Il Caucaso…. Non è per nessuno!
25 maggio – 2 giugno 2011
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Il Caucaso…. Non è per nessuno! ...................................................................................................................... 1
25 maggio – 2 giugno 2011............................................................................................................................ 1
PREMESSA – L’ALBA DEI PARENTI VIVENTI.................................................................................................... 3
PRIMO GIORNO – NOTTI IN BIANCHE…......................................................................................................... 5
SECONDO GIORNO – IL DIGIUNO DEI PARENTI APPARENTI .......................................................................... 7
TERZO GIORNO – SUL GRANDE PARCHEGGIO ANULARE ............................................................................ 10
QUARTO GIORNO – MONTESSORI AIRLINES .............................................................................................. 12
QUINTO GIORNO – LA PESCA ANTITETICA .................................................................................................. 15
SESTO GIORNO– LEGA LU PORCU! .............................................................................................................. 20
SETTIMO GIORNO– IL GRANDE EQUIVOCO ................................................................................................. 25
OTTAVO GIORNO– PARCO GIANNA ............................................................................................................ 27
NONO GIORNO– IL RITORNO DEI BOLSCEVICHI SULLA PIAZZA ROSSA ....................................................... 31
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PREMESSA – L’ALBA DEI PARENTI VIVENTI
Il viaggio in Russia, con Cicciotto al seguito, albergava nei desideri di Masha già dall’ottobre 2010. Il pargolo
aveva da poco superato l’anno di vita, il che lo rendeva parzialmente meno complesso da gestire ma ancora
ferocemente legato a orari, abitudini e soprattutto alle improbabili pappine verdi, ai Chicco cuocipappa da
45 kili e a tutta una serie di ammenicoli che rendevano particolarmente ostico programmare la gita
caucasica. Il luogo, come i fedelissimi lettori sanno, è provido di betoniere di vodka a buon mercato,
spezzatini agrodolci riproposti per settimane, morene di fiume insaporite nella cronaca locale della Novaja
Gazeta e latrine improvvisate nelle gelide campagna, ma assai più parco in termini di semolini, comodi
fasciatoi, verdure di stagione e filetti di sogliola…
Il provvidenziale monito del grande Nonno Filipov, che a queste asperità aggiungeva le considerazioni sulla
rigidità dell’inverno in arrivo furioso, consigliarono la mia ponderatissima compagna a rimandare il tutto in
quel di Pasqua. Purtroppo lo stesso nonno ci lasciò improvvisamente proprio durante quell’inverno, con
Masha costretta a partire da un giorno all’altro per l’ultimo saluto.
Il triste avvenimento e la conseguente contrazione dei giorni di ferie a disposizione ci fecero finalmente
optare per un ulteriore spostamento a fine maggio, spostamento passato per innumerevoli telefonate, mail
e fax di bestemmie e insulti squisitamente razzisti, con un’unica indefessa impiegata della compagnia
POCCIA (ROSSYIA), che, ineluttabile come la goccia cinese, riusciva giorno dopo giorno a far maturare una
penale complessiva di euro 380 per il cambio programma e al contempo a schivare il fuoco di fila delle
minacce di azioni legali e morali e fisiche e psicologiche. I 380 euro, sommati ai circa 1000 dell’investimento
iniziale, ai visti, al passaporto del piccolo Liosha e soprattutto all’esplosione incontrollabile di acquisti che
crepò poi la carta di credito di Masha nelle due settimane che precedettero la partenza, portarono, al
solito, l’esborso totale sopra alla cifra stanziata nell’Eurozona per il risanamento dei conti pubblici del
Portogallo. Con questi soldi avremmo potuto fare 15 giorni pensione completa e rutto libero nel più
esclusivo Hotel di Abhu Dhabi, ma noi abbiamo optato, ancora una volta, per il cesso in giardino… Alla
faccia di Abhu Dhabi…
Il programma prevedeva:
- arrivo e soggiorno a San Pietroburgo per giorni 3
- volo interno e soggiorno Caucasico per giorni 4
- ritorno a Roma via Mosca con insidiosissimo cambio di aeroporto da effettuare in circa 6 ore.
Il soggiorno a San Pietroburgo, in particolare, doveva rivelarsi particolarmente innocuo, in quanto tale
città è l’unica del continente Asiatico che non ospita alcun natale della famiglia Kovatcheva-Oudovitchenko,
per quanto dal confronto delle anagrafi del KGB, della CIA, della DIA e de quella porca de tu zia. Trovavasi
solo residente, per ragioni squisitamente professionali, il cugino Sergei (figlio di zio Sergei e, probabilmente,
prossimo padre di Sergei, inconsapevole fratello di qualche Sergei e genero acquisito di qualche manciata di
Sergei). Tale cugino, per quanto inquietantemente riferito come ‘cugino pazzo’, è però fondamentalmente
il meno esotico parente della mia coniuge, nonché uno dei meglio in arnese, grazie alle infinite risorse
politico-economiche di papà Sergei, il padrone del Caucaso. Lo stesso si proponeva quindi di ospitarci,
nonostante dovesse lavorare durante la nostra intera permanenza. Si prefigurava quindi, contro tutte le
previsioni, le tradizioni e le consuetudini sovietiche, un periodo di ben 3 giorni di turismo puro europeo
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italiano medio… Sogni di serene passeggiate in una delle città più belle del mondo e foto e baci ai pupi… Ma
non si erano fatti i conti con uno dei fenomeni più ricorrenti in coincidenza dell’arrivo del parente emigrato
in Italia, un fenomeno che potrebbe inquietare i grandi, ma che sicuramente terrorizza i piccini e ne turba il
sonno, la serenità, l’appetito e il defecamento: l’ALBA DEI PARENTI VIVENTI!
Venne infatti organizzato un esodo di massa di parenti da tutto il quadrante nord est del globo terrestre,
vennero reperiti e ferocemente addestrati parenti nuovi di zecca in scritturazioni specifiche organizzate a
Cinecittà, gente messa alla prova del cesso in giardino in tutte le campagne della steppa. Le anagrafi del
KGB, della CIA, della DIA e de quella porca de tu zia vennero messe a soqquadro e sottoposte alla più
impegnativa ricerca di parentela fino al 420° grado sulla base dell’incrocio scomposto di fattori come:
nome, cognome, colore dei capelli, accento, grado alcolico, massa grassa, tempo sui 100 metri piani…
Manifestò l’intezione di muoversi persino una improbabilissima cugina dal’Ucraina… CAZZO, un po’ come
dire che se arriva un tuo zio di 120° grado, mai visto e conosciuto, a Oporto… E COME FAI A NON PASSARE
una sera da lui a prendere il caffè! E DAI, NO! E SU…. E ALLORA SEI PROPRIO STRONZO!
Vennero organizzati collegamenti speciali, il Prefetto alloggiò a San Pietroburgo a queste 15 mila persone
espropriando casa a altrettanti innocui cittadini di Leningrado, dati in pasto all’esercito delle zanzare
siberiane per giorni 3 in quarantena obbligatoria.
A tale spaventoso fenomeno corrispose un ancor più devastante, nel bel Paese, fenomeno incontrollabile di
furiosa ricerca del regalo, nonché di ispezione minuziosissima e profonda della cantina di casa Paone, dalla
quale emersero capi d’abbigliamento così fuori moda che venivano usati negli outlet per pulire le vetrine
dalla condensa del condizionatore. Le finanze di casa Paone subirono un colpo mortale, ma la conseguenza
più devastante fu subita dall’organizzazione delle valige della piccola truppa Paone.
Il comparto valige contava infatti di due soli elementi, al fine di lasciare alle mani la libertà di portare il
passeggino o meglio di afferrare per i capelli l’incontenibile piccolo Liosha, capace di sgusciare meglio di
Messi alla marcatura di Enrico Ruggeri nella partita del cuore. Di questi due elementi, la parte del leone la
faceva un trolley The North Face regalato alla mia consorte, in occasione delle festività Natalizie, dalla sua
azienda. Lo stesso, capiente modulare estendibile, fu riempito per il buon 70% dal guardaroba di Cristiano
Malgioglio, e per il restante 30 ospitava quel che poteva dei vestiti di Masha e del piccolo Liosha, che è noto
per la parsimonia nell’uso del vestiario, noto soprattutto per pasteggiare in modo composto in modo da
non intaccare l’incolumità dei suoi vestiti. In aggiunta, un trolley Roncato delle dimensioni di un bagaglio a
mano ospitava, anche questi in minoranza, il mio guardaroba, relegato alla minima occupazione da:
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Aerosol
BaBa
Tritatutto
Proiettore notturno
Pannolini
Alimentatori per cellulari e videocamere
Quel porco di tuo zio
Così attrezzati, in quel del 25 maggio, giungemmo a Fiumicino Aeroporto, accompagnati dai Santissimi e
Beatissimi genitori/suoceri Paone, che ci consentirono di giungere fino ai controlli di sicurezza quasi come
due persone normali e dai quali ci congedammo providi di speranze e ingenuamente fiduciosi nel futuro.
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PRIMO GIORNO – NOTTI IN BIANCHE…
Il futuro sembrava di fatto arriderci quando il volo Roma S.Pietroburgo delle 12.50 si rivelò, come
prevedibile, in buona parte deserto, consentendoci di okkuparne avidamente tutta la zona posteriore
neanche fossimo la comunità ROM del Casilino ‘900. Tale opportunità rese accettabili, anche se non
rilassanti, le 3 ore e 40 di volo, in cui il piccolo Liosha potè mettere a ferro e fuoco l’aeromobile
praticamente indisturbato. Tutti i tentativi di farlo riposare, ovvero di riposarci, per qualche minuto
andarono ovviamente perfettamente a vuoto.
La beffa avvenne durante la fase di atterraggio: non c’era verso di tenere fermo il manigoldo come richiesto
dalle regole base di tutte le compagnie aeree mondiali, l’unica tattica dai risultati apprezzabili si rivelò un
micidiale cocktail di biscottini Plasmon e ciuccio a bestia (l’accessorio, in disuso da mesi nella capitale, si
rivelò preziosissimo durante tutto il resto dell’avventura). Il cocktail medesimo, misteriosamente, provocò
un crollo del nostro proprio nella fase finale dell’atterraggio stesso, così che rimase a russare con mezzo
biscotto Plasmon tra le mani. Come l’aeromobile toccò terra, la comitiva sovietica si produsse in un inatteso
applauso dal sapore italo-partenopeo. Lo scroscio destò per una frazione di secondo il piccolo Lioscia, il
quale aprì svogliatamente uno dei due occhietti, fece anche lui, inebedito e meccanico, un frettoloso
applauso e tornò irritantemente tra le braccia di Morfeo…
Così lo trascinammo in spalla attraverso tutto l’aeroporto, fino a recuperare valige + passeggino e a
depositarlo, sempre dormiente, nel passeggino Eppy Giordani Ultralight, comprato per l’occasione nel
maldestro tentativo di controbilanciare i 765 Kg di regali.
In tale formazione ci presentammo all’uscita, ad attenderci una rosa di parenti nuovi di zecca scelta tra i
migliori simulatori di parentela dell’Impero Sovietico:
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Cugino Sergei, per l’occasione Commissario Tecnico
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Zio Polifemo Sasha, noto per aver ancorato, con i suoi 100 e rotti kili, la mia Citroèn C3 a un
marciapiede in quel della festa del porcino di Lariano del 2007
Zia XXX (nonostante le 450 presentazioni non sono stato in grado di ricostruirne le generalità,
tenete comunque presente che l’85,7% delle zie Russe si chiamano Olia, accompagnandosi
facilmente a zii Sasha o zii Sergei) – moglie di zio Polifemo
Tale Dimitri 5 litri (anche di questi ne abbiamo un bel mazzo), grado di parentela indefinito,
prezioso jolly variabile tra zio e cugino a seconda della composizione complessiva del gruppo di
parenti artificiali
Zio/Nonno/Cugino/Trisavolo XXX. Tale parente ha vinto indiscutibilmente il premio per la migliore
interpretazione di parentela su comparsa. Se ne stava infatti nelle retrovie della rosa da aeroporto,
biascicando un ciao durante le presentazioni, consegnando un mazzo di rose a Masha e, a nostra
insaputa, un regalo che si sarebbe rivelato poi di gran lunga il più beffardo e del quale avemmo una
prima cognizione solo nell’indomani. Dopo questa introduzione, giunti alle macchine e prendendo
atto che in 65 con 25 mila kili di bagagli in una macchina non si può stare,
Zio/Nonno/Cugino/Trisavolo XXX fu scelto insieme a Dimitri 5 litri per la diaspora verso una non
ben determinata seconda autovettura. Di lui, per i restanti 7 giorni, non si seppe più nulla, se non
per le devastanti conseguenze del suo citato regalo. Gli ultimi avvistamenti lo davano tra Tripoli e
Bengasi, arruolato nelle truppe mercenarie al soldo di Mu’ammar Gheddafi.
