LA PRIVATIZZAZIONE DELLA RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.:
CRONACA DI UNA INTEGRAZIONE MANCATA
di Francesco Grassi
Dottorando di Ricerca in Diritto dell’Economia e delle imprese
Università di Pisa
1. Sintesi di un percorso lungo cinquant’anni: la televisione in Italia
È ormai da molti anni che in Italia si discute di televisione e di
assetto del sistema radiotelevisivo. La materia sembra infatti variamente
abitare i sogni e gli incubi di coloro che per una ragione o per l’altra
hanno rapporto con quel potente mezzo. Le soluzioni che si sono
prospettate ed attuate nel corso del tempo non sempre sono risultate
pienamente conformi agli interessi (pubblici, privati, economici e
costituzionali) in gioco.
Per lungo tempo la disciplina di settore adottata dagli organi
competenti 1 ha fatto seguito, in maniera forzata e non pienamente
coerente, all’assetto generato in concreto dai competitors del settore tanto
che parte della dottrina ha parlato del legislatore come di un mero
“ratificatore” di decisioni assunte materialmente altrove.
Solo a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso,
grazie anche all’esperienza ed all’influenza derivante dal processo
d’integrazione europea, si è iniziato ad interrogarsi in maniera più
1 Soggetti coinvolti sono il Parlamento ed in particolare la Commissione
parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi
(riformata dalla L. 14 aprile 1975, n. 103), il Governo (nella sua composizione collegiale
e nella figura del Ministro delle Comunicazioni), l’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (disciplinata dalla L. 31 luglio 1997, n. 249).
costruttiva e propositiva circa la possibilità di dettare regole tali da
permettere al sistema radiotelevisivo italiano di divenire, allo stesso
tempo, più adatto ad affrontare le nuove problematiche generate
dall’innovazione tecnologica e maggiormente conforme agli interessi
della generalità dei consociati anche attraverso l’affermazione di forme di
concorrenza (privatizzazione e liberalizzazione) capaci di aumentare
l’efficienza della comunicazione televisiva 2. Infatti è divenuta
maggiormente pressante l’esigenza di contemperare in modi nuovi i
differenti “interessi” coinvolti, le diverse posizioni economico-politiche
che si sono andate delineando con il trascorrere del tempo e con
l’evoluzione economica, giuridica e tecnologica della realtà italiana,
posizioni che reclamavano da tempo una qualche forma di
riconoscimento nella realtà nazionale ed europeo-continentale.
Il mercato dell’offerta televisiva si è infatti strutturato in maniera
autoreferenziale, senza prospettive di lungo periodo: ciò ha dato luogo
ad un sistema radiotelevisivo che sul piano soggettivo appare
duopolistico ma che sul versante dell’offerta, ormai da tempo, tende a
configurarsi come tendenzialmente monopolistico (rectius oligopolio
collusivo) o comunque caratterizzato da una sorta di accordo tacito circa
gli sviluppi industriali. I due operatori principali di livello nazionale (Rai
TV e Mediaset) hanno adottato modelli gestionali ed operativi sempre
più similari; ciò si è pure riflettuto sulla complessiva programmazione
oltre che sulla raccolta pubblicitaria fagocitata da Sipra e Publitalia 3. Un
terzo “polo” ha tentato di inserirsi in questa competizione parzialmente
bloccata ottenendo però scarsi risultati sia per quanto concerne la
raccolta pubblicitaria sia per ciò che riguarda gli ascolti (il cosiddetto
Sul problema dell’incremento delle performances delle strutture imprenditoriali a
seguito di operazioni di privatizzazione delle stesse cfr. E. Bertero, Fa differenza un
cambiamento, da pubblico a privato, dell’assetto proprietario?, in Econ. Pubb., 2003, n. 2, pp. 115128.
3 La ripartizione del mercato pubblicitario tra le due società, controllate dai
principali operatori titolari di concessioni trasmissive nazionali, evidenzia una raccolta
di circa il 50 % a favore di Publitalia e di circa il 30 % a favore della Sipra;
conseguentemente il tasso di concentrazione del relativo mercato è molto elevato. Tale
situazione verrà probabilmente a modificarsi con la riforma introdotta dalla Legge
112/2004 grazie all’impiego del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni) che
dovrebbe rendere maggiormente fluido il settore della raccolta pubblicitaria. Sul punto
comunque il contrasto di visioni è tuttora aspro e solo la concreta attuazione della
Legge potrà fornire indicazioni precise circa l’efficacia anticoncentrativa del
meccanismo introdotto.
2
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share); deve riconoscersi comunque l’elevato valore culturale e di servizio
pubblico espresso dalla nuova realtà societaria del gruppo Telecom-La7.
In un primo tempo, sul modello di altri Paesi europei 4 e sulla
scorta di decisioni adottate dalla Corte Costituzionale, si pensò di poter
incrementare il livello di concorrenza attraverso una limitazione delle
frequenze legittimamente sfruttate da ciascun operatore grazie
all’introduzione di un limite di due canali televisivi nazionali per ogni
operatore privato, con la voluta conseguenza di aumentare il numero
degli operatori. La concessionaria pubblica avrebbe invece conservato le
tre frequenze assegnatele ma, come contropartita, la terza rete (RAI 3)
sarebbe dovuta divenire un’emittente di esclusivo servizio pubblico priva
cioè di pubblicità, televendite, sponsorizzazioni e quant’altro ed
interamente finanziata dai proventi derivanti dalla riscossione del canone
di abbonamento al servizio radiotelevisivo pubblico 5. Secondo le
intenzioni di coloro che propugnavano tale soluzione questa avrebbe
permesso di liberare risorse nel piano nazionale di assegnazione delle
frequenze e ciò avrebbe consentito la creazione di almeno un ulteriore
polo televisivo (il quarto) operante in concorrenza con gli altri già
presenti nel mercato ed in grado di competere, a parità di condizioni, sia
nella raccolta pubblicitaria sia sul versante degli ascolti. Secondo questa
interpretazione tale intervento sarebbe stato capace di “creare mercato”
là dove mercato non vi era o almeno di incrementare il livello
concorrenziale in un “mercato limitato” o “mercato bloccato” attraverso
un aumento numerico dei concorrenti (incremento nel numero dei
competitors).
Critiche a questa costruzione ab externo del mercato televisivo, oltre
che sul versante metodologico, si possono esprimere anche
sottolineando l’impossibilità per operatori di piccole dimensioni, quali
sarebbero derivati dall’operazione giuridica anticoncentrativa, di operare
efficacemente in un mercato che non è più soltanto nazionale ma
europeo e globale; l’incremento del numero dei soggetti quindi si sarebbe
ottenuto a scapito dell’effettiva capacità dei singoli operatori di stare sul
mercato e di operarvi in maniera economicamente vantaggiosa o almeno
accettabile. Come ulteriori elementi in contrasto con questo modello
devono aggiungersi la difficoltà di destinare l’importo del canone
Ad esempio la privatizzazione dell’ex emittente pubblica francese TF1.
Disciplinato dal Regio Decreto Legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla
Legge 4 giugno 1938, n. 880 e successive modificazioni.
4
5
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(almeno nella sua fetta più rilevante) ad una sola delle reti pubbliche con
i problemi di gestione economica e finanziaria che avrebbero potuto
derivarne per l’intera struttura aziendale Rai, la necessità di impedire ad
una delle reti Mediaset di trasmettere su frequenza terrestre ed il
conseguente passaggio sul satellite di Rete 4 con la connessa perdita
finanziaria e gestionale per tale emittente che ne avrebbe comportato la
probabile chiusura. Non si può neppure trascurare la difficoltà di
individuare un editore (che si sarebbe voluto italiano; riappare anche in
questo frangente il “convitato di pietra” dell’italianità-nazionalità aziendale
tanto discussa sia dai sostenitori che dai detrattori dell’economia di
mercato e delle sue strutture di operatività) capace di inserirsi ex novo nel
mercato televisivo per creare un nuovo soggetto televisivo-editoriale
stanti anche le norme che disciplinavano gli intrecci societaripartecipativi tra carta stampata e radiotelevisione.
Tutte queste ragioni unite ad influenti e generalizzati interessi della
classe politica 6 e non solo, hanno determinato la “morte prematura” del
progetto sistematico e la necessità di cercare nuove soluzioni che si
presentassero come maggiormente efficaci e condivise 7.
2. L’impianto complessivo della Legge “Gasparri” ed i suoi principi ispiratori
Nell’attuale legislatura ci si è mossi per tentare di dare una
sistemazione sufficientemente coerente al problema e, per la prima volta
da alcuni anni invece di dettare normative che si limitino a fotografare
l’esistente si è creata una disciplina legislativa del tutto nuova la quale,
nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere capace di incidere in
modo riformatore sull’assetto radiotelevisivo del Paese adeguandolo alle
mutate esigenze ed ai diversi interessi in gioco e rendendolo, per quanto
possibile alla luce degli sviluppi prevedibili nel breve e medio termine,
capace di divenire asse portante dell’integrazione economica e culturale
del Paese nel nuovo secolo.
6 Basti pensare agli atti in materia di tecnica digitale terrestre (DVB-T) prodotti
dall’attuale maggioranza di centrodestra in questa legislatura (XIV) ed a quelli del
centrosinistra nella passata legislatura (XIII).
7 Per un inquadramento sistematico del governo del sistema radiotelevisivo e
della sua evoluzione: G. SANTANIELLO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo,
Padova, CEDAM, 2000; AA.VV., Percorsi di diritto dell’informazione, Torino, G.
Giappichelli, 2003. Circa la presunta transitorietà e temporaneità delle riforme del
passato si veda G. AZZARITI, La temporaneità perpetua, ovvero la giurisprudenza costituzionale
in materia radiotelevisiva (rassegna critica), in Giur. cost., 1995, p. 3037 e ss.
112
Nel settembre del 2002 il Ministro delle Comunicazioni On.le
Gasparri presentava un disegno di legge di riordino dell’intera materia al
Consiglio dei Ministri che lo approvava. Il successivo iter parlamentare si
rivelava lungo e contrastato ma un testo veniva definitivamente
approvato dal Parlamento alla fine del 2003; passava quindi nelle mani
del Presidente della Repubblica che, ai sensi dell’articolo 74 della
Costituzione, lo rinviava alle due Camere individuandovi elementi di
illegittimità costituzionale circa gli aspetti concernenti la garanzia del
pluralismo informativo e contestando parzialmente la funzione e la
disciplina dettata per il mercato della raccolta pubblicitaria quale
risultante dalle norme della legge disciplinanti il SIC 8.
