La liturgia Eucaristica
“Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi
discepoli dicendo: Prendete, mangiate, bevete: questo è il mio Corpo; questo è il calice
del mio Sangue. Fate questo in memoria di me. Perciò la Chiesa ha disposto tutta la
celebrazione della Liturgia Eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste
parole e gesti di Cristo.
Infatti:
1. Nella Preparazione dei Doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè
gli stessi elementi che Cristo prese tra le Sue mani.
2. Nella Preghiera Eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e
le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3. Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l’unità dei fedeli, e per mezzo
della Comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, allo stesso modo
con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso”. (PNMR n° 48)
SOMMARIO
LA PREPARAZIONE DEI DONI
La preparazione dell’Altare.
La processione dei doni.
Le preghiere di azione di grazie per il pane e il vino.
La mescolanza dell’acqua.
Gli altri riti di preparazione.
L’orazione sulle offerte.
LA PREGHIERA EUCARISTICA
Il significato della Preghiera Eucaristica.
Le diverse forme di Preghiera Eucaristica.
La struttura della Preghiera Eucaristica
LA PREPARAZIONE DEI DONI
LA PREPARAZIONE DELL’ALTARE
“Prima di tutto si prepara l’Altare, o Mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia
Eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il messale e il calice, se non viene
preparato alla credenza”. (PNMR 49)
L’Altare non è semplicemente una mensa attorno alla quale radunarsi a mangiare e sulla quale
appoggiare l’occorrente per la celebrazione.
L’Altare, e ce lo ricorda molto bene San Tommaso D’Aquino (Somma Teologica, III, quest. 83), è
simbolo di Cristo, unica offerta gradita al Padre.
Questa verità è bene che sia espressa anche nell’uso che ordinariamente se ne fa dell’Altare
stesso.
Fin dall’inizio della Celebrazione, sull’Altare, ricoperto di tovaglia bianca, decorosamente pulita,
viene posto il Libro dei Vangeli (l’Evangeliario), magari le lampade accese, o le candele, e i fiori: e
null’altro.
Ora esso diventa il centro della Liturgia Eucaristica: quindi gli Accoliti, cioè i ministri dell’Altare,
preparano opportunamente la Mensa del Signore.
Dalla credenza, posta a lato del presbiterio, e sulla quale prima dell’inizio della celebrazione si era
preparato tutto l’occorrente, portano e dispongono sull’Altare il corporale e il purificatoio, il calice e
il messale.
Il presidente della Celebrazione, seduto alla sede, attende che sia conclusa la preparazione
dell’Altare; quindi accoglie i doni: il pane, il vino e il frutto della sollecitudine di carità dei fedeli,
che vengono portati in processione.
Chi sono coloro che, nelle nostre Comunità Parrocchiali, prestano il servizio all’Altare?
Sono i piccoli, i ministranti e le ministranti, riducendo così un ministero ecclesiale ad una “cosa da
bambini”, con la conseguenza che quanto più si cresce tanto più ci si allontana dal servizio?
Oppure è svolto da giovani e adulti, abilitati a questo in quanto hanno già ricevuto tutti i
Sacramenti della Iniziazione Cristiana?
LA PROCESSIONE DEI DONI
“Poi si portano le offerte: i fedeli – cosa lodevole – presentano il pane e il vino; il sacerdote o il
diacono, in un luogo adatto, li riceve e li depone sull’Altare, recitando le formule prescritte.
Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla
Liturgia, tuttavia il rito di presentare questi doni conserva il suo valore e il significato spirituale.
Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati
dai fedeli o raccolti in Chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori dalla Mensa Eucaristica”.
(PNMR 49)
Più che una processione questo momento celebrativo si caratterizza, soprattutto nelle Chiese
giovani e nelle Comunità dell’Oriente cristiano, come una danza gioiosa e ritmata, con la quale si
presenta ciò che la bontà paterna di Dio ci ha donato: pane e vino, frutti della terra e del lavoro
dell’uomo.
E si fa esperienza di fraternità preoccupandoci di quanti, tra di noi, sono privi di terra, di lavoro e
di pane.
La processione si snoda portando all’Altare la pisside con le ostie per la Consacrazione, le ampolle
contenenti il vino e l’acqua da versare nel calice.