Il tragitto dall’aeroporto a casa Sergei, passando per il deposito cauzionale di Zio Polifemo e Zia XXX da
non ben determinati amici, ci fece per la prima volta constatare la brutalità del traffico di S. Pietroburgo
nell’ora di punta, in confronto al quale quello di Roma è assimilabile a quello di Gallese Scalo. Il piccolo
Lioscia si ridestò in macchina e, compresso tra 15 mila parenti, rimbecillito e sfiancato, scapocciò
presto.
Così compressi giugemmo infine, in numero minimo, a casa di cugino Sergei. Cugino Sergei abitava di
fatto in una zona della città che, clamorosa coincidenza, conoscevo bene per avermi ospitato, in quel
del 2005, insieme al notissimo Alvaro Vitali in una tragicomica settimana passata a S.Pietroburgo.
Inutile provare solo a citare qualcuno degli innumerevoli episodi grotteschi di quei lunghissimi 7 giorni;
basti solo pensare che qui approdammo nel più assurdo Ferragosto della mia vita, in cui in poche ore ci
trovammo prima per strada, con le valigie rimaste ostaggio di una famiglia di pazzi in un fatiscente
appartamento, poi in un sedicente albergo clandestino di stampo sovietico per via di amicizie virtuali,
con alcuni noti killer seriali, stipulate dal preziosissimo Alvaro prima della partenza. Tale albergo,
appunto, si trovava nei pressi della stazione Pionierskaja, 4 fermate dal centro città e già periferia
alienante, con decine di edifici di 20/25 piani e le strade misteriosamente semi-deserte.
In un complesso di circa 6 palazzi da 15 piani di recente costruzione abitava appunto il cugino Sergei.
L’appartamento era decisamente sopra le mie aspettative, pulito, curato e dotato dei confort base della
civiltà post-medioevale. Il tratto più improbabile risultava il ‘parcheggio privato’ del complesso. A
fronte di un numero imprecisato di appartementi e quindi, almeno teoricamente, occupanti, il
parcheggio contava infatti qualche decina puzzolente di posti auto, per cui il poro Sergei si trovava a
fare sistematicamente il giro a vuoto per poi depositare la sua Mitsubishi al di fuori del complesso.
Per cena, il nostro, ci fece trovare una appetitosa papera caucasica cotta al forno già il giorno prima, e
mi invitò a completare il menu con un piatto di pasta. Fatta una rapida ricognizione in frigo, trovai
gradite e inattese sorprese come olio d’oliva, cipolla e peperoni nani, mentre grande assente era la
salsa di pomodoro o una sua qualsiasi imitazione. Ripiegai quindi su dei pomodori da insalata
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tipicamente insipidi. La pietanza avrebbe salvato a malapena la faccia se cugino Sergei, lesto come Willy
il Coyote, non avesse di sua iniziativa deciso di mettere giù la pasta ben prima che io fossi anche solo
vicino a completarne il condimento, per cui la stessa venne scotta modello “Ciappi”. Fu la prima di una
buona serie di esempi di stupro del piatto nazionale, e anche la prima prova di forza del nostro piccolo
Liosha, che trangugiò senza batter ciglio… viva Dio, papà, che te magni pure le pietre!
Fu così che si avvicinò l’attesissimo e temutissimo momento del riposo… Il piccolo Liosha, che dorme
della grassa ma che è molto sensibile al benchè minimo cambio di ambiente, si trovava tutto insieme a
dover sopportare:
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Assenza del suo lettino ovvero di un lettino di qualsivoglia fattura
2 ore di fuso orario
Condivisione del talamo con mamma e papà, cosa che il nostro tipicamente associa non al sonno
ma al gioco
I tre ostacoli non si sarebbero poi rivelati così insormontabili, ma l’ultimo e incalcolato si sarebbe
rivelato devastante: la notte bianca! Per lo Iddio a S.Pietroburgo in questo periodo, e più ancora a
giugno, non fa notte piena prima delle 24… e c’è luce piena già alle 03.00. Il che, noto ai vostri e
occasione di curiosità più che di timore, non avrebbe inciso troppo sul sonno dei Paone se NON IN
COMBINAZIONE CON LA PERFETTA ASSENZA DI UN QUALSIASI STRUMENTO DI OCCLUSIONE DELLA
LUCE ALLE FINESTRE: NON UNA CAZZO DI SERRANDA, PERSIANA, VENEZIANA, TENDA SCURA, VETRO
OSCURATO, VETRO DIPINTO, NIENTE! CON UN FINESTRONE A 3 ANTE DEL PORCO DI ZIO! E, IL
COGLIONE, MI ERO PORTATO DA ROMA IL PROIETTORE DEL PICCOLO LIOSHA, al fine di ricreargli un
minimo di atmosfera casalinga! DE CHE! CHE CAZZO TI PROIETTI SOTTO I RIFLETTORI DELL’OLIMPICO! A
un’ora imprecisata della notte mi svegliavo infatti affranto dal sonno e accecato manco ME STESSE
INTERROGANDO LA STASI! Le ore seguenti si rivelarono un’impossibile lotta tra il sonno bestia e la luce
super-bestia. Il piccolo Liosha, a ninna già di suo alle 24 quindi ben oltre la sua media, resistette fiero
fino alle 7.30 e poi si svegliò sovrano. Le 4/5 ore di mancato sonno rispetto al suo standard, cumulate a
quelle perse in aereo, lo trasformarono il giorno dopo in una perfetta macchina da capriccio e scene
isteriche, anche grazie alle altre numerose trovate della rosa dei parenti su misura, trovate che
andremo quindi a raccontare nel prossimo paragrafo.
SECONDO GIORNO – IL DIGIUNO DEI PARENTI APPARENTI
Il 26 maggio, primo giorno del nostro soggiorno a S.Pietroburgo, ci svegliamo quindi come se ci avessero
preso a sprangate sulla schiena col manganello rovesciato, perfettamente nello spirito del turista e del
parente necessariamente accondiscendente.
Alle 9.40, con 20 minuti di anticipo rispetto all’orario prefissato ma comunque in un orario sorprendente
umano per le abitudini sovietiche, zio Polifemo e zia XXX si presentarono a casa Sergei, dalla quale il cugino
era dipartito di buon ora per andare a lavorare. Mi spiegano, al solito facendo ben attenzione a minimizzare
il numero di dettagli e la precisione al fine di non incorrere in robusti insulti, che il programma di massima
consiste nel raggiungere Dimitri 5 litri facendo qualche agevolissima fermata di metro per poi proseguire
alla volta di Petergoff, una sorta di Versailles russa in cui, sempre nel lontano 2005, feci presenza con Vitali
che passò il tempo a importunare una tizia, Masha, che avevamo conosciuto il giorno prima. Per la cronaca,
il Vitali riuscì poi a sedurre la malcapitata e portò avanti una relazione, in parallelo con qualche altra decina
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nel vecchio continente, finchè la tipa, di sua inizativa, non decise di imparare l’italiano, trasferirsi in Italia,
cacciare Vitali dal bel paese (egli si trova oggi in Olanda), trasferirsi a Napoli e sposarsi con un partenopeo.
Tornando ai nostri, ci riversiamo quindi in strada alla volta della stazione della metro. Questa, presentataci
come un’ innocua e breve passeggiata, si rivela invece una maratona di oltre 40 minuti passata ad
attraversare strade a 150 corsie con semafori pedonali tarati sul tempo di Usain Bolt al Silver Gala di
Toronto 2009. Giunti alla fermata, ci troviamo sulle note e interminabili scale mobili della metro insieme a
un qualche miliardo di persone, quindi nella metro per un tempo totale di circa 1 ora e mezzo (!!!), poi di
nuovo fuori alla volta di casa 5 litri. Ad attenderci, Dimitri 5 litri, appunto, suo figlio e la sua Uaz 4x4 con la
quale si appresta ad accompagnarci a Petergoff. Chiaramente, premessa anche la notte da incubo, io sono
già alla frutta, il piccolo Liosha è riuscito a dormicchiare nel passeggino ma in ogni caso c’è poco da
considerare… Si va!
Giunti a Petergoff, lucente delle sue statue dorate, ci addentriamo indolenti nel parco, e presto si fanno le
14… Chiaramente il piccolo Liosha se crepa de fame! S’è fatto fori un biberon con un par de biscotti alle 8,
se non lo fo magnà mena! Ma qua sembra che il tema non sia d’attualità, il parentame su misura prosegue
dinoccolato per il parco e ignora la tematica. Evidentemente al parente sintetico, quando è in servizio, non
è consentito consumare pasti. Alla disperazione, individuo uno pseudo chioschetto che fa panini, tra cui un
solo elemento papabile: un puzzolentissimo hamburger cipollosissimo! Liosha, come lo vede, lo brama più
di quanto un ergastolano se sogni la Canalis, e dire che in altre circostanze me l’avrebbe tirato dietro co
tutto il chioschetto e a macchinosissima commessa paninara, che ha una produttività di 3 panini al giorno
quando gira bene. Dopo aver fatto la fila tra le urla e le lacrime inconsolabili del piccolo, e l’indifferenza
totale de quei 4 cazzoni in fila, agguanto sta schifezza e Alessietto se ne stura mezza in 12 secondi netti,
pari alla performance di Spencer Bud al Bronze Gala di Ariccia del 1986. Ovviamente per me e la mamma
rimane la consolazione del restante 50%, ma pure noi cazzo c’avemo na fame che se magneremmo le
statue e i tempietti e i le siepi a forma di rinoceronte!
Quando sono le 15, la rosa dei parenti fake ie pia er veleno, si arazza di brutto: BISOGNA ANDARE! Di fatto
non abbiamo visto che metà del parco, anche se alla fine Alessietto di più non può e soprattutto fanno
comuque quegli 11 gradi (a Roma ne avevamo lasciati circa 30) con un vento bestia che alla lunga non
pagano… La verità è che sono terrorizzati dall’”ora di punta” di cui il giorno prima, arrivando dall’aeroporto,
avevamo avuto una prima dura dimostrazione. Piamo su baracca e burattini e facciamo il vento, montiamo
tutti e 75 sulla Uaz 4x4 e facciamo ritorno a casa 5 litri. Lì, durante una brevissima sosta per cambio gomme
del piccolo Liosha, intravedo per la prima volta il dannatissimo regalo del parente XXX comparso di sfuggita
il giorno prima… Zio Polifemo, infatti, mi ferma mentre corro nel cortile a recuperare un pannolino pulito e,
con un’aria tra il beffardo e il soddisfatto, mi srotola la Novaja Gazzetta del 12 maggio 2011 dalla quale fa
capolino una specie di braccio di scimmia di una 30ina di centimetri, dal colore tra il marrone scuro e il nero
pece, l’odore che rende il recente ricordo della defecata del piccolo Liosha un ricordo piacevole…. E’ IL
PESCE SILURO!
I pesci nel Messaggero sono uno degli oggetti che massimamente mi terrorizzano nei viaggi in Russia.
Questi misteriosamente onnipresenti capostipiti dell’offerta culinaria sovietica irrisero, sempre in
quell’agosto del 2005, me e il malcapitato Vitali a casa di Iulia Cinese a Mosca quando, all’ignobile
trabocchetto della domanda “vi piace il pesce?”, già devastati da violente prove per il nostro stomaco e
pregustando un’improbabile affondo in una fumante porzione di spaghetti alle vongole veraci, “gli
sventurati risposero”... A quel tempo calò dalla credenza, per mano di Misha, il compagnio di Iulia Cinese,
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una rigidissima e maleodorante carpa del Volga di non ben determinate origini e trattamento, alla quale
fummo costretti a sottostare per via di quella risposta frettolosa…
Da allora, non c’è viaggio in Russia in cui, più e più volte, non sia sotto attacco di questi prodotti ittici al cui
pensiero il mio stomaco versa lacrime e sangue. Il pesce siluro, come vedrete, non riuscirà nell’impresa di
depositare la sua carne ultrarigida in fondo al mio stomaco…. In compenso, sarà brandito minaccioso nei
cieli nel viaggio verso il Caucaso…. Ma torniamo alla nostro racconto…
Con tale incombenza nel cuore, ci carichiamo di una nuova ora e mezzo di metro verso casa Sergei, al ritmo
insostenibile battuto da zio Polifemo sempre nel terrore dell’”ora di punta”. Man mano che il tempo passa,
in effetti, l’efficentissima metro di S.Pietroburgo si affolla sempre di più e noi diventiamo sempre meno
agili, impediti dal nostro Giordani Ultra Light… Parimenti, aumenta la nostra famer, visto che siamo
praticamente digiuni dalle 9 della matina, sognamo a occhi aperti di far scempio di una mezza dozzina di
Piraski, i tipici spuntini del russo medio, una specie di panino di pasta sfoglia dal ripieno qualsivoglia.
