Giuseppe Pagani
Fare politica con l'anima
Ricordando Giorgio La Pira
Progetto grafico e copertina
BosioAssociati - Savigliano (CN)
Redazione
Sergio Sitti e Ottavia Soncini
Stampa
Tipografia Sograte, Città di Castello (pG)
!F\ '){)11
Giuseppe Pagani
Fare politica con l'anima
Ricordando Giorgio La Pira
7
Introduzione
9
FARE POLITICA CON L'ANIMA; RICORDANDO GIORGIO LA PIRA
12
L'unum naessanum
18
La Messa dei poveri: San Procolo e Badia
20
La concretezza nella storia
24
La profezia della pace
28
Alcune tracce di riflessione attualizzatrice
3°
Conclusione
31
Nota biografica
Introduzione*
Riprendere dopo quindici anni il testo di un intervento su
Giorgio La Pira, tenuto a Pratofontana per amicizia con don
Daniele Simonazzi e la sua Comunità, vuole essere un modo per
dare senso al mio impegno di Consigliere regionale e recuperare
una riflessione sulla passione civile é sulla responsabilità del ser­
vizio verso la comunità, pur in "giorni cattivi" come quelli che
stiamo vivendo.
È questo un piccolo e limitatissimo ricordo di un testimone di
una stagione eroica, di una tensione morale di cui oggi sentiamo
profondamente la nostalgia, ma anche l'urgenza di un ritorno.
N egli anni del trionfo della cultura individualistica e anti-po­
litica, che ha svuotato il pensiero e mutato antropologicamente la
classe dirigente del Paese, credo sia giunto il tempo di riappro­
priarci di quella cultura, quel coraggio civile e quello stile che so­
no stati propri del sindaco di Firenze, per rideclinarli oggi nel no­
stro impegno.
*Giuseppe Pagani, detto Beppe, è nato nel 1958 a Casalgrande e vive a
Scandiano (RE). DalZOOO alZOlO è segretario provinciale della CISL di Reggio
Emilia. Attualmente ricopre la carica di Consigliere Regionale PD e Presidente
della V Commissione assembleare della Regione Emilia Romagna, che si occu­
pa in particolare di scuola, formazione, lavoro, università e turismo.
L'impegno sociale e politico di Giorgio La Pira, riprendendo
le parole di Giuseppe Dossetti, è stato "tutt'altro che presen­
zialismo efficientistico" che riduce tutto a spettacolo, dal mo­
mento che in lui vi erano "condizioni previe di coerenza inte­
riore" sì da farne un segno, una presenza profetica, un testimo­
ne, che ha saputo sempre coniugare il suo operato con la
grammatica elementare dell'attenzione all'altro, attraverso una
7
prassi che ha creduto nell'umanizzazione dell'uomo.
«La storia, guidata da Dio, mira all'edificazione di una società
nuova e di una civiltà nuova. Sperare e operare dunque. Sperare
contro ogni speranza».
8
Ed è proprio la rilettura di questo uomo, definito "profeta di
dialogo e di pace", che mi porta ad affermare con convinzione
che la politica oggi ha bisogno di un recupero di competenze e di
passione altruistica, ma soprattutto di uomini e donne capaci di
costruire "ponti" che permettano alle idee di confrontarsi, alle
culture di convivere, alle generazioni di collaborare, ai popoli di
tessere relazioni e trame di speranza e di futuro.
Questo piccolo libro raccoglie la Relazione tenuta il18 maggio 1995 nella chie­
sa della Natività della Beata Vergine Maria in Pratofontana di Reggio Emilia,
per un ciclo eli incontri dal titolo Diaconia, Servizio. Otto incontri-dialogo sul semizio.
Fare politica con l'anima
Ricordando Giorgio La Pira
Prima di iniziare questa riflessione sull'esperienza di Giorgio La
Pira occorre fare una premessa di carattere personale.
Ho accettato con esitazione di fare questa comunicazione questa
sera, all'interno del ciclo di conferenze "Diaconia, Servizio", in­
nanzitutto perché non sono un esperto, né uno studioso e, per ovvie
ragioni anagrafiche, non ho vissuto e quindi sperimentato diretta­
mente l'avventura di Giorgio La Pira che, comunque, considero
maestro e profeta, testimone a cui attingere.
Ho inizialmente rifiutato, nonostante l'amicizia che mi lega a co­
loro che mi hanno chiesto di essere qui, poi ho pensato che nell'idea
lapiriana gli avvenimenti, come la storia, non sono né in balia del ca­
so né semplici fatti cronologici.
Per La Pira ogni avvenimento è un evento di salvezza, rivela un
tassello della storiografia del profondo, è parte della teologia della
storia... Allora ho accettato con trepidazione di riprendere i libri, gli
scritti, le testimonianze raccolte sul sindaco santo... cercando di co­
gliere il senso di queste coincidenze (primicerio, suo assistente elet­
to da alcuni giorni sindaco di Firenze, la similitudine tra l'esperienza
di Pratofontana e quella fatta da La Pira a San Procolo, il tempo li­
turgico che stiamo vivendo: la quinta settimana del tempo pasquale
e la centralità della Resurrezione per l'esperienza lapiriana).
Dopo questa breve premessa di carattere personale occorre fa­
re anche una premessa particolare all'argomento di questa sera. Solo
analizzando la sua biografia ci si rende conto di quanto si potrebbe
dire di Giorgio La Pira per la fecondità con cui ha vissuto tutte le
esperienze: «La storia di La Pira è impossibile da raccontarsi per in­
9
IO
tero tanto la cronaca risulterebbe arida a confronto con la realtà»!.
Senza parlare, poi, di tutti gli scritti di La Pira. Nel1994 sono sta­
ti pubblicati anche tutti i suoi interventi fatti nei 14 anni in cui è sta­
to sindaco di Firenze, che si vanno ad aggiungere alle lettere, agli ar­
ticoli scritti per diverse riviste (<<Cronache Sociali», «Principi»), gior­
nali e bollettini (<<Il Focolare», «La Badia») e ai suoi testi. Partendo
da questi, si potrebbero dare tagli diversi e soffermarsi su aspetti im­
portanti della sua presenza e della sua testimonianza. Mi auguro
quindi che, al di là di quel poco che io potrò dirvi, possa almeno que­
sta riflessione fare nascere il desiderio di conoscere meglio
l'esperienza di Giorgio La Pira.
Tra le cose scritte su di lui, mi pare meriti attenzione la comme­
morazione fatta a Firenze nel 1987 da don Giuseppe Dossetti in oc­
casione del decennale della morte del professore.
Credo che sia la migliore sintesi a cui questa sera cercherò, spe­
rando di non rovinarla, di fare riferimento.
Dossetti ha tracciato di La Pira una immagine stupenda, non so­
lo della sua opera, ma anche della sua vita, evidenziandone anche la
sua eccezionale attualità.