Il Parlamento interveniva di nuovo sul disposto normativo oggetto
dell’intervento presidenziale ed approvava, seguendo la direttrice delle
modifiche suggerite dal Capo dello Stato 9, il testo definitivo della Legge
3 maggio 2004 n. 112 portante il titolo: “Norme di principio in materia di
assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana
S.p.A, nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della
radiotelevisione”.
La nuova Legge di sistema appare strutturata su più livelli in
quanto affianca alle regole dettate per l’introduzione della nuova
tecnologia digitale terrestre (televisione digitale terrestre), altre dettate per
tutelare gli aspetti del pluralismo e della concorrenza nel settore (antitrust
televisivo) ed altre ancora che incidono direttamente sulla struttura
societaria della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo
imponendone una privatizzazione almeno parziale con apertura al
mercato ed agli investitori (privatizzazione sostanziale) 10. Queste linee di
sviluppo, considerate assieme, rappresentano le premesse necessarie
dell’integrazione economica ed imprenditoriale della televisione pubblica
nella realtà finanziaria nazionale ed europea ed un’occasione
potenzialmente molto rilevante di acquisire una posizione nodale nella
8 Soprattutto per ciò che concerneva l’entità quantitativo-percentuale del SIC
(Sistema Integrato delle Comunicazioni), che rappresenta numericamente il limite posto
alla raccolta pubblicitaria. Esso infatti determina indirettamente la struttura del mercato
ed i soggetti che possono farne parte.
9 Analizzate e commentate da P. SCHLESINGER, Mancata approvazione della
“Gasparri” da parte del Capo dello Stato e successivo decreto legge di urgenza n. 352/2003, in Corr.
Giur., 2004, n. 2, p. 150-153.
10 Una prima analisi della Legge in questione in AA.VV., La riforma del sistema
radiotelevisivo, Torino, G. Giappichelli, 2004.
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“nuova economia” 11 oltre che un tentativo di tutelare i rilevati interessi
pubblici e costituzionali coinvolti (in primis il diritto all’informazione
inteso come mezzo di tutela del pluralismo e dello stato di diritto).
Non si possono scindere all’interno della Legge n. 112/2004 la
parte dedicata ai meccanismi ed alle procedure d’introduzione della
tecnica trasmissiva digitale terrestre (DVB terrestre) ed alla disciplina a
tutela della concorrenza e del pluralismo dalla parte della Legge che detta
invece le regole ed i mezzi per realizzare la privatizzazione della RAI
Radiotelevisione italiana S.p.A. 12. Infatti la realizzazione della
dismissione di parte del capitale di un soggetto societario centrale
nell’ordinamento radiotelevisivo, quale è la concessionaria pubblica della
radiotelevisione, appare giustificata in prima approssimazione proprio dal
progresso tecnico che è reso possibile dall’introduzione delle trasmissioni
digitali; questa nuova tecnologia infatti da un lato permette uno
sfruttamento più efficiente dell’intero spettro elettromagnetico
determinando un incremento significativo del numero dei canali
irradiabili 13 sul territorio nazionale e dall’altro determina una vera e
Per “nuova economia” si intende qui il nuovo modo di atteggiarsi delle
politiche economiche, produttive ed industriali che va progressivamente delineandosi,
con rilevanti difficoltà e ritardi, a livello nazionale ed internazionale e che individua una
nuova struttura produttiva in cui all’aspetto prettamente materiale va ad aggiungersi,
come elemento centrale e preminente, l’attività intellettuale in senso lato, chiave di volta
nell’organizzazione di nuovi processi e di nuovi soggetti produttori oltre che di nuovi
prodotti speso non più rappresentati da un substrato materiale (si pensi solamente ai
temi della tutela del copyright del software o alla disciplina delle invenzioni
biotecnologiche). Sul tema cfr. S. ORTINO, Il nuovo Nomos della Terra, Bologna, Il
Mulino, 1999.
12 Circa l’evoluzione storica e normativa del concetto di privatizzazione sia nella
sua accezione formale che sostanziale vedasi per un quadro generale: P. G. JAEGER,
voce Privatizzazioni (Profili generali), in Enc. giur. Treccani, 1995; G. DI GASPARE, voce
Privatizzazioni (Privatizzazione delle imprese pubbliche), in Enc. giur. Treccani, 1995; E.
MOAVERO MILANESI, voce Privatizzazioni (Diritto comunitario), in Enc. giur. Treccani,
1995. Nella manualistica si rinvia a: AA. VV. (a cura di M. Giusti), Diritto pubblico
dell’economia, Padova, CEDAM, 1997; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari,
Laterza, 2001, p. 121-168; E. FRENI, Le Privatizzazioni, in S. CASSESE (a cura di),
Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, Milano, Giuffrè, 2003. Per
un’analisi significativamente approfondita anche dal punto di vista delle procedure di
privatizzazione e del loro succedersi storico-temporale cfr. E. BANI, C. CARCELLI B.
PIERACCINI, Privatizzare. I modi e le ragioni, Padova,CEDAM, 1999, p. 3-192.
13 Il numero dei canali televisivi terrestri passerà da circa una diecina ad oltre
quaranta.
11
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propria separazione tecnico-materiale tra fornitori dell’infrastruttura e
della rete trasmissiva (operatori di rete) e fornitori di servizi e contenuti
radiotelevisivi e di servizi evoluti ad alto valore tecnologico (fornitori di
contenuti e fornitori di servizi interattivi e di servizi ad accesso
condizionato). Tutto ciò renderà concreta in tempi relativamente brevi e
certi la possibilità da parte di qualunque soggetto, pur non dotato dei
capitali necessari ad installare infrastrutture tecnologicamente evolute
implicanti investimenti proibitivi, di realizzare contenuti informativi e più
in generale radiotelevisivi da trasmettere attraverso le infrastrutture
preesistenti gestite dagli incumbents nazionali (RAI-Radiotelevisione
italiana S.p.A., Mediaset S.p.A., Telecom Italia-La7, emittenti locali).
Chiunque pertanto potrà operare come broadcaster con capacità di essere
presente a livello nazionale o locale e di diffondere contenuti ed
informazioni pur senza dover sostenere investimenti ingenti e
tecnicamente molto complessi.
I titolari di concessioni per l’uso di frequenze radiotelevisive (sia in
ambito nazionale che locale) divengono quindi molto simili agli internet
services providers che diffondono dati e servizi attraverso una rete pur non
essendo necessariamente i fornitori o i realizzatori dei contenuti veicolati
bensì limitandosi a concludere accordi commerciali contrattuali con
coloro che ne richiedano le prestazioni tecniche 14. Questo è uno degli
elementi che concorrono significativamente a realizzare quella forma di
convergenza tra mezzi di informazione che da tempo si auspica e che
rappresenta l’espressione tecnico-materiale dei principi liberali e
pluralistici delle democrazie contemporanee. Allo stesso tempo non può
neppure negarsi che proprio tale convergenza fa perdere centralità allo
strumento televisivo tradizionale che, nella seconda fase del ventesimo
secolo, ha rappresentato il mass media per eccellenza oltre che quello
dotato di maggior influenza sul pubblico dei consumatori-utenti-elettori.
3. Le attività preliminari alla privatizzazione ed il loro possibile criterio
ispiratore
Nell’articolo 21 della Legge n. 112/2004 vengono dettati i tempi, le
modalità e le procedure preliminari per giungere sulla strada della
14
servizi.
Si configura in tal caso una vera e propria forma di offerta al pubblico di tali
115
privatizzazione sostanziale della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. 15. In
prima istanza si è prevista la realizzazione della fusione per
incorporazione della società Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. (che
opera materialmente nel campo radiotelevisivo quale titolare delle
concessioni trasmissive pubbliche) nella società RAI-Holding S.p.A. 16
(detentrice giuridicamente della partecipazione azionaria nella società
radiotelevisiva preesistente) che viene ad assumere la denominazione
sociale di “RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A.” ed il cui Consiglio
d’Amministrazione assume le funzioni di organo amministrativo della
società risultante dalla fusione. Si specifica inoltre, onde evitare possibili
fraintendimenti e ricorsi giurisdizionali, che la nuova società subentra “di
pieno diritto” o “ex lege” nella titolarità delle licenze, autorizzazioni e
concessioni di cui era titolare la società incorporata senza che siano
necessari nuovi atti o provvedimenti legittimanti. Deve aggiungersi che
nella disciplina legislativa concernente l’operazione di fusione si
determinano deroghe ai termini previsti dalle disposizioni codicistiche (ex
artt. 2501 ter ultimo comma, 2501 septies primo comma, 2503 primo
comma); tale deroga alla disciplina generale data la titolarità del capitale
sociale (totalmente pubblico) e data la situazione debitoria delle società
partecipanti alla fusione (inesistente) certo non lede posizioni giuridiche
pregresse di alcuno ed è quindi pienamente giustificata. Il procedimento
di fusione descritto deve essere realizzato entro sessanta giorni
dall’entrata in vigore della Legge 17 quale presupposto necessario di ogni
operazione di dismissione di partecipazioni azionarie che voglia risultare
credibile ed efficace 18.
Si deve ricordare che la privatizzazione formale dell’azienda Rai-TV era già
stata realizzata nel corso degli anni novanta del secolo scorso dalla Legge n. 206/1993.
16 In realtà non dell’intero capitale sociale in quanto una modestissima
percentuale dell’ordine dello 0,44 per cento è detenuto da altro soggetto pubblico ossia
la SIAE Società Italiana Autori ed Editori. Tale partecipazione era da ritenersi sino ad
ora solamente simbolica; con la riforma in atto potrebbe venire ad assumere una certa
importanza ma non tale da porsi in contrasto con gli indirizzi ministeriali vista la
configurazione pubblicistica del soggetto titolare della partecipazione in questione.
17 Pubblicata in Suppl. Ord. GU, 05 maggio 2004, n. 82 ed entrata in vigore il
giorno seguente come disposto dall’articolo 29 della stessa Legge.
18 L’operazione di fusione tra Rai Holding S.p.A. e Rai-Radiotelevisione Italiana
S.p.A. si è conclusa formalmente il 17 novembre 2004 ed è divenuta pienamente
operativa il primo dicembre successivo.
