Il pioniere Antonio Vivaldi
di Jacopo Leone Bolis
La storia della musica occidentale è ricolma di compositori d’ogni specie. Vi furono compositori
che, con una buona dose di superficialità, possiamo definire tradizionali. Quest’ultimi spesero la
quasi totalità delle loro energie creative nel generare tessuti sonori completamente rispondenti alle
logiche estetiche a loro coeve. Al contempo, quale perfetto contrappeso, vi furono altrettanti
compositori che cercarono, tra alterne fortune, di modificare quelle sensibilità estetiche entro le
quali, con minore o maggiore libertà, la musica si era mossa fino al loro arrivo sulle scene.
L’intelligente compositore e didatta statunitense Aaron Copland (1900 - 1990), nel suo scritto
Come ascoltare la musica (What to listen for in music, 1939), evidenziò l’esistenza di quattro
differenti tipologie di compositori:
Il tipo che più infiamma l’immaginazione generale è quello del compositore di ispirazione
spontanea, il tipo Franz Schubert, in altre parole […] Beethoven è il simbolo del secondo tipo,
che può essere chiamato il tipo costruttivo […] Chiamerò il terzo tipo di creatori, in mancanza di
migliore denominazione, quello dei tradizionalisti. Vi appartengono uomini come Palestrina e
Bach […] si può aggiungere, a titolo di complemento, un quarto tipo, e cioè il compositore
pioniere: uomini quali Gesualdo da Venosa nel XVII secolo, Musorgskij e Berlioz nel XIX,
1
Debussy e Edgar Varèse nel XX.
Se pensiamo al veneziano Antonio Vivaldi (1678 - 1741), pochissimi avrebbero l’ardire d’inserire
d’istinto quest’ultimo nel novero dei cosiddetti ‘musicisti pionieri’. La sua musica infatti, se ascoltata
e fruita senza particolari attenzioni analitiche, ci appare assolutamente in linea con i gusti e le
sensibilità dell’epoca (‘secolo del basso continuo’, 1650 - 1750). Egli al più, secondo il sentire
comune, può essere annoverato tra coloro che, pur mantenendosi ben saldi alle sensibilità
estetiche a loro coeve, seppero padroneggiarle così bene e con tale intelligenza creativa da
raggiungere all’interno di tali dettami estetici vette espressive di ragguardevole (e ammirevole)
bellezza. Eppure Vivaldi, in realtà, fu estremamente stimato dai suoi contemporanei quale ottimo
violinista mentre le sue doti compositive e creative ottennero tante lodi quante critiche. Johann
Friedrich Armand von Uffenbache, mercante e esponente di una importante e ricca famiglia di
Francoforte, nei suoi diari redatti durante un soggiorno a Venezia nel 1715 annotò di amare molto
Vivaldi e la sua musica (tanto da incontrarlo personalmente e da acquistare diverse sue
composizioni). Tuttavia, a una lettura più attenta delle sue pagine si scorge com’egli amasse
soprattutto il ‘Vivaldi strumentista’ a scapito del ‘Vivaldi compositore’. In una pagina del suo diario,
datata 6 marzo 1725, così scrisse:
Dopo cena ho ricevuto Vivaldi il famoso compositore e violinista, dopo avergli fatto pervenire
vari inviti in occasione di discussioni su alcuni concerti grossi che avevo intenzione di ordinagli
[…] Mi ha fatto ascoltare le sue fantasie sul violino, fantasie difficilissime e veramente inimitabili,
a tal punto che, standogli vicinissimo, non potevo non stupire ancor di più della sua maestria.
Per me era chiaro che, sebbene suonasse pezzi eccezionalmente difficili e vivaci, gli mancava
2
uno stile piacevole e cantabile.