Sembra quasi che con quella commemorazione, in quel mo­
mento (si era appena aperto il processo di canonizzazione, 9 gen­
naio 1986) Dossetti abbia voluto offrire un contributo importante al
processo di beatificazione dell'amico.
Durante la sua esistenza venne definito "il sindaco santo", ma
vorrei che tenessimo presente come questa definizione era per al­
cuni, i poveri, espressione di una santità riconosciuta, mentre per al­
tri fu un tentativo per sminuire il suo impegno considerato tanto fan­
tasioso quanto assolutamente privo di concretezza e di efficacia.
Una santità che è stata riconosciuta innanzitutto dai poveri che
vedevano in lui la presenza misericordiosa dell'uomo di Dio, che ha
donato tutto il suo impegno, i suoi beni, il suo tempo e la sua vita per
l. Padre Balducci, «Testimonianze«, n. 203-206, Firenze !977.
risolvere le situazioni di disagio. Una vita spesa al servizio della "po­
vera gente", sia come sindaco che come uomo politico, perseguen­
do una politica che fosse realmente risposta concreta ai bisogni. (A
distanza di anni dalla sua morte, in un referendum indetto dal gior­
nale toscano «La Nazione» risulta ancora il personaggio più amato
dai fiorentini).
Santo era anche un modo con cui veniva definito in termini di­
spregiativi, da coloro che contestavano la verità e l'efficacia della na­
tura politica del suo agire. Questo "professore sognatore" che ave­
va una maniera un po' semplicistica e naif - diremmo oggi - di con­
cepire la politica poteva, al massimo, "andare bene a Firenze a fare la
distribuzione del pane con i suoi preti", ma con la politica e
l'amministrazione non c'entrava niente.
Cominciando a parlare di La Pira dobbiamo allora avere ben pre­
sente che egli non fu unanimemente amato e sostenuto: ha cono­
sciuto aspre critiche e fu isolato sia sul piano politico (dopo il '66­
'67 il partito che lo sosteneva, nel quale aveva militato, e in cui mili­
tò fino alla fine senza mai prendere la tessera - «ho una sola tessera,
quella del battesimo» - lo abbandonò scaricando l'ipotesi di allar­
gamento di un'esperienza di centro sinistra al PCI), e fu isolato an­
che sul piano ecclesiale (venne accusato di totalitarismo statalista).
Nonostante tutto, spes contra spem, esule nel convento di San
Marco a Firenze, egli rimase nella comunione ecclesiale (come è te­
stimoniato dal rapporto con Paolo VI) e nella comunità civile (rap­
porto epistolare che mantiene con gli uomini impegnati in politica e
che riemerge dagli appunti di Moro, la sua disponibilità nel '76 a ri­
candidarsi alle elezioni politiche su richiesta di Zaccagnini).
Applicando il suo metodo di lavoro "della storiografia del pro­
fondo", come non leggere dentro questa vicenda umanamente con­
trastata, fatta anche di emarginazione, ma di grande fedeltà, le trac­
ce della stessa sorte toccata a tanti altri profeti?
~
Rileggendo i suoi scritti e alcuni testi, sono rimasto profonda­
mente colpito da come, nella parabola umana di Giorgio La Pira, sia
II
12
IIIII1
impossibile scindere la dimensione della contemplazione da quella
dell'azione pratica, della immediata assunzione di responsabilità, so­
ciale, politica, amministrativa. È impossibile parlare di La Pira, del
suo servizio concreto nella storia, della sua laicità, e tralasciare la di­
mensione spirituale che è fondante l'impegno stesso.
La straordinarietà di Giorgio La Pira sta nell'aver fuso con sin­
golare coerenza due momenti solitamente considerati incompatibi­
li: una partecipazione personale e attiva alla vita politica e una, non
meno convinta, a quell'impegno apparentemente senza tempo e
fuori dal tempo che si chiama vita contemplativa.«In un'epoca in cui
si tende a trascurare il contemplativo per privilegiare la concretezza
del quotidiano, e molto spesso anche l'effimero, Giorgio La Pira ha
scandalosamente rovesciato i termini di questo rapporto»2. È tra
queste due sponde che va incanalata la diaconia di Giorgio La Pira,
cercando sempre di collegare e di non separare mai la dimensione
contemplativa e spirituale con le scelte operative che ne derivano
consequenzialmente nella storia.
In questo senso va interpretata anche la sua "profezia della
Pace". Attraverso quattro aspetti che anticipo in sintesi, analizzere­
mo la sua Diaconia.
- L'unum necessanum. La dimensione spirituale come punto di par­
tenza e di collegamento delle altre due;
- La Messa dei poveri: San Procolo e Badia "veri laboratori spirituali";
- La politica, concretezza nella storia;
- La profezia della pace.
L'unum necessanum
II
,'
"
l
Iii
1
111,
La Pira rovescia scandalosamente i termini del rapporto tra spi­
rito e azione. La Pasqua del 1924 segna chiaramente la data della sua
conversione, dell'intuizione della propria missione, il punto di ap­
prodo di una ricerca, di una scelta definitiva e irrevocabile, di una
nuova identità cercata per almeno due anni.
2. Giuseppe Lazzati in:
Prefazione a I.Rtfere alle Claustrali, Vita e Pensiero, Milano 1978.
Dice nella sua lettera a Pugliatti parlando della straordinarietà di
quella Pasqua del 1924: «lo non dimenticherò mai quella Pasqua in cui
ricevetti Cristo Eucaristico, risentii nelle vene circolare un'innocenza
così piena da non potere trattenere il canto e la felicità smisurata».3
Giuseppe Dossetti paragona questo momento di La Pira alla
stessa esperienza di Francesco d'Assisi a San Damiano e all'incontro
di Paolo sulla via di Damasco e arriva a dire testualmente: «La Pira ha
visto il Risorto, mi attarderei a dire di questo 'aver visto' che è qual­
che cosa di più che un sentimento o una percezione spirituale, cre­
do che sia stata una reale esperienza mistica».4
Da una sua lettera del 1931 (è già entrato nell'ordine secolare
dei domenicani e ha aderito insieme a Lazzatì e Dossetti
all'Istituto secolare dell'opera della Regalità di Cristo, fondato da
Padre Gemelli) riusciamo a comprendere il senso della sua mis­
sione: «Che il Signore abbia messo nella mia anima il desiderio
delle grazie sacerdotali non c'è dubbio: solo, però, che egli vuole
da me che io resti con il mio abito laico per lavorare con più fe­
condità nel mondo laico lontano da lui. Ma la finalità della mia vi­
ta è nettamente segnata: essere nel mondo il missionario del
Signore: e questa opera di apostolato va da me svolta nelle condi­
zioni e nell'ambiente in cui il Signore mi ha posto.»5 Credo che in
questa assegnazione di responsabilità laicale che egli attribuisce alla
sua vocazione possiamo vedere una magnifica anticipazione di ciò
che dopo 30 anni dirà il Concilio a proposito dei laici: «Compito dei
laici è trattare le cose del mondo e ordinarie secondo Dio»6.