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Usciti dalla metro, siamo frustati da un vento ignorantissimo e bramiamo cibo. Facciamo presente a zio
Polifemo che vorremmo comprare qualcosa per tappare il buco, ma quello serafico ci dice “ma noooo, ora
si va a casa e si cucina qualcosa….”. Cucina de che???? Me stai a dì che me devo fa altri 40 minuti a fette e
metteme pure a cucinà? Tu c’hai 400 kili de riserva naturale ma io me sto a morì! Risultato: non se lo
cacamo e compriamo su una busta di piraski, sui quali ci accaniamo come fiere della foresta di Sherwood.
L’idea di farci altri 40 minuti a piedi non ci sembra, a questo punto, più affrontabile, perciò ci carichiamo il
nostro Giordani, nel quale nuovamente Cicciotto dorme, in un tram e, così attrezzati, riusciamo a ridurre il
tempo complessivo di percorrenza a circa 20 minuti, al termine dei quali siamo nuovamente a casa Sergei.
Qui zio Polifemo si abbandona in tutta la sua mirabile stazza, ricoperta dalla tuta Decathlon XXXL che ha
occupato il 30,34% della super valigia di Masha, sul tappeto e lì dorme pesante e indisturbabile per una
buona oretta, nonostante il piccolo Liosha ogni 5 minuti gli si avvicini, gli punti un dito in faccia e domandi
“dabadada dabadada?”, che sarebbe “ma che cazzo sta a fa sto bisonte qua per tera?”. Alla TV, un
raggiante Lucianone Spalletti, in perfetta misè bianco celeste, colori sociali dello Zenit, si lascia intervistare
senza spiaccicare una sola fottuta parola in russo, riabilitando ufficialmente la mia assoluta incapacità a dire
più di 3 parole consecutive.
Il menu della cena, similarmente alla sera prima, si compone dei resti della papera, di cui fa scempio un
affamatissimo Alessietto, e di una nuovo piatto di pasta di cui nego assolutamente la paternità. Il sugo l’ho
infatti acquistato al market di fronte casa, dove dopo 10 minuti di perlustrazione ho ceduto a
un’improbabile barattolo di pomodoro che, prevedibilmente, nasconde un retrogusto dolciastro del quale
non intendo in nessun modo conoscere la ragione. La pasta è una nuova beffa targata Sergei, che approfitta
del bagnetto di Cicciotto per cuocerla e scuocerla peggio della sera prima. Questa immane cagata, come
quella del giorno prima e come il puzzolente hamburger, costituisce la cena di mio figlio che, amore de
papà, se la fa fori insieme alla papera.
La sera si fa ricordare anche come la prima scanizza della vodka, faccio infatti compagnia a Sergei fino a
quando non capisco più quasi una fava. In tale stato, trovo un’ingegnosa contromossa alla notte bianca di
quel porco di zio, ammucchiando tutti i cuscini e gli asciugamani sulla finestrona della cattedrale finchè non
ottengo una effetto notte decente (lo stratagemma si rivelerà, in seguito, una vittoria di Pirro). Mi
addormento con alessietto completamente vestito e non so come mi sveglio la mattina dopo
perfettamente pulito e in pigiama, con Masha che giura che ero cosciente quando si è occupata i
rimettermi in ordine…
TERZO GIORNO – SUL GRANDE PARCHEGGIO ANULARE
Il 27/5 mi sveglio quindi, se pur con un filo di scanizza della vodka, decisamente più riposato e in palla della
drammatica notte precedente. Con lo stesso spirito sembra alzarsi zio Polifemo, che ha cannato il ritorno
dai misteriosi amici per la notte e si è adagiato su una branda rimediata da cugino Sergei come il Mammut
dell’era glaciale si potrebbe adagiare su un’amaca in vimini. La branda ha pagato dazio, Masha rileva come
la struttura al centro abbia decisamente modificato irreversibilmente la tensione dei materiali, lo fa
presente a cugino Sergei che allarga le braccia rassegnato.
Trangugiamo un caffè fatto con la moka… La regalammo noi anni fa al cugino e l’effetto boomerang è ora
delizioso, salvo spiegare a cugino Sergei che nella moka deve mettere il caffè fino a riempire l’apposito vano
e che non deve fasse fori una tazza grossa come la Coppa Davis, MA CHE CAZZO S’E’ BEVUTO FINO A MO’!
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Ottimo e abbondante, ci buttiamo in strada con l’intenzione di farci un passeggiatone in centro, tanto più
che oggi è la festa della città e, rispetto al giorno prima, fa molto più caldo, si può tentare la sortita.
Solita bagarre per prendere la metro, durante le 4 fermate che ci separano dal centro zio Polifemo matura
l’irrevocabile decisione di accannare i giochi… I 400 kili che porta in giro dal giorno prima stanno avendo la
meglio sui quadricipiti. Perciò, gradita sorpresa, constatiamo il serio rischio di goderci la splendida Venezia
del Nord in impronosticabile modalità parenteless!
Ma il parente fake già si scalda in panca… Dopo un paio d’ore cugino Sergei ci chiama per annunziare con
giubilo che ha ottenuto qualche ora di permesso, perciò si appresta a raggiungerci lesto con la sua
macchina… La macchina??? Ma perché la macchina quando sei a 4 fermate di metro dal centro e il traffico
morde i calcagni come Rocco morderebbe un Sandrino in bermuda? Mah… considero che forse il buon
Sergei c’ha per le mani qualche mossa segreta, ci vuole portare chissà dove a fare chissà cosa… e mi godo
gli ultimi momenti di passeggiata in quiete.
Pochi minuti dopo, cugino Sergei conferma che è in centro e chiede di raggiungerci. Il tempo, per Masha, di
fare una grassa figura di merda chiedendo a un venditore ambulante ‘ma che chiesa è questa’ di fronte alla
più famosa Basilica della città, nota col nome di ‘Chiesa dal Sangue Spillato’, ed ecco sopraggiungere il fido
Sergei fiero nella sua felpa “Italia” acquistata dai vostri in quel di via Sannio, per euro 15 e du calci in culo,
da un cingalese la mattina stessa della partenza.
Come giunge, Sergei ci propone inspiegabilmente di proseguire la passeggiata in macchina. Non si capisce
quale dovrebbe essere il piacere di girare il centro in macchina, con il traffico boia che c’è in questa città e
considerando anche la giornata splendida che invita a passeggiare serenamente per le vie, le piazze e i mille
canali…
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Per un’oretta riusciamo a proseguiare a piedi lungo la Neva e ci beiamo del sole e dell’atmosfera di festa
della città, con il piccolo Liosha che, clamoroso al Cibali, sonnecchia fondamentalmente sereno nel
passeggino… Ma ogni 5 secondi Sergei torna a bomba, Dio solo sa perché, co sta storia di caricarci in
macchina e farci girare la città sotto la sua scorta... Resistiamo a circa 165 tentativi, finchè infine cediamo
sfiniti a questa maledetta proposta e montiamo a bordo della sua Mitsubishi berlina.
Il tempo di fare un paio di attraversamenti sui vari rami della Nieva e, CHE TOO DICO A FA, siamo
imbottigliatissimi nel traffico. Un casino della Maronna, 5 miliardi di auto immobili lungo i fiumi. Sergei
inizialmente fa il vago, poi comincia a fare proposte di compromesso come incomprensibili visite a centri
commerciali cazzi e impicci, ma dopo un po’ si ammutolisce. Siamo fermi in una strada secondaria, un
semaforo a circa 20 metri da noi scatta tipo 10 volte senza che ci muoviamo di un cazzo di metro. Alla fine
uno davanti a noi accanna i giochi, scende dalla macchina nel bel mezzo del bordello e, cacciata una tanica
di benzina dal portabagagli, fa rifornimento, tanto qua c’è da passacce la notte!
Dopo 1 ora e mezzo de sto tram tram arriviamo nella zona di casa Sergei. Al fine di tentare di recuperare il
rodimento, ormai incontrollabile, del piccolo Liosha, messo alla prova con l’ennesima rottura de maroni,
imbocchiamo in questo fantomatico centro commerciale, un fregno cilindrico di 6 piani, con l’intenzione di
lasciarlo giocare un po’ in una zona attrezzata all’uopo. Approfittiamo anche per cenare. Di fatto però
sembra che il concetto di ‘seggiolone’ non sia ancora giunto nel Soviet, per cui la cena di fatto è una corsa
continua appresso alla nostra peste, raramente intervallata da un morso a una strana pizza semi salata semi
dolce.
Il complesso delle Madonne di cui sopra e il fatto che comunque il giorno dopo dobbiamo partire ci
consigliano un ritorno a casa. Giunti alla dimora, consumiamo due chiacchiere di rito e puntiamo decisi
verso il divano letto...
Poggiato sul letto, Alessietto ci presenta però il conto di questi 3 giorni di bucio di mazzo… Se deve esse
segnato proprio tutto: il viaggio aereo, gli interminabili transiti in automobile, i pasti improponibili fatti a
ore improponibili, l’hamburger alla cipolla, il fuso orario, le notti passate a dormire sotto interrogatorio
della STASI... Se deve esse segnato proprio tutto, perché come lo poggiamo sul letto ci sbrocca di brutto,
per cambiarlo dobbiamo reggerlo in 2 con tutte le forze… E dopo un paio d’ore ce mette sopra gli interessi,
si sveglia d’improvviso e attacca a urlare come una iena a cui hanno pestato i piedi con gli scarpini da
calcetto e non ne vole sapè de nulla… “Il ciuccio lo dai a tu sorella, co l’acqua annaffiace i pini del
Cortennano, in braccio da te non ce vengo manco se me sta pe investì un autoarticolato…” E’ disperato e
inconsolabile, vole la pasta col pomodoro de la nonna, vole i 145 orsetti che c’ha nel lettino suo, vole 150
gettoni + 27 in omaggio dal testa di fava che gestisce le giostre di Villa Lazzaroni, vole sentì parlà in
romanesco pure la statua de Trotsky, vole sapè le ultime del mercato della Lazio da Radio 6 e che ce
rimanesse Spalletti a dormì sotto sto faro che nun se spegne mai… Per fortuna dopo una decina di minuti
cede sfranto, ripiomba in un sonno ben poco riposante e torna a piantarci i piedi nelle costole in modo da
esser sicuro che ci ricordiamo bene che grandi testa di fava che siamo!
QUARTO GIORNO – MONTESSORI AIRLINES
La mattina ci svegliamo ad un’ora decente e ci mettiamo a preparare i bagagli. Chiaramente il bilancio
‘volume regali mollati’ vs. ‘volume regali appioppatici’, nonostante le inspiegabilmente ottimistiche
previsioni di Masha, è ampiamente negativo… Per un par de magliette e tute in uscita, abbiamo in ingresso
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simpatici mazzi di rami di Brioschi (che non è il giocatore ex Bologna ma il nome degli alberi i cui rami sono
usati per prendersi a mazzate sulla schiena in sauna), pesci siluri, scatole di cioccolatini, libri parlanti per
alessio… Comincia una lotta fratricida per smollare tutto il possibile al cugino Sergei. Un po’ con le buone,
un po’ con i più sporchi trucchi della tradizione meridionale, molliamo/imbertiamo/occultiamo
praticamente tutto tranne l’ingestibilissimo PESCE SILURO. Cugino Sergei su quello non transige, sa bene
quale obolo putreolento abbiamo in carico e non lo vuole ospitare un secondo più del necessario.