Sebbene virtuoso indiscusso del proprio strumento, leggendo le soprastanti parole ci accorgiamo
di come le musiche di Vivaldi non riuscissero a cogliere un immediato favore da parte dei suoi
contemporanei. Musicisti e compositori della stessa epoca di Vivaldi (quali, ad esempio, i
compositori britannici Charles Avison e Willyam Hayes) lo accusavano di avere un linguaggio
talvolta eccessivamente virtuoso e, inoltre, di ignorare, più o meno esplicitamente, le antiche
regole della composizione contrappuntistica a favore d’un linguaggio armonico ridondante e noioso
1
Aaron Copland, Come ascoltare la musica, Milano: Garzanti Editore, 2006, pp. 25 - 26.
2
Michael Talbot, Vivaldi, Torino: EDT edizioni, 1978, p. 56.
(sebbene Hayes, oltre a tali critiche, ribadì più volte come Vivaldi rimanesse, anche alla luce delle
sue mancanze, uno dei più interessanti musicisti italiani del proprio tempo). Tuttavia critiche di
uguale natura giunsero nei confronti di Vivaldi non solo da compositori, musicisti e dilettanti
stranieri. Carlo Goldoni (1707 - 1793), il celebre drammaturgo veneziano, ebbe parole poco
favorevoli nei confronti di Vivaldi dopo che questi lo costrinse a storpiare il poema La Griselda di
Apostolo Zeno (1668 - 1750) per trarne un libretto teatrale. Goldoni, senza usare mezze misure,
scrisse nei suoi diari di aver manomesso lo scritto di Apostolo Zeno per assecondare i desideri
drammaturgici e compositivi di Vivaldi (il quale a sua volta, sempre secondo quanto tramandatoci
da Goldoni, era succube dei capricci della cantante Anna Girò, interprete cresciuta sotto l’ala
protettrice dello stesso Vivaldi). Goldoni, nel descrivere tali avvenimenti, usò parole assai dure nei
confronti del suo conterraneo (accusandolo esplicitamente di essere un compositore mediocre e,
implicitamente, d’essere un modesto didatta e insegnante viste le scarse capacità tecniche che
egli rimproverava a Anna Girò).
[…] Vivaldi, chiamato il Prete Rosso, per la capellatura che aveva di tal colore. Era più noto per
tal soprannome che per quello della sua famiglia. Questo ecclesiastico, eccellente suonatore di
Violino, e compositore mediocre, aveva allevata e formata nel canto Madamigella Giraud,
3
giovane Cantatrice nata a Venezia, ma figlia d’un Perrucchiere francese.
Probabilmente tali giudizi negativi hanno una spiegazione molto razionale: la musica di Vivaldi
all’epoca era percepita come eccessivamente ripetitiva e priva di complesse e articolate
elaborazioni narrative di matrice polifonica. Vivaldi era estremamente moderno per l’epoca e,
conseguentemente, la sua indifferenza alle rigide regole contrappuntistiche dei secoli precedenti lo
aveva esposto a critiche piuttosto aspre da parte di compositori dalla mentalità eccessivamente
scolastica. Inoltre, non è da dimenticare come ad appesantire i suddetti giudizi desse una mano
significativa il suo carattere estremamente suscettibile e una mal nascosta vena di altezzosità nel
rapportarsi con gli altri. Tale carattere altero rese il Prete Rosso assai poco amabile agli occhi dei
suoi contemporanei.
Tuttavia, basta dare un attento ascolto alle prime dodici battute del primo movimento (Allegro non
molto) del Concerto n. 4 ‘L’Inverno’ in Fa minore (tratto dalla raccolta di concerti per violino, archi e
basso continuo intitolata Cimento dell’armonia e dell’invenzione - Opus 8, 1723/25) per
comprendere la complessità e la raffinata intelligenza del linguaggio compositivo di Antonio Vivaldi.
In queste poche battute, probabilmente le più interessanti e riuscite dei celebri concerti facenti
parte de Le Quattro Stagioni, assistiamo a una ricchezza armonica e a una scaltrezza compositiva
degne di lode. Con pochi e elementari astuzie compositive, Vivaldi riuscì a creare un universo
sonoro apparentemente statico, in accordo con l’elemento testuale a cui si ricollega (il primo verso
del sonetto Agghiacciato tremar tra nevi algenti, anch’esso a firma di Vivaldi), ma in realtà ricco di
molteplici sfumature armoniche estremamente interessanti e, soprattutto per l’epoca,
rivoluzionarie. In sole dodici battute si condensano ben dieci differenti unità accordali che hanno
natura e colori tra loro estremamente differenti (sorprende come tale complessità armonica sia
raggiunta da Vivaldi sovrapponendo tra loro linee melodiche assai statiche e ripetitive, tanto
monotone da essere al limite del ridondante).
