nel contesto di insegnamento? Quali
strumenti possono favorire l’immaginazione?
Quanto è importante la motivazione in situazioni di apprendimento e come motivare i bambini al fare? Come stimolare i bambini all’invenzione musicale? Il tentativo di dare risposta a
queste domande ha determinato in questi ultimi
anni un interesse rilevante nei confronti di attività che sintetizzino una pluralità di linguaggi
espressivi, come momento privilegiato per il
coinvolgimento attivo del bambino. Basti a tal
proposito richiamare i nomi di Enrico Strobino
e Daniele Vineis, Marco Bricco, Paolo Bove, Antonio Giacometti. Queste esperienze riflettono
sensibilità, approcci e obiettivi differenti, ma
sono tutte accomunate dalla valorizzazione del
teatro musicale come strumento formativo.
In questo contesto nasce e si affermano le proposte di MusicaScenica che intendono sviluppare
nei bambini la capacità di strutturare eventi
sonori nello spazio e nel tempo a partire da stimoli extramusicali da trasformare in musica,
utilizzando la voce, gli strumenti e il movimento.
A tal fine i bambini sono invitati a inventare,
sviluppare e organizzare le proprie idee musicali
all’interno di uno ‘spazio scenico’, definendo così
quel luogo in cui ciascuno ha la possibilità di
lavorare “come se fosse” un ‘attore-musicista’,
un ambiente d’apprendimento in cui è possibile
esplorare, inventare e rappresentare i suoni.
Nel tempo si è osservato che la spinta a considerare lo spazio come un ‘palcoscenico possibile’
sembra predisporre i bambini alla realizzazione
di brevi rappresentazioni ‘di musica’ che, sia
pure in un senso molto ampio del termine, si
potrebbero definire teatrali. In questo contesto
le condotte del gioco si auto-propongono e autoimpongono come espressione di fantasia e di
relazione all’interno del gruppo. Ne risultano
particolari forme di teatro musicale “elementare”, nel senso che elementi primordiali – voce,
strumento e movimento – si integrano in ma-
29
Immagini, suoni e colori
Didattica ed esperienze
niera totalmente spontanea, come ben espresso
dagli studi di François Delalande sulla “pedagogia della spontaneità. Il percorso, infatti, non
prevede attività propedeutiche all’acquisizione
di competenze tecniche specifiche: stiamo parlando sempre di un approccio basato sull’istinto
al fare, in cui le condotte del gioco regolano la libera improvvisazione. Dorfles ha affermato come
alla base dell’invenzione possa esserci un evento
minimo e casuale: “spesso è proprio un determinato colore, un suono, un rumore, magari,
o ancora, un ritmo e una
cadenza di una lingua
poco nota, a costituire
la spinta irritativa che
potrà far esplodere la
scintilla dell’invenzione;
e potrà anche condurre
alla produzione di un’opera efficace”.
Nell’esperienza di MusicaScenica la “scintilla” è
rappresentata da un oggetto di uso quotidiano,
da un oggetto di travestimento, da un canto, da
uno stimolo sensoriale
extramusicale presentato
ai bambini come un problema aperto da risolvere. Il contesto fantastico ha la funzione sia di
sfondo integratore sia di
cornice immaginativa e
facilita la partecipazione
dei bambini, agevolandone un coinvolgimento
emotivo e collaborativo.
La convinzione che ogni
atto creativo possa germogliare in un terreno di
ricerca ed esplorazione,
secondo procedimenti
empirici di prova ed errore, dovrebbe incoraggiare l’insegnante a trovare i momenti adeguati
ai propri gruppi affinché
i bambini possano avere
la possibilità di giocare
da soli, tra pari.
Le proposte di MusicaScenica, infatti, privilegiano le dinamiche del
gioco e rendono possibile le spontanee azioni
rappresentative agite dai
30
bambini. Fare in modo che ciascuno, individualmente e in gruppo, possa inventare, creare
ed esprimersi con i suoni è uno degli obiettivi
che ciascun insegnante vuole raggiungere al
fine di modellare i propri interventi educativi e
formativi. Nel ruolo di attivatore e facilitatore,
quindi, l’educatore è parte attiva di quel processo
reticolare proprio dell’atto creativo. Insegnante e
allievo sono perciò coinvolti nel processo di insegnamento/apprendimento in quel circuito virtuoso in cui entrambi, da protagonisti, agiscono
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Immagini, suoni e colori
Giocare a fare gli attori
Il mimo, il corpo e la parola che interagisce con il suono; i personaggi, le situazioni, i luoghi, le azioni;
lo spazio del teatro e della musica.
Giocare con le immagini
Realizzazioni e proiezioni di video, manipolazioni di diapositive, la fotografia, le ombre.
Giocare con il suono
Sonorizzazioni vocali e strumentali di filmati e azioni sceniche, manipolazioni del suono per mezzo di
registrazioni su cui intervenire anche dal vivo, patchwork sonori come spunto per la composizione.
Giocare con la voce
La respirazione; l’emissione; l’articolazione; la dizione; l’espressività; l’intonazione.
Giocare con la parola
Elaborazione di copioni, di filastrocche, di cori parlati, di poesie sonore a partire da spunti narrativi,
pittorici e fantastici.
Giocare con le luci
La luce e il buio, il riflettore, le torce, la penombra.
Giocare con il
travestimento
Il trucco, le maschere, i costumi, i foulard.
Giocare con la pittura
Usare la scrittura come mezzo artistico e musicale e il gesto pittorico come stimolo al suono e al movimento creativo.
Giocare con oggetti
e materiali
La carta, il legno, la plastica, le stoffe, i colori, la lana, i fili.
per tentativi ed errori nella costruzione di processi conoscitivi che prendono le mosse dal fare.
I giochi di MusicaScenica
La partecipazione attiva e collaborativa alla
costruzione di eventi musicali sostenuta da atteggiamenti di ricerca è una degli assunti che
stanno alla base delle proposte si MusicaScenica. Tra l’insegnante e l’allievo si instaura un
rapporto di fiducia basato sulla condivisione del
lavoro comune: la costruzione dello spettacolo
è l’obiettivo da raggiungere e ciascuno mette a
disposizione degli altri il proprio fare e la propria creatività. In questo processo non ci sono
copioni da imparare a memoria ma canovacci da
costruire, interpretare e da cui prendere spunto
per mettere in scena la musica.
Infine, ci piace offrire alcuni canti di saluto da
utilizzare in classe per iniziare e concludere i
momenti delle attività musicali; rituali semplici
che rassicurano e scandiscono i tempi della lezione divertendo al tempo stesso i bambini. Si
tratta di Buongiorno per iniziare, per dare il benvenuto a tutti e Vola e torna a conclusione delle
attività e salutare la musica che vola e torna. I
canti di Alessandra Manti si prestano ad essere
coreografati con gesti e movimenti che ogni insegnante potrà ideare in classe con i propri allievi.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
UdA
per approfondire
P. Bove, Il Teatromusicale. Un’esperienza interdisciplinare, IPOC, Milano 2006.
M. Bricco, Un’idea di teatro: dieci parole-chiave
per realizzare progetti teatrali nella scuola dell’obbligo, in C. Delfrati, Musica in scena, EDT, Torino 2003, pp. 29-46.
F. Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica,
Clueb, Bologna 1993.
C. Delfrati (a cura di), Musica in scena, EDT,
Torino 2003.
G. Dorfles, Il divenire delle arti, Einaudi, Torino,
1967, p. 60.
W. Keller, Ludi musici, in R. Dalmonte, M.P.
Jacoboni (a cura di), Proposte di musica creativa nella scuola, Zanichelli, Bologna, 1978, pp.
115-126.
J. Paynter, P. Astom, Suono e silenzio. Progetti di
musica creativa per la scuola, ERI, Torino 1979.
G. Rodari, Scuola di fantasia, Editori Riuniti,
Roma 1992, p. 61.
E. Strobino, D. Vineis, Appunti di teatro musicale, in Delfrati C., Musica in scena, EDT, Torino 2003, pp. 96-120.
31
Erika Cunja*
La
città che vorrei
La città come espressione di sé
Didattica ed esperienze
La città vissuta, come spazio fisico e mentale, diventa
motivo di riflessione. Ogni angolo scrutato, edificio abitato, strada percorsa o mezzo utilizzato è occasione di
sperimentazione, capace di suscitare emozioni e sensazioni percettive diverse. Come per l’ambientazione
insita in tutte le fiabe ascoltate, così la città si compone
di una serie di spazi particolari e densi di significato.
Esistono gli spazi pericolosi, gli spazi del gioco e del divertimento o lo spazio più intimo e accogliente. Alcune
parti della città possono essere piacevolmente ricordate come frutto di esperienze piacevoli dal punto di
vista percettivo e relazionale. Sicuramente ogni bambino ricorderà la casa dei propri amici, magari non per
l’ubicazione esatta, ma come elemento fisico caratterizzato da particolari colori, odori, rumori. I bambini più
piccoli vivono in modo più diretto e istintivo gli spazi
percorsi, costruendo così una mappa mentale del tutto
originale e personale.
La via dei fiori, dove vengono allestite bancarelle preposte alla vendita degli stessi, la via golosa ricordata
esclusivamente per la presenza di una gelateria o il cortile del gioco, poco importa se destinato al parcheggio.
“Le città sono un insieme di tante cose: di memoria,
di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio… sono scambi di parole, di desideri,
di ricordi” (Calvino).
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Le città descritte da Italo Calvino nella sua opera Le
città invisibili appaiono quasi come presenze vive,
palpitanti e dense di significato. Diventano le protagoniste di un racconto a tratti atemporale, che scaturisce
dai pensieri dello scrittore, così come le città viste dai
bambini prendono vita da ricordi e vissuti personali.
Il bambino, possedendo ancora la capacità animistica
di dotare ogni cosa di vita propria, fa respirare angoli
e mura di cemento. Non solo, la vita che egli infonde
è drammatizzata, così da portare la realtà all’estremo
vivibile, piacevole o terribile che sia.
Lo sguardo originale ed estremamente ricco dei bambini libera i luoghi della vita quotidiana dagli stereotipi
e dalle riflessioni convenzionali proprie dagli adulti.
Ovviamente, non è possibile misurare una città secondo
uno sguardo puramente razionale che si affida solo a
variabili scientifiche o a bisogni primari. Il bambino,
come del resto anche l’adulto, richiede una prospettiva
aperta e accogliente, capace di ascoltare anche tutta
Tav. 1 t6E" La città che vorrei
Obiettivo di
apprendimento
generale
Obiettivi di
apprendimento
Attività
Materiali
Tempi
Esprimere pensieri e
stati d’animo legati
a particolari spazi
vissuti della città
per arrivare ad una
creazione assolutamente originale
- Riflettere sulla conformazione
della città a livello generale (abitazioni, strade, persone, mezzi
di trasporto, elementi naturali).
- Esprimere pensieri e stati d’animo attraverso il materiale a
disposizione e seguendo le tecniche suggerite.
- Sviluppare la manualità finegrosso motoria.
- Sviluppare la percezione sensoriale
- Sviluppare la propria creatività
Incipit:
riflessione sul tipo
di città che vorrei.
Svolgimento:
costruzione della
porzione di città
individuata.
Conclusione:
allestimento di una
grande città data
da tutti i plastici
riuniti
- Immagini da consultare
- Cartoncini rigidi (fondo
album disegno, formato
A3 ca).
- Fogli colorati (libertà di
scelta nelle dimensioni e
nella grammatura).
- Scatole di cartone
(scatole di Cereali, riso,
pasta, medicinali…).
- Pennarelli, matita grigia,
forbici, colla.
3-4 ore
Erika Cunja
* Operatrice di laboratorio, docente di Illustrazione presso l’Accademia
di Belle Arti Santagiulia di Brescia
32
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Immagini, suoni e colori
Costruiamo la nostra città
Inizialmente i bambini sono invitati alla riflessione e
relativa discussione sullo spazio vissuto della città, cercando di ricordare gli ambienti più stimolanti dal punto
di vista emotivo. Si passa quindi alla valutazione degli
spazi più amati per scegliere cosa portare nella città
desiderata, guidando la riflessione in particolare sulle
vie e sugli edifici.
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n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Ogni bambino ha a disposizione una piattaforma
di cartone, abbastanza rigida, su cui costruire la
città stessa. Si parte dalle strade mettendo a disposizione strisce di cartoncini colorati, di dimensioni,
colori e andamenti diversi, proprio per permettere
un’ampia scelta degli stessi.
Le case sono ricavate da scatole di cartone facilmente reperibili, per un uso consapevole dei materiali di scarto. Scatole di cereali, di riso, di pasta,
di medicinali, diventeranno abitazioni completamente rivisitate. Sarebbe utile dipingerle inizialmente con colori acrilici, per garantire una base
coprente sicura, permettendo una successiva stesura con colori a tempera.
La fase della coloritura rappresenta sempre un momento di grande gioia. I bambini possono infatti
liberarsi attraverso la semplice gestualità legata
alla stesura del colore e scoprire la magia della
mescolanza dei colori stessi.
I bambini si affidano al colore per richiamare la
gioia, la drammatizzazione, l’identificazione più
umana di ogni singolo edificio, in contrasto con le
tinte sbiadite che siamo soliti vedere.
Così hanno fatto Fritz Hundertwasser, Paul Klee
in Castello e sole e molti altri artisti consapevoli
dell’importanza della dimensione intima e sensibile
che ci caratterizza.
Se osserviamo le abitazioni dipinte da illustratori
che si dedicano all’infanzia, notiamo quanto sia
tradotta in pratica questa verità. Basti pensare ai
paesi colorati di Nicoletta Costa o alle innumerevoli città schizzate e disegnate da Gek Tessaro,
raccolte nel testo Il salto. Di città in città.
Perfettamente consapevole dell’anima di ogni singola abitazione, nascosta sotto la superficie, Gek
Tessaro sembra voler esprimere, mediante l’uso
del colore, i desideri e le paure di ciascuno, come
già aveva fatto Italo Calvino attraverso la parola
scritta.
Ogni casa viene successivamente arricchita con
porte e finestre dalle forme originali preventivamente disegnate su fogli bianchi, quindi colorate,
ritagliate e incollate sulle scatole. È possibile mostrare ai bambini la conformazione particolare di
alcune finestre, come stimolo alla realizzazione di
qualcosa di assolutamente originale. A Venezia le
abitazioni presentano caratteristiche aperture che
terminano con archi a sesto acuto, debitrici dell’influenza bizantina. La stessa architettura ideata
dall’artista catalano Antoni Gaudì è estremamente
affascinante dal punto di vista formale perché legata alle pulsioni più intime e profonde dell’uomo,
al di là della ricerca puramente funzionale. Le linee
che scaturiscono sono frutto della fantasia, della
dimensione onirica così cara all’architetto, riflettendo tutta la carica energetica della stessa. Ritroviamo così, alla stregua di Hundertwasser, finestre
Didattica ed esperienze
quella sfera più relativa ed individuale data dai sogni,
dalle emozioni, dai desideri.
È mio desiderio presentare proposte di attività laboratoriali che lascino parlare la dimensione più intima ed
emozionale del bambino, affinché lo stesso lavoro porti
a risultati personali, assolutamente originali, al di là di
una sterile realizzazione uguale per tutti. L’espressione
di sé, attraverso diversi materiali e tecniche graficopittoriche, porta inoltre alla sperimentazione percettiva
globale per una conseguente maturazione del bambino
nei vari aspetti della sua persona, dalla sfera fisica a
quella cognitiva.
Non viene definito inizialmente l’intero percorso dell’attività, per lasciare spazio a sviluppi successivi della
stessa. È forse questo l’elemento più indicativo di una
didattica, intesa come esperienza davvero significativa
che pone al centro del proprio strutturarsi il bambino
come protagonista attivo e non esecutore passivo di
determinate istruzioni.
Il tema proposto diventa così spunto per riflessioni,
ricerche, dialoghi, scambi reciproci su diversi livelli,
permettendo modifiche di rotta.
Non poniamo come obiettivo la conoscenza strutturale
della città, nei suoi elementi caratteristici, verso un
risultato oggettivabile, piuttosto la costruzione di una
porzione di città personale, quale diretta espressione
del sé del bambino.
La stessa libertà espressiva si può ritrovare nelle elaborazioni architettoniche di Fritz Hundertwasser che
ha costruito nuclei abitativi all’insegna dell’originalità
e dei voli pindarici del pensiero fantastico. Le case, le
strade e tutti gli elementi costitutivi del paesaggio urbano si caratterizzano per un’esplosione di colore e per
il libero utilizzo della linea e della forma. È interessante
mostrare ai bambini alcuni di questi elementi compositivi proprio per stimolarli nell’adottare un linguaggio
più personale. Così non ritroveremo porte o finestre
uguali, ma vicine al gesto spontaneo e alla sensibilità
di ciascuno.
33
Immagini, suoni e colori
Didattica ed esperienze
dalle linee curve, rette, continue e spezzate, quasi
volessero parlarci di memorie, emozioni, contrasti
interiori dati dall’incontro con la casa costruita.
Gaudí, si immedesima con l’oggetto creato, modificando il mondo e facendolo diventare parte di sé,
come fa un bambino quando gioca.
Terminate porte e finestre si passa alla realizzazione del tetto, attraverso un gioco creativo con
la carta. È utile che l’insegnante abbia provveduto
alla sistemazione di un cartoncino abbastanza rigido sulla parte superiore della scatola, su cui i
bambini potranno lavorare.
Si mette a disposizione di ciascuno un’ampia varietà di strisce colorate, già ritagliate o da ritagliare, strette, larghe, diritte o curve. Queste ultime
diventano l’oggetto primario di trasformazione per
creare decorazioni originali. L’insegnante mostra
possibili soluzioni realizzabili, sia attraverso immagini, sia praticamente con il materiale a disposizione.
Sarebbe interessante, nel corso del laboratorio, disegnare davanti ai bambini, mostrando di volta
in volta quello che si desidera trasmettere a voce.
Ho notato che attraverso il disegno “in diretta” si
34
riesce a catturare l’attenzione dei partecipanti. I
bambini sono rapiti dal gesto dell’adulto e desiderano riproporlo. Secondo il pensiero di Bruno
Munari è più importante far vedere come si fa una
cosa piuttosto che dilungarsi in noiose spiegazioni
orali. Il cartoncino può essere piegato, ritagliato e
incollato formando spirali, cerchi, punte, torri…
Nel corso della realizzazione del tetto, i bambini,
affascinati dalla possibilità di comporre liberamente con il cartoncino colorato, hanno esteso la
superficie praticabile, spingendosi al di fuori delle
abitazioni stesse. Le strisce colorate sono diventate
così anche strade, ponti, vie percorribili tra un edificio e l’altro per un groviglio intricato di colori. Da
qui il desiderio di realizzare anche gli abitanti della
città in cammino fra le case.
Bruno non si accontenta di personaggi umani, ma
vuole popolare la sua città di extraterrestri. “È una
città un po’ strana, maestra, io uso la fantasia!”.
Isabel, affascinata dalle potenzialità manipolative
della carta, comincia a creare tanti anelli colorati.
Dove metterli quindi? “Posso fare una festa nella mia
città?”. Gli anelli diventano le luci con cui decorare
le vie.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Immagini, suoni e colori
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
tutte le porzioni di città create per dar vita ad un’unica grande città colorata. I bambini rimarranno
sicuramente affascinati dal risultato ottenuto.
Didattica ed esperienze
Clizia e Francesca hanno costruito le loro rispettive
case vicine. “Così c’è poca strada da fare quando
vogliamo giocare insieme”.
Gli spazi bianchi, rimasti liberi in seguito all’incollaggio delle strisce, possono essere decorati con
motivi scelti fra alcune opzioni proposte o totalmente inventati. Gli input iniziali devono essere
visti come sollecitazioni, stimoli per lo sviluppo
dell’immaginazione del bambino che può iniziare
così a muoversi, dando vita a risultati diversi e
originali rispetto a qualsiasi previsione. Lasciamo
che i bambini ci stupiscano con i mirabolanti voli
della loro fantasia.
Possiamo mostrare diversi pattern decorativi semplici da copiare, rielaborare o reinventare. È stato
interessante vedere come anche i bambini più timidi, pur partendo da moduli copiati, si siano poi
staccati dagli stessi per dar vita a intrecci diversi,
fino ad arrivare ad un’espressione quasi istintiva,
simile allo scarabocchio. Rilevo spesso il desiderio
di sfogare, attraverso gli atti preposti all’attività grafico-pittorica, una carica energetica sopita o tenuta
nascosta. I tratti diventano così nervosi e caotici.
Al termine dell’attività sarebbe interessante unire
per approfondire
I. Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori,
Milano 2002, pp. 9 e 163.
G. Tessaro, Il salto. Di città in città, Artebambini,
Bazzano, 2005.
I materiali fotografici sono rispettivamente
rintracciabili in:
N. Costa: www.nicolettacosta.it
F. Hundertwasser, Hundertwasser, Wieland Schmied, Taschen Edizioni, 2005.
P. Klee: http://olim2010.com/wp-content/uploads/2013/01/klee.jpg
G. Tessaro: http://www.lefiguredeilibri.com/wpcontent/uploads/2011/10/33_Gek_Tessaro.jpeg
35
Immagini, suoni e colori
Tav. 2 tProgrammazione annuale delle attività educative
Didattica ed esperienze
Ottobre
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L’albero (Erika Cunja)
Dalla sua osservazione alla rielaborazione personale dello stesso, seguendo il percorso di grandi artisti.
Novembre Girandole di foglie e
fiori (Erika Cunja)
Un viaggio alla scoperta delle forme, delle linee e dei colori che caratterizzano questi elementi
naturali.
Dicembre
L’arca dell’impossibile (Erika Cunja)
Costruzione di un’arca abitata da animali molto particolari.
Gennaio
La magia dell’acqua
(Erika Cunja)
Percorsi, abitanti e colori
Febbraio
Caccia al tesoro al
museo: alla ricerca
di… (Franco Bolondi, Margherita
Bonacini)
La didattica museale ha come scopo quello di stimolare i bambini a considerare e ad utilizzare i musei
come luoghi dove alimentare la propria immaginazione, la capacità di ricerca e della memoria, avvicinarli
ai linguaggi e alle pratiche dell’arte, proponendo loro “occhi nuovi” e ricche occasioni per osservare e
interpretare. Interessante è anche la proposta di laboratori da attivare nei musei e continuare in sezione.
L’insegnamento al museo è uno scambio multi-estetico dove il linguaggio, i sensi, la percezione e le
impressioni visive si completavano a vicenda. Durante la visita alle collezioni museali i bambini possono
raccontare le loro immediate impressioni disegnando, dialogando, esprimendo idee e posizioni, costruendo così, insieme all’educatore, “documenti di esperienza”, fonte di ispirazione per attività e progetti
una volta tornati a scuola. La visita al museo può poi essere un pretesto per iniziare un progetto di approfondimento oppure può rappresentare la fase intermedia o conclusiva di un percorso già realizzato in
sezione. Quanto detto vale anche per le visite a mostre tematiche o a gallerie d’arte private.
Marzo
La cattedrale luogo
di silenzio e di incontro (Franco Bolondi,
Margherita Bonacini)
La visita alla Cattedrale della città costituisce un evento importante per la costruzione di itinerari didattici in
relazione alla propria identità religiosa, storica e culturale. Per una città la Cattedrale rappresenta il cuore
della vita spirituale e religiosa, ma anche il fulcro della vita civile. Spesso è collocata al centro della città ed
è in stretta relazione con l’ambiente e il patrimonio artistico della comunità. È un luogo affettivo per tutti i
cittadini, contribuisce a costruire il senso di appartenenza della collettività e spesso, nelle città italiane, è
ricca di opere d’arte di grande valore che raccontano storie del tempo trascorso ma anche sempre attuali. I bambini che entrano nella chiesa più importante della loro città, hanno la opportunità di conoscere
storie passate, immagini artistiche ricche di simbologie e significati, atmosfere di raccoglimento e di preghiera, di rispetto e di silenzio. Tutto ciò diventa occasione di arricchimento personale, ma rappresenta
anche un grande patrimonio da rileggere, rielaborare e ricostruire una volta rientrati a scuola.
Aprile
Suoni profumi immagini dell’officina
dell’artista (Franco
Bolondi, Margherita
Bonacini)
Per i bambini incontrare un artista è sempre una esperienza di grande portata didattica, non solo
perché consente loro di conoscere una persona con abilità e approcci particolari, ma perché permette di accedere a luoghi (lo studio dell’artista, la bottega dell’artigiano, la sala mostra) che parlano
dell’arte, che fabbricano arte. Conoscere l’uso di strumenti e materiali, il processo, la storia, i gesti e i
segni del fatto artistico raccontati direttamente da colui che li ha compiuti valorizza le competenze del
fare arte e la rende più accessibile. È evidente che un tale incontro non deve essere proposto come
momento isolato rispetto alle altre attività didattiche dell’anno in corso, ma all’interno di un percorso
didattico particolare che vede in quell’incontro un momento di passaggio importante, una fase in cui
il bambino possa percepire la differenza tra la visione di una opera d’arte e la creazione e realizzazione
della stessa, e la possibilità di apprendere manualità e pensieri nuovi. È la didattica del fare per creare
apprendendo e dell’osservare per personalizzare gesti e progetti. È un approccio culturale in prima
istanza, ma con importanti risvolti sul piano della conoscenza ed espressione del sé, della relazione
con le cose e i loro significati, della infinite potenzialità della creatività e della espressione.
Maggio
Tra le pagine di un
libro (Franco Bolondi, Margherita
Bonacini)
La visita alla biblioteca è sempre oggetto di grande interesse e coinvolgimento per i bambini che entrano
in contatto con un mondo fatto di libri, scaffali, tappeti per la lettura, poltrone per stare comodi, ma
anche di immagini e personaggi, lettere, parole e caratteri. Tutto può diventare oggetto di riflessione,
commento, domanda, rielaborazione, racconto e animazione, ma prima di tutto l’esperienza deve avere
come obiettivo immediato la immersione nel mondo dei libri che di per sé affascinano e parlano ad ogni
bambino a seconda di ciò che suscita il suo interesse in quel momento. L’amore per il libro e per la
lettura nasce anche dal contatto fisico con l’oggetto-libro, dalla sua osservazione, manipolazione, dal
gioco creativo e seriale che i bambini sono capaci di inventare quando si trovano in questi contesti particolari. Da non trascurare che per i bambini di scuola dell’infanzia, e non solo, leggere un libro significa
soprattutto osservare le illustrazioni che sono poste a corredo e sostegno dei testi.
Giugno
L’allegria delle
fontane (Franco
Bolondi, Margherita
Bonacini)
In ogni citta c’è almeno una fontana rappresentativa o comunque di un certo valore artistico. Ci sono fontane
antiche e riccamente decorate e abitate da diversi personaggi storici e mitologici, ce ne sono altre più moderne costruite con materiali nuovi quali l’acciaio o il plexiglas, infine altre ancora più piccole e nascoste, ma
ugualmente significative perché raccontano di incontri, di chiacchiere e di segreti. Il bambino è naturalmente
attratto dalle fontane, vuoi per l’acqua che scorre, o per la trasparenza e la possibilità di riflettere immagini,
vuoi per la grandiosità dell’opera o per i personaggi rappresentati; tutto è oggetto di interesse e di curiosità.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Antonella D’Ambrosio*
I
discorsi e le parole:
un lungo viaggio
Paesi e completamente all’oscuro della conoscenza
della lingua italiana. Utilizzando il linguaggio dei
gesti, delle emozioni e dei sentimenti essi riescono
ad entrare in relazione con gli insegnanti (che a loro
volta si avvicinano ad essi con empatia e affetto) e,
attraverso il gioco, chiave capace di aprire tutte le
porte, con i compagni. Il linguaggio non verbale dà
quindi inizio alla comunicazione, ma quando nei
piccoli comincia ad evolvere il linguaggio verbale
quel tipo di espressività non muore ma va a rafforzare e a chiarire meglio ciò che essi vogliono dire.
Secondo la scuola di Palo Alto il linguaggio infatti è
un processo comunicativo nel quale si distinguono
due componenti che riguardano rispettivamente la
modalità di interazione tra persone e i contenuti
della comunicazione stessa. In pratica sussiste una
doppia comunicazione che insieme dà significato
al messaggio trasmesso ed è insita soprattutto nei
bambini che amano comunicare in modo quasi globale, con la voce ma anche con tutto il loro corpo. Gli
insegnanti prestano particolare attenzione a questi
processi iniziali creando situazioni che agevolino i
normali processi evolutivi del linguaggio.
Didattica ed esperienze
l campo di esperienza de “I discorsi e le parole”, nel
lungo cammino intercorso tra gli “Orientamenti” e
le “Indicazioni” ministeriali, ha mantenuto, a differenza di quasi tutti gli altri campi, oltre alla sua dicitura originale, una struttura precisa e particolare,
sempre attuale e impregnata di un significato forte.
La società in rapida evoluzione ha dato vita a nuove
forme di apprendimento e a nuove fonti di sapere
creando così differenti necessità che hanno portato
a modificare e attualizzare in parte anche le strutture
dei programmi e delle indicazioni ministeriali. Questo campo di esperienza riesce a rimanere attuale
attraverso gli anni e i cambiamenti perché è alla
base dello sviluppo della comunicazione verbale di
ogni bambino, di ogni essere umano. L’ingresso alla
scuola dell’Infanzia segna un momento importante e
cruciale per tutti i bambini. I codici comunicativi di
tipo affettivo non sono gli stessi che essi utilizzano in
famiglia, l’ambiente è nuovo e le figure adulte quasi
sempre sconosciute. La necessità di far capire i propri bisogni e di entrare in contatto con i pari e con gli
adulti determina uno sforzo iniziale enorme anche
se ben supportato dagli insegnanti che li accolgono
in un ambiente adeguato con professionalità, dedizione e affetto. Molti bambini in quel frangente utilizzano ancora soltanto il linguaggio del corpo. Essi
riescono comunque a farsi capire, possono esprimere
tristezza, allegria, disagio, dolore attraverso quei codici del corpo che superano ogni barriera linguistica.
Si pensi ai bambini appena arrivati in Italia da altri
I
Qualcosa di cui tenere sempre conto
Occorre offrire opportunità educative affinché il
complesso meccanismo del linguaggio divenga patrimonio del bambino e quest’ultimo possa diventare
padrone della lingua a cui appartiene. Ricordando
brevemente le finalità di questo campo di esperienza
sarà più semplice collocare e definire le proposte didattiche che seguiranno e che ci accompagneranno
in questa nuova annata della rivista.
Avere fiducia
Il bambino deve sentire attorno a sé fiducia e comprensione in modo da poter rafforzare la propria
autostima e acquisire quella necessaria fiducia nelle
proprie capacità comunicative ed espressive. Deve
sentirsi accolto e accettato per il bambino che è, non
percepire attorno a sé aspettative né sommarie valutazioni. Può succedere che gli insegnanti valutino
alcuni aspetti non positivi dei propri bambini a voce
Antonella D’Ambrosio
* Insegnante scuola dell’Infanzia
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
37
I discorsi e le parole
alta con altri colleghi pensando di non essere ascoltati. Ciò non è sempre vero e quando questo accade
il bambino si sente mortificato e può fare poi fatica
ad essere spontaneo, perde serenità e fiducia in se
stesso, sente di non essere adeguato senza capirne il
perché e senza avere gli strumenti per uscire da quel
suo stato di malessere.
Didattica ed esperienze
Esprimersi e ascoltare
Una volta che i bambini acquisiscono sicurezza in
se stessi generalmente iniziano a definire il rapporto con il loro interlocutore. In genere ciò avviene
quando essi si rendono conto che gli altri possono
avere idee e opinioni diverse dalle loro. Gli insegnanti invitano i bambini al dialogo (ad esempio nel
momento della conversazione nel cerchio) anche
per agevolare questa consapevolezza andando però
spesso a cozzare contro l’egocentrismo, caratteristica tipica dell’età. Attraverso l’invito ad esprimersi
e ad ascoltare l’insegnante può aiutare i piccoli a
decentrarsi e ad aprirsi via via sempre di più all’altro.
Occorre offrire ai bambini gli strumenti per aiutarli ad entrare nella dimensione dell’ascolto. Essi
in questo modo riconoscono all’interlocutore il diritto di esserci e di avere idee da comunicare: questa
situazione si può definire come una premessa alla
capacità di dialogo.
Discutere per capire
I bambini possono poi essere indirizzati verso la
pratica della discussione prima in piccolo e poi in
grande gruppo. Attraverso questa modalità essi
hanno la possibilità di identificare e capire diversi
punti di vista e di affrontare e risolvere piccoli conflitti. Per fare questo essi devono mettere in atto
tutta una serie di modalità comunicative di livello.
Ad esempio dovranno provare a farsi capire e ad
esprimere meglio le proprie idee utilizzando codici
condivisibili da tutti. Potranno riconoscere di avere
delle idee personali, nate anche dalla comparazione
con quelle ascoltate dagli altri bambini, e di saperle
manifestare.
Io e il mondo attorno a me
Gli insegnanti potranno creare occasioni di esperienza diretta per agevolare il superamento del sincretismo tipico dell’età infantile. Queste possono
aiutare infatti i bambini ad analizzare la realtà che
li circonda in modo via via sempre più complesso.
Inoltre i piccoli saranno stimolati a raccontare di sé,
del loro vissuto anche quello più immediato. È importante che i bambini sappiano raccontarsi, anche
sollecitati dall’adulto e riescano ad esplicitare le emozioni provate ad esempio in una domenica di sole a
spasso con i genitori o in occasione particolare...
L’insegnante può favorire lo sviluppo linguistico attraverso la conversazione regolata. Egli ricopre un
38
ruolo di stimolo e di proposta focalizzando l’attenzione sugli aspetti di cui il bambino parla chiarendone, se necessario, i significati e riformulando frasi
incomplete o involute. È significativo ricordare che
H. Gardner inserì nelle sue “sette intelligenze” che
rappresentano i sette modi per conoscere il mondo,
quella linguistica.
Parlare per capirsi e per giocare
All’interno della giornata scolastica si possono creare moltissime occasioni formali e informali in cui
l’insegnante e i bambini parlano tra loro e in tutte
lo scambio linguistico può essere produttivo e motivato. Lo scambio verbale tra pari, oltre che nei
momenti strutturati della giornata educativa avviene
soprattutto durante il gioco simbolico, dove i bambini si calano completamente anche in personaggi
diversi da loro. È importante quindi prevedere spazi
ludici in sezione che agevolino l’approccio, anche dei
più piccoli, al gioco simbolico.
Leggere e scrivere
L’approccio alla lettura e alla scrittura sarà vissuto
non come alfabetizzazione vera e propria ma come
lavoro di ricerca. Perché ciò possa operativamente
concretizzarsi, occorrerà che gli insegnanti seguano
i ritmi individuali di ognuno e si adoperino per attrezzare e disporre l’ambiente creando situazioni
che stimolino curiosità verso la lettura e la scrittura
e organizzando esperienze significative.
Le favole comunicano…
L’utilizzo della fiaba, in tutte le sue funzioni, rappresenta un porto sicuro da cui i bambini possono
partire e arrivare passando attraverso le più svariate
esperienze comunicative, affettive, emotive… come
spiega meglio di chiunque altro B. Bettelheim: “Dato
che la vita è spesso sconcertante per lui, il bambino
ha un bisogno ancora maggiore di poter acquisire
la possibilità di comprendere se stesso in questo
complesso mondo con cui deve imparare a venire ai
patti. Per poterne essere capace, deve essere aiutato
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
I discorsi e le parole
a trarre un senso coerente dal tumulto dei suoi sentimenti. Egli ha bisogno d’idee sul modo di dare ordine
alla sua casa interiore, per poter creare su tale base
l’ordine nella sua vita. Ha bisogno – ed è superfluo
sottolinearlo in questo momento della nostra storia
– di un’educazione morale che sottilmente, e soltanto
per induzione, gli indichi i vantaggi del comportamento morale, non mediante concetti etici astratti
ma mediante quanto gli appare tangibilmente giusto e quindi di significato riconoscibile. Il bambino
trova questo tipo di significato attraverso le fiabe. …
Schiller scrisse: “c’è un significato più profondo nelle
fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che
nella verità qual è insegnata dalla vita”.
per approfondire
B. Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano, 2003 p. 11.
H. Gardner, Educare al comprendere, Feltrinelli,
Milano 1993.
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
Obiettivi
Ottobre
Io mi racconto…
Un percorso autobiografico, capace di abbracciare tutte e tre le età della scuola dell’infanzia.
L’obiettivo è di riuscire ad indirizzare il bambino verso la capacità di raccontare la propria vita
così da poterla vivere consapevolmente e non da spettatore.
Novembre
Tanti paesi,
una sola bandiera.
Uno stato in tanti stati, è la classe dove vivono la propria giornata i bambini di culture diverse,
ma che appartengono ad una stessa sezione. Un lavoro sull’intercultura dove la curiosità verso
un atlante geografico e le storie di ogni bambino fanno nascere attività differenti a partire dall’osservazione, la comunicazione, i diversi Stati, le differenze per giungere infine a tutti quei bellissimi
colori e a quelle forme che contraddistinguono le diverse bandiere e che potranno conducono
giocosamente i bambini verso il pregrafismo… e all’invenzione di un’unica bandiera, quella della
loro classe!
Dicembre
Parole e libri
sul Natale.
Ogni evento speciale della vita viene vissuto dai bambini con particolare emozione: il Natale rappresenta un momento singolare per ognuno e anche la vita scolastica in quel periodo è avvolta
da un clima magico. Le parole dei bambini possono diventare uno dei regali più belli! Così come
la costruzione di un albero davvero particolare e… tutto da leggere!
Gennaio
Gioco con le
parole…
Cosa ti viene in mente se ti dico la parola…?
Anche una sola parola può innescare nel bambino un processo di conoscenza che parta da lui
e dal suo piccolo mondo. L’utilizzo del “Frame” da parte degli insegnanti può rivelarsi spesso
utile e divertente. Il bambino impara a raccontare le sue esperienze attraverso “script” di varie
sequenze e può infine raggiungere l’obiettivo, da solo o in gruppo, di creare un racconto con caratteristiche precise: è il “racconto ben formato”.
Febbraio
Carnevale da
inventare!
I bambini, attraverso il Carnevale, scoprono l’origine di alcune maschere tipiche italiane. Successivamente ognuno di loro inventa la “sua” maschera progettandola e costruendola con carta e
materiale di recupero. Dai personaggi delle maschere nasce una storia e dalla storia una festa
con tanto d’invito ai compagni delle altre classi scritto dai bambini.
Marzo
Storie per
tutte le stagioni.
Il tempo che passa è scandito dalle stagioni che, come una giostra, girano e tornano immancabilmente ogni anno. Attraverso le storie delle stagioni, i bambini possono consolidare le loro conoscenze in materia e dare vita ad una serie di attività espressive e grafiche che li aiuteranno ad
acquisire un sistema di sequenza logica da applicare anche a tanti altri eventi della loro vita.
Aprile
Vorrei leggere
come te…
Attività e contesti per accompagnare i bambini nel magico mondo della lettura… passando dalla
pre-lettura.
Maggio
Comunicare
diversamente.
La “Comunicazione Aumentativa Alternativa” è una pratica molto utile per i bambini diversamente
abili (e non) con difficoltà comunicative, ma ancora poco in uso perché generalmente sconosciuta. In questo contributo verrà illustrato un percorso semplice, ma molto efficace ed alcune
idee per utilizzare al meglio questa risorsa.
Giugno
Storia di una
collana di
perle.
I bambini, attraverso la storia di una lunga collana di perle che si srotola magicamente, potranno
essere i protagonisti di un divertente percorso di pre-scrittura da portare fieramente nello zaino
quando affronteranno il primo giorno di scuola Primaria.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
UdA
39
Eleonora Belli, Chiara Sacchi*
Quando le domande si
fanno esperienza
3HJVUVZJLUaHUVUu\UHZ[Y\[[\YH]LY[PJHSLJVTL\U
NYH[[HJPLSVTHuMVYTH[HKH\UYL[PJVSVKPYLSHaPVUPJVU
[PU\HTLU[LTVKPMPJHIPSP
Didattica ed esperienze
)4\UHYP]LKP9LZ[LSSP
Non si finisce mai di imparare
I processi di apprendimento sono sempre associati a domande di grande impatto e la ricerca
della risposta spesso avviene lungo il percorso
dell’intera vita. Chi sono io? Cosa accade intorno
a me? Intorno a noi? Le risposte di ciascuno
di noi sono l’interpretazione delle nostre esperienze individuali. Ogni singolo individuo costruisce una immagine del mondo personale e
questa rappresentazione della realtà vale anche
per la costruzione dell’idea di numeri, quantità
e simboli.
I bambini sviluppano queste idee a partire dai
primi anni di vita e sono naturalmente attratti
dalle strutture di ordinamento matematiche presenti nella realtà quotidiana che intervengono
in ambito spaziale e temporale. La matematica
descrive gli eventi della natura, le scienze sociali
ed economiche utilizzando modelli matematici,
facendone una rappresentazione. Si manifesta
nelle azioni concrete del misurare, confrontare,
ordinare ma gli oggetti matematici sono astratti
come anche il linguaggio che utilizza.
I contesti di apprendimento
matematico
Accogliere le domande fondamentali che i piccoli
ci pongono lasciandoci coinvolgere dalle loro interpretazioni, significa saper sostenere la curiosità intorno ad un argomento, la motivazione a
ricercare sempre il nuovo ed aprirsi al confronto.
Le strategie di acquisizione sono molteplici e
diverse, ciò che i bambini mettono in atto è in
gran parte legato a quello che gli adulti educatori
permettono loro di fare e alla considerazione
delle loro potenzialità.
I contesti didattici dati dalla fisicità e dalla concretezza della sezione riflettono la professionalità
docente. È esperienza consolidata nella didattica
porre cura all’ambiente fisico d’apprendimento
in cui tutto, materiali, spazi, tempi promuovono
una continua interazione sensoriale attraverso
la quale ogni bambino inizia a costruire le sue
conoscenze. C’è anche un ambiente sociale, fatto
di incontro e dialogo tra pari e adulti, indispensabile per la costruzione di significati personali
e condivisi.