3. G. La Pira, Lettere a Saiz'atore Pugliatti (1920-1939), a cura di F. Mercadante, Studium,
Roma 1980.
4. Discorso pronunciato a Palazzo Vecchio in occasione del 10° anniversario della mor­
te di La Pira.
5. G. La Pira, Lettere a casa (1926-1977), a cura di Dino Pieraccioni, Vita e Pensiero,
Milano, 1981.
~
6. Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUTnen Gentium, 31, emessa il16 novembre 1964 e
promulgata da Papa Paolo VI il 21 novembre dello stesso anno.
13
E ancora, nella Lettera alle ciaustrali: «Sento davvero che questa è
la mia vocazione: il Signore ha preso il mio totale nulla, ha preso le
mie ossa e vi ha infuso questo soffio missionario che si estende a tut­
ti i popoli del mondoJ
Grande apertura a tutti i popoli e superamento della visione ri­
stretta integralista della salvezza riservata solo agli eletti. Tutti sono
destinatari e soggetti della salvezza.
'4
L'aspetto centrale della sua Fede è la "fisicità" della Rsurrezione
di Cristo. Cristo Rsorto è innalzato, diviene punto di attrazione di
tutta l'umanità e di tutto il cosmo, e da qui la sua tenace convinzio­
ne spes contra spem, dell'inevitabile cammino della storia, pur tra vi­
cende alterne, verso l'incontro con Cristo, verso l'unità.
Nel discorso del 15 novembre 1963: «Questo punto assiomatico
esiste: esso è costituito dal fatto fondamentale e finale che centra­
lizza e finalizza (causa efficiente e finale, alfa e omega) l'intera storia
del cosmo e dei popoli. È il fatto della Resurrezione di Cristo. Cristo
Risorto, alfa ed omega, principio e fine, punto di partenza e di arri­
vo della storia totale del mondo!»8.
Cristo Risorto è quindi punto assiomatico, attrattivo e apocalit­
tico del mondo e delle nazioni; la sua presenza soprannaturale atti­
ra e orienta a tutti i livelli le azioni, i popoli, le persone e le nazioni.
Fisica della Resurrezione perché questa consapevolezza non era
solamente teorica, culturale, non si arrestava solamente allo spirito,
al massimo al cuore, ma coinvolgeva anche il corpo. Spirito e mate­
ria coinvolte, tutto l'uomo era invincibilmente attratto dal corpo cro­
cefisso e glorificato di Cristo.
N ella Letteraprima, scritta a ventuno anni, afferma che, per quan­
to riguarda l'approfondimento culturale, Fornari, il tomismo e
Teilhard sono tutte cose aggiunte, importanti che egli non prende­
7. G. La Pira, Ldt"ra ,7111' Claustmli (Lett. XXXII), 6 ottobre 1960, àt.
8. G. La Pira, discorso del15 novembre 1963, in: G. La Pira "Così in terra come in cielo",
in Pre.renza nel mondo econtemplazione, Milano 1970, pp. 84 ss.
rà mai in maniera superficiale, ma la sua attenzione il suo ottimismo
rimarranno sempre fissi nella Resurrezione: «Il cattolicesimo non si
limita ad una sterile critica dei testi o ad una disattenta ed arbitraria
interpretazione intellettuale della carità: è azione, cooperazione fat­
tiva di Dio e dell'uomo: è gettare ponti che permettono il passaggio
della terra a Dic»)9.
Di questo suo primato della spiritualità evidenziamo alcuni
as petti specifici:
- La storiografia del Profondo (Cristo punto assiomatico e at­
trattivo).
- La partecipazione intensa alla vita della Chiesa, formulazione
della Dottrina di Cesarea, "funzione determinante di Pietro per la
riunificazione e unità e presupposto per la Pace": «La Chiesa si po­
ne nel cuore stesso e come nel centro della nuova epoca e ne indica
le note costitutive e gli orientamenti fondamentali»lO.
- La contemplazione e la preghiera, la mobilitazione delle clau­
strali, "ponte tra spirituale e politico"
Tra il19 51 e i11971, mediante il consiglio superiore toscano del­
la San Vincenzo, dà inizio a una nutrita corrispondenza periodica,
sotto forma di lettere circolari, con i monasteri di clausura femminili.
Quali le motivazioni di questa iniziativa?
Innanzitutto la decisione di assistere i monasteri e i conventi di
clausura spesso in condizione di estrema necessità materiale a causa
delle mutate condizioni sociali e dell'insufficiente, a volte negativa,
coscienza dei cristiani sulla loro presenza nella Chiesa e nel mondo.
In secondo luogo, associare l'idea di offerta di aiuto materiale
con una ragione intima: la richiesta di aiuto spirituale a sostegno de­
gli impegni.
9. G. La Pira, I.eliem allo Zio Luigi Occbipillti (detta Lettemprima da G. Dossetti), settembre
1925, in Leliere a casa, cit.
lO. G. La Pira, ne «Il focolare", riflessione sull'enciclica MateretMagistm di Papa GIovanni
XXIII, 1961 in: IljiJndamento eilprogetto di oglli spemllza, a cura di A. Alpigiano Lamioni c P.
Andreoli, Prefazione di G. Dossetti, AVE, Roma 1992.
'5
I6
Questa iniziativa diviene un grande ponte, un'alleanza tra l'uomo
impegnato nelle responsabilità politiche, sociali, culturali e le sorel­
le legate alla ricerca di un'intima unione con Dio.
Nella prima lettera alle claustrali dirà: «Ma c'è una ragione più in­
tima più decisiva (di quella materiale): richiamare sempre più
l'attenzione dei cattolici e anche dei non cattolici, intorno al valore es­
senziale che la vita contemplativa ha, non solo pel cristianesimo, ma
anche per la civiltà cristiana... La contropartita che chiediamo? La pre­
ghiera; ma per quale scopo? Per l'attuale fase della storia della Chiesa
e della civiltà... Ma l'edificazione di una società nuova esige che le sue
fondamenta siano saldamente poggiate sull'Evangelo. Ecco allora
l'orientazione della preghiera; cioè importa pregare il Signore perché
susciti nella società umana uomini di pensiero artisti e politici, scien­
ziati ed economisti, penetrati dello spirito di Cristo e preparati a que­
sto compito gigantesco di costruzione sociale e civile... »10.
La mobilitazione delle claustrali attraverserà praticamente un
ventennio, dal 1951-71. La Pira parla all'inizio di questa impresa del­
la «attuale fase storica della Chiesa e della Civiltà», e della necessità
della «preghiera per osare le più ardue azioni».
