“ Pour moi, la chance de la Littérature, c’est d’être associée
aux destins de la liberté dans le monde : elle reste une
forme fondamentale de contestation et de critique de
l’existence ».
Entretien avec Mario VARGAS LLOSA, propos
recueillis par Pierre Boncenne, Le Monde de l’éducation
n°280, avril 2000, p.19.
Mario Vargas LLOSA e il timore che “le livre
numérique” e le nuove tecnologie digitali portino a una
“banalizzazione della Letteratura/Cultura”.
Con la pubblicazione de “La Civilizaciòn del espectaculo”1, saggio
sullo stato di salute della letteratura e dell’arte in generale, primo libro
edito in spagnolo da Alfaguara, nel 2012, il Nobel peruviano Mario
VARGAS LLOSA dopo aver ricevuto, nel 2010, il prestigioso Premio
Nobel per la Letteratura, riprende il discorso sull’avvenire della Cultura
e sulla differenza tra i termini Cultura e entertainment.
Il tema era già stato affrontato nel corso della conferenza stampa a
Stockholm durante la settimana degli incontri organizzati per la
consegna dei premi Nobel. Intervistato in quella circostanza dalla
stampa internazionale nella sala dell’Accademia svedese, l’autore di
“Le poisson dans l’eau” esternava il suo pensiero sulla funzione
civilizzatrice della letteratura. Ne “La civilizaciòn del espectaculo” che
non è un romanzo ma una raccolta di articoli e riflessioni, il nobel
peruviano con mente lucida e con un modo di ragionare e di articolare il
suo pensiero essenziale, chiaro e semplice, se la prende un po’ con tutti,
dai social media alla politica, agli intellettuali, agli scrittori, rei, a suo parere, di contribuire alla
decadenza della cultura occidentale.
La serie delle sue riflessioni comincia con una questione di natura semantica: qual è il senso della
parola Cultura?
L’opera passa in rassegna alcuni dei saggi che negli ultimi decenni hanno affrontato la questione
dell’evoluzione dell’idea di Cultura, dalla concezione aristocratica del poeta Thomas Stearn
ELIOT espressa nel saggio del 1948, “Notes Towards the Definition of Culture, Faber &Faber,
London 19482, al concetto della “Cultura mainstream”, affrontato da Frédéric Martel nel suo
“Mainstream: enquête sur cette culture qui plaît à tout le monde, Flammarion, Paris 20103,
passando per le analisi della cultura “postmoderna” che hanno proposto George Steiner nel 1971
con il suo “Bluebeard’s Casle. Sone Notes Towards the Redifinition of Culture, Yale University
Press, New Haven 19714, Gilles LIPOVETSKY e Jean SERROY, “La Culture monde: réponse
1
Il testo con la traduzione in lingua italiana di Federica Niola è uscito di recente, nell’aprile del 2013, per conto della
Casa editrice Einaudi alla quale è affidata la pubblicazione dell’intera opera dello scrittore peruviano. Il titolo è: La
civiltà dello spettacolo.
2
Il testo é tradotto in italiano con il titolo: Appunti per una definizione della cultura per conto della Casa editrice
Bompiani, Milano.
3
Il testo é tradotto in italiano per conto delle edizioni Feltrinelli, Milano 2010, col titolo “Mainstream.Come si
costruisce un successo planetario e si vince la guerra dei media”.
4
Il testo é tradotto in lingua italiana col titolo “Nel castello di Barbablù. Note per la ridefinizione della Cultura”,
Edizioni Garzanti, Milano 2011.
1
à une société désorientée”, Odile Jakob, Paris 20085, e « La société du spectacle”(1967), vero
manifesto “situationniste” dell’intellettuale Guy DEBORD, edito per conto delle edizioni BuchetChastel di Parigi, nel quale il filosofo riprende il concetto marxiano del “feticismo della merce”
inteso come il punto di approdo di un capitalismo in cui la fruizione dei beni e l’appetito
consumistico sono tali da spogliare il proletariato da ogni rivendicazione di classe, perpetuando e
pure rafforzando in maniera ignara il margine di potere della classe padronale.
Vargas LLOSA attacca frontalmente il decostruttivismo di Jacques DERRIDA e di Michel
FOUCAULT, rei di perimetrare il recinto del senso al solo linguaggio, con la conseguenza di
accusare la stessa attività di scrittura come autoritaria e incapace di cogliere il senso del reale, quel
reale che invece nelle opere dello scrittore peruviano è esperienza concreta, palpabile e quindi
essenziale.
La tesi di Derrida e di molti filosofi postmoderni considera falso il concetto secondo il quale il
linguaggio esprime la realtà. Le parole servono a mascherare la realtà e per questo la Letteratura
costituita da una successione d’immagini che documentano tramite il linguaggio soggettivo quanto
ingannevole le diverse letture della realtà, invece di descrivere il mondo si limita a descrivere se
stessa.
Per i decostruzionisti nulla esiste al di fuori del linguaggio che altro non è che una finzione
confezionata dalle parole. La realtà non esiste perché formata da un intreccio di discorsi che invece
di esprimerla la ingabbiano in una trama di contraddizioni e versioni che si negano a vicenda.
Secondo Foucault il potere si serve di questi linguaggi per controllare la società e per stroncare
qualunque tentativo di ridurre i privilegi del ceto dominante. Questa é una delle tesi più discutibili,
secondo LLOSA, del postmodernismo.
Il filosofo Jean BAUDRILLARD “intellettuale brillante dotato di una spigliatezza espositiva
eccezionale” sostiene che la realtà esistente è stata sostituita dalla realtà virtuale, quella creata dalle
immagini della pubblicità e dei media.
Attraverso lo schermo televisivo passano e arrivano fino a noi, ignari destinatari, le versioni dei
fatti, scelte e commentate dai professionisti dei media,”veri e propri illusionisti” che invece di darci
informazioni e conoscenze oggettive degli accadimenti sociali, ci propinano immagini ritoccate,
manipolate e falsificate della realtà virtuale, le uniche possibili per un’umanità addormentata dalla
fantasia mediatica, con la conseguente abolizione della storia e della nozione del tempo, uccidendo
ogni prospettiva critica sui fatti reali accaduti. Immagini che sono simultanee agli eventi e che
scompaiono spazzati via da eventi successivi che a loro volta annullano quelli precedenti in un
fugace processo di snaturamento dei fatti che si susseguono e del principio di realtà per opera della
finzione mediatica. Affermazione questa di Baudrillard che LLOSA condivide in toto e che trova
di grande attualità oggi che la rivoluzione delle comunicazioni ha, di fatto, distrutto la distinzione
tra la verità e la menzogna e ha reso l’utente vittima dello smarrimento prodotto dal labirinto
mediatico del nostro tempo.
Mario VARGAS LLOSA osserva che i saggi da lui esaminati, composti a cavallo dei due conflitti
mondiali e dell’inizio dell’era “postmoderna”, rivelano l’esigenza di ridefinire il concetto di cultura
osservando l’inattualità del significato tradizionale. La Cultura, infatti, tra gli anni ’50 e gli anni ’60
ha subito un profondo, radicale distacco dalla società, si è alienata da essa. Il titolo “La civiltà dello
spettacolo” vuole quindi rilevare la filiazione di queste riflessioni, proseguendo la diagnosi di un
processo storico ormai più che palese e, pur non condividendo alcune considerazioni rivoluzionarie
di Debord sul piano politico, ne apprezza l’intuizione secondo la quale nella società di oggi, la
rappresentazione della vita si è sostituita alla vita stessa e ha impoverito l’essenza umana.