In occasioni di maggiore solennità si possono far precedere dall’incenso, e accompagnare da un
piccolo vaso di fiori, recisi e preparati appositamente, da porre, in segno di festa e di gioia,
sull’Altare.
Anche la raccolta delle offerte per i poveri è un gesto che va compiuto nella verità evitando che
diventi un semplicistico “mettere mano al portafoglio” oppure che si tramuti in una processione al
supermercato con ogni sorta di generi alimentari.
E’ invece un occasione che la Comunità che celebra deve sfruttare per esprimere la sua abituale
sollecitudine di carità.
Come viene celebrata la Processione dei Doni?
Nelle nostre Comunità Parrocchiali, la colletta con la quale intendiamo prenderci cura dei più
poveri tra di noi affinché a nessuno manchi il necessario per vivere, è compiuta nel modo migliore
oppure è un gesto che si trascina nell’abitudine?
LE PREGHIERE DI AZIONE DI GRAZIE PER IL PANE E IL VINO
“Benedetto se tu, Signore, Dio dell’universo:
dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (vino)
frutto della terra e del lavoro dell’uomo:
lo presentiamo a te,
perché diventi per noi cibo di vita eterna (bevanda di salvezza).
(Benedetto nei secoli il Signore.)”
Le due preghiere di preparazione (che il sacerdote, secondo quanto è prescritto nel messale, recita
sottovoce) cominciano con una lode del creatore.
Il pane e il vino vengono designati come suoi doni.
Anche qui vale la parola della Lettera di Giacomo: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene
dall’alto e discende dal Padre della luce” (1,17).
Il pane è da secoli l’alimento base.
Esso rende possibile la vita, è il primo tra i viveri; senza alimentazione l’uomo deve morire.
Così nel dono del pane c’è un riferimento a Dio come creatore, conservatore e amico della vita.
Lo stesso vale per il vino, il quale, nell’antico Israele, era insieme alimento, genere voluttuario e
farmaco.
Chi riflette su questo carattere di dono dell’alimentazione ringrazia.
Ma ringraziare Dio significa pregare.
La preghiera del pasto è diventata antichissimo uso dell’umanità, uso che ancor oggi è pieno di
significato.
Così è propria del pasto una componente religiosa, una specie di Consacrazione.
Esso fonda comunione e amicizia, pace e gioia.
Così esso poté diventare per Cristo il segno visibile di quel banchetto nel quale egli stesso diventa
cibo, nel quale egli dona agli uomini comunione con il Dio trino e tra loro, e dà un pegno del
banchetto di nozze eterno.
Le preghiere di preparazione rimandano tuttavia non solo al Dio creatore ma anche all’uomo, che
con faticoso lavoro coltiva grano e uva, che raccoglie e lavora i loro frutti fino a che questi
diventano alimenti che fanno bene.
Poiché nel pane e nel vino sono contenuti molta cura e molta fatica essi sono frutto del lavoro
dell’uomo.
Per questo possono diventare anche simbolo dell’uomo stesso che con questi doni inserisce se
stesso nel sacrificio di Cristo.
Gia la più antica tradizione cristiana vede nel pane e nel vino un simbolo di quella unione nella
quale coloro che ricevono i doni, da uomini trasformati, crescono insieme come comunità di Cristo,
anzi come suo Corpo.
Per quanto riguarda la qualità del pane e del vino ricordiamo PNMR.
Al numero 282, a proposito del pane, afferma: “Il pane per la celebrazione dell’Eucaristia deve
essere di solo frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa
latina”.
Al numero 283 continua poi: “La materia della Celebrazione Eucaristica si presenti veramente come
cibo. Esso deve essere confezionato in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo
possa spezzare davvero l’ostia in più parti da distribuire almeno ad alcuni fedeli.
Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi o altre
ragioni pastorali lo esigano”.
E, a proposito del vino, al numero 284 si richiede “che sia tratto dal frutto della vite, che sia
naturale, cioè non misto a sostanze estranee”
Le preghiere di preparazione terminano con il rimando alla destinazione ultima dei doni: essi
devono diventare “cibo di vita eterna” e “bevanda di salvezza”.