15
116
Si impone legislativamente (o meglio dovremmo dire
“dirigisticamente”) che entro il termine di quattro mesi dal
completamento della fusione per incorporazione tra Holding e società
operativa si dia avvio alla procedura di dismissione, almeno parziale, della
partecipazione azionaria dello Stato ricorrendo alla disciplina dettata dalla
Legge n. 474/1994 nella versione consolidata, ad essa non avendo mai
fatto seguito il tanto atteso Testo Unico sulle privatizzazioni. A
rinfrancare dai dubbi che potrebbero avanzarsi circa l’adeguatezza di tale
normativa (datata e prodotta in maniera “occasionale e non sistematica”
frutto della conversione del Decreto Legge 31 maggio 1994, n. 332) può
portarsi l’esempio della privatizzazione parziale dell’Enel che, nonostante
i dubbi finanziari e gestionali suscitati, pare aver sortito un certo interesse
non soltanto in Italia ma pure sui mercati finanziari internazionali tanto
da spingere il Ministero del Tesoro a progettare una nuova collocazione
azionaria di altra tranche di capitale, operazione che sta trovando
attuazione proprio in questo periodo.
Ulteriore elemento preliminare e necessario alla dismissione è
l’adozione di deliberazioni idonee da parte del Comitato Interministeriale
per la Programmazione Economica (CIPE), deliberazioni in cui si
dovranno indicare tempi, modi, condizioni dell’offerta o delle offerte
pubbliche di vendita delle azioni. Allo stato attuale risulta che siano stati
coinvolti i cosiddetti advisors per determinare il valore della
partecipazione da dismettere e gli altri elementi di dettaglio ma non
sembra ancora che siano stati definiti con certezza i termini e le
condizioni effettivi dell’intera operazione (nonostante il termine fissato
nella Legge stessa) anche se deve aggiungersi che il Direttore Generale
della Rai ha già avviato contatti informali con i mercati finanziari
probabilmente interessati dall’operazione (una sorta di road show
anticipato e preliminare, quasi per “tastare il terreno” circa la fiducia degli
investitori istituzionali e delle società di rating). A tutela degli investitori si
prevede ovviamente che la realizzazione del collocamento avverrà
utilizzando le modalità dettate dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58 ossia attraverso lo strumento dell’Offerta Pubblica di Vendita. Ciò
rappresenta una conferma della volontà di realizzare una sorta di public
company seppure corretta con l’introduzione di alcuni poteri speciali da
affidare al Ministero del Tesoro anche se deve aggiungersi che, secondo
un recente sondaggio, proprio agli investitori istituzionali (in particolare
ai gestori dei fondi comuni) tale investimento non pare molto appetibile
117
19
. Questa intenzione più o meno evidente ed espressa di dare vita ad un
gruppo societario verticistico (con una vera e propria holding alla
sommità, la quale sia veramente tale e non una struttura giuridica “longa
manus” di altri interessi) integrato anche nel mercato finanziario e
formato da società operative (controllate maggioritariamente o
totalmente dalla società capogruppo) svolgenti attività disparate nel
settore delle comunicazioni (dalla gestione materiale dell’infrastruttura
consentendone anche l’utilizzazione a terzi, fino all’attività di produzione
cinetelevisiva ed alla gestione pubblicitaria) ed il cui azionariato sia
parzialmente diffuso nel mercato potrebbe rappresentare il presupposto
necessario ma non sufficiente per una piena ed effettiva attuazione anche
degli interessi pubblici sottostanti al settore delle comunicazioni nelle
società di massa postindustriali; in tal caso infatti la coesistenza di plurimi
interessi economici, spesso confliggenti, potrebbe determinare
un’effettiva attenuazione del confronto delle varie posizioni non
economico-finanziarie in senso stretto od una loro ricomposizione più
agevole e maggiormente mediata. Questo però potrebbe essere il portato
di un’evoluzione che ancora non è delineata con chiarezza all’orizzonte e
che potrebbe richiedere passaggi economico-societari più significativi
quali ad esempio la cessione effettiva della rete di trasmissione ad uno o
più soggetti terzi indipendenti dai produttori di contenuti o la creazione
di una sorta di autorità di gestione della rete o delle reti di comunicazione
in questione (se l’integrazione dei media continuerà ai ritmi attuali) simile
al GRTN operante nel settore elettrico.
Quale elemento prodromico ad ogni procedura di dismissione di
partecipazioni sociali della concessionaria pubblica ed a garanzia della
generalità degli utenti del servizio pubblico radiotelevisivo l’articolo 18
della Legge n. 112/2004 impone la realizzazione di una vera e propria
“separazione contabile” nella redazione del bilancio d’esercizio della RaiRadiotelevisione italiana S.p.A.. Infatti si prevede che debbano essere
indicati separatamente oneri e ricavi derivanti dallo svolgimento
dell’attività di servizio pubblico (secondo le indicazioni dettate dal
contratto di sevizio) seguendo le modalità tecnico-contabili determinate
dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (che è individuata
quale soggetto competente alla creazione di un disciplinare per il
concreto adempimento di tale obbligo contabile); elementi ispiratori
Sondaggio effettuato dalla società d’analisi indipendente Morningstar per il
settimanale Panorama riportato dallo stesso settimanale nel numero del 10 marzo 2005.
19
118
dell’AGCOM in tale frangente sono da individuarsi nei criteri generali di
trasparenza, correttezza e veridicità che sono alla base della contabilità
sia dei soggetti privati che di quelli pubblici, criteri che impongono una
uniformazione a quanto stabilito a livello comunitario in materia 20. Una
motivazione ispiratrice del meccanismo delineato è quella di determinare
con relativa certezza quanto sia economicamente imputabile (sia in
positivo che in negativo) agli adempimenti di servizio pubblico e quanto
invece derivi dallo svolgimento di attività commerciale in senso proprio,
dato che ciò rappresenta uno dei principali presupposti della valutazione
circa la redditività dell’investimento in azioni Rai. Ciò postulato viene
imposto alla Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. la trasmissione del
bilancio annuale sia al Ministero delle Comunicazioni che alla AGCOM,
la quale è altresì competente nella scelta della società di revisione
contabile 21 che dovrà, in ciascun esercizio finanziario, svolgere l’attività
di revisione. Non può non sottolinearsi che da tutto ciò ovviamente
emerge una finalità di tutela degli investitori nel capitale della società
privatizzanda; scopo evidente è pertanto quello di permettere agli
interessati di valutare compiutamente la convenienza economica
dell’operazione intrapresa e quindi l’opportunità di aderire o meno
all’offerta pubblica e, in una fase successiva, permettere a coloro che
siano interessati di entrare od uscire dal capitale sociale secondo
valutazioni circa l’andamento dei conti e la convenienza economica di
una tale operazione d’investimento finanziario. Non si deve dimenticare
però che una valutazione di tal sorta può essere compiuta, in maniera
efficace e coerente, solo da soggetti tecnicamente preparati come nel
caso degli investitori istituzionali mentre per l’azionista-risparmiatore
(apparentemente primo destinatario dell’operazione di alienazione) ciò
risulta in concreto di difficile realizzazione; questo è infatti un problema
generale degli investimenti nel mercato finanziario e non solo della
specifica operazione Rai. Per chiarezza si deve anche riferire del fatto che
proprio sul piano della separazione contabile si sono manifestate alcune
20 Direttiva 2000/52/CE sulla trasparenza finanziaria recepita, nel nostro
ordinamento, con D.Lgs. n. 333/2003. Per un’analisi dei problemi di contabilità
pubblica e dei suoi principi ispiratori: C. MANACORDA, Contabilità pubblica, Torino,
Giappichelli, 2004; L. VERZICHELLI, La politica di bilancio, Bologna, Il Mulino, 1999.
21 Tale soggetto deve risultare iscritto nell’Albo speciale delle società di revisione
tenuto dalla Consob ai sensi dell’art. 161 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
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concrete difficoltà di realizzazione tecnica dei meccanismi necessari 22 e
che la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha
auspicato l’adozione di una vera e propria separazione societaria (anziché
contabile) dei soggetti che svolgono attività commerciale da quelli che
invece prestano attività di servizio pubblico; in tal modo, sempre
secondo l’Antitrust, si potrebbe raggiungere il massimo della chiarezza e
della trasparenza eliminando occasioni di contrasto tra interessi
potenzialmente confliggenti. Proprio la creazione di un unico soggetto
giuridico-finanziario rappresenta però uno degli elementi portanti della
riforma dettata dalla Legge n. 112/2004; la soluzione estrema proposta
dall’AGCM in certa misura configurerebbe una sorta di tradimento della
volontà del Legislatore (non sappiamo quanto realmente interessato a far
chiarezza su questo punto). Come già ricordato deve invece
presumibilmente escludersi l’applicazione alla concessionaria pubblica del
servizio radiotelevisivo del disposto dell’articolo 8 della Legge n.
287/1990, come modificato dalla Legge n. 57/2001, che sembrerebbe
imporre l’adempimento della separazione societaria ai soggetti che
svolgano contemporaneamente attività di servizio pubblico ed attività
commerciali ed a cui si richiama la stessa Antitrust. Ad escludere tale
incombente, oltre alle motivazioni sopra ricordate, appare infatti
sufficiente il richiamo al criterio che disciplina la successione delle Leggi
nel tempo ed il criterio della specialità-specificità normativa; infatti la
Legge n. 112/2004 è certo successiva alla riforma legislativa antitrust
(peraltro molto significativa ed attesa da tempo per le public utilities), va a
disciplinare specificamente un determinato soggetto giuridico pubblico
(la Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. appunto) ed è quindi
necessariamente connotata in senso soggettivo. In aggiunta a quanto
detto non può non rilevarsi pure che lo scorporo delle funzioni di
servizio pubblico dall’attività di emittenza televisiva commerciale
conseguente alla separazione societaria decreterebbe, a detta di molti, la
morte definitiva dello stesso servizio pubblico il cui spazio sarebbe ben
presto occupato dal settore di operatività della televisione commerciale.
22 In particolare nell’opposizione di centrosinistra si sono manifestate perplessità
sul tema tanto che si è individuata in ciò una delle cause dell’allungamento dei termini
per procedere alla dismissione azionaria del capitale della Rai-Radiotelevisione Italiana
S.p.A. Sul punto cfr. ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per
l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, 185° seduta, 08 febbraio
2005 in http://www.camera.it.
120
A conferma si può anche aggiungere che la stessa AGCM, pur facendo
un accenno all’ipotesi della separazione societaria, non ha troppo insistito
sul punto e si è impegnata invece per la creazione di un disciplinare
tecnico-contabile efficace nel perseguimento della medesima finalità,
conscia forse anche delle difficoltà a scindere le attività di comunicazione
televisiva utilizzando criteri rigidi (basati fondamentalmente sui contenuti
del contratto di servizio) ed anche alla luce dei profondi mutamenti nella
coscienza sociale che si stanno compiendo negli ultimi anni e che hanno
un’influenza determinante nell’individuazione dello concetto di servizio
pubblico e di attività commerciale.