5
Il testo é tradotto in italiano col titolo “La Cultura-mondo. Risposta a una società disorientata, 0 barra0 edizioni,
Milano 2010.
2
Polemizza con Jean Baudrillard e Michel Foucault di cui mette sotto accusa l’ambiguità di una
celebre tesi enunciata ne Le Parole e le cose, “l’uomo non esiste”. Foucault scrivendo che “l’uomo
non esiste” intendeva dire che in realtà l’uomo è qualcosa d’incorporato in una serie di discorsi che
lo trascendono e lo contengono: la politica, l’educazione, il diritto e simili. L’uomo non esiste
perché la sua soggettività vi è ingabbiata. VARGAS LLOSA ammira la capacità di analisi di
Foucault ma scopre un vizio di fondo nella speculazione foucaultiana: studiando tutte le vicende
attraverso le quali si è imposto il potere, Foucault si illude di sconfiggerlo senza rendersi conto che
l’uomo è invischiato nei meccanismi sociali molto più di quanto immagina. L’uomo postmoderno,
secondo LLOSA, é in balia essenzialmente di un rapporto stimolo-risposta con l’esterno e il suo
universo concettuale è impoverito a dismisura poiché la società ha via via perso i valori fondanti.
Da qui il giornalismo “light (il cosiddetto “infotainment”), la politica “light”, la letteratura “light”,
la cultura “light”: tutti simulacri che l’uomo postmoderno, in nome della democraticità, della libertà
e dell’emancipazione della società di massa, ha accettato supinamente.
Ne viene fuori una tesi paradossale eppure attualissima: esattamente uno dei massimi momenti di
espressione della cultura del Novecento, quello che ruota attorno al sessantotto, ha avallato
implicitamente il processo di impoverimento culturale e sociale già in parte diagnosticato da Eliot,
Steiner, Debord. E l’ha fatto immaginandosi pensiero puro e non capendo che la questione non è
tanto “l’uomo non esiste” come dice Foucault, ma piuttosto è che “l’uomo è ciò che fa di se
stesso”(per usare una felice espressione di Plessner 1892-1985, cofondatore insieme a Scheler e a
Gehlen dell’antropologia filosofica contemporanea). E la cultura è ciò che l’uomo fa di se stesso.
Se questa è la rigida argomentazione di fondo, il volumetto di VARGAS LLOSA non ha la forma di
un saggio critico. Al contrario, molti capitoli sono brani di pura riflessione intellettuale, ma
altrettanti sono una vera e propria ricognizione nel passato e nel presente, ritratti dello stato di cose
nell’era “post-culturale” in cui, con l’erosione delle grandi narrazioni tanto contestate negli anni
sessanta, emerge il quadro di un abbrutimento generale collettivo a mano a mano che grandi
strumenti umani che avevano costituito la cultura d’occidente sono venuti meno.
VARGAS LLOSA polemizza anche con Steiner quando nel suo “Castello di Barbablù. Note per la
ridefinizione della cultura”, sostiene che la cultura moderna esige dall’uomo colto una conoscenza
di base della matematica e delle scienze naturali che gli permetta di capire i progressi notevoli che il
mondo scientifico ha fatto e che continua a fare in ambito chimico, fisico e astronomico e
rimprovera agli scrittori contemporanei di non interessarsi al fantastico sviluppo della scienza. Lo
scrittore peruviano non condivide questa argomentazione e, pur riconoscendo la necessità di fare
uno sforzo d’informazione per non essere “déconnecté du monde dans lequel on vit”, ribadisce che
il ruolo dello scrittore è quello di “creuser le langage”. “La Littérature reste un ingrédient
fondamental pour le developpement du langage: sans elle, on n’apprend pas à parler, à comparer,
à penser, à remettre en question. D’un certain point de vue, on n’apprend pas à dominer le monde
à travers la biologie ou les mathématiques, mais en lisant les poètes, les romanciers, les
dramaturges, les essayistes. Dominer le langage, c’est apprendre à penser et, de surcroît, c’est une
manière de développer la sensibilité, l’imagination, l’esprit critique. Si nous ne voulons pas être
une société de moutons domesticables et manipulables par toutes les formes de pouvoir, y compris
celui de la science, il faut défendre la Littérature »6.
Sul tema « Cultura, politica e potere » VARGAS LLOSA disapprova la stampa a effetto, « enfant
pervers de la culture et de la liberté » e denuncia la pirateria a danno delle opere artistiche e, a
proposito de « l’affaire Wikileaks » e di Julian Assange, approva con forza la condanna espressa
dal filosofo Fernando Savater per la divulgazione d’informazioni che gli Stati e le diplomazie
6
Entretien avec Mario VARGAS LLOSA, Le Monde de l’éducation N°208, avril 2000.
3
devono in modo tassativo conservare segrete per poter funzionare e a nulla vale reclamare il preteso
“droit de tous à tout savoir”.
Fernando Savater,”esempio d’intellettuale impegnato, attento ai principi e insieme pragmatico..,
uno dei rari pensatori contemporanei capace di vedere sempre chiaro nell’intricasa selva del XXI°
secolo” dedica un suo articolo, apparso sulla rivista “Tiempo” (numero dal 23 dicembre 2010 al 6
gennaio 2011) a Julian Assange e a “l’affaire Wikileaks”. Nel testo su menzionato “che trasuda
intelligenza, coraggio e buon senso” lo scrittore Savater osserva che nel vasto materiale divulgato
da Assange le rivelazioni importanti sono in verità poche e che alcuni documenti e opinioni fatti
passare per sorprendenti novità erano già ampiamente noti agli osservatori dell’attualità politica.
Mario VARGAS LLOSA condivide totalmente l’affermazione di Savater secondo il quale il diritto
di tutti a sapere tutto di tutto è “parte dell’attuale rimbecillimento sociale”, anche se il Nobel
peruviano ritiene auspicabile che la società sia improntata a una maggiore e sempre più rispettata
trasparenza e che ogni tipo di censura e di manipolazione di cui si nutrono i regimi autoritari che
tengono i propri popoli nell’assoluta ignoranza e dipendenza lasci il posto alla libera informazione e
alla dissidenza critica.
Questo, naturalmente, sarebbe un grande progresso per la cultura della libertà e del rispetto delle
altrui identità. Ma da qui a concludere che il modo di comunicare sollecitato da Internet autorizzi
ogni intervento a sapere tutto e alla divulgazione dei più piccoli segreti, cancellando il confine tra il
pubblico e il privato, sembra al nobel peruviano assolutamente improponibile, anzi inaccettabile
giacché potrebbe non significare “un’impresa libertaria ma un puro e semplice liberticidio”.
Mettere alla berlina uomini politici di ogni estrazione, quello che Vargas LLOSA chiama
“libertinaggio cronistico” in virtù del quale il confine tra pubblico e privato è travolto, crea una
nuova diffidenza del corpo sociale nei confronti della classe dirigente, sempre più stigmatizzata a
prescindere dalle sue specifiche responsabilità. Lo stesso patto sociale vacilla e può crollare se
viene a mancare il consapevole consenso sul quale dovrebbe poggiarsi ogni democrazia, con la
conseguenza di condurre le masse in direzione di una generale apatia e di un rigetto totale
dell’autorità.