Le routine quotidiane, i giochi e i percorsi didattici concorrono alla strutturazione di abilità
e conoscenze in contesti ludici e del fare che
assicurano il piacere esplorativo della matematica ricercando la precisione e la concisione del
linguaggio specifico.
Le esperienze che avvengono a scuola devono
creare competenze spendibili attraverso il dialogo e la condivisione nella realtà quotidiana non
solo scolastica ma anche esterna.
Non dobbiamo dimenticare che molti dei saperi
dei bambini emergono in momenti non scolastici e non coincidono con l’insegnamento degli
adulti. Le situazioni naturali di apprendimento
sono complesse e trasversali a tutte le discipline
e attivano competenze di tipo individuale, sociale
e metacognitivo.
In queste dinamiche l’insegnante non è solo organizzatore di esperienze e facilitatore di comunicazione e processi, ma diventa soggetto che si
pone in ascolto riconoscendo ciò che è intuizione
da sostenere o difficoltà da superere con un’ulteriore domanda, è flessibile perché è capace di
Eleonora Belli, Chiara Sacchi
* Docenti di scuola dell’Infanzia
40
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
modificare il proprio comportamento e le proposte successive.
“Quando l’insegnante si pone dal punto di vista
dell’apprendimento la sua prospettiva cambia. Gli
appare con maggiore evidenza come il compito
consista nella facilitazione dei processi di personale conquista dei significati da parte degli alunni,
piuttosto che nello sforzo di far loro acquisire, memorizzare, ripetere informazioni e concetti forniti
già ben confezionati… Il principale criterio si può
esprimere in un modo apparentemente paradossale: insegnare il meno possibile, far scoprire il più
possibile”.
Con queste parole di Italo Fiorin possiamo descrivere una didattica della matematica basata
sull’esplorazione, sulla problematizzazione, sulla
socializzazione dei significati che promuove la
capacità di:
s UTILIZZAREUNLINGUAGGIOSPECIlCOEPERTINENTE
s RAGIONAREFAVORENDOCONNESSIONIESPLORAZIONE
EVERIlCADIINTUIZIONIESCOPERTE
s CREARECONSAPEVOLICHEILFAREDIVENTAILCANALE
stesso di apprendimento e ogni oggetto proDOTTOÒCARICODISIGNIlCATI
s ACCOGLIERE IL CONFRONTO CON I PARI E LADULTO I
diversi punti di vista e approcci differenti alla
RICERCA LA COOPERAZIONE NELLAPPRENDIMENTO
trova sostegno nella condivisione, nella distribuzione dei compiti, nell’esercizio paziente di
attesa dell’altro, nell’aiuto reciproco.
Le competenze non sono intese come punti di arrivo, ma come nuclei orientativi che oltre a guardare al futuro mettono l’alunno in condizione di
agire già nel presente nel modo più consapevole
ed autonomo possibile in relazione al suo sviluppo ed età. Il curricolo progressivo e continuo
accoglie, promuove ed arricchisce l’esperienza
dei bambini, consapevole ed oggettiva attivata attraverso numerosi mediatori quali oggetti, gesti,
immagini e parole.
Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo si
legge: “Acquisire competenze significa giocare,
muoversi, manipolare, curiosare, domandare, imparare a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione, l’osservazione e il confronto tra proprietà,
quantità, caratteristiche, fatti; significa ascoltare
e comprendere narrazioni e discorsi, raccontare e
rievocare azioni ed esperienze e tradurle in tracce
personali e condivise, essere in grado di descrivere,
rappresentare e immaginare, “ripetere” con simulazioni e giochi di ruolo, situazioni ed eventi con
linguaggi diversi”.
Una scuola che vuole promuovere contesti d’apprendimento non avrà come attenzione primaria
la preoccupazione di avere un prodotto finito
al termine di ogni giornata, ma lo stimolare il
protagonismo del bambino nella costruzione del
suo sapere.
Dare attenzione a come si procede significa osservare oggettivamente la realtà, riflettere e avere
cura delle cose che si fanno e delle persone che
ci sono accanto. La dimensione affettiva e quella
cognitiva sono interdipendenti.
Oggetti inusuali non saranno preclusi alla ricerca
e risolvere problemi apparentemente per grandi
sarà una sfida avvincente. Alcune domande troveranno risposte comprensibili perché sperimentate attraverso giochi, libri, esercizi. Altri spunti
di ricerca potranno nascere da una considerazione uscita durante una conversazione, dalla
rilevazione di un atteggiamento provocato da un
evento che fa decidere di avviare l’indagine perché tutto ciò stuzzica la nostra voglia di sapere,
o ci appassiona.
È importante passare molto tempo a fare confronti ed osservazioni per aumentare la padronanza visiva, utile nella comprensione soprat-
Sequenze ordinate.
Ritmo di colori e di forme.
Competenze mosse dalla realtà
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
La conoscenza del mondo
41
Didattica ed esperienze
La conoscenza del mondo
Confronto di quantità.
tutto della geometria, ed è necessario favorire
l’apprendimento metacognitivo fin dalla scuola
dell’infanzia, guidare al senso del linguaggio e
alla logica del ragionamento comunicativo per
dare organizzazione ai modelli mentali spontanei
che si formano mentre si apprende.
Organizzare esperienze
significative
In un’ottica di co-costruzione la ricerca di senso
deve orientare ogni proposta educativa, ed ogni
esperienza ha diverse angolazioni di lettura e
diversi protagonisti. Il senso nasce dal rispetto
di ciascuno, dal riconoscimento dei più piccoli,
dall’ascolto dei bisogni e dei desideri, dalla consapevolezza di far parte di una comunità e dal
dialogo che questa comunità sa mettere in atto.
Spesso interessi e richieste non vengono esplicitate in modo evidente dai bambini, anche imparare a fare domande è un traguardo da perseguire
che ha che fare con lo sviluppo della consapevo-
42
lezza di sé, della percezione e delle abilità espressive e richiede tempi lunghi.
Il corpo e la mente interagiscono in un ciclo di
azione, scoperta, formalizzazione del sapere. Può
essere necessario raccogliere molti dati da parte
di chi osserva, prima di arrivare a porre un interrogativo che esprima in modo chiaro una curiosità. Le situazioni problematiche, così stimolanti
per avviare percorsi di apprendimento efficaci,
inizialmente sono confuse ed è difficile riuscire a
formulare un quesito preciso da cui cominciare:
spesso c’è bisogno di tastare la realtà circostante
facendo prove e tentativi che potrebbero portare
in altre direzioni e ad altre conoscenze, ma che
non per questo risultano inutili.
Pensando a questa nuova annata abbiamo scelto
di presentare alcune esperienze scaturite da situazioni in cui gli oggetti (libri, strumenti scientifici, giocattoli) o i bambini stessi nascondevano
qualche domanda che ha suscitato l’apprendimento e lo sviluppo di alcuni elementi della matematica. Eccole nella tav.1: sono da considerare
come spunti per individuare ulteriori quesiti e
nuovi percorsi.
per approfondire
P. Catellani, Pensare contesti per bambini che crescono, Editrice La Scuola, Brescia 2006.
I. Fiorin, La buona scuola, processi di riforma e
nuovi orientamenti didattici, Editrice la Scuola,
Brescia 2008.
R. Prott, C. Pressing (a cura di), Integrare le diversità. Un Curriculum per l’educazione dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo 2007.
B. Restelli, Giocare con tatto, Franco Angeli, Milano 2002, p. 17.
P. Ritscher, Slow school, Giunti, Firenze 2011
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
La conoscenza del mondo
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
Esperienze
Competenze
matematiche
Ottobre
Non si torna
indietro: dove si
passa?
Una storia e un gioco per immedesimarsi in principi,
principesse, cavalieri, mostri marini. Situazioni in cui
è stimolata la capacità di pensare e mettere in relazione elementi per superare difficoltà.
Novembre
C’è tutto?
Una grande nevicata pone rivalità tra 2 paesi che
t3BQQSFTFOUBSFTVMMBCBTFEJJOEJDB
cercano di sopraffarsi creando immensi pupazzi di
zioni verbali.
neve. Un evento straordinario trasformerà i 2 pupazzi t0TTFSWBSFFSJDPSEBSFJQBSUJDPMBSJEJ
in un solo pupazzo in cui nessun elemento verrà
immagini.
perso. Ma come sarà il nuovo pupazzo di neve?
t$POGSPOUBSFFTPNNBSFFMFNFOUJ
Dicembre
Chi vince?
Costruiamo le carte dei supereroi
Gennaio
Come è fatto un Una piccola biblioteca
libro?
di libri autoprodotti curiosi e diversi tutti da “ leggere”. Maneggiando i fogli di carta impariamo ad
orientarci tra i riferimenti spaziali per collocare le nostre rappresentazioni.
t0SJFOUBSTJJOVOPTQB[JPHSBmDP
t%JTUJOHVFSFFDPMMPDBSFFMFNFOUJ
compositivi
Febbraio
Come liberare il
Grande Puffo?
Gargamella ha rapito il Grande Puffo e ha reso impraticabile le strade per raggiungere il luogo in cui è
rinchiuso.
3JDPTUSVFOEPTFRVFO[FPSEJOBUFJCBNCJOJQPUSBOOP
riuscire nell’impresa.
t$PTUSVJSFTFRVFO[FPSEJOBUFBMUFS
nando colori, oggetti, numeri.
t*OEJWJEVBSFHMJFMFNFOUJNBODBOUJEJ
sequenze ordinate.
Marzo
Cosa vedi nella
lente?
Una grande lente d’ingrandimento dà la possibilità di
trasformare alcune parti del corpo. Un microscopio
offre la possibilità di vedere particolari che ad occhio
nudo sfuggono. Questi oggetti attirano la curiosità
dei bambini e aiutano a riflettere e operare con le
dimensioni.
t3BQQSFTFOUBSFHSBOEF[[F
t*OHSBOEJSFFSJNQJDDJPMJSFGPSNF
Aprile
Come si fa un
disegno che sta
in piedi?
Qualche piega e pochi tagli in un foglio di carta e ci
avviciniamo alla terza dimensione in modo semplice
e preciso. Che divertimento!
t3JDPOPTDFSFFEFOPNJOBSFBMDVOF
forme geometriche
t$PNQSFOEFSFDPOTFHOFWFSCBMJF
visive in successione
Maggio
Quanti siamo in
casa, a scuola?
Il numeri del corpo umano da scoprire e immaginare
t0QFSBSFSBHHSVQQBNFOUJ
t$POUBSFFSBQQSFTFOUBSFJOVNFSJ
Giugno
La bilancia è in
equilibrio?
La ricerca di porre in equilibrio se stessi e oggetti ha
dato l’occasione di conoscere uno strumento di misurazione come la bilancia a due bracci. Operazioni
di conteggio hanno creato le condizioni di equilibrio.
t$PHMJFSFMFDBSBUUFSJTUJDIFEFMMBCJMBO
cia
t"HHJVOHFSFFUPHMJFSFQFSDSFBSFQB
rità/uguaglianza
t3BQQSFTFOUBSFPQFSB[JPOJ
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
t$PHMJFSFMBSFMB[JPOFUSBFMFNFOUJ
spaziali.
t3JDPTUSVJSFVOBNCJFOUFEJHJPDP
sulla base di indicazioni verbali.
t1FOTBSFTUSBUFHJFQFSTVQFSBSFEJGm
coltà.
t1PSSFJOTVDDFTTJPOFB[JPOJ
Didattica ed esperienze
Domanda
esplorativa
t$POGSPOUBSFFSBQQSFTFOUBSFRVBO
tità
t3JTQFUUBSFMFUVSOB[JPOJEJHJPDP
43
Elena Ferrari*
Come immagini che
succeda?
elle Indicazioni nazionali, in particolare nel
campo di esperienza La conoscenza del mondo,
troviamo scritte queste parole: “i bambini esplorano
continuamente la realtà... la curiosità e le domande
sui fenomeni naturali, su se stessi e sugli organismi
viventi, possono cominciare a trovare risposte guardando sempre meglio i fatti del mondo... imparano
a fare domande, a dare e a chiedere spiegazioni... i
bambini elaborano la prima organizzazione fisica
del mondo esterno attraverso attività concrete...”.
La scuola dell’Infanzia può diventare un ambiente
di apprendimento ideale per il bambino di questa
età, poiché in essa si può far ricerca intorno ai fatti
e i fenomeni del mondo circostante, trasformandosi
in un laboratorio di vita, consentendo all’alunno di
passare dall’immaginazione alla formalizzazione
dell’esperienza.
Le finalità che si vogliono raggiungere quest’anno,
mediante un percorso didattico scientifico, riferito
all’ambito denominato nelle Indicazioni nazionali
come Oggetti, fenomeni, viventi, sono le seguenti:
far percepire al bambino l’ambiente animato ed
inanimato che lo circonda, con osservazioni ed
esperimenti e soprattutto favorire nell’alunno la
formulazione di ipotesi che nascano proprio dalla
sua capacità di immaginare come succede un fenomeno.
In questo modo si aiuteranno i bambini a trovare
le risposte ai loro perché e, operando come protagonisti del loro sapere, le scoperte che faranno, li
porteranno a porsi altre domande.
Secondo la teoria delle intelligenze di Gardner, il
quale propone un superamento della concezione
unitaria di intelletto, l’abilità di percepire con precisione il mondo visivo, di manipolarlo, di cambiarlo,
a livello di immagini mentali, riuscendo a creare
elementi visivi anche senza input concreti cui riferirsi, è tipico dell’intelligenza spaziale.
Sarà importante, quindi, tenere in considerazione
il ruolo cruciale che ha questo tipo di intelligenza
nell’approccio alla scienza in tutti i suoi aspetti.
Nel mondo accadono fenomeni che riguardano
tutte le discipline della scienza: botanica, zoologia,
Didattica ed esperienze
N
biologia, chimica, fisica e tecnologia. Il bambino
che osserva, fa incursioni in ognuna di esse.
Alcune possono apparire inusuali da trattare nella
scuola dell’Infanzia, tuttavia, i bambini di questa
fascia d’età, vogliono capire seriamente come funzionano tutte le cose, anche se non sono sempre in
GRADODICLASSIlCARECIÛCHEOSSERVANOPERQUESTO
hanno bisogno di adulti che siano così flessibili
nell’offerta formativa, da saperli aiutare a trovare
risposte loro accessibili e tener vivo in loro l’interesse alla scoperta.
A volte si predispongono delle attività didattiche
molto belle, ma spesso nascono più dagli interessi
dei docenti che dai messaggi lanciati dai bambini.
Un giorno mentre disegnavano i personaggi di una
storia letta, gli alunni stavano parlando del temporale: di come faceva paura, ma anche di come
apparivano di colpo i nuvoloni e dopo i lampi e i
fulmini o di quando si sentivano i tuoni. I disegni
furono fatti con impegno, ma con altrettanta passione i bambini si erano raccontati come avveniva
un temporale!
Occorre saper ascoltare i bambini con attenzione e
riuscire a concedere spazi e tempi, nella progettazione, ai loro interessi anche se ciò vuol dire mettere da parte i nostri.
Compito dei docenti è favorire, nel migliore dei
modi, la formazione di intelligenze capaci di risolvere problemi e trovare nuove soluzioni, pensando
agli alunni come cittadini di domani, in un’epoca
dove la rapidità dei mutamenti, richiede all’uomo la
capacità di cambiare continuamente le prestazioni.
Lo sviluppo del bambino è un lungo viaggio verso
ciò che è nuovo e l’incontro con il nuovo non lascia
mai indifferenti: si hanno risposte agli stimoli che
possono essere sia positive, come l’apertura e la curiosità, sia negative come la paura o la frustrazione.
L’insegnante quindi dovrà guidare i bambini nell’approccio a quello che sta loro attorno, che sta fuori,
aiutandoli ad affrontare la scoperta del mondo fisico e naturale, senza abbandonare nulla al caso:
per garantire ciò, gli interventi andranno progettati
secondo modalità corrette.
Elena Ferrari
* Docente di scuola primaria
44
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
La conoscenza del mondo
Prima di tutto occorrerà che le attività siano proposte in modo graduale, per lasciare il tempo alla
sedimentazione e per far stabilizzare l’esperienza
PRECEDENTEINOLTRESARÌIMPORTANTESAPERSOSTENERE
i bambini nel passaggio tra il noto e l’ignoto, rassiCURANDOLIEINCORAGGIANDOLIULTIMOMANONULTIMO
sarà necessario difendere gli alunni da situazioni
pericolose o dannose rispettando le norme sulla
sicurezza nella scuola, quando si prepareranno le
attività.
Argomenti delle esperienze
Modalità organizzative
L’acqua
Nella seconda esperienza si parlerà dell’acqua e
delle trasformazioni nei vari stati: solido, liquido
e gassoso. I giochi e gli esperimenti che verranno
trattati riguarderanno non solo il senso del tatto ma
anche il gusto perché i bambini potranno mangiare
ghiaccioli preparati da loro in precedenza.
Didattica ed esperienze
Con tali proposte didattiche (vedi tav.1), si vogliono
offrire agli alunni: spazi adeguati nella scuola da
adibire a laboratori operativi dove trovare oggetti
da manipolare e strumenti da conoscere nelle loro
FUNZIONITEMPIEOCCASIONIPERDARELAGIUSTASPINTA
a crescere e per favorire la conquista completa del
linguaggio, con l’arricchimento del lessico della diSCIPLINALUOGHIMENTALIDOVESIAPERMESSOADOGNI
bambino di tentare e sbagliare per imparare.
Ogni percorso dovrebbe partire da una conversazione dove la maestra, o dopo aver ascoltato discorsi precedenti degli alunni o per qualcosa successo in aula, pone corrette domande-stimolo del
tipo “come ti immagini avvenga quella cosa?” e
non del tipo usato più comunemente “cosa sai di
quel fatto?”. La prima domanda apre nuovi processi di apprendimento, perché il bambino cerca
DI DESCRIVERE CIÛ CHE SI IMMAGINA NELLA SUA TESTA
invece l’altro modo di domandare, porta l’alunno a
raccontare la sua esperienza passata o ciò che altri
gli hanno spiegato in merito, senza apportare nulla
di suo se non il suo sapere.
Il suono
Nella prima esperienza si parlerà del suono e la domanda-stimolo da cui si partirà sarà “Come immagini arrivi il suono alle tue orecchie?”. Naturalmente
gli alunni dovranno aver sperimentato negli spazi
adeguati il suonare gli strumentini Orff, i materiali
vari, il manipolare radioline, sveglie, campanelli,
l’ascolto di casse audio di varia grandezza.
Il cielo
L’esperienza che avrà come argomento il cielo è un
progetto che affascinerà gli alunni e li coinvolgerà
in storie di eroi mitologici, i cui nomi oggi vengono
utilizzati per denominare pianeti e costellazioni. Nel
periodo natalizio poi come si fa a non parlare di stelline e stelle comete senza domandarci nulla di esse?
Il cane
Gli animali costituiscono per il bambino fonte di
curiosità, interesse e, nel caso di quelli domestici,
un’esperienza affettiva di importanza notevole. Si
è voluto trattare l’argomento per dar la possibilità
agli alunni di portare i loro vissuti, per fare ricerche
utilizzando libri con foto ed avere una conoscenza
precisa, per approfondire alcuni aspetti della conoscenza di un tipo di animale domestico con indicazioni che venissero da esperti come veterinari o
allevatori.
Le erbe aromatiche e le fragole
Dopo l’inverno, alle prime avvisaglie di primavera,
la natura ci offre l’occasione di indagare sulle trasformazioni nel mondo vegetale attraverso la realizzazione delle varie sequenze della crescita delle
piantine sia di frutti come le fragole o di erbe aromatiche che potranno poi servire anche alla cuoca
della scuola. Si partirà dal piantare proprio i semi
nei vasetti per poi passare alla deposizione nella
terra del vaso delle piantine germogliate. Per poter
seguire la crescita dall’inizio occorre partire proprio
in quel periodo dell’anno. Fondamentale sarà la documentazione fotografica degli sviluppi e anche i
ragionamenti sulle previsioni e sulle probabilità di
nascita e raccolta dei prodotti.
Strumenti per indagare il mondo
Nell’aula sarebbe importante predisporre dei veri e
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
45
La conoscenza del mondo
Didattica ed esperienze
propri angoli con gli strumenti della scienza come
lenti d’ingrandimento di varie grandezze, magneti
e calamite, torce e lampade, meridiane, contenitori vari, bilancine di tipo diverso anche giocattolo,
metri, righelli, cannocchiali e così via. I bambini
devono poter provare ad usare gli oggetti in ogni
momento della giornata: nelle attività guidate dal
docente ma anche nei momenti di gioco libero. Naturalmente, occorrerà stabilire fin dall’inizio delle
regole precise da osservare per fare un uso corretto
e rispettoso delle cose e degli altri.
Tutto ciò è importante perché molte domande o
ipotesi possono nascere nei momenti più impensati
e non possiamo racchiuderle in tempi prestabiliti,
che possano avere un inizio e una fine.
Così, quando verranno trattati argomenti come
luce ed ombra, la misura delle cose o l’indagare in
profondità, i bambini avranno avuto la possibilità
concreta di fare esperienza di manipolazione, di
conoscenza dell’uso e del funzionamento di alcuni
oggetti. In tal modo usciranno più facilmente domande ed ipotesi e, di conseguenza, l’immaginazione dei fenomeni sarà maggiormente aiutata.
Luce e ombra
Giocare con la luce è sempre molto accattivante per
i bambini: in aula si potranno adoperare lampade
DATAVOLOETORCEABATTERIAINCORTILESIPIANTERANNO
bastoncini che diventeranno meridiane. Il vissuto
del buio messo in pieno contrasto con la luce, ci permetterà di parlare delle paure che suscita e l’ombra
diventerà una compagna di gioco.
Camminare per rispettare l’ambiente
Nella nostra epoca è di fondamentale importanza
educare alla salvaguardia dell’ambiente.
Per cui non deve mai mancare, in ogni percorso
didattico di scienze, un passaggio dedicato all’ecologia. E poiché la strategia metodologica più idonea
nella scuola dell’infanzia è il gioco, dovrà prevalere
l’aspetto ludico nelle attività e allora si è pensato di
promuovere la motricità, ma rivestendola di un significato vitale come il poter ridurre l’impronta ecologica dell’uomo nel mondo, imparando a camminare per utilizzare sempre meno i mezzi di trasporto
inquinanti. Si faranno file indiane per simulare le
passeggiate sui marciapiedi in città e per partecipare alle iniziative dei comuni.
Come si misurano le cose?
Le misurazioni sono prove che i bambini fanno abitualmente quando travasano sabbia e terra in cortile
o farine e zuccheri in cucina. Sarà divertente inventare sistemi di misurazione del peso non convenzionali con contenitori di varie dimensioni e bilance di
diversi modelli.
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
Obiettivo generale
46
Titolo
Attività
Ottobre
Individuare e conoscere le onde
sonore.
Il suono
Giochi con il corpo, suonare i metallofoni, utilizzo di
coperchi per fare rumori, ascoltare la radio, manipolare le sveglie, fare l’orchestra con gli strumentini
Orff
Novembre
Sperimentare le proprietà e le trasformazioni della materia.
L’acqua
Esperimenti con i liquidi, i solidi e vapori con bibite
e tè.
Dicembre
Conoscere il sistema planetario: il
sole, le stelle, i pianeti.
Il cielo
3BDDPOUJFMFHHFOEFMJCSJDPOGPUPDPTUSV[JPOFm
nale di una costellazione con lucine natalizie.
Gennaio
Distinguere le caratteristiche degli
animali e imparare la loro cura.
Il cane
Letture, libri fotografici e progetti con le associazioni
di salvaguardia degli animali.
Febbraio
Seguire le sequenze delle trasformazioni delle piante.
Le erbe aromatiche
e le fragole
Semina e cura delle piantine in serra, documentazione fotografica della crescita
Marzo
Conoscere le finalità d’uso degli
strumenti
Strumenti per indagare il mondo
Osservare con lenti, bicchieri, vasetti; giochi con
magneti.
Aprile
Individuare le caratteristiche dei
fenomeni
Luce e ombra
Giochi con la luce del sole, con lampade, torce,
specchietti; posizionamento delle meridiane nel
cortile.
Maggio
Conoscere e compiere azioni ecologiche.
Camminare per rispettare l’ambiente
Percorsi motori, giochi per la motricità delle varie
parti del corpo,
Giugno
Saper usare strumenti per misurare
e pesare.
Come si misurano
le cose?
Travasi con farine o alimenti, con misuratori di vario
tipo, con bilance.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Silvia Manzoni*
Il
sì di
Maria
Madre del Dio vivente
finalità sarà quindi quella di emancipare i linguaggi
del sapere che l’insegnante intende comunicare,
rendendoli fruibili nei valori e nei contenuti a bambini dai tre a sei anni. Bisogna partire dal fondamento di ciò che caratterizza profondamente la vita
di Gesù e, articolando i contenuti di questo evento,
tracciare attraverso attività di diverso tipo, la forma
narrativa. Il figlio di Dio è il figlio dell’uomo e la sua
nascita è inscindibile con la maternità di Maria, con
la sua vocazione. Una vocazione semplice nei gesti
ma profonda nel contenuto di amore e legata alla
sua obbedienza al disegno del Padre. Maria infatti
realizza se stessa nella libera consegna alla volontà
di comunione con il Figlio e il Padre.
Apriremo l’intero percorso con l’annunciazione
dell’angelo a Maria e la sua conseguente narrazione
ai bambini.
Didattica ed esperienze
annuncio della fede cristiana nella sua identità
cattolica, oggi si impone ancora di più nella
riflessione degli insegnanti e di coloro che vogliono
tracciare percorsi di metodo consapevoli verso un
approccio che caratterizzi la presenza dell’insegnante di religione cattolica nella scuola dell’Infanzia. Per questo bisogna mettere a tema l’oggetto
che qualifica la nostra tradizione, l’evento storico e
la persona che ha cambiato l’uomo, la sua storia e
la storia dell’umanità intera.
Questo tipo di percorso non solo ha il compito di
delineare il racconto nella sua specificità cristiana,
presentando Gesù Cristo, ma permette anche di comunicare la storia della salvezza in un quadro dove
la prospettiva si allontani da uno specifico intellettualistico per avvicinarsi di più alla dimensione
antropologica corrispondente all’uomo e a Dio. La
L’
Tav. 1 t6E" Il sì di Maria
Obiettivo di
apprendimento
generale
Obiettivi di
apprendimento
Attività
Valutazione
Materiali
Tempi
a. Acquisizione
dell’evento storico
narrativo:
“l’Annunciazione a
Maria.”
b. Comprendere
attraverso la gioia
di Maria che la nascita di una nuova
vita è un dono
inestimabile.
a.1 Descrivere
il racconto mediante strumenti
linguistici e
modalità rappresentative.
a.2 Decodificare e
interiorizzare il valore che comunica
l’episodio.
b.1 Comprendere
e descrivere le
emozioni di stupore, meraviglia,
gioia provate da
Maria in relazione
alle parole dell’angelo e alla gioia di
diventare mamma.
Incipit
- Narrazione
dell’episodio: “l’annunciazione a Maria”
- Conversazioni di
avvio percorso.
Svolgimento
3FBMJ[[B[JPOFEFHMJ
elementi che raffigurano la storia e del
contenitore che li contiene.
Conclusione
3FBMJ[[B[JPOFEJVO
libro per la classe, che
raffigurerà l’episodio
affrontato e attraverso foto, disegni e
le verbalizzazioni dei
bambini ripercorrerà
la loro primissima
infanzia, aiutandoli
a scoprirsi come un
dono per i loro genitori e per la vita.
- Conversazione
con l’insegnante
in cui si pongono
domande sui
contenuti della
narrazione.
- Domande stimolo in cui si
chiede ai bambini
di giustificare
le loro risposte,
ampliandone il
contenuto rispetto
ai valori assunti.
- Per il racconto:
un baule o una
scatola corredati
da elementi e
materiali di diverso tipo che
possono strutturare il racconto.
- Per il libro:
cartoncini di
diverse misure,
fotografie e immagini, disegni
di diverso tipo
che raffigurano
l’evento narrato
e lo richiamano
nei contenuti e
negli obiettivi.
- Il percorso
si può
strutturare
nell’arco di
un mese.
Silvia Manzoni
* Insegnante di scuola dell’Infanzia e cultrice di scienze religiose
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
47
Didattica ed esperienze
Religione cattolica
48
Fisionomia di un racconto
Il sì di Maria
Maria, questo era ed è il nome della mamma di Gesù.
La nostra storia inizia proprio con lei. Dovete sapere
che Maria era una giovane donna, sicuramente più
giovane delle vostre mamme. Indossava un abito
semplice, una lunga tunica e un mantello che le copriva il capo. In quel momento non sappiamo a cosa
pensasse o cosa stesse facendo, ma sicuramente ciò
che successe da lì a poco avrebbe cambiato la sua vita
e la vita di tutti gli uomini del mondo. Accadde infatti
un fatto meraviglioso, un evento straordinario. State
ad ascoltare bene e con attenzione, solo così potrete
far parte anche voi di questa storia. Siete pronti?
Perfetto, ora vi racconto cosa tanti anni fa accadde.
Accadde che un Angelo si presentò e apparve a Maria.
Stupefacente direte voi bambini. Già, sembra incredibile, ma è proprio così: a Maria apparve un Angelo
mandato da Dio Padre. Questo Angelo ha un nome,
si chiama Gabriele e si è presentato a Maria salutandola in questo modo: “Rallegrati piena di Grazia: il
Signore è con te” (Luca 1,28).
Maria ascoltando queste parole si emozionò e secondo me fu turbata a tal punto che le gambe le
tremarono, le mani divennero fredde, sudate e il respiro si fece agitato e veloce. Proprio come succede a
voi bambini quando vi trovate di fronte a un regalo
inaspettato e ne siete non solo sorpresi, ma anche
emozionati. L’Angelo però non smise di parlare a
Maria e continuò il suo messaggio dicendo: “Perché
hai trovato grazia presso Dio avrai un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà molto importante e verrà chiamato
Figlio di Dio”. Ascoltando quelle parole, Maria si
emozionò ancora di più, sentendosi grata a Dio che
la considerava piena di grazia e molto felice perché
sarebbe diventata mamma. Maria rispose con un “sì”,
un grande, gigantesco sì, e si rivolse all’angelo messaggero di Dio dicendo che avrebbe seguito la volontà
di Dio Padre e sarebbe diventata la mamma di Gesù.
L’Angelo a quel punto si allontanò da lei.
Il sì di Maria la pone, nella storia della salvezza,
in una prospettiva unica e singolare. Ci troviamo
di fronte a una semplice donna che nella sua inesperta giovinezza, realizza il suo destino di fronte
al disegno celeste che la supera e la sovrasta: ancella del Signore e madre del Dio Vivente. Il dialogo
con l’Angelo ha determinato il suo destino e prefigurato la sua esistenza, nella dignità di chi decide
di vivere accettando l’azione di Dio, indirizzando la
propria volontà ai desideri divini. La sua risposta
affermativa è segno di un grande amore verso Dio
e verso il bambino che deve nascere. Ci soffermeremo quindi, con i nostri bambini ad approfondire
il tema della gioia di una madre che aspetta il suo
bambino e dell’obbedienza data alla richiesta di
Dio Padre. Il sì di Maria rappresenta il richiamo
di infinito amore che ogni mamma pronuncia a se
stessa e alla vita quando desidera il proprio figlio.
Conseguentemente, per i nostri piccoli ascoltatori,
Maria dovrà essere l’icona di tutte le loro mamme,
che li hanno sognati e voluti nel desiderio di chi
ama profondamente, si sono offerte a loro, donandosi completamente a quest’amore filiale. La
maternità di una donna è tutto questo. Il nostro
compito a scuola sarà quello di metterlo a tema e,
riconoscendo il suo valore nell’immediatezza di un
linguaggio espressivo, condurre i bambini a sottolineare la bellezza e la grandezza della relazione tra
la madre e il proprio figlio. Questo legame non è
solo l’essenza della maternità, ma è ciò che unisce
gli uomini alla vita stessa, che ci rende appassionatamente vivi e pienamente umani, nel mistero del
dono di sé agli altri. Certezza questa che dovrebbe
rafforzarsi in ogni essere umano e in ogni bambino quando si sente oggetto e soggetto delle cure
materne. Indichiamo quindi ai bambini quali sono
state e quali sono le cure che la loro mamma ha
avuto e ha per loro.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Chiediamo invece ai più grandi di ricercarle per
condividerle con noi. Parlare ai bambini di quelle
che sono state le cure materne e invitare a farlo,
avendo come sfondo il sì di Maria, futura mamma,
non solo li aiuta ad appropriarsi del contenuto
della narrazione, ma li inserisce nella loro storia,
insegnando loro a rileggerla e a commentarla.
L’antropologia cristiana si nutre di questo: siamo
tutti frutto di una storia e più o meno consapevolmente ne facciamo parte, ne portiamo le conseguenze. Maria è la madre per eccellenza, contraddistinta da una maternità, da una parte corporale
e dall’altra, nella sua accezione divina, profondamente spirituale. In lei troviamo ciò che è proprio
di ogni madre, lievità, tenerezza, dedizione verso il
proprio bambino e nel legame che la unisce a Dio
viene manifestata una forza piena e potente che
non risiede in se stessa, ma nel desiderio espresso
accettando la propria maternità. Invitiamo i bambini e le loro famiglie a portare a scuola, se lo
desiderano, delle fotografie dove la loro mamma
si sta dedicando al proprio figlio. Raccogliamole,
commentiamole e aiutiamo i bambini a illustrarle,
raffigurale, dipingerle, disegnarle e ricopiandole
costruiremo insieme a loro un libro. Un libro di
classe e, se il tempo a disposizione lo consente,
se ne potrà realizzare uno per ogni bambino, da
restituire come dono a Natale.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Didattica ed esperienze
Religione cattolica
Ci possiamo anche indirizzare a riviste dedicate
alla prima infanzia per ritagliare immagini e fotografie che possono servire a comporre il nostro
libro. Il titolo lo deve scegliere l’insegnante, meglio
se insieme ai bambini, in riferimento sempre al
tema di partenza: “l’annunciazione a Maria” che
ovviamente non andrà mai perso di vista e sarà
riqualificato in sezione durante ogni incontro.
Il baule Parlante
Per aiutare i bambini a rimanere concentrati durante il racconto dell’insegnante, il consiglio è di
aiutarvi costruendo o comprando un piccolo baule
da cui, durante la storia “dell’annunciazione a Maria”, usciranno alcuni elementi che raffigurano
questo episodio. Un telo di stoffa, insieme a un’immagine della Madonna possono rappresentare
Maria, delle ali di piume azzurre, bianche, argentate, simboleggiano l’angelo, mentre dei mattoni
di creta (costruiti abilmente da voi) e della sabbia
mischiata alla farina gialla, che raffigura il deserto,
possono descrivere il territorio dove viveva Maria e
dove è nato Gesù. Questi ultimi particolari possono
arricchire la storia, ampliandola nella descrizione
dell’ambiente dove si svolge e, conseguentemente,
per i bambini risulterà ancora più interessante e
fruibile. Dal contenitore possono anche uscire car-
49
Religione cattolica
Tav. 2 tProgrammazione annuale delle attività educative
Didattica ed esperienze
Temi trattati
Argomenti di sviluppo
Ottobre
L’annunciazione a Giuseppe
I genitori di Gesù in Viaggio e il censimento di Betlemme.
Vangelo di Luca (2,1-6)
Novembre
La nascita di Gesù a Betlemme
L’annuncio degli angeli e la visita dei pastori. Vangelo di
Luca (2,8-20)
Dicembre
Il presepe a scuola
Costruzione di un plastico che rielabora le prime quattro
tappe del percorso
Gennaio
La visita dei magi
$IJFSBOPRVFTUJ3F 7BOHFMPEJ.BUUFP
Febbraio
Il battesimo di Gesù
Vangelo di Marco (1,9-11)
Marzo
Cosa raccontava Gesù? Il suo messaggio attraverso
alcuni dei suoi insegnamenti.
Vangelo di Marco:
Gesù e i bambini (9,33-37)
Chi è il più grande (10,35-45)
Vangelo di Luca:
Si possono amare anche i nemici (6,27-35)
Il buon samaritano (10,29-37)
La relazione con il padre (15,11-32)
Aprile
L’ultima Cena, morte e resurrezione di Cristo
Il saluto di Gesù agli amici più cari Vangelo di Luca (22,2720)
Maggio
“Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.”
L’amore fraterno che lega gli amici.
Vangelo di Giovanni (15,12-17)
Giugno
Nasce una nuova comunità: la comunità cristiana
I cristiani vivono in amicizia e condividono ogni cosa. Atti
degli apostoli (4,32-37)
toline e immagini di questi luoghi, i profumi, gli
odori che potrete descrivere insieme ai bambini
annotando le loro verbalizzazioni.
Durante la narrazione, ciò che non deve mai mancare è la capacità dell’insegnante di coinvolgere i
propri ascoltatori. Saper raccontare è fondamentale. La proposta per la conduzione della narrazione è questa: la voce narrante dell’insegnante,
capace di trasmettere emozioni e creare atmosfere
cariche di stupore, percorrerà il racconto e descrivendolo ai bambini presenterà, uno a uno gli elementi e gli oggetti che, usciti dal baule raffigurano
la storia.
per approfondire
A. Bello, Maria donna dei nostri giorni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.
B. Forte, Maria la donna icona del mistero, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2000.
G. Mari, Pedagogia cristiana come pedagogia
dell’essere, Editrice La Scuola, Brescia 2001.
50
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Haidi Segrada*
Incontriamo
una nuova lingua
attraverso le storie di ieri
*OPHWWYLUKL\UHSPUN\HKP]LU[HWS\YPSPUN\LLZ]PS\WWH
PU[LYJ\S[\YHSP[n3LJVTWL[LUaLSPUN\PZ[PJOLLJ\S[\YHSPKP
JPHZJ\UH SPUN\H ]LUNVUV TVKPMPJH[L KHSSH JVUVZJLUaH
KLSS»HS[YHLJVU[YPI\PZJVUVHSSHJVUZHWL]VSLaaHPU[LYJ\S
[\YHSLHSZHWLYLZZLYLLHSZHWLYMHYL¯
iparte un nuovo anno scolastico: una nuova
sfida, un nuovo viaggio da vivere ed assaporare
insieme.
La rubrica di lingua inglese, il nostro “English Lab”
si propone di sviluppare l’inserimento della L2 non
solo come approccio alla lingua straniera, bensì
come strumento in grado di veicolare altre aree
tematiche.
Ci si ripropone di utilizzare la tecnica del CLIL
(Content and Language Integrated Learning) come
approccio educativo a supporto della diversità linguistica, in grado di determinare un impatto forte
e creativo in ambito linguistico e comunicativo.
Innanzitutto, cerchiamo di capire cosa succede in
Italia proprio a proposito del CLIL.
Negli ultimi anni, il Ministero della Pubblica Istruzione si sta muovendo per promuovere non solo
l’inserimento della seconda lingua nella scuola ma,
soprattutto, per rendere il plurilinguismo il più
naturale e fruibile possibile agli studenti, partendo
proprio dalla scuola dell’Infanzia.
Non a caso, infatti, il protocollo numero MPIAOODRLO R:U. 10829 del 12.11.2007 segnala il seminario “Per un CLIL di qualità: esperienze e prospettive” indirizzato ai docenti di ogni ordine e grado.
Tale opportunità ha messo in evidenza l’importanza della L2 e del suo utilizzo nelle scuole, partendo dalla definizione di CLIL, ovvero: “Content
and Language Integrated Learning”, apprendimento
integrato di lingua e contenuti, riferito all’insegnamento di qualunque materia non linguistica per
mezzo di una lingua seconda o straniera (L2).
Sintetizzando, possiamo dire che il CLIL è:
1) un approccio educativo a supporto della diver-
R
Didattica ed esperienze
*V\UJPSVM,\YVWL
sità linguistica e pertanto a favore del plurilinguismo, uno strumento capace di determinare in
futuro un forte impatto sull’apprendimento delle
lingue.
2) Un approccio innovativo all’apprendimento, in
quanto costituisce un tentativo per superare i
limiti dei curricola scolastici tradizionali, favorendo l’integrazione curriculare e formando una
conoscenza “complessa” e “integrata” del sapere.
3) Uno strumento migliorativo perché sviluppa la
competenza nella seconda lingua, le conoscenze
e le abilità nelle aree non linguistiche.
Come possiamo constatare, le iniziative a favore
dell’integrazione e dello sviluppo della L2 sono diventate sempre più mirate e precise. L’iniziativa
sopra citata rappresenta solo una delle tante novità
in campo dell’inserimento della lingua straniera
e, come abbiamo ribadito, non possiamo ridurre
l’ingresso della L2 alla Scuola dell’Infanzia come
ad un approccio di conoscenza del vocabolario
straniero, del “come si dice questo? Cosa vuol dire
quello?...”. Proprio per questi motivi, è bene approfondire la tematica, citando il “Quadro comune di
riferimento per le lingue”.
Nel testo si evince chiaramente che: “il plurilinguismo non coincide con il multilinguismo… l’approccio plurilingue mette l’accento sull’integrazione:
cioè, man mano che l’esperienza linguistica di un
individuo si estende dal linguaggio domestico del
suo contesto culturale a quello più ampio della
società e poi alle lingue di altri popoli, queste lingue e queste culture non vengono classificate in
COMPARTIMENTIMENTALIRIGIDAMENTESEPARATIANZI
conoscenze ed esperienze linguistiche contribui-
Haidi Segrada
* Direttrice Dip. di scienze della formazione e dell’educazione, Fasum Academy, Lugano (CH)
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
51
English Lab
Experiences...
Obiettivi:
ʁ identità
ʁ autonomia
ʁ competenze
ʁ comunicazione
ʁ esplorazione
Story-telling
ʁ Pinocchio
ʁ The City Mouse
and the Country
Mouse
ʁ The tree little Pigs
“Snow White”
Cultura:
Canzoni
Filastrocche
Usi e costumi...