Probabilmente la creazione e la regolamentazione da parte del
Legislatore di un soggetto societario di vertice del gruppo radiotelevisivo
esprime la volontà di politica economica ed industriale, neppure troppo
nascosta, di integrare i soggetti operanti sul versante pubblico (o
semipubblico) del settore delle comunicazioni televisive in un unico
centro giuridico ed economico capace, in potenza, di essere asse portante
di sviluppo nel cosiddetto “info-tainement” e di estendere la propria
influenza conformativa e regolatoria anche in settori affini o contigui (si
pensi alle nuove reti cellulari ed alla diffusione che attraverso di esse
viene fatta di prodotti nati espressamente per il mercato televisivo)
realizzando un contemperamento delle varie istanze. Secondo altra
interpretazione invece proprio la struttura giuridico-economica creata
(troppo verticistica ed accentrata) e la correlativa difficoltà data dalla
presenza di numerose e contrastanti posizioni d’interesse unite alla
volontà, in parte imposta legislativamente, di scorporare alcuni soggetti
economico-produttivi dal nuovo gruppo rappresenterebbe il modo
migliore per affossare le potenzialità dell’operatore pubblico a favore di
altri interessi precostituiti (non necessariamente nazionali od europei) e
quindi potrebbe configurare una sorta di “cavallo di Troia” dell’intero
sistema, tale da rendere difficile se non impossibile un’integrazione
effettiva nel mercato.
4. La disciplina della nuova Rai Radiotelevisione italiana S.p.A. e le regole
per la sua privatizzazione ed apertura al mercato. La governance del nuovo soggetto
societario ed i riflessi sulla gestione del gruppo
Nel capo IV della Legge n. 112/2004, agli articoli 20 e seguenti,
viene dettata la disciplina societaria della RAI-Radiotelevisione italiana
121
S.p.A. e si indicano le direttrici attraverso le quali realizzare la
privatizzazione di tale soggetto giuridico. In prima istanza si deve
sottolineare che, secondo la più accorta dottrina, la Rai rientra (anche
dopo la sua trasformazione in forma privatistica realizzata dalla Legge 25
giugno 1993, n. 206) nella categoria delle società d’interesse nazionale
disciplinate dall’articolo 2451 del Codice Civile 23. Tale richiamo, lo si
deve rilevare, non è più contenuto in un riferimento espresso di carattere
legislativo visto che l’articolo 20 della Legge n. 112/2004 afferma
testualmente: “Per quanto non sia diversamente previsto dalla presente
legge la Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. è assoggettata alla disciplina
generale delle società per azioni, anche per quanto concerne
l’organizzazione e l’amministrazione”. Il richiamo alla normativa sulle
società di interesse nazionale è quindi da configurarsi come “sistematico”
e “funzionale”, ovverosia connesso alla natura stessa del soggetto in
questione ed alla funzione di preminente interesse generale che la Rai
S.p.A. svolge (rectius deve svolgere) nell’ordinamento in quanto titolare
della concessione pubblica radiotelevisiva e quale parte necessitata del
contratto di servizio stipulato con il Ministero delle Comunicazioni. Non
può sottacersi che detta configurazione determina necessariamente
conseguenze di carattere pubblicistico sul soggetto giuridico televisivo e
deroghe alla disciplina generale delle società per azioni che deve
comunque rappresentare nelle sue finalità un modello ispiratore. Per
chiarezza e completezza si deve dire che alcuni interpreti tendono ad
individuare nella disciplina sulle società di interesse nazionale solo aspetti
prettamente privatistici e di stringente applicazione normativa; in
quest’ottica le deroghe previste a favore dei soggetti in questione non
possono allora che porsi in contrasto con le Direttive Comunitarie in
materia societaria in quanto creerebbero privilegi incomprensibili e
contrastanti con le regole di mercato. Ma questa ricostruzione, proprio
per ragioni sistematiche e di valutazione degli interessi generali e
complessivi, pare da rigettare. È infatti il richiamo alle norme codicistiche
dettate in materia di società (capo V, titolo V, libro V del Codice Civile
avente ad oggetto la disciplina delle società per azioni) contenuto
nell’articolo 2451 c.c. che sembra consentirci deroghe alla stessa
disciplina ordinaria: in esso si afferma che l’applicabilità delle
sopramenzionate norme generali si realizza compatibilmente con le
23
Art. 2461 Codice Civile ante riforma del libro V.
122
disposizioni delle leggi speciali in materia di società di interesse nazionale
e conseguentemente con la disciplina dettata dalle singole disposizioni
normative della Legge n. 112/2004 e di quanto stabilito in materia di
golden share e di poteri speciali dalla Legge n. 474/1994 che disciplina in
linea generale i procedimenti di privatizzazione dei soggetti pubblici ed
ex pubblici ossia detta le linee di sviluppo della privatizzazione
sostanziale 24; si realizza così un potenziale contemperamento di interessi
ed esigenze pubbliche che risultano preminenti perché di carattere
strategico per l’ordinamento italiano. L’articolo 20 della Legge n.
112/2004 quindi non fa altro che confermare un’interpretazione
connessa alla figura della società di interesse nazionale che non può che
essere una figura conformata in senso pubblicistico.
Come logica conseguenza di quanto sopra nell’articolato normativo
si disciplina innanzitutto, in maniera derogatoria rispetto alle norme di
diritto societario comune, la struttura e la composizione degli organi di
governo della società Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. Nell’articolo 20
si afferma che il Consiglio d’Amministrazione deve essere composto da
nove membri nominati dall’Assemblea dei soci e che tali amministratori
svolgono nella società sia una funzione di gestione societaria in senso
proprio sia una funzione di carattere pubblicistico attinente al controllo
circa l’adempimento delle finalità e degli obblighi connessi allo
svolgimento dei compiti di servizio pubblico generale radiotelevisivo; in
tal modo il Consiglio d’Amministrazione si trova ad esercitare un’attività
preliminare di valutazione politico-amministrativa in merito alla
realizzazione delle funzioni d’interesse generale che derivano dalla
titolarità della concessione pubblica cui si salda la stipula del contratto di
servizio che disciplina l’atteggiarsi concreto degli obblighi specifici
gravanti sulla concessionaria pubblica cui si aggiungono, in via
complementare, l’adempimento delle finalità tipiche dei soggetti
commerciali ed in primis la produzione di utili. Occorre rilevare che
all’interno del quadro societario che deriva dall’operazione in questione
nel settore pubblico si avranno soggetti che eserciteranno principalmente
attività collegabile al servizio pubblico ed altri in cui invece tale attività
24 Sulle società di interesse nazionale e la loro disciplina cfr. M. S. GIANNINI,
Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1993, p. 171 e ss. e dello stesso Autore, Diritto
amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993. Per un inquadramento in un’ottica privatistica del
problema della Rai cfr. M. ARGENTATI, Il controllo ministeriale sulla concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo, in Gior. dir. amm., 2002, n. 10, p. 1115-1122.
123
apparirà recessiva o secondaria rispetto a quella commerciale, essendo
ciò connesso anche alla concreta attività posta in essere da tali enti
giuridici separati sul piano soggettivo ma unificati sul versante della
disciplina di gruppo grazie alla presenza della società di vertice o holding
(Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.), espressione e sintesi degli interessi
e dei valori di riferimento degli azionisti pubblici e privati partecipanti al
capitale sociale. Tale elemento unificante può permettere una forma di
coesistenza tra soggetti societari eterogenei che altrimenti avrebbero
difficoltà a coesistere nel perseguimento di obiettivi comuni; il Consiglio
d’Amministrazione e le funzionalità che lo caratterizzano rappresentano
quindi una delle potenziali chiavi di volta dell’operazione.
Per sottolineare ulteriormente questo ruolo pubblico (rectius
funzione pubblica) che giustifica la deroga alla disciplina societaria di
diritto comune nel quarto comma dello stesso articolo 20 si impone il
possesso di requisiti specifici per divenire membro del Consiglio
d’Amministrazione della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.. Questi
requisiti coincidono con quelli necessari per la nomina a giudice
costituzionale (ai sensi dell’art. 135 della Costituzione) od in alternativa
con il possesso di requisiti simili a quelli richiesti per divenire membro
delle principali Autorità di Garanzia cioè una riconosciuta competenza
ed un diffuso prestigio professionale, indipendenza di giudizio e di
comportamenti ed ancora l’essersi distinti nello svolgimento di attività a
carattere professionale nei settori giuridico, economico, scientifico,
culturale, manageriale o della comunicazione. Ad ulteriore conferma
dell’impostazione di fondo si aggiunge infine, onde evitare ipotesi
ulteriori da cui potrebbe insorgere conflitto d’interessi (soprattutto nei
confronti di organi politici o di soggetti operanti nel settore della
comunicazione), la possibilità per i nominati quali membri del Consilio
d’Amministrazione di essere posti in aspettativa non retribuita.
Appare interessante sottolineare che la durata del mandato degli
amministratori è fissata in maniera certa ed univoca in tre anni
rinnovabili una sola volta; con notevole probabilità questa disposizione
tende a favorire un ricambio frequente del Consiglio d’Amministrazione
al fine d’impedire l’instaurarsi di legami con soggetti politico-economici
in grado di influire sulle strategie aziendali nel perseguimento di finalità
non connesse all’interesse pubblico tutelato attraverso la concessione
124
pubblica ed il contratto di servizio 25 ovverosia nel tentativo d’impedire
pratiche fraudolente e corruttive oltre che anticoncorrenziali e
discriminatorie. Altro elemento che è possibile abbia indotto ad
introdurre un limite temporale così ristretto è da riscontrarsi in
considerazioni statistiche in quanto nessun Consiglio d’Amministrazione
della storia recente della concessionaria pubblica ha mai avuto una durata
superiore ai diciotto mesi.
Non può sottacersi che molto particolare è la procedura di nomina
del Presidente del Consiglio d’Amministrazione dato che essa è effettuata
dallo stesso Consiglio nel suo seno ma diviene efficace solo dopo aver
ottenuto il parere favorevole della Commissione Parlamentare per
l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi la quale
deve pronunciarsi con la maggioranza qualificata dei due terzi dei suoi
componenti. Essendo la Commissione Parlamentare composta da venti
deputati e venti senatori nominati dai Presidenti dei due rami del
Parlamento su designazione dei gruppi parlamentari ed in maniera da
assicurarne la rappresentanza proporzionale, nell’attuale sistema
elettorale maggioritario corretto si determinerà una tendenziale
“sovrarappresentazione” della maggioranza rispetto all’opposizione,
snaturando così la natura eminentemente di garanzia costituzionale che
dovrebbe essere propria del Presidente del Consiglio d’Amministrazione
della Rai oltre che di garante dell’efficienza e dell’efficacia economicofunzionale dell’azienda. La recente vicenda della nomina del primo
Consiglio d’Amministrazione e del suo Presidente secondo le nuove
regole appare invece scalfire questa impostazione apparentemente
favorevole alla maggioranza governativo-parlamentare in quanto il
“candidato del Governo” è uscito sconfitto dallo scontro in
Commissione di Vigilanza. Si è aperta una fase nuova non prevista dalla
disciplina della Legge n. 112/2004 ovverosia quella di un organo
amministrativo parzialmente “acefalo” guidato cioè non da un Presidente
designato dalla Commissione ma dal membro del Consiglio
La concessione è affidata dalla Legge alla RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A.
per un periodo di dodici anni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (fino al
2016). Il connesso contratto di servizio viene invece rinnovato con cadenza triennale.