Un ventennio che, non c'è bisogno di ricordarlo, segna un mo­
mento cruciale per la vita della chiesa e del mondo. Un periodo sto­
rico carico di eventi e di preoccupazioni che sembrano allontanare
sempre più l'idea lapiriana della inevitabile unità di tutti i popoli at­
torno alla Resurrezione di Cristo. Ma, partendo sempre da una pro­
spettiva biblica, La Pira cerca in questi fatti, in cui apparentemente e
razionalmente risulta difficile cogliere la mano di Dio, di vedere e
scavare dentro al tempo; in particolare, rifacendosi ad Isaia, La Pira
è portato a leggere nelle tormentate vicende umane un moto inar­
restabile verso l'unità del genere umano, verso la conversione dei
popoli, verso la pace.
Coglie e ricerca il senso vero della storia secondo il disegno di
Dio oltre le contrastanti apparenze che spesso si muovono contro,
lI. G. La Pira, Lettera alle Claustrali, Prima, cito
in ribellione a Dio (l'ateismo): questa, come ha detto Giuseppe
Lazzati, «è una grande Teologia della Storia».
È alla luce di questa esperienza che possiamo comprendere le
sue parole quando il 15 agosto 1959 si presenterà al Cremlino:
«Vede Eccellenza, io non sono qui solo, con me ci sono 3.000 mo­
nasteri di clausura, 100.000 claustrali. Siamo qui a Mosca nel giorno
dell'Assunta per questa misteriosa "operazione di pace"»12.
,I
Difenderà sempre questa sua preponderanza contemplativa an­
che quando, deputato (su pressione del Cardinale Della Costa) si can­
dida nel '46 indipendente nella DC e alla Costituente (Commissione
dei 75, prima sottocommissione sui diritti e doveri dei cittadini per la
quale è relatore in aula). Al Parlamento sperimenterà la vicinanza con
il potere, i palazzi del potere, gli uomini del governo e sarà lui stesso
uomo di governo (nel '48, sottosegretario al Ministero dei Lavori
Pubblici), prefiggendosi il compito di evocare a coloro che hanno le
res ponsabilità di governo, il primato della meditazione, della preghie­
ra, dello studio.
«...ecco, mi dicevo, il mio vero posto 'politico': essere, sì, mol­
to vicino agli uomini che hanno responsabilità del potere, ma per
svolgere una funzione che essi non hanno il tempo e la vocazione di
svolgere, quella di pregare, di meditare, di studiare, di consolare: in­
somma essere una lampada viva di interiorità per dare a tempo op­
portuno quei riflessi di verità che servono a chiarire una situazione,
a portare sostegno e speranza in determinate circostanze.... Nella
zona "agitata" non ci voglio andare: perché come le ho scritto in
questi giorni, non lascerò mai quel primato della vita interiore e del­
la solitudine che l'accompagna - nel quale consiste il volto della mia
anima... Vado ogni giorno più consolidando, anche a Roma, questa
posizione di raccoglimento e di preghiera, l'altra sera l'ho difesa con
energia nel colloquio avuto con De Gasperi, la signora De 9asperi
12. Vittorio Citterich, Un santo al Cremlino, Edizioni Paoline, J\1ilano 1986.
Ij
e Dossetti... È stato un colloquio interessante: ridendo abbiamo det­
to tante cose serie, e la mia conclusione precisa è stata questa: 'non
sacrificherò a nessuna cosa l' ttnum necessarium'.13
La Messa deipoveri: San Procolo eBadia
r8
lo ritengo che questa esperienza possa essere definita illabora­
torio spirituale da cui scaturiranno successivamente le sue elabora­
zioni rispetto all'amministrazione della città, al ruolo della politica e
alla capacità di dare risposte ai problemi dei poveri. (<<Il sindaco vive
sulla carne viva i problemi di chi non ha casa...»).
Che cosa è?
La Pira a Firenze, nel 1932, sotto la guida di don Bensi fonda,
con alcuni amici, un gruppo giovanile di severo impegno spirituale
ed ascetico cristiano, che concentrò la propria attenzione verso i po­
veri della città. La Pira, sotto l'idea di don Bensi, fa riaprire al culto la
chiesa di San Procolo per celebrare la Messa con i poveri (la guerra
potenziò questa esperienza)... perché come spiega nel testo Le città
sono vive: «bisognava riunire i diseredati, i più abbandonati della città,
farne una forza viva, un popolo intorno all'altare, intorno al sacra­
mento dell'unità degli uomini e della carità»14.
Tutti insieme, abbandonati, soli, professori universitari, studen­
ti, deputati, sindaco e professionisti, per aiutare gli uni gli altri, per ri­
costruire e condividere nella preghiera la comunità cristiana.
Nel primo numero del foglio intitolato «La Badia, foglio di lettu­
ra di San Procolo», uscito nel 1945 per portare serenità e speranza ai
più affaticati dalle rovine della guerra, (1500 numeri gratis per i pove­
ri, in vendita in edicola a 2 lire) troviamo, a distanza di dieci anni dal­
l'inizio di quell'iniziativa, spiegato il motivo che spinse alla nascita di
questo gruppo e di questa esperienza: «Bisogna dirlo subito, la Messa
dei poveri in San Procolo e in Badia ebbe la sua radice in un desiderio
13. Lettera di G. La l'ira, in: Padre Ernesto Balducci Giorgio La Pira, Edizioni Cultura del­
la Pace, San Domenico di Fiesole 1986, p. 151.
14. G. La l'ira, I" littà .fono vive, 1957, Editrice La Scuola, Brescia, 1978
1IIIil
Ili
profondo di avventura cristiana di fede e di carità che ravvivava allo­
ra - e ravviva ancora - la nostra anima. Nacque da un bisogno di
sborghesimento del nostro cristianensimo: e ci furono di sprone e di
guida le parole misteriose di quella parabola misteriosa: 'Andate pei
crocicchi delle strade e chiamate quanti trovate, poveri, ciechi, storpi
e zoppi e conduceteli qui affinché si riempia la mia casa.' Prendemmo
il Vangelo alla lettera andammo al dormitorio pubblico e negli altri
crocicchi dove era possibile trovare gli amici che cercavamo... Vinte le
diftìcoltà immancabili di ogni cosa nuova il nostro progetto divenne
realtà, una domenica del 1934, una quarantina di poveri erano radu­
nati nella Chiesa di San Procolo per partecipare alla Messa... Alla fine
fu portata all'altare una cesta di pane fresco, quel pane fu benedetto...
fu fatta ordinatamente la distribuzione. Uscimmo contenti, deside­
rosi di ripetere l'esperimento la domenica successiva... Quei primi
quaranta sono morti quasi tutti, ma alloro posto più di millecinque­
cento anime sono settimanalmente unite per celebrare insieme il sa­
critìcio dell'amore... Nel 1942 la folla degli uomini divenne così fitta
a San Procolo da rendere necessario l'uso di una chiesa più grande.