LABORATORIO L2
Story-telling
Didattica ed esperienze
Music, Drama, Total
Physical Response...
Attività creative
Progetti
Formazione
Informazione
Quali ambiti sono coinvolti?
scono a formare la competenza comunicativa, in
cui le lingue stabiliscono rapporti reciproci ed interagiscono…”.
Come possiamo notare, anche il “Quadro comune
europeo” di riferimento sottolinea quanto abbiamo
detto fino ad ora, cioè che la lingua diviene veicolo,
strumento privilegiato dell’atto comunicativo in
grado di favorire molto di più del semplice “sapere
l’inglese” o qualsiasi altra lingua. In altre parole,
significa che il livello rispetto a qualche anno fa è
profondamente cambiato: se prima l’inserimento
della L2 era diventato un nuovo approccio ludico
che tanto piaceva ai genitori, ora la prospettiva è
mutata; non si tratta di imparare delle parole in
L2, bensì di comunicare in una lingua differente da
quella madre per avvicinarsi in maniera concreta
alla multiculturalità e al plurilinguismo.
52
Coinvolgimento dei seguenti campi:
sCULTURALE
sMUSICALE
sMOTORIO
sTEATRALE
Si utilizzeranno diverse proposte di story-telling
della tradizione, ovvero: Pinocchio, The City Mouse
and the Country Mouse, Snow White e altre. Anche
se l’insegnante non dispone di alte competenze
linguistiche, sarà cura della rubrica fornire gli
strumenti e semplificare il tutto per rendere le
attività fruibili e, soprattutto chiare.
Ogni storia accompagna la progettazione: si parte
dallo story-telling per coinvolgere i campi sopra
citati.
Per comprendere al meglio quanto sopra citato, di
seguito approfondiremo degli elementi fondamentali per la rubrica in questione, ovvero:
sLASPETTOLEGATOALLACQUISIZIONEAPPRENDIMENTO
sGLIAPPROCCINATURALIMETODOLOGICI
sLIMPORTANZADELLEroutines;
sESEMPIPRATICISCHEMAOPERATIVOPERLAPROGET
tazione e l’unità operativa.
Acquisizione-apprendimento
La nota distinzione, fatta da Krashen, fra acquisizione e apprendimento è utile al nostro discorso
perché richiama la distinzione fra un processo
naturale e inconsapevole, fatto di conoscenze implicite e di un processo formale e consapevole,
fatto di conoscenze esplicite. L’acquisizione è
il processo attraverso cui si interiorizza la lingua materna, un processo naturale e inconscio.
L’apprendimento è il processo d’assunzione di
elementi linguistici che tipicamente avviene in
un’aula scolastica. È il processo tipicamente asn. 1 sSETTEMBREsANNO#)
English Lab
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
Argomenti di sviluppo
Ottobre/October
Story-telling: “Pinocchio”
Introdurre la pratica dello Story-telling e con essa acquisire gradualmente
capacità di ascolto, di cooperazione e produzione di nuovi messaggi.
Novembre/November
Play the game… English
is fun!
- Utilizzare il corpo come veicolo di scambio comunicativo;
- osservare ed esplorare
- ascoltare e drammatizzare…
Dicembre/December
A Christmas Tree
Introdurre il lessico relativo al Natale attraverso narrazioni, canzoni e filastrocche…
Gennaio/January
Story-telling: “Beauty and
the Beast”
Affinare l’ascolto e la produzione di messaggi, arricchendo lessico e vocabolario
Febbraio/February
Happy St. Valentine’s Day!
- Acquisire sicurezza e consapevolezza;
- riflettere sulla lingua e sperimentare la pluralità linguistica.
Marzo/March
Story-telling: “The City
Mouse and the Country
Mouse”
Sperimentare la nuova lingua attraverso l’ausilio di altre tecniche, non
solo verbali, quali: esperimenti, attività creative, ecc…
Aprile/April
It’s Easter Time!
Introdurre il lessico della Pasqua attraverso usi, costumi e narrazioni…
Maggio/May
Story-telling: “Snow White”
Preparare la festa di fine anno attraverso lo Story-telling
Giugno/June
It’s test time!
Verifiche e riflessioni di fine percorso…
sociato con la lingua straniera nella scuola. È un
processo conscio e formale.
Nella misura in cui la scuola materna mira a rendere i bambini consapevoli del mondo circostante
(e quindi anche del linguaggio verbale e dei linguaggi in generale), il bambino è coinvolto in
un processo consapevolizzante. Tuttavia, il modo
in cui apprende non è formale o esplicito. Apprende in maniera ‘naturale’ e induttiva attraverso esperienze concrete, coinvolgenti e guidate
che portano il bambino a scoprire e a notare,
a capire e ad imparare a fare. Il contatto con
la lingua straniera nella scuola materna, quindi,
sarà costituito da un processo naturale che può
portare anche a diversi gradi di consapevolezza:
Didattica ed esperienze
Temi trattati
il bambino diventa nel suo piccolo cosciente della
nuova lingua, nota cose sulla lingua e magari
ne parla anche con l’insegnante (solo in questo
modo le conoscenze sono rese esplicite), tenta di
usare la lingua e questo avviene attraverso le attività linguistiche naturali ludiche proposte. Della
nota distinzione sopra riportata, quindi, si mirerà
a promuovere piuttosto un’acquisizione che un
apprendimento in senso stretto. Non è a caso
che usiamo il termine ‘contatto’ con riferimento
alle lingue straniere per bambini della scuola materna.
Gli approcci naturali
Per essere chiari e sintetici, di seguito si enunciano le principali caratteristiche riguardanti gli
approcci naturali:
sLACENTRALITÌDELLINPUT
sRISPETTO PER I TEMPI DAPPRENDIMENTO DEL DI
scente: non si esige una precoce produzioneCOMPRENSIONEPRIMADELLAPRODUZIONE
sLORALEPRECEDELOSCRITTO
sNESSUNAENFASISULLACORRETTEZZA
sNECESSITÌDITRATTAREARGOMENTIDINTERESSEPERIL
DISCENTE
sUSAREIL@here and now
sFORNIRE OPPORTUNITÌ COMUNICATIVE PER UN USO
NATURALEDELLALINGUA
sNESSUN INSEGNAMENTO ESPLICITO DELLA GRAMMA
tica. I discenti imparano attraverso esperienze
con la lingua.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
53
English Lab
Didattica ed esperienze
Come impostare una unità operativa
N. unità: ......................
Tema: ......................
Obiettivo principale:
Cognitivo, linguistico, affettivo
Obiettivo linguistico:
Derivato e collegato con l’obiettivo principale e con il tema
Attività n. ......................
Seguono tutte le attività in un ordine sequenziata. Per ognuna si segnalano:
- sotto obiettivo cognitivo:
Quello specifico dell’attività in questione
- sotto obiettivi linguistici:
Quelli specifici dell’attività in questione
- input
I dati che fungono da punto di partenza per l’attività: un’immagine, qualcosa da ascoltare, ecc
- materiali
Quello che serve per svolgere l’attività
- setting e partecipanti
Dove può avere luogo l’attività e con quale raggruppamento di bambini
- descrizione dell’attività
Quello che debbono fare i bambini e possibili risultati attesi.
Routines
Le routines rivestono un ruolo fondamentale per il
nostro English Lab.
La vita di un bambino è costellata da situazioni che
hanno a che fare con routine a lui conosciute, familiari. Ciò significa che diverse situazioni si ripetono
ogni giorno, anche più volte al giorno, e che queste
situazioni hanno qualcosa di rituale anche dal punto
di vista linguistico. In queste situazioni l’adulto tende
a fornire lo stesso input al bambino usando le stesse
strutture e lo stesso lessico.
Bruner individua tipi di format linguistici costituTIVI DELLE INTERAZIONI AD ES requesting format (forMATDOVESICHIEDEQUALCOSAALBAMBINOindicating
format FORMAT DOVE SI INDICA E NOMINA QUALCOSA
greeting format (le formule per salutare), ecc. Nel momento in cui si svolge il format l’adulto tende ad usare
sempre le stesse formule linguistiche semplificando
così il compito di comprensione del bambino. Il bambino comincia ad anticipare la lingua associata alla
situazione, memorizza lui stesso le forme, comincia
ad usare le forme (i ruoli si scambiano) e successivamente può trasformarli in patterns, usandoli in altre
situazioni, per altri motivi e sostituendo, aggiungendo
Schema operativo per progettare
1.
2.
Identificare forme linguistiche collegate con l’obiettivo
suddetto. Queste, pur rappresentando un obiettivo da
raggiungere, sono in subordine all’obiettivo principale e
derivano la loro ragione d’essere da quest’ultimo.
3.
Identificare attività utili per il raggiungimento dell’obiettivo
4.
Identificare le forme linguistiche necessarie per svolgere
le attività.
5.
54
Identificare un obiettivo nella programmazione generale
della sezione, ecc.
Concatenare le attività in una sequenza che costituisce
un’unità di apprendimento.
o togliendo elementi al suo interno. Il concetto di
format, di situazioni routinizzate dove si propone al
bambino le stesse forme linguistiche è di grande utilità per chi opera nella scuola perché rappresenta una
modo per offrire input in lingua straniera con delle
caratteristiche che predispongono all’acquisizione.
per approfondire
P. Balboni, C.M. Coonan, F. Ricci Garotti, Le lingue straniere nella scuola dell’infanzia, Guerra,
Perugia 2001.
J.S. Bruner, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
Council of Europe, Quadro comune di riferimento per le lingue: apprendimento insegnamento valutazione, La Nuova Italia, Oxford 2002.
S.D. Krashen, Principi e pratica di acquisizione
della seconda lingua, Pergamon, Oxford 1982.
MIUR, Nuove Indicazioni per il curriculo, Roma
2012.
T. Taeschner, A developmental psycholinguistic
approach to second language teaching, Ablex Publishing Corporation, Norwood, New Jersey 1991.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Gaetano Oliva*
Teatro
ed educazione
È possibile approfondire le origini
dei laboratori teatrali sul sito.
L’intreccio con le teorie pedagogiche
È proprio qui, in questo spostamento dell’attenzione dallo spettacolo come fine ultimo alla centralità dell’attore come protagonista di un processo,
che si colloca l’incontro tra teatro ed educazione.
Il teatro si incontra con la pedagogia nel momento
in cui pone al centro l’uomo e gli dà voce, nel momento in cui recupera ogni singolo individuo con
la propria personalità e la propria espressività e
lo fa crescere attraverso un percorso individuale
che è però inserito in un disegno di gruppo. Tutto
questo avviene grazie anche allo sviluppo di strumenti come l’immaginazione, l’improvvisazione, la
creatività e l’espressione, tipici del lavoro teatrale:
questi strumenti diventano veicolo per la scoperta
e la gestione delle proprie emozioni, della propria
sensibilità e dei propri affetti, più in generale, per
l’intero mondo interiore dell’uomo che viene così
chiamato in causa e che può quindi scoprirsi, formarsi, accrescersi, prendersi cura di sé.
Questo modo di pensare e agire trova corrispondenza con i pensieri pedagogici di alcuni studiosi
quali ad esempio, John Dewey che, per primo nel
campo dell’educazione, pone in risalto l’importanza
del vivere l’esperienza, prima ancora dei contenuti
cognitivi dell’esperienza stessa: ci si educa all’interno del processo esperienziale che è inserito nel
tessuto sociale. Anche l’italiana Maria Montessori
presenta dei significativi punti d’incontro tra la sua
analisi pedagogica e le novità teatrali del Novecento, in particolare quando parla di un’educazione
della liberazione, attraverso la quale il fanciullo
deve essere restituito a se stesso, alla sua natura.
Il teatro è quel luogo protetto nel quale, in assenza
di giudizio, il soggetto può indagare se stesso, mettersi alla prova in relazione a sé e con gli altri, improvvisare nuovi scenari, giocare nuove personali
libertà mediando tra la sua intimità e la sua socialità per giungere a una nuova forma nel proprio
percorso di crescita umano. La formazione dell’attore-persona non è finalizzata alla trasformazione
dell’uomo in un “altro” rispetto a sé, ma ha come
obiettivo di valorizzare le sue qualità nel rispetto,
sempre, della sua personalità.
Si parla dunque di “educazione attiva” giacché
forma, nel soggetto, attitudini che gli permettono
Didattica ed esperienze
l teatro è un efficace mezzo d’educazione per il
fatto che fa appello all’individuo intero, alla sua
profonda umanità, alla sua coscienza dei valori, alla
sua più immediata e spontanea socialità. Innanzitutto, l’esperienza teatrale ha la capacità di coinvolgere l’intera personalità del soggetto dal punto di
vista psicofisico e di apertura alla relazione con gli
altri. Allo stesso tempo la rappresentazione teatrale
mette in gioco con grande intensità le qualità e le
risorse del vivere dell’uomo facendo ogni volta una
precisa scelta di valori. Tutte queste dimensioni
sono di diritto coinvolte in ogni processo educativo,
per questo uno strumento in grado di sollecitarle
tutte, in diversa misura, risulta essere una preziosa
risorsa per le progettualità educative.
Il teatro e l’educazione sono due realtà che possiedono finalità comuni: da un lato la pedagogia
pone al centro il soggetto permettendogli di esprimersi, dall’altro il teatro persegue lo stesso obiettivo, attraverso attività che stimolino lo sviluppo
della creatività e la comunicazione. La specificità
del teatro è pertanto tutta centrata sull’asse creativo
e comunicazionale all’interno del quale la prassi
della rappresentazione ha delle tecniche e una storia importanti, ciò segue le stesse finalità dell’azione
educativa diventandone un eccezionale alleato.
In questa prospettiva, appare già chiaro come sia
possibile parlare di “Educazione alla teatralità”
come vera e propria strategia educativa che non
vuole trasmettere un sapere, ma portare il soggetto
a formarsi attraverso l’esperienza e la scoperta. La
finalità dell’educazione teatrale è la conoscenza di
se stessi, delle proprie possibilità e limiti al fine di
esprimersi e comunicare.
I
Gaetano Oliva
* Attore, docente dell’Università Cattolica di Milano e Brescia
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
55
Educazione alla teatralità
di sapere come agire, adeguatamente, in situazioni
sociali sempre nuove. In altre parole si cerca di
salvaguardare, con modi e intenti differenti, la dignità della persona e la validità della società di cui
fa parte.
Il laboratorio come strumento
metodologico
Didattica ed esperienze
L’arte teatrale si fa strumento educativo nella forma
del laboratorio, il luogo di lavoro, di sperimentazione e di crescita. Il laboratorio teatrale ha una
forte valenza pedagogica e offre un importante contributo nel processo educativo, poiché, nel percorso
che ognuno compie su di sé, conduce a imparare
a “tirare fuori” ciò che “urla dentro”, conoscere e
controllare la propria energia, a convivere con ciò
che in un primo momento si è represso o rimosso.
Il teatro, vissuto nella dimensione del laboratorio,
permette di ampliare il campo di esperienza e di
sperimentare situazioni di vita qualitativamente
diverse da quelle abituali, che possono contribuire
alla ridefinizione di sé, del mondo, degli altri. Fare
teatro, in questo senso, significa rivedersi nel proprio passato: rivisitare comportamenti o situazioni,
non per rimuoverli, ma per prendere coscienza di
essere cresciuti e riconoscere le proprie positività.
Il laboratorio teatrale si muove lungo tre dimensioni strumentali:
1. l’azione fisica: coinvolge nella sua interezza il
CORPO E LA VOCE DELLATTOREPERSONA I GESTI LA
forma, il movimento esprimono o nascondono
delle risonanze interiori. La voce e le parole sono
all’interno di questa corporalità che conferma,
chiarisce, sottolinea o smentisce la verità delle
POSIZIONIDELCORPOALLOSTESSOTEMPOVIÒANCHE
la relazione inversa: è il corpo che dà forza o inDEBOLISCELAVERITÌDELLEPAROLE
2. la creatività. Per definizione il laboratorio teatrale è il luogo in cui l’attore-persona può e deve
dare libero sfogo alla propria immaginazione che
non è sempre possibile nella vita quotidiana, infatti, in tale spazio la persona sviluppa la propria
energia che si condensa in nuove creazioni che
APRONOORIZZONTIINEDITIALLESUECONOSCENZE
3. la dimensione sociale: il corpo è sempre in relazione con ciò che lo circonda: altri corpi, oggetti,
AMBIENTI E QUANTALTRO COSÖ LESPERIENZA DELLAT
tore-persona si modula nel confronto, più o meno
conflittuale, con la sfera del vivere insieme.
Questi strumenti “vissuti” nel laboratorio determinano alcune dinamiche rispetto alla vita quotidiana
che mettono in luce la valenza pedagogica ed educativa di tale esperienza.
La prima dinamica è quella della sospensione: nel
laboratorio l’esperienza quotidiana è temporaneamente sospesa e si crea una dimensione di vita
56
protetta dai condizionamenti e dai giudizi nei quali
normalmente la persona è immersa. Questa specificità è preziosa perché può consentire lo stabilirsi di
condizioni di fiducia che costituiscono l’ambiente
ottimale per ogni processo e per le relazioni educative. La dinamica della sospensione mette in grado
i soggetti coinvolti di esplorare se stessi, la situazione, le risorse personali e sociali da mettere in
campo. È questa possibilità che risulta altamente
formativa per gli attori in gioco.
La tappa dell’esplorazione è propedeutica a quella
che si può definire della “costruzione”. L’esito del
processo di un laboratorio può, infatti, portare il
singolo attore-persona o il gruppo intero a riconoscere una nuova forma di atteggiamento personale,
d’interiorità psichica o di comportamento sociale
che si è venuta costruendo proprio nel lavoro teatrale e che diventa ora patrimonio educativo consolidato. Questa novità esprime quella possibilità concreta di cambiamento che ogni processo educativo
deve far emergere e, passo dopo passo, condurre a
compimento.
Nella situazione didattica del laboratorio teatrale
si attivano delle forze particolari tra gli allievi, l’educatore e il gruppo nel suo insieme: le loro esistenze creative entrano in una relazione dinamica.
Il completamento del sé avviene mediante questo
confronto con l’altro, un’interazione che non può
avvenire senza dialogo e senza sperimentazione.
Il ruolo dell’educatore teatrale
Dirigere un lavoro di questo tipo per un insegnante
che svolge il ruolo di educatore teatrale significa
evidentemente procedere all’accumulo di immagini, suggerire analogie di comportamenti, stimolare riflessioni logiche e, talvolta, favorire intuizioni poetiche. Spesso occorre che egli partecipi
in prima persona al gioco dell’immaginazione per
smuovere qualche inibizione, per sciogliere qualche
riserbo, per fornire qualche esempio, per sentirsi e
mostrarsi coinvolto in prima persona con tutto il
proprio personale bagaglio fantastico nel processo
creativo. Il ruolo dell’adulto, in questo senso, è, per
molti aspetti, assimilabile a quello che in teatro è
affidato al regista, a colui cioè cui compete la responsabilità delle decisioni finali.
All’adulto, infatti, spettano diversi compiti: determinare la direzione di ricerca che il lavoro dovrà assumere, stabilire la successione e la consistenza delle
diverse fasi in cui si articola il processo creativo e
indicare le eventuali variazioni di programma.
Le prove di uno spettacolo si chiamano così proprio
perché in esse è insita la possibilità dell’errore, infatti, la loro funzione è quella di indagare, sempre,
in più direzioni, alla ricerca della soluzione che
risulti più soddisfacente e più congrua in rapporto
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Educazione alla teatralità
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
cogliere le caratteristiche e i problemi delle persone
CHESITROVADIFRONTEDEVESAPERACCOGLIEREINCON
dizionatamente ogni allievo ed avere la capacità di
riporre in ciascuno la sua fiducia.
Per quel che riguarda invece la conoscenza della
pedagogia teatrale, non è necessario che il conduttore di laboratorio sia un attore professionista,
però deve avere una buona competenza sia a livello
TEORICOCHEPRATICODELTEATRONONÒPOSSIBILEPEN
sare che il conduttore di un laboratorio teatrale
non abbia sperimentato personalmente il percorso
che va a proporre ad altri. È necessario, inoltre, che
egli possieda una buona conoscenza della storia
del teatro, così da saper favorire nei suoi allievi la
curiosità verso la cultura teatrale ed esserne vero
promotore.
Flessibilità, adattabilità ed elasticità sono prerogative che il conduttore deve necessariamente possedere in modo tale da poter adeguare le proprie
proposte educative all’ambiente e alle persone con
cui lavora. Per far in modo che le abilità creative
personali possono essere sviluppate dall’educazione
teatrale, occorre che siano offerti strumenti e contenuti adeguati: risulta quindi indispensabile la
costruzione di un progetto educativo teatrale con
obiettivi specifici e prefissati.
Didattica ed esperienze
all’economia complessiva della rappresentazione. È
importante procedere a fissare le improvvisazioni
libere che segneranno la prima fase del lavoro in
situazioni definitivamente concordate, idee comunemente accettate, battute precise, elementi di un
vero e proprio dialogo teatrale.
Inoltre, il conduttore del laboratorio ha il compito
di dirigere, contenere e indirizzare il gruppo verso
una piena accettazione dell’altro. Tale soggetto si
configura necessariamente come attore-educatore e
pertanto deve essere in grado di padroneggiare professionalmente competenze teatrali e pedagogiche.
Nella sua attività egli deve modulare i vissuti e l’espressività degli allievi in modo che la dimensione
corale del processo creativo permetta lo sviluppo
dell’individuo e quello del gruppo.
Nel laboratorio teatrale il conduttore deve essere
allo stesso tempo: un regista teatrale, un educatore
e un animatore. Solo l’intreccio sapiente di queste
tre competenze consente al singolo individuo e al
gruppo di vivere in maniera proficua il percorso
pedagogico all’interno dell’esperienza teatrale.
Comune a tutte e tre queste dimensioni sono l’impianto maieutico: il conduttore del laboratorio deve
avere fiducia nelle potenzialità dei soggetti e deve
saper costruire quelle condizioni che consentono
a ciascuno e al gruppo di lasciar affiorare i propri
elementi significativi, emozioni, immaginazioni,
ricordi, azioni, eventi. La sapienza del regista che,
a questo punto, è a tutti gli effetti anche un educatore, consiste proprio nel generare quella dimensione comunicativa e affettiva nella quale ogni partecipante si possa sentire libero di esprimersi. Il
maestro del laboratorio teatrale deve promuovere
MANONVINCOLAREGUIDAREMANONDIRIGERESUSCI
TAREMANONRIEMPIREDICONTENUTIDARESICUREZZA
ma non imporsi: questo difficile equilibrio necessita
di competenze sperimentate sul campo e di qualità
umane affinate da tempo in un continuo lavoro personale su di sé. Sotto il profilo più strettamente pedagogico, l’educatore alla teatralità deve essere una
persona matura che sappia mettersi in discussione,
che sia dotato di capacità comunicative e che possegga una flessibilità intellettiva che gli permetta di
adattarsi a tutte le situazioni, soprattutto poi che
sia motivato e abbia uno stile giocoso e positivo che
traspaia dal suo modo di lavorare. È importante che
sappia gestire la relazione, ponendo al centro il singolo individuo, senza trascurare la dimensione del
gruppo: deve essere un buon osservatore, così da
per approfondire
G. Oliva, Educazione alla teatralità e formazione,
LED, Milano 2005.
G. Oliva, Educazione alla teatralità: il gioco
drammatico, Editore xy.it, Arona 2010.
57
Milena Bartolomei*
Il cucchiaio e la forchetta
IN UNA CASETTA CON IL TETTO ROSSO E UN GIARDINO PIENO DI FIORI, ABITAVANO
UN PAPÀ, UNA MAMMA E UN BAMBINO PICCOLO. DURANTE IL GIORNO MENTRE IL PAPÀ
ERA IN UFFICIO, LA MAMMA FACEVA I LAVORI DI CASA CANTANDO E IL PICCINO SI DIVERTIVA
A ROVESCIARE TUTTI I SUOI GIOCATTOLI NELLA SUA CAMERETTA, PER SCEGLIERE CON
GRIDOLINI DI ENTUSIASMO, QUELLO CHE PREFERIVA.
QUANDO IL BAMBINO FACEVA LA NANNA, A VOLTE NEL SILENZIO SI SENTIVANO SUONI E
Didattica ed esperienze
FRUSCII STRANI PROVENIRE DALLA CUCINA, FORSE UN TOPOLINO CHE CURIOSAVA PER
TROVARE DEL FORMAGGIO?
MA TUTTO TORNAVA TRANQUILLO APPENA QUALCUNO ENTRAVA IN QUELLA STANZA.
QUEL RUMORE VENIVA DAL CASSETTO DOVE ERANO RIPOSTE LE POSATE: FORCHETTE,
CUCCHIAI E COLTELLI BISTICCIAVANO SPESSO PERCHÉ OGNUNO DI LORO, PENSAVA DI
ESSERE PIÙ UTILE DELL’ALTRO.
UN GIORNO VERSO L’ORA DI PRANZO, PRIMA CHE VENISSE APPARECCHIATA LA TAVOLA,
FRA UNA FORCHETTA E UN CUCCHIAIO SCOPPIÒ UNA LITE E IL COLTELLO SI MISE TRA DI
LORO, CERCANDO DI CALMARLI.
LA FORCHETTA CON VOCE GRAFFIANTE DISSE: “CARO CUCCHIAIO, IO SONO PIÙ BRAVA DI
TE A PRENDERE IL CIBO DAL PIATTO, INFILZO BEN BENE LA CARNE E LE VERDURE, SENZA
LASCIARLE CADERE. SONO ANCHE PIÙ BELLA, GUARDA LA MIA LINEA” – CONTINUÒ GIRANDO
SU SE STESSA – “SONO SOTTILE ED ELEGANTE, INVECE TU CON QUELLA PANCIA TONDA, SEI
GRASSO, È ORA CHE TI METTI A DIETA CICCIONE!”.
LA FORCHETTA DISSE ANCORA CON CATTIVERIA: “TU PUOI ANCHE RIMANERE DENTRO IL
CASSETTO QUANDO VIENE APPARECCHIATA LA TAVOLA E NESSUNO SE NE ACCORGERÀ!”.
IL CUCCHIAIO OFFESO E ARRABBIATO, RISPOSE CON STIZZA: “SE A CENA O A PRANZO
VIENE SERVITO IL BRODO, CHI RIESCE A RACCOGLIERLO DAL PIATTO E PORTARLO ALLA
BOCCA MEGLIO DI ME? NON CERTO TU CHE CON I TUOI DENTI LARGHI, LASCERESTI COLARE
TUTTO SUL MENTO E SUI VESTITI DI CHI STA MANGIANDO”.
POI AGGIUNSE IL CUCCHIAIO: “COME FAREBBERO LE MAMME A DARE LA PAPPA AI BAMBINI
E LE MEDICINE QUANDO SONO MALATI? HAI MAI VISTO QUALCUNO PRENDERE LO SCIROPPO
CON UNA FORCHETTA? IO NO E FRA POCO QUANDO COMINCERANNO A PRANZARE, IL
PAPÀ E LA MAMMA NON LASCERANNO CHE IL PICCOLINO TI PRENDA IN MANO, PERCHÉ
CON I TUOI DENTI APPUNTITI, SI PUÒ FERIRE. TU SEI PERICOLOSA!”.
Milena Bartolomei
*Insegnante di scuola dell’Infanzia
58
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Creatività
IL PIATTO CHE ERA UN TIPO TONDO, PACIOCCONE E ANDAVA D’ACCORDO CON TUTTI,
SOSPIRÒ: “QUANDO LA SMETTERANNO DI BISTICCIARE QUESTI DUE?”.
IL BICCHIERE PER METÀ PIENO DI VINO, ERA GIÀ UN PO’ UBRIACO E FRA UN SINGHIOZZO
E L’ALTRO CANTERELLÒ ALLEGRAMENTE “HIC! RAGAZZI NON ROVINIAMO QUESTO
MOMENTO COSÌ BELLO, HIC! DOPO QUANDO SPARECCHIERANNO, CI TOCCHERÀ TORNARE
AL BUIO DENTRO I CASSETTI O NEI MOBILI DELLA CUCINA, CHE TRISTEZZA!”.
IL TOVAGLIOLO CHE STAVA RIPIEGATO CON CURA VICINO AL PIATTO DISSE ANNOIATO: “UFFA
CHE BARBA SIETE PROPRIO TONTI, SE NON SERVISSIMO A NIENTE NON CI METTEREBBERO
IN TAVOLA OGNI GIORNO!”.
FINALMENTE IL CUCCHIAIO E LA FORCHETTA SMISERO DI BRONTOLARE E QUANDO TUTTI
Didattica ed esperienze
FURONO SEDUTI, LE POSATE ASPETTARONO CON ANSIA DI VEDERE QUALE DI LORO
SAREBBE STATA USATA.
IL PRIMO AD ESSERE SERVITO FU IL BAMBINO AFFAMATO E, QUANDO LA MAMMA MISE IL
PIATTO CON LA PAPPA SUL SEGGIOLONE DAVANTI A LUI, COMINCIÒ A MANGIARE CON LE
MANINE, IMPIASTRICCIANDOSI IL VISO E FACENDO BUFFE SMORFIE.
I GENITORI SI MISERO A RIDERE GUARDANDO CON AMORE IL LORO PICCOLINO E IL
CUCCHIAIO E LA FORCHETTA COMMOSSI, CAPIRONO CHE ERANO STATI VERAMENTE
SCIOCCHI A LITIGARE.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
59
Creatività
Attività da realizzare
Cucchiaio e forchetta, il re e la regina della tavola
Occorrente
s POSATEDILEGNO
s CARTACRESPACARTONCINO
colorato
s NETTAPIPECOLORATI
s OCCHIDIPLASTICA
s NASTROADESIVOTRASPARENTE
s COLLAFORBICI
Didattica ed esperienze
Usando la carta crespa vestiamo con fantasia le nostre posate, possono
essere fiori, animali ecc. Nel nostro caso sono il re e la regina della tavola e quindi costruiamo un vestito grazioso per la vanitosa forchetta,
con uno scovolino facciamo le braccia e incolliamo occhi, bocca e stelline sulla corona.
Al grasso cucchiaio mettiamo la corona, incolliamo i lineamenti, le
braccia e gli facciamo indossare un corsetto che mette in evidenza le
sue forme.
Orologio della pappa
Occorrente
s PIATTOPIANODICARTA
s CARTONCINOGRIGIOEROSSO
s OCCHIDIPLASTICAORITAGLIATIDA
carta
s FORBICICOLLAEUNFERMA
campione
Ritagliamo il cartoncino grigio sul quale avremo disegnato le sagome di
due forchette, due cucchiai e a scelta anche due coltelli.
Prendiamo un piatto piano, lo capovolgiamo e incolliamo, o graffettiamo sul bordo, le posate ritagliate in modo che spuntino solo le teste.
Al centro del piatto pratichiamo un foro dove inseriremo il ferma campione e due piccole posate posizionate più o meno sull’ora del pranzo,
che sostituiranno le lancette.
Aggiungiamo al nostro orologio anche una bocca sorridente e due
grandi occhi.
Il signor cucchiaio e la signora forchetta
Occorrente
s CARTONCINOBIANCO
s PENNARELLI
s FERMACAMPIONI
Disegniamo e ritagliamo su cartoncino robusto un cucchiaio e una forchetta, poi aggiungiamo mani e piedi che, con l’impiego dei ferma campioni, saranno mobili e questo permetterà ai bambini di usare le due posate come marionette per inventare e raccontare piccole storie.
Ognuno potrà personalizzare cucchiaio e forchetta aggiungendo occhi,
naso e bocca e decorandoli a piacere.
60
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Creatività
Tabellone menù
Occorrente
s UNFOGLIOGRANDEDICARTONCINO
colorato
s CARTACOLORATA
s PENNARELLICOLLAEFORBICI
Incolliamo al centro del foglio di cartoncino rigido colorato, un foglio di
carta colorata dove scriveremo ogni giorno il menù del pranzo.
Ai lati incolleremo le sagome di un cucchiaio e una forchetta e tutto intorno dopo averli colorati e ritagliati, i cibi che i bambini conoscono maggiormente e dei quali se c’è l’occasione, possiamo spiegare le proprietà.
Quali oggetti usiamo a tavola
s PASTASECCAOFOGLIDICARTATRA
sparente autoadesiva
Didattica ed esperienze
Occorrente
s UNFOGLIODICARTABIANCO
s PENNARELLI
Prepariamo il disegno di un bambino seduto ad una tavola apparecchiata.
Facciamo colorare a piacere la scheda oppure facciamo collage con carta
colorata, identificando tutti gli oggetti che normalmente vengono usati
durante i pasti e incolliamo dentro il piatto la pasta.
In alternativa possiamo ricoprire da entrambi i lati il foglio già colorato,
con carta trasparente autoadesiva e ricavarne una tovaglietta personale che
il bambino potrà portare a casa.
Tav. 1 tProgrammazione annuale delle attività educative
UdA
Obiettivi
Ottobre
“Di segno in segno!”
Tecniche: il segno/1
(Elena De Prezzo)
Sviluppare la conoscenza e favorire la sperimentazione di tecniche artistiche: il segno.
Novembre
Il gufo troppo saggio
(Milena Bartolomei)
Sperimentare l’utilizzo di tecniche e materiali diversi nelle attività grafiche, pittoriche e manipolative.
Dicembre
“Segni e altre storie”
Tecniche: il segno/2
(Elena De Prezzo)
Sviluppare la conoscenza e favorire la sperimentazione di tecniche artistiche: il segno
Gennaio
Il millepiedi Giovanni
(Milena Bartolomei)
Incentivare i bambini alla lettura, favorendo la capacità ed i tempi di attenzione e concentrazione, offrendo motivazione e coinvolgimento.
Febbraio
“In-forma”
Tecniche: le forme
(Elena De Prezzo)
Sviluppare la conoscenza e favorire la sperimentazione di tecniche artistiche: le forme.
Marzo
La palla
(Milena Bartolomei)
Fornire materiale utile per il successivo sviluppo di attività scolastiche interdisciplinari che
coinvolgano bambini ed insegnanti, a partire dall’esperienza fatta insieme (elaborazioni
grafiche, letture, racconti, drammatizzazioni, sperimentazioni sonoremusicali, ascolti, costruzione manuale di strumenti e oggetti, approfondimenti).
Aprile
“Colore e materia”
Tecniche: il colore
(Elena De Prezzo)
Sviluppare la conoscenza e favorire la sperimentazione di tecniche artistiche: il colore.
Maggio
Il lupo pizzaiolo
(Milena Bartolomei)
Acquisire la capacità di chiedere spiegazioni, riflettere, ipotizzare, discutere soluzioni. Trasmettere ai bambini i messaggi educativi delle fiabe creando un’atmosfera ludicoriflessiva.
Giugno
“Giochi d’impronte”
Tecniche: l’impronta
(Elena De Prezzo)
Sviluppare la conoscenza e favorire la sperimentazione di tecniche artistiche: l’impronta.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
61
Monica Oppici*
Impara come se dovessi
vivere per sempre
a rubrica “Imparare ad imparare” continua il
percorso avviato lo scorso anno mantenendo
lo sguardo sul come stimolare il bambino ad imparare ad imparare nelle diverse situazioni, ma
allargando la visione anche al come pensare, progettare, realizzare e valutare attività didattiche
per ottenere questo obiettivo centrale, imparando
quotidianamente dall’insegnare.
Di qui la scelta di utilizzare questo aforisma di
Gandhi come positiva e stimolante visione e missione del percorso annuale: “Impara come se dovessi vivere per sempre”.
Didattica ed esperienze
L
Pensare e ripensare per fare
ed imparare
Per i bambini è importante essere attivi non solo
nel fare, ma anche nel pensare e ripensare le
esperienze, ed in particolare le esperienze di apprendimento. I bambini infatti interiorizzano in
modo più profondo – per poi estendere – quanto
imparato quando viene data loro positiva responsabilità nell’apprendere ed occasioni e stimoli
per osservare, elaborare e rielaborare percezioni,
idee ed interpretazioni, fare scelte ed errori per
Tav. 1 Traguardi di competenza ed obiettivi di apprendimento
*EFOUJUËQBSUFDJQB[JPOFFDPPQFSB[JPOF
t 3FOEFSTJHSBEVBMNFOUFDPOTBQFWPMJEFJEJWFSTJUSBUUJ
costitutivi della propria identità e del proprio modo di
agire, pensare ed imparare.
t &TTFSFEJTQPOJCJMJBEJNQBSBSF
t .FUUFSTJBMMBQSPWBFEBWFSFmEVDJBJOTÏJOTJUVB[JPOJEJ
esplorazione e scoperta.
t *OTFSJSTJFEJOUFSBHJSFJOVOHSVQQPTQFSJNFOUBOEPSVPMJ
e situazioni diverse per imparare.
t "WFSFmEVDJBOFMHSVQQPDPOGSPOUBSTJQPTJUJWBNFOUFFE
imparare dai compagni.
"VUPOPNJBFSFTQPOTBCJMJUË
t 6UJMJ[[BSFTWJMVQQBSFFEBEFHVBSFMFQSPQSJFQPUFO[JBMJUË
comunicative e linguistiche, cognitive, motorie, sociali
ed affettive rispetto alle diverse situazioni in modo
efficace e flessibile.
t $PMMBCPSBSFOFMHSVQQPBUUJWBOEPGPSNFEJ
responsabilità personale e corresponsabilità all’interno
dei vincoli e delle possibilità create dall’interazione
sociale.
$PNVOJDB[JPOF
t "TDPMUBSFFWFSCBMJ[[BSFJEFFQSPDFEVSFTUSBUFHJFF
riflessioni sui possibili esiti delle nostre azioni.
t $PNVOJDBSFFTQFSJFO[FEJBQQSFOEJNFOUP
t $POEJWJEFSFFQBSUFDJQBSFBUUJWBNFOUFBTDBNCJTV
idee, procedure, strategie ed esiti possibili e reali delle
nostre azioni.
&TQMPSB[JPOFFSJTPMV[JPOFEJQSPCMFNJ
t 4WJMVQQBSFNPEBMJUËQFSTPOBMJFDSFBUJWFEJDPORVJTUBEJ
conoscenze, abilità e competenze.
t .PEJmDBSFTUSBUFHJFFQJBOJEJB[JPOFTVMMBCBTFEJ
osservazioni e riflessioni.
t 0TTFSWBSFFDPOTJEFSBSFEJWFSTJQVOUJEJWJTUB
nell’osservare, elaborare, rielaborare una situazione e
risolvere un problema.
$POTBQFWPMF[[B
t 3JDPOPTDFSFMPTDPQPEJBMDVOFBUUJWJUË
t 3JQSFOEFSFFEVUJMJ[[BSFJOBMUSJDPOUFTUJRVBOUP
precedentemente imparato rispetto allo scopo.
t $POTJEFSBSFWJODPMJFSJTPSTFBWBOUBHHJPEFMMBUUJWJUË
t "UUJWBSFTUSBUFHJFQFSJNQBSBSF
t 3FOEFSTJQSPHSFTTJWBNFOUFDPOTBQFWPMJEFMMF
possibilità di modificare, rielaborare ed integrare quanto
precedentemente appreso.
t 4WJMVQQBSFHSBEVBMNFOUFDBQBDJUËEJBVUPSFHPMB[JPOFF
di verifica dell’esito della propria attività.
t *NQBSBSFEBMMFSSPSF
Monica Oppici
*Docente e formatore
62
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Imparare ad imparare
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
nostro sguardo in modo da curare anche questo
aspetto nella quotidianità e nei percorsi di apprendimento:
sCRESCERE E CONDURRE ESPERIENZE CON GLI ALTRI
come sostenuto dalla prospettiva socio-costruttivista, facilita lo sviluppo di processi mentali
e le possibilità di imparare perché agisce positivamente sulla zona di sviluppo prossimale,
avvicinando lo spazio tra lo sviluppo potenziale
EQUELLOEFFETTIVODELBAMBINO
sPRESTAREATTENZIONENONSOLOALCOSAMAANCHE
al come e perché del fare motiva e stimola in
concreto la ricerca di strategie di azione e la
loro valutazione rispetto allo scopo ed ai risultati. Questo vale sia per l’apprendimento che
PERLINSEGNAMENTOVEDIMETADIDATTICA
sUTILIZZARE UN LINGUAGGIO RICCO CON RIFERIMENTI
a stati mentali come desideri, pensieri, sentimenti, idee, ipotesi fornisce al bambino un contesto per l’interiorizzazione di abilità cognitive,
sviluppa le basi concettuali e procedurali a livello metacognitivo e costituisce un predittore
delle future competenze di rielaborazione mentale delle esperienze. Se questo accompagnamento purtroppo non avviene in famiglia (per
diverse ragioni), sarà ancor più importante che
a scuola il bambino trovi stimoli ricorrenti in
QUESTOSENSO
sFORNIREUNSUPPORTOEDINCORAGGIAMENTOATTENTO
ma indiretto – con domande più che indicazioni
dirette – per guidare, elaborare e rielaborare il
Didattica ed esperienze
poi utilizzarli per migliorare i percorsi successivi.
Questa capacità di apprendere ad apprendere deriva ed alimenta nello stesso tempo le abilità di
pensiero così come la consapevolezza del pensiero degli altri collegata alla Teoria della Mente
(ToM), ovvero la capacità del bambino di attribuire stati mentali a sé ed agli altri e di dare senso e
prevedere, sulla base di questi, il comportamento
proprio ed altrui.
Il bambino di 3 anni (che trova nel gioco simbolico un precursore della ToM), comincia infatti
a riferire di stati cognitivi quando comunica ciò
che pensa, sa e ricorda, per poi riuscire a 4 anni
a rappresentarsi le credenze e vedere l’altro come
portatore di idee e pensieri diversi dai propri, utilizzando inizialmente la realtà come riferimento
per stabilire la veridicità di queste idee e credenze. Proseguendo in questo continuum evolutivo, arriverà poi a comprendere che percezioni
diverse della realtà possono produrre interpretazioni differenti di una stessa situazione.