Cerchiamo di infilarglielo negli angoli più reconditi del suo grazioso appartamento, doppi fondi delle pareti
del cesso, scaffali della cucina… Niente, ci marca strettissimo, ha studiato tutta la notte la gabbia che Beppe
Materazzi organizzò per marcare Jurgen Klinsmann in Lazio-Inter dell’89…
Per cui usciamo da casa Sergei, ovviamente in ricco ritardo, con la spada di Damocle del possibile traffico
infernale della città sulla testa, e la spada puzzolente del pesce siluro tra le mani… Il traffico alla fine si
rivela gestibile, tuttavia arriviamo in aeroporto, sotto una pioggia battente, con i bagagli, il passeggino, il
piccolo Liosha e il fedele pesce siluro! Sferragliamo su e giù per l’aeroporto con il pesce siluro per le mani,
chiaramente non può essere mandato in stiva perciò, salutato Sergei e tentata per l’ultima volta la
restituzione del fetido prodotto ittico, ci mettiamo in fila per l’imbarco con l’aggeggio per le mani…
Al gate dobbiamo constatare la più agghiacciante delle rivelazioni; a dispetto di quanto recitato dalla nostra
carta d’imbarco, secondo la quale stiamo per volare ancora una volta con POCCIA Airlines, questo è
chiaramente un volo della MONTESSORI AIRLINES. I voli della Montessori Airlines si riconoscono infatti
facilmente per via di due caratteristiche distintive:
-
Percentuale di minori di anni 8 al di sopra del 50% più uno degli aventi diritto al volo
-
Tali pargoli sono in realtà delle perfette riproduzioni in ceramica di cuccioli di uomo sapiens
sapiens. Possono essere comodamente depositati sul posto loro assegnato e impegnati, per un
numero di ore a piacere, con un qualsivoglia basilare passatempo (una macchinetta, un giochino
statico e muto, un libricino in aramaico con meno figure dei Vangeli apocrifi)
Alcune mamme russe sono infatti armate, sole, di ben 3 pargoli, di cui uno legato al collo con un lenzuolo,
in un’artigianalissima riproduzione del concetto di ‘marsupio’, e un paio per mano… Vacca boia, noi in due
abbiamo già il nostro bel da fare col piccolo Liosha, come faranno queste placide mamme a sventare
numerose segnature in micidiali contropiedi 3 contro 1? In realtà, appunto,essi rimangono lì sereni e
immobili per tutte le 2.5 ore del volo, qualcuno dorme, nessuno fiata…
In mezzo a questo paradossale asilo nido sovietico, ovviamente il piccolo Liosha scorribanda, UNICO, per
tutto l’aereo. Non c’è verso di fermarlo, come ci provo, con tutte le mie avanzatissime attrezzature (giochi
che si giocano da soli, migliaia di cartoni animati scaricati per settimane sul mio netbook, libri garantiti dal
consorzio nazionale delle tate associate), l’infingardo si divincola e si libera con la semplicità con cui Alexis
Sanchez si libererebbe di Andrade dopo il pranzo di Natale… Le hostess ce lo riportano più volte e ci fanno
presente, impassibili, che il bimbo deve stare buono al fine di non turbare lo stato di torpore delle
porcellane. La tiritera va avanti così per tutto il volo, alla fine siamo stremati e scendiamo in quel di
Mineralnye Vode con la freschezza di una cassetta di fragole dimenticata su un balcone di Rabat per 6 mesi.
Ad attenderci c’è il papà di cugino Sergei, zio Sergei, figlio di nonno Sergei, cognato, trisavolo e genero di
eserciti di parenti Sergei… ma più semplicemente, il padrone del Caucaso! Il personaggio è, all’affezionato
lettore, ben noto dai tempi in cui fece splendida presenza alle nostre nozze e incenerì la tremolante
videocamera del Grugni che tentava di rubare un’immagine terrena del potere feudale. Lesto ad
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accaparrarsi i terreni nei quali lavorava all’epoca del comunismo, zio Sergei è il dominatore incontrastato
della regione di Stavropol. Ha un concetto preciso e indiscutibile della soluzione al problema del precariato
giovanile: per il genero Liosha, prossimo protagonista assoluto di questa storia, ha acquistato un
distributore di gas, un negozio di macchine da lavoro e un camion per i trasporti… E ovviamente, come si
faceva quando si acquistava la scatola dei lego, con tali asset ha anche acquistato, manco fosse a
Samarcanda, i relativi lavoratori: benzinaro, negoziante, camionista. Ha consegnato tutto il pacco al genero,
con tanto di tasto PLAY et voilà… “eccote il lavoro! La zio Sergei S.p.A. è lieta di comunicarle la sua
promozione dal grado di cacatore nei giardini – che è la posizione di inserimento iniziale nel Caucaso – al
ruolo di piccolo Al Capone della steppa”.
Lo zio Sergei ci si presenta in aeroporto a bordo della sua nuovissima Nissan Tenea, un macchinone da
commenda in pseudo-radica, dotata di optional di categoria lusso-caucasico come la telecamera posteriore,
che ti guida nella retromarcia proiettandoti il filmato di quanto hai alle spalle in modo che tu possa
scongiurare di finire, con tutta l’autovettura, nelle medesime buche in cui i cagatori da giardino espletano i
loro bisogni. Con questo bolide, di diversi ordini di grandezza superiore rispetto al parco auto circostante,
dove la parte del leone la fanno le Lada databili intorno al 1985, il padrone del Caucaso sfreccia per la
strada che conduce da Mineralnye Vode a Gofizkaja, il suo paese. Il paesaggio circostante è irriconoscibile
rispetto alla infinita distesa di bianco che trovai nell’inverno del 2008; un prepotentissimo verde,
intervallato pigramente da qualche macchione giallo di girasoli, sfreccia ai lati della Nissan Tenea, che solca
una stradina a 2 corsie, ricca di arrancanti Lada, a velocità siderali (150/160 kmh fissi). Mi viene da pensare
che se ci fosse un autovelox occasionale, polverizzerebbe tutte le patenti del raggio di 20 km… In realtà
sporadici milizie, imbertate nella maccchia, possono tentare di rilevare la velocità, ma di imbattono nella
dotazione del padrone del Caucaso, che ha un attrezzo che li rileva e li trasforma in maialini da latte con 15
miglia di anticipo. In tutto ciò il piccolo Liosha, dopo i primi 500 metri, capisce che è meglio non guardare:
mi monta letteralmente addosso e si addormenta come un sasso.
L’arrivo a Gofizkaja è un altro dei numerosi momenti in cui fatico terribilmente a riconoscere i luoghi dove
ero stato solo 3 anni fa… Lì dov’era desolazione, freddo e gelo ora si trovano parcheggiate placide mucche
color cacca, passeggiano gruppi di oche e galline a bordo strada, qualche vecchietto indugia sulla soglia
beandosi nella canicola… Unico, inconfondibile, elemento di raccordo per la memoria, la casa del padrone
del Caucaso, che campeggia e svetta con uno sfacciato contrasto rispetto alle modeste dimore del paese e
al loro immancabile accompagno di latrina in giardino.
La cena registra la seconda scanizza da vodka del soggiorno, anche se l’approccio sembra più misurato
rispetto al delirante capodanno del 2008, quando alle ore 12 del mattino avevamo, in 5, trangugiato 3
bottiglie. Nella confusione, nella stanchezza e nell’appannamento ci viene comunicata un’agghiacciante
sentenza targata Tiotia Tania (zia Tania): ad un rapido esame dell’esperta donna di cucina, il nostro
ingombrante e maleodorante compagno di viaggio, il famigerato pesce siluro, si dimostra a quanto pare
FRACIU e INABILE ALLA DEGIUSTAZIONE! La sentenza è un perfetto mix di beffa e sollievo… se non altro non
dovrà ribaltarsi per mesi nel nostro provato stomaco, ma porco zio me lo so dovuto portà in giro manco
fosse un Rolex!
In tutto ciò, commettiamo un errore da ‘principiante del Caucaso’ somministrando al malcapitato piccolo
Liosha dell’acqua di rubinetto… Sapevamo bene come il concetto di acqua minerale non alberghi a nessun
livello di priorità tra le categorie dei liquidi assimilabili per il russo medio; c’è tanta vodka, c’è una
ragionevole presenza di birra… sull’analcolico si può optare per caffè beveroni, per il the - che però è un
eccitante e noi per il piccolo Liosha abbiamo invece bisogno del bromuro liquido – per il Compot (da me
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appellato solitamente Pol Pot), vale a dire un bollito anemico di acqua e frutta e, se proprio volete mettere
a dura prova la vostra tolleranza allo schifo liquido, c’è il Kvas, un attrezzo dal look and feel che ricorda
inquietantemente lo scarico del cesso ma che altro non è che un’improbabile bevanda a base di PANE! Di
acqua non c’è traccia… Ricordo bene come, nell’esordio a Mosca ad agosto 2005, io e Vitali,, devastati da
queste bevande che fermentavano nello stomaco come il dado Knorr, decidemmo in autonomia di
procedere all’acquisto di una misera bottiglia d’acqua, e tornammo a casa di Iulia cinese con una specie di
dirigibile ultra rigido riempito con azoto, una roba che quasi esplose tra le nostre mani al timido atto di
stapparla ma che provocò le lacrime di gioia del povero (e infido) bimbo di Iulia cinese, che mai nella sua
vita, forse, aveva avuto la possibilità di bere della sacrosanta acqua minerale. Memore di tali brutali
esperienze e comprendendo quanto fosse fondamentale un po’ d’acqua minerale per mio figlio e
assolutamente non fidando nelle condutture dell’acqua corrente sovietiche, mi ero assicurato, prima della
partenza , che a San Pietroburgo fosse stata acquistata almeno una bottiglia di acqua minerale… e così era
stato… Non avevo reiterato la minaccia per quel che riguarda Tiotia Tania, confidando nel buon senso
dell’unica donna russa, dai tempi della dipartita dello zar, che ha una vaga idea di cosa si può fare in cucina
a parte scartare pesci fraci dalla cronaca di Roma del Menzoniero…
Purtoppo anche il mito Tiotia Tania cadde fragorosamente di fronte alla richiesta di una bottiglia d’acqua,
indicandoci l’acqua del rubinetto come ‘sicura’ e ‘bevuta senza problemi da tutti’ (in realtà noi non
l’avevamo osservata bere da nessuno). Per noi, data l’ora e la cronica impossibilità a muoversi in autonomia
in questi paesetti primordiali del Caucaso occidentale, non c’era altra via che fidarci, perciò offrimmo alla
nostra innocente creatura un bel biberon di acqua di merda di qualche rivoletto di zona… Non paghi,
offrimmo anche, ancora una volta, una stanza da letto con un finestrone che non si vede nemmeno sul
fungo dell’EUR, rigorosamente senza serrande/persiane/tende. Se non altro qui non ci sono notti bianche,
ma è comunque estate… Il conto salato di entrambe le cazzate galattiche fu pagato, sull’unghia, la mattina
del quinto giorno, il giorno della ‘pesca antitetica’…
QUINTO GIORNO – LA PESCA ANTITETICA
Alle 7.30 del quinto giorno, infatti, dopo aver resistito per ben 2 ore all’effetto STASI, il piccolo Liosha si
sveglia con la cera di Piero Fassino dopo una settimana di sciopero della fame in staffetta solidale con
Marco Pannella. Un paio di volte, all’alba, il malcapitato mi aveva chiesto un po’ del suo biberon riempito
con acqua del Don, e se l’era trangugiato confidando sereno nella premura inscalfibile dei suoi amorevoli
genitori. Nello stomaco, ormai vuoto, la poltiglia aveva ristagnato il giusto per dimostrare la sua
indigeribilità, per cui il piccolo ci proipone, alle 8 circa, un bel fiottone di vomito trasparente, incolore e
inodore. A giustificazione di tale episodio, le varie Tiotie, Olie, Sashe e babuske Dashe tentano improbabili
relazioni con le fatiche del viaggio, con la tenera età del nostro buldozer o con basso gradimento delle
pietanze serali. Il sottoscritto, invece, sentenzia facile che l’acqua del cesso non è probabilmente così sicura
come ce l’hanno venduta… Al che escono, timide, storie sul fatto che l’acqua “si la bevono tutti… cioè…
quasi tutti…”. Tipo, il piccolissimo Liosha, cuginetto del nostro nato solo 6 mesi prima, COR CAZZO CHE IELA
DANNO SE NON PREVIA BOLLITURA! Al che faccio pessimo viso a cattivo gioco e constatato che, come ogni
volta che ha problemi di stomaco, il nostro eroe ha un crollo delle funzioni di reazione pari a quello di Piero
Fassino alla seconda settimana di sciopero della fame, gioco il jolly che ho portato con me dal paese di
Dante: un brik di soluzione idratante ai sali minerali. Questo presunto palliativo ha più volte provato la sua
azione resuscitante e, infatti, manco 5 minuti dopo la somministrazione il piccolo Liosha riemerge dalle sue
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ceneri più incazzato di prima, e si reca ignorante a seviziare un po’ il mitico mega leone di pezza di zio
Sergei.
Passata la paura, si dà seguito al programma di giornata: la pesca antitetica.
La pesca antitetica è una disciplina sportiva di nuova concezione, sviluppatasi e prosperata negli ultimi 123
anni nel Caucaso occidentale. Lo spirito fondamentale di questa disciplina consiste nel violare
sfacciatamente tutti i principi base della pesca sportiva, portando così in confusione i pesci i quali,
probabilmente prendendoti per un coglione, si rilassano e abboccano come pochi. E’ una specie di
coniugazione in ambito ittico del 5-5-5 di Oronzo Canà. Alcuni esempi:
-
-
-
Si pesca di norma la mattina all’alba o la sera tardi o la notte nella pesca antitetica tu vai a pesca
quando cazzo sei comodo tu, mo vojo pure vede che decide il pesce quanno me svejo io…
Si pesca rimanendo quanto più possibile nascosti e discreti nella pesca antitetica ti porti
appresso tutti li regazzini che fanno una caciara della Madonna e pure tu, se ce scappa, scorreggi
nel megafono
Si pesca con attrezzatura commisurata alla dimensione dei pesci che abitano lo specchio d’acqua,
possibilmente sottostimandoli in modo che non possano vedare filo ed amo nella pesca
antitetica il filo lo prendi direttamente dalle reti di protezione delle caserme e l’amo è un coltello
da cucina Samurai
Si fa ben attenzione a coprire, con l’esca, l’amo in modo che il pesce non sospetti l’inganno nella
pesca antitetica, su questi ami, che sono ancore della Grimaldi Lines, piazzi un misero chicco di mais
che a mala pena si infilza… e se te rode er culo nce metti manco quello… E che davero sti pesci
devono pure esse motivati pe abboccà!