Pensammo, però, a Badia.»15
San Procolo e Badia furono il suo punto di riferimento sempre e
anche quando, al Ministero del Lavoro, faceva il possibile per rientra­
re la domenica per la Messa. Al sabato si diceva il rosario, si aiutavano
i poveri, la domenica c'era la Messa poi la distribuzione del pane.
Ogni domenica La Pira parlava, (i Catechismi di San Procolo) in­
tercalando Ave Maria con intenzioni di preghiera e notizie, ricolle­
gando preghiera, scrittura e avvenimenti.
Ogni pomeriggio della domenica si fermavano in sagrestia e La
Pira tra le varie chiacchiere spiegava, parlava, commentava la Bibbia,
il Vangelo, i fatti avvenuti.
San Procolo e Badia furono la sua famiglia e - come ha scritto
molte volte sul foglietto «La Badia» - come si trovava con loro non
15. G. La l'ira, La Badia,jòglio di letttlra Sali Procolo, in: holloqflÌ ddla Badia, a cura di R. Poggi,
Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1989.
'9
20
si trovava con nessuno, gli davano forza, lo rinvigorivano, gli dava­
no coraggio. Scrive Fioretta Mazzei, che fu per anni la sua segretaria:
«San Procolo rimase il lievito e anche, in piccolo, il modello di ogni
sua azione, come cerchio centrale di cerchi concentrici più vasti»16.
L'Eucarestia e le genti, un altro elemento determinante nella espe­
rienza di Giorgio La Pira: «L'Eucarestia struttura i popoli».
L'universalità dei popoli intorno al sacramento voluto da Gesù co­
me sacramento - segno - di unità universale.
Per capire anche la sua visione mondiale il suo impegno per la
Pace bisogna partire da qui, dalla centralità che egli dava ai poveri, ai
popoli poveri, ai Paesi del Terzo Mondo.
La concretezza nella storia
«Non basta pensare. Pensando non si cambia il mondo, bisogna
anche agire». Credo che questo detto di La Pira non sia molto distante
dalle parole della lettera di San Giacomo: «Siate di quelli che mettono
in pratica la Parola, non solo ascoltatori, ingannando voi stessÌ». Parole
che hanno rappresentato anche il motto dei giovani della Rosa bianca.
Giorgio La Pira, indicato troppo spesso come un sognatore che
non aveva il senso delle cose reali, ha superato tutte le critiche mani­
festando un altissimo senso della concretezza e una acuta visione po­
litica: potremmo dire che in lui 'il massimo della religiosità ha coinci­
so con il massimo della laicità'.
«Non si può pensare che una cosa è pericolosa e rimanere fermi,
non fare nulla».
L'impegno costante di La Pira, in qualità di sindaco di Firenze
dal' 51 al '65, sarà principalmente rivolto ad attuare interventi di im­
mediata rispondenza ai bisogni, traducendo in scelte amministrati­
ve e operative la sua esperienza di condivisione sperimentata a San
Procolo e a Badia.
La pubblicazione dell'Attesa della poveragente, del 1951, sancisce
16. Fioretta Mazzei, La Pira cose viste eascoltate, libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1980.
come la scelta politica sia una scelta di generosità che parte dalla
comprensione ed elevazione a dignità politica delle categorie più
umili ed emarginate. Diremmo, oggi, che per La Pira la politica ri­
comincia dagli ultimi. Questa sua impostazione lo porta a precorre­
re il we/fare state. Disegna uno Stato, una comunità che deve essere in
grado di intervenire in maniera proporzionata nella risoluzione dei
problemi economici e sociali: casa, lavoro, assistenza e cultura.
Lo Stato si deve munire degli strumenti per affrontare le diffi­
coltà economiche, ripartire equamente l'onere fiscale, realizzare il
'pieno impiego'.
L'impegno per la realizzazione del 'pieno impiego' sarà per La
Pira determinante, egli considera il lavoro importante per l'uomo
perché esso è «come la preghiera, essenziale allo sviluppo e alla per­
fezione della persona, della società e della storia umana: è in certo
senso, la vocazione dell'uomo. Il lavoro umano prosegue in un cer­
to senso la creazione di Dio. Il diritto al lavoro non è una espressio­
ne puramente simbolica o anche solamente giuridica o politica: è
una insopprimibile esigenza religiosa, metafisica, e perciò ontologi­
ca, della persona umana.»17
In questo senso va letto il suo impegno personale di sindaco con
interventi diretti per garantire l'occupazione. Contrasterà la chiusu­
ra delle aziende fiorentine fino a giungere all'occupazione delle fab­
briche Pignone, Fonderie Le Cure, Galileo.
È del 1951 la creazione in comune dell'Ufficio alloggi perveni­
re incontro ai numerosi senza tetto; nel 19 52 decreta la requisizione
di alcune ville disabitate intorno a Firenze "L'esproprio delle ville
sfitte delle cascine" in base a una legge del 1865; seguono la proget­
tazione urbanistica delle case minime (costruzione di 500 alloggi),
poi il quartiere dell'Isolotto; infine, la distribuzione gratuita dellat­
te caldo a tutti i bambini della scupla elementare.
Queste sue scelte, ma ancor più la sua proposta politico-economi­
ca per la soluzione degli squilibri sociali sono fortemente con1iestate.
17. G. La Pira, Le attese de/lapOI'eragente, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1983.
21
Il libro suscita un grande dibattito sia nel mondo cattolico che
quello politico e sindacale; intervengono don Sturzo, don
Mazzolari, Fanfani, Di Vittorio, Merzagora, la Confindustria. La Pira
viene definito in diversi modi: comunista di sagrestia, statalista, to­
talitarista.
blica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé.»18
!il
22
Credo che meriti molta attenzione, per l'attualità di cui è carat­
terizzata, la sua lettera in risposta ad un articolo di don Sturzo del
1954. Attualissimo il discorso sulle disfunzioni del liberismo, del­
l'individualismo economico e del ruolo della politica.
L'accusa sollevata da Sturzo contro La Pira era che nelle sue teo­
rie si vagheggiasse un marxismo spurio, una socialità antieconomi­
ca, uno statalismo non solo economico, ma anche politico che veni­
va definito "lo statalismo della povera gente".