Per cui per Mario Vargas LLOSA Julian Assange “più che un grande paladino della libertà, è un
entertainer di successo”. Questo personaggio è diventato dunque il simbolo di un giornalismo e di
una cultura nella quale il valore dell’informazione è di divertire un pubblico”stolto e superficiale,
avido di scandali che penetrano l’intimità delle persone famose mostrandone le debolezze e gli
intrighi e trasformandoli in buffoni incaricati di soddisfare la morbosa curiosità di un pubblico che
ha bisogno di emozioni forti e che si diverte osservando la vita intima e privata degli altri.
Nel sesto capitolo intitolato “L’opium du peuple”, VARGAS LLOSA, ateo dichiarato, difende con
fierezza e vigore il principio della laicità dello Stato ed esprime il suo sostegno alla legislazione
francese che vieta alle donne immigrate di portare il velo nei luoghi pubblici. Per VARGAS
LLOSA lo Stato deve garantire la neutralità confessionale mentre il cittadino, nel suo privato, deve
poter confessare liberamente la fede cui aderisce senza essere discriminato né perseguitato (pure se
si tratta di qualche setta imbrogliona, promossa tramite Internet, con vocazione monopolistica che
spesso attinge alle tasche dei propri fedeli per realizzare propri progetti o iniziative atte a fare
proseliti).
Per lo scrittore peruviano la religione resta l’unico cammino che conduce alla vita spirituale e a una
conoscenza etica senza le quali non esiste convivenza umana, né rispetto della legalità. Il corso
della storia ci dice che la conoscenza, la scienza e la cultura non hanno liberato l’uomo dalle
”superstizioni” della religione e che le idee e le conoscenze non hanno sostituito gli dei. La storia ha
lasciato un vuoto spirituale che gli esseri umani riempiono con l’adesione anche alle sette che
proprio per il loro carattere assorbente ed esclusivista forniscono un equilibrio e un ordine a coloro
4
che si sentono confusi e soli nel mondo di oggi. Sostiene perciò anche in nome della libertà di culto
e del rispetto dei propri convincimenti religiosi, il diritto delle sette a esistere e, in modo generale,
tende a rilevare il ruolo benefico che, nonostante i crimini e gli eccessi prodotti dal fanatismo, le
religioni hanno esercitato nella Storia ed esercitano ancora oggi per la stragrande maggioranza delle
persone nel mondo, aiutandole a dare un valore alla loro esistenza di miseria, colmando il vuoto
spirituale provocato da una società materialista.
VARGAS LLOSA si schiera contro quella che definisce “Letteratura leggera, d’intrattenimento”.
L’autore de “La ciudad y los perros” non esprime questo convincimento per la prima volta.
Celebre è la sua polemica sorta
dopo aver visitato i numerosi stands
espositivi alla Biennale di
Venezia di alcuni anni fa contro quella che
definisce
“la
colossale
menzogna” allestita da critici d’arte.
L’ampliamento della base
culturale è una delle finalità più condivise
e ha molto a che vedere con la
democrazia, con la necessità di diffondere
e rendere accessibili tutti i
prodotti culturali a tutti, senza però
snaturarli. Non è concepibile,
sostiene LLOSA, che un Damien HIRST
spacci per arte uno squalo di
quattro metri messo in una vasca di
formaldeide.
Nell’attraversare circa venti
padiglioni della Mostra, il Nobel
peruviano ha l’impressione di
trovarsi in uno spettacolo” noioso, farsesco
e desolante”. Secondo i
curatori della Biennale, quadri, sculture e
strani oggetti erano lì esposti a
testimoniare l’elevato senso di modernità,
di originalità, la capacità di
sperimentazione e di ricerca di “ nuovi
mezzi espressivi”. In realtà,
secondo Vargas LLOSA nascondevano e
documentavano “la terribile orfanità d’idee, di cultura artistica, di abilità artigianale, di autenticità e
d’integrità” dell’attività artistica contemporanea. In sostanza gli sembrò che quel luogo preposto per
la conoscenza e la divulgazione del gusto e della sensibilità artistica manifestasse al suo pubblico
sempre più numeroso e qualificato soltanto operazioni pubblicitarie assai discutibili sul piano del
gusto e in molti
casi si trattava di
semplici truffe.
La delusione del
Nobel peruviano
fu tanta che
decise che quella
sarebbe stata la
sua ultima visita
alla Biennale di
Venezia.
Non
poteva accettare
che i giovani
artisti di oggi,
“impazienti
e
cinici”,
rappresentanti
decine e decine
di
paesi
emergenti, senza
avere
un
apprezzabile
dominio
dei
mezzi, del tratto
e
della
distribuzione dei
colori,privi
di
un’etica e di un
ideale e che
aspirassero alla
notorietà
in
qualunque modo. Non sopportava che potessero definirsi “artisti” alla pari di un Georges
SEURAT, uno dei fari artistici dell’ottocento pittorico, autore all’età di ventiquattro anni di
un’opera straordinaria, “Baignade à Asnières” 7, per la cui realizzazione dedicò due lunghi anni
7
La Baignade à Asnières inaugura il primo dicembre 1884 il primo “Salon des Indépendants”, una sorta di
associazione-movimento nata dalla volontà di diversi artisti di proporre al pubblico delle opere d’arte non accettate dai
Salons ufficiali di Parigi. “La Société des artistes indépendants” fu fondata sul principio dell’abolizione della giuria di
ammissione al fine di consentire agli artisti di presentare le loro opere al giudizio del pubblico in tutta libertà. Il “Salon
5
des indépendants” per statuto doveva tenersi ogni anno in primavera al Petit Palais e per molti anni svolgerà un ruolo
fondamentale nel presentare le tendenze più innovative fino al 1903 quando subì la concorrenza del “Salon
d’Automne”. Il Salon d’Automne è una mostra d’arte che si tiene annualmente a Parigi dal 1903. Fu creato il 31 ottobre
1903 al Petit Palais su iniziativa del belga Frantz JOURDAIN (1847-1935), architetto, uomo di lettere e grande
conoscitore di arte, nonché presidente del sindacato della critica d’arte e dai suoi amici come gli architetti Georges
DESVALLIERES e Hector GUIMARD. La finalità era doppia: offrire nuovi mercati ai giovani artisti e fare scoprire
l’impressionismo e i suoi sviluppi a un vast pubblico. La scelta dell’autunno come stagione della presentazione era
strategica: non soltanto permetteva agli artisti di presentare le loro creazioni realizzate all’esterno nel corso dell’estate
ma anche di differenziarsi dagli altri due Salons (la Nationale et les Artistes français) che avevano luogo in primavera.
Il Salon d’Automne si caratterizza per la pluridisciplinari età: pitture, sculture, fotografie (a partire del 1904), disegni,
stampe. I pittori stranieri sono particolarmente rappresentati. Dal 1904 il Salon d’Automne lasciò la sede del Petit
Palais per sistemarsi all’interno del Grand Palais e eccezionalmente nel 1937 su L’Esplanade des Invalides a Parigi
in ragione dell’Esposizione universale.
Tra le opere presenti nella prima esposizione vi erano “La baignade à Asnières” di Georges SEURAT e “Le Pont
d’Austerlitz” di Paul SIGNAC, due dei fondatori della mostra e del Puntinismo. A questi si aggiungeranno molti altri
artisti diventati nel tempo famosi quali Odilon REDON e Paul SIGNAC, Georges BRAQUE, Paul CÉZANNE, Henri
MATISSE, Edvard MUNCH, Paul GAUGUIN, Camille PIZARRO e Henri TOULOUSE-LAUTREC, appartenenti alle
scuole artistiche del Neorealismo, del Dadaismo, del Surrealismo, dell’Impressionismo e del Fauvismo, le cui opere
sono ora ammirate nei musei più prestigiosi del mondo. Il numero dei nuovi artisti di ogni nazionalità aumenta ogni
anno nel rispetto della tradizione di promuovere l’avanguardia e l’arte senza giurie né ricompense.