La prima di queste dodici battute si apre con la nota fa2 suonata in crome staccate dal violoncello.
Su questa nota continuamente ripetuta (che perdurerà sempre uguale a se stessa per tutte le
prime quattro misure) viene a costruirsi, tramite una lenta sovrapposizione delle altre singole voci
(viola, violino secondo, violino primo e violino principale), un accordo semidiminuito di Sol
(composto dalle note fa-sol-reb-sib). Tale unità accordale, dal sapore un poco aspro, domina le
prime battute del concerto donando a quest’ultimo un forte sapore statico e antinarrativo. Le voci
3
Carlo Goldoni, Memorie del signor Goldoni, Tomo Primo, Venezia: Antonio Zatta e figli, 1788, p. 261.
dei singoli strumenti sono monotone e pletoriche e tale completa assenza di fraseggi melodici,
unita alla già menzionata staticità armonica, favorisce il generarsi di una musica ingessata, quasi
pietrificata. Questa particolare scelta espressiva servì a Vivaldi per creare un forte parallelismo tra
la musica e l’elemento testuale a essa connesso. Così come l’inverno è la stagione della calma,
della tranquillità e, nella saggezza popolare, della morte, allo stesso modo le quattro battute
introduttive del primo movimento del Concerto n. 4 in Fa minore sono rigide, statiche e
apparentemente immutabili. Eppure una semplice discesa di semitono del violoncello (dalla nota
fa2 alla nota mi2) muta radicalmente la struttura armonica del brano. Alla quinta misura, infatti,
assistiamo al generarsi di un accordo diminuito di Mi (composto dalle note mi-sol-reb-sib). Questo
accordo di settima di quinta specie non scalfisce la natura antinarrativa delle precedenti battute
ma, anzi, ne rafforza il suono aspro e dolente. Sembra quasi che l’inverno vada irrigidendosi e che,
conseguentemente, la primavera (e l’energia vitale a essa connessa) spiri sempre più lontana.
Nella sesta battuta, tuttavia, questo irrigidirsi dei freddi venti invernali sembra subito affievolirsi.
L’accordo diminuito di Mi, grazie a un generale movimento verso il grave di quasi tutte le voci
strumentali (a eccezione della viola), lascia spazio a una più semplice triade di Fa minore (fa-labdo) che sancisce con chiarezza l’impianto tonale della composizione e, al tempo stesso, annacqua
un poco le atmosfere fin troppo cupe e aspre delle precedenti battute. Alla settima battuta avviene
un ulteriore mutamento. Grazie al generale muoversi (ancora verso il grave) dei violini, si genera
una triade di Sib minore (composto dalle note fa-sib-reb) che svolge due differenti funzioni: da una
parte rafforza l’impianto tonale della composizione e, al contempo, consolida anche la nuova
atmosfera melanconica del brano (ormai in aperto contrasto rispetto alle accese asperità sonore
delle primissime battute). Dopo le battute sei e sette costruite su due triadi minori (triade minore di
Fa e triade minore di Sib) all’ottava battuta assistiamo alla comparsa di un accordo di settima di
dominante di Fa (composto dalle note fa-la-do-mib). Questo accordo estremamente instabile
potrebbe scompaginare completamente il raffinato gioco compositivo su cui Vivaldi, grazie a piccoli
ma significativi mutamenti melodici nelle singole voci strumentali, ha generato la struttura
architettonica e accordale delle battute precedenti. Tuttavia il Prete Rosso evita intelligentemente
qualsivoglia scivolone tradizionalista (per esempio risolvendo l’accordo Fa7 su una fin troppo
statica triade maggiore di Sib) facendo seguire all’accordo di settima di dominante di Fa un
accordo di settima di dominante di Sol (accordo composto dalle note fa-sol-si-re). Questa
successione di accordi di settima di dominante sembra fornire al brano una prima significativa