Sulla configurazione della concessione del servizio pubblico radiotelevisivo e sulla
configurazione del contratto di servizio cfr. A. PACE, La televisione pubblica in Italia, in
Foro It., V, 1995, p. 245 e ss.; A. PACE, La società concessionaria del servizio pubblico
radiotelevisivo: impresa come “sostanza” e proprietà pubblica come mera “forma”?, in Giur. cost,
1995, p. 17 e ss.
25
125
d’Amministrazione più anziano: quanto questa nomina “atipica” venga
ad influire sull’esercizio dei poteri di direzione da parte di tale soggetto è
ancora da determinarsi visto che potrebbe esprimersi sia in una maggiore
libertà d’azione sia in una minore autorevolezza e capacità di assumere
decisioni e d’imporre posizioni e punti di vista propri (una sorta di capitis
deminutio).
Altro rilievo che può farsi rispetto a quanto disposto dall’articolo
20 della Legge n. 112/2004 è rappresentato dall’introduzione del voto di
lista per la nomina degli amministratori (ovviamente a privatizzazione
realizzata almeno in parte); tale meccanismo permette la presentazione di
liste di candidati per il Consiglio d’Amministrazione da parte di soci che
detengano (o rappresentino) almeno lo 0,5 per cento di azioni aventi
diritto di voto nell’assemblea ordinaria; tali liste debbono comprendere
un numero di candidati pari al numero dei membri del Consiglio da
eleggere. Ad ulteriore conferma del tentativo di realizzare una tutela delle
minoranze azionarie in un soggetto giuridico che dovrebbe configurarsi
approssimativamente come una public company (seppur distorta dalla
presenza dei poteri speciali posti in capo al Ministero ed anche al
Parlamento) si afferma la prevalenza, in caso di parità dei quozienti
ottenuti dai candidati di differenti liste, del candidato espresso dagli
azionisti presentatori di lista che detengano la minore partecipazione
azionaria. Le medesime regole di nomina si applicano pure all’elezione
dei membri del Collegio Sindacale. Questa congerie di disposizioni
sembra essere espressione del tentativo di realizzare comunque,
compatibilmente con altri interessi non sempre chiaramente definibili,
una forma di tutela e di garanzia a favore degli investitori di risparmio
privato anche se indubbiamente non configura una “tutela forte” né
tantomeno un’influenza determinante nella gestione societaria quanto
piuttosto una forma di moral suasion o di “vigilanza interna” peculiare ed
interessata. Questo aspetto comunque è tipico di tutte le situazioni
giuridico-materiali che hanno caratterizzato le fasi di privatizzazione e di
apertura al mercato dell’esperienza degli ordinamenti contemporanei in
cui si è verificata una coesistenza tra pubblico e privato (in particolare
quando il soggetto pubblico è quantitativamente preponderante).
Per sottolinearne ed esaltarne il ruolo pubblicistico si prevede pure
che, in sede di nomina del Consiglio d’Amministrazione e fino alla
alienazione completa della partecipazione al capitale sociale, il Ministero
dell’Economia e delle Finanze presenti una propria lista di candidati
126
indicando un numero massimo di soggetti proporzionale alla
partecipazione azionaria detenuta. Tale lista deve essere formata dal
Ministero dell’Economia seguendo le deliberazioni adottate dalla
Commissione Parlamentare di Vigilanza. Il Ministro redige la lista di
candidati tenendo conto delle indicazioni della Commissione
Parlamentare ed integrandola con proprie valutazioni di carattere
discrezionale visto che il comma 7 dell’articolo 20 fa riferimento al
successivo comma 9 in cui è sostanzialmente prevista una ripartizione
proporzionale delle nomine dei consiglieri tra il Dicastero ed il
Parlamento. In senso critico circa la struttura normativa dettata dal
legislatore deve evidenziarsi che il Ministro non sembra certo essere in
questo caso un dominus ma solamente un soggetto del cui parere non può
non tenersi conto anche in Commissione; essa infatti è indubbiamente
un “soggetto politico” che conseguentemente esprime valutazioni
“politico-discrezionali” mentre il Ministro del Tesoro (pur espressione di
una parte politica determinata ossia la maggioranza parlamentare che
sostiene il Governo) dovrebbe operare come soggetto “tecnico-politico”
avente maggiore contezza delle performaces economico-finanziarie della
società e delle sue esigenze gestionali ed amministrative che
rappresentano ciò che interessa primariamente agli azionisti-investitori e
di cui deve tenersi necessariamente conto. Stesso ragionamento può
svilupparsi in merito alla possibilità di adottare deliberazioni di revoca
degli Amministratori o la promozione nei loro confronti di azioni di
responsabilità.
La Legge prevede inoltre che fino a quando le azioni alienate dal
Ministero del Tesoro non superino la quota del dieci per cento dell’intero
capitale sociale (rectius delle azioni aventi diritto di voto) la nomina dei
componenti il Consiglio d’Amministrazione debba seguire una procedura
specifica che pare ricalcata su modelli “compromissori” di antico
retaggio: sette membri dell’organo dalla Commissione Parlamentare di
Vigilanza ed i restanti due dal Ministero dell’Economia. Tra i nominati
dal Ministero deve essere individuato necessariamente (su indicazione
dello stesso Ministro) il Presidente del Consiglio d’Amministrazione, una
sorta di primus inter pares che può esercitare però una funzione di
agglomerazione dei diversi interessi economici e non economici dei soci
vecchi e nuovi. La nomina del Presidente diviene però efficace solamente
dopo che su di essa si sia espressa favorevolmente la Commissione di
Vigilanza con deliberazione adottata a maggioranza dei due terzi dei suoi
127
componenti. A ben vedere questa cessione minima di capitale sociale
appare essere più un’ipotesi di scuola che una fattispecie effettivamente
realizzabile in quanto il regolamento della Borsa Italiana S.p.A., che
gestisce il principale mercato regolamentato italiano, prevede una quota
minima pari al venticinque per cento del capitale sociale come
condizione fondamentale per l’ammissione alle contrattazioni 26 dei titoli
azionari di una qualunque società ed in ciò i soggetti “semipubblici” non
fanno eccezione. Questa ricostruzione peraltro appare anche conforme
all’intenzione, espressa dal legislatore, di creare una struttura ad ampia
diffusione del capitale difficilmente realizzabile con la cessione di una
quota scarsamente rilevante dell’intero capitale sociale della RaiRadiotelevisione italiana S.p.A.. In aggiunta si può ricordare che al fine di
determinare la massimizzazione degli introiti derivanti dalle procedure di
privatizzazione di soggetti societari pubblici è necessario procedere in
prima battuta al collocamento di un importo significativo dell’intero
“valore industriale” dell’ente pari all’incirca ad un terzo del capitale
sociale del soggetto privatizzando; ciò permette infatti di generare un
incremento del ricavato (una sorta di “sovrapprofitto”) dalla dismissione
di quote successive che abbiano un importo pari od inferiore ad un terzo
del capitale sociale complessivamente considerato e con lo scopo
evidente di evitare “vendite sottocosto” di aziende pubbliche come
avvenuto in alcune delle prime esperienze di privatizzazione
dell’ordinamento italiano. La disposizione normativa che detta le regole
di governance societaria nell’ipotesi di privatizzazione minima appare ad
una lettura più attenta una sorta di clausola di stile, di “paracadute” di
salvataggio, nell’eventualità che in sede di approvazione della Legge
Gasparri o in sede di attuazione concreta della stessa si verifichino
intralci di natura politico-parlamentare connessi alla dialettica
istituzionale del Paese 27.
La complessa regolamentazione delineata è espressione di diversi e
contrapposti interessi che si delineano all’orizzonte della società
Regole di carattere particolare sono previste per soggetti societari dotati di
capitale sociale ingente. Il caso Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. non rientra in questa
fattispecie derogatoria delle regole generali.
27 Sul punto cfr. ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per
l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, Audizione del Ministro
dell’Economia e delle Finanze Prof. Domenico Siniscalco, 1° dicembre 2004 in
http://www.camera.it.
26
128
concessionaria ovverosia l’interesse pubblico all’adempimento corretto
ed imparziale degli obblighi di servizio informativo secondo i principi
costituzionali del pluralismo, l’interesse della “Politica” (maggioranza ed
opposizione parlamentare-istituzionale) alla gestione degli strumenti
dell’informazione di massa con l’intento, non sempre negativo, di
influenzarli e controllarli in qualche misura ed infine l’interesse degli
investitori-risparmiatori (siano essi piccoli risparmiatori azionisti o
acquirenti di quote di fondi comuni partecipanti al capitale Rai) alla
realizzazione di una gestione societaria efficiente ed economicamente
vantaggiosa seppur contemperata con gli altri interessi generali (di cui
sono comunque portatori anche i singoli investitori seppur non vogliano
o non possano assecondarli), interessi dei quali gli azionisti non possono
non tener conto nel momento in cui divengono parte di una società in
via di privatizzazione che opera in un settore delicato e nodale
dell’ordinamento statale.
È insito nella configurazione giuridico-istituzionale vigente che i
diversi soggetti coinvolti nelle procedure di nomina, controllo, indirizzo,
vigilanza e gestione della società concessionaria pubblica in via di parziale
privatizzazione continuino in qualche modo ad esercitare “forme di
esercizio del potere” o comunque attività di “pressione” o di “lobbing” in
senso proprio ed improprio sulla società in questione, atteggiamenti che
possono andare ad incidere in maniera più o meno evidente ed
esteriorizzata sulla gestione quotidiana realizzata dagli organi di
amministrazione della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.; ogni contraria
opinione potrà agevolmente essere smentita alla prova dei fatti
fintantoché la dismissione del capitale non si avvicini alla totalità delle
azioni e finché non si diffonda ampiamente la piena accettazione della
nuova posizione e del ruolo nel mercato dell’ente oggetto dell’intervento
di dismissione azionaria. A livello di istituzioni politiche infatti queste
condizioni spesso generano una sensazione di “spoliazione” da posizioni
date per scontate nel corso di decenni e richiedono quindi la prova dei
fatti ed il trascorrere di lassi di tempo variabili per essere effettivamente
accettate.