Richiamandosi alle ricerche del chimico francese Eugène Chevreul (1786-1889) e agli studi sperimentati di Helmholtz
e dell’americano Ogden Nicolas Rood sul contrasto simultaneo e sui colori complementari che avevano dato un
fondamento scientifico all’Impressionismo,
Seurat inventa una tecnica nuova basata sulla “fragmentation de la touche et la loi des complémentaires” che avrà come
effetto di realizzare la sintesi dell’impressione visiva del pittore. È così che, visti da lontano, i tratti di pittura dei suoi
quadri producono un’armonia molto rigorosa.
Georges SEURAT è il pittore che porta alle estreme conseguenze la tecnica pittorica degli impressionisti. Il problema
di dare maggiore luce e brillantezza ai colori posti sulla tela era già stato affrontato da Manet e dagli impressionisti. La
loro risposta a questo problema era stata il ricorso a colori puri, non mescolati, così da evitare al massimo le sintesi che
smorzavano i colori rendendoli privi di luminosità. Georges SEURAT intese dare una nuova risposta a questo
problema. Egli voleva giungere a risultati di massima brillantezza utilizzando il ”melange optique”, ossia la mescolanza
ottica e realizzava i suoi quadri accostando piccoli puntini di colori primari tra loro in modo da ricomporre nell’occhio
dell’osservatore l’unità del tono senza le inevitabili impurità dell’impasto che spegne e confonde i colori che spargeva
per tutta l’opera descrivendo così una sorta di mosaico che trasmetteva un’indubbia suggestione. Il carattere scientifico
del Neo-impressionismo non consiste tuttavia nel riferimento a leggi ottiche di recente accertate: non si voleva fare una
pittura scientifica, ma istituire una scienza della pittura, porre la pittura come una scienza a sé. Era di fondamentale
importanza che il quadro non venisse più considerato come uno schermo su cui si proiettava l’immagine ma come un
campo di forze interagenti che formava e organizzava l’immagine. Dalla sua tecnica derivò il nome dato a questo stile
definito “puntinismo” o “pointillisme” alla francese.
Georges SEURAT morì molto giovane, nel 1891, a soli trentadue anni. La sua eredità fu raccolta soprattutto dall’amico
Paul SIGNAC (1863-1935), pittore acquarellista e critico francese che in qualità di teorico-fondatore ebbe l’incarico di
presiedere il Salon des Indépendants dal 1908 al 1930. Della sua vasta produzione pittorica ricordiamo e segnaliamo
due dipinti: “Le pont d’Austerlitz” e “Le Pont de Saint-Tropez”.
6
(1883-1884) di lavoro e una “fanatica” preparazione con bozzetti e studi d’insieme e dei particolari.
Un immane sforzo che denota, secondo Mario VARGAS LLOSA, anche “una concezione altissima,
nobilissima, dell’arte di dipingere, come fonte autosufficiente di piacere e come realizzazione dello
spirito”(M.VARGAS LLOSA, La civiltà dello spettacolo,Edizioni Einaudi aprile 2013, pp.45-49).
La seconda grande tela di SEURAT, “Un dimanche d’été à la grande Jatte”(1884-1886), è
considerata a giusta
ragione
il
programma-manifesto
del
Neo
Impressionismo.
È
una giornata di sole e
di
vacanza
sulle
sponde della Senna. Il
modo di elaborarla,
scrive
lo
storico
dell’arte Carlo Giulio
ARGAN, è tutto
diverso:
“nessuna
nota colta sul vivo,
nessuna
<sensazione>
improvvisa,
nessun
divertimento
aneddotico. Lo spazio
è un piano, la
composizione
è
costruita
sulle
orizzontali e sulle
verticali. I personaggi
Della produzione meno abbondante di quella del suo amico Paul SIGNAC ma ugualmente significativa e di prestigio
di Georges SEURAT nel quale è
ricordiamo il “Paysannes au travail”(1982-1983)
facile scorgere le influenze di Jean-François MILLET, celebre artista della Scuola di Barbizon. L’école di Barbizon è
una scuola del paesaggio nel senso che grazie ai suoi artisti il paesaggio francese conosce la sua rivoluzione.
Emancipandosi dai modelli accademici i pittori vanno a dipingere direttamente davanti al modello da rappresentare e
c’è l’imbarazzo nella scelta del tema: alberi secolari, stagni leggendari, “rochers de Franchard”, pianure coltivate,
contadini intenti al lavoro dei campi…Si elimina ogni contaminazione sentimentale e la pittura diventa una
rappresentazione oggettiva del reale. È l’inizio dell’immensa fortuna che il paesaggio conoscerà fino alla fine del
secolo; è anche l’inizio della familiarità che presto si stabilirà tra i pittori”impressionisti” e il brutale fulgore della luce
solare. Théodore ROUSSEAU disse che “en observant avec toute la religion de son coeur, l’artiste exprime son état
d’âme”. I pittori della scuola di Barbizon apprezzano la diversità delle materie naturali, vegetali e minerali, le variazioni
della natura nelle differenti ore della giornata, le variazioni atmosferiche e lo scintillio della luce. Per esprimersi
adottano una tecnica del tratto più libero e colori vivi che si giustappongono e vibrano.
I pittori della École di Barbizon hanno subito l’influenza dei paesaggisti olandesi del XVII° secolo, della scuola
romantica inglese. I fondatori e artisti più rappresentativi della École sono: Rousseau, Millet, Daubigny, Troyon, Diaz e
Dupré che si sono ispirati ai loro viaggi in Francia: Normandie, Auvergne, Berry, Jura, Landes, Vallées de la Seine et de
l’Oise.
Tra i quadri di Jean-François MILLET e della École de Barbizon segnaliamo due suoi capolavori:
“Les Botteleurs”(Gli affastellatori, 1850) e
“Les Glaneuses”(Le spigolatrici,1857)
occupazioni delle famiglie di contadine.
nei quali il pittore si soffermò a dipingere le
7
sono manichini geometrizzati deposti sul parterre erboso come pedine su di una scacchiera, con un
ritmo d’intervalli calcolato quasi matematicamente secondo la legge della proporzione
aurea….anche la forma che la luce prende immedesimandosi con le cose deve essere regolare,
geometrica…I corpi solidi, in questo spazio-luce, sono forme geometriche curve, modulate sul
cilindro e sul cono; hanno uno sviluppo volumetrico a cui non corrisponde un peso di massa; sono
fatti dello stesso pulviscolo multicolore che pervade lo spazio; non interrompono le vibrazioni della
luce. Non c’è dunque, conclude il noto studioso e critico d’arte, un ritorno alla geometria dello
spazio prospettico e alla concretezza fisica delle cose; lo spazio che SEURAT riduce alla logica
geometrica è lo spazio empirico degli impressionisti, che viene così trasformato in spazio teorico.
Questo nuovo spazio ha le sue proporzioni ma si esprimono in rapporto di luce e colore invece che
di grandezze e distanze”.