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Partecipanti alla tenzone, per l’occasione, il sottoscritto, in fine abbigliamento militare firmato cugino
Sergei, e genero Liosha, mio personale Virgilio nell’Inferno caucasico di questi giorni. Luogo della
tenzone, il lago privato del padrone del Caucaso…. Si perché alla fine dove cazzo vuoi andare a pescare?
Al LAGO MIO! IO ME FACCIO IL LAGO MIO E I PESCI MIEI, TU FATTE IL LAGO TUO E I PESCI TUA! Meno
male che nel programma di queste giornate in Caucaso non ci sono regate antitetiche…
Al fine di munirsi di adeguate esche, il pescatore antitetico non si reca nei tristi e impersonali negozi
Caccia e Pesca… si dota, come genero Liosha, di una bella vanga piombata e scava fino a trovare robusti
e vivacissimi lobriconi rossi nella nuda terra natia… Ecco quindi l’esca, insieme a un barattolo Bonduelle
di mais dolce comprato nella drogheria del paese
Si sale quindi a bordo della Lada 4x4 di zio Sergei. Questo mezzo, apparentemente modesto, si rivela in
grado di sovvertire le logiche del TOM TOM. Dove devi annà? Da qui a lì? Bene: tira na linea retta da qui
a lì, quella è la strada… Che c’è in mezzo? Case, foreste, palazzi, laghi, mari…. STI CAZZI! Io vado, la Lada
4x4 abbatte tutto manco fosse un tank della missione Desert Storm!
Armati quindi di esche e attrezzatura antitetica, ci troviamo in un battibaleno a bordo lago…Un laghetto
limaccioso tipico per la pesca alla carpa e al carassio, di quelli in cui se metti un piede non ti tirano fuori
nemmeno con un buldozer. Mettiamo un po’ d’esca stando ben attenti a lasciare in bell’evidenza l’amo
spropositato e gettiamo….. Al posto del pesce io mi sbellicherei dalle risate e tirerei una scatola di
Buondì Motta in faccia a sto cojone de pescatore… Ma il pesce Caucasico si lascia invece, come
previsto, spiazzare… Manco 5 minuti e cominciano ab abboccare piccoli carassi che l’amo praticamente
lo stringono in mano per farsi prendere… All’ora di pranzo tiro su una carpa da oltre 1 kg, mortacci! Non
è possibile, vacca boia… Secondo me il padrone del caucaso stavolta s’è superato, ha pagato un qualche
poraccio pe sta nascosto nella melma del lago, respirando attraverso na cannuccia de bambù, prende i
pesci quanno passano co le mani e attacalli alla nostra lenza! In tutto ciò il piccolo Liosha, serafico a
bordo laghetto, se magna il mais che sarebbe destinato ai pesci! Bello de papà, te magni pure le pietre
laviche!
Poco prima dell’ora di pranzo genero Liosha si permette, bontà sua, di portare l’antitesi anche oltre il
ristretto ambito della competizione sportiva… In un lancio sfortunato, mando l’amo a incagliare in un
gruppo di siepi in gran parte sommerse… Classica rottura di coglioni della pesca sportiva, ti tocca
provare a tirare e, se non riesci a riprendere la roba, strappare tutto e, giù Madonne, rifare la lenza…
MA DE CHE! Genero Liosha comincia a girare tutto il lago con la mia canna in mano provando a
disarcionare il finale… Io lo osservo quasi ammirato per la sua tenacia e pazienza…. Ma a un certo punto
tira fuori il numero… Constatato che la lenza non si recupera a strattoni, si toglie scarpe, calzini e
pantaloni E SI FIONDA NELLA MARRANA MANCO FOSSE ANITA EKBERG NELLE ACQUE DELLA
MADDALENA! Porco zio ci saranno i pesci ratti in questa pozzangherona di lago, lui arriva a piedi fino al
punto in cui il filo sparisce nel lago, infila la mano, impastruglia du minuti e viene fori co tutta la
baracca! PER LO DIO MA CHI SEI, SILVESTER STALLONE LO MANNAMO A FA LA COMPARSA NEI FILM DI
BOMBOLO! Con la medesima non-chalance abbandona infine la marana, si issa nuovamente a bordo
lago e torna a vestire il pantalone di lana merinos sopra la melma calcificata sui possenti quadricipiti…
Con tale agghiacciante episodio si chiude la sessione mattutina della pesca antitetica…
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Trangugiato il solito pasto ultraproteico a base di carne, patate e latticini selvaggi, già sogno di poter andare
a far compagnia al piccolo Liosha e a mamma Masha per un necessario pisolino… D’altro canto le notti
sotto l’occhio di bue hanno sempre una capacità di riposo pari all’allenamento di rifinitura di Yuri Chechi…
Ma genero Liosha non ha alcuna intenzione di lasciarmi abbandonare alla pigrizia e a uno spicciolo di
privacy familiare, ha già pronto un mini programma per riempire l’intervallo tra le sessioni di pesca
antitetica: mi vuole nel ruolo di inquietante braccio destro nel suo giro di riscossione denaro e rinnovo
frustate dei valvassini dell’impero di zio Sergei. D’altro canto, l’origine italiana è una garanzia,
evidentemente avrà preso ispirazione da una decina di ripassi della sceneggiatura di Donnie Brasco…
Così torniamo a cavalcare la Lada TOM TOM 4X4 e a solcare/tranciare le campagne caucasiche alla volta del
suo distributore di gas, con annesso negozio di macchinari da lavoro. Qui mi presenta Alexander, valvassino
apparentemente mite e innocuo che rivelerà, il giorno a seguire, la perizia e la brutalità di Mr.Crocodile
Dundee. Come succederà innumerevoli volte a seguire, l’incontro col valvassino segue tutte le movenze
tipiche dettate da Al Pacino nelle sue numerose perfomance: padrino Liosha e valvassino Mr.Crocodile
Dundee siedono su una panca fuori il negozio, fuori e dentro il negozio c’è lo stesso numero di persone che
si possono incontrare nel Sahara orientale a 300 km da Marrakesh alle 23.59 (che gran giro d’affari!)… I due
fumano una sigaretta e parlano senza guardarsi, fissano il vuoto di fronte a loro, dove campeggia il nuovo
caffè albergo di zio Sergei (tra l’altro vorrei conoscere in tutti i dettagli il business case sulla base del quale
hanno aperto un albergo dove c’è lo stesso turismo che si trova al Burone della Maranella)… Dopo un po’
che masticano un russo di cui stento a capire il 20% del ragionamento portante, concentrano, pare
casualmente, la loro attenzione su un punto del terreno sotto la panchina e, all’unisono urlano ”CLASH!”.
Ora, porco zio, a me pure piacciono i Pearl Jam, so frocio pe Vasco, me esalto con le placide serenate di
Francesco Guccini, ma non è che tutto un botto mentre sto sulla tazza del cesso strillo “DE GREGORI!”. La
mia espressione da Donnie Brasco si incrina quindi, temporaneamente, nell’espressione di sbigottimento e
sto per cominciare a far deduzioni sulle conseguenze dell’assunzione continuativa di vodka di seconda
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categoria, quando i due mi mostrano un minuto e insignificante ragnetto che cammina placido sul terreno…
La musica, evidentemente, non c’entra un cazzo, sto ragnetto che ha, nella scala delle cose che possono
attirare la mia attenzione, lo stesso punteggio di una mollica di pane dopo il pranzo di Pasqua, e che si
chiama, appunto, CLASH, mi spiegano invece che è degno di nota in quanto capita che ti si inerpichi, stronzo
come pochi, su per i calzoni e ti faccia una punturina che tenderai a ricordarti a lungo… Si affrettano infatti
a cacciare l’uno un accendino e l’altro un fiammifero e IE DANNO FOCO! Porco zio, ho capito che il ragnetto
è un discreto pezzo di merda, ma nbastava acciaccallo??? E se poco poco sbuca na viperella da qualche
siepe che famo, facciamo lancià un terra aria dalla base missilistica di Niznhy Novgorod?
Ancora basito per il trattamento che hanno riservato a BEATLES, vengo raccolto di forza da Mr.Crocodile
Dundee che mi spiega che mi porta a vedere una ‘fazenda’, un’altra delle innumerevoli proprietà del
padrone del Caucaso. Montiamo nuovamente su Lada TOM TOM, che stavolta dà veramente il meglio di
se… Mr Crocodile dopo un paio di kilometri di strada vira infatti netto in mezzo a lu campu, quindi si fionda
su una collina coperta da un metro abbondante d’erba… Dio bon potebbe esserci sotto una buca più fonda
del pozzo de mi nonno, lui se ne frega bellamente e va avanti col pilota automatico… Finchè non raggiunge
un pascolo ignorantissimo, composto da un impressionante numero di capi di genere, razza, colore,
conformazione diversa…. Non è il classico gregge di pecore, è più come se andassi ad aprire tutte le gabbie
del bioparco e portassi tutte le bestie a passeggio a Villa Ada. A badare alle fiere c’è una strana di coppia di
pastori, un uomo e una donna, la seconda con una giacca lunga di pelle puzzolente che, tra l’altro, è
adeguata ai circa 30 gradi di temperatura come un Dolomite giallo-grigio dell’89. Carichiamo sta fica e ci
rechiamo in un complesso di baracche che, credo, debbano essere le residenze dei pastori… Ci sono dentro
brande e televisori, fuori ci sono due cani che potrebbero mangiarsi l’intero gregge come aperitivo o
digestivo. Mr. Crocodile mi mostra tanta opulenza e mi ripete duecento volte “tutto a posto?” e io continuo
a ripetergli di si, onestamente non so cosa che genere di reazione si aspetti da Donnie Brasco in mezzo alle
capre…
Si riparte quindi alla volta del distributore di genero Liosha, rimasto lì ad attenderci, dopo aver smollato la
pecorara in una delle casette del paese, sempre ovviamente fendendo i monti, le colline, le lagune e i
pantani con la Lada TOM TOM. Riconsegniamo quindi la gestione del business a Mr.Crocodile e torniamo a
casa a prepararci per la seconda sessione della pesca antitetica. Sceso dalla Lada dal lato del passeggero,
sento uno strano fischio continuo… Genero Liosha non lo sente o lo ignora e punta spedito verso casa, ma
io lo fermo per chiedergli se creda sia normale. Al che lui mi dice che non è normale manco per il cazzo, la
ruota posteriore destra perde aria, ha forato! AAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!! CE SENTI ALLORA!!! TE PIACE
USA’ STA SCATOLA DE SARDINE COME UN TANK DELLA MISSIONE DESERT STORM, MO CHE FAMO? E SE
BUCAVI QUANDO STAVO CON PECORARA SCANIA CHE SE NVENTAVAMO, ME TOCCAVA DORMI’ NELLE
BARACCHE SOTTO L’ASSALTO DEI CANI A 70 DENTI???
Genero Liosha a quel punto tenta una serie di manovre senza senso: stappa e riattappa la valvola, CE
METTE SOPRA UN PO’ DE SALIVA, sposta la machina… Me viene il dubbio che anche la foratura sia
antitetica e che la soluzione al problema consista, magari, nel daje na coltellata o una sventagliata di sega
circolare… Invece dopo un po’ genero Liosha si arrende, ammette che bisogna cambiare la gomma… Entra
nel garage di zio Sergei e, PER LO IDDIO, su un angolo del vano c’è una pila di gomme da fuoristrada che
non ha mai visto manco il trisavolo del signor Goodyear! Ma dico, invece de trascinà sta caretta in mezzo ai
campi e cambià una gomma al giorno, non converrebbe usà le STRADE asfaltate come il resto del genere
umano che popola il globo terrestre?
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In ogni caso, in 5 minuti genero Liosha cambia la gomma e siamo in pista, prendiamo a bordo Masha, il
piccolo Liosha, la terribile cuginetta Sonia, affabile di suo come Nedo Sonetti dopo la 15a retrocessione
della carriera, e ripartiamo alla volta di Lago Zio Sergei.