LA MESCOLANZA DELL’ACQUA
Il testo del PNMR al numero 103 prescrive di aggiungere alcune gocce di acqua al vino, al
momento dell’offertorio, pronunciando sottovoce l’apposita formula.
Questo rito breve e in sé povero è ricco di senso.
Perché un po’ di acqua?
Nessun racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia nei Vangeli ricorda l’acqua nell’Ultima Cena.
Si sa d’altra parte che nell’antichità il gusto forte del vino veniva rotto con dell’acqua e che questo
avveniva principalmente nei paesi caldi.
Gesù e i suoi discepoli lo dovettero pertanto fare regolarmente.
E così San Giustino, nel 150, precisa nella sua prima Apologia che quando le preghiere sono
concluse (si tratta di quella che poi sarebbe diventata la Preghiera Universale) “viene portato a
colui che presiede i fratelli del pane e una coppa con acqua e vino”.
Ma a questa usanza, diremmo di carattere dietetico e prudenziale, si sostituisce rapidamente un
significato mistico, che è il solo che resta oggi, e non perché i nostri vini siano meno consistenti.
Un secolo più tardi di San Giustino, San Cipriano di Cartagine, lottando contro gli gnostici che
rifiutavano il vino, è testimone del significato spirituale del rito: “Se qualcuno offrisse solo vino, il
Sangue di Cristo si troverebbe ad essere senza di noi; se si desse solo dell’acqua, sarebbe il popolo
ad essere senza Cristo”.
La teologia dell’”ammirabile scambio” ha poi trovato con Sant’Agostino la sua formulazione,
espressa oggi nella formula del Messale: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la
vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra condizione umana”.
Con parole diverse è quanto si esprime nell’orazione della Messa di Natale: è cioè richiamo al
mistero della Incarnazione.
Si può aggiungere che l’interpretazione della Liturgia orientale è ancora più cristologia della nostra:
la mescolanza dell’acqua con il vino è il segno dell’unione dell’umanità e della divinità nella persona
del Cristo.
Altri richiamano le “gocce di sangue e acqua” uscite dal costato di Cristo trafitto in Croce. (Gv
19,34)
Dove ci hanno portato queste poche gocce d’acqua!!
Tutto questo fa pensare a quanto bisogno c’è di catechesi per far conoscere il legame tra la fede e
l’azione liturgica.
GLI ALTRI RITI DI PREPARAZIONE
La donazione di sé simboleggiata nel pane e nel vino trova anche la sua espressione verbale nella
preghiera che segue con la quale ci uniamo al sacrificio che Cristo ha fatto di se stesso.
Il sacerdote inchinato chiede ciò non solo per sé ma per tutti i partecipanti dicendo: “Umili e pentiti
accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te”.
Quindi si può compiere l’incensazione dei doni, dell’Altare, del sacerdote e dell’assemblea.
Quando si parla di incenso, in molte Comunità Parrocchiali, ci si riduce a pensare all’uso che se ne
fa nei funerali, tanto che molti credono abbia una funzione pratica: quasi a voler coprire l’odore del
cadavere.
Invece in tutte le celebrazioni si può usare tale fumo odoroso, ricco di valore simbolico antico e
sempre nuovo.
E’ necessario allora recuperare il complesso simbolico espresso nell’uso dell’incenso: il braciere
ardente, l’incenso che si consuma, il fumo che sale e il profumo emanato che invade l’ambiente.
La nostra persona è interamente coinvolta nella Azione Liturgica in atto.
Con i gesti come alzarsi, sedersi, inginocchiarsi, battersi il petto, scambiarci il segno di pace,
camminare, …… e con i sensi, siamo chiamati a dimostrare l’adesione piena all’incontro con il
Signore Risorto che pronuncia ancora la Sua Parola e offre la Sua vita per noi.
Ed è soprattutto il senso dell’olfatto a percepire la ricchezza di questo segno: l’incenso crea una
atmosfera gradevole e solenne attorno a noi; manifesta il nostro rispetto e la nostra riverenza
verso un simbolo di Cristo (l’Altare, il pane e il vino) o verso una persona, sacerdote e fedeli; indica
un profondo atteggiamento di preghiera e di adorazione.