Già in alcuni suoi articoli del 2009, pubblicati nell’elitaria rivista Letras Libres, Mario VARGAS
LLOSA aveva lanciato l’allarme sull’affermazione della “Arte light” molto più godibile per il
pubblico perché facile da creare, ma senza bellezza, senza intimo trasporto. Ma è con il suo
formidabile e provocatorio pamphlet, “La Civiltà dello spettacolo”, che l’autore ribadisce senza
mezzi termini che é il trionfo della superficialità e della frivolezza che domina il nostro presente e
che ciò non aiuta lo scrittore, il compositore, il pittore, il musicista che mette tutto se stesso per
elaborare un mondo creativo e originale. Nelle pagine del saggio lo scrittore peruviano mette in
guardia contro il pericolo che la Cultura entri in una spirale di caos dove gerarchie e punti di
riferimento si dissolvono in una sorta di banalizzazione estrema, anticamera della distruzione della
cosiddetta Cultura Alta, l’unica, a suo parere, che possa tendere a una forma di democratizzazione
universale.
Era da un po’ che VARGAS LLOSA stava provando questo disagio; aveva la sensazione, nel
leggere certi libri e riviste, nel vedere determinati film e programmi TV, di essere vittima di una
“sottile cospirazione” per farlo sentire incolto o stupido, per fargli credere che l’arte era una frode e
la cultura, un imbroglio. Da quelle sensazioni si rafforza in lui il convincimento dell’urgenza di un
rinnovato e continuo impegno per favorire un vero rinnovamento della vita culturale. Uscire,
dunque, dall’idea di Cultura, intesa come banalizzazione e frivolizzazione permanente per ritornare
alla lettura di buoni libri, per dare ampio spazio alla conoscenza, allo studio delle grandi tradizioni
artistiche e storiche che ogni paese custodisce e difende con orgoglio e che permette di dare un
senso più profondo alla vita, di discriminare ciò che è autentico da ciò che è posticcio, ciò che è
bello da ciò che è brutto.
L’autore de “Les cahiers de don Rigoberto” estende la sua critica alla cucina e alla moda
considerate molto più importanti della filosofia, della musica o della letteratura. Il Nobel peruviano
non ha nulla contro la moda o la cucina ma non crede che possano occupare il posto della
Letteratura Alta. Per l’autore de “Le rêve du Celte” si sta diffondendo una terribile frivolezza che
sacrifica una visione del mondo a lungo termine per privilegiare quella a breve termine 8.
8
Mario Vargas LLOSA in più punti della “ Civiltà dello spettacolo” esprime la sua netta contrarietà alla cancellazione dei confini
che separano il pubblico dal privato. Ma è nel capitolo “Pubblico e privato” della stessa raccolta di saggi, uscito sul quotidiano
spagnolo “El Paìs” del 16 gennaio 2011, che il Nobel peruviano scrive in modo chiaro che la scomparsa del privato, il mancato
rispetto dell’intimità altrui e l’esistenza di una industria dell’informazione che alimenta senza limiti una sorta di voyeurismo
universale sono “una manifestazione di barbarie, una delle involontarie conseguenze della rivoluzione informatica” e l’affermazione
di “un’istintività primordiale quasi animalesca che non nasconde nulla all’altro nel tentativo di farsi accettare nella forma più
autentica” (Carlo BLORDONI, La Lettura, inserto del Corriere della sera di domenica 14 luglio 2013, p.7).
In questo continuo proporsi e cercare lo scambio c’è un ritorno alla condivisione e al riconoscimento dell’identità individuale andata
perduta nel presente. Nell’impossibilità di trovare un punto di riferimento, l’uomo si adatta a rafforzare se stesso e tende a
pubblicizzare la parte più intima di sé considerata “la parte mancante” che completa l’autenticità del soggetto, non più mascherata e
repressa ma liberata e condivisa all’interno di un sistema di relazioni costruito sul rovesciamento/annullamento della sfera privata e
pubblica, ma per Mario VARGAS LLOSA, in virtù della scomparsa del confine pubblico/privato molte creazioni e funzioni umane
come l’amore, l’erotismo, l’amicizia, il pudore, il sacro e la morale si deteriorano e si avviliscono.
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Non si tratta di idealizzare eccessivamente il passato. VARGAS LLOSA che non è un conservatore
né un nostalgico sa benissimo che nel passato ci sono state forme di schiavitù terrificanti, episodi di
razzismo spaventosi, di dogmatismo religioso, di atteggiamenti violenti contro i dissidenti, ma
anche cose molto ammirevoli da recuperare poiché hanno arricchito la sensibilità e l’immaginazione
di tante persone. L’Alta Cultura non è solo quella che passa attraverso il sistema scolastico attento e
sensibile ai cambiamenti ma anche quella che, grazie alla lettura e all’osservazione rigorosa della
realtà, ci fa prendere coscienza dei difetti della cultura contemporanea che sono il divertimento e il
sensazionalismo. Forme che stanno portando con il contributo dei social media alla scomparsa della
privacy . L’avvenimento scandaloso e il mero pettegolezzo sono ormai fattori che dominano la
comunicazione generando la perdita dell’identità delle persone.
Per l’autore de “Conversaciòn en la Catedral” anche la politica è vittima della banalizzazione e a
questo riguardo Vargas LLOSA ci invita a guardare quello che succede durante le elezioni negli
Stati Uniti dove gli spot televisivi spesso determinano le scelte di voto, causando l’impoverimento
delle idee e la banalizzazione di qualsiasi progetto politico.
Particolarmente interessanti nell’ottica di una ridefinizione del confine tra pubblico e privato, ci sembrano due esperimenti creativi Il
primo, We Think Alone, della regista e performer californiana Miranda JULY, nota al vasto pubblico per il suo film del 2005 “Me
and You and Everyone We Know”, lungometraggio premiato al Sundance Festival e a Cannes, consiste nel chiedere ad alcuni
personaggi famosi di rendere pubbliche le mail inviate ad amici, parenti e collaboratori su temi che toccano esigenze economiche e
sentimenti. Il progetto è articolato in questo modo: dal 1° luglio, per venti settimane, gli iscritti al progetto riceveranno ogni lunedì,
via mail, gli scambi privati di star di Hollywood, di campioni di basket della Nba, di scrittori, di fashion designer, di professionisti
della fotografia, di professori di fisica e di artisti.
July assicura che nella scelta di coinvolgere personaggi famosi “celebrity culture” non entra alcun desiderio voyeuristico di guardare
nell’intimità altrui, né il fascino per il mondo dello spettacolo, vuole soltanto e semplicemente stimolare le persone interpellate alla
partecipazione affinché si comincino a conoscerle come individui.
A Miranda July piace osservare i comportamenti altrui, leggere le espressioni che utilizzano, il tono, la capacità di mettersi a nudo.
In una parola, entrare nella privacy della gente che non si conosce e provare a interpretarene le dinamiche.
Al di là delle personali motivazioni, il progetto che doveva inizialmente chiamarsi Privacy, ha l’ambizione di riflettere in modo più
ampio su come le nuove tecnologie stanno cambiando il concetto d’intimità. L’idea di definire una persona per quella che realmente
è attraverso Internet non poteva che suscitare perplessità e divisioni, da un lato i fanatici della non condivisione convinti che la
propria attività online vada sempre e comunque protetta, dall’altro, i sostenitori della partecipazione persuasi, invece, che nell’era
delle tecnologie digitali il concetto stesso d’intimità passi attraverso la partecipazione.
Una visione così “pragmatica” della privacy è indicata anche dalla filosofa della New York University, Helen NISSENBAUM. A lei
si deve l’elaborazione della teoria dell’integrità contestuale, l’idea cioè che nella società dell’informazione non esista una sfera
privata e una pubblica ma una pluralità di spazi, ciascuno con le sue regole. Cosicché una cosa è lasciarsi travolgere dal flusso dei
social network, un’altra cosa concentrarsi sulla scrittura, lì si scopre una nuova relazione con sé.