energia dinamica (sebbene tale spinta cinetica non si incanali verso una prevedibile progressione
armonica). Tuttavia l’energia cinetica intrinseca agli accordi di settima di dominante di Fa e di Sol
viene subito a scemare visto l’apparire alla decima battuta dell’accordo diminuito di Fa# (composto
dalle note fa#-la-do-mib). Questo accordo, dal suono aspro e dissonante, riporta bruscamente il
brano verso le atmosfere cupe e acri delle battute iniziali. All’undicesima misura inizia a prende
forma una vera e propria cadenza: vi sono infatti un accordo sospeso di Sol (in gergo jazzistico
Solsus4, composto dalle note sol-do-re) e una triade maggiore di Sol (composta dalle note sol-sire). Queste semplici unità triadiche precedono la comparsa, alla dodicesima battuta, dell’accordo
di Do minore su cui si esaurisce la spinta propulsiva dei due accordi precedenti e dove, al
contempo, gli strumenti si zittiscono per lasciare spazio al virtuosismo solitario del violino principale
(tale mutamento di colore sonoro e di strutturazione del linguaggio compositivo segna la fine della
breve ma affascinante peregrinazione introduttiva del primo movimento). La struttura architettonica
e accordale delle prime dodici battute del brano presenta quindi la seguente organizzazione:
(Solø)
Mio
Sol7
Solø
Fam
Fa#o
Solø
Sibm
Solsus4 Sol
Solø
Fa7
Dom
Nel breve spazio di dodici battute Vivaldi è riuscito a condensare una serie di accordi
estremamente differenti tra loro, a creare un incedere armonico tanto particolare quanto unico e,
infine, a realizzare una struttura armonica capace di oscillare attorno a due differenti colori sonori: i
suoni aspri e acri degli accordi semidiminuiti e diminuiti (accordi di settima di terza e quinta specie)
e i suoni melanconici e introspettivi delle triadi minori. Intorno a queste differenti sfumature sonore
si stagliano gli accordi di settima di dominante (accordi di settima di prima specie) che svolgono
diverse funzioni: introducono ulteriori realtà accordali (es. l’accordo diminuito di Fa# alla decima
battuta), forniscono energia cinetica alla composizione (evitando che il brano languisca
eccessivamente nell’estrema staticità delle triadi minori) e infine, sebbene semplificati in unità
accordali triadiche deprivate della settima, creano progressioni cadenzali facilmente riconoscibili
all’orecchio (come nel caso delle triadi di Sol nell’undicesima battuta che risolvono sul seguente
accordo di Do minore). Basta questo piccolo esempio per poter comprendere come Vivaldi fu tutto
fuorché un compositore banale, un musicista tradizionale privo di significativi guizzi creativi o un
semplice virtuoso del proprio strumento dedito alla scrittura di musiche eccessivamente prolisse e
noiose. Viceversa, Vivaldi fu, probabilmente, il più alto esempio di un’acuta e ben strutturata
intelligenza creativa capace di comprendere, con straordinaria celerità, l’allora imminente fine
dell’epopea barocca. Attento lettore della società a lui coeva, Vivaldi seppe creare un linguaggio
compositivo estremamente intelligente e raffinato. La sua musica palesa una consapevolezza e
una padronanza tale delle regole e delle potenzialità espressive dell'armonia funzionale al punto
che, ancora oggi, gran parte delle sue composizioni potrebbero essere tranquillamente utilizzate
quali ottimi esempi didattici nei corsi di composizione. Vivaldi fu un artista geniale, uno
strumentista virtuoso e, prima di tutto, un compositore dotato di una rara intelligenza e di una
fantasia creativa orgogliosamente rivolta verso il futuro.
Le prime dodici battute del primo movimento (Allegro non molto) del
Concerto n. 4 ‘L’Inverno’ in Fa minore di Antonio Vivaldi.
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