L’incenso è soprattutto simbolo dell’atteggiamento di offerta e di sacrificio dei credenti davanti a
Dio: come i grani dell’incenso vengono totalmente consumati dalla brace di fuoco effondendo un
gradevole profumo così la vita cristiana è chiamata al dono totale di sé nella gratuità e nella
benevolenza.
Ma dopo aver incensato le offerte e l’Altare vengono, abbiamo detto, incensate le persone,
sacerdote e assemblea.
Sono esse infatti offerta e omaggio graditi a Dio: è per questo che, mentre viene incensata,
l’assemblea si alza in piedi ad indicare, con il suo atteggiamento positivo e impegnato, l’unione alle
offerte eucaristiche.
Così l’incenso unisce in qualche modo le persone con l’altare, i doni, ma soprattutto con Cristo che
si offre in sacrificio.
Dopo aver usato l’incenso è prevista la lavanda delle mani del sacerdote per la quale, oltre al
senso pratico di detergere le mani dal pulviscolo della cenere e dell’incenso, si è aggiunto il
significato di purificazione interiore bene espresso anche dalla preghiera che accompagna tale
gesto: “Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato”.
Questo gesto, prescritto per le celebrazioni nelle quali si usa l’incenso, si conserva ordinariamente
in tutte le Celebrazioni Eucaristiche di Rito Romano compiendolo spesso in modo maldestro e
atrofizzato così che non comunica certo la verità del suo significato.
L’uso corrente è di versare sulla punto delle dita del sacerdote un po’ d’acqua, presa, il più delle
volte, dall’ampollina che serve per mescere il vino nel calice per il Sacrificio Divino.
Compiuto così non comunica il desiderio di purificazione, ha piuttosto il sapore di voler adempiere
una prescrizione fatta dalle rubriche.
Il significato del gesto in ambito celebrativo impone che sia compiuto nella verità: per il calice c’è
l’ampollina adatta a contenere un po’ d’acqua da usare per temprare il vino; per le mani occorre
una caraffa con il relativo catino e asciugatoio.
Solo così, compiendo ogni gesto nel rispetto del suo significato proprio, esprimiamo non tanto la
preoccupazione di rispettare le regole scritte ma, molto più, vogliamo professare la nostra
adesione sincera a ciò che stiamo vivendo nel rito.
L’ORAZIONE SULLE OFFERTE
“Deposte le offerte sull’Altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i
fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la
Preparazione dei Doni e si prelude alla Preghiera Eucaristica”. (PNMR 53)
Per i Riti di Offertorio, quando non si usa l’incenso, l’assemblea rimane seduta sino all’orazione
sulle offerte.
Ma in molte comunità è ancora diffuso l’uso di alzarsi solo all’invito del sacerdote, “Il Signore sia
con voi”, con il quale si dà inizio al prefazio.
La preghiera sulle offerte è preghiera presidenziale, viene pronunciata a voce alta dal sacerdote,
con le braccia allargate, a nome di tutta la comunità che, quindi, esprime la sua partecipazione
stando in piedi e rispondendo “Amen”.
Quindi anche se non è introdotta, come per la preghiera di colletta, dall’esortazione esplicita
“preghiamo”, al suo inizio ci alziamo tutti in piedi: un modo semplice per esprimere nel gesto il
comune sacerdozio battesimale.
La posizione del nostro corpo ha un significato proprio all’interno della Liturgia: conoscerlo è
preludio per viverlo veramente con maggior coscienza e coerenza, è partecipazione piena.
LA PREGHIERA EUCARISTICA
IL SIGNIFICATO DELLA PREGHIERA EUCARISTICA
“A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, vale a dire la
Preghiera Eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione.
Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di
grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge al
Padre per mezzo di Gesù Cristo.
Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea si unisca insieme con Cristo nel
magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio”. (PNMR 54)
Ed eccoci giunti al cuore della Celebrazione Eucaristica che è memoriale della Pasqua di Gesù, del
Suo sacrificio sulla croce e della Sua Risurrezione gloriosa.
Le diverse narrazioni neotestamentarie della Cena Pasquale sono concordi nell’affermare che Gesù
“prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: prendete, mangiatene…e
bevetene tutti. Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue che è per voi”.