Il secondo esperimento “The Address Book” è dell’artista francese Sophie CALLE. Inizialmente proposto a puntate sul quotidiano
francese “Libération” sarà disponibile in versione integrale a partire dal 31 ottobre 2013 presso la Casa Editrice Siglio Press.
Nell’estate del 1983, mentre Sophie CALLE erra sotto il sole cocente delle strade parigine, l’artista trova casualmente un’agenda
telefonica di color rosso intenso perduta da uno sconosciuto. In essa erano riportati nomi, numeri telefonici di amici, colleghi o
semplici conoscenti del proprietario. L’artista, vinta dalla curiosità, cerca di tracciare un ritratto immaginario di quell’uomo
sconosciuto imparando a conoscerlo attraverso i ricordi e le testimonianze di chi l’aveva realmente conosciuto e incontrato.
Il libro si struttura inizialmente sul modello del diario personale. I 28 racconti che lo compongono con annesse fotografie sono il
frutto di conversazioni avute con gli sconosciuti ( 408 numeri di telefono sono trascritti sull’agenda).
I testi successivi sono pubblicati sulle pagine di “Libération” con frequenza quotidiana e hanno rivelato dettagli-scoperte sempre più
precisi e aspetti intimi del proprietario dell’agenda sicché questi riconoscendosi nelle parole dell’artista ha minacciato querela.
Il personaggio in questione si rivela essere, ora, una persona con un nome, Pierre D., un intellettuale conosciuto e rispettato nel
mondo del cinema. La pseudo-fiction è diventata una realtà e le immagini che accompagnano ogni capitolo seguono questa
progressione facendosi meno astratte e sempre.
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È vero che la Cultura nel nostro tempo risponde all’evoluzione generale del nostro modo di vedere e
di agire ma è altrettanto vero e pericoloso che certe innovazioni che ricercano l’intrattenimento e la
distrazione ci inducano a pensare e riflettere poco.
È indubbio, altresì, che questo modo di intendere la Cultura ha un effetto nefasto sulla democrazia.
In molti paesi sviluppati il trionfo della politica-spettacolo rappresenta una deriva pericolosa per la
cultura democratica, la civiltà e la libertà.
È stupefacente rilevare che il modello di società che si basa sull’immagine determina il successo
politico più delle idee e questo causa l’emarginazione di quanti, intellettuali e non, basandosi sulla
razionalità e sulla sensibilità, vogliono educare le nuove generazioni al rispetto delle regole e della
storia, con la conseguenza della perdita di prestigio e del ruolo degli uomini di cultura, del dilagare
della manipolazione pubblicitaria che sostituisce il confronto razionale delle idee.
Mario VARGAS LLOSA è uno scrittore che ama guardare con interesse e con spirito critico tutti i
cambiamenti in atto ma ciò che non condivide è la democratizzazione al ribasso. Tutti hanno il
diritto di crescere e di costruire nuove forme d’arte ma occorre riflettere e cambiare direzione
quando ci si accorge che modelli nuovi e alternativi osannati ed esaltati per il loro impatto
innovativo abbassano la qualità del sapere.
Per l’autore di “Pantaléon y los visitadoras” viviamo in un’epoca in cui falsamente crediamo che
la vita ci appartiene perché siamo responsabili delle nostre scelte, invece il nostro percorso di vita
non è più nostro e ci si rende sempre più conto che la nostra identità può oggi esserci sottratta da
tiranni invisibili che invece di fruste, spade e cannoni utilizzano le tastiere dei computer e si
servono dell’etere, di un fluido immateriale sottile e potente per invadere la nostra intimità più
segreta.
Il Nobel peruviano resta comunque fiducioso che verrà il tempo in cui sarà possibile dominare
razionalmente la tecnologia e questo avverrà grazie alla Letteratura che continuerà a essere garante
prezioso della nostra libertà.
Scrive VARGAS LLOSA nella “Riflessione finale” del suo “La civilizaciòn del espectàculo”:
“Fatico a immaginare che le tavolette elettroniche, identiche, anodine, intercambiabili possano
dispensare quel piacere tattile, impegnato di sensualità che offrono i libri di carta a certi
lettori…un edonismo raffinato che arricchisce il piacere spirituale della lettura con quello fisico
del toccare e accarezzare”.
Mario Vargas Llosa è sempre più convinto che la decadenza della Cultura occidentale sia in parte
dovuta a un “univers numérique” che fa tanti guasti. La sua speranza è che “la nouvelle technologie
ne banalise pas le contenu d’un livre”. Per il romanziere premio Nobel il vero pericolo è quello di
“un appauvrissement de la culture au contact avec les nouveaux appareils”. “Je pense, -aggiunge
Vargas LLOSA-, que pour combattre contre un danger de paupérisation par la technologie des
contenus des livres, il ne reste que garder la Littérature comme ce qu’elle est et son avenir est entre
nos mains”.
Occorre perciò incoraggiare la lettura presso le nuove generazioni e i giovani in particolare devono
essere convinti che la letteratura non é solo l’acquisizione di conoscenze, ma che essa stessa
rappresenta un immenso piacere.
La buona letteratura, ritiene lo scrittore peruviano, è fondamentale perché possiamo vivere il nostro
futuro in tutta libertà. “Rien ne réveille tant l’esprit critique dans une société que la bonne
littérature. C’est pourquoi la première chose que tous les régimes dictatoriaux tentent de faire,
qu’importe leur orientation, est d’imposer une censure. Ils tentent de contrôler ce qui est la vie
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même de la Littérature parce qu’ils voient dans la vie littéraire les grains de dangers contre le
pouvoir ».
Da qui il suo disappunto contro chi contribuisce a rendere la cultura occidentale banale e frivola.
Quello che stupisce è vedere però associati al concetto di Letteratura light scrittori assai noti quali
Murakami Haruki, Paul Auster e Milan Kundera, colpevoli, secondo Vargas LLOSA, di essersi
adattati all’involuzione e alla spettacolarizzazione della cultura occidentale contemporanea.
È del tutto evidente che il concetto di Littérature Light sia una questione di contenuti e non solo di
qualità di scrittura. La colpa è di aver percorso la strada del disimpegno, di aver abdicato alla
funzione prima della Letteratura, quella di affrontare i problemi profondi della società. Il tema
dunque è quello della responsabilità dell’arte e del ruolo dell’intellettuale nella società.
Il concetto di democratizzazione della Cultura non deve portare a forme divertenti d’intrattenimento
accessibili a tutti. Ciò non è Cultura per VARGAS LLOSA.
La pubblicità non può rimpiazzare il talento. VARGAS LLOSA denuncia che lo stesso cinema e
teatro non producono più artisti di sicuro valore creativo, non ci sono più registi e autori di grande
capacità inventiva in grado di cogliere e interpretare la complessità del nostro tempo. Una civiltà
“light” fa dimenticare che la vita non è solo divertimento e distrazione ma anche dramma, mistero,
dolore, Sensazionalismo e gossip alimentano “una specie di passione malsana” e le grandi masse
sono tenute in disparte dalle vere problematiche, soprattutto quelle di natura sociale, introspettiva o
intimista, con la conseguenza che sono costrette a rinunciare a quelle preoccupazioni civiche ed
etiche che prima erano fondamentali.