La sessione serale della pesca antitetica si caratterizza per lo scontro frontale che il sottoscritto ha con
un’altra violazione sfacciata delle regole base. Da che una canna è una canna, al fine di ridurre a zero le
possibilità, per il pesce, una volta abboccato, possa liberarsi con qualche scatto o peggio di rompere il finale
in prossimità della riva, si fa sempre uso di un retino, detto guadino, che si usa per raccoglierlo quando è
vicino. Lo strumento, nella pesca tradizionale, è anche necessario perché, come dicevo, l’attrezzatura di
solito è leggera, al fine di massimizzare le possibilità d’inganno, e quindi cede facilmente sotto gli strattoni
dei pesci quando sono, anche solo parzialmente, fuori dall’acqua… Chiaramente nella pesca antitetica un
così utile arteficio è bandito a priori, hai questa attrezzatura buona per prenderlo a bastonate il pesce,
quindi te lo issi di forza a riva… La cosa, unita alla presenza di vegetazione e rami nei pressi della mia
posizione, per ben 3 volte mi causa la perdita della preda, la quale si affaccia boccheggiando sotto riva, mi
fa un pernacchiona, spara du capocciate e se da a gambe, 2 delle 3 volte co tutto l’amo! In ogni caso tiro su
altre 3-4 carpe da una mezza kilata l’una e ce ne torniamo con un secchio di pesci che sarebbe buono per
aprire un banchetto clandestino sulla strada (chiaramente sempre e solo dopo averli ripassati nel
Messaggero).
Tornati a casa, genero Liosha mi si presenta raggiante con 2 coltellacci modello Annamaria Franzoni e mi
conduce nei pressi dell’aia di zio Sergei a pulire il pesce… Daje giù de apri panze, de gratta squame, de butta
polmoni ed eccoli qui, pronti per la degustazia… Che piacere!
La giornata finisce così, non senza aver prima cenato col solito mischietto di carne di porco accompagnata
da Compot di non so che frutta calda e fredda. E’ stata una giornata lunga e antitetica, probabilmente la più
significativa, ma quella che seguirà non sarà troppo da meno…
SESTO GIORNO– LEGA LU PORCU!
Il nostro sesto giorno nella patria di Trotsky e dia Maria Sharapova inizia con il rognoso caso della
vidimazione del visto. Una delle 422 regole imperseguibili tra le quali deve districarsi il malcapitato
visitatore è quella che, giunto in URSS, ovunque soggiorni per più di 3 giorni deve far vidimare il visto alle
autorità locali… Chiaramente il termine ‘autorità locali’ è appositamente generico in modo che, dovunque il
poraccio giunga, debba perdere 3 giorni solo per individuarle, ste autorità locali, altri 3 per recuperare il
loro orario di lavoro e la specifica funzione competente, altri 3 per incappare a 456 eccezioni alla regola e
agli orari e alla competenza e ulteriori 3 per giungere alla conclusione alla quale doveva giungere dopo i
primi 57 secondi: CHI CAZZO DEVO PAGA’ PE TOJEME DAR CAZZO ST’IMPICCIO? In ogni viaggio in questa
terra sta storia della vidimazione, al pari di quella dell’ottenimento del visto stesso, ha avuto un’evoluzione
specifica e puntuale rispetto al tempo e allo spazio, mai uguale…. Stranamente, però, non sono
assolutamente in grado di ricordarmi come ci cavammo dall’impiccio in questa regione nell’inverno del
2008, ma do per scontato che, essendo ospite del padrone del Caucaso, la vidimazione consisterà in
qualcosa tipo apponimento dell’impronta del mignolo della sua mano sinistra sulla foto del mio
passaporto…
Ma come citiamo l’esigenza e la relativa scadenza, la casa del padrone del Caucaso entra invece in una
condizione di panico che non s’è vista neanche dentro il reattore 2 di Fukushima… La famiglia Matsukin è
sconvolta dalla richiesta manco avessimo chiesto la mano della nipotina Yomo Sofia… Si susseguono
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discussioni e concitati dibattiti finchè viene presa una decisione che non ha precedenti nella storia di
Gofiskaja e che non credo vedrà mai una sua reiterazione nemmeno in caso della più impensabile
catastrofe termochimica del globo: ALLONTANIAMO TIOTIA TANIA PER BEN MEZZORA DAI FORNELLI E
ANDIAMO A PARLARE CON QUALCHE CAPOCCIA DEL PAESE! Fino a quel momento Tiotia Tania aveva
vissuto in completa simbiosi con la macchina del gas, impassibile nella sua parannanza e in produzione
continuata di pietanze ultracaloriche a base della parte grassa del grasso del porco grasso. In questa storica
mattina, si dovette rovistare probabilmente sotto l’interminabile pila delle gomme da fuoristrada in garage
per trovare dei capi d’abbigliamento che non fossero parannanze, probabilmente risalenti alla mattina del
matrimonio di Tiotia Tania (la sera doveva essere già ai fornelli). Per quale ragione questa storia della
vidimazione del visto necessiti della presenza della zia, con un incalcolabile sacrificio di calorie per la
giornata, non è dato sapere… Forse, in certi casi, dove non arriva il padrone del Caucaso e dove non arriva
genero Liosha in compagnia di Donnie Brasco, si necessita della metafora più terrorizzante: la donna di
mafia… Fatto sta che in pochi minuti il padrone del Caucaso esce con la moglie e Masha e la seria
intenzione di far scempio della questura ove non fosse apposta la vidimazione sul visto…
Mezzora dopo sono di ritorno senza alcuna vidimazione ma con l’indicazione del luogo e l’ora in cui la
stessa verrà apposta: l’indomani mattina agli uffici di Svetlograd. Nella medesima occasione veniamo a
conoscenza che, sempre l’indomani mattina, è prevista la nostra presenza, con la famiglia di genero Liosha
pargoli inclusi, per l’ultima destinazione del viaggio nonché residenza di genero Liosha: Stavropol. La notizia
ci fa piombare in una cortina di perplessità… Come mai ci spostiamo nella città dalla quale poi avremo, 2
giorni dopo, il volo per Mosca, con un giorno di anticipo? Concludiamo con assoluta certezza che tale
decisione deve essere correlata con una qualche indemandabile esigenza familiare dei Matsukin, quindi ci
esentiamo dal porre domande o fare questioni, d’altro canto gli ospiti siamo noi e l’ospite, dopo 3 giorni e
dopo le ablusioni nei laghi di melma, tipicamente puzza…
Rientrati quindi nella configurazione standard, Tania ai fornelli e zio Sergei alla regia, si dà quindi luogo al
programma di giornata. Lo stesso, sulla carta, si annuncia terrificante… La giornata, infatti, è teoricamente
dedicata a quello che sarebbe lo scopo principe del viaggio stesso: il tour guidato dei parenti e dei relativi
cessi in giardino. Nel mio immaginario, prima della partenza e sulla base di quanto accadde in quel
terrificante inverno del 2008 (il lettore faccia riferimento al primo volume della collana “Il Caucaso non è
per tutti”), il viaggio si prefigurava come un susseguirsi senza sosta di visite a parenti sintetici, con la vodka
e la peggiore imitazione dei cioccolatini Raffaello come protagonisti, con Masha a intrattenere interminabili
chiacchierate sul “te ricordi lo zio del nonno del cugino de tu fratello cinese???? Te lo ricordi??? Beh, ieri je
s’è incarnita l’unghia dell’alluce e quindi se l’è rimossa con un tagliacarte…. Lo so che senza ‘sta notizia la
tua vita non avrebbe più avuto un senso…”. Nel mio immaginario, io trascorrevo questo tempo distillato in
decimi di millisecondi a correre appresso al piccolo Liosha ed evitare che la piccola tempesta scomponesse
negli materie prime le case, affatto robuste, dei parenti sintetici.
Tutto questo immaginario stava quindi per tradursi in agghiacciante e cruda realtà… Ma Masha non aveva
calcolato che zio Sergei, conosciuto in Caucaso anche come “il Maradona del Daghestan”, aveva in serbo un
colpo da maestro, un colpo che me lo avrebbe reso caro più di mia madre e di mio padre, che me l’avrebbe
fatto considerare al pari di Gandhi, di Maria Teresa di Calcutta e di Zarate messi insieme in un terrificante
cocktail di qualità psico fisiche. Zio Sergei si metteva quindi alla regia illuminata di questo tour sulla carta
inaffrontabile e in circa 4 ore macinava parenti come fossero noccioline per uno scimpanzè: doverosissima
visita alla tomba dell’amatissimo nonno Filipov, tour delle babuske “ashe” (Dasha, Natasha, Sasha, Fasha e
Sfascia) e di cugino Ivan il terribile, senza toccare un goccio di vodka o anche solo annusare un Raffaellosky
del ’56!!! 4 ore di numeri d’alta scuola, babuske a sferragliare sulle fasce, il piccolo Liosha a portare
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imprevedibilità e fantasia, Masha messa a tamponare le incursioni dei cagnetti incazzatissimi dei giardini
delle babuske, cortocircuito dei parenti, il cugino Ivan il terribile a respingere coi pugni proposte di regali
sopra i 400 kili (clamoroso il gioco di gambe per evitare il tappeto 4000x4000 di Nonno Filipov). Detta i
tempi, verticalizza…. Grande zio Liverani!
Spossati ma appagati come se avessimo visto in mezzora tutti i gol della carriera di Pippo Inzaghi, verso le
15.30 siamo di ritorno. Il piccolo Liosha c’ha una fame che prenderebbe a mozzichi la radica della Nissan
Tenea, ma ormai poraccio c’ha fatto il callo, sa che a casa l’aspetta qualche sbobbone a base di latte e
abbacchio e se n’è fatto una ragione.
Consumiamo sornioni il pasto consueto. A tavola presenzia, appena tornato da qualche giro di frustate ai
suoi valvassini, genero Liosha, pantalone blu quasi elegante e camicia bianca stile Missoni… Oggi come ieri,
sento irrefrenabile il desiderio di un pennicone riparatore, la canicola dei primi giorni d’estate e la panza
piena la conciliano irrimediabilmente… Ma è arrivato invece il momento di pagare il prezzo, salatissimo, per
l’esaltante prestazione del padrone del Caucaso, da stamattina detto anche il mio padrone: tocca
SCANNAJE LU PORCU!
Infatti genero Liosha sparisce per pochi secondi dalla sala conviviale, per ripresentarsi pochi minuti dopo
con la medesima camicia Missoni, splendidamente abbinata però, adesso, a un mutandone agghiacciante
blu scuro e delle ciavattissime da campo… In mano fa brillare un coltellaccio affilatissimo che metterebbe in
fuga pure Pacciani dopo che s’è fatto fuori una rassegna di porno d’autore… Così abbardato, mi punta senza
lasciarmi via d’uscita, simula un grugnito e quindi uno sgozzamento, il che sta a significare: “Tocca fa fori lu
porcu, porcu porcu!”
In men che non si dica riciclo l’abbigliamento militare firmato cugino Sergei e sono in pista, assetato di
sangue di porco manco fossi il capostipite delle Bestie di Satana. Scendiamo quindi nell’aia del mio
padrone, ad attenderci c’è Mister Crocodile Dundee che in quest’occasione metterà in luce le qualità che
danno ragione al suo appellativo.. Ad attenderci c’è anche, come sempre nell’aia, la cagnetta bastardissima
di zio Sergei, una fregnetta che peserà 5 kili ma di cui è nota la stronzaggine fino all’estreme propaggini
della Crimea… La bastarda ha più volte morso chi non gli sta a genio, un paio di volte, a tradimento sul
polpaccio, ha colpito anche genero Liosha. Come mi vede, infatti, viene lì per attaccarmi, ma genero Liosha
e Mr. Cronodile la scacciano in malo modo… Si dà inizio al rito!
Nell’aia risiedono, alla data, 3 maiali adulti che fanno circa 1 piotta l’uno… Normalmente si matano quando
sono più grandi, ma sembra che il caffè di zio Sergei necessiti di carne fresca perciò uno dei 3 non vedrà
l’alba dell’indomani. Mr Crocodile li osserva per pochi secondi e individua la vittima, lo comincia a puntare
con uno spago di circa 30 centimetri legato a cappio. Una seconda copia del medesimo strumento la affida
al sottoscritto, al quale è anche affidato il compito di tener serrato il cancello del porcile durante la
cattura… Ah belli, non me metterete mica a inseguì lu porcu! Ho capito che da stamattina ho contratto un
debito di sangue, ma vedemo de fa na media con il tentativo di avvelenamento perpetrato ai danni di mio
figlio cazzo!
Fortunatamente il mio compito è solo di appoggio logistico, il suino viene agguantato da Mr Crocodile,
condotto fuori, arpionato a dovere con la mia copia di cappio e sgozzato selvaggiamente manco fossimo sul
set di Turistas…
Pochi minuti dopo, la bestia è stecchita al suolo. Comincia quindi una lunghissima procedura che porterà, in
circa due ore, dalla configurazione ‘maiale vivo’ alla configurazione ‘grigliata mista della Festa dell’Unità’.
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Viene portato un bombolone di gas con un specie di lanciafiamme allegato. Con tale attrezzo si dà fuoco a
tutta la peluria del suino e un primo strato di pelle viene portato via con coltellacci e zappe da campo.