In maniera chiara ed esplicita, a conferma di quanto più volte
ricordato circa l’intenzione di creare una partecipazione diffusa al capitale
della Rai, il legislatore ha previsto che nello statuto della società risultante
129
dalla fusione 28 ed oggetto della privatizzazione debba essere introdotta
apposita clausola di limitazione al possesso azionario da parte di ciascun
azionista, eccezion fatta ovviamente per il Ministero del Tesoro, ed
individuandosi tale limite nel possesso di un numero di azioni aventi
diritto di voto pari all’uno per cento dell’ammontare complessivo del
capitale sociale stesso. In aggiunta a quanto ricordato circa il limite al
possesso azionario per ciascun singolo azionista si affianca l’introduzione
di un vero e proprio divieto in merito alla stipulazione di patti di
sindacato di voto o di blocco (e comunque circa tutti gli accordi fra
azionisti ordinari aventi i medesimi scopi ossia tendenti a realizzare il
condizionamento delle modalità di esercizio del diritto di voto anche se
prodotti attraverso soggetti controllati, controllanti o collegati) aventi ad
oggetto il possesso di partecipazioni superiori al due per cento delle
azioni ordinarie totali; questo limite ai patti di sindacato
significativamente si estende, ai sensi del quinto comma dell’articolo 21
della Legge, anche alla presentazione di liste di candidati alle cariche
sociali da parte dei soggetti sopra menzionati. Tali clausole statutarie non
possono essere modificate con meccanismi societari tipici (in particolare
con deliberazioni dell’Assemblea straordinaria) in quanto dichiarate
immodificabili ed efficaci senza limiti di tempo da disposizioni legislative
di rango primario. In conseguenza di ciò si può affermare che le clausole
in oggetto possano essere cancellate o ridotte nella loro portata solo da
una espressa volontà dello stesso legislatore; per completezza deve
aggiungersi che in più occasioni a livello comunitario si sono contestate
normative simili (soprattutto perché non circoscritte temporalmente e
quindi in perpetuo distorsive delle regole della concorrenza e capaci
d’impedire scalate ai soggetti societari in questione) regole che
apparirebbero lesive dei diritti garantiti dai Trattati comunitari. Nulla
esclude comunque che a seguito dell’evoluzione tecnologica ed
economica futura ed auspicabile anche queste deroghe al diritto comune
possano essere definitivamente superate e quindi abrogate dall’intervento
del Legislatore perché non più conformi alla realtà giuridico-materiale
sottostante 29.
28 Statuto approvato con Decreto del Ministro delle Comunicazioni in data 8
novembre 2004 previo parere favorevole della Commissione Parlamentare di Vigilanza.
29 A conferma di questa possibilità nella Legge n. 112/2004 si è prevista
l’attribuzione della concessione del servizio pubblico radiotelevisivo alla RaiRadiotelevisione italiana S.p.A. per un periodo dodici anni valutando che in tale arco
130
Non senza un chiaro significato pubblicistico nella Legge n.
112/2004 si richiama il D.Lgs. n. 332/1994 convertito con modificazioni
dalla Legge n. 474/1994 che contiene la disciplina generale regolante i
poteri speciali del Governo (nella veste formale del Ministro del Tesoro)
impropriamente detti “golden share” 30. Questi poteri speciali
caratterizzano la disciplina dei soggetti giuridici societari che sono stati
oggetto di privatizzazione sostanziale e/o che operino in settori di
particolare interesse strategico nazionale (sia in senso economicoindustriale che politico-militare): tra essi rientrano espressamente le
società ed i gruppi operanti nel settore delle telecomunicazioni ed a
maggior ragione quindi la concessionaria pubblica della radiotelevisione
che, almeno sino ad oggi, ha rappresentato un elemento centrale
dell’intera struttura comunicativa ed informativa nazionale. Attraverso il
peculiare meccanismo della golden share si evidenzia infatti che, anche in
sistemi giuridico-economici che paiono aver aderito compiutamente ai
principi liberisti dell’economia di mercato e quindi tendenzialmente
favorevoli a relazioni industriali e commerciali aperte con gli altri soggetti
del mercato “globale”, continuano a manifestarsi preoccupazioni circa la
reciprocità di tale atteggiamento 31 e circa l’opportunità di aprirsi
totalmente a “soggetti estranei” alla realtà nazionale-locale; in certi casi
infatti si esprimono in tutta la loro portata fondati timori circa il
perseguimento e la realizzazione effettiva dell’interesse nazionale e questi
timori sono strettamente connessi a valutazioni economiche ed a
temporale l’evoluzione tecnologica possa modificare significativamente il quadro di
riferimento tanto da rendere superata l’attuale disciplina. Ciò è stato confermato in più
occasioni dallo stesso Ministro O.le Gasparri, autore del disegno di legge.
30 Per un’analisi sintetica ma esaustiva del tema della golden share nelle sue varie
manifestazioni si rinvia a G. LOMBARDO, voce Golden share, in Enc. giur. Treccani, 1998.
Una valutazione della golden share nei servizi pubblici in R. GAROFOLI, Golden share e
Authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione dei servizi pubblici, in Riv. It.
Dir. pubb. com., 1998, p. 159 e ss.
31 E ciò si è chiaramente manifestato nella vicenda dell’acquisizione di una
partecipazione minoritaria ma di controllo da parte della società francese EDF,
totalmente pubblica, nella società Edison che è uno dei principali operatori del settore
energetico italiano (assieme ad Enel, AEM, Acea, ecc.). Il Governo è intervenuto nella
vicenda realizzando con un intervento normativo una vera e propria “sterilizzazione”
della partecipazione azionaria del colosso francese (Decreto Marzano). In questi giorni
si parla della possibilità di trovare comunque un aggiustamento della vicenda che
dovrebbe realizzarsi attraverso un ingresso di Enel nel mercato francese dell’energia
(settore del gas) al fianco della spagnola Endesa ed a scapito del gruppo pubblico GDF.
131
considerazioni di carattere politico che sono il frutto dell’atteggiarsi delle
relazioni internazionali e dell’emergere di nuovi pericoli prodotti dalle
vicende geopolitiche globali. In sostanza se fino ad alcuni anni addietro
queste posizioni che potremmo definire “neoprotezioniste” o
“neocorporative” apparivano facilmente criticabili da molti punti di vista
(economico-finanziario, giuridico, politico-istituzionale) oggi risulta
molto più agevole valutarle, almeno in parte, in maniera positiva visti gli
sviluppi degli ultimi anni sulla scena mondiale (solo per fare degli esempi
si possono menzionare l’ingresso della Repubblica Popolare Cinese
nell’Organizzazione Mondiale del Commercio o le connessioni delle
organizzazioni terroristiche internazionali con la realtà economicofinanziaria globale).
Come elemento di ulteriore supporto alla struttura industriale
descritta dalla disciplina sulla dismissione della partecipazione nel capitale
della Rai si prevede che, sino al 31 dicembre 2005, sia vietata la cessione
da parte della società di rami d’azienda. Questa disposizione non può che
farci ritornare con il pensiero alla vicenda della tentata cessione della
società Rai-Way S.p.A (gestore dell’infrastruttura trasmissiva delle
concessionaria pubblica) agli americani della Crown Castle International
Corporation; tale vicenda in anni recenti ha visto il sorgere di contrasti
politico-istituzionali risolti in favore del Ministero delle Comunicazioni
grazie ad un intervento del TAR del Lazio 32. Se da un lato la facoltà di
dismettere rami aziendali può rappresentare una possibilità interessante
per qualunque gruppo di grandi dimensioni (principalmente per reperire
risorse ed eventualmente anche per instaurare collaborazioni con altri
soggetti operanti nel settore) deve però essere previamente valutata con
attenzione onde evitare errori di strategia industriale che potrebbero
essere pagati a caro prezzo. Merita però una particolare attenzione
proprio la possibilità di dismettere rami aziendali o meglio sarebbe dire
società controllate (in origine totalmente, in epoche a venire forse
parzialmente) che operino in particolari settori d’attività visto che il
riferimento, contenuto nella Legge, ai rami aziendali appare più
esemplificativo sul piano intellettuale che tecnico-giuridico (dato che non
è ancora chiaro come la struttura di gruppo andrà a configurarsi in
concreto). Se infatti l’operare del soggetto Rai-Radiotelevisione italiana
TAR Lazio, sez. II, 12 marzo 2002, n. 1897. Un’analisi ampia ed accurata di
tale decisione in G. TROPEA, Affare RaiWay: nel giudizio “sul rapporto” i preminenti interessi
nazionali prevalgono sulla privatizzazione del mercato radiotelevisivo, in Foro It., 2002, p. 637-644.
32
132
S.p.A. nella sua funzione di holding di gruppo si svilupperà secondo
moduli ancora non chiariti ma caratterizzati dalla progressiva
convergenza verso modelli e tecniche comuni (standards uniformi) al
complesso del settore delle tecnologie dell’informazione potrà apparire
vantaggioso o almeno accettabile realizzare queste operazioni di cessione
o dismissione concentrando il proprio business in attività determinate che
potranno consentire una proficua redditività specializzata (fino a
giungere all’estremo di cedere, come già tentato, la rete trasmissiva
magari ad un ente autonomo ed imparziale capace di permetterne uno
sfruttamento uniforme da tutti i soggetti interessati) 33; in conseguenza
potrebbe realizzarsi una maggior integrazione all’interno dello stesso
gruppo semipubblico ed una più elevata uniformazione del mercato
rispetto agli altri operatori. Dubbi sorgono circa l’individuazione del
termine di validità del divieto di cessione di rami d’azienda (fine dell’anno
solare 2005); la fissazione di un termine tanto prossimo potrebbe essere
stata causata sia da una vera e propria “svista” del Legislatore
eccessivamente fiducioso sui tempi delle procedure determinate dalla
Legge n. 112/2004 sia dalla volontà esplicita dello stesso di restringere
temporalmente tale vincolo al minimo indispensabile per non andare
incontro ad aspre critiche politico-parlamentari facilmente prevedibili
(accusa di “svendere il patrimonio pubblico”) ed avendo piena coscienza
che tale cessione potrebbe rappresentare una semplificazione del gruppo
Rai capace di incrementarne lo sviluppo economico-finanziario e di
permettere una maggiore omogeneizzazione dei molteplici interessi
coinvolti.