Anche Doris LESSING, scrittrice e Nobel per la Letteratura nel 2007, si trova sulla stessa linea di
Mario VARGAS LLOSA e denuncia Internet che “a séduit et entraîné toute une génération dans
son inanité” e ha allontanato i giovani dalla lettura. L’ultraottantenne scrittrice, iraniana di nascita,
ma di lingua inglese, teme che “la culture se fragmente et se spécialise à outrance, notamment dans
le domaine informatique”.
Nello Zimbabwe, nota la scrittrice, i bambini hanno il desiderio di leggere ma i professori non
riescono a soddisfare i desideri dei loro allievi per mancanza di testi letterari, mentre quelli più
grandi quando non vanno a scuola passano tutta la giornata sui blogs a postare commenti politici,
video a volte indecenti, musica non sempre gradevole, poemi a volte illeggibili.
Doris LESSING anche se aveva pensato che “l’incroyable invention” di Internet avrebbe potuto
dare la parola a milioni di persone era convinta che per scrivere, per fare della letteratura, doveva
esistere una relazione particolare tra librerie, libri e tradizione perché una buona letteratura, secondo
la scrittrice, deve avere una relazione con temi forti, grandi temi come la giustizia, l’uguaglianza, o
anche l’amore. È lo stesso per la pittura: nessun’artista, nessuna scuola di pittura, neanche quella
astratta si può ridurre a una funzione puramente estetica. La pittura avulsa da temi forti è soltanto
decorazione e perciò secondaria.
Con ciò non si vuole incoraggiare un ritorno a una Letteratura cosiddetta “sovversiva” o se si vuole
a un tipo di Letteratura detta de “l’engagement “ o meglio ancora de “l’enrôlement”, nel senso che
essa propugni idee rivoluzionarie e teorie socio-filosofiche e miri all’elaborazione di progetti
politici in grado di dare soluzioni alle situazioni d’incertezze e di fragilità del vivere in comunità,
quanto più semplicemente che faccia sentire questa necessità avventurosa di creare ogni volta un
nuovo mondo.Un rapporto di necessità tra la scrittura che finge(e che mente, direbbe il germanista
Claudio Magris) e l’impegno per la verità.
Mario VARGAS LLOSA è da anni che denuncia la caduta dell’impegno nella Letteratura
contemporanea, soprattutto da quando molti intellettuali-scrittori, dopo aver assistito con senso di
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colpa al disastro prodotto dalle due ideologie totalizzanti, quella fascista e quella comunistamarxista hanno rinunciato a quello che un tempo si chiamava “engagement”.
Ciò che Vargas LLOSA non sopporta assolutamente è che la letteratura “light”, il cinema”light” e
l’arte in genere “light” diano al lettore e allo spettatore la confortevole impressione di essere colto,
rivoluzionario e moderno, e di essere all’avanguardia con uno sforzo intellettuale minimo.
Nell’epoca dell’immagine e delle tecnologie digitali è arrivata l’ora dei saltimbanchi e dei
ciarlatani. Scrittori e filosofi si sono condannati all’irrilevanza. I nuovi protagonisti sono i comici ai
quali l’autore de Le rêve du Celte non risparmia bordate clamorose: “La nostra epoca, in accordo
con l’inflessibile pressione della cultura dominante, che preferisce l’ingegno rispetto
all’intelligenza, le immagini rispetto alle idee, l’humour rispetto alla gravità, la banalità rispetto
alla profondità, non produce più artisti come Ingmar Bergman, Luchino Visconti o Luis Bunuel”.
Ci dobbiamo dunque accontentare d’icone di serie B: Woody Allen che sta a Orson Welles come
Andy Warhol sta a Van Gogh come Dario Fo sta a Ibsen.
Fortunatamente esiste anche la Buona Letteratura, la sola che possa offrirci strumenti che ci
consentano di trovare un ordine, di dare alla nostra vita una coerenza che ci eviti di vagare nella
confusione e nelle tenebre.
Mario VARGAS LLOSA crede che la fiction sia nata nella notte dei tempi quando i primissimi
esseri umani pieni di paure di fronte a un mondo di cui non capivano nulla e in cui tutto
rappresentava una minaccia iniziarono, dopo aver inventato il linguaggio, a raccontare storie
evadendo così da un mondo pieno di pericoli per rifugiarsi in un mondo diverso in cui si sentivano
più sicuri e del quale potevano comprendere meccanismi e motivazioni.
Quel mondo di finzione permise ai discendenti di organizzarsi e di cominciare a capire il mondo
reale. Tutto questo continua ancora adesso quando con la lettura di testi significativi che ci
appassionano riusciamo a superare il senso di confusione e di squilibrio e capiamo meglio il vero
senso della realtà.
A lettura ultimata, quando ritorniamo nel mondo, manifestiamo una sensibilità più acuta che
utilizziamo per scoprire meglio il rapporto gerarchico tra ciò che è importante e ciò che è
secondario. E soprattutto ritorniamo nel mondo con un atteggiamento critico più sviluppato. Le
storie che leggiamo ci attraggono, ci procurano piacere ci educano ad adottare un atteggiamento
censorio rispetto al mondo. Per l’autore de Conversaciòn en la Catedral l’atteggiamento di
distanza, d’inquietudine e di critica rispetto alla realtà è stato il vero motore del progresso e della
civiltà. Per questo tutti i regimi autoritari hanno cercato di controllare la vita di ogni cittadino non
permettendogli di seguire direzioni impreviste che il regime riteneva pericolose, hanno sempre
diffidato della Letteratura e il romanzo è stato il genere più censurato, perseguitato e proibito.
E se nelle dittature religiose e politiche compaiono sempre i tentativi di controllare il mondo della
fantasia, dell’invenzione forse una ragione c’é. È assolutamente rischioso per il dittatore lasciare
che una società produca letteratura giacché una società impregnata di letteratura è più difficile da
manipolare da parte del potere, è più difficile da sottomettere e da ingannare.
Lo scrittore peruviano non perde occasione per ribadire il suo incondizionato impegno a intendere
la sua professione come una responsabilità non soltanto nella scelta dei temi da affrontare ma anche
sul piano morale e civile.
Questa idea della Letteratura non ha mai abbandonato VARGAS LLOSA. Lo stesso impegno che
lo scrittore peruviano sentiva quand’era a Parigi, negli anni ’60 ha sempre animato il suo percorso
di romanziere e d’intellettuale. In questi tempi di virtual reality, dominati da un pessimismo
crescente circa lo stato di salute della letteratura (alcuni critici letterari ed esperti di fictions
costatano una situazione di forte crisi, al limite della sopravvivenza), il nobel peruviano ritorna con
vigore sulla questione della responsabilità dello scrittore e sul convincimento che la Letteratura sia
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in grado di aiutare i lettori a capire meglio la complessità della natura umana e a far fronte ai
tentativi dei poteri costituiti di aggiogarla manipolando la verità.
Basti volgere lo sguardo o tendere l’orecchio a ciò che succede nel mondo per notare che numerosi
sono ancora i paesi nei quali la libertà è blindata, controllata da sistemi di censura messi in atto per
contrastare idee volte a rendere le popolazioni più emancipate, progredite e libere.