Potete immaginare gli odori sobri e delicati che emana, durante tale trattamento, la bestia. Viene quindi
dato un secondo giro di lanciafiamme in modo da far assumere alla pelle del porco il colore del creme
caramel lasciato 3 giorni fori dal frigo. In questo fase mi tirano in mezzo, perciò impugno il bombolone
manco fossi uno dei Ghostbusters e brunisco il maiale con quel tocco di sfumatura artistica tipica dello
spirito italico…
A seguire, un secondo strato di pelle viene asportato a coltellate, anche qui mi mettono in mezzo e daje giù,
famo la barba al povero porcu. A quel punto il porco viene messo a zampe all’aria, circondato di paglia e
INCENDIATO! Mi spiegano che serve a dare l’aroma, io riciclo una battuta dell’84 e faccio presente che so
daa Lazio…
Domate a fatica le fiamme suine, genero Missoni Liosha mi dice che lui deve fare il giro quotidiano di
frustate ai valvassini e mi chiede di aiutare Mr.Crocodile Dundee nelle fasi successive, quelle che devono
trasformare il fu allegro porcellino in grigliata mista. La cosa, ovviamente, mi desta il solito cocktail di
perplessità e timore, ma ormai qua volano cortellate, piano foco li porci… che sarà mai, zozzeria in più,
zozzeria in meno….
Così assisto, e devo dire che alla fine è la fase decisamente più sgradevole, alla eviscerazione del suino e alla
suddivisione dei vari estratti in varie ciotole… A un certo punto Mr. Crocodile mi si avvicina con un gruppo
di organi che dovrebbe più o meno corrispondere a quel che fu l’apparato cardio circolatorio del porco, mi
chiede di reggerli con un dito mentre lui li pulisce con una tecnica che ricorda la marionetta Aldo nella
pubblicità della WIND. Ad assistere a queste operazioni, serena se non addirittura soddisfatta, c’è cuginetta
Yomo Sonia… Vabbè che siamo nelle profondità della profonda campagna del profondo Caucaso, ma na
pupina tutta rosa de 4 anni a scannà lu porcu me pare ancora più antitetica de annà a pesca all’ora de
pranzo co na mandria de regazzini vocianti al seguito.
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Spartiti organi, grassi, saturi e polinsaturi nel servizio buono delle ciotole da porco, ricompare genero
Missoni Liosha, sempre in mutandoni e camicia indaco, per assistere Mr.Crocodile nelle fasi finali,
raccogliere li cocci e issare il tutto nella Lada Tom Tom per il trasporto in garage. I due si allontanano per
qualche secondo e, come era capitato anche poco prima, leste le galline si avvicinano per gozzovigliare con
le partizioni del porco. Al che io, scimmiottando goffamente quanto avevano fatto in casi simili i due rudi
caucasici, anche per far vedere che sono sul pezzo, faccio qualche passo in direzione del fu maiale e
inveisco contro le galline al fine di allontanarle… Il gesto, per lo Dio, richiama l’attenzione della cagnetta
bastarda che, convocato il cagnetto compare, SI APPRESTA AD ATTACCARMI!!! Fortunatamente i caucasici,
distanti una decina di metri, captano che sta per svolgersi una qualche scena sulla falsa riga di “Tutti pazzi
per Mary” e, con urli e con gesti, riescono ad allontanare ancora una volta la maledetta.
E’ però l’inizio della definitiva incrinazione dei rapporti tra il vostro eroe e la cagnetta della malora, la quale
da quel momento sorveglia porco e caucasici e, ogni qual volta questi si allontanano di più di 5 metri, MI
ATTACCA! A me dopo un po’ il gioco comincia ad andare prepotentemente sulle balle, per cui impugno un
forcone da campo poggiato sul muro dell’aia e ielo pianto davanti al naso inveendo come Caronte nell’Ade.
La degenerazione dei rapporti tra il sottoscritto e l’ecosistema dell’aia non sfugge però ai caucasici, i quali
capiscono che è giuta l’ora di dividere definitivamente i contendenti, mi accompagnano fuori dal
cancelletto e, con sommo sollievo, mi consentono di riprendere la via di casa con un amarezza nei confronti
della vita che, credo, abbia provato solo Delio Rossi all’esonero dopo la vittoria della Coppa Italia…
La giornata, di cui chiaramente l’assassinio del povero porco è il perno fondamentale, scorre poi placida
verso la sua conclusione… Il tempo di fare un salto al caffè di zio Sergei con genero Liosha, a ritirare
l’ennesima mazzetta discorrendo, in una lingua non associabile ad alcun idioma conosciuto, della differenza
dei prezzi delle auto usate tra Russia e Italia… Il tempo di accettare, con ingiustificata superficialità, un
invito alla condivisione di una birretta… Tale birretta si rivelerà essere un bottiglione di plastica improbabile
e tiepido, accompagnato da un piccolo vassoio di pescetti “La Repubblica”, cazzo non c’è verso di
scamparla! Di fatto questa è la cena poi…
Quando sto ormai per coricarmi, spossato ma contento di aver frapposto un giorno in meno tra la data
odierna e quella del rientro, vengo convocato ancora una volta da genero Liosha al grido di: “VIENI CHE CE
SO I TERRORISTI IN TV!”. Oh Gggesù PIETA’!!! Che vor dì che ce so i terroristi in tv? Hanno fatto un
attentato alla TV? A una rete televisiva o proprio all’apparecchio ricevente LCD 40 pollici del padrone del
Caucaso? O sono ospiti da Mauriziosky Costanzosky, e durante la pubblicità sorteggiano 10 uomini adulti
dal pubblico, li imbottiscono di tritolo e li lanciano addosso alla De Filipposki al grido di “Emma è grande, I
Moda sono i suoi profeti!”??? Io non ce lo so, SO SOLO CHE E’ ORA DE DI BASTA, HO BATTUTTO IL RECORD
MONDIALE DI TOUR DELLE BABUSKE ASHE SU PISTA, HO SCANNATO LI PORCI, HO SALVATO I POLPACCI
DALLA CAGNETTA BASTARDA, FATE ANNA’ A DORMIIIIII!!
Invece no, me tocca scende in salone e pappamme na buona 20 minuti di una specie di documentario che
mostra addestramenti dei terroristi in Caucaso, ovviamente senza capire una cazzo di parola… Certamente
tutto ciò è molto confortante e aggiunge quell’ultimo pizzico di serenità necessario per il giusto sonno
ristoratore sotto il sole accecante di un’altra alba Caucasica…
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SETTIMO GIORNO– IL GRANDE EQUIVOCO
Il settimo giorno ci si alza quindi di buonora… Il programma prevede una puntata a Svetlograd per la
famosa vidimazione del visto, quindi la misteriosa ma, a quanto pare, ineludibile partenza per Stavropol,
last destination of your journey…
Fatti i bagagli e trangugiata la colazione, caricata su qualche kilata del porco ancora caldo, saliamo a bordo
della Nissan Tenea del mio padrone e in mezzora siamo nella ridente cittadina caucasica, che sempre
accoglie il visitatore con una fatiscente stazione ferroviaria che ricorda inquietantemente gli edifici post
guerra atomica del cartone animato ‘Conan – il ragazzo del futuro’.
Giunti all’ufficio preposto, gli impiegati tentano il solito scontatissimo giochetto del “ma chi te l’ha detto
che si può fare questa cooooooooooosa… ma questo non è l’orario giuuuuuuuuuuuusto…. ma questo non è
il posto giuuuuuuuuuuusto……….. compra una vocale, Biancaneve, Rio Boooo…”. La risposta a queste
scontatissime obiezioni arriva di solito sotto forma di equa e democratica distribuzione di mazzette a tutto
l’organigramma dell’Ufficio, ma in questo caso siamo col pezzo da 90, il padrone del Caucaso! Egli infatti
non si scompone punto, mette in fila un impressionante numero di telefonate e minacce col cellulare e,
l’una dopo l’altra, le obiezioni svaniscono come palloncini pizzicati da uno spillo appuntito. C’è solo da
aspettare una mezzora che la pratica prenda corpo, perciò la famiglia Paone si distacca e va a fare un giro
della città, con l’accordo di reincontrarsi nel medesimo luogo al sopraggiungere di uno squillo di cellulare
avvisatore del mio padrone…
La passeggiata è sorprendentemente piacevole. Ancora una volta sono sbalordito da come i luoghi visitati 3
anni prima, sotto la morsa del gelo, siano perfettamente irriconoscibili. Le strade sono piene di gente, i
giardini e i locali frequentati al tempo sono completamente stravolti nell’aspetto. Per la strada girovagano
ragazzetti e ragazzette in una divisa standard con una banda rossa trasversale sulla camicia bianca: sono le
divise della scuola, la banda indica che si festeggia l’ultimo giorno dell’anno scolastico… Praticamente, back
to the eighties…Che spettacolo, qui Maria De Filippi la prenderebbero a sprangate sulle gengive!
Il tempo passa senza che lo squillo arrivi, dopo circa 1 ora, in cui abbiamo buttato un po’ di soldi in acquisto
di giocattoli russi, comincia a sovvenirmi il sospetto che il padrone del Caucaso abbia difficoltà a
rintracciarci… Sto per proporre una volontaria regressione al punto di partenza, quando il cell squilla. Ci
mettiamo un altro buon quarto d’ora per tornare indietro, troviamo la famiglia Matsukin al completo che ie
girano le balle come il ruzzolone alla fiera del paese. Pare ci cerchino da una vita, il cell non prendeva! Dopo
un po’ si chetano, il padrone del Caucaso ci restituisce i passaporti finalmente vidimati e ci apprestiamo a
partire…
“Allora mi raccomando, buon viaggio, se lo semo visto, era mejo il mio..”, la manfrina standard del congedo
è in pieno svolgimento quando, tra le frasi più scontate del MonClair ad agosto, spunta un “ma a che ora
avete il volo domattina”? La mia conoscenza del russo è ampiamente sufficiente a cogliere la domanda e,
con essa, il micidiale equivoco… NON SE SEMO CAPITI SUL GIORNO DELLA PARTENZA! Pooooorco zio, ecco
perché volevano partì oggi pe forza, pensavano partissimo il 1 giugno anziché il 2! E se so tutti organizzati,
co i pupi imbracati, le valigie stracolme, il porco caldo nel bagagliaio… Non se po’ più tornà indietro!
Disdetta, ce toccano due giorni a Stavropol City… Da una parte sono confortato dal lasciare alle spalle i
porci e tutte le altre bestie di cui avremmo potuto far strage in altri due giorni, dall’altro temo come la
morte, dopo lo stress di San Pietroburgo, di ributtare il piccolo Liosha nel tram tram di una grande città…
Ma tanto è, tocca partì!
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Il viaggio, un’oretta di macchina, è puro delirio… Il piccolissimo Liosha, cuginetto in miniatura del mio
panzer, è stato messo fuori gioco dal nostro ritardo mentre eravamo a zonzo, per cui invece di dormire ha
fame e strilla come un ossesso per buona parte del teoricamente breve tragitto…
Giungiamo in città nel primo pomeriggio, pranziamo con una mezza frittata intrisa di lardo del fu porco di
ieri. Al piccolo Liosha, invece, tentano con ogni mezzo di propinare degli spaghetti scotti e tagliuzzati conditi
con dello ZUCCHERO, davvero una sfida incompatibile con qualsiasi palato del dolce Stil Novo. Cerchiamo di
far presente, con la diplomazia, che la pietanza non è commestibile per un essere basato sul carbonio, ma i
sovietici insistono finchè non si beccano il sacrosanto rifiuto, sotto forma di sputacchio, del nostro piccolo.
In cambio riceve un quasi altrettanto improponibile piatto di spaghetti scotti tagliuzzati alla “simulazione di
pomodoro”, in questo caso la soglia della fame, altissima, supera impercettibilmente quella dello schifo e il
piccolo trangugia…
Deglutito, ci imbarchiamo per il mercato cittadino a fare spesa.
Il mercato è un gozzoviglio di ortofrutta a prezzi inaspettatamente altissimi (come cazzo faranno sti poracci
che guadagnano, quando va molto bene, la metà di noi?) e bancarelle di abbigliamento tarocco. A un certo
punto ci fermiamo al ‘paradiso del pesce nel Messaggero”, una banco che vende pesce siccu di ogni specie,
l’olezzo lo avvolge acutissimo per un raggio di 35 metri. I miei commilitoni si fermano, soppesano,
ASSAGGIANO, alla fine comprano una collana di freschi buffi, parte della quale ANCORA OGGI
IMPUZZOLISCE LA CREDENZA DELLA MIA CUCINA! Più in là, presunti pescivendoli mostrano vasche
gigantesche dove sono ammassate decine di carpe vive… così ammassate che, a un certo punto, una di
queste, che peserà oltre un kilo, fa leva sulle compagne di sventura e si fionda fori dalla vasca!