La sequenza di tali azioni (prendere il pane e il calice, rendere grazie al Padre con una preghiera di
benedizione, spezzare il pane e distribuire pane e calice ai presenti) viene assunta dalla comunità
ecclesiale riunita per fare memoria di questo evento di salvezza, perché, attraverso la
partecipazione a questo dono d’amore, la forza della Pasqua di Gesù continui a rinnovare il mondo.
Con i Riti di offertorio infatti l’assemblea celebrante ha “preso il pane e il calice”, ora, con la grande
Preghiera Eucaristica, dà voce, in Cristo Gesù, al rendimento di grazie al Padre e, in questa
preghiera di benedizione, la Chiesa esprime la sua fede, la sua carità nella beata speranza,
rendendo a Dio, per Cristo nello Spirito, ogni onore e gloria.
Rendere grazie, per la Chiesa, significa collocare la propria preghiera all’interno di una storia
attraverso la quale Dio si è progressivamente andato rivelando come il Dio dell’alleanza.
Vuole cioè dire “far memoria” del suo amore per noi, nel senso profondo, di continuare, da parte di
Dio, un gesto di salvezza, e di confessare, da parte della comunità ecclesiale, che Dio è Signore
della storia e del cosmo e amante dell’uomo.
La Preghiera Eucaristica è pertanto il luogo privilegiato della Professione di Fede di un popolo e,
insieme, momento di grazia con cui Dio ci costituisce popolo dell’alleanza.
Rendere gloria a Dio manifesta la forma più alta e più vera del nostro parlare di Dio, quella che
maggiormente esprime la totale gratuità di un dono da cui non possono che sgorgare l’adorazione
e il rendimento di grazie.
Una preoccupazione costante della catechesi e della formazione liturgica è che tutti giungano a
una comprensione profonda e vitale della Preghiera Eucaristica.
Come sarebbe bello se nelle nostre Comunità Parrocchiali si avesse la costante attenzione di
introdurre tutti, ma proprio tutti coloro che vi partecipano, bambini e adulti, giovani e anziani, a
comprendere e vivere ciò che celebrano!!
LE DIVERSE FORME DI PREGHIERA EUCARISTICA
“A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione”. (PNMR 54)
Per esso non si ebbe dall’inizio un testo unitario, ma si sviluppò una molteplicità di forme.
La più antica Preghiera Eucaristica, a noi tramandata per la Chiesa Romana, si trova negli scritti
del prete romano Ippolito ed è dell’anno 215.
Egli, intendendo la sua preghiera come una “forma quadro”, riconosceva ad ogni vescovo il diritto
della libera creazione di testi, purché rimanesse fedele alla tradizione della fede.
Per questo motivo non meraviglia che anche il suo modello abbia conosciuto nella Chiesa romana
numerose variazioni e aggiunte così da essere ancora difficilmente riconoscibile.
Ciò è accaduto specialmente nel passaggio dalla lingua liturgica greca a quella latina e ha portato
solo lentamente a una forma stabile di Preghiera Eucaristica.
Sotto Gregorio I questo sviluppo giunse, in certo modo, a una conclusione, e tale Canone Romano
si è mantenuto, anche se non del tutto invariato, sino al Concilio Vaticano II.
Ma la storia della Santa Messa mostra come certi cambiamenti nella struttura e nella scelta delle
parole da parte dell’autorità ecclesiastica non siano in opposizione con l’istituzione di Cristo.
A partire dall’ottavo secolo si formò l’idea che il Canone iniziasse solo dopo il Sanctus.
Ciò fu messo in rilievo anche graficamente con il miniare la prima lettera del Te igitur come una
grande iniziale e con l’inserire a questo punto in manoscritti e libri una immagine a tutta pagina
della crocifissione.
In questo modo, con la separazione del prefazio e del Sanctus, il rendimento di grazie e la lode in
questa Preghiera eucaristica furono ridotti a un minimo.
Quando, dopo il Vaticano II, si cercò di riformare tale Canone romano con le sue numerose
preghiere di domanda e con l’elemento solo debolmente rappresentato della lode e del rendimento
di grazie, questo intento si presentò come impossibile.
Perciò, il Papa Paolo VI consentì alla proposta di porre accanto al Canone Romano, solo
leggermente modificato, tre nuove Preghiere Eucaristiche.