La Pira nell'articolo intitolato Scendere da capal/o rispose:
«Bisognerebbe che Lei facesse l'esperienza che tocca fare al sindaco
di una città di 400.000 abitanti avente la seguente cartella clinica:
10.000 disoccupati, 2000 sfratti, 17.000 libretti di povertà, 37.000
persone assistite dal comune e dall'ECA. Cosa dovrebbe fare il sin­
daco, il padre di questa comunità, davanti a tanti feriti... deve fare co­
me il samaritano. Intervento statalista? Lo chiami come vuole, le eti­
chette contano poco. Intervenire si deve; la norma base di tutta la
morale cristiana e umana; scendere da cavallo, prendersi cura del fe­
rito anche se nemico - e se necessario pagarne le spese... Stia tran­
quillo, don Sturzo, siamo ben vaccinati. Lei è contro lo Stato totali­
tario per persuasione, noi lo siamo in virtù di una persuasione au­
tenticata da una terrificante esperienza che ci brucia ancora... Non
vorrei che con la scusa di non volere lo Stato totalitario non si voglia
in realtà lo Stato che interviene per sanare le strutturali iniquità del si­
stema finanziario, economico e sociale del cosiddetto Stato liberi­
sta. L'economia individualista ha dimenticato che l'economia ha un
suo carattere sociale nonché morale, e ha ritenuto che l'autorità pub­
l8. G. La l'ira, Scendere da calJallo. Lettera a Sturzo, in 11fondamento eilprogella di ~gni speran­
za, pp. 28-30, cito
La voce di La Pira sull'intervento dello Stato restò di fatto isola­
ta nei decenni successivi; invece degli strumenti organici che egli ri­
vendicava, si ebbe un maggior numero di provvedimenti economi­
ci sempre più contradditori che finirono con il disperdere migliaia
di miliardi, trasformando l'intervento in assistenzialismo, nell'inte­
resse di corporazioni e di clientele elettorali. Questa - come dice
Dossetti nell'introduzione allibro Ilfòndamento eilprogetto di ogni spe­
nmza - è una scimmia di quel tipo di stato sociale che La Pira ave­
va abbozzato. Nella stessa lettera a Sturzo chiarisce il suo pensiero
sul ruolo della politica. Egli «auspica una politica nuova, interna ed
internazionale, nuova nell'oggetto, nel fine, nel metodo una politica
rivoluzionaria».
Mai divise il fine dai mezzi, ma ha sempre fatto coincidere i mez­
zi con il fine soprannaturale, e in questo ha portato al rovesciamento
del metodo politico, prendendo sempre posizione contro ogni ma­
chiavellismo, fmo al punto di essere considerato un illuso. Egli ha sem­
pre ribattuto alle critiche di scarso realismo che il vero realismo è quel­
lo dei miseri e dei disarmati, che alla lunga sanno non cedere alla ten­
tazione del falso realismo machiavellico. Oggi possiamo vedere di
quale concretezza sono state la sua esperienza e la sua testimonianza,
lui che era considerato un inefficace dal punto di vista politico.
«La politica, dirà, non è la ricerca di sé ma un grandissimo impe­
gno che richiede sacrificio, servizio e molta verità... la politica è la
più alta delle attività terrene perché è l'organizzazione del mondo e
l'orientamento di tutta la vita terrena dell'uomo, superiore ad essa
c'è solo la contemplazione, quella vera».
«Bisogna infatti contare le cose come sono, se cominci a pensa­
re di dar noia a questo o quello non fai più nulla... Non bisogna fare
i conti su quello che succederà, bisogna fare il bene e basta... ». E a
proposito dell'occupazione della Pignone: «Bisogna essere grèzzi, duri
come l'acciaio, possono passare sul mio cadavere, ma non cedo».
23
Possiamo dire che egli fu autentico cittadino della città terrena e
della città celeste, impegnato nella costruzione della città dell'uomo,
per trasformarla nella città futura.
Dal ruolo che egli assegna alla città, La città de/l'uomo si edifica sul­
la città di Dio, in particolare a Firenze (città scelta, città sul monte,
ogni città richiama La città eterna) possiamo capire ed esaminare
l'ultimo aspetto: la sua profezia della pace.
2-1
La profezia dellapace
La nostra riflessione non può a questo proposito non tenere pre­
sente che La Pira non fu un utopista (utopia: ideale etico politico de­
stinato a non realizzarsi dal punto di vista istituzionale ma avente
una funzione stimolatrice), egli fu un profeta nel senso che ha sapu­
to leggere i segni dei tempi e farsi portavoce di un messaggio (nabi:
- ebraico - che significa inviato, uno che è fatto parlare). La Pira è
profeta perché è colui che annuncia.
Nel 1948 a Salerno, al convegno di Azione Cattolica, La Pira, tra
lo sconcerto, disse: «Se Stalin fosse seduto là di fronte a me gli direi
che la guerra è un'utopia». Non la pace è un'utopia.
Non era di quei sognatori, fuori dalla storia, ma un uomo che si
sforzava di cogliere nelle vicende dell'umanità quelle linee imper­
scrutabili di svolgimento che sfuggono ai più, era attento ai partico­
lari, ma non si perdeva nel particolarismo.
La Pira era costruttore di pace: intraprende le sue iniziative nel
1950, e quando tutti avrebbero scommesso solo sulla guerra, con
l'organizzazione dei convegni, dei colloqui fiorentini, esprime
l'intento di volere far incontrare, dialogare, affinché si acquisisca la
consapevolezza della pace.
I convegni della pace della civiltà cristiana, dal 1952 a11956; i col­
loqui del Mediterraneo e delle Capitali del Mondo nel 1955, non era­
no occasioni per mettere insieme gente diversa, egli voleva che ve­
nisse colto quello che ancora non si muoveva, ma che c'era, e cioè i
fili di una cultura nascosta, di una cultura appannata, che doveva ri­
emergere. Tutto prende avvio anche qui dalla consapevolezza di
fondo, che se Cristo è punto assiomatico della storia, essa cammina
verso la unione con il suo artefice, e allora: la pace è inevitabile.
Una consapevolezza che egli ha maturato e alla quale si motiverà
e continuerà con tenacia incrollabile spes contra spem anche nei momenti
più bui in cui era impossibile intravedere segni o fermenti di pace.
È difficile per noi, che abbiamo vissuto cinquant'anni di stagione
pacifica, immaginare qualche cosa di diverso dalla pace, ma quando La
Pira iniziava i suoi convegni eravamo in piena guerra fredda e la cosa
forse più chiara allora era che la guerra sembrava sempre inevitabile.
Ancora dalle sue parole possiamo cogliere la sua profonda spe­
ranza: «Le forze soprannaturali e storiche della pace e dell'unità e
dell'illuminazione del mondo sono già irreversibilmente in azione
ed i porti benedetti di questa pace universale, di questa carità frater­
na, di questa illuminazione spirituale e civile saranno certamente rag­
giunti, spes contra spem, dalla nave su cui sono imbarcati i popoli di tut­
to il pianeta. L'oriente e l'occidente, il settentrione e il mezzogiorno
saranno una cosa sola e una sola famiglia.» 19
La sua speranza sarà splendida ed inattaccabile.
Firenze diventa uno strumento di questo progetto. In questa cit­
tà egli farà incontrare i rappresentanti di tutti i popoli, spesso anche
di nazioni ostili tra loro.
Proseguendo nel suo impegno per i Convegni della pace, c'è an­
che un'altra intuizione lapiriana importante: la consapevolezza che
l'umanità sia sopra ad un crinale apocalittico.