Ma il clou della visita arriva quando, giunti nei pressi di una bancarella che vende abbigliamento intimo di
infima qualità, noto un paio di boxer dai colori aggiaccianti (fondo nero, disegni verdi, scritte gialle) dove,
ben impressa sul pacco, campeggia la scritta – in cirillico - “Cochu tolka Mashinka”, VOGLIO SOLO
MASHA!!!! Sono disposto a tutto pur di averle, perciò le acquisto, le presento in conferenza stampa e le
inserisco nella prestigiosissima rosa dei miei slip targati H&M. Torno a casa soddisfatto come un pupo dopo
una sbornia di lecca lecca al lampone.
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La cena vede la vodka come elemento di spicco. Verso le 21 scendiamo al parco del cortile con i pupi,
compriamo una birra in plastica e dei semi di girasole in un bugigattolo di strada e, mentre lasciamo
scatenare i bimbi sui selvaggi scivoli del parco, ci godiamo l’atmosfera fresca… Nel buio del parco è un
brulicare di gruppetti di ragazzi che, palle piene delle infinite serate passate rinchiusi in casa co 2 metri di
neve fuori la porta, si godono ogni minuto di queste prime sere fresche d’estate…
OTTAVO GIORNO– PARCO GIANNA
La giornata a seguire, per via dell’immondo equivoco sul giorno della partenza, è totalmente improvvisata.
La mattina genero Liosha raccoglie una stravagante esternazione di Masha, che racconta, con assoluta e
incomprensibile certezza, come la moda del 2011/2012 in Italia sarà imperniata sui Valinki, vale a dire gli
stivaletti militari sovietici, e ci accompagna a un grosso negozio di abbigliamento militare professionale e di
grembiuli per la scuola (Maria De Filippi, piate stantra tranvata sulle gengive). E’ un po’ come organizzare
un viaggio a Buenos Aires perché Biscardi ha detto che senza dubbio la Lazio comprerà Messi, ma la
giornata ha, in ogni caso, necessità di idee…
All’arrivo in macchina a questo mezzo magazzino, sento un forte pizzico sotto l’ascella, d’istinto e pure
mezzo incazzato vado a scrutare che cosa diavolo possa aver causato questo dolore, e mi trovo APPESO
SOTTO L’ASCELLA UN INSETTO LUNGO E NERO a cui neanche Darwin avrebbe saputo attribuire un posto
nell’evoluzione genetica. Smadonnando, lo fiondo sul sedile, genero Liosha impassibile lo raccoglie e lo
lancia verso l’infinito… Chissà se pure sto attrezzo c’ha un nome riferibile a qualche gruppo di tossici degli
anni ’70, nel mio immaginario potrebbe benissimo essere un Deep Purple…
Lo shopping militare, per il sottoscritto, è una rincorsa continua del piccolo Liosha che sferraglia tra gli
espositori allenando il fisico e la tempra per quello che saranno i due temutissimi voli dell’indomani.
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A seguire, facciamo una sosta in un negozio sportivo dal marchio impronunciabile, dove facciamo razzia di
abbigliamento nazionalista. Quindi torniamo a casa, dove mi aspetta il tradizionale compito della
preparazione del maccherone…
La tegola del maccherone mi perseguita già dal primo viaggio in Caucaso del 2007/2008, dove, sotto le
esortazioni e le ingiustificabili promozioni della mia adorata consorte, dovetti inventare carbonare al burro
e prosciutto secco che avrebbero destato ribrezzo pure al cane de mi nonno. Altri esemplari di pasta Ciappi,
come l’attento lettore ormai saprà, erano stati consumati anche durante la corrente avventura, a San
Pietroburgo, dove cugino Sergei mi scuoceva puntualmente la pasta di soppiatto… Nell’episodio di giornata,
le cose non andarono certo molto meglio…
Gli elementi a mia disposizione erano:
-
-
-
Una busta di cellofan trasparente contenente della pasta sfusa che, a prima vista, avreste potuto
immaginare destinata al cane
Un barattolo di pomodoro dal contenuto imprevedibile. In nessun caso, girando gli alimentari, sono
riuscito a trovare un barattolo di pomodoro che mi desse la confortante sensazione di contenere
esclusivamente pomodoro, c’è sempre l’impressione o la certezza che il tutto sia drogato con
qualche merda inappropriata, dall’orecchio del maiale allo zucchero di canna…
Una scatola di latta contenente un pesce affumicato nel quale avevo voluto sognare albergasse un
comunissimo tonno, ma che più probabilmente ospitava la versione compressa del pescecane orbo
delle propaggini orientali del Mar Nero inferiore
Quantità industriali di carne di maiale, sempre quell’amichetto che due giorni prima avevamo
matato in allegria sotto la minaccia della cagnetta bastarda
Una preziosissima bottiglietta di presunto olio di oliva
Ora, il progetto originale, concepito in quel di Gofiskaja su inspiegabile spinta partenopea di Masha,
prevedeva, mediante il coinvolgimento congiunto della presunta salsa di pomodoro e del presunto tonno,
di attrezzare una sorta di puttanesca sovietica; già di per se, questo progetto aveva le stesse possibilità di
successo del lancio in orbita dello Sputnik effettuato con una catapulta di epoca tardo romana. I malefici
Matsukin, invece, invocano a gran voce il coinvolgimento della carne del suino… Convinto che, comunque
vada, sarà un insuccesso, la do vinta facile e preparo una grottesca imitazione del ragù con questa carne di
maiale… L’odore dolciastro che sale, mischiato allo scetticismo dei sovietici, che vorrebbero che mettessi
giù 10 kili di carne non si sa bene per fare cosa, costituiscono subito un pessimo presagio…
Montando una guardia ferrea sulla pentola, riesco, contro ogni pronostico, a non far scuocere la pasta del
cane, a quel punto vado a mantecarla nella salsa dolciastra… Ne esce un piatto che meriterebbe un
rispettosissimo 5--, e riesco persino a farglielo mangiare espresso, ma i Matsukin, come da millenaria
tradizione del mangiatore di merda certificata, me lo stuprano istantaneamente attraverso la drammatica
aggiunta del ketchup!!!! Trangugiano quello che a questo punto è uno schifo immondo e ributtante in
rispettoso silenzio, il che mi convince, senza troppe possibilità di errore, che faccia schifo anche a loro…
Superato con le citate criticità l’ostacolo del pasto, ci godiamo una pennichella (qua non girano porci da
ammazzare, pare), al termine della quale ci attrezziamo per portare i bimbi a Parco Gianna. Parco Gianna è,
nei miei ricordi, luogo di paura e desolazione, ma soprattutto un luogo che rievoca 10 minuti al limite della
sopravvivenza… 10 minuti di passeggiata fatti nel gennaio 2008, a 23 gradi sotto zero, imbevuti di vodka
all’inverosimile, nei quali sentii, come mai nella mia vita, il freddo che mi torceva le budella e aggrediva ogni
cellula dell’organismo… In questo parco scattammo delle foto terrificanti, due idioti con la barba ghiacciata
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e gli occhi spiritati sotto quelle che, allora, credevo fossero le uniche attrattive del posto: un aereo da
turismo e una carro armato entrambi originali.
Quel luogo, oggi, è un’altra delle più incredibili dimostrazioni dello stravolgimento di questi luoghi tra il
terribile inverno e la stagione buona…
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CI si presenta, infatti, come la versione estrema del Luna Park. Immersi nel bosco, spuntano le attrazioni più
ignoranti… Bambini che si lanciano tra gli alberi attraverso sistemi di funi e carrucole, altri bambini che
vengono inseriti in giganteschi palloni di cellofan trasparenti, gonfiati e gettati, in questa allucinante
riproduzione della ‘nave in bottiglia’ versione umana, sopra dei laghi artificiali che attraversano rotolandosi
e dimenandosi nei palloni… Dozzine di piste di go kart, tiranti e tappeti elastici alti decine di metri… Una
folla tremenda, in tremendo contrasto con la desolazione e il deserto che ci accolsero 3 anni prima,
gozzoviglia scomposta in questo mare magnum del delirio. In tutto ciò, noi ci limitiamo a fare alcuni placidi
giretti su alcune papere meccaniche su un laghetto artificiale, a girare su trenini panoramici, e a
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promuovere una versione del piccolo Liosha in perfetta armonia con le rimostranze che fecero la storia
degli anni 60, con particolare riferimento al ’68…
Qui, sostanzialmente, va concludendosi la storia del nostro secondo, devastante, soggiorno nel selvaggio
Caucaso… Il tempo di consumare una cena a base di un non ben determinato pesce affumicato di presunta
origine danese accompagnato, in meno di un’ora, da un’intera bottiglia di vodka e si va a nanna… Sveglia
puntata alle 5.15, mentre monta, terrorizzante, il pensiero di una giornata in cui sono previsti 2 voli (per un
totale di oltre 5 ore) e il temibilissimo attraversamento di Mosca per il cambio aeroporto…
NONO GIORNO– IL RITORNO DEI BOLSCEVICHI SULLA PIAZZA ROSSA
La sveglia, come previsto, è una mazzata sulla schiena, ma più sconvolgente ancora è l’elettricità con la
quale, in 45 minuti, chiudiamo le valigie, svegliamo il piccolo Liosha ovviamente in totale catalessi,
prepariamo e trangugiamo un abbozzo di colazione e ci lanciamo in strada verso l’aeroporto.
L’aeroporto di Stavropol, questo esattamente come ricordavo, si presenta ed è organizzato come
l’autostazione Tiburtina… Manca poco che devi guidarti l’aereo da solo, le procedure sono molto artigianali,
attraversi la pista a piedi e te ne sali sull’aereo esattamente come se stessi prendendo il 20 barrato in
direzione Torre Angela…
Il primo volo non si rivela troppo impegnativo, per via della buona disponibilità di posti liberi e dello stato
rinco-catalettico del povero piccolo Liosha, che mostra minime reazioni solo quando gli proponiamo
qualcosa da deglutire…
Giunti a Mosca, contrattiamo senza troppa voglia il prezzo per un taxi che ci porti all’aeroporto di
Shirimitivo, dove abbiamo il volo per Roma: 60 leuri e passa la paura. Il tassista ci fa presente che la tratta
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può essere percorsa, a seconda delle condizioni del traffico, in un tempo variabile tra 1 e 3 ore…
Fortunatamente ne abbiamo ben 7 prima del volo, per cui siamo sostanzialmente sereni… Il piccolo Liosha,
come siede sul sedile posteriore, impone per le vie brevi al tassista di accendere l’autoradio, dopodichè
crolla nel sonno come un piombo rinforzato.
Il tragitto in realtà viene annoverato, dal tassista, tra i record storici della sua onoratissima carriera: in circa
50 minuti siamo a destinazione. Ci si presentano quindi tra le 4 e le 5 ore di attesa prima di poter fare il
check in… La prospettiva di passarle a correre dietro a nostro figlio per tutti i 45 terminal non ci arride
affatto, per cui decidiamo, su due piedi, di lasciare i bagagli al deposito e tentare una sortita sulla piazza
Rossa.. Che non è proprio dietro l’angolo, mezzora di treno e 4 fermate di metro…
Affrontiamo quindi la frenetica traversata in trance agonistica, nonostante faccia un caldo record per il
posto, per la data e per tutto quanto sperimentato fin qui… Il piccolo Liosha, in buona parte rinvigorito dai
40 minuti di sonno del taxi, mette a ferro e fuoco i treni e le metro come solo lui sa fare, ma tant’è… alle 14
circa siamo nei pressi della Krasnaja Ploshad (Piazza Rossa). Facciamo un pranzo ignobile presso un
venditore ambulante, simulazioni di pietanze tipiche russe (che già in originale sono, per lo più,
improponibili) e una birra bollente manco fosse un the alla menta sulle dune di Er Chigaga. Anestetizzata la
fame, accediamo quindi alla mitica piazza.
Il piccolo Liosha si gode 30 minuti esatti di pure libertà in uno spazio aperto e sostanzialmente
interminabile. Corre all’impazzata, munito di bandana della Lazio che lo ripara dal sole cocente, e con
grossa difficoltà lo rappresento in alcune storiche istantanee nei rarissimi momenti in cui rifiata.
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E’ il simbolico epilogo di questa Russia 2011….
Resta da narrare la catalessi che si impadrona del piccolo al momento del check-in. Cade in un sonno
profondissimo, lui che ormai fuori dal letto non dorme più da mesi, e non si sveglia nonostante mi
obblighino a toglierlo dal passeggino per passare i controlli di sicurezza. Me lo tengo sulle spalle all’imbarco
e lo mantengo, ancora in questa posizione, per quasi due ore di volo, riuscendo di straforo anche a
consumare buona parte del pasto servito a bordo…
Cosa concludere, fratè… Il Caucaso, come sapevi, non è per tutti… Ma con il piccolo Liosha al seguito, direi
proprio che non è per nessuno…
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Il Caucaso…. Non è per nessuno!