Un aspetto per noi essenziale di questo sviluppo
del pensare nel bambino, alla base dell’imparare
ad imparare, è che questa capacità non è innata
ma evolutiva, chiamando quindi in causa la necessità di fornire un ambiente e situazioni di apprendimento che stimolino e sviluppino le potenzialità cognitive e metacognitive di ogni bambino.
Come fare?
Studi a livello internazionale confermano alcuni
aspetti che potranno essere utili per indirizzare il
63
Imparare ad imparare
Didattica ed esperienze
lavoro nelle sue diverse fasi, per promuovere
la mentalizzazione di queste ed il loro utilizzo
autonomo a seguire in altri contesti (vedi transfer). In questa prospettiva potremmo fare nostre, in senso positivo, le riflessioni del poeta
Arturo Graf: “Ottimo è quel maestro che, poco
insegnando, fa nascere nell’alunno una voglia
grande d’impararEv
sPENSARE A PERCORSI ED ESPERIENZE PER IL CUORE
e per la mente, come ricordano Lecciso e Antonietti, potrà “facilitare l’incontro con la propria e l’altrui soggettività, trattando il bambino
come agente mentale dotato di pensiero, consentendogli di venire in contatto con i propri ed
altrui stati mentali, fornendo supporto e contenimento, anche di tipo emotivo, per interiorizzare questa funzione a vantaggio della sua
CRESCITAPERSONALEv
sCONSIDERARECOMEAPPRENDIMENTOEQUINDIOC
casioni per imparare ad imparare, anche alcune
attività spontanee ed auto-avviate dei bambini
può essere una scelta didattica strategica perché in questi contesti il bambino attiva, spesso
inconsapevolmente, una grande varietà di riSORSEPOTRÌQUINDIESSEREIMPORTANTEINQUESTO
ambito fornire stimoli indiretti perché il bambino possa acquisire consapevolezza delle proprie azioni e motivazioni, di conoscenze, abilità
e strategie (messe in atto e/o che potrebbero
essere messe in atto) e degli esiti del proprio
PENSAREEFARE
sPOTENZIARE GRADUALMENTE NEI BAMBINI LA CON
quista e l’utilizzo autonomo da parte loro di
incentivi intrinseci al proprio apprendimento
li potrà aiutare a “fare” non per routine, per
seguire indicazioni ricevute o per ricevere ricompense e rinforzi esterni, bensì per il personale desiderio e piacere di scoprire ed imparare
(vedi idea di Bruner della scoperta come autoREMUNERAZIONEPERCHIAPPRENDE
sINVITAREIBAMBINIACONSIDERAREGLIESITIREALI
e/o possibili) di idee e azioni costituisce l’avvio
di una positiva autoregolazione che potrà condurli, nel tempo, a fare gradualmente propria
la riflessione, valutazione ed autovalutazione su
quanto, come e perché appreso.
Pensare e ripensare per insegnare
Come detto, il ruolo dell’insegnante nella prospettiva dell’imparare ad imparare è decisamente
strategico in quanto regista dell’esperienza e dei
processi di apprendimento che vedono il bambino
come attore. Nella veste metaforica e concreta di
uno specchio dovrebbe inoltre aiutare il singolo
ed il gruppo a riflettere per vedere i possibili e
reali esiti del proprio pensare e fare, rendersi
64
consapevole delle strategie e dei processi che i
nostri occhi, le nostre mani e la nostra mente
utilizzano per esplorare e comprendere la realtà
che ci circonda ma, nello stesso tempo, ripensare
e riflettere sulla propria progettazione ed azione
didattica.
Ecco perché nella rubrica dedicheremo uno spazio all’imparare ad imparare del bambino ed uno
spazio speculare all’imparare ad imparare dell’insegnante.
In questo ambito cercheremo di offrire spunti per
ripensare e valorizzare ulteriormente aspetti della
quotidianità del lavoro didattico quali l’osservazione, la gestione degli spazi e dei tempi ed attività e percorsi di apprendimento da rileggere in
chiave metadidattica per scoprire molti possibili
“guadagni didattici” nascosti al primo sguardo.
Il percorso annuale
Nell’ambito di questa rubrica riprenderemo – in
forma riflessiva – stimoli e proposte didattiche
collegati ai diversi campi di esperienza per invitare il bambino, il gruppo e l’insegnante che li
guida ad apprendere ad apprendere, scoprendo
ulteriori tracce e possibili sentieri per interiorizzare e rielaborare ancora più consapevolmente ed
efficacemente quanto progettato e/o svolto, a vantaggio di nuove scoperte anche fuori dalla scuola.
A seguire indichiamo i traguardi di competenza
e gli obiettivi di apprendimento – trasversali ai
diversi campi di apprendimento – che guideranno
il nostro lavoro e che trovano un riferimento nelle
competenze chiave per la cittadinanza attiva in
quanto “combinazione di conoscenze, abilità e
attitudini appropriate al contesto. Le competenze
chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per
la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale”, come da
Raccomandazione del Parlamento Europeo e del
Consiglio relativa a “Competenze chiave per l’apprendimento permanente” del 2006:
s#OLLABORAREEPARTECIPARE
s#OMUNICARE
s2ISOLVEREPROBLEMI
s0ROGETTARE
s!CQUISIREEDINTERPRETARELINFORMAZIONE
s)NDIVIDUARECOLLEGAMENTIERELAZIONI
s!GIREINMODOAUTONOMOERESPONSABILE
s)MPARAREADIMPARARE
Quest’ultima competenza chiave, campo di
azione della nostra rubrica, richiama ed attiva
tutte le altre e trova, come detto sopra, un riferimento centrale nella idea di consapevolezza. A
questo proposito cercheremo di proporre stimoli
per sperimentare in prima persona che l’elemento
strategico che porta il bambino – ma anche l’insen. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Imparare ad imparare
Tav. 2 tProgrammazione annuale delle attività educative
Ottobre
Osserviamo per imparare ad imparare
Novembre
Comunichiamo per imparare ad imparare
Dicembre
3JTPMWJBNPQSPCMFNJQFSJNQBSBSFBEJNQBSBSF
Gennaio
Agiamo in modo autonomo e responsabile per imparare ad imparare
Febbraio
Progettiamo per imparare ad imparare
Marzo
Partecipiamo e collaboriamo per imparare ad imparare
Aprile
Cerchiamo ed interpretiamo informazioni per imparare ad imparare
Maggio
Interagiamo per imparare ad imparare
Giugno
3JnFUUFSFTVMQFSDPSTPBOOVBMF
gnante nella sua pratica didattica – dal possedere
conoscenze ed essere abile in determinati ambiti,
all’essere – e soprattutto sentirsi – competenti
è, come spiega Pellerey, la consapevolezza di se
stessi, dei propri obiettivi e del proprio sapere
Didattica ed esperienze
Focus
e saper fare per poter “mettere in moto ed a orchestrare le risorse interne, cognitive, affettive e
volitive, ed utilizzare quelle esterne disponibili
in modo coerente e fecondo” nelle diverse situazioni.
per approfondire
A. Antonietti, M. Cantoia, La mente che impara, L. Guasti, Didattica per competenze. Orientamenti e indicazioni pratiche, Erickson, Trento
La Nuova Italia, Firenze 2000.
2012.
A. Antonietti, M. Cantoia, Come si impara. Teorie, costrutti e procedure nella psicologia dell’ap- F. Lecciso, A. Antonietti, Crescere con l’infanzia
come processo relazionale e mentalistico, in R.G.
prendimento, Mondadori, Milano 2010.
Romano, Ciclo di vita e dinamiche educative
P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolanella società postmoderna, Franco Angeli, Mistico, UTET, Torino 2003
lano 2004.
L. Camaioni (a cura di), La teoria della mente.
O. Liverta Sempio, A. Marchetti, (a cura di),
Origini, sviluppo e patologia, GLF Editori LaTeoria della mente e relazioni affettive. Contesti
terza, Roma 2003.
familiari e contesti educativi, UTET, Torino 2001.
M. Castoldi, Progettare per competenze. Percorsi
M. Pellerey, Le competenze e il portfolio delle
e strumenti, Carocci, Roma 2011.
competenze individuali, La Nuova Italia, Firenze
C. Cornoldi, Metacognizione ed apprendimento, 2004.
Il Mulino, Bologna 1995.
R. Vianello, C. Cornoldi, Metacognizione e sviA. Graf, Ecce homo. Aforismi e parabole, Fratelli luppo della personalità, Ed. Junior, Bergamo
Treves, Milano 1908.
1997.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
65
Sonia Claris*
Documentare alla
scuola dell’Infanzia
ossiamo intendere per materiale documentale qualsiasi oggetto, prodotto o strumento
utile a richiamare o conservare la memoria di
avvenimenti o situazioni significative. In campo
educativo e didattico la documentazione costituisce una testimonianza e la memoria di come si
era, di ciò che è accaduto, di ciò che è stato fatto
e, molte volte, delle ragioni - spesso nascoste - che
hanno portato alla determinazione di certi eventi
o situazioni.
Documentare ci richiama un’attività burocratica,
d’ufficio, legata all’archivistica che prevede si seguano dei criteri rigorosi di classificazione dei
documenti prodotti (per data, per tipologia, per
provenienza, ecc.), da portare avanti in modo
scrupoloso e puntuale. Accanto a questa prima ed
immediata immagine di ordine ed efficienza organizzativa (è davvero una soddisfazione ritrovare
quella carta che non sapevamo di avere, ed invece
era stata inserita proprio nella cartellina giusta…)
Didattica ed esperienze
P
Per chi
Perché
ne sopravanza subito una seconda, più subdola,
ovvero quella che ci vede soccombere sotto una
montagna di fogli o arrancare in una coltre di
polvere datata e che ci induce a chiederci a chi
serviranno tutti i vari documenti accumulati e, di
conseguenza, se serva ‘tenere memoria’ e traccia
di quanto abbiamo messo in essere e realizzato.
Separiamo ovviamente gli obblighi amministrativi di conservazione di documenti ufficiali a cui
si deve adempiere in termini di legge, dal ‘documentare’ come azione pedagogico-didattica.
Ma anche facendo salva questa fondamentale
distinzione tra tipologie alquanto differenti di
documentazione, rimane comunque un alone di
pesantezza, una certa aria viziata e nociva che
circonda questa parola, specialmente nel mondo
della scuola.
Provo a rievocare, solo a titolo esemplificativo,
una serie di espressioni in merito a questo tema:
s“Facciamo molto in questa scuola, ma ci dimen-
Come
Che cosa
Bambini
Per fare memoria e tornare sui propri
passi
Fotografie/filmati/video
Processi formativi; attività didattiche
Bambini
Per condividere la meraviglia con altri.
Manufatti vari da portare a casa.
Prodotti dell’apprendimento.
Bambini
Per costruire la propria identità.
Cartellina, contenitori, dossier, cassetto personale.
Processi formativi.
Genitori
Per informare.
Bacheca, cronache del giorno, verbali. Eventi importanti, attività quotidiana.
Genitori
Per rendere partecipi e coinvolgere.
Teatro, feste, spettacoli, riunioni.
Vita della scuola, ricorrenze.
Insegnanti
Per esigenze amministrativa. Per condividere buone pratiche.
3FHJTUSJNPEVMJTUJDBNBUSJDJQSPHFU
tuali.
Progettazione educativo-didattica.
Insegnanti
Per scambiarsi informazioni relative ai
Quaderno di sezione
bambini e a quanto accaduto a scuola.
Eventi rilevanti di vita quotidiana.
Sonia Claris
* Dirigente scolastica
66
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Documentazione
La pratica della documentazione va intesa come processo che produce tracce, memoria e riflessione, negli
adulti e nei bambini, rendendo visibili le modalità ed i
percorsi di formazione e permettendo di apprezzare i
progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo.
0UKPJHaPVUPWLYPSJ\YYPJVSV
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
da criteri organizzatori delle esemplificazioni che
man mano si proporranno. Proviamo ad organizzare le idee scegliendo i destinatari (per chi?),
le finalità o funzioni (perché?), gli oggetti (che
cosa?) e le modalità (come?) del documentare.
Didattica ed esperienze
tichiamo di documentare quanto facciamo, così,
da un anno con l’altro, ci sembra di dovere sempre iniziare da capo!”.
sh1UANTI VERBALI E QUANTE RELAZIONI .ON SAP
piamo neppure se vengano poi realmente lette da
qualcuno”.
sh) GENITORI DOMANDANO IN CONTINUAZIONE OGNI
cosa, sempre… ma ho proprio l’impressione che
non leggano gli avvisi, o, non leggano proprio ciò
che vorremmo che leggessero per tenersi informati sulla scuola e sulla sua vita…”.
E via discorrendo… Ciò sta evidentemente a testimoniare come questo ambito sia cruciale, decisivo sotto molteplici aspetti, e nello stesso tempo,
sia anche trascurato e frainteso.
Proveremo in questa annata a fornire qualche
suggerimento sul documentare nella scuola
dell’Infanzia, essenzialmente per condividere
qualche idea interessante e per ricercarne anche
di nuove.
Partiamo dal significato originario e ricchissimo
del documentare inteso come ‘lasciare tracce’,
che ha accompagnato la storia dell’umanità dai
secoli più lontani e che i bambini ci testimoniano
quando con grande impegno e stupore iniziano a
lasciare segni di loro stessi servendosi di matita,
pennarelli e fogli di carta.
Tracce di che cosa? Per chi? Con quali scopi o
finalità? Sono gli interrogativi che vengono immediatamente a seguire. Ci serviranno da filtri e
Glossario
Documentare: come spiega Rinaldi, “documentare
significa produrre tracce, creare documenti, prendere
note per cercare di predire quello che avverrà. Questo
può essere fatto sotto forma di note scritte, tabelle di
osservazione, diari e altre forme descrittive, ma anche
attraverso registrazioni, fotografie, diapositive e video.
Tutti questi documenti offrono una testimonianza condivisibile dei processi di apprendimento dei bambini
senza escludere gli aspetti emotivi e di relazione. In ogni
caso, i documenti così prodotti sono solo risultati parziali, interpretazioni soggettive, punti di vista. È inoltre
essenziale la consapevolezza che anche il mezzo scelto
per convenire e condividere l’esperienza documentata è
“parziale”. Questa parzialità può diventare una risorsa
preziosa laddove documenti multipli dello stesso evento
siano prodotti e/o osservatori multipli siano coinvolti
usando media differenti. A causa di questa inerente
soggettività, le testimonianze documentali vanno reinterpretate collettivamente – in particolare tra colleghi
che condividono la stessa esperienza quotidiana. La documentazione è anche importante per i bambini, offre
loro una preziosa opportunità di ritornare a, riflettere
su e interpretare quello che hanno fatto e soprattutto
per pensare ai loro processi mentali (metacognizione)”.
per approfondire
C. Rinaldi, Catalogo della mostra: “I cento linguaggi dei bambini”, Reggio Children, 1996, pp.
113-114.
67
Documentazione
Lasciare tracce
Didattica ed esperienze
Una prima modalità con cui si lasciano tracce
e si documenta un’esperienza in modo stabile
nel tempo è quella di disegnarla.
Proprio come nei tempi antichi venivano istoriate sulle pareti di roccia delle caverne scene
di caccia appena vissute, animali sconfitti, pericoli scampati.
I bambini alla scuola dell’infanzia si servono
del linguaggio iconico come modalità preferenziale per raccontare e raccontarsi, a livello
anche socio-relazionale (rif. Fig. 1 La mia famiglia).
Che cosa documentano questi disegni? Sono
a livello documentativo tracce dell’interazione
educativa tra il/la bambino/a e la sua insegnante, in sintesi ci dicono di che cosa è accaduta tra loro. Proviamo ad immaginarlo:
Veronica ha completato il suo lavoro pittorico
e la maestra con pazienza le rivolge alcune
domande-stimolo: chi sono queste persone? È
la mamma la signora con la gonna arancio? …
Seguono le parole della piccola, i suoi assensi
e le sue precisazioni, a volte vere e proprie
correzioni dell’interpretazione degli adulti.
La docente scrive sopra le varie figure quanto
viene riferimento sulla loro identità, non si
dimentica di indicare la date in cui il disegno è
stato realizzato dalla bambina ed il suo nome.
Perché lo avrà fatto? Per documentare in modo
permanente i significati del disegno stesso, per
poi poterli recuperare a distanza, per rileggerli
Fig. 1. La mia famiglia.
68
insieme alla stessa autrice a distanza di tempo.
Nel disegno riprodotto in Fig. 2 viene in luce
un diverso contesto culturale e identitario
della scuola dell’infanzia, evidenziato da una
modalità diversa di realizzazione del disegno
della propria famiglia. In matita, su un foglio
più piccolo, con tentativi di scrittura alfabetica messi in atto dallo stesso bambino, che
si impegna a indicare come si chiamano le
persone e gli oggetti disegnati.
La maestra non funge da scriba e non lascia
tracce della relazione intercorsa tra lei e l’alunno.
Per concludere possiamo dire che ogni disegno dei bambini è una fonte documentale, alcuni di essi lo possono diventare in modo intenzionale, per il tema, per il tipo di consegna
data, per il rilievo dell’esperienza raccontata.
Per non perderne le tracce, allora un breve
pro-memoria:
s DATARELELABORATO
s SCRIVEREOFARSCRIVEREALBAMBINOILPROPRIO
NOME
s FUNGERE DA SCRIBA DI NOMI DI OGGETTI DI
PERSONEDIAZIONI
s CHIEDERE AL BAMBINO STESSO DI SCRIVERE
come riesce e di leggerlo alla maestra.
I disegni di ognuno si possono inoltre raccoglie ed organizzare sotto forma di cartellone
murale di classe, da visualizzare su una parete, possibilmente ad altezza di bambino.
Fig. 2. La mia famiglia
(disegno di un bambino di una scuola indiana).
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
dossier
Educazione scientifica
per l’infanzia
a cura di Enrica Giordano
Educazione scientifica per l’infanzia
Introduzione
“Non c’è niente di più importante per il futuro del mondo, del modo in cui prepariamo la prossima
generazione” dice Bruce Alberts, Editor della prestigiosa rivista “Science” nel numero dell’agosto
2011 tutto dedicato all’educazione dell’infanzia.
La società italiana purtroppo ha sempre considerato gli aspetti matematici e scientifici come
tecnici e difficili, lontani dalla prima formazione e affrontabili solo a livelli alti d’istruzione.
Negli ultimi anni però risulta sempre più evidente, da ricerche svolte sia in contesti reali di apprendimento sia in condizioni sperimentali che i bambini sono molto competenti; fin da molto
piccoli hanno idee intuitive sul mondo fisico e biologico che li circonda, esplorano sperimentando, fanno previsioni e le mettono alla prova dei fatti, cercano spiegazioni causali coerenti per
fenomeni che ritengono simili. In una parola sembrano procedere in modo molto simile al modo
di indagare scientifico, al “provando e riprovando” che da Galileo in poi una delle più prestigiose
società scientifiche, l’Accademia del Cimento, ha come suo motto.
Questi bambini hanno diritto ad una educazione scientifica efficace ed appropriata al loro livello.
Un’educazione che si inserisca nel processo di sviluppo naturale dei bambini, che ne potenzi lo
sviluppo spontaneo, che sia attenta non a introdurre troppo precocemente i risultati della scienza,
ma che incoraggi piuttosto l’appropriarsi dei suoi metodi e delle sue procedure: esplorare, descrivere e rappresentare in diversi linguaggi, immaginare, cercare somiglianze e analogie, costruire
modelli, confrontarsi con altri e difendere le proprie idee argomentando.
Questo richiede la guida attenta e non invasiva di adulti preparati a incoraggiare l’esplorazione attiva dei bambini offrendo loro possibilità d’interazione diretta con oggetti e fenomeni del mondo,
in ambienti sicuri e accoglienti, che favoriscano la loro crescita emotiva, sociale e cognitiva in
modo equilibrato.
“Le buone scuole cominciano da quello di cui i bambini sono già padroni di fatto, poi sondano
quello che di fatto stanno apprendendo e continuano con quello che di fatto porta avanti il loro
coinvolgimento” diceva Hawkins nel lontano 1965.
per approfondire
D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere, Loescher, Torino 1979.
Sommario
Piccoli scienziati crescono
Enrica Giordano
Il gioco con l’acqua
Giocheria Laboratori
Percorsi di astronomia
“Ci son tre lune diverse”
Sara Bartesaghi
Profumo di cielo
Valentina Robati
Esperienze di biologia
tra ambienti di apprendimento
outdoor e indoor
Antonella Pezzotti
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
69
Enrica Giordano*
dossier
Piccoli scienziati crescono
no dei temi che proponiamo negli articoli
che seguono è l’acqua. Molti di noi si sono
sentiti ripetere a scuola che l’acqua è “incolore,
inodore, insapore e senza forma”.
Ma ne siamo sicuri? Proviamo a guardarci intorno e a sperimentare. La superficie dell’acqua
ferma in un bicchiere ha una sua forma, piatta,
orizzontale; cosa cambia se inclino il bicchiere?
E come dire che non hanno forma le gocce che
scendono da un rubinetto, che si appoggiano
sul vetro o sull’ombrello, sulle foglie o sulle ragnatele? E poi, se è insapore, perché si parla di
acqua dolce e salata? E se è incolore perché la si
disegna di colore azzurro?
Vogliamo che i bambini ci ripetano queste parole stereotipate? Piuttosto lasciamo che sperimentino con l’acqua e i suoi veri comportamenti
in interazione con oggetti e materiali di vario
tipo. E che trovino i gesti, i disegni, le parole,
per descrivere quello che hanno osservato: “La
forma dell’acqua è tutta sparpagliata” dice una
bimba. Cosa significa bagnare? Sono bagnate
le mani e il fazzoletto, ma in due modi diversi.
L’acqua bagna, ma è bagnata? E cosa intendiamo quando diciamo che lo zucchero si scioglie nell’acqua?
Educazione scientifica per l’infanzia
U
Le domande possono essere moltissime, basta
avviare il discorso con i bambini per vederle
nascere e svilupparsi dall’esperienza di tutti
i giorni e da quella che si può proporre in un
ambiente attrezzato con materiali semplici, ma
intriganti e coinvolgenti.
In particolare nelle esperienze proposte nell’articolo di “Giocheria Laboratori” si suggeriscono
attività da realizzare, in parte al chiuso in parte
Enrica Giordano
* Professore associato di Didattica della Fisica, Dipartimento di Fisica, Università di Milano-Bicocca
70
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
all’aperto, sull’acqua che corre in tubi, canaline,
ruscelli. Senza esperienze di acqua in movimento non ci si appropria veramente di cosa voglia dire che l’acqua è un liquido, anzi il liquido
per eccellenza.
Esce da una sorgente e scorre, forma rivoli,
gorghi e flussi, schizzi e spruzzi; passa in buchi
piccolissimi, ma non sopporta di essere bucata,
(si dice appunto “fare un buco nell’acqua”...).
Un altro tema è il “Cielo stellato e la luna”.
Sara Bartesaghi e Valentina Robati ci aiutano
raccontandoci la loro esperienza, nella Scuola
dell’infanzia in occasione della loro tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria.
Infine Antonella Pezzotti ci guida nel gioco di
avvio allo studio degli organismi viventi tra gli
ambienti all’aperto che si possono trovare nelle
vicinanze delle scuole o nelle uscite didattiche e
gli ambienti chiusi in cui più tradizionalmente
si svolge l’azione educativa.
Il filo conduttore di tutte queste proposte è il
lavoro tra interno ed esterno, tra ambiente naturale e ambiente scolastico, tra fenomeni che
avvengono senza il nostro diretto intervento e
altri che facciamo avvenire ad arte, in modo
selezionato e controllato. Tutte puntano a costruire poche idee fondamentali del campo di
indagine selezionato e pongono al centro i bambini e il loro esplorare.
per approfondire
E. Giordano, Imparare sperimentando, “Psicologia dell’Educazione”, n. 5 (2), 2011, pp. 177-192.
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
71
Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati*
dossier
Il gioco con l’acqua
acqua offre una ricca e versatile opportunità di gioco da proporre ai bambini di
diversa età. Infatti, sin da piccolissimi i bambini
sono affascinati dall’acqua che irresistibilmente
li attrae e conquista. Da questa prima considerazione, dalle osservazioni su cosa fanno i
bambini quando giocano e dalla convinzione
che tutti imparano facendo, in Giocheria Laboratori proponiamo da anni laboratori scientifici
di gioco con l’acqua.
I bambini che giocano alla scienza passano da
una fase in cui sperimentano e osservano ad
una in cui riflettono su ciò che vedono accadere
sia durante il laboratorio sia in classe tra un incontro e l’altro. Con modalità diverse a seconda
delle diverse età, i bambini sono stati sollecitati
a scambiarsi le osservazioni sulle scoperte fatte
nel laboratorio e a rappresentarle attraverso
disegni.
Con l’insegnante si riprende, si rielabora, si
propone una lettura ragionata che consente di
porre attenzione ai passaggi, di analizzare le
criticità, per ricominciare con le nuove conoscenze, in un moto circolare che sembra portare
a continue previsioni e verifiche.
Provare e riprovare porta a fare delle scoperte
quando lo sperimentatore non sa dove l’esperienza che sta facendo lo conduce e questo ai
bambini accade sempre poiché sanno imparare
mentre fanno. “Fare con le mani” significa conoscere con il corpo e con i sensi il mondo a
partire dalla curiosità, dalla spontanea spinta
ad esplorare a confrontare che i bambini possiedono.
I bambini imparano, imitandosi tra pari, la collaborazione che arricchisce l’apprendimento, lo
amplia e lo fa viaggiare sulla strada delle relazioni personali. Se l’ambiente è ben strutturato
e il materiale opportunamente scelto, la presenza dell’adulto è garanzia della sicurezza dello
sperimentare del bambino che diventa artefice
del proprio apprendimento.
L’adulto dovrebbe essere presente senza però
sovrapporsi, il modello “insegnante che travasa
il suo sapere nei bambini” si può abbandonare
a vantaggio di un insegnante che “accompagna
e favorisce le scoperte dei bambini”; le eventuali
domande saranno orientate a favorire la concentrazione su ciò che si sta sperimentando. Una
Educazione scientifica per l’infanzia
L’
posizione non direttiva, più rilassata consente
di lasciare tempo per esplorare, affiancando la
loro attività autonoma con una presenza più
leggera.
I laboratori
I laboratori del gioco con l’acqua sono allestiti
sia all’interno di Giocheria che nello spazio
verde che circonda la struttura.
All’esterno il ruscello è progettato perché i bambini possano giocare con l’acqua in movimento.
Laura Plebani, Daniela Calò, Anna Cuccu, Simona Vimercati
* Educatrici presso Giocheria Laboratori, Sesto San Giovanni (Mi)
72
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Un rubinetto alla fonte può originare una goccia
d’acqua o una cascata che si incanala lungo il
percorso creato con canaline collegate tra loro;
l’acqua scorre sfruttando la pendenza del terreno sino a tuffarsi in una grande vasca. I bambini possono osservare i diversi comportamenti
a seconda del flusso d’acqua e hanno a disposizione diversi oggetti per la loro osservazione.
Una serie di strumenti vengono predisposti affinché l’acqua possa “viaggiare da un punto
all’altro”. Imbuti, canne di plastica, contenitori,
bottiglie di plastica permettono ai bambini di
trasportare l’acqua da un recipiente all’altro, di
scoprire che può andare in salita o scappare da
tutti i buchini.
Le azioni e le scoperte dei bambini vengono
raccontate oppure disegnate; riportiamo alcune
delle loro frasi:
Mirko: “Se riempio l’imbuto e lo alzo in alto l’acqua scende e si sente il verso della rana. Quando fa
il verso della rana ho scoperto che si fa il vortice”.
Desirée: “…fa il verso della rana perché l’acqua
scende velocemente…”.
Andrea: “…io versavo l’acqua era tutto bucato così
andava a finire per terra”.
73
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
strando concentrazione per lungo tempo. Mentre
giocano, guardano cosa succede alla mano, ma
anche all’acqua e lo dicono: “l’acqua mi lascia
entrare”. La mano non trova resistenza, l’acqua
si sposta, avvolge, bagna, rinfresca. Se tolgo la
mano “l’acqua si chiude”.
Provano a usare gli oggetti, più oggetti insieme,
a combinare due diversi effetti, a concatenare le
osservazioni, i flussi.
Alessandro: “Io facevo le bolle e soffiavo e l’acqua
diventava più alta e mi bagnavo la faccia”.
Giulia: “Ho messo la spugna nell’acqua ed è diventata verde scuro”.
I granelli
La trasparenza
Oltre al ruscello, sia all’esterno sia all’interno, si
predispongono le grandi vasche con i vari oggetti
da immergere. Per contenere l’acqua abbiamo
privilegiato delle vasche di plexiglass trasparenti
appoggiate a strutture tubolari e sollevate da
terra in modo tale che i bambini possano vedere
da tutte le angolazioni.
I loro gesti si fanno più precisi e attenti a non
disperdere neanche una goccia d’acqua dimo-
74
Accanto al percorso con l’acqua abbiamo predisposto situazioni di gioco che consentissero
il confronto sul travaso di materiali solidi con
maggior e minore fluidità nello scorrimento. I
bambini possono così fare un confronto di come
miglio, sabbia, farina passano differentemente
attraverso contenitori, imbuti e setacci.
Gabriele: “Con l’imbuto grande il mais scendeva
subito, con l’imbuto piccolo non usciva allora
abbiamo preso il bastoncino e abbiamo spinto e se
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
sbattevo ne uscivano tanti, sennò una alla volta”.
Omar: “Ho messo le mani nei fagioli e ho sentito
il solletico”.
Giulia: “Mi è piaciuto mettere le mani nei semi
piccoli, anch’io ho sentito il solletico fresco”.
“Provvisorie” considerazioni finali
Abbiamo osservato i bambini giocare, li abbiamo
ascoltati “ragionare” sull’esperienza che stavano
facendo e usare parole speciali. Nel tempo, le diverse esperienze che si sono susseguite, le diverse
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
età dei bambini, i contesti più o meno strutturati
hanno mostrato delle modalità di esplorazione
che si ripetono.
Proprio da queste ripetute modalità di gioco dei
bambini abbiamo estrapolato alcuni indicatori
necessari per costituire un percorso di scoperta
scientifica.
s 1UALEhPOSIZIONEvPERLADULTO
Mettersi al fianco dei bambini anziché di
fronte. Osservare il loro approccio, ascoltare
le loro osservazioni e annotarle comporta
un cambiamento di atteggiamento rispetto
75
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
al bisogno” di porre loro delle domande “giuste”, nell’intenzione di preparare il terreno
all’intervento dell’adulto.
La posizione diversa comporta anche una
funzione diversa del linguaggio che accompagna le esperienze. Nei laboratori si possono
fare domande aperte per dare la possibilità ai
bambini di descrivere verbalmente i fatti sui
quali stanno già ponendo la loro attenzione.
h#HE COSA STAI OSSERVANDOv Come spiega
Enrica Giordano, “attaccare le parole ai fatti
è una parte della funzione dell’educatore, ma
non nel senso di dare le nostre, ma invitare
ad usare le parole per raccontare cosa sta ora
accadendo, la differenza non è marginale ma
sostanziale poiché la valenza cognitiva implicata è completamente diversa”.
s 1UALIMATERIALIPROPORRE
Ci vuole tempo e pazienza per andare a cercare strumenti e oggetti che a contatto con
l’acqua si bagnano, si inzuppano, lasciano
passare, trattengono, schizzano, gocciolano,
vanno giù e ci rimangono o tornano su. Queste e molte altre azioni le abbiamo sperimentate noi educatori (per poi sorprenderci nel
vedere che i bambini ne trovano di inedite)
e ci hanno permesso di costruire la nostra
collezione di oggetti.
Anche la scelta dei contenitori in cui raccogliere o far scorrere l’acqua è il risultato
76
di uno studio. Le vasche sono di differenti
dimensioni, trasparenti, infrangibili, con i
bordi la cui altezza consente di riempirle con
una giusta quantità di acqua, ma permette
anche ai bambini di toccare il fondo.
Abbiamo strutturato gli spazi interni ed
esterni con l’obiettivo di permettere ai bambini di orientarsi facilmente riconoscendo le
postazioni di gioco, di muoversi in sicurezza
e ultimo ma egualmente importante, di giocare in un posto bello, curato, accogliente.
s #HISCEGLIE
Ai bambini è lasciata la scelta di come cominciare il gioco, che sia partendo dal privilegiare il contatto acqua-mano piuttosto che
usare subito un oggetto come intermediario.
Come l’acqua è sempre in movimento, così
i nostri laboratori sono in continuo mutamento. Le nostre osservazioni su cosa succede nel gioco dei bambini diventano input
e punto di partenza per riprogettare l’offerta
nel laboratorio, con accorgimenti tesi a migliorare le condizioni dell’esplorazione dei
bambini.
La narrazione di cosa abbiamo visto accadere
prende strade differenti, tante quanti sono
stati i bambini osservati.
Davanti alla vasche ogni bambino ha fatto il
suo “pasticciamento” giocando con gli oggetti
messi a disposizione. L’attenzione del bambino è su cosa succede, ma nel contempo il
suo sguardo abbraccia l’esperienza del compagno che gli gioca vicino.
I bambini si guardano tra loro, s’imitano,
commentano.
I bambini, lo abbiamo già detto, provano e riprovano fino a che sentono di poter chiudere
l’esperienza in atto per spostare l’attenzione e
la concentrazione su altro, magari anche solo
un altro particolare (aspetto o fenomeno)
della stessa esperienza.
per approfondire
Scienza in gioco. Costruzioni d’acqua di adulti e
bambini, Junior, Azzano San Paolo, 2004.
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
Un percorso scientifico, a qualsiasi grado venga
proposto, dovrebbe prevedere, almeno nelle sue
prime fasi, un’osservazione diretta dei fenomeni.
Questo è possibile per il cielo diurno, per il sole
e per la luna, spesso visibile anche di giorno.
Più difficile sembra invece lo studio a scuola del
cielo della notte e delle stelle, affrontabile solo
con qualche uscita serale/notturna. Ma molto
si può riuscire a fare, per ovviare ai problemi
logistici e di orario scolastico senza snaturare il
senso e la metodologia del nostro insegnamento
scientifico.
I percorsi che seguono illustrano due progetti “astronomici” sperimentati in classi della
Scuola dell’infanzia in occasione di due tesi di
laurea in Scienze della Formazione Primaria
presso l’Università di Milano Bicocca.
Il primo, a cura di Sara Bartesaghi, avvicina i
bambini alla comprensione delle ragioni dell’apparente mutare della forma della luna. Il secondo, a cura di Valentina Robati, è dedicato al
cielo notturno tra mito e storia della scienza, tra
osservazioni, fantasia ed immaginazione.
Educazione scientifica per l’infanzia
Chiunque alzando gli occhi al cielo, in una bella
notte limpida, resta conquistato dallo spettacolo
della volta celeste. Fin dai tempi più antichi
l’uomo è stato affascinato dagli astri e dal cielo
notturno e, con sempre maggior accuratezza,
ha cercato di avvicinarlo a sé, osservandolo ed
interpretandolo.
Perché allora non avvicinarlo anche al mondo
dei bambini, i quali sono dei maestri nello stuPIRSIEDINCURIOSIRSIPEROGNICOSA
Troppo spesso si pensa che i bambini non siano ancora pronti cognitivamente ad affrontare
le cosiddette scienze dure (ndr: dall’inglese
hard, si intende matematica, fisica e chimica,
“dure” per l’alto livello di formalizzazione e
la difficoltà ad essere comprese). Ad esempio
l’astronomia – fatta di calcoli, di misurazioni, di
strumentazioni specifiche – sembra accessibile
solo a menti matematiche. Questa immagine
non rende giustizia alla conoscenza scientifica
come impresa culturale, frutto di discussioni,
di critiche, di fantasie e al bambino come individuo curioso, competente, capace di costruire
la propria conoscenza attraverso l’esperienza e il
confronto con gli altri.
dossier
Percorsi di astronomia
V.R.
“Ci sono tre lune diverse”
Sara Bartesaghi*
urante l’anno dell’astronomia 2009, nella
Scuola dell’infanzia comunale di via Giacosa a Milano, il progetto ha preso avvio dalla
mia richiesta a un gruppo di bambini fra i 4 e
5 anni di costruire ciascuno una propria “luna”
attraverso l’uso di materiali a scelta tra creta,
carte e cartoni, stoffe, bottoni, brillantini, plastica, cotone, fili, nastri, carta stagnola…
Le attività artistiche e manipolative risultano
essere molto efficaci nel portare alla luce preconoscenze, immaginario, curiosità, domande,
ed aiutano i bambini ad esprimere i propri saperi e idee sviluppandone di nuovi. Quando un
bambino disegna o costruisce non fa solo una
D
creazione artistica, ma contemporaneamente
mette in gioco delle idee, le seleziona e ripensa,
ristabilisce i contorni del problema, in un gioco
continuo tra attività concreta e costruzione di
conoscenza astratta. Fondamentale risulta accompagnare la realizzazione dei manufatti con
parole e discussioni in cui si confronta cosa è
stato fatto e perché:
Lucas: “…poi con lo scotch l’ho chiusa e poi ho
messo il cartone rosso e l’ho attaccato e ho messo
anche la carta lucida.(…) eh perché è rotonda (la
luna)… poi ho messo il giallo perché la luna è
un pochino gialla… È anche un po’ brillante per
quello ho messo il lucido”.
Sara Bartesaghi
* Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca.
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
77
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Lucas: “il sole è un pochino elettrico”.
Ranim: “(la luna) è più spenta”.
Lucas: “perché è un pochino argento… anche un
pochino nera e un pochino pure gialla… però è
anche un pochino argento e si vede al buio”.
Alice: “… l’ho fatta così perché così potevo mettere il cotone, e poi qui su ho messo i brillantini”.
Insegnante: “#OMEMAI”.
Alice: “Perché sono belli”.
Insegnante: “#OSÖLATUALUNADIVENTAVABELLA”.
Alice: “Sì e poi così si possono un po’ vedere di
notte, e poi ho messo anche il riso bianco”.
Ranim: “(parlando della carta stagnola) Perché
così si attaccava ed era bello argento luccicoso,
perché io la luna la vedo sempre bianca”.
Si vede che i bambini hanno l’idea che la luna
sia in grado di fare luce come il sole, da cui la
differenziano più in termini quantitativi che
qualitativi. La scelta dei materiali è caduta su
quelli che secondo loro avrebbero riprodotto
nei manufatti questa supposta caratteristica
del satellite, essere visibili al buio (brillantini,
paillettes, carta stagnola, carta lucida argentata, stoffe argento…).
Queste discussioni su luna e materiali utilizzati
per ricostruirla sono state arricchite da una
successiva osservazione diretta e mattutina
della luna nel parco che circonda la scuola.
Siamo quindi tornati a lavorare all’interno.
Ho proposto di osservare una “luna” costruita
da me con la carta stagnola e posta dentro
una scatola totalmente dipinta di nero al suo
interno. Questo strumento è stato presentato
come capace di riprodurre la situazione e l’immagine della luna di notte. Abbiamo chiuso
bene la scatola in modo che non entrasse luce;
i bambini quindi a turno hanno guardato al
suo interno attraverso un foro nel cartone,
aspettandosi di vedere una figura luccicante
nel buio.
78
Lucas: “Ma si vede tutto nero”.
Dora: “Si vedeva tutto nero”.
Lucas: “Forse si è mossa (la luna)… controlliamo!”.
Insegnante: “Proviamo a controllare!”.
Aperta la scatola si scopre che l’oggetto è ancora
lì, attaccato al fondo con il velcro.
Lucas: “Eh no è ancora lì… allora è perché il buco
è troppo alto”.
Ranim: “0OSSORIPROVAREAGUARDARE”.
Insegnante: “Sì… cambiamo buco per vedere se
QUESTOÒTROPPOALTO”.
Ranim: “No...non si vede niente…”.
Lucas: “Aspetta qui c’è una pila proviamo così.
Insegnante: “Proviamo a metter dentro la luce”.
Tutti: “Sì”.
Ranim: “Io tengo la pila”.
Alice: “L’ho vista adesso”.
Dora: “Si vede”.
Emiliano: “La palla… si vede la palla”.
Lucas: “Si vede di più grazie alla mia idea… avete
visto che avevo ragione”.
Insegnante: “Ma allora questa luna qui…”.
Lucas: “Si vede solo con questa (la pila)!”.
Ranim: “Serve la luce anche se è tutta argento!”.
Far emergere una problematica, creare una ragione di sorpresa, suscita nei bambini la voglia
di costruire conoscenza e li mette in condizioni
di svolgere ricerche.
Lo stupore derivato dal fatto che le idee emerse
attraverso la costruzione delle “lune” venissero
disattese, ha dato il via a sperimentazioni, espen. 1sSETTEMBREsANNO#)
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
aspetti della realtà quotidiana, quali sono luce e
ombra, è stata l’occasione per esplicitare interpretazioni già esistenti e, attraverso un continuo
scambio fra osservazione dei fatti, descrizioni
e riflessioni interpretative, arricchire la conoscenza e l’analisi del fenomeno in questione.
Siamo così arrivati a puntare l’attenzione sulla
presenza sull’oggetto illuminato di parti in ombra e quindi su quelle che in arte si chiamano
“ombre proprie”.
Durante l’osservazione della candela:
Ranim: “Guarda c’è la tua ombra nella luce… In
ogni luce c’è un’ombra…”.
Durante una seconda osservazione della “luna”
argentata all’interno della scatola nera, successiva a tutte le varie esperienze su luci e ombre
all’esterno:
Insegnante: “#OMÒv.
Emiliano: “Metà e l’altra…”.
Lucas: “Non è tutta illuminata c’è una riga nera”.
Insegnante: “#ÒUNARIGANERA”.
Lucas: “Sì… è così (mimando con il dito una
linea di demarcazione) qua così, poi qua è tutta
colorata e qua buia”.
Ranim: “È un pochino più buia di qui”.