Il mondo, dopo un cammino con tante difficoltà, ha reso possi­
bile, tramite il progresso scientifico, due possibilità: da un lato «il sui­
cidio collettivo, il disastro nucleare», e dall'altro, <da millenaria fiori­
tura della terra verso la pace».
Da questa visione emerge la rilettura e l'aggiorname1'1to che
19. G. La Pira, Lettere al Càrmelo, a cura di D. Pieraccioni, Vita e Pensiero, Milano 1985.
25
26
Giorgio La Pira farà del profeta Isaia e che espliciterà nel testo II sen­
tiero di Isaia: cd popoli incamminati sul sentiero di Isaia forgeranno le
spade in aratri (i cannoni e i missili in astronavi). Il sentiero di Isaia
è una strada che deve essere percorsa da tutti i popoli ma, in primo
luogo, è necessario che sia percorsa dalle tre religioni abramitiche.
In quel tempo vi sarà una strada dall'Egitto alla Siria e il siriano si
recherà in Egitto e l'egiziano andrà in Siria, ed Egitto e Siria servi­
ranno il Signore: e in quel tempo Israele, terza con l'Egitto e la Siria,
sarà benedetta in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore dicendo
'Benedetto l'Egitto mio popolo, la Siria opera delle mie mani ed
Israele mia eredità'.»20
È la stessa strada che il Corano indica dicendo «o genti del libro
venite ad un accordo equo tra noi e voi e vedete di non associare a
Lui cosa alcuna e di non scegliere fra noi padrone che non sia Dio».21
Ecco allora che La Pira assume in prima persona l'iniziativa come
sindaco di Firenze, dimostrando di ricoprire quel ruolo in maniera au­
tonoma, organizzando i Convegni del Mediterraneo per riunire, fare
convergere le tre grandi religioni monoteiste (Incontri Arabi Israeliani,
cattolici, Ebrei, Musulmani, Incontri e lettere a Nasser e Arafat):
«Ricostruire l'unità originaria di Israele e Ismaele l'unità della famiglia
di Abramo quale promessa indispensabile della unità di tutti gli altri
popoli». Come non leggere la realizzazione di questa sua profezia nei
colloqui arabo israeliani che portarono, nel novembre 1977, quindici
giorni dopo la morte di Giorgio La Pira, allo storico incontro di
Gerusalemme nel quale il presidente egiziano Sadat, incontrando
Carter, presidente USA, e Begin, dello Stato Isreaeliano, dirà: «Non
sono qui per un accordo separato, sono qui per la pace di Abramo.»?
Un secondo ulteriore aspetto della profezia della Pace, a cui ab­
biamo già accennato parlando del ruolo delle città, è quello che si
20. G. La l'ira, Il sentiero di Isaia. Scritti ediscorsi, Cultura Nuova Editrice, Firenze 1996.
21. Lafamiglia di !mran, in Libro del Corano, , sura 64.
concretizzerà nei Convegni delle Città e dei sindaci delle Capitali del
mondo (1955) e nei viaggi. Unire le città per unire le nazioni, abbat­
tere i muri e costruire i ponti.
I viaggi di La Pira manifestano la sua continua ricerca di fare
emergere la consapevolezza della pace, intesa non come assenza di
guerra, ma come processo di unione tra popolo e popolo, tra città e
città, tra uomo e uomo.
1956: viaggio in Egitto e Israele, per ridurre il conflitto;
1959: viaggio a Fatima, Mosca, lZiev;
1963: viaggio a Mosca, conferenza sul disarmo (ricorda John
Kennedy);
1964: viaggio a Philadelphia per la legge sui diritti civili dei neri;
1965: viaggio a Londra per la guerra del Vietnam;
1965: viaggio a Belgrado per conferenza sul disarmo;
1965: viaggio a Hanoi dove incontra Ho Chi Minh per convin­
cerlo alla pace;
1967-'70-'73 viene eletto presidente della Federazione Mondiale
delle Città gemellate.
Tra il '68 e il '75 interviene ovunque a livello internazionale per
il disarmo e la convivenza.
La Pira è pellegrino di pace, e questo aspetto evidenzia l'urgenza
di un'assunzione di responsabilità prima di tutto personale: «ognu­
no ha il compito, non delegabile, di compiere azioni che permetta­
no lo sviluppo della pace anche nel nostro tempo aprendo ambiti di
confronto, di dialogo, di incontro».
Certo, alle sue spalle c'erano giganti dell'impegno economico e
internazionale che in un qualche modo davano compimento, anche
se solo dal punto di vista diplomatico e istituzionale, a quelle che era­
no le intuizioni di La Pira.
27
Alcune tracce di riflessione attualizzatrice
28
1. La dimensione religiosa e teologica della vita, la storiografia
del profondo, Cristo punto assiomatico, non sono da confondere
con una concezione integralista, né con un uso coercitivo e distorto
della fede e dei valori. Rischio molto presente oggi sia nella comunità
ecclesiale che nella politica, dove la dimensione religiosa viene as­
sunta come elemento di contrasto e di divisione, dove i valori, pro­
clamati, ma non vissuti, vengono utilizzati come grimaldello politi­
co o come difesa strenua delle proprie sicurezze, come religione ci­
vile a sostegno di una maggioranza politica.
La Pira, così intimo di Lazzati, conosceva bene la Lettera a
Diogneto e il compito che essa assegnava ai cristiani nel mondo: es­
sere nel mondo, rispettarne le leggi, ma superare le leggi con la pro­
pria vita, essere cioè nel mondo come l'anima nel corpo.
La religiosità e la spiritualità, come la stessa operatività di La Pira,
sono sempre state caratterizzate da una grande apertura agli altri, da
un confronto tra opinioni diverse: non si spiegherebbe diversamen­
te la sua impresa di lanciare ponti per costruire dialoghi con i non
credenti, i non cristiani, gli atei, i comunisti della stessa amministra­
zione comunale di Firenze.
Non vi è, per La Pira, una visone integralista chiusa su se stessa,
sulle proprie indiscutibili verità, egli è sempre aperto alla verità degli
altri. La Pira è certo del Punto Assiomatico (anche se la fede non è
mai annunciata in modo trionfalistico), ma l'altro non è da battere,
non è un nemico da convertire con la forza; egli si sforza sempre di
capire che cosa c'è di comune «perché l'umanità intera è avviata se­
condo il disegno di Dio, come Israele, malgrado tutto, a raggiunge­
re la terra promessa, verso la piena fioritura».
2. Della forte impostazione lapiriana cogliamo un altro aspetto
importante, la "forte caratterizzazione etica e morale del suo com­
portamento", cioè la necessità di indossare gli abiti virtuosi, essen­
ziali per l'impegno e in particolare per l'impegno biblico.