Ecco allora che, nel Messale del 1970, abbiamo:
Preghiera Eucaristica I (Canone romano)
Salvo piccoli ritocchi fu introdotta la forma unitaria delle parole dell’Istituzione per tutte le
Preghiere Eucaristiche e la Acclamazione “Annunziamo la tua morte…”.
Per quanto riguarda le variazioni rituali, si sono ridotti a uno i precedenti venticinque segni di croce
e si è rinunciato ai due baci dell’Altare previsti dal Canone.
Preghiera Eucaristica II
E’ il risultato di una operazione con cui si è rielaborata una nuova forma della Preghiera Eucaristica
di Ippolito, con l’introduzione del Sanctus ivi mancante, di una Epiclesi dello Spirito Santo e di una
diversa successione di alcuni testi.
Preghiera Eucaristica III
Si tratta di una nuova creazione.
Essa si caratterizza anzitutto per il fatto che connette i singoli elementi strutturali in modo più
organico e chiaro con la ripresa non solo di elementi dal Canone romano, ma anche di idee e testi
della tradizione liturgica e teologica.
Preghiera Eucaristica IV
Questa Preghiera Eucaristica si collega alla tradizione della chiesa Orientale.
Essa possiede un Prefazio invariabile e, cominciando da esso, porta avanti la lode e il rendimento
di grazie per le azioni salvifiche di Dio, oltre il Sanctus, sino al Mistero Pasquale di Cristo e all’invio
dello Spirito Santo.
Di qui essa , dopo l’Epiclesi dello Spirito Santo, passa al Racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia.
Tale ampia esaltazione dell’opera della salvezza è come una Professione dell’intera Fede cristiana
nel segno della lode.
E’ per questo che sarebbe un indesiderabile doppione se si recitasse tale Preghiera Eucaristica in
una Santa Messa in cui già si recita il Credo!!
Dalla sua seconda edizione del 1983, il Messale Romano italiano possiede inoltre una Preghiera
Eucaristica V, la Preghiera Eucaristica detta del Sinodo Svizzero del 1974, in quattro forme, e una
Preghiera Eucaristica della Riconciliazione in due forme.
Tre Preghiere Eucaristiche dei Fanciulli sono contenute in un apposito Messale.
Accanto alle Preghiere Eucaristiche ufficiali sorsero, a partire dal 1967, numerose Preghiere
Eucaristiche di origine privata, provenienti soprattutto dall’Olanda, che ebbero vastissima diffusione
pur essendone vietato il loro uso da numerosi vescovi.
Certo si dovrà riconoscere a tutte le epoche il diritto di proclamare la lode di Dio a partire dalla loro
viva coscienza di fede e nella loro lingua.
D’altra parte l’approvazione da parte della gerarchia della Chiesa è un aiuto necessario perché “il
momento centrale e culminante” della Liturgia cristiana non venga falsato da particolarità
contingenti e da motivi soggettivi.
LA STRUTTURA DELLA PREGHIERA EUCARISTICA
La struttura della Preghiera Eucaristica è descritta ottimamente al numero 55 dei Principi e norme
per l’uso del Messale Romano in cui è possibile leggere:
“Gli elementi principali di cui consta la Preghiera Eucaristica si possono distinguere come segue:
1. L’Azione di Grazie (che si esprime principalmente nel Prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il
popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche
aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della Festa o del Tempo.
2. L’Acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo. Questa
Acclamazione, che fa parte della Preghiera Eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo con il
sacerdote.
3. L’Epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli
uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima
immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
4. Il Racconto dell’Istituzione e la Consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo si compie il
sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il Suo Sangue sotto
le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di
perpetuare tale mistero.
5. L’Anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli
Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la Sua Beata Passione, la Gloriosa
Risurrezione e l’Ascensione al cielo.
6. L’Offerta: nel corso di questa stessa memoria la chiesa, in modo particolare quella radunata in
quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa
desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino a offrire se stessi e
così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e
con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti.
7. Le Intercessioni: in esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la
Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e
defunti, i quali sono stati chiamati alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e Sangue di Cristo.
8. La Dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio: essa viene ratificata e conclusa con
l’acclamazione del popolo.
La Preghiera Eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le
Acclamazioni previste nel rito.”
Scarica

Scarica - Diocesi di Parma