Una volta notato che la sfera è in parte illuminata e in parte è in ombra, si tratta di arrivare
a comprendere che un altro fattore importante
entra in gioco: la posizione da cui la osserviamo.
Le forme a noi visibili di oggetti tridimensionali,
fra cui la luna, che non fanno luce loro stessi, dipendono dalla possibilità di osservare dalla propria posizione varie porzioni delle zone di luce e
ombra sull’oggetto e quindi dalle posizioni reciproche di osservatore, sorgente di luce primaria
e oggetto illuminato su un determinato sfondo.
rienze e ricerche sul funzionamento della nostra vista, sul buio e su luci e ombre, senza che
venisse per il momento esplicitato l’importante
collegamento esistente fra esse e l’apparente
mutamento della forma della luna.
All’interno della scuola si è cercato il buio entrando in una stanza senza finestre o nascondendosi sotto le coperte.
All’esterno in una bella giornata di sole si è
cercato il buio nella luce attirando l’attenzione
sulle ombre: si è cercato di scappare dalla nostra ombra, si sono fotografate e ricalcate le
ombre nostre e di altri oggetti, si è osservata la
fiamma e le ombre create da una candela in una
zona poco illuminata.
Il fare esperienza in modo consapevole, con
occhi interrogativi e intento di ricerca, di questi
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
79
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
vedi così… perché là da me si vede finissima… se ti
sposti là da me si vede diversa”.
Alice: “Basta che ci spostiamo”.
Insegnante: “"ASTACHEVISPOSTIATE”.
Alice: “O il faro”.
Insegnante: “O ci spostiamo noi o spostiamo il
FAROv.
Alice: “E cambia la forma”.
Emiliano: “Oppure spostiamo la palla”.
Senza fare riferimento esplicito alla luna, abbiamo
inizialmente sperimentato in un contesto familiare
con coinvolgimento corporeo ed emotivo diretto:
abbiamo osservato i nostri corpi ed in particolare
i nostri visi illuminati da un torcia in una stanza
buia.
È stata poi proposta una nuova situazione che
prevedeva un pallone di gommapiuma, illuminato
per mezzo di un faro direzionale spostabile appeso al centro della stanza, posizione che invitava
a non assumere un punto di vista fisso come nel
caso precedente e ad esplorare la tridimensionalità dell’oggetto. Si è chiesto ai bambini disposti
liberamente attorno al pallone di disegnare come
vedevano il pallone. Ognuno ripeteva il disegno
ogni volta che veniva spostato il faro che lo illuminava. La diversa posizione dei bambini durante
il disegno ha permesso di osservare come l’immagine bidimensionale a noi visibile dipendesse dalle
posizioni reciproche non soltanto dell’oggetto e
della sorgente di luce, ma anche di noi osservatori.
Lucas: “Ma Emiliano stai sbagliando… la stai
facendo troppo grossa… guardala è illuminata pochissimo”.
Emiliano: “No, è grossa”.
Lucas: “Ma non vedi che è finissima”.
Emiliano: “Non è vero”.
Lucas: “(avvicinandosi a Emiliano) ah ma tu la
80
Da queste prime osservazioni sono partite varie
sperimentazioni in cui si agiva prima liberamente
poi in modo più controllato sulle variabili in
gioco, arrivando a comprendere meglio le relazioni di causa-effetto e a prevedere cosa avrebbero prodotto le nostre azioni.
Ad un certo punto l’attenzione dalla palla si è
spostata sulla luna, introdotta dai bambini stessi:
Lucas: “Ma sembra una luna”.
Insegnante: “3EMBRAUNALUNA”.
Lucas: “Sì, ha la stessa forma”.
Insegnante: “%CHEFORMAHALALUNA”.
Si è dato origine così ad una chiacchierata sulle
varie forme con cui la luna ci appare ed è stata
descritta come “rotonda”, “a volte ha la forma
mezza”, “panciuta”, “ci sono tre modi diversi: una
quella tutta cerchia, poi quella un po’ meno, poi
quella magrissima”, “nello spazio la luna è rotonda
ma noi la vediamo con le forme diverse, con noi
cambia forma”.
Per arricchire la conversazione si sono mostrate
fotografie della luna nelle sue varie fasi e si è provato a ricreare le forme della luna in fotografia
attraverso la palla e il faro.
Si potrebbe pensare che dopo aver fatto vedere
un possibile meccanismo di spiegazione delle
fasi della luna l’argomento si potesse considerare
concluso e l’idea acquisita.
Ma non è così.
“Le scoperte vengono fatte, osservate, perdute,
e rifatte di nuovo… Quando la mente sta evolvendo… tutti noi dobbiamo superare la linea
di separazione tra ignoranza e intuito più volte
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
È un’idea errata che molti adulti hanno, che si
tratti di un fenomeno di ombra della terra sulla
luna o che possano entrare in qualche modo le
nuvole. Ma attenzione le parole dei bambini sono
difficili da interpretare e allora forse togliere non
vuol dire quello che pensiamo noi.
Lucas: “Perché si toglie tutto questo”.
Insegnante: “3ITOGLIE”.
Lucas: “Si toglie… cioè rimane lì ma è tutta nera”.
Emiliano: “Perché, perché, perché qua c’è il nero e
qua c’è la luce”.
Lucas: “Perché qua diventa più buio”.
Emiliano: “Perché quando è buio, buio non si vede
proprio tutta… solo da una parte è illuminata,
dall’altra è buia”.
Emiliano sembrerebbe essersi appropriato della
soluzione corretta eppure poi afferma:
Emiliano: “Ci sono delle lune piene e lune mezze”.
Insegnante: “Ci sono lune piene e lune mezze… ce
NESONOTANTEDIVERSE”.
Emiliano: “Sì, sì… Quelle piene sono uguali, quelle
mezze non sono uguali”.
Insegnante: “#ENESONOMEZZEDIDIVERSITIPI”.
Emiliano: “Sì”.
Ma Emiliano forse potrebbe avere ancora ragione,
le lune a spicchi non sono tutte uguali, le lune
piene sì, cosa intende questo bimbo quando dice
che ci sono tante lune diverse? Ci sono o si vedono
diverse?
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
dossier
Lucas: “È perché è tolto un pezzo”.
Alice: “No, non lo sapete”.
Emiliano: “Era sopra il cielo perché è così, il pezzo è
andato sopra il cielo”.
Alice: “No, c’è una nuvola”.
Insegnante: “#ÒUNANUVOLACHELACOPRE”.
Lucas: “Non è vero… è perché era la luna piena e poi
se ne è andato un pezzo”.
Alice: “Il sole illumina tutto”.
Ranim: “Anche la luna”.
Emiliano: “E la luna piena diventa mezza… o si
vede luna piena o luna mezza”.
Alice: “Qua io la vedo piccolissima”.
Emiliano: “Nera e piccolissima… se ci spostiamo
qua vuol dire che vediamo luce… se ci spostiamo
qua, vediamo mezzo luce e mezzo nero… La luce
illumina la luna che illumina la notte… la luna
illumina la notte”.
Lucas: “Ma pochissimo”.
Educazione scientifica per l’infanzia
prima di capire veramente” ci dice Hawkins.
In successive discussioni si torna sull’argomento:
Per poter qui brevemente esporre ed analizzare
il percorso effettuato è stato necessario linearizzarlo e accompagnarlo con interventi e frasi
selezionate, necessariamente isolate dal contesto.
Così facendo si rischia però di non dare l’idea
della reale e più complessa dinamica di questa
conversazione e dell’intero percorso su cui ci si
è mossi seguendo il reale processo dei bambini;
si è trattato di un andirivieni continuo di diverse
idee, ipotesi, esperienze, emozioni. Non si è arrivati a un’interpretazione definitiva dei fatti e non
si sono abbandonate del tutto le idee iniziali, che
sono state comunque ampiamente arricchite attraverso nuove osservazioni e discussioni. I bambini di questa età fanno tante ipotesi diverse e per
lavorare su queste le confrontano con i fatti, con
quello che si vede, con le loro idee che cambiano
a seconda di quello che vanno osservando e comprendendo.
Non chiedono agli adulti di dire loro le cose come
stanno, non cercano già fatte soluzioni a cui non
possono arrivare da soli. Il salvaguardare questa
peculiarità, senza quindi smentire le loro interpretazioni offrendone una nostra come più autorevole, ma proponendo esperienze che diano l’opportunità ai bambini di pensare in proprio, evita di
trasmettere l’idea, poco proficua per arrivare a una
conoscenza significativa, che a scuola tutte le domande hanno già una risposta pronta e definitiva.
Le interpretazioni dei bambini non sono da considerare errori da eliminare e sostituire il prima possibile ma punto di partenza da arricchire vivendo
nuove esperienze e facendo nuove osservazioni.
81
dossier
Profumo di cielo
Valentina Robati*
onvinta che fosse importante portare a
scuola lo studio del cielo stellato ho pensato fin dalla progettazione del mio percorso ad
alternative per ovviare ai limiti logistici e temporali imposti dalla scuola.
Un possibile percorso può prevedere di ri-creare
con i bambini in classe, attraverso materiali differenti, un cielo stellato andando così a riflettere
sulle forme delle stelle, sul loro colore e sulle
loro dimensioni.
I bambini hanno tutti un’idea di cielo notturno,
hanno delle loro teorie e delle loro curiosità che
la manipolazione di oggetti e materiali rende visibile in modo concreto agli adulti e ai bambini
stessi (vedi anche l’incipit del percorso di Sara
Bartesaghi sulla luna).
Oppure è possibile affrontare il tema astrale
notturno, come ho fatto nella Scuola dell’infanzia di Pieranica, strutturando l’ambiente in
modo da simulare la volta celeste all’interno
della scuola, in una stanza buia con un proiettore e proporre attività che permettano ai
bambini di approcciarsi in modo graduale ad
argomenti astronomici in questo cielo simulato.
Nel mio caso ho utilizzato un apparecchio in
commercio, ma l’idea è nata dai bambini stessi:
in una discussione uno di loro ha proposto “possiamo prendere una scatola tagliare delle forme
di stelle e metterci una luce dentro che fa uscire
le stelle”.
Oltre ad un ambiente adeguato, è importante
proporre attività attraverso metodologie che
permettano sia di utilizzare i canali preferiti
dai bambini, sia di riprodurre in interno ciò su
cui si dovrebbe riflettere durante l’osservazione
diretta all’esterno. Si possono utilizzare diverse
tipologie di esperienze: attività di osservazione,
narrative, di manipolazione o basate sui giochi
corporei.
Tra queste, l’aspetto narrativo risulta essere fondamentale, in parte per il coinvolgimento emotivo che porta inevitabilmente con sé, incentivando la partecipazione e l’immaginazione, ma
anche perché permette di introdurre in modo
naturali temi importanti, quale ad esempio, la
Educazione scientifica per l’infanzia
C
Io conosco tante cose sulle stelle: ci sono le stelle
comete, le stelle a punta, le stelle rotonde.
Aurora, 4 anni
dimensione storica del costruirsi della conoscenza scientifica.
Se davvero si vogliono accompagnare i bambini
alla scoperta dell’astronomia, come il tempo ha
accompagnato gli antichi che per primi alzarono uno sguardo critico al cielo, allora bisogna
partire dai miti e dalle leggende che hanno dato
i nomi alle costellazioni, dalla fantasia e dall’immaginazione, avvicinandosi, attraverso la conoscenza di strumenti adatti e di personaggi rivoluzionari, all’Astronomia con la A maiuscola.
Ad esempio, dopo aver osservato le costellazioni
sul cielo proiettato, ne abbiamo create di nostre
unendo dei puntini su un foglio e notando come
dagli stessi punti è possibile ottenere figure diverse a seconda dell’immaginazione di ognuno.
Le figure ottenute si possono inserire in storie
che le colleghino per meglio ricordarle e riconoscere. Ho quindi deciso di dare valore alla loro
esperienza narrando una storia, un mito, “che
avevano inventato gli uomini, tanto tempo fa”.
Si è deciso di utilizzare il mito dell’Orsa Maggiore, il quale ha molto appassionato i bambini
e ci ha permesso di fare nuove conoscenze
partendo dalle informazioni che esso ci aveva
trasmesso: abbiamo scoperto la stella polare
“che si trova proprio sulla coda del piccolo orso”,
abbiamo capito attraverso giochi corporei e attività grafiche cosa ha di speciale ovvero è l’unica
stella che vediamo ferma nel cielo e “serve ad
aiutare i marinai per capire dove andare” (Leo,
5 anni).
Questa narrazione aveva aperto la possibilità di
esplorare mille percorsi diversi.
Si sarebbe potuto continuare su un discorso
più narrativo e iniziare a creare favole partendo
dai personaggi del cielo dei bambini; si sarebbe
potuto lavorare sul piano grafico e matematico
con le linee spezzate delle costellazioni, gli andamenti sinuosi delle galassie o delle nebulose,
Valentina Robati
* Laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano Bicocca
82
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
dossier
Educazione scientifica per l’infanzia
o i cerchi delle stelle; si sarebbe potuto affrontare tutta la tematica sulle distanze delle stelle
in una stessa costellazione nello spazio (e la
conseguente profondità del cielo stellato), o lavorare sulla dimensione osservata degli oggetti
a seconda della distanza a cui si trovano attraverso la creazione di modelli e procedendo per
prove ed errori.
Ho deciso però in questo percorso di farmi
guidare prevalentemente dalle domande e dalle
curiosità dei bambini. Lo studio del cielo è
anche nell’immaginario collettivo legato agli
“strumenti ottici”. È nato proprio dai piccoli un
progressivo interesse per lenti, binocoli e cannocchiali.
Si è dunque pensato, dopo un primo momento
di “pasticciamento” in cui ognuno sperimentava
liberamente questi strumenti in classe e nel
giardino (stando attenti a non puntarli verso
il sole!), di strutturare delle attività più specifiche nelle quali i bambini avrebbero dovuto
osservare delle immagini da diverse distanze, in
modo tale da comprendere l’utilità, la funzione
e la precisione delle lenti.
La connessione storica tra il cannocchiale e
l’osservazione del cielo notturno, mi ha poi permesso di introdurre la figura di Galileo, di far
conoscere la sua biografia attraverso una narrazione drammatizzata in cui mi sono travestita
da Galileo e di osservare i suoi disegni dei pianeti, tratti direttamente senza nessuna modifica
dal Sidereus Nuncius, la sua massima opera di
divulgazione di astronomia.
Siamo poi passati a giochi corporei, per permettere una rielaborazione intima di un fatto
prima conosciuto solo teoricamente. Questo ha
permesso ai bambini di assumere punti di vista
diversi, di “osservare” Giove e i suoi satelliti dalla
Terra come visti da Galileo e poi dallo spazio,
giungendo così alla conclusione che “quando
dalla Terra si vedono tre (satelliti) è perché uno
si nasconde dietro a Giove che è grasso” (Gaia 4
anni).
Tenendo sempre presente la tensione didattica
tra ciò che si vuole proporre e le conoscenze dei
bambini, il percorso deve essere strutturato come
un progetto che va costruendosi in itinere in base
alle loro domande, curiosità e interessi e alle risorse e ai vincoli del contesto.
Così grazie all’abilità dei bambini di passare dal
mondo simbolico al mondo reale, come avviene
nel gioco “del far finta”, è stato possibile proporre
loro diverse rappresentazioni del cielo (narrazioni, proiezioni, modelli in scala, rappresentazioni corporee) utilizzandone sempre più di una
per uno stesso fatto così da non indurre la confusione tra ciò che accade e ciò che è rappresentazione e analogia finalizzata all’apprendimento.
Consapevole che per le cose “vicine” l’osservazione diretta sia insostituibile, credo però che per
i bambini le stelle e i pianeti reali siano entità così
lontane e irraggiungibili che anche quelli simulati
possano sostituire degnamente quelli osservabili
nel cielo notturno, superando così i vincoli che
il contesto scolastico pone. Ma per rimanere
coerenti alle scelte didattiche e metodologiche
di fondo, di una educazione scientifica attiva e
partecipata, la simulazione deve avvenire in uno
spazio che permetta ai bambini di muoversi e
osservare da diverse prospettive, li rassicuri ma
sia analogo allo spazio aperto, che avvicini il cielo
ma non lo trasformi in un disegno statico, che ne
riproduca i movimenti osservati, che sia un piccolo ricco cielo a misura di bambino.
per approfondire
Gruppo di ricerca Pedagogia del Cielo del MCE,
A scuola di miti e scienza, Junior, Bergamo, 2009.
D. Hawkins, Pasticciando con le scienze, in Imparare a vedere. Saggi sull’apprendimento e sulla
natura umana, Loescher, Torino 1979.
83
Antonella Pezzotti*
Educazione scientifica per l’infanzia
dossier
Esperienze di biologia
tra ambienti di apprendimento
outdoor e indoor
ccuparsi di temi legati agli organismi viventi
significa cercare di capire come sono fatti,
come mangiano, come si accoppiano, come comunicano con l’esterno, come si comportano in determinate situazioni, ecc. Per comprendere in modo
significativo anche solo alcuni di questi aspetti
sono necessarie esperienze dirette e personali in
cui ciascun bambino, con il proprio bagaglio di
esperienze e conoscenze, sperimenti il piacere di
scoprire “dal vero” quello che fanno i viventi.
L’apprendimento costruito su attività concrete, in
cui il lavoro di tipo pratico sia integrato alla riflessione sull’esperienza vissuta, risulta sicuramente
più efficace. È quanto suggeriscono le Indicazioni
ministeriali, in cui è sottolineato il ruolo centrale
dell’esperienza e della dimensione laboratoriale,
cioè di quella “modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli
alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e
può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni
interni alla scuola sia valorizzando il territorio come
risorsa per l’apprendimento”.
Che cosa si intende per laboratorio? Come spiega
Bersisa, il laboratorio non è soltanto uno spazio fisico, ma anche e soprattutto un “luogo privilegiato
dove è possibile mettere in atto la metodologia della
ricerca”, cioè un luogo in cui si fanno e si condividono osservazioni, si produce documentazione
(con disegni, descrizioni, schemi), si fanno ipotesi
e le si mettono alla prova dei fatti, ecc.
Il laboratorio non è solo un’aula attrezzata: può
essere un angolo della classe dedicato a una particolare attività, una sezione del museo o della
biblioteca, ma anche un orto botanico, un bosco,
un prato, uno stagno; può essere anche un setting
didattico costruito ad hoc all’interno di strutture
meno tradizionalmente vicine alla scuola, per
esempio giardini pubblici, supermercati, centri
per l’educazione informale, ecc. Nel laboratorio
non ci si limita a manipolare: questo non basta,
non è la strada giusta per fornire ai bambini quel
bagaglio di conoscenze e competenze da spendere
anche e soprattutto al di fuori di quello specifico contesto, al di fuori della scuola. Il lavoro di
tipo pratico deve essere sempre affiancato da un
O
certo grado di riflessività, di consapevolezza, di
pensiero. Il concetto di laboratorio così inteso si
inserisce in quello più ampio di ambiente di apprendimento, da intendersi come luogo fisico ma
anche come luogo mentale e sociale fatto di azioni,
pratiche didattiche, relazioni. Seguendo il pensiero di Antonietti e di Carletti e Varani, l’ambiente
di apprendimento è uno spazio di esperienza, di
riflessione, di condivisione, di elaborazione, di
assegnazione di significati; è un luogo in cui una
serie di attività si realizzano con l’obiettivo di favorire l’apprendimento e in cui gli attori possono
contare su una serie di supporti materiali e sulla
collaborazione con gli altri.
È importante quindi che gli insegnanti propongano esperienze pratiche di biologia e che lo facciano predisponendo ex novo oppure adattando
opportuni ambienti di apprendimento sia interni
sia esterni alla scuola: l’angolo con le teche per l’allevamento d’insetti, l’angolo con il cartellone della
memoria su cui raccontare le fasi delle esperienze
vissute, il giardino per osservare i cambiamenti
degli alberi, lo stagno per osservare uova, girini e
rane, ecc.
La scelta e la preparazione dell’ambiente di apprendimento devono costituire la prima fase di
ogni progettualità educativa, fin dalla Scuola
dell’infanzia. Se nello scenario predisposto si vuole
portare avanti un lavoro di tipo cognitivo e non
“fare semplicemente delle cose”, occorre dedicare
alla sua preparazione particolare cura e attenzione. Questo aspetto è molto importante nel caso
di esperienze di biologia, per realizzare le quali
occorre un luogo “emblematico”, speciale, in cui
l’allestimento sia funzionale al tipo di lavoro che vi
si svolgerà. Inoltre, aspetto non meno importante,
l’ambiente di apprendimento deve piacere, risultare accattivante, deve invogliare i bambini che si
apprestano a fare delle attività. Nella fase di preparazione del luogo per le esperienze l’insegnante
deve trovare il modo di attivare nei bambini quella
zona delicata ma fondamentale che li farà stare più
attenti, li renderà curiosi, offrirà loro l’opportunità
di esercitare un’azione creativa nei confronti del
proprio imparare.
E gli ambienti esterni? Uguale attenzione e cura
Antonella Pezzotti
* Dottore di ricerca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”
84
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
1. L’ecosistema albero
Argomento
Gli alberi sono una grande risorsa e offrono una
quantità immensa di materiale da osservare, toccare, odorare, assaggiare, raccogliere, trasportare,
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
dossier
studiare con approfondimenti diversi, utilizzare
per colorare, ecc. Pensiamo alle gemme, fiori,
frutti, semi, foglie, rametti, cortecce, radici… Inoltre, se ci si avvicina ad una pianta con attenzione
ci si accorge che essa ospita, nasconde, attira una
miriade di organismi viventi: uccelli che si posano
sui rami o vi fanno il nido, insetti che corrono su
e giù per il tronco, altri insetti che mangiano le
foglie, funghi che crescono sulla corteccia, ecc. Gli
alberi instaurano infatti una fitta e intricata rete di
relazioni con l’ambiente in cui vivono, con le altre
piante, con gli animali, con i funghi e con i batteri.
Pertanto, sono da considerarsi dei veri e propri
ecosistemi e in quanto tali si prestano a ricche
esplorazioni. Sul campo si individua un albero e
lo si studia nella sua totalità, cercando di cogliere
anche solo alcune delle relazioni che lo vedono
protagonista; all’interno della sezione si studiano
più in dettaglio alcuni elementi dell’ecosistema.
Educazione scientifica per l’infanzia
vanno date alla scelta degli ambienti esterni:
devono essere ambienti piacevoli, stimolanti, accattivanti… ma soprattutto deve essere piacevole,
stimolante e accattivante l’approccio all’utilizzo
dell’ambiente e il lavoro che viene proposto (come
ci ricorda Bortolotti). Il rischio, altrimenti, è
quello di sminuire il significato didattico ed educativo dell’uscita sul campo.
L’idea di uscire all’aria aperta entusiasma sempre
moltissimo i bambini. Il giardino della scuola è già
un buon punto di partenza per scoprire la varietà
di organismi che vi trovano dimora. Il giardino è
certamente il luogo adatto per lo svago, il gioco,
il relax, ma può diventare anche un luogo di scoperta, di caccia, di raccolta, di incontro con la natura. Un luogo, quindi, in cui poter fare esperienze
di biologia. Così inteso il giardino è un giardino
segreto. Ritscher ci dice che: “Per i bambini, ogni
spazio esterno è, in certi sensi, “segreto”. È segreto
perché la natura è piena di segreti e offre un’infinità
di attrazioni, anche piccolissime, da esplorare”.
Lo sforzo che deve fare l’insegnante è quello di
assecondare il naturale interesse dei bambini nei
confronti degli organismi viventi e trasformare il
giardino della scuola, il bosco, lo stagno in contesti
di apprendimento, in teatri di esplorazioni, di osservazioni, di indagine, di raccolta di dati e di materiale… in luoghi in cui si può entrare in stretto
contatto con l’ambiente naturale e con gli organismi viventi (vedi Gambini, Galimberti, 2010).
Come utilizzare questi ambienti di apprendimento
indoor e outdoor per proporre esperienze di biologia? Cosa è possibile fare outdoor? E cosa indoor?
Sul campo è difficile ottenere l’attenzione e il raccoglimento necessari per discutere, per riflettere,
rielaborare, ecc. Risulta più adatto per tale scopo
lo spazio interno (come sostengono Gambini,
Galimberti, 2009). Ma lo spazio interno, opportunamente organizzato, è utile anche per conservare
i materiali raccolti fuori, per “far crescere”, per
allevare, per monitorare, per documentare e tenere
memoria. Di seguito sono illustrate tre esperienze
di biologia che si basano sul lavoro svolto in classe
durante il proprio tirocinio finale da tre laureate
in Scienze della Formazione primaria, rispettivamente da Monica Nebuloni, Elena Brambilla,
Valentina Borgo. Sono progetti proponibili in
classi di Scuola dell’infanzia e caratterizzati da
una stretta continuità e integrazione tra attività
da svolgersi outdoor e attività da svolgersi indoor.
Ambienti di apprendimento
L’ambiente outdoor è costituito da un parco, un
giardino o un bosco di facile accesso in cui si
trovino diverse specie arboree (in modo da consentire riflessioni sul concetto di biodiversità e
sull’importanza della sua salvaguardia) e in cui sia
presente almeno un albero importante, di grandi
dimensioni. L’ambiente indoor è costituito dalla
sezione in cui siano organizzabili un angolo scientifico per le osservazioni (banchi che consentano
la circolazione dei bambini tra i diversi gruppi
di lavoro, buona illuminazione, lenti di ingrandimento, vaschette, contenitori e cesti per la raccolta
e l’esposizione dei materiali, lastre in plexiglas per
osservare sia da sopra sia da sotto) e un angolo per
le attività artistiche, dotato di tutti i materiali per
le rappresentazioni pittoriche, la realizzazione di
modelli, ecc.
Fasi dell’esperienza
s ! PARTIRE DALLA DOMANDA STIMOLO h#OSA Ò PER
te un albero?” si avvia una conversazione per
raccogliere le idee dei bambini relativamente
all’argomento di studio. In seguito si chiede
loro di disegnare un albero, così come se lo
rappresentano mentalmente. Il materiale così
raccolto costituisce la base su cui l’insegnante
costruisce le successive fasi del percorso.
s $URANTELAPRIMAUSCITASIPROPONEUNOSSERVAzione generale degli alberi del parco e la realizzazione di un disegno “dal vero”. L’uscita può
essere fatta anche in inverno, durante il quale
è possibile osservare la struttura degli alberi,
la disposizione dei rami, la presenza di nidi di
uccelli.
s -ETTENDO A CONFRONTO I DISEGNI REALIZZATI SUL
campo ci si rende subito conto che gli alberi
85
dossier
s
Educazione scientifica per l’infanzia
s
s
s
sono molto diversi tra loro (concetto di biodiversità).
$IFRONTEAIDIVERSIALBERIDELPARCOSIPUÛPRO
porre il gioco del mimo: dopo aver osservato
la loro struttura generale e la disposizione dei
rami, si chiede ai bambini di rappresentarli
con il corpo e di immaginare cosa succeda ai
rami in caso di pioggia, sole, neve, vento, ecc.
!LTERMINEDIQUESTEATTIVITÌMIRATEAFARACQUI
sire familiarità con l’oggetto di studio, si ripropone la domanda stimolo “Cosa è per te un albero?” e si chiede una nuova rappresentazione.
I dati così raccolti, messi a confronto con quelli
precedenti e con i successivi, costituiscono un
importante strumento di valutazione dell’efficacia del percorso che si sta proponendo.
)LPERCORSOSICONCENTRAORASUUNSOLOALBERO
da studiare in quanto ecosistema attraverso
diverse uscite sul campo mirate a esaminare di
volta in volta nuovi aspetti e nuove relazioni. Si
osservano gli organi della pianta (tronco, rami,
foglie, fiori, frutti), ma anche gli animali e gli
altri organismi in relazione ad essa (muschio e
funghi sul tronco, piccoli animali sulla e dentro la corteccia, uccelli che si posano sui rami).
Le esplorazioni sono di tipo multisensoriale:
si tocca con le mani, con la schiena e con la
pancia; si va alla ricerca di profumi, si osserva
con strumenti diversi, si ascoltano i suoni e i
rumori.
Il desiderio di raccogliere materiale è sempre
molto forte nei bambini: è necessario quindi
uscire sempre con palette per scavare tra le
radici e raccogliere terriccio, cestini in cui riporre legnetti e pezzetti di cortecce, sacchetti
in cui raccogliere fiori e foglie, contenitori trasparenti con coperchio bucherellato per mantenere gli animali, ecc. Da non dimenticare le
lenti d’ingrandimento per osservare i dettagli
e, come suggerito da Gambini e Galimberti,
il finto cannocchiale (cioè un tubo di cartone
come quello della carta da cucina) per focalizzare l’attenzione sulle parti lontane.
3I PORTA NELLANGOLO SCIENTIlCO TUTTO IL MATE
riale raccolto per osservarlo e manipolarlo nel
Fasi dell’esperienza “L’ecosistema albero”
Indoor
t "WWJPFSBDDPMUBEFMMFJEFF
t "OBMJTJEFJEJTFHOJFQSJNF
SJnFTTJPOJTVMMBCJPEJWFSTJUË
t %JTDVTTJPOF
t 4UVEJPEFMNBUFSJBMFOBUVSBMF
EJTFHOJFEPDVNFOUB[JPOF
t 3FBMJ[[B[JPOFEFMQSPEPUUP
DPMMFUUJWPFEJTDVTTJPOFmOBMF
86
Outdoor
t 0TTFSWB[JPOFHFOFSBMF
EFHMJBMCFSJFEJTFHOP
t (JPDPEFMNJNP
t 0TTFSWB[JPOJ
NVMUJTFOTPSJBMJTUVEJP
EFMMFDPTJTUFNB
BMCFSPSBDDPMUBEJ
NBUFSJBMF
dettaglio. Si lavora per esempio sulla forma,
dimensione, consistenza, colore, profumo delle
foglie e sulla loro diversità. Si analizzano
cortecce per scoprire i rifugi o le tracce di
piccoli animali, si osservano con la lente di
ingrandimento gli animali catturati, ecc. Le
osservazioni, guidate dall’insegnante, sono documentate con fotografie, disegni e altre rappresentazioni artistiche.
s /LTREAIPRODOTTIREALIZZATIINDIVIDUALMENTEDAI
bambini si può proporre, alla fine, la realizzazione di un prodotto collettivo che coinvolga
tutta la sezione, per esempio il modello tridimensionale dell’albero e di tutti gli altri viventi
ad esso relazionati. Per cercare di riprodurre le
sensazioni e le percezioni provate dai bambini
durante l’esperienza diretta è opportuno utilizzare, oltre al materiale presente in sezione
(stoffe, carta, cartone, bottoni, sughero, ecc.), il
materiale naturale raccolto sul campo: pezzi di
Descrizione dell’albero di una bambina
durante la discussione finale
Un albero è una cosa della natura.
Fuori ha la corteccia che è ruvida; poi sulla corteccia sono cresciuti il muschio e i funghi. La corteccia
serve all’albero per proteggersi.
Le foglie servono per bere, nel senso che ci sono i
tubicini.
Le radici servono a tenere in piedi l’albero. Le radici
prendono anche il cibo dalla terra, che poi sale fino
alle foglie.
Sulla quercia ci sono tanti animali; noi abbiamo
trovato il bruco, la coccinella, la formica, il ragno, il
millepiedi, la forbicina, il lombrico.
Gli animali stanno sulla quercia perché ci sono tante
cose.
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
Argomento
Le radici sono organi delle piante di cui nella
scuola si fa poca esperienza pratica e ai quali non
sempre si guarda con l’intento di coglierne la diversità, le funzioni e le relazioni che instaurano con
altri organismi e con l’ambiente. Le radici, quindi,
sono generalmente poco conosciute dai bambini.
Proprio per questa ragione è importante proporre
esperienze dirette per mostrarne alcuni aspetti
della biologia e dell’ecologia. In una fase outdoor,
da svolgersi nel giardino della scuola o in un parco,
è possibile andare a caccia di radici e osservarle
così come sono nell’ambiente: le radici degli alberi
sono talvolta molto contorte, o assumono forme
strane per “aggirare” gli ostacoli. Inoltre, scavando
in prossimità delle radici, ci si accorge che attorno
ad esse ci sono numerose forme di vita: animali
che vi trovano rifugio, animali che le mangiano,
radici di altre piante con le quali si attorcigliano,
ecc. Le osservazioni sul campo consentono quindi
di approfondire la conoscenza di un organo delle
piante inserito nel proprio contesto ambientale e
quindi caratterizzato da moltissime relazioni. In
classe, invece, si possono fare esperienze mirate a
seguire la crescita di radici appartenenti a specie
vegetali diverse, al fine di metterne in evidenza le
peculiarità, i cambiamenti nel tempo e la variabilità morfologica. La coltivazione delle piante è
un’ottima opportunità per stabilire una relazione
di cura e per responsabilizzare i bambini alla sopravvivenza di organismi viventi.
Ambienti di apprendimento
L’ambiente outdoor è costituito da un giardino
(anche quello della scuola), da un parco o un bosco in cui sia possibile osservare radici di alberi
diversi. Molto interessante sarebbe anche avere
a disposizione (o realizzare) un’aiuola dedicata
in cui piantare le talee che si saranno formate in
classe. L’ambiente indoor è costituito dalla sezione
in cui sia organizzabile, oltre all’angolo in cui
svolgere il lavoro di osservazione, un angolo delle
piantine, ossia un angolo/spazio in cui riporre, ad
altezza di bambino (quindi su un tavolino basso o
su una panca), i contenitori per mantenere le specie vegetali scelte per l’osservazione della crescita
delle radici.
s
s
s
s
dossier
2. Le radici
aggiunta) la visione di alcuni libri per l’infanzia
illustrati in cui siano messe ben in evidenza
le radici degli alberi. A partire dallo stimolo
iniziale si avvia poi una discussione per raccogliere le prime idee dei bambini relativamente
alle radici, le loro domande, i loro interessi.
3I ENTRA NEL VIVO DELLESPERIENZA E SI PROPONE
ai bambini di andare a caccia di radici: per
osservarle, toccarle, seguirne il percorso tortuoso, descriverle, disegnarle. Si possono scavare piccole buche per scovare le parti di radici
che si nascondono sottoterra, o per trovare
qualche piccolo animale che vive nelle loro vicinanze. Quest’attività, proposta come una sorta
di gioco, consente di focalizzare l’interesse dei
bambini nei confronti dell’oggetto di studio e di
avvicinarli fin da subito al concetto di biodiversità.
!LRIENTROINSEZIONESIDISCUTEDIQUANTOÒSTATO
fatto e visto fuori. L’insegnante, poi, introduce
la possibilità di coltivare delle radici in classe e
coinvolge i bambini nella progettazione dell’angolo in cui mantenere le piantine.
0ERMONITORARELACRESCITADELLERADICIDURANTE
la formazione di talee si immergono in acqua,
in appositi contenitori, rami potati da piante
diverse. Parti di piante alimentari (patata, cipolla, ravanello) sono invece mantenute al pelo
dell’acqua, sorrette da lunghi stuzzicadenti.
Osservando periodicamente le piantine, i bambini si accorgono che non tutte sviluppano le
radici nello stesso modo e con la stessa velocità
e che le radici sono morfologicamente diverse
tra loro: ciascuna ha delle peculiarità che la
distingue dalle altre.
,A CRESCITA E I CAMBIAMENTI DELLE RADICI SONO
costantemente documentati sia attraverso la
registrazione delle conversazioni tra insegnante
e bambini, sia attraverso la realizzazione di
un cartellone delle crescite – in cui si riportano
descrizioni e fotografie dei momenti più significativi – sia attraverso i disegni “dal vero” realizzati dai bambini. In aggiunta ai disegni si può
proporre la riproduzione delle diverse radici
Educazione scientifica per l’infanzia
corteccia, muschio, funghi, rami, foglie, ecc. Al
termine di tutte le attività si intavola un’ultima
discussione e si fa una sintesi del lavoro fatto.
Fasi dell’esperienza
s 3IPUÛINTRODURRELESPERIENZAATTRAVERSOLALETtura di una storia, anche inventata, oppure (o in
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
87
Fasi dell’esperienza “Le radici”
dossier
Indoor
Educazione scientifica per l’infanzia
t "WWJPFSBDDPMUBEFMMFJEFF
t %JTDVTTJPOFFQSFQBSB[JPOF
BOHPMPEFMMFQJBOUJOF
t $PMUJWB[JPOFEFMMFQJBOUJOF
PTTFSWB[JPOJFNPOJUPSBHHJP
t %PDVNFOUB[JPOFFBUUJWJUË
BSUJTUJDIF
Outdoor
t "DBDDJBEJSBEJDJ
t *NQJBOUPJOUFSSBF
PTTFSWB[JPOFEFMMF
QJBOUFJOBNCJFOUF
Conversazione tra insegnante e bambini
D: Guardate la menta … le radici sono cresciute tanto.
G: Sono bianchissime … e sottili sottili. Dobbiamo stare
attenti a toccarle, sennò si rompono.
El: Guardate le cipolle. I germogli sono cresciuti ancora!
F: Sì, ma sotto ci sono anche delle radici bianche.
El: Sono bianche come quelle della menta, però sono
più grosse.
Ins: E le altre piantine?
D: Non è successo ancora nulla … ci vuole pazienza.
M: La menta è stata veloce, ma non tutte le piantine
crescono insieme.
F: Eh sì, perché sono tutte piantine diverse.
utilizzando fili di lana, di cotone e cordine di
diverso spessore da attaccare a un cartoncino.
Scegliendo i fili più adatti i bambini si soffermano ancora una volta sulle caratteristiche
delle radici e, ancora una volta, si accorgono
della diversità di lunghezza, spessore, direzionalità.
s 3ICONCLUDELESPERIENZACONLIMPIANTOINTERRA
nell’aiuola dedicata, delle talee che si sono
formate in precedenza. In questo modo, ancora una volta, si ha la possibilità di ritornare
nell’ambiente per nuove osservazioni, non più
delle radici, ma delle piantine nella loro totalità. Ciò può costituire uno spunto per ulteriori
esperienze mirate ad osservare altri organi e
altri aspetti delle piante.
3. La Vanessa dell’ortica
Argomento
Quando si sceglie di allevare piccoli animali in
classe la fase di preparazione è particolarmente
importante. Occorre pensare e progettare con
cura l’ambiente in cui dovrà essere mantenuto
l’animale, occorre studiare attentamente le sue
esigenze, l’ambiente in cui vive e le relazioni che
esso instaura. Come illustrano anche Gambini,
Galimberti e Borgo, proporre ai bambini lo studio
di un particolare animale, tenendolo per un po’ di
tempo in classe, è molto importante e utile ai fini
della comprensione di alcune sue caratteristiche
biologiche, del suo ciclo vitale, dei suoi comporta-
88
menti, ecc. Tuttavia è fondamentale non escludere
il legame con il contesto naturale in cui l’animale
vive. Questo legame deve essere mantenuto vivo
e ripreso durante l’esperienza di allevamento. Le
relazioni alimentari sono un aspetto pregnante di
questo intrico di interazioni. La strettissima relazione tra animale e fonte di cibo è ben evidente nel
caso della Vanessa (come per molti insetti), che,
allo stadio larvale, si nutre esclusivamente di foglie
di ortica. Diverse uscite presso un orticaio vicino
alla scuola consentono non solo di responsabilizzare i bambini nel mantenere e prendersi cura
degli animali, ma anche di tornare di continuo
alla visione d’insieme dell’ambiente naturale delle
larve e associare, quindi, quanto osservato in classe
a quanto avviene in natura. Ancora meglio sarebbe
allestire un giardino dotato delle piante nutrici della
Vanessa, sia allo stadio larvale che a quello adulto.
Questo consentirebbe di liberarvi le farfalle “nate”
in sezione, assistere al loro accoppiamento, andare
alla ricerca di crisalidi e uova e vedere le larve
appena nate. Si potrebbero così individuare e ricostruire nell’ambiente naturale alcuni componenti e
le loro relazioni osservati nella fase di “laboratorio”
allestita in classe.
Ambienti di apprendimento
All’interno della classe va predisposto un angolo
luminoso (ma non esposto alla luce diretta del sole)
in cui posizionare una o più teche per mantenere le
larve. L’angolo deve essere sufficientemente ampio
per consentire l’osservazione ai diversi gruppi di
bambini e la sua fruizione deve essere regolata da
regole specifiche concordate insieme ai bambini.
Particolare cura va data anche alla realizzazione
delle teche: occorre prevedere un soffitto e delle
pareti fatti di tulle per far sì che le larve possano
aggrapparsi e impuparsi, una base rivestita di carta
assorbente (facilmente sostituibile se si sporca), un
vasetto per contenere i rametti di ortica.
L’ambiente outdoor è costituito da un orticaio
o, meglio ancora, da un piccolo giardino ricco
di piante che con i loro fiori attirino le farfalle e,
ovviamente, di ortiche le cui foglie serviranno da
nutrimento per le larve.