Un tema questo de “l’enrôlement”, commenta l’autore de “La fête du bouc, che oggi i giovani
scrittori ignoranoindecisi se seguire le idee di Jorge Louis BORGES che a metà del XX° secolo
sosteneva che i romanzi sono una cosa del passato e che con i tempi nuovi è sempre più richiesto
essere veloci, cioè scrivere poesie, saggi, racconti, ma tutti in forma breve (infatti, lo scrittore non
ha mai scritto un romanzo e si è mantenuto nella sua convinzione sino alla morte) o condividere
quelle espresse da Italo CALVINO quando negli anni ’80 parlava della leggerezza dei romanzi del
millennio successivo. Calvino intuiva e aveva previsto quello che sarebbe successo nella letteratura
contemporanea.
Per il Nobel peruviano poco conta se lo scrittore scrive un romanzo o un racconto di cento e più
pagine o se si attiene alle indicazioni della sua Casa Editrice che richiede storie brevi e semplici. A
suo parere occorre che le storie siano divertenti, intelligenti e un po’ leggere senza essere definite
“light” e che comunque lascino nel lettore spunti di riflessione su di sé, sugli altri e sul mondo.
Negli anni sessanta, sostenitore convinto di una letteratura della militanza, formatosi con la lettura
delle opere di Jean-Paul SARTRE e attratto dai comportamenti sociali e politici dell’agitatore
intellettuale francese che rifiutava i compromessi con l’establishment e con i poteri costituiti fino a
confluire nell’estremismo maoista, Mario VARGAS LLOSA pensava che lo scrittore dovesse
partecipare alla lotta armata per uscire dal ciclo sinistro delle dittature militari e dello sfruttamento
mostruoso messo in atto nell’America latina( è l’epoca in cui Cuba sperimentava con la rivoluzione
castrista una forma nuova di socialismo che agli occhi di Vargas LLOSA e di SARTRE poteva
rappresentare la strada giusta per affermare sul territorio cubano un nuovo e più democratico ordine
sociale). Sappiamo però che dall’inizio degli anni 1970 la democrazia cubana prese una direzione
diversa e sbagliata e molti intellettuali vissuti sotto le dittature militari si sono poi convinti che le
democrazie, un tempo schernite dai rivoluzionari “barbus”, meritavano forse di essere difese ad
ogni costo, che la libertà non è una nozione formale da mitigare in funzione d’imperativi
rivoluzionari.
VARGAS LLOSA sostiene che la Letteratura è la grande accusatrice delle società che nel corso
della storia non sono state capaci di placare gli aneliti e le ambizioni degli esseri umani,
obbligandoli a creare vite fittizie per riempire i vuoti e che l’attitudine critica degli scrittori è stato il
motore della civiltà.
Afferma che dove proliferano pregiudizi razziali, religiosi e sentimenti d’intolleranza, di terrorismo
e di non rispetto degli elementari diritti umani fare della Letteratura, della buona letteratura non è
per niente inutile.
Ben inteso, non è l’impegno civile e morale dell’intellettuale che garantisce di per sé un sicuro
successo ma certo è un’ottima via per riflettere sui problemi del proprio tempo..
Le finzioni della Letteratura non possono competere con quelle proposte dagli schermi. Esigono
partecipazione e uno sforzo d’immaginazione attivo e responsabile del tutto diversi dalle immagini
del cinema e della televisione. I buoni film divertono e sono significativi nella loro immediatezza
ma altre sensazioni sorgono dalla lettura dei romanzi di Dostoevskij, di Tolstoj e di Proust. Questi
autori aiutano a capire il labirinto della psicologia umana o gli abissi di miserie e di grandezza che
possono convivere nell’essere umano e a migliorare la nostra formazione, come è successo a Vargas
LLOSA dopo la lettura dei testi di Thomas Mann, di Faulkner, di Kafka o di Joyce.
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La caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 aveva fatto credere, a quanti speravano in un
futuro del mondo più pacifico, in una convivenza più democratica e generosa. Il crollo dell’utopia
collettivista è stato sì un primo passo avanti in direzione di una vita più egalitaria e rispettosa delle
diversità, ma ha complicato una realtà storica già molto fragile e frammentata. Mario VARGAS
LLOSA ritiene necessaria una mobilitazione delle coscienze affinché si faccia pressione su quei
governi che non rispettano i diritti umani per evitare altre possibili tragedie come quella accaduta
nei Balcani alcuni anni fa che ha causato morti e operazioni di pulizia etnica di triste memoria sotto
lo sguardo negligente della UE (Unione europea).
Il Nobel peruviano crede fermamente che la Letteratura e gli scrittori possano dare il loro fattivo
contributo a quest’azione di sensibilizzazione e di conoscenza, a fare aprire gli occhi
sull’ingiustizia, sul crimine e a diffondere la speranza che coltivando forti ideali e andando più a
fondo nell’analisi dei problemi, ci possano essere cambiamenti certi e positivi.
È vero che le immagini degli schermi divertono e appassionano ma è altrettanto vero che spesso
sono insufficienti e molte volte incapaci di rendere la realtà. Dobbiamo prendere atto con piacere,
aggiunge l’autore de La ville et les chiens, che le innovazioni tecnologiche nel campo della
comunicazione hanno cancellato le frontiere e instaurato il villaggio globale dove tutti sono
finalmente contemporanei dell’attualità, che a tutti è data la possibilità di ricevere informazioni e di
vivere quello che succede direttamente attraverso le immagini. Tuttavia, nonostante siamo molto
informati, siamo più estraniati rispetto a prima da ciò che accade nel mondo. L’informazione
audiovisiva ci fa vedere la storia come finzione e ci porta a prenderne le distanze perché nasconde
le cause, gli ingranaggi, i contesti e gli sviluppi dei fatti stessi.
I programmi d’intrattenimento trasformano il cittadino in spettatore, in uomini e donne rassegnati e
conformisti sui quali pesa la decisione del regista sia nella scelta dell’argomento che del modo di
proporlo. Il suo obiettivo è di conquistare consensi da parte di un grande pubblico puntando su temi
più bassi e che non richiedano un elevato budget economico.
La Letteratura, invece, si nutre di temi”pericolosi” come la considerano i dittatori e i fanatici ed è
capace di muovere le coscienze per difendere il bene più prezioso di cui godiamo, la cultura della
libertà.
Perché un sistema sociale sia pacificato occorre promuovere la cultura democratica e combattere i
regimi dispotici dovunque essi siano, applicando sanzioni diplomatiche ed economiche a quei
governi che violino il fondamentale rispetto dei diritti umani.
Per realizzare questa finalità non occorre che lo scrittore rinunci all’avventura dell’immaginazione,
né che metta da parte ogni ricerca sul linguaggio, né ancora che combatta per partito preso contro il
dovere dell’intrattenere, di divertire, di stupire.
Ciò che preme affermare al Nobel peruviano, a conclusione del suo lavoro sulla civiltà dello
spettacolo, è che con la scrittura è possibile resistere alle avversità, influire sulla storia. E malgrado
i tempi non siano propizi, Mario VARGAS LLOSA è sempre più convinto della possibilità che
l’umanità tutta potrà contare in ogni momento sugli scrittori/dinosauri che sapranno fronteggiare la
tecnologia della distruzione inducendo ad agire per una giusta causa, la sopravvivenza della specie e
della sana e buona Cultura.
La Letteratura può battersi su fronti opposti: pro o contro la guerra. Martin Saldias, protagonista de
L’uomo in codice dello scrittore basco Bernardo Atxaga dice che non esiste una guerra giusta. E
Atxaga: “L’atto più nobile della letteratura è battersi contro la retorica. E di tutte le retoriche la
più pericolosa è quella secondo la quale la vita non è importante”.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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1 “ Pour moi, la chance de la Littérature, c`est d`être