Come già previsto dalle altre Leggi che hanno disciplinato
procedure di privatizzazione si dispone che i proventi derivanti dalle
operazioni di collocamento delle azioni ordinarie sul mercato finanziario
siano destinati per il settantacinque per cento al Fondo per
l’ammortamento dei Titoli di Stato mentre il restante venticinque per
cento sia utilizzato per il finanziamento degli incentivi pubblici
all’acquisto ed alla locazione finanziaria da parte delle famiglie italiane
delle apparecchiature tecniche necessarie (decoder digitali) alla diffusione
su larga scala della tecnologia televisiva digitale terrestre. Questo
33 Interessante appare in tal senso sia l’esperienza nel settore elettrico che quella
nell’ambito delle telecomunicazioni (in particolare l’utilizzo della rete in roaming per
nuovi operatori già sperimentata anche in Italia e la presenza degli operatori cellulari
virtuali già realizzata in altri Paesi europei).
133
meccanismo degli incentivi fiscali-finanziari è già stato utilizzato in
passato per favorire la diffusione delle nuove tecnologie in ampie fasce
della popolazione che altrimenti sarebbero giunte con ritardo ad
utilizzare tali strumenti tecnologici con il conseguente incremento del
digital divide (si pensi solamente agli incentivi per l’acquisto di personal
computer, alle agevolazioni per la diffusione delle connessioni internet a
Larga Banda e più addietro nel tempo alle agevolazioni tariffarie della
telefonia fissa per le fasce a basso reddito e basso consumo; questi sono
solamente alcuni dei numerosi esempi che si possono fare).
5. Una “quasi public company”. Molti interessi, molte finalità ed altrettante
problematiche
Come già ricordato nella Legge n. 112/2004 si sviluppano
parallelamente ed in maniera complementare due distinte discipline
normative: quella sull’introduzione della tecnologia digitale terrestre nella
radiotelevisione e quella dettata per realizzare la privatizzazione della
concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo ossia la RaiRadiotelevisione italiana S.p.A. e la regolamentazione del suo operare
quale capogruppo. Questo doppio binario non rappresenta certamente
una contraddizione o l’espressione di un non chiaro progetto da parte del
Legislatore governativo bensì indica la strada che si intende percorrere
per innovare un mercato e renderlo maggiormente competitivo
ovverosia favorire, spesso in modo centralistico e calato dall’alto
(atteggiamento difficilmente negabile e tipico dell’intera storia
istituzionale italiana), lo sviluppo tecnologico convergente verso media
trasversali ed interattivi con l’utente finale. Infatti diviene sempre più
esercizio di scuola distinguere i contenuti dei messaggi informativi a
seconda dei mezzi tecnici attraverso cui questi contenuti vengono
veicolati. Televisione, internet veloce a Larga Banda, tecnologie Wi-Fi e
Wi-Max, telefonia mobile di terza generazione (UMTS, GPRS evoluto
ecc.) e quant’altro fanno apparire obsolete valutazioni societarie,
economiche, industriali, di mercato e antitrust ancorate a parametri ormai
definitivamente superati o in via di progressivo superamento; valutazioni
che spesso sono realizzate tenendo conto della situazione stratificata da
decenni ma divenuta progressivamente inattuale. Più fondate
eventualmente possono apparire alcune critiche sul metodo utilizzato e
sui tempi con cui dare seguito alle riforme in questione ed altrettanto
fondati sono i rilievi circa il fatto che attraverso la nuova normativa si da
134
impulso più all’aspetto di privatizzazione soggettiva che a quello di
liberalizzazione del mercato delle comunicazioni radiotelevisive e di
disciplina del gruppo societario pubblico; ciò però sconfina in parte nel
campo della volontà-discrezionalità politica del legislatore ed attiene
principalmente all’atteggiarsi dello scontro parlamentare tra maggioranza
ed opposizione più che ad analisi giuridico-economiche.
Sul punto più strettamente politico circa la procedura di
privatizzazione della Rai si può sottolineare che essa non ha costituito
oggetto di particolari critiche né da parte del Presidente della Repubblica
(nelle diverse occasioni in cui si è rivolto alle Camere nelle forme previste
dalla Costituzione circa i temi delle comunicazioni e dell’informazione)
né da parte dell’opposizione di centrosinistra che invece ha aspramente
criticato sotto altri punti di vista la Legge n. 112/2004 34. Tutto ciò ci
induce a credere che la privatizzazione della Rai fosse ormai considerata
da tutte le forze in campo una riforma imprescindibile ed attuata
secondo linee almeno in parte condivisibili.
Queste linee di accordo bipartisan sono da individuarsi
nell’intenzione di creare una struttura simile ad una public company (in
realtà sarebbe più corretto parlare di public company spuria o quasi public
campany vista la sostanziale impossibilità di scalare i vertici societari) o ad
una società con noyeau dur (con partecipazione pubblica o con avallo
dell’azionista pubblico a seconda della percentuale complessiva di
capitale ceduta a privati) capace, al contempo, di permettere un’ampia
diffusione della partecipazione azionaria tra il pubblico dei consumatori
ed utenti 35 e perseguendo manifestamente l’intento di impedire il
34 Sul presunto declino dello “spirito pubblico” che caratterizzerebbe
l’evoluzione istituzionale e politica dell’assetto radiotelevisivo cfr. P. L. CELLI e L.
BALESTRIERI, Il piccolo schermo e il declino dello spirito pubblico, in Il Mulino, 2003, n. 2, p.
306-316 che presenta particolare interesse dato che Celli è stato il penultimo Direttore
Generale della Rai-TV all’epoca della presidenza Zaccaria.
35 Deve sottolinearsi che la Legge n. 112/2004 prevede l’obbligo di alienare una
quota delle azioni in sede di OPV agli utenti in regola da almeno un anno con il
pagamento del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo; tali soggetti
non potranno però procedere alla cessione della partecipazione detenuta prima di
diciotto mesi dalla sottoscrizione della stessa OPV (cosiddetto lock up). Questa clausola
può rappresentare in concreto un disincentivo per la sottoscrizione dell’investimento da
parte di piccoli risparmiatori; può forse aggiungersi che una quota della partecipazione
sociale alienata probabilmente sarà riservata a coloro che siano dipendenti delle società
del gruppo Rai come già avvenuto in passato in occasione della collocazione dei titoli di
altri soggetti ex pubblici (ad es. Enel S.p.A.).
135
formarsi di maggioranze azionarie eccessivamente ampie e stabili capaci
di contrastare l’azione, eventuale, degli organi pubblici (in particolare del
Ministero del Tesoro e della Commissione di Vigilanza) quando ciò
appaia opportuno secondo valutazioni discrezionali effettuate dagli stessi
soggetti politici attori del processo.
Sul punto delle scadenze temporali della procedura si è previsto, in
tempi relativamente brevi (quattro, cinque mesi), l’inizio della
dismissione di parte del capitale sociale; alcuni in verità ritengono che
stanti i problemi connessi all’adempimento degli obblighi di legge e quelli
derivanti dalla gestione attuale della società (cioè la questione della
scadenza del Consiglio in carica e della sua sostituzione) tali termini,
peraltro previsti dalla stessa Legge, non possano che allungarsi per
giungere addirittura ad un anno o diciotto mesi (essi comunque
dovrebbero avere un significato indicativo della necessità di agire in un
lasso temporale breve).
Non possiamo neppure sottacere il valore economico e finanziario
oggetto della procedura di privatizzazione. Si deve considerare che il
valore complessivo della società è compreso tra i 3,5 ed i 5,5 miliardi di
Euro (a seconda delle stime che si possono reperire) 36; ben si
comprende il significato economico e finanziario dell’operazione per le
casse pubbliche e per gli investitori privati, operazione che potrebbe
lasciare impregiudicata per diversi altri anni la materiale gestione del
soggetto radiotelevisivo da parte dei palazzi della politica: si giustifica
quindi il “sostanziale” accordo tra le forze politiche sui punti salienti
della Legge Gasparri dato che emerge complessivamente una sostanziale
tutela degli interessi espressi dai principali attori politici.
L’acquisto di una quota delle azioni della Rai potrebbe
rappresentare un investimento finanziario di un certo interesse per i
soggetti privati visto che negli ultimi esercizi, grazie ad un’abbondante
cura di efficienza e gestione per obbiettivi affiancata alla tradizionale
gestione a vocazione pubblica ed informativa, l’azienda ha realizzato un
vero e proprio risanamento della sua disastrata contabilità generando utili
dell’ordine di diverse decine di milioni di Euro. All’aspetto strettamente
commerciale si affianca infatti anche l’apporto rappresentato dal canone
36 Per individuare un termine di paragone si può ricordare che una delle più
importanti aziende privatizzate in anni recenti è l’ENI che ha una capitalizzazione di
borsa pari a circa ottanta miliardi di Euro. Siamo decisamente ad un ordine di
grandezza superiore rispetto alla Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A..
136
di abbonamento 37 al servizio radiotelevisivo; a seguito della
privatizzazione esso dovrà essere destinato, effettivamente e con
separazione contabile, alla realizzazione del servizio pubblico ma
ciononostante continua a rappresentare un introito certo e
predeterminato (stante anche la difficoltà di distinguere in concreto tra
programmazione di servizio pubblico e programmazione economicocommerciale) da affiancarsi potenzialmente ai proventi derivanti della
cessione di spazi pubblicitari (attività commerciale in senso stretto),
attività che appare significativamente redditizia almeno a livello
nazionale. Si deve pure aggiungere, ad ulteriore sostegno
dell’investimento, che il Ministro del Tesoro su indicazione degli advisors,
in sede di audizione dinnanzi alla Commissione bicamerale per
l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, ha descritto
la possibilità della determinazione su base triennale del canone in tal
modo ampliando l’orizzonte temporale di operatività finanziaria dello
stesso, così avvicinando la sua previsione alla pianificazione gestionale di
medio-lungo periodo della società e rendendo più certa e trasparente la
prospettiva economico-finanziara circa la sua utilizzazione 38.
D’altro canto si deve anche paventare l’ipotesi che proprio la
tendenziale confusione dei ruoli e delle fonti di finanziamento, in
37 Attualmente il canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo ammonta a
circa 97 € per ciascun titolare e complessivamente fornisce un gettito di circa 1,5
miliardi di Euro. Per avere un termine di paragone può ricordarsi che la televisione
pubblica britannica BBC incassa circa 4,5 miliardi di Euro ma non ottiene proventi dalla
vendita di spazi pubblicitari essendo interamente finanziata dagli utenti. Secondo stime
approssimative l’evasione del canone di abbonamento al servizio pubblico
radiotelevisivo interesserebbe circa il 20 per cento degli utenti della Tv pubblica per un
ammontare complessivo tra i trecento ed i quattrocento milioni di Euro in ciascun
esercizio finanziario. Sono attualmente allo studio sistemi tecnologici in grado di
limitare le possibilità di fruire del servizio senza essere in regola con il pagamento della
relativa tassazione; ciò sarà possibile su larga scala con la diffusione della tecnologia
digitale terrestre che permette l’utilizzazione di “filtri all’accesso” rappresentati dalle
cosiddette smart card già usate nel campo del digitale satellitare. All’innovazione
tecnologica dovrebbe comunque essere affiancata una più attenta politica di controlli e
l’introduzione di sanzioni di importo adeguato capaci di frenare la diffusa evasione tra
l’altro neppure percepita, in ampi strati della popolazione, come un vero “atto illecito”.