Fasi dell’esperienza
s 5NMODOCREATIVOPERAVVIAREILLAVOROPOTREBBE
essere quello di proporre l’osservazione di alcune
diapositive proiettate in sequenza, ciascuna delle
quali presenti via via un particolare in più del
corpo di una farfalla (per esempio, con la prima
si proietta sul muro l’ombra di un’ala, con la seconda due ali e così via).
s ,E OSSERVAZIONI AVVENGONO A PICCOLI GRUPPI PER
consentire a tutti di osservare con attenzione,
di accorgersi dei cambiamenti degli animali, dei
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
Fasi dell’esperienza “La Vanessa dell’ortica”
Indoor
t "WWJPFSBDDPMUBEFMMFJEFF
t "MMFWBNFOUPEJ7BOFTTF
PTTFSWB[JPOJNPOJUPSBHHJP
EPDVNFOUB[JPOF
t "UUJWJUËQBSBMMFMF
t 3FBMJ[[B[JPOFEJVOQSPEPUUP
DPMMFUUJWP
Outdoor
t 3BDDPMUBEFMMFGPHMJF
EJPSUJDB
t -JCFSB[JPOFEFMMF
GBSGBMMFPTTFSWB[JPOJ
FOVPWFSBDDPMUF
n. 1sSETTEMBREsANNO#)
Educazione scientifica per l’infanzia
loro comportamenti, della loro diversità. Quotidianamente si chiede ai bambini di raccontare
ciò che vedono, ponendo domande-stimolo qualora lo si ritenga opportuno. Ogni volta che nelle
teche succede qualcosa di speciale (per esempio
quando si nota la prima cacca, quando si forma
la prima crisalide, quando questa cambia di
colore…) si chiede ai bambini di rappresentare
graficamente l’evento. Ovviamente per tutta la
durata dell’esperienza è necessario uscire frequentemente sul campo per raccogliere foglie di
ortica fresche.
s 0ARALLELAMENTE ALLOSSERVAZIONE SI POSSONO PRO
porre altre attività, per esempio la drammatizzazione. In questo caso si chiede ai bambini di immedesimarsi nei bruchi e di cercare il cibo, fare
la muta e diventare bruchi più grandi, trasformarsi in crisalidi e così via. Un’altra attività che
si può proporre è la realizzazione di un modello
tridimensionale di bruco e farfalla utilizzando
il pongo, il cartoncino, le bottiglie di plastica, i
colori.
s ,ESPERIENZASICONCLUDECONLAREALIZZAZIONEDI
un prodotto collettivo, per esempio un libro in
cui inserire disegni, materiale seccato, fotografie, commenti trascritti dall’insegnante. Questo
prodotto può essere utilizzato per riflettere e
fissare nella memoria l’esperienza, per capire
l’importanza del ripensare a quello che si fa, del
far diventare prodotto culturale anche l’osservazione divertita e attenta di un animale ospitato
in classe per un certo periodo.
dossier
s 6IAVIACHELEFARFALLENASCONOOCCORRELIBERARLE
per evitare che si feriscano nello spazio ristretto
delle teche. Se si è avuta la possibilità di allestire un apposto giardino, è possibile ritornarci
frequentemente per osservare le farfalle adulte,
l’eventuale corteggiamento e, se si ha fortuna,
anche per scovare le successive uova e larve.
per approfondire
A. Antonietti, Contesti di sviluppo-apprendimento
come scenari di scuola, in C. Scurati (a cura di),
Infanzia scenari di scuola, Editrice La scuola,
Brescia 2003.
M. Bersisa, Il laboratorio di scienze: tecniche e
attrezzature, in V. Alfieri, M. Arcà, P. Guidoni, I
modi di fare scienze, IRRSAE Piemonte, Bollati
Boringhieri, Torino 2000, p. 435.
A. Bortolotti, Outdoor education, ovvero alla scoperta dei (molti) motivi per fare scuola all’aperto,
“Infanzia”, 6, 2011.
A. Carletti, A. Varani, Ambienti di apprendimento
e nuove tecnologie, Erickson, Trento 2007.
A. Gambini, B. Galimberti, Materiali e spazi tra
fuori e dentro, “Bambini”, 8, 2009.
A. Gambini, B. Galimberti, Ambienti, animali e
piante nella scuola dell’infanzia. Linee-guida per
progettare e realizzare percorsi di biologia con
bambini da 3 a 6 anni, Junior, Bergamo 2010.
A. Gambini, B. Galimberti, V. Borgo, Dai bruchi
alle farfalle, “Bambini”, 4, 2010.
MIUR, Indicazioni per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma
4 settembre 2012. Consultabile in: http://hubmiur.
pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12
A. Pezzotti, Proposta di analisi pedagogica delle
interazioni che si sviluppano nei forum di un ambiente di apprendimento virtuale. Il caso del corso
online di didattica della biologia. Tesi di Dottorato,
2011. Consultabile presso: http://boa.unimib.it/
handle/10281/19279?mode=full#.UTnVDRxWySo
P. Ritscher, Il giardino dei segreti: organizzare e
vivere gli spazi esterni nei servizi per l’infanzia,
Junior, Bergamo 2002, p. 6.
89
Spazio libri
Laura Colizzi*
Storie del fare e del rifare
ncominciamo l’anno con una
proposta del fare che nasconde
una traccia lunga lunga, perché è
una storia che attraversa le stagioni Ravanello cosa fai? scritto
e illustrato da Emanuela Bussolati è una novità di Editoriale
Scienza (€ 9,90) che offre tantissimi pregi. Prima di tutto stimola
nei bambini il senso dell’attesa:
quello che un tempo era conosciuto come “abbi pazienza!”
“non si può aver tutto subito” è
sparito dal mondo dei piccoli e
un po’ nei siamo responsabili anche noi che li cresciamo a ritmi
sostenuti, dimenticando l’utilità
la ricchezza dei “tempi morti”
e della magia dell’aspettare….
Per reintrodurre il tempo che
trascorre lento mentre il semino
dorme cresce l’autrice suggerisce di farsi raccontare una storia, una sola però, ogni giorno,
così anche il rapporto con l’adulto e la tradizione assumono
un grande valore. Ma sveliamo
qualche pagina di questa straordinario album: che cosa serve
a un ravanello? Terra ghiaia vasetti cartellini calendario… da
queste piccole indicazioni date
dagli adulti può partire l’atti-
I
vità e tutti, proprio tutti possono partecipare e trasformarsi
in contadini provetti. Non basta
avere il materiale occorre sapere
come usarlo, quindi capire a cosa
servono i cartellini, perché bagnare i semini con lo spruzzino,
perché togliere l’acqua dal sottovaso: quante attività, quanto
lavoro, che fatica, ma anche che
divertimento. E i giorni passano
e non sembrano vuoti… inoltre
si possono fare gli esperimenti:
mettere tanti semi o pochi semi
in un vaso, mettere le piantine
all’aperto o al chiuso, alla luce o
al buio, scoprire quante varietà
di ravanelli esistono… e osservare la meraviglia della natura.
Ma quando potremo mangiare?
E soprattutto come? Ah! Ci sono
anche le ricette! Sì, è proprio
un libro lungo un mese…ma lo
posso leggere in qualsiasi periodo dell’anno per prepararmi e
procurarmi in tempo tutto l’occorrente.
Un altro desiderio dei bambini è
possedere un animale. Di solito i
genitori acconsentono e compaiono con un grazioso cucciolo o
un sornione gatto, quest’ultimo
riscuote minore interesse perché
fa vita indipendente. Ma il cucciolo diventa il giocattolo vivo
per un po’ poi quando cresce
viene riaffidato alle cure del genitore… insomma anche qui si
tratta di educare i bambini all’amore al rispetto e per accendere
il loro interesse occorre spostare
l’attenzione su un animale “domestico” un po’ inusuale: un’oca.
È un incontro casuale quello che
accade in campagna tra un scrittore di città e un’oca che sta per
essere venduta. Ognuno sta seguendo il suo destino: l’uomo è lì
per riposarsi, l’animale per finire
in qualche aia o in qualche pentolone. Ma se si modifica questo
avvenire anche solo per amore
bisogna essere disposti anche a
cambiare stile di vita. Eh sì perché lo scrittore compra l’oca e la
porta in città, convinto di fare la
cosa giusta, di salvarla da una triste fine, ma il bipede non è felice,
perché non può correre, non può
mangiare l’erba fresca, non può
giocare coi suoi simili… lo scrittore comprende e mette il giusto
annuncio sul giornale: “regalo
bellissima oca ad amanti degli
animali”. Non sveliamo oltre. Ma
ricordiamo ai bambini il rispetto
verso tutti gli animali. Questa
gradevole storia è pubblicata da
Edizioni Corsare: Lo scrittore e
l’oca di D. Tordi (€ 14).
E per verificare immediatamente
quanto siamo riusciti a sensibilizzarli o a interessarli potremmo
chiedere: cosa avreste fatto voi
per rendere contenta l’oca? E
sull’onda della parola recuperare
le fiabe in cui ci siamo oche, per
esempio “la guardiana di oche”
“quaquà, attaccati là” e il tradizionale intramontabile “gioco
dell’oca” magari da reinventare
con i bambini. Un buon inizio
ricco di iniziative.
Laura Colizzi
* Insegnante scuola primaria
90
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Mariella Bombardieri*
C’è
sempre tempo
per cambiare
La storia che voglio raccontarvi riguarda Elisa: una
mamma, suo figlio Domenico ed alcune insegnanti
di scuola Materna e Primaria. Sono entrata in
contatto con questa storia quando Domenico frequentava la scuola Materna. Sin dai primi giorni
dell’anno scolastico, egli si era mostrato come un
bambino vivace, incontenibile con una grande
fatica a rispettare le regole. I genitori, ma soprattutto la mamma, di fronte ai suoi comportamenti
si mostravano severi, rigidi e poco comprensivi.
In un colloquio la mamma racconta: “Abbiamo
cominciato sin da subito ad essere severi. Se non
lo sgridavo io, lo faceva il papà. Non volevamo
un figlio maleducato e cattivo e per questo lo richiamavamo spesso ed in modo autoritario”. Non
passava giorno che Domenico non fosse punito per
qualcosa, offeso, svalutato per azioni che aveva o
non aveva fatto. La colpa infatti non era sempre
di Domenico, ma per i genitori, che avevano una
pessima immagine di lui, era diventato il colpevole
di tutto quanto accadeva.
Un incontro che apre alla novità
Alla scuola Materna però i genitori incontrano
delle brave insegnanti capaci di osservare, riflettere, comunicare in modo costruttivo non solo
con il bambino ma anche con la famiglia. Esse
richiedono un colloquio con i genitori ed in una
clima di profondo rispetto segnalano che Domenico è duro, chiuso, con una scorza quasi da elefante. I genitori sentono questa accoglienza e non
giudizio. L’obiettivo infatti è di aiutare il bambino
anche attraverso una collaborazione con i genitori. Dall’incontro emerge che dal punto di vista
relazionale la durezza è la strategia utilizzata più
spesso a casa. Le maestre invece tentano un’altra
strada: si atteggiano in modo diverso, provare a
capire Domenico, lo valorizzano per le cose buone
che fa e quando sbaglia cercano di non colpire la
sua persona, ma di fargli comprendere quale sia
il comportamento sbagliato da cambiare. Gli dimostrano affetto, lo fanno sentire importante per
le cose che sa fare bene; gli danno piccoli incarichi che responsabilizzano il bambino. Domenico
comincia a fidarsi un po’ di più di loro. Al primo
colloquio ne seguono altri che aiutano i genitori a
capire qualcosa di più della relazione genitoriale
che può servire per aiutare un figlio in difficoltà.
Attraverso le insegnanti, la mamma capisce che i
bambini sono diversi dagli adulti, che fanno cose
per curiosità o interesse o per attirare l’attenzione e
non perché sono cattivi dentro. Ella si rende conto
che presa dai suoi problemi non ha ascoltato e mostrato interesse verso il bambino. Comincia a farsi
strada il dubbio che può esserci un modo diverso
di educare. “Forse” pensa la madre “se la maestra
mi dice queste cose è perché devo cambiare qualcosa del mio modo di stare con Domenico”. I tempi
però non sono ancora maturi. Razionalmente i
genitori hanno compreso il messaggio della scuola,
ma concretamente non riescono a metterlo in atto.
Le insegnanti mantengono comunque un rapporto
di fiducia e dove possono cercano di mandare messaggi costruttivi.
Mondo scuola
Le etichette che fanno male
Cosa accade a casa?
A casa i genitori continuano ad utilizzare lo stile
autoritario e rigido di sempre. La mamma di Elisa
(mamma di Domenico) si ammala ed ella che deve
accudirla, sente venir meno l’energia verso il figlio:
“A volte ero così stanca che mi fermavo al supermercato e compravo un giochino, così mio figlio
sarebbe stato tranquillo e non mi avrebbe creato
troppi problemi”. Domenico in questa situazione
non migliora. Arriva alla scuola Primaria con un
atteggiamento di forte chiusura e di aggressività.
La mamma si accorge che il figlio non racconta
quasi nulla di ciò che vive, che è chiuso in un muro
Mariella Bombardieri
* Psicopedagogista, formatrice
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
91
Si può fare
Mondo scuola
di silenzio, che fatica a fidarsi degli adulti. Anche
in prima elementare mostra spesso comportamenti oppositivi e si mette in situazioni di rischio,
quasi volesse in modo eclatante essere visto.
Una brava maestra (perché i bravi insegnanti esistono) parla della situazione con Elisa e le segnala
il disagio del figlio, dandole la possibilità di parlarne per un confronto. Credendo nell’importanza
della dimensione emotiva oltre che razionale, con
il bambino e con i compagni di classe inizia un lavoro sull’affettività e sulla convivenza democratica.
In gruppo Domenico mostra di avere un mondo
interiore molto ricco; certo ha bisogno di regole
chiare, ma anche di vicinanza ed affetto. La madre
invece di fronte alle sue difficoltà lo svaluta, lo confronta con i compagni, gli dà punizioni che lo sviliscono. Anche questa insegnante periodicamente
incontra i genitori che cominciano a porsi alcune
domande: “Dove abbiamo sbagliato? Gli abbiamo
sempre acquistato i giochi prima ancora che ce li
chiedesse. Gli abbiamo dato tutto, ma forse non
gli abbiamo dato niente”. In realtà questi genitori
hanno dato qualcosa, ma forse gli eventi della vita
e le loro convinzioni li hanno portati ad esagerare
con le regole e l’anaffettività, credendo che Domenico fosse già un piccolo uomo.
Segnali di speranza
Incontrare brave insegnanti capaci di comprendere il bambino e la sua famiglia apre una strada.
La mamma comincia a sperimentare uno stile
educativo più tranquillo ed aperto; prova ad osservare, valorizzare, ascoltare il suo bambino.
Domenico appare più sereno. Insieme cominciano
a ritagliarsi momenti di leggerezza, di gioco, di
scambio. La mamma racconta: “Adesso mio figlio
lo vedo felice; incollo ai muri della cucina i suoi disegni dove mi scrive frasi bellissime: ‘La mamma è
bella, la mamma è come una madonna, la mamma
è importante anche quando mi sgrida’”. Anche la
mamma prova a scrivergli delle frasi di affetto e
Domenico le apprezza.
Un’aria nuova entra in casa, la possibilità di non
restare schiacciati dalle regole, dalla freddezza e
dalla rigidità. Come simbolo di vita, la mamma
accende la musica quando sono in cucina tutti
insieme. L’allegria e la gioia colorano le relazioni.
“Ieri sono stata tutto il giorno nel campo con mio
figlio; avrei dovuto stirare, fare i mestieri ma ho
pensato che era più bello fare qualcosa tutti insieme, concedendoci questo momento”. Capita
anche che vadano nel bosco a raccogliere delle
foglie ed insieme creano un bellissimo collage che
viene appeso in cucina come simbolo del tempo
trascorso insieme.
Elisa cambia e con lei anche Domenico. Si mostra
92
meno rigida nei suoi programmi e impara a cogliere il punto di vista del figlio: “Lui è un bambino
e deve fare la vita da bambino, devo rispettarlo”.
Il cambiamento possibile
Attraverso l’aiuto delle insegnanti, Elisa si mette
alla ricerca di un modo nuovo di essere mamma,
smette di concentrarsi solo sul negativo, esprime
molto di più la sua parte affettiva oltre che quella
normativa. Nel frattempo anche a scuola l’insegnante continua il lavoro di educazione socioaffettiva e Domenico può parlare delle sue emozioni anche con i compagni. Le maestre diventano
per questi genitori un punto di riferimento. “Le
maestre avevano capito che qualcosa non andava
ed hanno provato ad aiutarci”. Nasce dunque un
dialogo tra scuola e famiglia: la maestra offre degli
spunti e la mamma prova a pensarci senza paura.
Prende vita un’alleanza educativa fatta di piccoli
consigli, di domande che cercano risposte, di comprensione reciproca.
Inoltre, presso la scuola, prende avvio un gruppo
genitori nel quale è presente anche l’insegnante.
All’inizio Elisa si chiede che senso abbia una tale
proposta, ma un’amica la invita a partecipare
e così inizia anche questa avventura. Le prime
volte sono difficili, si guarda intorno impaurita
e non parla. Ogni volta pensa di smettere, ma le
voci delle altre mamme che la cercano sono come
un richiamo che non può non considerare. Così
torna al gruppo ogni settimana e qualcosa si apre:
“Mi ricordo che la formatrice mi ha posto una
domanda ed io ho cominciato a parlare come un
fiume in piena. È bello trovare altre mamme che ti
ascoltano, non ti giudicano, perché hanno passato
anche loro qualcosa di difficile”.
Piano piano questa mamma non sente più il bisogno di avere un bimbo perfetto; trova normale
che giochi e si sporchi; continua a mettergli delle
regole perché gli servono per crescere ma accanto
a queste mette l’ascolto, la condivisione, l’affetto.
“Ho capito che volevo troppo da mio figlio; mi
aspettavo che mi salutasse, mi raccontasse le cose
come un soldatino obbediente. Oggi le regole le
dò prima a me stessa: ascoltare i suoi desideri, i
suoi problemi e coccolarlo quando ne ha bisogno”.
Elisa capisce di aver bisogno di aiuto e prova a
cercarlo.
Domenico non è diventato un bambino perfetto;
talvolta anche per il suo carattere fatica a stare alle
regole, ma oggi non si sente più tutto sbagliato. Sa
di avere aspetti di sé che deve modificare o ai quali
deve stare attento ma riconosce anche i suoi punti
forza. Il dialogo scuola-famiglia si approfondisce e
continua a seminare piccole, grandi cose che possono aiutare a crescere Domenico.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Simona Ruggi*, Monica Gatti**
Osservando
e…
curiosando
Buongiorno a tutti! Abbiamo scelto di intitolare
questo spazio “Una lente curiosa” perché il nostro intento è quello di dare agli insegnanti e agli
educatori degli strumenti che possano supportarli nel loro delicato lavoro, ma aiutarli anche
a sviluppare un nuovo sguardo, più consapevole
delle lenti che si vestono e da cui non si può mai
prescindere.
Ciascuno di noi si costruisce infatti una propria
visione della realtà, plasmata dai fattori soggettivi, sia di natura cognitiva che sociale. Vi contribuiscono i processi percettivi e mnestici, gli
aspetti emotivi, le proprie conoscenze e i pregiudizi, legati ai gruppi di appartenenza (dettati dal
genere, dall’età, dallo status, dalla professione,
etc.). Inoltre, da un punto di vista professionale,
compongono le nostre lenti anche le teorie di riferimento – esplicite o implicite – a cui ci appoggiamo e le credenze più ingenue che nutriamo
rispetto a certi specifici temi.
Crediamo che ciò che vediamo sia la realtà, dimenticando a volte di come sia sempre una nostra ricostruzione, filtrata dalla nostra personale
lente. Diventa allora importante poterci appoggiare su un metodo scientifico che ci permetta
di operare delle scelte consapevoli, ricordandoci
sempre di assumere un atteggiamento rispettoso
poiché la “verità” va co-costruita nella relazione
con il nostro “oggetto” di osservazione e la prospettiva di ciascuno è un’importante fonte di
informazione e conoscenza.
Diventa allora fondamentale la relazione, in
quanto l’essere umano esiste solo in relazione a
qualcuno, che lo vede, che lo definisce dandogli
un nome, che interagisce con lui, che lo rende
vivo.
Per evitare di erigersi dall’alto di una cattedra
e dispensare giudizi credendo che quello che
è giusto e funziona per noi lo sia anche per gli
altri, come dice Cecchin, occorre assumere un
atteggiamento curioso e rispettoso, interessandosi all’altro e riconoscendogli il ruolo di esperto
della sua vita.
Cosa intendiamo con osservazione…
Utilizziamo il verbo osservare nel nostro linguaggio quotidiano e ammantiamo questo termine di
un’aura particolare: ossevare è più che guardare.
Per esempio, se “guardiamo quel dipinto” o “osserviamo quel dipinto” compiamo due operazioni
percettive e cognitive differenti: nel primo caso
cogliamo gli aspetti salienti e immediati del quadro (i colori, le forme, un “gusto” generale con
l’impressione del “mi piace” o “non mi piace”),
ma non i dettagli e soprattutto non ci impegnamo
in una profonda riflessione successiva all’atto
percettivo (l’uso della pennellata, lo stile, il messaggio che voleva trasmettere l’artista, il contesto
storico-culturale in cui è stato dipinto), come
invece accade dopo un’“osservazione”. Possiamo
quindi ritrovare un parallelismo nella ben nota
distinzione tra udire e ascoltare, che rimanda a
un ruolo ancora più attivo di colui che compie la
seconda attività, mettendoci anche molto del suo
essere e delle sue capacità empatiche.
Ma cosa significa osservare? Olga Liverta Sempio
e Giulia Cavalli definiscono l’osservazione come
un’“attività mirata e motivata (…) attività mediante la quale si dedica cura e attenzione specifica a qualcosa nella sua interezza, con lo scopo
di ottenerne una visione completa e, nello stesso
tempo, dettagliata”. Questa definizione, tratta
dal dizionario Devoto-Oli, sottolinea il concetto
di impegno, di prendersi cura, di accompagnare
rimanendo accanto, senza giudizio ma con una
profonda curiosità. Quella curiosità che è segno
di interesse autentico che spinge ad avere uno
Simona Ruggi
Monica Gatti
* Psicologa specializzata in psicologia
scolastica
** Psicologa, psicoterapeuta
sistemico-relazionale
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Mondo scuola
Il perché di una lente curiosa…
93
Una lente curiosa
Mondo scuola
spazio mentale per qualcuno. Pensare qualcuno
significa esserne incuriositi, cercarne una profonda conoscenza rispettando i suoi bisogni,
desideri, emozioni.
Vediamo anche cosa non sia l’osservazione. Abbiamo già detto che osservare non è guardare.
Non significa neppure registrare in modo fedele
la realtà. Al contrario ogni osservazione è influenzata dalla soggettività di chi la compie, dalle sue
aspettative, quindi osservare vuol dire prestare
attenzione alla realtà, consapevoli che il modo
d’essere e di pensare di ciascuno influisce sulla
percezione di ciò che si osserva.
Allo stesso tempo, è impossibile separare l’oggetto di analisi dall’osservatore poiché continuano Liverta Sempio e Cavalli, “ciò che si conosce non è il reale in sé, ma la realtà influenzata
dall’osservatore, dal metodo di indagine che si
utilizza, che costituisce un fattore soggettivo”. La
conoscenza si compone di elementi provenienti
dal contesto, dall’osservatore e dall’osservato e
dalla loro relazione e interazione.
Occorre infine ricordare che osservare non è interpretare. Si tratta, piuttosto, di sospendere ogni
giudizio e – attraverso una libertà intelletuale e
un’apertura mentale – di accompagnare senza
valutare. Il fine ultimo è quello di comprendere
e dare senso a una realtà complessa, cercando di
rispettarne l’interezza attraverso l’utilizzo chiaro
di una teoria di riferimento e dei metodi coerenti
all’obiettivo prefisso.
Tutto questo non è semplice anche perché la nostra mente cerca di conservare le proprie energie
e adotta automaticamente delle strategie che potrebbero ostacolarci nel tenere gli occhi aperti e
lo sguardo vigile e attento. Quando decidiamo di
“osservare” dobbiamo aggirare queste modalità
e passare da una elaborazione superficiale delle
informazioni a una raccolta più approfondita,
sostenuti da una motivazione precisa e mirata.
Nel rispetto della complessità…
Abbiamo visto quindi come l’osservazione non
possa mai essere oggettiva, in quanto parziale (legata ovvero a una prospettiva specifica) e frutto
di una ricostruzione soggettiva (determinata da
una precisa lente).
Come è allora possibile orientarsi, nel rispetto
della complessità di ciò che andiamo a osservare
e considerando i “limiti” del nostro funzionamento mentale? La scienza ci insegna un metodo
di indagine condiviso e le ricerche ci offrono
94
degli strumenti che ci permettono di operare dei
confronti.
Ogni osservazione necessita di riferimenti teorici
che guidano l’osservazione stessa, che specificano cosa osservare, dove osservare, quando osservare, come osservare! Questo per dare fondamento scientifico, per assumere una “lente” che
permetta una significativa riflessione sull’oggetto
dell’osservazione e su se stessi in quanto professionisti.
L’osservazione avviene, infine, sempre in uno
specifico contesto e sicuramente siamo tutti d’accordo con l’idea che osservare i bambini nell’ambiente scolastico sia di fondamentale importanza
nella relazione educativa. Quanto maggiori sono
le conoscenze relative al bambino tanto più
sarà efficace il progetto educativo e tanto più gli
educatori avranno la possibilità di conoscere le
caratteristiche individuali degli alunni e potenziarle.
L’osservazione può essere realizzata attraverso
metodi e tecniche differenti, relative soprattutto
alla teoria di riferimento, agli obiettivi, ai contesti e alle variabili oggetto d’interesse. Nel corso
della rubrica descriveremo alcune metodologie e
strumenti e ne vedremo limiti e pregi.
I temi legati all’osservazione di cui ci occuperemo cercheranno di coprire il più ampio campo
di esperienze, passando dallo studio del contesto
fisico, alla rete relazionale in cui il bambino è
inserito. Non mancheranno poi cenni all’osservazione di alcune attività tipiche dei bambini a
scuola, da quelle espressive a quelle maggiormente legate a compiti di apprendimento. Infine
uno spazio verrà dedicato alla funzione dell’autoosservazione, come strumento di conoscenza e di
formazione per l’educatore.
Non ci resta dunque che salutarvi e a darvi appuntamento al prossimo numero!
per approfondire
G. Cecchin, Ci relazioniamo dunque siamo. Curiosità e trappole dell’osservatore, in “Connessioni”, 15, 17.3.2008, pp. 57-61.
L. D’Odorico, R. Cassibba. Osservare per educare,
Carocci, Roma 2001.
O. Liverta Sempio, G. Cavalli, Lo sguardo consapevole, Unicopli, Milano 2005 pp. 11-12, 20.
D.H. McBurney, T.L. White, Metodologia della
ricerca in psicologia, Il Mulino, Bologna 2008.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
A che gioco giochiamo?
Massimiliano Andreoletti*
Lasciare
tracce
con il gioco
di gioco nelle sue dimensioni temporali e spaziali,
evitando pericolose derive che vedrebbero il gioco
sacrificato o subordinato a finalità estrinseche (enfasi
cognitiva, ludicismo esasperato e inconcludente, competizione accentuata, riempimento). È forte il rischio
che già nel bambino l’attività ludica venga (fra)intesa
come unica occasione per riempire momenti altrimenti vuoti, in un ottica di consumo/esaurimento del
materiale/risorsa utilizzato, con un accento eccessivo
sulla dimensione competitiva, nella prospettiva di
svolgere l’attività nell’azzardo e nella scommessa.
Premesso ciò, come pensare un adeguato setting
formativo per un momento di gioco a misura di bambino?
Qualsiasi esperienza, anche quella ludica, non è di
per sé sufficiente a porre la persona nella condizione
di beneficiare appieno dell’attività svolta. Una pratica,
che consente al bambino di rallentare il ritmo con
cui ha sostenuto l’attività ludica, facendo affiorare il
vissuto, presente e passato, che il gioco fa emergere, è
la ludografia. È un tempo ulteriore a quello del gioco,
che permette di fermarsi per riflettere sull’esperienza
avuta, nelle dimensioni fisiche, cognitive, affettive
e sociali, considerando non solo cosa si è fatto, ma
anche il come, il perché, il dove e per quanto lo si
è fatto. Gli insegnanti devono predisporre due momenti, a latere del gioco: uno antecedente in cui si
anticipa l’attività e si predispone il soggetto al gioco,
creando quell’attesa meravigliata per quello che si andrà a vivere; ed uno posteriore in cui si riprendono le
dimensioni costituenti la persona attraverso la narrazione orale, la rappresentazione grafica e l’espressione
sonora.
Mondo scuola
ell’inaugurare la rubrica sul gioco è opportuno
iniziare con una riflessione metodologica e culturale sul significato del gioco e su come rendere significativa l’attività ludica.
Partendo dal presupposto che il gioco è l’attività maggiormente praticata dall’uomo in tutto l’arco della
vita, esso dovrebbe essere in cima ai nostri pensieri,
ma così non è. Esiste anche la difficoltà di individuare una definizione condivisa su cosa sia il gioco.
I dizionari stessi generalmente presentano definizioni
talmente generali che di fatto non distinguono tra
cosa sia gioco e cosa non lo sia; ad esempio, il lemma
viene definito dal Dizionario Garzanti come “qualsiasi attività a cui si dedicano bambini o adulti per
svago, ricreazione o per tenere in esercizio la mente,
il corpo”, senza però indicare quali siano i confini,
le caratteristiche, le tipologie, ecc. Tale indeterminazione si riscontra anche confrontando il pensiero di
Vygotskij e Piaget, ove per il primo è già gioco la fase
esplorativa precedente la padronanza, mentre per il
secondo non lo è ancora.
Stando al ruolo che assume all’interno della società,
l’attività ludica non ha ancora raggiunto quel pieno
riconoscimento che le spetterebbe. Nei primi anni
di vita dell’uomo il gioco è il perno attorno cui ruota
ogni attività e pensiero della persona; man mano, che
si cresce esso viene relegato solo ad alcuni momenti
della giornata o della settimana, viene contrapposto
al lavoro, alle attività serie, come se il gioco fosse una
perdita di tempo, praticato da coloro che sono rimasti
ancora bambini oppure trasformato in attività sportiva con finalità e funzioni ben precise. Nel tempo il
gioco assume così un ruolo di secondo piano a cui dedicarsi nel tempo libero o quando ci si vuole rilassare.
Questo depauperamento è ben visibile nei diversi
gradi delle agenzie formative di istruzione formale.
Se nelle istituzioni educative dell’infanzia il gioco è
inteso come forma tipica di relazione e di conoscenza,
che coinvolge l’intera persona nel suo percorso di maturazione e nel quale essa può esprimere, raccontare,
rielaborare in modo creativo le esperienze personali e
sociali, nei successivi gradi perde questo significato.
C’è quindi la necessità di consolidare nella scuola
dell’Infanzia l’esperienza ludica come valore in sé,
che faccia sviluppare nel bambino il concetto maturo
N
per approfondire
A. Di Pietro, Ludografie. Riflessioni e pratiche
per lasciare tracce con il gioco, La Meridiana,
Molfetta 2003.
MIUR, Indicazioni nazionali per il curricolo
della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma 2012.
A. Nobile, Gioco e infanzia, Editrice La Scuola,
Brescia 1994.
Massimiliano Andreoletti
* Docente di “Didattica del gioco e dell’animazione” presso Università Cattolica, Milano
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
95
Manuela Mistri*
“Mettiamo
in pratica”:
protagoniste le scuole
anno scorso sono stati pubblicati tre contributi sull’organizzazione degli spazi all’interno della scuola dell’Infanzia. Ben sapendo che
non è semplice organizzare gli spazi della sezione,
quest’anno vogliamo offrire un contributo in termini operativi.
Vorremmo darvi una mano ad individuare delle
soluzioni a problemi relativi all’organizzazione
degli spazi. Per questo abbiamo messo a punto
una scheda tecnica. Si tratta di uno strumento
utile per fare un “inventario” della sezione e degli
spazi comuni, semplicemente segnando gli spazi
e gli arredi principali in essi presenti. Unendo alcune fotografie degli spazi che sono sotto osservazione e, se possibile, anche una semplice piantina
della sezione (fatta da voi, non ha importanza
la precisione millimetrica) e inviandoci il tutto,
potremo fornirvi il nostro punto di vista e supportarvi nell’organizzazione dello spazio.
La rubrica potrà essere utilizzata in modi diversi:
per avere consigli su come organizzare uno o più
spazi, per ripensare all’intera sezione, per chiedere
un parere su uno spazio organizzato. Teniamo
inoltre presente che a volte le scelte didattiche
possono condurre alla creazione di spazi parti-
Mondo scuola
L’
colari o alla modifica degli spazi. Non vogliamo
porre dei limiti alle vostre eventuali richieste.
L’obiettivo è allargare il più possibile la riflessione
su questo tema portante per la scuola dell’infanzia
e aprire un confronto tra realtà diverse, perché
proprio dal confronto possano nascere idee, ma
anche maggiore consapevolezza sul fare scuola.
In ogni numero daremo spazio ad una scuola
cercando di selezionare di volta in volta aspetti
diversi che possano offrire stimoli sempre nuovi.
Per noi questo rappresenta una sfida, perché lavorare a distanza, utilizzando materiale fotografico
non è esattamente come vedere e muoversi dentro
lo spazio. Tuttavia, rappresenta il modo più semplice per interagire con voi, per rendere davvero
viva questa rubrica, per partire dai reali elementi
di difficoltà che si possono incontrare. Siamo altresì consapevoli che, per coloro che decideranno
di richiedere il nostro contributo, questo significa
esporsi. Anche questo non è semplice!
La scheda di osservazione
La prima parte della scheda è dedicata alla descrizione della sezione. Infatti la configurazione
di una sezione può cambiare in base all’età dei
bambini, all’essere omogenea o eterogenea, alla
sua dimensione, alle sue funzioni (per esempio
dover ospitare il pranzo). Tutti dati fondamentali,
quindi, per comprendere come ottimizzare al meglio gli spazi.
A seguire, la scheda richiede una descrizione in
breve degli spazi che sono stati ricavati e la modalità di suddivisione, cioè quali ausili sono stati
utilizzati per definire i confini di uno spazio (arredi, tessuti, pareti mobili o altro). Anche queste
informazioni permetteranno di avere un’idea di
ciò che la scuola ha a disposizione, perché è fondamentale cercare di rivisitare eventualmente gli
spazi utilizzando ciò che c’è (sappiamo quanto sia
difficile oggi reperire fondi per fare acquisti).
Infine la scheda prevede un elenco di arredi e
spazi. Dovrete segnare solo ciò che è presente effettivamente nella sezione e nella scuola. Abbiamo
Manuela Mistri
* Psicologa, membro interno del Laboratorio di Psicologia della Comunicazione, Università Cattolica
96
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Si può fare
aggiunto anche gli spazi comuni perché una
scuola deve essere considerata nella sua globalità.
Se la sezione può avvalersi di laboratori, saloni attrezzati… si potranno fare scelte differenti rispetto
ad una sezione inserita in una scuola che non offre
queste opportunità. Vi chiediamo di leggere con
attenzione i diversi item, che in alcuni casi potranno sembrarvi ripetitivi. In realtà non lo sono.
Per esempio un item dice “angolo computer (spazio strutturato per le attività con computer)”, successivamente si trova un altro item che dice “computer a disposizione dei bambini (non inserito in
uno spazio strutturato)”. In questo caso c’è una
differenza sostanziale. Si tratta di situazioni che
offrono possibilità diverse ai bambini. Un oggetto
(in questo caso il computer) suggerisce ai bambini
delle possibili azioni/giochi, ma la situazione è
qualitativamente diversa quando l’oggetto fa parte
di uno spazio pensato con precisi obiettivi.
La parte finale della scheda è dedicata ad eventuali osservazioni e note. È uno spazio in cui
liberamente potete inserire le vostre richieste,
perplessità oppure completare con elementi non
presenti nella scheda, ma per voi importanti per
fornire una corretta situazione degli spazi della
vostra scuola.
A seguire la scheda che potrete anche scaricare
dal nostro sito (www.lascuola.it nella sezione “RIVISTE”) e inviare via e-mail, insieme alle foto o
eventualmente ad una cartina della sezione, all’indirizzo: [email protected].
E noi proveremo a rispondervi!
Mondo scuola
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n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
97
Sonia Claris*
Professioni di scuola
Dirigere
e coordinare
alla scuola dell’Infanzia
Mondo scuola
La sindrome del dirigente “Pollicino” delle scuole
dell’Infanzia negli Istituti comprensivi
Dal prossimo settembre dirigerò un Istituto comprensivo statale in cui sono presenti anche due scuole
dell’infanzia, rispettivamente di tre e quattro sezioni
l’una; le maestre sono una quindicina e si mescoleranno in un collegio di ben centoventi colleghi, tra
primaria e secondaria di primo grado. Si tratta di una
minoranza dentro un sistema complesso: cosa significa
prestare attenzione anche a questa realtà educativa da
parte di un dirigente scolastico? Hanno bisogno di un
dirigente minor le insegnanti, vista l’esiguità numerica
e l’età dei bambini?
Mi è stato detto che fino ad oggi la guida pedagogic a è
stata delegata alla capogruppo e che in genere vengono
automaticamente estese anche alla scuola dell’infanzia
le decisioni organizzativo-amministrative prese per
l’intero istituto, compresi i registri. Sarà proprio così
semplice?
Da maestra a coordinatrice nella scuola dell’Infanzia
paritaria
Finalmente dopo anni di lavoro educativo in sezione,
mi è stato proposto di rivestire il ruolo di coordinatrice pedagogico-didattica di una scuola dell’Infanzia
paritaria di cinque sezioni, da parte del Gestore della
Fondazione che la amministra. Per le mie colleghe sarò
la nuova ed attesa coordinatrice. Da che parte si comincia? O meglio come si può definire e costruire la mia
nuova identità professionale?
Sono qui sopra brevemente descritte solo due possibili contesti istituzionali (non si sono prese in esame
le scuole dell’Infanzia facenti capo agli Enti locali, ai
Comuni) in cui si esercita la funzione dirigenziale e
quella di coordinamento educativo-didattico. Già i
termini sono chiari: le funzioni del dirigente scolastico non sono le medesime del/la coordinatore/coordinatrice, come previsto dai rispettivi statuti giuridici
e contratti di lavoro.
Ma non è su questo aspetto che si intende soffermare
l’attenzione di questa rubrica dedicata alle professioni di scuola, quanto piuttosto ci si propone di
fornire qualche suggestione sul variegato ed articolato modo di vivere questa dimensione professionale,
Nella nuova rubrica “Professioni di scuola” si
alterneranno riflessioni per coordinatori/dirigenti
(numeri dispari della rivista) e per i docenti
(numeri pari della rivista).
articolata e polivalente, interpretata con altrettanti
accenti, frutto di processi indispensabili di personalizzazione e contestualizzazione.
Dalle due situazioni sopra descritte, abbastanza diffuse sul territorio nazionale, ricaviamo due avvertenze, che si spera possano essere utili per chi si trova
o aspira a trovarsi in situazioni analoghe.
Per i dirigenti scolastici di Istituti Comprensivi di
grandi dimensioni e con numerosi plessi l’avvertenza
è quella di non dimenticare la presenza della scuola
dell’infanzia e della sua specificità, cercando di mantenerne l’identità pedagogica e le peculiarità, non
assimilabili a quelle della primaria e della secondaria.
Per il coordinatore educativo-didattico di scuole
dell’Infanzia che proviene dall’insegnamento serve
elaborare una trasformazione di compiti piuttosto
significativa: si tratta di transitare dalla gestione di relazioni prevalentemente giocate nei processi di insegnamento-apprendimento con i bambini a relazioni
di empowerment pedagogico di un gruppo o di più
gruppi di insegnanti e di genitori. La nuova funzione
è di mediazione tra istanze e richieste diverse degli
adulti, che richiede una visione di natura meta didattica implicante una sorta di necessario distanziamento dall’aula, insieme alla capacità di orientare e
promuovere un senso condiviso nelle azioni comuni.
In modo esplicito ci viene comunicato in questa
riflessione di una coordinatrice: “La problematica
più rilevante, perché è la parte più sensibile del nostro
lavoro, è la relazione, soprattutto laddove c’è una presenza quotidiana di interscambio con le educatrici, con
il personale e con i genitori”.
Per concludere, entrambi i profili (dirigente e coordinatore) richiedono: conoscenza e valorizzazione della
vocazione pedagogica propria della scuola dell’Infanzia, visione strategica ed orientativa dell’azione
didattica, promozione della qualità educativa nel suo
complesso, sviluppo di una relazionalità progettuale
e generativa tra adulti, in primis.
Sonia Claris
* Dirigente scolastica
98
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Letizia Carrubba*
Com’è andata la giornata?
mi ricordo...
a mia Federica, 3 anni, si rifiuta di raccontarmi
qualsiasi cosa dell’asilo. Se insisto, facendole
domande specifiche, le vengono scatti di rabbia. Secondo voi perché non mi racconta dell’asilo?
Mia figlia Giulia, 4 anni, mi racconta pochissimo. Al
massimo frasi del tipo “Ho mangiato la pizza” “Oggi
ero capofila”. Fine. Nient’altro.
L
Con Alberto ero contentissima, mentre Edoardo non
racconta niente. Ieri sera abbiamo avuto la riunione
all’asilo e ho visto alcune foto riguardanti le attività..
beh... non ne sapevo nulla... non mi racconta nulla.
Lorenzo, 4 anni, non racconta niente. Scherzando
con mio marito mi sono chiesta se lo avevamo
iscritto alla carboneria, perché nulla ci è dato sapere!
Aspetto fiduciosa che abbia voglia di raccontare la
sua giornata.
Le frasi sopra riportate, tratte da un forum per genitori, lamentano un comune denominatore: il non
riuscire a sapere cosa fanno i propri figli durante le
ore trascorse alla scuola dell’Infanzia.
L’alone di mistero prosegue nonostante la raffica di
domande a cui i genitori sottopongono i bambini:
“Com’è andata?”, “È successo qualcosa?”, “Hai
mangiato?”; le risposte ottenute sono il più delle
volte monosillabiche o alquanto criptiche, del tipo
“Non mi ricordo”, “Non ho fatto niente”.
Il contatto quotidiano con le educatrici che gestiscono i vari momenti di routine tra cui l’uscita
dalla scuola, consente di fatto ai genitori di essere
informati sia riguardo l’andamento della giornata,
sia rispetto ad eventuali piccole problematiche
inerenti il proprio bambino (ha mangiato, non ha
svolto le attività, era irrequieto, ecc.).
Le riunioni con i genitori, i colloqui individuali
ci consentono di partecipare attivamente alla vita
scolastica dei nostri bambini anche attraverso la
condivisione, con il personale educativo, di momenti più informali come ad esempio l’organizzazione di una festa.