Giuseppe Dossetti nell'introduzione alla pubblicazione degli arti­
coli di La Pira scritti per «Il Focolare» (p. XVI) dirà della concezione la­
piriana dell'impegno politico: «L'impegno sociale e culturale e politi­
co per il cristiano che spesso viene giustamente sostenuto, è in La Pira
tutt'altra cosa del presenzialismo efficientistico di molti cristiani che
incitano alla presenza nel sociale senza valutare seriamente se ci sono
le condizioni previe di un coerente cristianesimo interiore e che quin­
di dà luogo ad una presenza che è solo da spettacolo.»22
U n impegno che non deve essere esercitato in modo as tratto, ma
concreto verso la persona; da qui la scelta privilegiata per le catego­
rie dei poveri, le categorie evangeliche.
Grande rigore morale a tutti i livelli, il contatto con i poveri e lo
spazio frequente con la contemplazione sono strumenti per con­
fermare lo stile di vita, le scelte, la consapevolezza del limite della
politica rispetto all'impegno, per raggiungere la meta unica deside­
rabile, «l'incontro con il Risorto».
Si impegnerà in un partito senza mai chiedere nulla in cambio,
«l'unica tessera che ho è quella del mio battesimo», sarà sindaco del­
la città e metterà oltre il suo impegno anche le proprie risorse per la
realizzazione dei progetti per i senzatetto, i poveri. Dal punto di vi­
sta personale condurrà una vita coerente di testimonianza, 'povero
con i poveri'.
Credo sia superfluo dire quale attualità rivesta oggi, nel degrado
della politica, questo richiamo per un'ispirazione cristiana all'impe­
gno socio-politico. Diviene cioè rilevante il problema della selezio­
ne, del discernimento per coloro che devono essere chiamati a svol­
gere una funzione politica. L'attenzione che La Pira poneva al pro­
blema del metodo assume anche per noi oggi una grande rilevanza dal
punto di vista dell'impegno laicale nella società e nella politica.
«La sola metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco
radicale dalla propria piccola sfera, l'apertura alla sfera universale di
22. G. Dossetti, Prefazione a G. La Pira, Iljòndamento eilprogetto di ogni speranza, cito
29
Dio, gli strumenti che suggeriscono l'ambizione, la colpa, la meschi­
nità, sono strumenti radicalmente privi di efficacia. È proprio il dis­
corso sul metodo quello che va fatto in questo periodo storico di co­
sì eccezionale portata per i cristiani e per tutti».23
Nota biografica
Conclusione
30
Se è vero che la più grande paura che ci portiamo dentro, la più
grande povertà che registriamo è la perdita di senso rispetto al futu­
ro, la mancanza di speranza, Giorgio La Pira sconvolge i nostri ti­
mori e ci invita a farci carico delle responsabilità con un comporta­
mento coerente. Il nostro tempo e le nostre scelte diventano quindi
profondamente preziose perché, nella storiografia del profondo, an­
che le piccole azioni operano per il cammino inevitabile del mondo
verso il ricongiungimento col suo Signore.
Le scelte, quindi, vanno vissute con gioia, anche nelle difficoltà
e nell'incomprensione o isolamento, perché Cristo è risorto e allora
tutto è inevitabilmente segnato.
A volte siamo portati a pensare che tutto questo è un sogno, che
La Pira sia stato un sognatore!
È lo stesso La Pira che risponde alle nostre perplessità: «Forse,
ma il cris tianesimo tutto è sogno? Il dolcissimo sogno di un Dio fat­
to uomo perché l'uomo diventasse Dio! E se questo sogno è reale­
e di quale realtà! - perché non sarebbero reali gli altri sogni che sono
ad esso essenzialmente collegati?»
Giorgio La Pira nasce nel 1904 a Pozzallo, Ragusa. Si trasferisce a
Messina per studiare; diplomatosi ragioniere, si iscrive alla Facoltà di
Giurisprudenza. La Pasqua del 1924 è il tempo della sua conversione; alla
fine del '25 frequenta già le baracche della città, visitando le famiglie pove­
re, portando cibo, medicine, vestiti, intrattenendo i giovani per la strada.
Giunge a Firenze nel 1926, al seguito del professore scelto per la te­
si, ma lapolù assume ben presto perlui il valore di una vera e propria vo­
cazione. All'approfondimento degli studi di diritto unisce lo studio del­
la dottrina di San Tommaso; dall'impegno spirituale non distacca mai
un'intensa attività sociale. Scende nei bassifondi, visita il dormitorio
pubblico, dà vita a quell'originale esperienza della Messa di San Procolo,
dove ricchi e poveri si riuniscono in una sola famiglia, come i primi cri­
stiani. La continua ricerca della verità lo avrebbe portato ad opporsi al
fascismo. Il contrasto, già maturato negli anni, esplode con la pubblica­
zione della rivista «Principi», in cui vengono affermati i diritti della per­
sona umana minacciati dal totalitarismo, dalle ideologie, dal razzismo,
dalla guerra. La rivista viene ovviamente soppressa, e La Pira costretto
alla clandestinità.
Alla caduta del regime è eletto all'Assemblea Costituente ed è uno
dei maggiori ispiratori dei Principi fondamentali della Costituzione ita­
liana. Politico, nel senso più alto del termine, vive con responsabilità e
senza alcun interesse personale la propria candidatura.
23. G. La Pira, Lettera a Fallfalli, 1958, in: Aminrore Fanfani, Giorgio lA Pira:!l1Iprofilo e24
lettere, Rusconi, Milano 1978.
Nel 1951 è sindaco di Firenze: affronta subito il problema dei sen­
zacasa con requisizioni di appartamenti ed edilizia popolare, distribui­
sce il latte ai bambini delle elementari, si impegna senza tregua per il di­
ritto al lavoro, riceve chiunque desideri parlargli.
31
32
Ma il suo ruolo non si ferma ai confini del Comune: La Pira si inter­
roga sulla situazione dell'Italia e del Mediterraneo, del mondo intero.
Capisce che in un mondo dominato dalla paura dell'atomica e dalla logi­
ca dei blocchi che restringe gli spazi della diplomazia, un ruolo nuovo
devono giocarlo le città: assistito dalla preghiera di tanti monasteri di
clausura e in contatto con i bambini di molte scuole elementari, intra­
prende una feconda attività internazionale. Organizza annualmente i
convegni per la Pace e la Civiltà cristiana, promuove il Convegno dei sin­
daci delle città capitali del mondo, parla alla Croce Rossa a Ginevra. La
presenza ai convegni dei rappresentanti dei paesi arabi ne fa un punto di
incontro di culture diverse, in cui il Mediterraneo diviene fulcro del nuo­
vo sistema di rapporti tra Nord e Sud del mondo. Organizza diverse ses­
sioni della conferenza Est-Ovest per il disarmo. Avrà stretti rapporti di­
retti o epistolari con i principali leaders dei governi mondiali.
Negli anni Settanta la sua attività internazionale va diradandosi per
motivi di salute. Muore il5 novembre 1977. Sulla sua tomba, a Firenze,
è scritta la parola «Pace» in arabo e in ebraico.
Scarica

Fare politica con l`anima