38 Ai sensi dell’articolo 18, ultimo comma, della Legge 3 maggio 2004, n. 112 si
stabilisce che: “é fatto divieto alla società concessionaria della fornitura del servizio
pubblico di cui al comma 3 di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti
dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale
radiotelevisivo”.
137
aggiunta all’ingerenza od almeno all’influenza gestoria della Commissione
Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi
Radiotelevisivi, potrebbero indurre gli investitori ad un atteggiamento di
diffidenza e di sfiducia nelle possibilità economiche dell’operazione
anche alla luce di precedenti esperienze di privatizzazione sostanziale
non totale realizzate in Italia. In tal senso si deve guardare al caso della
parziale privatizzazione di Enel S.p.A. le cui azioni, sin dalla prima
collocazione, apparivano sovrastimate almeno se valutate nell’ottica del
piccolo risparmiatore il quale è riuscito a contenere le perdite dei primi
due anni soltanto grazie al “bonus” di azioni gratuite attribuite a coloro
che avessero conservato quelle acquistate in fase di prima collocazione
per almeno dodici mesi. Il caso Enel diverge però da quello della Rai per
un maggior grado di “indipendenza” dalla politica in senso stretto nella
gestione societaria vista l’iniziale maggior ampiezza della collocazione di
capitale azionario ordinario sul mercato ed il minor interesse “di parte”
nel governo di tale soggetto economico che ha fatto si che nel medio
periodo quello in azioni Enel si sia rivelato un investimento interessante
39
. Non deve comunque negarsi a priori che la stessa operazione di
privatizzazione potrebbe rappresentare un forte stimolo all’introduzione
di prassi di corretta ed efficiente gestione ed alla piena accettazione delle
logiche e delle dinamiche di mercato anche nel settore radiotelevisivo ed
in particolare sul versante pubblico stante l’influenza esercitata dagli
amministratori nominati dalle minoranze azionarie attraverso il
meccanismo del voto di lista e la funzione di controllo che possono
esercitare in Consiglio.
6. Alcune considerazioni conclusive
Allo scopo d’indurre il mercato ad accettare le inevitabili peculiarità
di un investimento come quello in azioni della privatizzanda società
radiotelevisiva dovrebbe realizzarsi, compiutamente ed in forma tale da
emergere al di fuori delle sedi amministrative e politico-parlamentari,
Sulla disciplina del mercato elettrico e sulla privatizzazione dei soggetti
operanti nel settore deve sottolinearsi che la bibliografia è piuttosto nutrita. Tra i molti
interventi si menzionano i seguenti: G. NAPOLITANO, L’energia elettrica e il gas, in S.
CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, Milano,
Giuffrè, 2003; F. DI PORTO, Regolazioni di “prima” e “seconda” generazione. La
liberalizzazione del mercato elettrico italiano, in Mercato conc. reg., 2003, n. 2, p. 201 e ss.; C.
SCARPA, Chi ha paura della concorrenza nel settore elettrico? Note a margine del Decreto Bersani,
in Mercato conc. reg., 1999, n. 1, p. 105 e ss.
39
138
un’opera preliminare di snellimento della struttura societaria ed un
aumento del livello di efficienza nella gestione economico-finanziaria
delle risorse disponibili (anche di quelle umane); ciò con notevole
probabilità renderebbe più chiaro ed evidente al pubblico dei potenziali
azionisti le possibilità di rendimento dell’investimento in azioni RaiRadiotelevisione italiana S.p.A.
Altro elemento che depone favorevolmente nella valutazione circa
la convenienza economico-finanziaria ad investire nell’impresa anche per
singoli risparmiatori può essere rappresentato dall’ampio numero di
attività complementari a quella televisiva in senso stretto che vengono
svolte dalla concessionaria pubblica attraverso le società partecipate;
questa infatti a differenza del principale competitore privato ha rami
d’attività già operativi nel settore radiofonico e nei nuovi media cui si
aggiungono, caso raro nel panorama pubblico europeo, disponibilità
finanziarie nette di una certa rilevanza (circa 38 milioni di Euro
nell’ultimo esercizio finanziario), le quali evidentemente rappresentano
un presupposto positivo per la realizzazione di investimenti capaci di
incrementare la redditività della partecipazione sociale cui va però unita
una univoca volontà degli organi di gestione non sempre coerente sotto
questo aspetto della gestione sia delle singole società partecipate che
dell’intero gruppo (si pensi infatti al ritardo accumulato dal servizio
pubblico in merito alla realizzazione degli investimenti per l’infrastruttura
digitale terrestre).
Taluni, proprio per tentare di rendere appetibile la partecipazione
al capitale Rai, hanno proposto di procedere ad una redistribuzione
parziale, a favore dei nuovi azionisti privati, delle riserve accumulate nei
bilanci del gruppo Rai. Questa operazione può essere condivisa a patto
che non si determini in tal modo una carenza di risorse da destinare ad
investimenti tecnologici ormai improcrastinabili e che rappresentano il
più efficace mezzo di sviluppo societario ed economico e quindi il
miglior investimento nel medio e lungo periodo, orizzonte temporale del
piccolo azionista investitore aderente all’OPV di azioni Rai.
Potrebbe aggiungersi anche una maggiore attenzione circa
l’impiego delle risorse disponibili in bilancio al fine di realizzare
produzioni effettivamente capaci di essere esportate all’estero con
vantaggi economici anziché puntare su produzioni localistiche e di basso
valore aggiunto, produzioni che difficilmente vengono collocate su
139
mercati televisivi evoluti e quindi inadatte a generare vantaggi
economico-finanziari rilevanti.
Non dovrebbe neppure trascurarsi la possibilità, ed in certi casi
addirittura la necessità, di giungere ad accordi industriali e commerciali
con soggetti esteri che operino nel medesimo campo della
comunicazione radiotelevisiva. Queste joint ventures potrebbero infatti
consentire alla società italiana di acquisire lo “spessore” per poter
effettivamente operare anche a livello internazionale; ciò non potrebbe
che far aumentare il valore e la redditività dell’investimento. Circa questa
possibile collaborazione si deve sottolineare che essa non sembra
incontrare il favore dell’attuale gruppo dirigente ed in particolare del
Direttore Generale che vi individua una sorta di incompatibilità con gli
interessi specifici e con il piano industriale dell’azienda pubblica
radiotelevisiva la quale, secondo le stesso Direttore, avrebbe in sé le
risorse sufficienti per crescere in autonomia e necessiterebbe piuttosto
dell’iniezione di capitali finanziari e della partecipazione strategica di
soggetti del mercato finanziario e bancario 40 più che di veri e propri
partners industriali. Questa intenzione di non sviluppare accordi di tal
sorta appare aver sostenuto lo stesso Legislatore nella redazione della
Legge n. 112/2004 sol che si consideri il limite posto al possesso di
azioni ordinarie ed i limiti fissati per la stipula di patti parasociali:
espressione evidente, oltre che della volontà di creare una sorta di public
company spuria, anche dell’intenzione di favorire partecipazioni di
investitori con interessi finanziari e non prettamente industriali.
In conclusione si deve quindi affermare che la disciplina dettata
dalla Legge 3 maggio 2004, n. 112 per procedere alla privatizzazione della
società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ed alla
regolamentazione del gruppo societario cui è posta a capo non può
considerarsi di per sé esaustiva della problematica in oggetto (cessione
parziale al mercato) ma deve necessariamente essere affiancata da
ulteriori elementi di riforma che vanno dall’adozione di politiche
governative effettivamente favorevoli all’introduzione delle nuove
tecnologie ed a una loro ampia ed economica diffusione tra tutta la
popolazione (un passo favorevole in tal senso appaiono gli indirizzi in
40 ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per l’Indirizzo
Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, sedute del 26 e 27 ottobre 2004.
Intervista rilasciata dal Direttore Generale della Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A.
Dott. Flavio Cattaneo al settimanale Economy del 3 marzo 2005.
140
tema di e-government) passando per maggiori livelli di efficienza e per
l’adozione di una politica di “affezione” degli utenti al servizio pubblico
ed al soggetto giuridico che lo gestisce (almeno temporaneamente), fino
a giungere ad un incremento della trasparenza e dei meccanismi di
garanzia degli investitori-risparmiatori soprattutto a seguito delle vicende
finanziarie degli ultimi anni. Alla disciplina strettamente attinente alla
privatizzazione dovrebbero poi affiancarsi interventi seri ed organici di
vera e propria liberalizzazione del mercato radiotelevisivo che
rappresentano l’altra colonna portante di ogni mercato evoluto capace di
allocare in maniera efficiente le risorse disponibili e la determinazione di
più chiari intenti sul piano dello sviluppo e della gestione dell’insieme dei
soggetti facenti parte del panorama societario della televisione pubblica.
Sul piano della disciplina di privatizzazione in senso stretto la
Legge n. 112/2004 sembra aver colto, almeno in parte, i suggerimenti
forniti dalla dottrina negli ultimi anni (pur dovendo considerare la
particolarità del soggetto privatizzando) sul versante della governance
societaria e della struttura e disciplina di gruppo; altri passi avrebbero
potuto essere compiuti nel tentativo di rendere maggiormente coerente
ed integrata la gestione dei plurimi interessi coinvolti nella gestione del
gruppo Rai, agendo senza mascherarsi dietro albi di sorta per tentare di
sistematizzare ed integrare efficacemente le problematiche poste sul
terreno in modo da dettare soluzioni almeno parzialmente definitive. A
scusante degli autori della Legge n. 112/2004 deve però portarsi la
notevole difficoltà a coagulare i diversi interessi che caratterizza
tipicamente il panorama economico, istituzionale e politico italiano.
In conclusione si può affermare che la Legge n. 112/2004 contiene
in sé gli assi portanti ed i valori di riferimento di un’operazione
economico-finanziaria importante che necessitano di ulteriori passaggi,
formali ed informali, tali da far sì che divenga appetibile divenire “soci di
minoranza” della Politica nel capitale della Rai-Radiotelevisione Italiana
S.p.A.
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LA PRIVATIZZAZIONE DELLA RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S