Non si lamenta, quindi, una mancanza di informazioni, quando il desiderio di sentire raccontare
Quest’anno “Scuola Materna” apre le porte anche al
punto di vista dei genitori, raccolto da una mamma
psicopedagogista che affronterà i temi più comuni
nella quotidianità scolastica.
il proprio bambino, di sbirciare attraverso i suoi
occhi e riuscire ad intravedere quello che sta diventando il suo mondo fatto di amicizie soltanto
sue, di scelte e primi tentativi di autonomia.
Messo da parte il comprensibile smarrimento, la
frustrazione nei confronti di chi, invece, ha figli
loquaci, gli svariati tentativi di integrare il racconto del proprio figlio con quello di altri genitori
e bambini, cerchiamo di capire perché i bambini
non parlano o parlano poco.
Proviamo a rispondere al nostro quesito a partire
dalla riflessione scaturita da alcuni termini che
ricorrono nei colloqui con le educatrici.
Iniziamo con il termine autonomia. La vita alla
scuola dell’Infanzia richiede al bambino uno sforzo
di autonomia considerevole. Tale concetto chiama
in causa la capacità dei nostri piccoli di affermarsi
e di affermare la propria individualità, di poter
scegliere, di “provare a fare da soli” o di chiedere
l’aiuto degli altri, di prendere iniziative proprie e di
imparare a cooperare con i pari. L’autonomia nasce e si sviluppa attraverso forme e livelli crescenti
di adattamento e competenze, si nutre di delicati
equilibri e di necessari squilibri che invitano a
rimettersi in cammino mediante una modalità di
relazione continuamente in evoluzione, dove competenze fisiche, motorie, cognitive ed affettive si
nutrono a vicenda e alimentano la voglia di fare e
stare con persone e cose.
Le educatrici, attraverso la cura dello spazio e
l’alternanza tra le diverse attività, propongono
elementi di organizzazione e apprendimento che
permettono ai bambini di divenire poco alla volta
protagonisti consapevoli della vita in sezione. I piccoli imparano, quindi, a gestire quotidianamente
il proprio spazio prima accogliendo le routine, poi
anticipandole e riconoscendole. Questa graduale
Mondo scuola
Non
Letizia Carrubba
* Docente di Psicologia dell’infanzia tra protezione e rischio, Università Cattolica, Piacenza
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
99
Cronache di scuola
Mondo scuola
conquista li gratifica molto, li rassicura e consente
loro di tollerare e comprendere eventi nuovi e inaspettati. L’autonomia faticosamente guadagnata
è soltanto l’inizio di un lungo percorso che vede i
nostri bambini passare da un piccolo mondo relazionale mediato dai genitori ad un ampio contesto
relazionale al cui interno si costruiscono legami
amicali, si definiscono scelte, si apprende a confrontarsi, a comprendere il punto di vista dell’altro
e a regolare le proprie emozioni.
Al bisogno di autonomia si affianca quello di competenza, di controllo sull’ambiente che implica sia
la necessità di affermarsi in un mondo sociale condiviso con altri, sia il piacere dell’efficacia sociale,
cioè il vedere che le proprie azioni producono
degli effetti ed hanno delle conseguenze positive
nell’ambiente. I bambini si ritagliano uno spazio
di azione del tutto personale che decidono come
e quando condividere con i genitori. Crescere vuol
dire anche imparare a stare in equilibrio tra il bisogno di relazione ed il bisogno di autonomia.
A questo punto introduciamo un ulteriore termine
su cui riflettere, parliamo cioè di relazioni. Alle figure di attaccamento primarie (generalmente i genitori) si affiancano altri agenti di socializzazione
che arricchiscono e complicano la scena sociale
del bambino che frequenta la scuola dell’Infanzia.
Si tratta di figure adulte, le educatrici, con cui
occorre stabilire relazioni nuove, significative dal
punto di vista affettivo. Inoltre, vi sono i coetanei
con i quali costruire un rapporto, mettendo in
gioco, come in una sorta di banco di prova, tutte le
abilità sociali precedentemente acquisite.
Questi tre concetti possono essere visti come componenti di base di quella che possiamo definire la
competenza sociale. Essa è infatti la risultante dei
processi messi in atto dal bambino al fine di realizzare e soddisfare il bisogno di attaccamento, di
competenza e di autonomia.
I nostri bambini diventano grandi perché sono
inseriti in un contesto relazionale entro il quale da
un lato imparano ad interagire efficacemente con
gli altri, ma parallelamente scoprono l’esigenza di
separarsi e di trovare una collocazione propria,
distinta da quella dei genitori.
Rispettare gli spazi e i tempi dei bambini significa anche concedere loro il tempo di conoscere e
scoprire i “quando” e i “perché” del mondo che ci
circonda, lasciare che i concetti prendano forma e
possano poi essere raccontati e condivisi con noi
genitori.
Il racconto della giornata richiede, inoltre, uno
sforzo mnestico considerevole, il semplice mettere
ordine tra gli eventi implica una fatica che talvolta
100
il bambino, stanco per l’intensa giornata, non è in
grado di sostenere.
Che cosa possiamo fare? Ecco qualche piccolo
consiglio utile per tutti i genitori.
s.ONSOMMERGEREILBAMBINODIDOMANDE
s)NCORAGGIARLO A RACCONTARE SENZA FARLO SENTIRE
sotto pressione.
s0ARTIRE DALLA PROPRIA GIORNATA OGGI MI Ò SUC
cesso…, ma guarda un po’ che pasticcio ho
combinato...) e distinguere ciò che è canonico,
dall’evento eccezionale che decidiamo di raccontare; seguire una coerenza e una sequenzialità
nel racconto; inserire riferimenti a stati mentali
(desideri, credenze, emozioni).
s!SCOLTAREANCHENEIMOMENTINONPREVISTIMEN
tre si lavano i denti, un secondo prima di spegnere la luce e addormentarsi, ecc.).
s.ON ASPETTARSI CHE I BAMBINI RACCONTINO SOLA
mente utilizzando le parole: talvolta disegnano,
altre volte imitano il comportamento dell’educatrice, oppure utilizzano il gioco simbolico o
il gioco di ruolo e simulano le attività svolte in
sezione.
Anche se desideriamo moltissimo sapere il più
possibile della vita dei nostri piccoli non dobbiamo
dimenticarci che in età prescolastica e scolastica sono facilmente osservabili molteplici esempi
dell’alternarsi, nella giornata di un bambino, di
momenti di maggior socievolezza in cui si ricercano gli altri, rispetto a momenti definiti “tempi
per sé”.
Talvolta nel corso della giornata, i bambini possono sentire il bisogno di disimpegnarsi dalla relazione sia con i pari che con gli adulti, per riflettere
e rielaborare le esperienze sociali precedentemente
vissute o per sperimentare, in condizioni di autonomia, ciò che è stato acquisito nel cotesto sociale.
A tali momenti segue poi solitamente il desiderio
di ritrovare l’altro da cui ci si aspetta di essere
gratificati e sostenuti per quanto realizzato (un disegno, dei ritagli) e soprattutto di essere riaccolti.
Recuperando la grande lezione di Winnicott, consoliamoci pensando che il bisogno di separarsi (da
noi genitori) e di crescere in autonomia è esattamente ciò che permette ai nostri figli di costruire
un modo relazionale e sociale equilibrato, così
come la capacità di separarsi si sviluppa solo all’interno di relazioni affettive positive.
per approfondire
D.W. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente,
Armando, Roma 1965.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Mariateresa Cairo*, Caterina Martinazzoli**
L’integrazione scolastica
Sindrome autistica e di Asperger
nella soddisfazione di un desiderio, l’irruzione
della fantasia nella realtà e la difficoltà a mentalizzare le proprie e altrui emozioni.
Cosa fare con questi bambini tanto particolari?
sincoraggiare la motricità e le prassie, facendo
giocare il bambino sullo scivolo, il dondolo,
facendolo correre e saltare, lasciarsi cadere,
toccare, strisciare, rotolare, esplorare e spostare
oggetti e favorendo il miglioramento delle abilità
fino motorie. Il primo passo è quello di portare
il bambino ad avere un buon rapporto con il
proprio corpo (toccare parti del viso copiando i
movimenti dell’adulto) e con l’esterno, avvicinandosi gradualmente alle diverse esperienze. Ciò
permette di aumentare con gradualità il livello
di autostima, la percezione di Sé, degli altri e del
mondo;
sincrementare la comunicazione linguistica in
comprensione ed espressione. Ciò implica educare il bambino ad articolare correttamente i
suoni, arricchire il proprio vocabolario e costruire correttamente le frasi dal punto di vista
morfo-sintattico. È necessario sostenere il bambino nel suo sforzo di farsi capire, anche attraverso forme di comunicazione alternativa aumentativa e l’uso del computer. Educare all’ascolto
di fiabe e racconti aiuta il bambino nel prestare
attenzione, memorizzare fatti e personaggi e
nella comprensione;
spromuovere la comprensione delle proprie ed
altrui emozioni. Spesso i bambini con disturbi
pervasivi dello sviluppo urlano o hanno comportamenti aggressivi verso se stessi e verso gli altri:
è importante decodificare questi comportamenti
ed emozioni portando il bambino a riconoscerli
in espressioni del proprio volto (immagini/fotografie) e a verbalizzarle riconoscendole anche sul
volto dell’insegnante;
sstimolare giochi di costruzione (lego, puzzle,
domino, incastri) in cui il bambino può sperimentare fino in fondo ed in modo originale
l’esperienza del fare e le possibilità di azione e
reazione attraverso i gesti;
Mariateresa Cairo
Caterina Martinazzoli
* Docente di Didattica e Pedagogia speciale,
Università Cattolica di Milano e Piacenza
**Insegnante, cultore di Didattica e Pedagogia speciale, Università Cattolica di Milano
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Mondo scuola
ell’arco della prima infanzia e agli inizi della
seconda, la diagnosi di sindrome autistica e
di sindrome di Asperger si collocano nell’intero
range di disturbi di tipo autistico recentemente indicati con il termine disturbi dello spettro autistico
(DSA). Quest’ultimo risulta un termine ‘ombrello’
che comprende quadri clinici multiformi caratterizzati da diversi livelli di funzionamento cognitivo
e aspetti affettivi e relazionali diversificati che si
dispongono lungo un continuum che va dal gravissimo ritardo mentale con epilessia, fino all’eccentricità e bizzarria di persone con funzionamento
buono.
La differenza fra la sindrome autistica e di Asperger è, per esempio, facilmente rintracciabile nel
DSM IV–TR, per cui nel primo caso si assiste a
una compromissione qualitativa dell’interazione
sociale, della comunicazione e del linguaggio, a
modalità di comportamento, interessi e attività
ristretti, ripetitivi e stereotipati, con la presenza di
disabilità intellettiva nel 70% circa dei bambini.
Nella sindrome di Asperger si ripresentano le medesime caratteristiche, ma non vi è disabilità intellettiva, ci sono capacità di auto-accudimento adeguate all’età e comportamento adattivo con buon
sviluppo linguistico. In alcuni casi il bambino è
definito ad alto funzionamento, poiché ha un’intelligenza ed una memoria al di sopra della media
e presenta ambiti di competenza seppur settoriali
(disegno, musica, matematica) molto sviluppati.
I bambini in tali situazioni tendono ad avere delle
caratteristiche percettive e attentive molto particolari (portare alla bocca i giochi, rifiutare di lavorare con i colori a dita o manipolare, mancanza
di attenzione condivisa, facile distraibilità, scarsa
empatia) e comportamenti ripetitivi e bizzarri
(ecolalia differita, stereotipie motorie, assenza di
gioco simbolico, correre avanti e indietro, aprire e
chiudere le porte, aggressività, eloquio solitario).
Tali aspetti, sembra, prevalgano a livello comportamentale in quanto modalità per controllare la
paura di situazioni nuove, l’ansia e l’insicurezza
legate alla scarsa vigilanza sugli eventi, la rabbia
nelle situazioni di frustrazione o l’impedimento
N
101
Tutti a scuola
Mondo scuola
sCONTENERE dal punto di vista relazionale ed affettivo il bambino (anche fisicamente) in un
ambiente che non spenga la sua fiducia, ma che
completi ed amplifichi un Io ancora molto fragile
ed una visione della realtà parziale e caotica. Per
questo gli insegnanti devono essere creativi, ma
decisi e hanno bisogno di trovare materiali, attività e ausili sempre nuovi;
sla sperimentazione sonora e musicale può essere
particolarmente efficace per sviluppare il senso
del ritmo (canzoni e filastrocche), la motricità
(ballo e mimo) e per far vivere momenti di comunicazione interpersonale e di interazione fisica
ed emotivo-motivazionale con i compagni di
sezione. L’ascolto della musica è anche un’occasione di rilassamento, distensione e tranquillità;
sincoraggiare l’autonomia personale è importante
per il benessere del bambino e la sua integrazione. Può accadere, a volte, che la scarsa capacità attentiva non permetta al bambino di
portare a termine il lavoro in modo autonomo,
per cui egli domanda continuamente conferma
all’insegnante. Ciò richiede all’adulto una buona
dose di pazienza e la capacità di attendere i
tempi di apprendimento del bambino;
sla stimolazione multisensoriale è significativa
nella misura in cui il piccolo presenta disomogeneità a livello percettivo. La stimolazione sensoriale potrà rivolgersi alla vista (seguire un fascio
di luce), all’udito (battere oggetti su superfici differenti), al tatto (passare la mano su diverse tessiture o manipolare pongo e plastilina), al gusto
(assaggiare cibi salati, dolci, amari, aspri), essere
propriocettiva (cambiare le posture), esterocettiva (posizionarsi nello spazio e riprodurlo in un
disegno) e vestibolare (mantenere l’equilibrio);
sil cooperative learning può favorire il rapporto
con i compagni, spesso difficile e conflittuale, soprattutto quando i bambini iniziano a conoscere
le reazioni e le personalità del proprio compagno
con disturbo dello spettro autistico. Anche il
gioco, su cui la scuola dell’infanzia fonda i propri processi di apprendimento e socializzazione,
favorisce la possibilità di accedere al mondo del
bambino (cfr. metodo Denver, Terapia di Scambio e di Sviluppo, metodo DIR, vedi Greenspan,
Wieder). La partecipazione alle attività è favorita
dalla spinta motivazionale e dal controllo e pazienza di compagni ed insegnanti.
La programmazione con il bambino con disturbo
dello spettro autistico va sempre monitorata e
verificata giornalmente per tutto l’anno scolastico
attraverso momenti di osservazione informale e
formale. Qualsiasi iniziativa orientata a rendere
più strutturati e prevedibili l’attività, i tempi e gli
102
spazi è efficace: scomposizione delle istruzioni in
più fasi, calendarizzazione delle attività della giornata, della settimana e del mese, presentazione
dei compiti ad un livello adeguato alle capacità
del bambino, incremento graduale della tolleranza
alle situazioni nuove ed impreviste ed accettazione
delle frustrazioni, uso di schede, agenda delle
attività e degli incontri, rispetto dei tempi e dei
ritmi di apprendimento del bambino, definizione
di regole e routine (cfr. metodo TEACCH, vedi
Schopler, Mesibov). L’attività di sostegno va svolta
in sezione, individualizzata e personalizzata. Uno
spazio usato quotidianamente, ben ordinato e con
abitudini e tempi prefissati può essere associato
dall’alunno all’idea di lavoro.
per approfondire
M. Cairo e P. Cuccinelli, Autismo e interventi
abilitativi e riabilitativi: il Denver Model, “L’integrazione scolastica e sociale”, 1, 2012, pp. 65-81.
M. Cairo e P. Cuccinelli, Autismo e interventi
abilitativi e riabilitativi: la terapia di scambio e di
sviluppo (Thérapie d’échange et de dévelopment)
(T.E.D.), “L’integrazione scolastica e sociale”, in
stampa, 2013.
S.I. Greenspan, S. Wieder, Trattare l’autismo, Raffaello Cortina, Milano 2007.
E. Schopler, G.B. Mesibov, Apprendimento e cognizione nell’autismo, McGraw-Hill, Milano 1998.
SIPeS (a cura di), Integrazione scolastica degli
alunni con disturbi dello spettro autistico. Documento di indirizzo, Erickson, Trento, 2008.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Michela F. Mancini*
Emozione e cognizione
U_UZWÌTZ]VcRaa`ce`R_T`cR
da spiegare
Un importante passo avanti
Una ricerca longitudinale americana condotta
quest’anno da Blankson rappresenta un importante punto di partenza per scoprire come avviene
lo sviluppo del cervello, per quanto riguarda il
pensiero e l’emozione, e come questi due domini
possano reciprocamente influenzarsi ed integrarsi.
In particolare Blankson ha studiato due processi
generali: il controllo, inteso come la capacità del
bambino di autoregolarsi sia in situazioni d’intensa emozione che di forte impegno cognitivo, e
la comprensione non solo come abilità del bambino di riconoscere le proprie e le altrui emozioni,
Da quest’anno, “Scuola Materna” propone ogni mese
un approfondimento sulle più recenti evoluzioni nella
ricerca sui bambini di 2-6 anni.
ma anche come consapevolezza che le proprie e
le altrui credenze non sempre corrispondono alla
realtà. Lo scopo del suddetto lavoro è di formulare
un quadro generale che possa spiegare sia la relazione esistente tra quattro fattori principali – controllo emotivo, controllo cognitivo, comprensione
emotiva, comprensione cognitiva – sia l’eventuale
esistenza di una componente in grado di predire i
cambiamenti nelle altre nel corso dello sviluppo.
La ricerca
Hanno partecipato allo studio 263 bambini di 3
anni (52% femmine e 48% maschi) insieme alle
loro mamme, le prove sono state ripetute poi a
distanza di un anno (sono tornati 244 bambini).
Durante le sessioni di somministrazione veniva
chiesto alle madri di compilare due questionari
che descrivevano le reazioni dei loro bambini a
diverse situazioni (CBQ di Putnam e Rothbart)
e di indicare quanto spesso si verificava un certo
comportamento nei loro figli (ERC di Shields e
Cicchetti). I bambini venivano coinvolti in diverse
attività videoregistrate che avevano finalità differenti a seconda del processo cognitivo o emotivo
da prendere in esame:
sper studiare il controllo emotivo si è fatto sperimentare al bambino una situazione frustrante diversa per le due età e si è osservato e codificato il
comportamento di risposta sia verbale che fisico;
sLEATTIVITÌPROPOSTEVOLTEADINDAGAREILPROCESSO
del controllo cognitivo riguardano più precisamente: la memoria di lavoro – per la quale viene
chiesto al bambino di ripetere delle sequenze di
numeri di complessità crescente – e il controllo
inibitorio per cui i bambini dovevano inibire
una certa informazione contrastante per poter
Michela F. Mancini
* Psicologa e insegnante
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
103
Mondo scuola
egli ultimi anni sono state realizzate molte
ricerche che hanno avuto come obiettivo lo
studio dei processi emotivi e cognitivi per migliorare la comprensione e delineare le tappe del loro
sviluppo. Questo crescente interesse ha fatto in
modo che molto si conosca sulle emozioni e sulla
cognizione come processi isolati, ma ben poco si
comprenda dei reciproci legami e dello sviluppo
temporale degli stessi.
Recenti evidenze in ambito neuroscientifico
hanno sottolineato la stretta relazione esistente
nel cervello tra emozioni e pensiero. All’inizio degli anni 2000, diversi autori, tra i quali Davidson e
Davis, hanno individuato una regione del cervello,
denominata corteccia cingolata anteriore (ACC),
che si suddivide al suo interno in due grandi aree:
una che controlla i processi attentivi e cognitivi e
una seconda che controlla i processi emotivi. L’ipotesi che fra queste due aree esista una relazione
reciproca conferisce un fondamento biologico
all’integrazione evolutiva di specifici tipologie di
processi di controllo e comprensione tra emozione
e cognizione fin dalla prima infanzia. Infatti, è
stato dimostrato che questa zona del cervello si
attiva sia quando rievochiamo ricordi emozionali
sia quando siamo chiamati a risolvere problemi di
tipo cognitivo.
N
News dalla ricerca
Mondo scuola
rispondere alle domande dello sperimentatore;
sPER QUANTO RIGUARDA LANALISI DEL PROCESSO DI
comprensione emotiva le attività proposte ai
bambini riguardavano tre diversi aspetti: la capacità di riconoscere e nominare le emozioni, la
capacità di attribuire una determinata emozione
a qualcun altro diverso da sé, ed infine, il riconoscimento della causa alla base di una situazione
emotiva;
sLULTIMO PROCESSO IN OGGETTO LA COMPRENSIONE
cognitiva, è stato studiato attraverso compiti di
comprensione della differenza esistente tra realtà ed apparenza, tra vere e false credenze. Per
esempio, veniva presentato al bambino una candela a forma di mela e veniva chiesto se sapesse
indicare cosa fosse realmente l’oggetto e cosa
invece volesse essere; altre volte, veniva chiesto
al bambino di “mettersi nei panni” di qualcun
altro e comprendere il suo punto di vista indicando che cosa avrebbe potuto vedere o sentire
non avendo la piena consapevolezza dell’intera
situazione.
L’unione fa la forza
Lo studio era mirato a definire quale fosse il
processo che guida ed influenza gli altri. I dati
hanno messo in evidenza che tutti e quattro i
processi – controllo emotivo, controllo cognitivo,
comprensione emotiva e comprensione cognitiva
– contribuiscono in egual misura allo sviluppo del
bambino. Vi è un rapporto d’interconnessione tra
i processi che non permette di considerarli come
entità separate ma come strettamente intercorrelate.
Nel passaggio dal terzo al quarto anno di vita del
bambino, la crescita nel controllo e nella comprensione cognitiva, sembra essere dovuta in
particolare non solo a una relazione reciproca tra
i due processi ma anche ad un rapporto dinamico
con la comprensione emotiva. I risultati suggeriscono una stretta interdipendenza tra cognizione
ed emozione, senza che sia emerso quale dei due
processi guidi l’altro nel percorso di crescita del
bambino.
Spunti educativi
Il bambino si sviluppa lungo un flusso armonico
che non permette di distinguere e separare i
processi cognitivi da quelli emotivi è perciò indispensabile per chi lavora nell’ambito scolastico
considerare di proporre attività che siano in grado
di elicitare l’integrazione di questi diversi aspetti.
Sviluppare una buona capacità di riflessione sulle
proprie abilità e competenze favorisce una maggiore consapevolezza dei propri vissuti emotivi
104
e permette una migliore gestione e regolazione
degli stessi. Per esempio, al termine di un’attività
si può far riflettere il bambino sulle emozioni che
lo hanno accompagnato lungo il procedere dell’attività facendolo concentrare su come si è sentito.
In questo modo, non solo si va a implementare
una maggiore capacità di riflessione del bambino
su ciò che ha fatto ma ci si concentra anche ad
aumentare il vocabolario emotivo.
Glossario
Cognizione: insieme di attività e di processi che consente all’individuo di elaborare e comprendere le informazioni della realtà circostante. Include diversi processi
e strutture cognitive come la memoria, l’attenzione, la
manipolazione d’informazioni multiple e contrastanti,
ecc.
Controllo cognitivo: capacità del soggetto di prestare
attenzione, comprendere e manipolare diverse informazioni.
Controllo emotivo: si riferisce a processi di regolazione
delle proprie emozioni siano esse positive o negative.
Comprensione cognitiva: riconoscere la differenza
esistente tra realtà ed apparenza e abilità di comprendere ed assumere un diverso punto di vista sulla base di
conoscenze parziali della realtà.
Comprensione emotiva: capacità di nominare, riconoscere e avere consapevolezza delle proprie e delle altrui
emozioni e della causa scatenante una determinata
emozione.
Emozione: reazione dell’individuo a determinati stimoli o situazioni, caratterizzata da una certa attivazione
fisiologica dell’organismo che varia per intensità, durata
ed espressione corporea. Essa rappresenta, quindi, un
complesso processo multicomponenziale.
Ricerca longitudinale: permette di studiare uno o più
fattori nel corso del tempo in uno stesso soggetto.
per approfondire
O. Albanese, C. Fiorilli (a cura di), Le emozioni a
scuola. Riconoscerle, comprenderle e intervenire
efficacemente, Erickson, Trento 2012.
A.N. Blankson, M. O’Brien, E.M. Leerkes, S. Marcovitch, S.D. Calkins, J.M. Weaver, Developmental
dynamics of emotion and cognition processes in
preschoolers, “Child Development”, 2013, 84, pp.
346-360.
C. Cristini, A. Ghilardi, Emozioni e apprendimento: fra mente e cervello, Springer, Milano
2009.
A. Techel, A. Pendezzini, La farfalla insegna. La
funzione delle emozioni nel processo di apprendimento, Armando, Roma 1996.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Silvia Riva*
Angioedema
ereditario
G`_Ì`cZZ^ac`ggZdZ
spesso incompresi
L’angioedema ereditario è una malattia rara caratterizzata da episodi ricorrenti e transitori di edema
(gonfiore) che può colpire la cute, le mucose o
gli organi interni. Clinicamente si manifesta con
ricorrenti episodi di edema della durata di 2-5
giorni. Non si tratta di malattia allergica e quindi
fra i fattori scatenanti non devono essere annoverati farmaci (se non in rarissimi casi), alimenti o
sostanze similari, mentre traumi anche minimi
e stress psichici possono favorire l’insorgenza di
attacchi.
La malattia si manifesta in genere in giovane età
(entro i 20-30 anni), colpendo anche i bambini
fin dall’infanzia. Può palesarsi con edema (“gonfiore”), anche imponente, del volto e degli arti, con
gravi coliche addominali e delle vie urinarie e con
difficoltà respiratorie fino all’asfissia per edema
della glottide.
Rispetto al trattamento, non esiste una cura risolutiva permanente; per alleggerire i sintomi vengono
utilizzati alcuni farmaci contenenti androgeni ed
alcuni derivati dal plasma di un donatore umano
sano. Si tratta di terapie pesanti (con implicazioni
a livello ormonale) e spesso dolorose (basate su
iniezioni endovenose).
Colpisce solo 1 persona ogni 10.000, ma chi ne è
affetto non ha per nulla la vita facile. La sua rarità,
la scarsa diffusione delle conoscenze mediche e
scientifiche, la difficoltà diagnostica e la carenza di
terapie adeguate rendono infatti l’angioedema ereditario una malattia molto complessa con la quale
convivere è decisamente difficile, soprattutto da un
punto di vista sociale e psicologico.
Gli aspetti psicologici nella vita
quotidiana
Gli attacchi di angioedema si verificano a intervalli
compresi mediamente tra 7 e 14 giorni, con una
frequenza che varia dalla quasi assenza a due volte
alla settimana.
L’angioedema impone un notevole onere sulla
persona e la qualità di vita dei pazienti e, nei
bambini, risulta sensibilmente ridotta in termini
di perdita di giorni di scuola, e attività ricreative.
In un recente studio esplorativo condotto da von
Mackensen e Riva, è stata valutata la “qualità di
vita” dei pazienti con tale patologia, specialmente
bambini, strutturando una ricerca trasversale in
diversi ospedali italiani.
Per valutazione della “qualità di vita” si intende
studiare la funzionalità (functioning) e il benessere
(well-being) negli aspetti fisici, psicologico-emotivi
e sociali della vita di un paziente in relazione al suo
stato di salute o di malattia, esaminando il punto
di vista del paziente stesso e come lui stesso riferisce la sua condizione nella vita di tutti i giorni.
Dai risultati di questa ricerca, è emerso che i bambini e gli adolescenti con angioedema ereditario
presentano una “qualità di vita” sensibilmente
ridotta rispetto alla popolazione generale, soprattutto in relazione agli aspetti emotivi; i pazienti
lamentano problemi umorali, stati di ansia, depressione e vergogna.
In alcuni casi, i genitori dichiarano di non voler
parlare di questa malattia nel loro ambiente sociale (es. scuola, nei contesti per la attività del
tempo libero), perché essendo una patologia rara
e davvero poco conosciuta, essa genera paura e
allontanamento. Purtroppo, però questo atteggiamento comporta un progressivo isolamento del
bambino nel contesto sociale e difficoltà a rapportarsi con i pari.
La paura dei genitori, non può essere giudicata
semplicemente una condotta insensata, essa, infatti, è legata alla rappresentazione di questa
malattia nel contesto sociale; un contesto, come
quello italiano, ancora difficile in quanto, a livello
medico-sanitario, sono ancora pochi gli specialisti
in grado di riconoscere questa malattia e trattarla,
ci sono pochi centri specializzati sul territorio e
Mondo scuola
Che cosa è l’angioedema?
Silvia Riva
* IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
105
Obiettivo salute
c’è scarsa consapevolezza da parte dei servizi di
emergenza (118, pronto soccorso) a riconoscere in
tempo un attacco di angioedema.
Questi dati appaiono in linea anche con il “Rapporto Internazionale sull’Angioedema in Europa:
lo stato dell’arte”, i cui i dati mostrano come tale
malattia risulti ancora oggi difficilmente gestita da
parte delle autorità sanitarie competenti, con una
forte compromissione della vita fisica e mentale, in
particolare a causa della depressione e dell’interruzione delle attività scolastiche, lavorative e sociali.
Come può aiutare la scuola?
Mondo scuola
I pazienti affetti da angioedema, devono affrontare
una ristrutturazione cognitiva progressiva che non
è di semplice soluzione, perché ci si trova di fronte
a cambiamenti importanti a livello fisico e mentale.
Nei primi anni di vita il bambino con angioedema,
può presentare accanto ai disturbi organici, anche
disordini di tipo emotivo, quali irritabilità, depressione, apatia o uno stato di impotenza. I disturbi
di tipo comportamentale e sociale si possono verificare maggiormente con l’età scolastica, quando
il bambino deve affrontare nuove situazioni e persone al di fuori del guscio familiare. Tali situazioni,
potranno creare stress sullo stato generale di salute e interferire con la malattia, complicandone o
aggravandone il decorso e influenzando negativamente il suo rapporto con la scuola. Nell’ambiente
scolastico, confrontandosi con i suoi compagni, si
accorgerà che ci sono elementi della sua vita che
106
non sono “universali”, per cui potrebbe subentrare
in lui la convinzione di “essere diverso”.
Come abbiamo visto, i bambini possono presentare stati d’animo quali inadeguatezza, l’impotenza
e la diversità e tutto ciò li può spingere ad avere
un atteggiamento psicologico passivo, di rinuncia,
di chiusura in se stessi e la reazione più comune è
quella di evitare momenti ricreativi con gli amici,
o diversamente negare la malattia, con il rischio
di adottare condotte di comportamento potenzialmente dannose.
Grande importanza quindi, assume, non solo il
ruolo dei genitori, che avranno l’obbligo di spiegare al bambino che cosa comporta l’angioedema
e come gestire la sua malattia, ma anche l’educazione nelle scuole, a cominciare dai primissimi
anni di vita, allo scopo di informare, ma soprattutto far conoscere e sensibilizzare i bambini, così
come gli insegnanti e il personale scolastico, dei
vari aspetti della malattia e dare così maggiori
informazioni su come comportarsi, su quali precauzioni prendere in caso di emergenza e come
aiutare i bambini affetti da questa malattia. A questo proposito, attività di peer-education, seminari
di formazione ed educazione per bambini sono
sempre da incoraggiare qualora in classe ci sia
un bambino affetto da questa patologia. In questo
modo, con una conoscenza più approfondita della
malattia e della sua gestione, può essere garantita
una migliore qualità della vita ed eliminare il senso
di diversità che sembra essere dominante nella vita
della persona affetta da una patologia cronica rara.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Serena Rivolta*
I giochi cooperativi
commento a cura di Luca Morganti
(Psicologo, collaboratore SPAEE)
L’esperienza del gioco
Una buona proposta formativa s’inserisce nell’attività di gioco, naturale per il bambino, intervenendo
in modo sensato e graduale per potenziarne il valore
educativo.
La strutturazione di alcuni momenti di gioco è essenziale per poter ricavare da essi la maggiore efficacia per i bambini: se da un lato è giusto tutelare
l’attività di gioco libero e spontaneo per permettere
al bambino di imparare a scoprire le sue potenzialità e a gestire i suoi primi momenti di autonomia,
dall’altro prevedere alcuni giochi maggiormente
guidati permette di sviluppare importanti abilità. La
differenza tra queste due modalità in realtà non è
così dicotomica: un semplice elemento innovativo,
realizzato per esempio tramite la creazione di un
contesto particolare, può essere sufficiente per stimolare nei bambini l’ideazione di giochi specifici
che si abbinano alla situazione creata. Durante la
preparazione e lo sviluppo dell’attività, è importante
cogliere il più possibile le indicazioni ricevute dai
bambini in merito alla prosecuzione del gioco oppure ad alcune modifiche da apportare allo stesso:
tali richieste possono nascere spontanee oppure in
seguito a proposte dell’insegnante. Al bambino non
è dato il potere di controllare l’attività svolta, ma è
garantito l’ascolto delle sue proposte, possibilmente
anche con il coinvolgimento dei suoi pari.
La relazione con l’insegnante non è sospesa durante
il gioco, bensì potenziata da un contesto nel quale
il bambino risulta più spontaneo perché a suo agio
nell’attività ludica: ogni rielaborazione di quanto
accade, stimolata dall’insegnante, risulta molto più
efficace rispetto allo stesso intervento effettuato
in un altro contesto. Tali spunti appaiono talvolta
anche banali (“come continuereste l’attività?”, “voi
cosa avreste fatto in quella situazione?”), tuttavia
hanno grande valore perché focalizzano l’attenzione
del bambino sul momento presente: aumentano il
senso dell’attività stessa, rendendola più educativa e
facendola percepire al bambino come diversa dalle
altre, proprio perché oggetto di riflessione. Oltre al
potenziamento delle abilità metacognitive, è in gioco
anche lo sviluppo della propria identità: attraverso le
sue proposte, i suoi commenti e quelli che sente dagli altri pari, il soggetto impara a scoprire le proprie
preferenze e le proprie idee, soprattutto in cosa sono
simili e in cosa differiscono da quelle degli altri.
Inserire brevi momenti riflessivi nel gioco può stancare i bambini o annoiarli: variare leggermente i
giochi permette di evitare questi rischi. Ricorrere
ad attività simili ma diverse, sostituendo ad esempio alcuni attrezzi con altri (nell’attività descritta le
sedie sono state sostituite coi cerchi) permette di risvegliare l’interesse ad ogni variazione pur restando
nello stesso ambito di intervento educativo, aumentando anzi gradualmente l’abilità da potenziare. Se
per esempio vogliamo migliorare la collaborazione,
è possibile partire da un compito concreto che permette una cooperazione più semplice, proseguendo
poi con compiti più astratti che ne richiedono una
maggiormente pianificata e differita.
Intervenire in un contesto
Trovare uno spazio di tempo per un’attività formativa specifica sembra un’impresa complicata,
tuttavia spesso è sufficiente modificare alcune impostazioni per rendere più efficaci le attività consuete.
Se il momento di narrazione di una storia viene
impreziosito da alcuni elementi che facilitano negli
ascoltatori l’immersione nel contesto fiabesco, essa
risulterà più coinvolgente, mantenendo più alti i
livelli di concentrazione e stimolando la partecipazione all’attività.
Così come il contesto può potenziare l’attività,
analogamente essa può essere in grado di offrire
spunti per risolvere alcune situazioni specifiche del
contesto, per esempio all’interno del gruppo classe.
La progettazione di un’attività parte da uno scopo
preciso: quanto più esso si avvicina ad una tematica reale e ad una difficoltà concreta, tanto più alta
sarà sia la motivazione di chi la progetta e la attua
sia la positiva ricaduta nel quotidiano. Le qualità
sviluppate nel bambino in un contesto di gioco possono essere generalizzate ad altri ambiti della sua
Serena Rivolta
* Insegnante scuola dell’infanzia “Cuore Immacolato di Maria”, Lissone (MB)
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
107
Dalle scuole
L’unione fa la forza
Dalle scuole
esperienza: tale processo non è però né immediato
né automatico. Il compito dell’educatrice è fornire i
semplici stimoli adatti a far riflettere i bambini sui
collegamenti tra il gioco in atto e le attività quotidiane: se stiamo lavorando sulla capacità di collaborare con i pari, un semplice intervento consiste
nell’aiutare a cogliere come la piacevolezza di fare
delle attività insieme possa riguardare anche aspetti
quotidiani di “collaborazione forzata” nella classe
(ad esempio, mettersi in fila). Al momento è probabile che i bambini non colgano il legame tra le varie
situazioni, attuando però questa modalità di riflessione come spunto costante offerto ai bambini, sarà
per loro naturale estendere le competenze sviluppate
dall’attività pianificata ad altri ambiti, raggiungendo
così lo scopo più ampio iniziale.
Sistema cooperativo e sistema competitivo
Numerose attività della scuola dell’infanzia si pongono come obiettivo lo sviluppo della collaborazione
e della cooperazione nei bambini: all’importanza
generale di questa competenza nella vita quotidiana
si aggiunge l’efficacia nell’intervenire proprio in
una fascia di età nella quale il bambino si trova a
dover affrontare personalmente i primi conflitti.
Soprattutto nella fascia più elevata – attorno ai 5
anni – i bambini cominciano infatti a soffrire la necessità di dover condividere spazi, tempi, attenzioni
e decisioni con i loro compagni: fornire loro alcuni
strumenti per capire le situazioni che affrontano ed
insegnare la possibilità di risolverle in modo collaborativo è un obiettivo primario.
Le nostre diverse modalità relazionali si attivano alternativamente in base al contesto sociale, biologico
e alla propria storia di vita. Nei primi mesi di vita
la relazione predominante è l’attaccamento: la relazione materna è ricercata per ottenere sostentamento
e protezione, con intensità decrescente fino all’inizio
dell’esplorazione del contesto da parte del bambino.
In seguito, le relazioni del bambino aumentano di
complessità: il narcisismo iniziale, tutelato nei primi
mesi da un sistema che vuole il bambino unico
protagonista e responsabile delle regole interattive,
si attenua con i primi contesti sociali estesi che incontra. Una modalità di reazione istintiva in questa
Progetto
Sin dall’inizio dell’anno scolastico, osservando il
gruppo “grandi” della mia sezione, avevo notato che
i bambini avevano difficoltà a collaborare fra loro:
cercavano di primeggiare in tutto, sfidandosi reciprocamente, assumendo sempre più spesso atteggiamenti competitivi, giungendo perfino ad aggressioni verbali e a litigi. Volevo raggiungere un nuovo
108
fase è la protezione della propria persona, attraverso
condotte agonistiche e talvolta conflittuali. L’obiettivo è di sviluppare contemporaneamente un’altra
modalità relazionale – per certi versi opposta, ma
non mutualmente escludente – rappresentata dalla
cooperazione. Lavorare con i bambini prestando
attenzione ad entrambi questi aspetti è un obiettivo
importante: occorre, ove possibile, personalizzare
le attività selezionando i bambini per i quali è più
opportuno sviluppare una modalità relazionale piuttosto che l’altra. Prevedere attività cooperative aggiuntive è utile per integrare gli altri contesti in cui
l’attenzione è posta sull’agonismo e la competizione
tra pari: si pensi alle realtà sportive e alle ore di
ginnastica (“possiamo dirlo anche all’insegnante di
ginnastica?” è esplicitamente chiesto da un bambino
nell’esperienza descritta di seguito). Il punto di contatto si ha negli sport di squadra, dove l’obiettivo è
trasformare l’agire cooperativo in un valore aggiunto
per il contesto agonistico.
La dimensione cooperativa nel gioco è realizzabile
secondo modalità differenti. L’idea di base è creare
contesti sfidanti in modo tale però che l’obiettivo sia
facilmente raggiungibile, così da poter fornire un
feedback positivo all’agire cooperativo. Parimenti
importante è strutturare l’attività in modo tale che
ogni partecipante sia in grado di percepire la propria indispensabilità nella riuscita del compito: è
possibile pensare ad un approccio graduale, che
parte da un contesto dove i compiti sono chiaramente delineati dall’insegnante fino ad attività dove
i bambini cercano autonomamente di riconoscere
l’importanza di organizzarsi per completare il gioco
seguendo le regole.
Le idee esposte sono state realizzate attraverso un
progetto che le struttura lungo una serie di attività
diverse e coinvolgenti con un obiettivo finale preciso: migliorare il clima cooperativo all’interno della
classe. Il principale obiettivo è stato raggiungere un
nuovo equilibrio e consolidare atteggiamenti più
cooperativi, facendo comprendere ai bambini l’importanza e la bellezza dell’unire le forze per raggiungere la stessa meta in un’ottica di fiducia e sostegno
reciproci, valorizzando e conservando, allo stesso
tempo, l’originalità e l’identità di ciascuno.
equilibrio e instaurare un clima più cooperativo in
sezione, facendo comprendere ai bambini l’importanza e la bellezza dell’unire le forze per raggiungere
la stessa meta in un’ottica di collaborazione, fiducia
e sostegno reciproci, valorizzando e conser-vando,
allo stesso tempo, l’originalità e l’identità di
ciascuno.
La tabella di programmazione è visionabile
sul sito di “Scuola materna”.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
I bambini e l’insegnante si dispongono in cerchio,
seduti su un telo azzurro.
Gabriele: “Sere, perché siamo su questo telo?”.
Ins. (Serena): “Vorrei leggervi una storia....”.
Beatrice: “Sembra di stare sull’acqua!”.
Francesco: “Ci devi raccontare una storia dell’acqua?”.
Ins.: “Lo scopriamo subito… La storia di Guizzino,
racconta le avventure di un pesciolino nero che
viveva insieme a un branco di pesciolini rossi. Un
giorno, un grosso tonno, mangiò tutti i pesciolini
rossi, ma Guizzino riuscì a fuggire. Vagò per i fondali e incontrò altri animali e le bellezze del mare...
quando finalmente trovò un altro branco di pesciolini rossi. Ma questi erano terrorizzati dai grandi
tonni e non nuotavano più serenamente per paura
di essere mangiati. Allora Guizzino ebbe un’idea:
“Ho trovato: nuoteremo tutti insieme come il più
grande pesce del mare!” e spiegò come dovevano
nuotare vicini l’un l’altro, ognuno al suo posto. E
quando ebbero imparato a nuotare insieme, Guizzino disse: “Io sono l’occhio”. Nuotarono nel grande
mare e uniti riuscirono a cacciare i grandi pesci…”.
Beatrice: “Nooooo! Senza coda il pesciolone non
poteva nuotare!”.
Alice: “E… non sembrava più un pesce!”.
Ins: “Quindi quando noi facciamo la fila per uscire
dalla sezione... non è importante essere primi o
ultimi... perché siamo tutti importanti e andiamo
tutti nello stesso posto...”.
Francesco: “È vero!!”. “Sere... Perché non proviamo
anche noi a fare come Guizzino? Costruiamo un
bambino gigante!”.
Beatrice: “Eeeeee, con cosa?”.
Francesco: “Con noi!”.
Ins: “Bellissima idea... Adesso, proprio come ha
fatto Guizzino, perché non spieghi ai tuoi amici
come realizzarlo?”.
Francesco: “Io mi metto sdraiato e qualcuno fa le
braccia e le gambe, io faccio il corpo!”.
(Altri quattro compagni si offrono di aiutarlo e
insieme negoziano soluzioni su come realizzare il
bambino gigante).
L’insegnante scatta la foto e la mostra.
Ins: “Intendevi questo?”.
Francesco: “Aahahah (risata), sì bello, però manca
la testa!!!”.
Ins: “Come possiamo fare?”.
Francesco: “I bambini che mancano fanno la faccia!”.
Sofia: “Io faccio l’occhio!”.
Lorenzo: “Anche io, tanto sono due!”.
(L’insegnante scatta la foto e la mostra ai bambini...)
Francesco: “Bello ma non si capisce tanto!”.
Beatrice: “Proviamo a fare solo la faccia così è più
grande...”.
(I bambini, autonomamente si dispongono in cerchio, e due di loro scelgono liberamente di fare gli
occhi…)
Beatrice: “Manca la bocca!”.
Sofia: “Ok, la faccio io!!”
Discussione in gruppo
Ins.: “Vi è piaciuta questa storia?”.
Arianna: “Sì perché è riuscito a spaventare il
tonno!”.
Ins: “Grazie a chi o a che cosa è riuscito?”.
Emanuele: “Perché avevano fatto un pescione
grosso come lui”.
Lorenzo: “Grazie a tutti gli amici!”.
Alice: “Perché si sono messi tutti insieme e hanno
fatto il pesciolone e l’hanno spaventato!”.
Ins: “E il pesciolino che faceva la coda, che stava
per ultimo.... era importante come il primo di tutti
che stava davanti, vicino a Guizzino?”.
Gabriele/Arianna: “Nooooo!”.
Ins: “Allora poteva anche non nuotare con loro e
andare in un’altra direzione!”.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
109
Dalle scuole
Attività introduttiva
Dalle scuole
Dopo aver visionato la fotografia, la discussione
prosegue.
Emanuele: “Ecco, così sembra proprio una faccia!!!!!!”.
Ins: “Siete stati proprio bravi a pansare e realizzare questa idea… Ma... se Francesco non ci fosse
stato?”.
Francesco: “La faccia non aveva un occhio!”.
Lorenzo: “Poteva essere cieco!”
Ins: “... e se non c’era Sofia?”.
Emanuele: “Era muto! Non parlava perché non
aveva la bocca!!”.
Ins: “Da soli, sareste riusciti a realizzare una faccia?”.
Emanuele: “Aspetta che provo... No. È impossibile!”.
Ins: “Quindi ognuno di noi è stato importante e indispensabile nella realizzazione... tutti siete stati importanti per fare la faccia o il bambino di prima.....”.
Tutti: “Sììììììììììì”.
Ins: “Questo cosa ci fa capire?”.
Beatrice: “Che insieme facciamo delle belle cose”.
Francesco: “Come Guizzino e i suoi amici.....”.
Insegnante: “Ora perché non proviamo a realizzare
proprio il pesciolone della storia?? Io sono Guizzino e voi i miei amici.....mi aiutate a sconfiggere la
paura del tonno?”.
Tutti: “Sìììììììì”.
L’insegnante ha disposto sul tavolo un cartellone
blu (il mare) e Guizzino (realizzato con cartoncino
nero). Ad ogni bambino è stato consegnato un foglio
rosso e, a turno, hanno realizzato il proprio pesciolino con l’aiuto di un pesce preformato. Quando un
bambino era in difficoltà, il compagno lo aiutava.
Hanno ritagliato la sagoma e infine, ogni bambino,
ha scritto il proprio nome sul pesciolino. Successi-
110
vamente, i bambini sono stati invitati a disporre i
loro pesci (compreso Guizzino) sul cartoncino blu,
in modo da realizzare il grande pesciolone della
storia.
Ins: “Com’è venuto secondo voi?”.
Francesco: “Bene! È quasi uguale alla storia!”.
Ins: “Ora... Arianna... prova a togliere il tuo pesciolino dal gruppo! Cosa succede?”.
Arianna: “Manca un pezzo!”.
Beatrice: “È un pesce strano... l’occhio così esce
fuori!”.
Ins: “Quindi.....Guizzino cosa ha voluto insegnarci?”.
Beatrice: “Che se si sta insieme si fanno cose belle”.
Gabriele: “Stare insieme è bello!”.
Lorenzo: “Si sono aiutati.....”.
Ins: “Si può dire quindi che insieme e collaborando....”
Beatrice: “Si è più felici!”.
Alice: “Se ci aiutiamo si riesce a fare le cose!”.
Ins: “Vi va di terminare questa storia con un grande
abbraccio tra amici?”.
Tutti: “Sìììììì”.
Francesco: “Sere adesso disegnamo anche le alghe
colorate a Guizzino?”.
Ins: “Sì, certo, se volete si può scrivere il titolo e
disegnare ciò che volete...”.
Gabriele: “Le alghe con la tempera”.
Alice: “Di tutti i colori”.
Ins: “Ok, sapete dove sono i materiali... organizzatevi e disegnatele”.
Francesco scrive il titolo della storia: “La storia di
Guizzino” con la scrittura spontanea, poi i bambini
realizzano tutti insieme il fondale del mare, rispettando ognuno il proprio turno.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
L’importanza dei giochi cooperativi sta nel fatto
che nessuno, inteso come singolo individuo, può
vincere o perdere. I partecipanti non giocano l’uno
contro l’altro, ma costituiscono insieme una “squadra”, sfidando se stessi e le proprie capacità per
raggiungere un obiettivo comune.
Gioco delle sedie: “Gioco dell’in braccio”
I bambini camminano intorno alle sedie, disposte
a cerchio, con sottofondo musicale. Nel momento
in cui si ferma la musica, ogni bambino deve sedersi su una sedia libera, purtroppo però non ci
saranno abbastanza sedie per tutti! Nonostante
ciò, nessuno perde o viene eliminato: un compagno
può condividere la sedie facendolo sedere sulle sue
gambe! Ogni volta che ricomincia la musica, il numero delle sedie diminuisce e i bambini dovranno
trovare il modo di condividere le sedie rimaste. Alla
fine del gioco, tutti i bambini si troveranno a condividere una sola sedia, aiutandosi reciprocamente
per raggiungere lo scopo finale, ovvero riuscire a
stare tutti “seduti”.
Discussione in gruppo
Ins: “Vi è piaciuto questo gioco?”.
Bambini: “Sìììììììììì!!!!”.
Francesco: “È stato bello perché nessuno è stato
eliminato!”.
Emanuele: “Si infatti una sedia non ci rimane male
se la eliminiamo!”.
Beatrice: “….e abbiamo giocato tutti insieme fino
alla fine!”.
Alice: “Erano tutti in braccio a me alla fine!”.
Emanuele: “….e ci tenevamo stretti!”.
Ins: “Quindi con le forze di tutti siete riusciti?”.
Beatrice: “Sì per fortuna che ci tenevamo anche se
poi alla fine siamo caduti!”.
Ins: “Se non vi foste tenuti? Sareste riusciti lo
stesso?”.
Bambini: “Noooooo”.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Francesco: “Se non ci tenevamo, cadevamo e rimaneva seduta solo l’Alice!”.
Ins: “Quando vi aiutate a vicenda, proprio come
l’altro giorno e come gli amici di Guizzino, riuscite
anche nei giochi che sembrano difficili… vero?”.
Emanuele: “Sììì è vero, siamo forti!!!”.
Ins: “Diamo un nome a questo gioco? Così la prossima volta che vogliamo rifarlo lo chiamiamo col
nome giusto…”.
A votazione, è stato scelto “Gioco dell’in braccio!”.
Gioco dei cerchi: “Gioco di Guizzino”
I bambini sono pesciolini, liberi di “nuotare” nel
“mare” (salone) al suono della musica. Quando
la musica si ferma significa che c’è un pericolo: il
tonno gigante! Tutti dovranno trovare rifugio nella
propria “tana” (cerchio), purtroppo però non ci
saranno “tane” per tutti.
Durante la spiegazione dell’insegnante, i bambini
intervengono spontaneamente per ipotizzare il proseguimento e lo scopo del gioco:
Emanuele: “…e quindi un pesce viene mangiato!”.
Beatrice: “No dai, non è bello così!”.
Ins: “Come possiamo fare allora?”.
Francesco: “Eliminiamo il cerchio, come con le
sedie!”.
Beatrice: “Così non ci rimane male nessuno!”.
Ins: “Va bene, possiamo fare così. Se un bambino
rimane senza tana... un compagno può ospitarlo e
condividere la sua!”.
Nella fase finale del gioco, quando tutti i bambini
avrebbero dovuto dividersi il cerchio rimasto,
Arianna entra nel cerchio dicendo “Sono entrata io
per prima!”.
Nel momento in cui si sono ritrovati tutti insieme
nel cerchio, non sono riusciti a rimanere in piedi
perché si spingevano a vicenda per farsi posto.
Discussione in gruppo
Ins: “Secondo voi è riuscito il gioco? Siete riusciti a
condividere l’unica tana rimasta?”.
111
Dalle scuole
Fase centrale: i giochi cooperativi
Dalle scuole
Ins: “Vi è piaciuto il gioco?”.
Francesco: “Sì, perché si poteva stare tutti insieme e
se stiamo insieme ci possiamo aiutare a fare le cose
che non riusciamo”.
Beatrice: “No, perché continuavamo a spingerci”.
Francesco: “Ma il cerchio era troppo stretto!”.
Ins: “È stato quello il motivo seondo voi?”.
Gabriele: “No dai, non è stata colpa del cerchio!”.
Arianna: “Era colpa nostra che ci spingevamo”.
Ins: “Forse non avete collaborato fino alla fine, non
vi siete aiutati come nell’altro gioco. Cosa possiamo
fare per rimediare?”.
Gabriele: “Possiamo farlo da capo e ricordarci
come fare!”.
Emanuele: “Ma con un cerchio più grande così ci
stiamo”.
Ins: “Secondo me....potete riuscirci anche con questo”.
Gabriele: “Basta che stiamo su un piede magari”.
Beatrice: “Oppure ci abbracciamo”.
Il gioco è stato riproposto e i bambini sono riusciti
a condividere l’ultimo cerchio, collaborando e trovando insieme soluzioni possibili come “abbracciarsi” e “tenersi stretti”!
Ins: “Secondo voi adesso è riuscito il gioco?”.
Beatrice: “Sì, siamo riusciti a stare tutti nel cerchio!”.
Ins: “Allora siete riusciti a salvarvi tutti?”.
Arianna: “Sì, abbiamo trovato un modo”.
Lorenzo e Beatrice: “Siamo stati stretti nel cerchio e
ci abbracciavamo”.
Ins: “Perché siete riusciti questa volta?”.
Francesco: “Perché ci siamo aiutati”. “E nessuno ha
perso perché non siamo stati mangiati”.
Emanuele: “Abbiamo vinto come una squadra di
calcio”.
Ins: “In una squadra di calcio giocano tutti insieme
e si aiutano per fare gol e riuscire a vincere tutti
insieme la partita, voi come vi siete aiutati e perché?”.
Emanuele: “Facevamo entrare gli amici nella nostra casa”.
Ins: “Quindi era importante arrivare primi nella
tana?”.
Arianna: “No, era importante stare insieme e aiutarci”.
112
Gioco dell’autolavaggio
Gli alunni si dispongono su due righe costituite da
tre bambini ciascuna, uno di fronte all’altro, per
creare “l’autolavaggio”: i primi della riga saranno i
primi rulli, poi i secondi e i terzi. A turno un bambino passerà in mezzo alle righe, come una macchina, e verrà lavato dai rulli.
Ins: “Sapete cos’è un autolavaggio?”.
Bea: “Quando una macchina si sporca va nell’autolavaggio e si lava”.
Ins: “Cosa succede quando la macchina entra
nell’autolavaggio?”.
Emanuele: “Scende l’acqua poi ci sono i rulli per il
sapone e poi piano la macchina va vicino a dei tubi
che la asciugano”.
Gabriele: “Come dei foni giganti”.
Ins: “Bravissimi, il nostro autolavaggio però potrà
fare solo tre passaggi, pensiamoci...”.
Gabriele: “Prima l’acqua e il sapone”.
Emanuele: “...e poi si asciuga!”.
La “macchina” si prepara per essere “lavata”: i primi
rulli gettano acqua e insaponano, i secondi rulli risciacquano e, infine, gli ultimi rulli asciugano.
Discussione in gruppo
Ins: “Vi è piaciuto questo gioco?”.
Beatrice: “Si, mi soffiavano e mi facevano solletico”.
Francesco: “È stato bello perché anche questo è
stato un gioco che abbiamo giocato insieme”.
Gabriele: “... e tutti facevamo tutto”.
Ins: “Se non ci fosse stao uno di voi, quindi un
rullo?”.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Fase finale: lavoro di gruppo
“Progetto, realizzo e racconto una storia con l’aiuto
dei miei compagni”
Per svolgere questa attività, ho suddiviso i bambini
in due gruppi, uno di maschi e uno di femmine. I
bambini dovevano raggiungere la sezione dal cortile, passando per il corridoio, con l’aiuto delle tessere giganti del domino. Gli alunni hanno 2 o 3 tessere ciascuno e, in base ai numeri disegnati, devono
metterle in successione, uno alla volta, creando il
percorso per arrivare alla sezione.
Ogni gruppo ha a disposizione diversi tipi di materiali per progettare (verbalmente), realizzare (graficamente) e infine raccontare una storia con l’aiuto
dei componenti del proprio gruppo.
L’obiettivo è collaborare e cooperare nella realizzazione di un progetto comune, evitando di primeggiare o “sostituire” i compagni.
Durante lo svolgimento dell’attività ho osservato i
due gruppi: le femmine hanno scelto subito il materiale e poi hanno deciso di disegnare una bambina
che va a scuola. Mentre preparavano le tempere, è
caduta una goccia di tempera blu sul foglio e così
hanno deciso di fare il mare per coprire la macchia e di disegnare la bambina sulla spiaggia. Le
bambine sono molto attratte da tutti i materiali e si
confrontano su come possano usarli. Prima di attaccare qualcosa o disegnare si chiedono il permesso
a vicenda. Ogni volta che una bambina aggiunge
qualcosa, all’altra viene in mente un elemento successivo. Si consigliano anche sulla scelta del materiale e si aiutano ad attaccare gli oggetti o a versare
la tempera nei bicchieri. Non si è verificato nessun
episodio di litigio e la storia finale è stata inventata
e raccontata da tutte loro.
Il gruppo dei maschi ha deciso insieme di fare
un bosco con molti alberi e ha scelto il materiale
adatto. Gabriele ha spesso domandato a Francesco
se poteva disegnare o attaccare del materiale ma,
se quest’ultimo non si mostrava d’accordo, Gabriele
lasciava il materiale sul carrello. Emanuele, invece,
non chiedeva nulla a nessuno e sperimentava autonomamente l’uso di colori e altro materiale, pur
restando tuttavia inerente al progetto che avevano in
mente tutti i bambini. Egli ha cambiato spesso idea
su cosa fare o cosa attaccare, in base agli stimoli che
i diversi materiali gli suscitavano. Anche gli altri tre
bambini, vedendo Emanuele, si sono incuriositi e
hanno usato materiali diversificati, chiedendosi il
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Dalle scuole
Lorenzo: “La macchina non si lavava bene”.
Francesco: “... oppure rimaneva bagnata” “…e se
non c’ero io (la macchina)?”.
Beatrice: “Nessuna macchina da lavare e rimaneva
chiuso”.
Gabriele: “Ognuno ha fatto quello che doveva fare”.
Beatrice: “Perché eravamo tutti insieme, perché un
bambino da solo non puo’ giocare a questo gioco”.
permesso vicendevolmente, aiutandosi e consigliandosi. Non si è verificato nessun episodio di litigio,
nessun bambino ha voluto prevaricare sull’altro e la
storia è stata raccontata da tutti.
Discussione in gruppo
Ins: “Vi è piaciuta questa attività?”.
Gabriele: “Sì, perché c’erano tante cose che potevamo usare”.
Sofia: “A me è piaciuto fare il mare con la Bea e aiutare l’Alice a fare la bambina”.
Emanuele: “È stato bello perché c’erano tanti materiali e tutti in squadra abbiamo fatto il disegno e alla
fine erano tutti belli!”.
Ins: “Avete partecipato tutti allo stesso modo?”.
Bambini: “Sììììììì”.
Gabriele: “Ognuno faceva un pezzo come gli altri”.
Ins: “Siete andati d’accordo o c’è stata qualche discussione?”.
Beatrice: “Eravamo tutte d’accordo”.
Francesco: “... anche noi!”.
Osservazioni
I bambini hanno partecipato sempre attivamente
alle attività e ai giochi, proponendo anche in maniera autonoma diverse soluzioni per proseguire i
giochi o modificare. Si sono dimostrati sempre at-
113
Dalle scuole
tenti e interessati, chiedendomi spesso di poter rifare
le attività, suggerendomi di proporle anche ai compagni più piccoli e all’insegnante di psicomotricità.
Ho notato che hanno collaborato, a volte in maniera
più spontanea di altre. Durante il gioco dei cerchi
hanno perso di vista l’obiettivo comune, hanno voluto primeggiare e non sono riusciti a portarlo a termine come avrebbero dovuto. Dopo la discussione di
gruppo, però, abbiamo deciso di rifarlo e, in questo
caso, i bambini sono riusciti a collaborare e a raggiungere lo scopo dell’attività.
Durante lo svolgimento delle attività, sembrava che
i bambini avessero capito il significato e l’importanza di collaborare per un obiettivo comune. Anche
nell’autovalutazione si sono espressi in maniera
significativa a riguardo, ragionando in modo metariflessivo sulle esperienze vissute, sugli obiettivi raggiunti, le competenze acquisite, gli aspetti di criticità
emersi, ecc.
Ins: “Quale gioco o attività vi è sembrata più facile o
più difficile e perché?”
Francesco: “Per me l’autolavaggio era facile perché
non si doveva correre o stare in braccio! Il gioco
dei pesci era più difficile perché dovevamo stare nel
cerchio tutti insieme e non ci siamo riusciti subito”.
Beatrice: “Il gioco delle sedie è stato facile perché
si eliminavano le sedie e quello del domino difficile
perché non trovavamo la soluzione per entrare in
classe, non avevamo il numero!”.
Emanuele: “...anche per me! Quello difficile era
quello delle sedie perché l’Alice doveva tenerci tutti
in braccio come una montagna”.
Ins: “Pensando alle attività e ai giochi che abbiamo
fatto, cosa significa secondo voi collaborare e cooperare con i compagni?”
Beatrice: “Significa fare i lavori insieme”.
Gabriele: “... e farli belli!”.
Emanuele: “Lavorare come una squadra”.
Francesco: “... come una squadra di calcio”.
Ins: “Pensate sia importante collaborare e cooperare
con gli altri?”.
Francesco: “Sì, perché da soli si fanno meno cose”.
Lorenzo: “Tipo se facevamo i lavori dei cartelloni da
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114
soli venivano più... strani... più piccoli”.
Beatrice: “... e non venivano proprio belli così”.
Francesco: “Ma anche da soli si possono fare le cose”.
Beatrice: “Sì, ma con gli altri è più bello e vengono
di più belle”.
Sofia: “Come quando ci aiutiamo a fare i disegni liberi che vengono più belli”.
Lorenzo: “… e se uno non sa fare qualcosa lo chiede
al suo amico e gliela fa e poi è più bello e contento”.
La ricchezza di questa esperienza ha richiesto che
mi prendessi alcuni momenti per un’autovalutazione
obiettiva e profonda del mio modo di gestire il tutto.
Durante i giochi e le attività mi è capitato spesso di
pensare di essere riuscita a raggiungere l’obiettivo
iniziale di far capire l’importanza di collaborare e
cooperare e di aver avuto successo nel mio intento.
I momenti della giornata e le routine quotidiane in
cui avevo maggiori difficoltà a far capire ai bambini
l’importanza di collaborare sono diminuiti progressivamente nel tempo: quando si mettono in fila, per
esempio, o quando finiscono di svolgere un lavoro,
oppure quando rivestono qualche incarico, tendono
in misura minore a voler primeggiare sugli altri.
Anche durante il gioco o le attività non guidate, si
presentano meno occasioni di litigio tra loro. Credo
ci sia ancora molto da lavorare, soprattutto in vista
della scuola primaria. Se avessi avuto più tempo a
disposizione, avrei proposto il gioco del domino in
maniera differente, ovvero non come introduzione
all’attività, ma come gioco vero e proprio, in tutta la
sua durata e con a seguito una dovuta discussione.
Mi spiace aver avuto solo due mesi di tempo per
progettare e per mettere in atto il percorso didattico,
infatti, sarebbe stato interessante proporre queste
esperienze a partire dal mese di gennaio per concludere nel mese di maggio: in questo modo avrei
avuto inevitabilmente maggiori riscontri da parte
dei bambini e avremmo potuto approfondire altri
aspetti rilevanti, inerenti al tema trattato. Imparare
a collaborare non è così facile e immediato. Avrei
potuto proporre collaborazioni più significative ed
esperienze di tutoring, osservando gli alunni anche
in momenti meno strutturati della giornata, come il
pranzo o il gioco libero.
Una difficoltà che ho riscontrato è stata quella di
insegnare in una classe eterogenea e di lavorare solo
con il gruppo “grandi”, infatti, durante le attività
inerenti questo percorso ho dovuto chiedere aiuto
alle colleghe e alla cordinatrice per gestire gli altri
bambini.
In conclusione mi sento di dire che, complessivamente, è stato un bellissimo progetto, soddisfacente
e stimolante, che ha insegnato molto a me e che ha
aiutato i bambini a capire che stare insieme è bello e
che... l’unione fa la forza!
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Associazioni di
scuole autonome (Asa)
ra le forme associative promosse dalle Istituzioni scolastiche all’indomani del conferimento della personalità giuridica
e dell’autonomia funzionale si
collocano le Asa, sorte come tentativo di dotare le scuole associate
di una rappresentanza collettiva
di interessi pubblici sul modello
dell’Associazione nazionale dei
comuni (Anci) e dell’Unione delle
province italiane (Upi).
La rappresentanza doveva consentire alle scuole di essere interlocutrici competenti sui tavoli dove si decide la politica
scolastica soprattutto dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione che ha introdotto particolari dinamiche innovative:
smantellamento dell’apparato
periferico dello Stato1, esercizio
delle funzioni amministrative da
parte dei Comuni, potestà concorrente delle Regioni in materia
di istruzione (cfr. artt. 117 e 118
Cost.), necessità conseguente di
un nuovo modello di governance
del sistema scolastico. Le Asa
si sono prefisse e si prefiggono
l’obiettivo di rappresentare e difendere gli interessi e gli spazi
dell’autonomia in tutti questi
delicati passaggi d’innovazione
amministrativa e di cesura dal
modello di gestione ministeriale.
Le Asa hanno scelto, tra i modelli associativi esistenti, quello
dell’associazione non riconosciuta cioè di soggetto di diritto
privato, ai sensi degli artt. 36 e ss.
c.c. Il modello non era previsto
nella normativa sull’autonomia
funzionale fatta eccezione per un
cenno un po’ onnicomprensivo
nel regolamento dell’autonomia
T
nel punto in cui si dispone che “le
istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo” (art. 6,
comma 1, D.P.R. n. 275/1999).
Le associazioni di scuole autonome sono associazioni private
di enti pubblici, senza personalità giuridica; sono costituite per
contratto (atto costitutivo) e stabiliscono le regole di funzionamento dell’associazione (statuto).
Gli enti associati sono tra loro
contrattualmente vincolati2.
Le Asa sono oggi diffuse sul
territorio nazionale, seppure in
modo diseguale da Regione a
Regione; hanno anche compo1
Smantellamento previsto dal Titolo
V rinnovato ma non attuato; anzi si
è assistito ad un rafforzamento degli
Uffici scolastici territoriali e regionali, con pregiudizio per l’autonomia
delle scuole. È venuto anche meno il
dovere di supporto che l’apparato periferico doveva assicurare agli istituti
autonomi. Il risvolto neocentralista
degli apparati periferici della pubblica istruzione è stato avviato e proseguito, senza distinzione di colore
politico, dai ministri L. Moratti, G.
Fioroni e M.S. Gelmini.
2
Cfr. F. Galgano, Le associazioni,
le fondazioni, i comitati, in I grandi
orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, Padova 1987. Va
ricordato che la libertà di associazione è garantita dalla Costituzione
(art. 18) e che le associazioni sono
formazioni sociali dove si svolge la
personalità degli individui. Per costituire un’associazione non riconosciuta “è sufficiente l’accordo, comunque manifestato (anche oralmente o
per scrittura privata) sugli elementi
essenziali per l’esistenza dell’associazione: lo scopo, i diritti e gli obblighi
degli associati e le condizioni per la
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
sizione diversa. Da una ricerca
promossa dalla Libera Università
di Bolzano negli anni 2011-2013
sull’associazionismo scolastico è
emersa l’esistenza di queste tipologie di Asa:
a. associazione provinciale di
scuole autonome (es. Asab/Brescia, Asaberg/Bergamo, Assa/
Bolzano, Asabo/Bologna, ...);
b. associazione regionale di scuole
autonome (es. Asasi, Asafvg
Friuli, Asas Sardegna, …);
c. associazione o federazione regionale di associazioni provinciali di scuole autonome (associazione di associazioni) (es.
Asaer/emilia Romagna, Faisal/
Lombardia, …);
loro ammissione, le regole sull’ordinamento interno e sull’amministrazione: ma se l’associazione aspira ad
ottenere il riconoscimento, l’atto costitutivo dovrà essere redatto in forma
pubblica (artt. 14 e 2699 c.c.) e dovrà
indicare anche la denominazione, il
patrimonio e la sede: elementi che
devono essere controllati dall’autorità
governativa, e che sono indispensabili per attuare la pubblicità nel registro delle persone giuridiche” (P.
Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Giuffré, Milano 200516, p. 79).
L’assemblea degli associati delibera
in base al principio maggioritario; le
associazioni sono aperte all’adesione
di nuovi enti secondo requisiti stabiliti nello statuto; l’associato può sempre recedere dall’associazione se non
ha formalizzato la durata della sua
adesione per un tempo determinato
(art. 24, comma 2, c.c.); le prestazioni
degli associati sono contributi a fondo
perduto per gli obiettivi dell’associazione; l’associazione si estingue per
deliberazione dell’assemblea (art. 21
c.c.), per il venir meno di tutti gli
associati (art. 27 c.c.) e per le cause
previste nell’atto costitutivo.
115
quadrante
Mario Falanga
quadrante
d. associazione regionale di reti di
scuole e di singole scuole (es.
Asal/Lazio, …);
e. federazione o unione nazionale
di associazioni di scuole autonome (Fnasa, Unasa).
La forma giuridica delle
Asa
La dottrina è pacifica nell’individuare nell’associazione non riconosciuta la forma giuridica nella
quale inquadrare in modo appropriato le Asa.
P. Parziani in un contributo
sull’associazionismo scolastico
argomenta che la forma associativa della rete tra scuole, previsto
dall’art. 7, D.P.R. 275/1999, è strumento debole per rappresentate
interessi collettivi pubblici delle
scuole autonome, non garantendo
un ruolo di rappresentanza autorevole rispetto ad interlocutori
istituzionali per la definizione e
la gestione del servizio di istruzione. Di conseguenza, e per converso, ritiene Parziani, le Associazioni di scuole, ai diversi livelli
territoriali, “intendono essere” lo
strumento più idoneo per questo
dialogo inter-istituzionale sul servizio di istruzione; e aggiunge che
l’Associazione tra scuole “trova il
suo fondamento giuridico nella
rete, negli accordi tra pubbliche
amministrazioni previsti dalla
legge 241/1990, nella possibilità
116
prevista dal Codice civile che
venga costituita un’associazione
di diritto privato formata da Enti
pubblici che hanno personalità
giuridica”3.
La forma giuridica più appropriata delle Associazioni di scuole,
sostiene R. Morzenti Pellegrini, è
“quella del diritto privato, formalmente costruita con atto notarile.
L’Associazione deve avere natura
del tutto intenzionale e le singole
istituzioni scolastiche aderiscono
su delibera dei competenti organi
collegiali e sono rappresentate
dai rispettivi Dirigenti scolastici,
nella loro veste di rappresentanti
legali dell’Istituzione”4.
In linea con la dottrina anche un
autorevole parere reso dall’Avvocatura Generale dello Stato,
n. 35231/2001, sopra riportato.
L’Avvocatura assimila la rete tra
scuole autonome alle associazioni di diritto privato in considerazione del fatto che “la struttura
delineata per le reti di scuole ha
carattere associativo in quanto
diretto a creare un vincolo tra le
scuole, per la gestione in comune
di interessi delle medesime”.
Come dire che l’unica forma giuridica possibile all’esistere delle
reti fra scuole è quella associativa
di diritto privato.
A mio avviso duplice è il fondamento giuridico che legittima il
ricorso all’associazionismo privatistico:
1. uno è rinvenibile nell’art. 15,
comma 1, della L. n. 241/1990,
in base al quale “le amministrazioni pubbliche possono sempre
concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di comune
interesse”;
2. l’altro è rinvenibile nella già ricordata capacità negoziale propria
degli istituti scolastici in quanto
persone giuridiche. Detta capacità negoziale, che è “piena” (art.
31, comma 1, D.I. n. 44/2001 e art.
1, comma 3, D.P.R. n. 233/1998),
analoga la scuola all’operatore
del mercato giuridico.
Ritengo che il principio della rappresentanza per così dire politica
degli interessi pubblici delle Asa
in materia di servizio scolastico
sia principio debole nell’ordinamento in vigore; necessita di
approfondimenti dottrinali e di
copertura legislativa per delinearne gli effetti sul piano della governance. Non sono mancati tentativi di legislazione nazionale5 e
iniziative popolari di legislazione
regionale6 per definire e valorizzare l’associazionismo scolastico,
tuttavia senza esito.
3
Tra centralismo e regionalismo.
Quale rappresentanza per l’autonomia scolastica, cit., p. 22.
4
R. Morzenti Pellegrini, Le associazioni di scuole autonome, in “Scuola
e didattica”, n. 13 (2007) p. 103.
5
D.L. n. 1763/2007 d’iniziativa delle
senatrici Negri, Soliani, Carloni:
Norme per la costituzione dell’Associazione nazionale delle Istituzioni
scolastiche e per il rafforzamento
delle sedi di concertazione e delega al
Governo per la riforma del sistema di
finanziamento.
6
Proposta di legge d’iniziativa popolare: Norme per la valorizzazione
delle autonomie funzionali nel sistema di istruzione e formazione della
Regione Lombardia. Modifiche alle
leggi regionali 19/2007 e 22/2009. Le
Regioni, nell’ambito della potestà
di legislazione concorrente possono
riconoscere il ruolo delle Asa come
interlocutrici efficaci nella politica
scolastica territoriale. Di eguale avviso S. Stefanel, Le Associazioni delle
Scuole Autonome, in “Rivista trimestrale di Scienza dell’Amministrazione Scolastica”, n. 4 (2008) p. 32.
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Ogni attività delle Asa è attività
delle scuole aderenti; di conseguenza ogni attività delle Asa deve
porsi in sintonia, quindi non in
contrasto, con gli interessi pubblici propri delle Istituzioni scolastiche associate. Le attività
dell’Asa devono pertanto essere
“coerenti con le finalità istituzionali” (art. 7, comma 2, D.P.R. n.
275/1999) e di “interesse comune”
(art. 15, comma 1, L. n. 241/1990).
Le Asa possono avere risorse economiche accreditate su un conto
corrente autonomo oppure nel bilancio della scuola capofila ove è
predisposta una scheda-progetto
che giustifica e rendiconta l’utilizzo dei fondi.
La struttura operativa delle Asa,
in quanto organizzazioni non riconosciute, è stabile, al pari dei
consorzi amministrativi e non.
L’attività delle Asa soggiace alla
disciplina pubblicistica, pur essendo l’Asa un’associazione di
diritto privato, perché pubblici
sono gli interessi che persegue
e pubblici i fondi che utilizza.
Le Asa sono soggetti alternativi
agli organi classici della pubblica
amministrazione per l’esercizio di
compiti istituzionali7.
La citata ricerca della Libera Università di Bolzano sull’associazionismo scolastico ha rilevato nella
rappresentanza e nel supporto alle
scuole i due grandi interessi pubblici da perseguire8. In particolare
il 66% delle Asa dichiara che l’ambito di presenza e di intervento è
sia la rappresentanza delle scuole
presso gli Uffici scolastici regionali e gli Uffici scolastici territoriali, le organizzazioni sindacali
e gli enti locali; sia lo sviluppo
dell’autonomia mediante il supporto di queste azioni:
s SOSTEGNOPERCONVENZIONI
accordi 72%, per attività culturali 72%, sostegno per attività
progettuali 72%;
s CONSULENZELEGALI
s INTERVENTI PER LA FORMAZIONE IN
servizio: 72%;
s TUTELADIINTERESSILEGITTIMIEPRE
stigio professionale: 20%;
s SCAMBI DI ESPERIENZE TRA PUB
blico e privato: 33%;
s ADESIONE AD ASSOCIAZIONI INTER
nazionali: 0,6%;
s RAPPORTI CON UNIVERSITÌ ED %NTI
di Alta Formazione: 0,6%;
s PUBBLICAZIONEPERIODICI
Le scuole unite in associazione
7
Cfr. L. Paolucci, Reti di scuole, in G.
Cerini-M. Spinosi, Voci della scuola,
Tecnodid, Napoli 2004, vol. IV, pp.
299-300.
8
Dati elaborati da M.G. Vinciguerra,
L’associazionismo delle Istituzioni
scolastiche autonome il punto di vista
delle associazioni; contributo che sarà
pubblicato negli Atti del Convegno
nazionale sull’associazionismo scolastico tenuto presso la Libera Università di Bolzano il 19 ottobre 2013.
9
G.C. Rattazzi, L’associazione tra
scuole, in Rapporto sulla scuola
dell’autonomia 2003, a cura dell’Osservatorio sulla scuola dell’autonomia, Roma 2003, p. 272. Per la bibliografia sulle Asa si rinvia a: M.
Falanga, Le associazioni di scuole
autonome, in “Scuola e Didattica”, n.
11 (2008) p. 101; R. Morzenti Pellegrini, Perché le associazioni di scuole
autonome: verso una nuova rappresentanza?, in “RAS”, n. 7 (2008); S.
Stefanel, Le Associazioni delle Scuole
Autonome, in “Rivista trimestrale di
Scienze dell’Amministrazione scolastica”, n. 4 (2008) pp. 30-35; R. Morzenti Pellegrini, Le associazioni di
scuole autonome, in “Scuola e Didat-
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
contano di più nel contesto sociale di riferimento e sono decisive nel dialogo istituzionale con
le amministrazioni locali e con
i soggetti pubblici e privati per
la crescita culturale del territorio
mediante l’istruzione, la formazione e l’orientamento, ma anche
per lo sviluppo sociale ed economico della comunità locale. L’associazione, si sostiene, “riempie
un vuoto di presenza istituzionale
e risolve problemi che gli uffici
periferici dello Stato non possono
affrontare, perché subordinati e
quindi adatti a trasmettere ordini,
ma non a sostenere le esigenze
di un’autonomia vivace non raramente ritenuta fastidiosa”9.
tica”, n. 13 (2007) pp. 103-106; P. De
Benedetti, Autonomia scolastica: costruire una forte rappresentanza delle
scuole per contare di più, in “Rassegna dell’Autonomia Scolastica”, n. 11
(2007) p. 3; G.C. Rattazzi, Dall’Associazione regionale ad una Conferenza
permanente delle Autonomie, in “Rassegna dell’Autonomia Scolastica”, n.
11 (2007) pp. 16-21; P. De Benedetti,
Associazioni delle Scuole: situazione,
attività prospettive, in “RAS”, n. 11
(2007) pp. 4-11; P. Perziani, Tra centralismo e regionalismo. Quale rappresentanza per l’Autonomia scolastica?,
in “RAS”, n. 11 (2007) pp. 22-25; S.
Stefanel, Associazione di scuole, in
“Periodico amministrativo delle istituzioni scolastiche”, n. 3 (2006); G.C.
Rattazzi, L’associazione tra scuole, in
Rapporto sulla scuola dell’autonomia
2003, a cura dell’Osservatorio sulla
scuola dell’autonomia, Roma 2003,
pp. 265-288; A. Ferrari Nasi, Una
proposta: l’associazione delle scuole,
Milano 2002, in http://ospitiweb.indire.it/~anp/news/sondaggio.pdf; L.
Paolucci, L’attività contrattuale della
scuola autonoma, Temi, Bologna
2000, pp. 261 ss.
117
quadrante
Le attività delle Asa
News
Maurizio Landi
Benessere dei
bambini
L’Italia è 22esima su 29 Paesi
Nell’“istruzione” anche
peggio: Italia 25esima
L’Italia al 22° posto su 29 paesi
nella classifica generale sul benessere dei bambini.
Alle spalle di Spagna, Ungheria
e Polonia, prima di Estonia, Slovacchia e Grecia. Nello specifico,
l’Italia è al 23° posto nell’area del
benessere materiale, al 17° posto
nella salute e sicurezza, al 25°
posto nell’istruzione; al 21° posto
per quanto riguarda le condizioni abitative e ambientali.
In Italia il 17% dei bambini –
pari a circa 1.750.000 minorenni
– vive sotto la soglia di povertà.
L’Italia ha anche il più alto tasso
“Neet” (Not in Education, Employment or Training) di tutti
i Paesi industrializzati, dopo la
Spagna, con l’11% dei giovani
che non sono iscritti a scuola,
non lavorano e non frequentano
corsi di formazione.
La classifica è stilata dal Report
Card 11, uno studio sul benessere dei bambini nei Paesi ricchi,
elaborato dal Centro di Ricerca
Innocenti dell’Unicef.
Il rapporto, “Il benessere dei
bambini nei paesi ricchi. Un quadro comparativo”, presenta una
ricchissima messe di dati che
mettono a confronto 29 Paesi ad
economia avanzata sulle differenti dimensioni del benessere
dei bambini (distribuzione del
reddito, salute e sicurezza, istruzione, comportamenti e rischi,
condizioni abitative e ambientali).
Dalla ricerca emerge che i Paesi
Bassi mantengono la posizione
di leader indiscusso nella graduatoria del benessere infantile, e
sono anche l’unico Stato che si
piazza nei primi 5 posti in tutte
le aree del benessere prese in
considerazione.
Nel complesso, non sembra esserci una forte relazione tra il
reddito (PIL pro capite) e il benessere infantile. La Repubblica
Ceca, ad esempio, è posizionata
meglio dell’Austria, così come la
Slovenia sopravanza il ben più
ricco Canada, e il Portogallo ha
una posizione più alta rispetto
agli Stati Uniti.
Quattro paesi del Nord Europa
– Finlandia, Islanda, Norvegia
e Svezia – si collocano subito
dietro i Paesi Bassi nella graduatoria generale, mentre le ultime
quattro posizioni sono occupate
da tre dei Paesi più poveri del
Vecchio continente (Lettonia, Lituania e Romania) e da uno dei
più ricchi a livello globale, gli
Stati Uniti.
Grecia, Italia, Portogallo e Spagna sono accomunati dal fatto di
trovarsi nella metà inferiore della
classifica del benessere infantile,
mentre diversi segnali indicano
che i paesi dell’Europa centrale e
orientale stanno cominciando a
colmare il divario con le economie industriali più affermate.
Maurizio Landi
118
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
Coriandolo
Smatitiamo?
In questo box, a partire dal prossimo numero di SMAT, troverete le indicazioni
per tradurre in attività didattica gli esempi visivi disegnati da Coriandolo.
Coriandolo è un personaggio che vola, i suoi colori sono cangianti, si potrebbe
dire una metafora della fantasia: è per questo motivo che i suoi schizzi riusciranno sempre a rompere il silenzio dei fogli bianchi che spesso bloccano
i bambini e non prevengono i disegni stereotipati. La sua nascita, illustrata
in tre sequenze in questa pagina, è essa stessa spunto per attività di disegno
e colorazione, ritaglio e collage: il personaggio origina infatti da una sagoma
di Pittosauro tagliata in quattro parti e ricomposta utilizzandone solo due.
Quando un bambino crea un nuovo personaggio non siamo ad un punto di
arrivo ma soltanto alla partenza! Le espansioni delle idee e dei disegni nascono direttamente dalle immagini e non viceversa dai racconti come avviene
nelle favole, i bambini “adottano” un personaggio che può vivere le loro stesse
esperienze, ed attraverso di lui proiettano se stessi. Da questo punto di vista la
tecnica sembra non avere importanza, ma la conoscenza e la padronanza dei
materiali espressivi migliorano e potenziano la comunicazione del linguaggio
visivo. Mentre i bambini si dedicano a questa metamorfosi, sarà la delicata
gestione da parte dell’adulto dell’equilibrio instabile tra regole e libertà da
esigere o concedere al bambino, a fare la qualità dei risultati “artistici”.
Guido Morelli
120
n. 1 sSETTEMBREsANNO#)
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